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Sylvie

di GRARD DE NERVAL
(trad. di Marina Segni)

1. UNA NOTTE PERDUTA


Uscivo da un teatro, ora affollato ora deserto, dove ogni sera nella mia alta tenuta di
spasimante occupavo un palco di proscenio. Per me era lo stesso che in platea ci
stessero appena una trentina di patiti, e i palchi fossero occupati da spettatori muniti di
cappellini antiquati e pettinature fuori moda, o che invece il teatro fosse stipato di
persone briose e commosse, coronato fino ai lampadari di abiti splendidi, di gemme
piene di bagliori e di volti radiosi. Non mi trattenevo l per lo spettacolo della sala e
nemmeno per quello del palcoscenico, tranne quando, alla seconda o terza scena di un
barboso capolavoro del momento, appariva una giovane donna che con la sua presenza
riempiva di luce quel locale, e restituiva la vita, con un soffio e con una parola, alle vane
figure che mi stavano intorno.
Io vivevo in lei, e lei era cos solo per me. Il suo sorriso mi trasmetteva un indicibile
benessere; il suono della sua voce forte e flautato mi faceva fremere di gioia e passione.
Per me lei era una donna perfetta, rispondeva a tutti i miei desideri, a tutte le mie follie:
radiosa come l'alba alle luci della ribalta che la rischiarava al basso, pallida come la
notte quando, spente quelle luci, l'illuminava dall'alto solo la debole luce del lampadario
che la rendeva pi naturale, non d'altro rifulgente nell'ombra che del proprio fascino,
come quelle mitologiche Ore che si stagliano, con una stella in fronte, sui fondi oscuri
degli affreschi di Ercolano.
La conoscevo da un anno ma ancora non sapevo bene chi fosse fuori di l; non mi
informavo perch avevo paura di rompere l'incantesimo che mi rifletteva la sua magica
immagine. Non che non fossi stato raggiunto da qualche spruzzata di fango riguardante
non tanto l'attrice quanto la donna, ma per me lei era inattaccabile e immacolata come,
poniamo, la principessa di Elide o la regina di Trebisonda. D'altra parte un mio zio,
vissuto alla fine del diciottesimo secolo pensando solo alle donne e allo champagne, mi
aveva ben presto persuaso che le attrici non sono donne come tutte le altre perch la
natura si era scordata di dar loro un cuore. Certo, mio zio alludeva alle attricette della
sua epoca; ma mi aveva raccontato un mucchio di storie sulle sue illusioni, e disinganni,
e mostrato un mucchio di ritratti su avorio, ammalianti pendenti che magari ora usava
per abbellire qualche tabacchiera, tante letterine ingiallite, e tanti pegni d'amori defunti.
Una vera variet di passioni che avevano lasciato l'amaro in bocca, cos che mi ero
abituato a pensare male di tutte quante, senza fare distinzioni fra passato e presente.
Quella di cui vi parlo era un'epoca strana, che poteva solo scaturire da grandi
rivolgimenti sociali, rivoluzioni o crolli dei grandi regni. Ci eravamo lasciati alle spalle
la nobile galanteria della Fronda, il vizio estetizzato e insolente della Reggenza, lo
scetticismo e le follie orgiastiche del Direttorio. Vivevamo un miscuglio di attivit, di
incertezze e di indolenza, di sfolgoranti utopie, di ambizioni filosofiche o religiose, di
entusiasmi posticci venati di qualche istinto di rinnovamento, di fastidio delle discordie
passate, e di incerte speranze: qualcosa come l'epoca di Peregrino e di Apuleio. L'uomo
materiale aspirava alle rose offerte dalla bella Iside che dovevano purificarlo; la dea
perennemente fanciulla e casta ci appariva di notte e ci rimproverava per la nostra
cattiva condotta. L'ambizione tuttavia non era fatta per la nostra generazione, e l'avida
scalata che allora davamo, alle cariche e agli onori, ci teneva lontani dalle varie sfere di
attivit possibili. Cos potevamo al massimo chiuderci nella torre d'avorio dei poeti, e
vivere in totale isolamento dal volgo. Nel punto pi alto della torre l'aria che si respirava
era salubre, e guidati dai nostri maestri si sorbiva l'oblio nel calice dorato dei miti, e ci si

ubriacava di poesia e di amore. Amore, purtroppo, di vaghe forme ideali, d'azzurro e di


