Dante e Virgilio procedono lungo uno degli argini del Flegetonte, che attraversa il sabbione infuocato mentre il fumo che si leva dal fiume di sangue li protegge dalla pioggia di fiamme. Gli argini di pietra sono alti e spessi, simili alle dighe costruite dai Fiamminghi per difendersi dai flutti marini e dai Padovani per proteggere citt e castelli dalle piene del Brenta. I due poeti si sono ormai allontanati dalla selva a tal punto che Dante non riesce pi a vederla, quando scorge un gruppo di anime (sodomiti) che si avvicinano all'argine e guardano i due come si osserva qualcuno in una notte di novilunio, stringendo gli occhi come fanno i vecchi sarti quando devono infilare l'ago nella cruna. Colloquio con Brunetto Latini (22-54) Una delle anime della schiera si avvicina a Dante e lo tira per il lembo della veste, gridando la sua meraviglia: il poeta lo guarda bene e nonostante il suo viso sia tutto bruciato dalle fiammelle lo riconosce come Brunetto Latini. Dante lo saluta meravigliandosi di trovarlo l e il dannato manifesta il desiderio di staccarsi per un po' dalle altre anime e seguire il suo antico discepolo per parlare con lui. Dante ovviamente ne ben felice e afferma che si attarder a conversare con lui, sempre che ci gli sia permesso da Virgilio. Brunetto ribatte che se un dannato di quella schiera smette un istante di camminare, poi costretto a restar fermo cent'anni senza potersi riparare dalla pioggia di fuoco. Invita quindi Dante a camminare, mentre lui lo seguir per poi ricongiugersi ai suoi compagni di pena. Naturalmente Dante non osa scendere dall'argine per avvicinarsi a Brunetto, tuttavia prosegue il cammino tenendo il capo basso, per udire meglio le sue parole e in segno di deferenza. Brunetto chiede a Dante per quale motivo egli compia questo viaggio nell'Aldil e chi sia la sua guida. Dante risponde di essersi smarrito in una valle prima della fine dei suoi giorni e di averla lasciata solo la mattina del giorno precedente: Virgilio gli era apparso nel momento in cui stava per rientrarci e ora lo riconduce sul retto cammino. Profezia dell'esilio di Dante (55-99) Brunetto dichiara che Dante non pu fallire nella sua missione letteraria e politica, se segue la sua stella e se lui ha ben giudicato quando era in vita. Anzi, se Brunetto non fosse morto precocemente lo avrebbe aiutato lui stesso, visto che il cielo stato cos benevolo con Dante. Tuttavia i Fiorentini, l'ingrato popolo disceso da Fiesole e che conserva ancora la durezza della sua origine, si faranno nemici del poeta a causa delle sue buone azioni e ci non deve sorprendere, perch il frutto buono non cresce di solito tra quelli cattivi. I Fiorentini sono gente avara, invidiosa e superba e Dante deve quindi tenersi lontano dai loro costumi. Il suo destino invece cos onorevole che entrambe le parti politiche della citt, Bianchi e Neri, vorranno sfogare il loro odio su di lui, ma non ne avranno la concreta possibilit. I Fiorentini dovranno rivolgere il proprio astio su se stessi e non toccare quei concittadini che, come Dante, conservano il sangue puro dei Romani che fondarono anticamente la citt. Dante ribatte che, se dipendesse da lui, Brunetto sarebbe ancora nel mondo, dal momento che vivo in lui il ricordo del maestro che gli insegn come acquistare fama eterna, quindi finch vivr le sue parole esprimeranno sempre questo affetto. Dante dichiara di prendere atto della oscura profezia, riservandosi di farsela spiegare meglio da Beatrice quando la raggiunger. Il poeta aggiunge inoltre che pronto ai colpi della fortuna, in quanto ha gi udito una simile profezia. Virgilio si volge allora sulla sua destra e dice a Dante che buon ascoltatore chi prende nota di ci che gli viene detto.
Brunetto indica altri sodomiti e si allontana (100-124)
Dante prosegue il cammino e intanto non cessa di parlare con Brunetto, al quale chiede chi siano i suoi compagni di pena. Lui risponde che far i nomi delle anime pi note, poich sarebbe troppo lungo elencarle tutte. Brunetto spiega che i sodomiti di quella schiera sono tutti chierici e letterati di gran fama, tra i quali Prisciano, Francesco d'Accorso e colui che Bonifacio VIII trasfer da Firenze a Vicenza, dove mor lordo di tale peccato, vale a dire il vescovo Andrea de' Mozzi. Brunetto si attarderebbe ancora, ma il colloquio si deve interrompere in quanto gi vede il fumo sollevato da un'altra schiera di sodomiti, della quale lui non pu far parte. Si congeda da Dante raccomandandogli il Trsor, che gli ha dato fama imperitura, quindi si allontana di corsa. Dante lo paragona a un corridore che corre il palio di Verona e ne vincitore.