rosa, di fantasmi metafisici. Ci sentivamo cos puri che la donna in carne e ossa ci
ripugnava; per renderci felici doveva essere stilizzata e idealizzata dalla nostra mente
malata, e soprattutto non bisognava avvicinarla.
Alcuni di noi tuttavia non apprezzavano gran che la vita spirituale, e magari reagendo
ai nostri risorti ideali alessandrini accendevano la torcia degli di ctoni che rischiarava
per un attimo l'ombra con la sua scia di faville.
Io stesso, quando uscivo dal teatro particolarmente triste perch il mio sogno quella
sera non mi dava piacere, finivo per cercare la brigata che si riuniva a cena in un
circolo, dove la malinconia si stemperava davanti alla gaiezza inesauribile di certi spiriti
brillanti, vivaci, tumultuosi, talvolta perfino sublimi, come se ne trovano nei momenti di
decadenza e di rinnovamento, le cui argomentazioni toccavano simili altezze che i pi
timidi fra noi si affacciavano alle finestre per vedere se per caso non arrivavano gli
Unni, i Turcomanni o i Cosacchi, per tagliare corto a tutti quei discorsi di rtori e sofisti.
Beviamo, amiamo, questa vita vera! Era tutto quello che sapevano dire i pi giovani.
Uno di costoro un giorno mi chiese:
- da un po' di tempo che ti vedo sempre nello stesso teatro, ogni volta che ci vado.
Per chi ci vieni? Per chi? Non si poteva andare che per lei, e rivelai quel nome.
- Ah, eccolo l l'amante del momento che l'ha accompagnata a casa - esclam con
indulgenza il mio giovane conoscente. - ancora qui perch rispetta le regole del nostro
circolo, ma pi tardi, magari prima dell'alba, andr ad abbracciarla. Quasi con indifferenza diedi una occhiata al personaggio indicato, un giovane
correttamente vestito, dal viso turbato e pallido, di modi signorili, con un'espressione
negli occhi delicata e triste. Buttava dell'oro su una tavola di whist e lo perdeva senza
scomporsi.
- Che me ne importa. Se non ci fosse lui, ci sarebbe un altro - risposi. Doveva pur
essercene uno, e costui mi sembrava degno della scelta.
- E tu? - Io? Io sono innamorato di un sogno che mi tormenta, e niente pi. Nell'uscire dal circolo passai nella sala di lettura e raccolsi un giornale per scorrere il
listino della Borsa. Tra le ultime briciole del mio patrimonio di un giorno c'era un
discreto capitale in titoli esteri. Correva voce da tempo che, in patria tenuti a lungo in
nessun conto, essi avrebbero avuto nuovamente corso ufficiale. E cos era accaduto
infatti, in seguito a un mutamento politico. Questi fondi avevano una quotazione molto
forte, e io ridiventavo ricco.
Questa improvvisa solidit economica mi fece fare una precisa riflessione, e cio che
se lo avessi davvero desiderato lei sarebbe diventata mia. Il mio sogno irrealizzabile col
denaro era a portata di mano. O forse la mia era una ennesima illusione, e il giornale
smerciava beffardamente notizie campate in aria? Ma no, anche gli altri giornali
sostenevano lo stesso, e io ero tanto ricco che credevo di vedere davanti a me la statua
d'oro di Moloc.
- Che faccia farebbe il bel giovane di poco fa - mi dicevo - se andassi a prendere il suo
posto accanto alla donna che egli ha lasciato sola? Fremetti a un simile pensiero, e il mio orgoglio ebbe uno scatto di ribellione.
- No, non sar certo io, alla mia et, a inquinare l'amore con il denaro, ci manca solo
che mi metta a corrompere la donna che amo. Oltre tutto, non detto che lei sia venale,
in tutti i casi offrire soldi in cambio di affetto un'idea d'altri tempi... Continuavo a leggere qua e l il giornale che tenevo ancora in mano, quando mi capit
sotto gli occhi questa notiziola: "Festa provinciale dei fiori. - Domani gli arcieri di
Seulis doneranno un bouquet a quelli di Loisy". Queste due righe risvegliarono in me

una moltitudine di ricordi di quella provincia da tanti lustri obliata, un'eco lontana delle
ingenue feste della mia giovinezza.
Il corno e il tamburo echeggiavano laggi tra i borghi e i boschi; le ragazze
raccoglievano fiori cantando e confezionavano mazzolini legandoli con nastri. Una
pesante carretta trainata da una coppia di buoi riceveva quei presenti al suo passaggio, e
noi giovani del paese, fregiandoci del titolo di cavalieri, formavamo il corteo stringendo
in mano i nostri archi e le nostre frecce; allora non sapevamo che quella era una festa
druidica, che veniva ripetuta di generazione in generazione, sopravvissuta alle vecchie
monarchie e alle nuove religioni.
2. ADRIANA
Andai a letto, per non riuscivo ad addormentarmi. Nel dormiveglia vedevo passare
tutti gli episodi salienti della mia infanzia e della mia giovinezza. Ero cos eccitato, in
preda alle pi strane alchimie del sonno, che bastarono pochi minuti perch la mia
mente fosse attraversata dalle immagini pi significative di un lungo periodo di vita.
Vedevo un castello dell'epoca di Enrico IV con i tetti aguzzi rivestiti di ardesia, e
davanti alla facciata rossastra, dagli angoli dentellati di pietre ingiallite, un grande
cortile circondato dal verde degli olmi e dei tigli, il cui fogliame era trafitto dagli ultimi
raggi del sole al tramonto. Alcune ragazzine giocavano a girotondo cantando delle
vecchie canzoni imparate dalle loro madri; la loro lingua era cos pura che bastava da
sola a far intendere che ci trovavamo proprio nell'antica regione del Valois, che fu la
culla della pi importate dinastia reale di Francia.
Ero l'unico maschio in quel ballo dove ero arrivato insieme alla mia giovanissima
amica, Silvia, che abitava in un caseggiato non lontano, una fanciulla cos briosa e
fresca, dagli occhi neri, dal profilo regolare e dalla pelle appena abbronzata. L'amavo,
tutto il mio mondo filtrava attraverso la sua immagine, fino a quel momento! Ero
appena stato attirato da Adriana, una bella, alta e bionda ragazza che giocava con noi;
figuriamoci la mia felicit quando venne il mio turno di stare in mezzo al cerchio solo
con lei, tutt'e due della stessa statura, col compito di baciarci, mentre i bambini ci
giravano intorno sempre pi svelti e chiassosi. Le diedi un bacio stringendole appena
una mano, mentre i suoi riccioli d'oro mi accarezzavano le guance. Subito un
turbamento che finora non avevo mai provato si impadron di me. Secondo le regole
della danza la bella, per poter rientrare nel gioco, doveva intonare una canzone. Ci
sedemmo intorno a lei che tutt'a un tratto si mise a cantare, con una voce innocente e
intensa, appena velata come quella di tutte le ragazze di questi paesi di nebbia, una di
quelle romanze piene di amore e di malinconia che narrano le sciagure di una
principessa fatta imprigionare in una torre per volont di un padre che la punisce per
avere amato. Adriana esaltava le sue capacit vocali quando, a ogni stanza, abbelliva la
canzone con gorgheggi: la sua voce tremula che imitava la voce tremolante delle nonne
era intensa come un brivido.
Intanto, mentre cantava, i grandi alberi stampavano sul prato la loro ombra e la luce
lunare si riversava su di lei sola, isolata dal nostro cerchio silenzioso e pensoso. Quando
alla fine tacque noi non osammo turbare quel silenzio. Il prato sbuffava veli di fumo che
infiocchettavano i fili d'erba. Ci pareva di essere in paradiso. Alla fine mi levai in piedi
e raggiunsi il parterre del castello, dove in grandi anfore di cotto chiaroscurate cresceva
l'alloro. Ne colsi due rami che trasformai in serto, lo annodai con un nastro, poi mi
avvicinai ad Adriana e le posai sul capo quel diadema, mentre la luce lunare dipingeva il
fogliame, e il luccichio delle foglie tremolava sui suoi capelli biondi. Somigliava alla
Beatrice dantesca, che sorride al poeta ramingo sul limite estremo del sacro soggiorno.
Adriana si alz agile e flessuosa, e prima di rientrare di corsa nel castello si conged
affettuosamente. Di l a poco venni a sapere che vantava la propria discendenza da una

famiglia di nobili imparentati gi con una antica dinastia reale di Francia. Era dello
stesso ceppo dei Valois, e in quel giorno di festa le era stato permesso di prendere parte
ai nostri giochi; ma l'indomani mattina ripart per entrare come educanda in un
convento, e non la rivedemmo mai pi.
Quando ritornai da Silvia, mi accorsi che piangeva in preda alla gelosia perch avevo
donato il serto alla bella cantatrice. Cercai di calmarla promettendo che avrei intrecciato
una corona di alloro anche per lei, ma ribatt che non ci teneva e che comunque lei non
meritava una simile attenzione. Mi scusai a lungo invano, ma Silvia, mentre la
riaccompagnavo a casa, continu a tenermi il broncio.
Anch'io dovetti partire, richiamato a Parigi per riprendervi gli studi; con me portavo
una duplice impressione: d'una tenera amicizia bruscamente finita, e d'un amore
impossibile e inquietante, fonte di pensieri angoscianti che tutta la filosofia che studiavo
in collegio non era in grado di attenuare.
A poco a poco il ricordo di Adriana cancell o assorb quello di Silvia, lei divenne per
me una necessit: miraggio della gloria e della bellezza, che mi addolciva o alternava le
severe ore di studio. Ma come fin l'anno scolastico e andai laggi a trascorrere le
vacanze, seppi con un nodo alla gola che il mio tenero amore intravisto appena era stato
consacrato dalla sua famiglia alla vita religiosa.
3. RISOLUZIONE
Ogni cosa mi era chiarita da queste reminiscenze affiorate quasi in sogno. Lo strano
amore disperato che provavo per un donna di teatro che tutte le sere si impadroniva di
me all'ora dello spettacolo e mi lasciava solo quando mi addormentavo, era originato dal
ricordo di Adriana, fiore notturno che si ravvivava al pallido incantesimo della luna,
fantasma roseo e biondo sospeso sull'erba verde umida di bianchi vapori. Una immagine
obliata da anni ormai si delineava con miracolosa precisione: era un tratto di matita
sbiadito dal tempo che diventava pittura, come quei vecchi disegni di grandi pittori
ammirati in un museo di cui un bel giorno si ritrovi l'originale pulito e vivo.
Amare una religiosa che confondevo con una attrice!... E se fosse la stessa persona?
C'era da ammattire! E' un oscuro piacere dove l'ignoto vi attrae come i fuochi fatui che
fuggano tra i giunchi di un'acqua stagnante... Ma meglio ritornare alla realt.
E Silvia, a cui volevo tanto bene ancora, come mai l'ho dimenticata, da ben tre anni?
Era cos graziosa, la pi bella di Loisy!
Ed reale, lei, buona e pura di cuore. Rivedo la sua finestra dischiusa sui pampini che
si intrecciano alle rose, la gabbia del cardellino sospesa a sinistra, sento il tinnire dei
suoi fusi sonori e la sua canzone preferita:
La bella seduta
in riva al ruscello...
Silvia ancora l che mi aspetta. Chi pu averla sposata? E' cos povera!
Dalle sue parti e nei villaggi vicini fanno tutti i contadini, gente alla buona, in
camiciotto, con le mani incallite, la faccia dura, la pelle abbrustolita. Lei amava solo
me, il piccolo Parigino, quando andavo a Loisy a trovare il mio povero zio morto da
tempo. In questi tre anni ho in gran parte dissipato la modesta eredit che mi ha lasciato,
e che avrebbe potuto bastarmi per tutta la vita. Con Silvia la avrei conservata. Per
fortuna ora quei titoli in Borsa valgono molto. Posso ancora salvarmi.
Che cosa star facendo adesso? Star dormendo... No, non dorme: oggi la festa
dell'Arco, la sola dell'anno in cui si balli per tutta la notte.
Silvia sar alla festa...
Che ora mai?

Ero senza orologio.


Fra le tante splendide anticaglie per mezzo delle quali allora era di moda ristabilire la
fisionomia di un appartamento d'altri tempi con tutto il colore dell'epoca brillava,
lustrato e rimesso a nuovo, un pendolo di tartaruga del Rinascimento, la cui cupola
dorata, sormontata dall'immagine del Tempo, era sostenuta da cariatidi dell'et dei
Medici, a loro volta poggiate su quattro cavalli scalcianti. Effigiata in bassorilievo sotto
il quadrante stava la storica Diana, appoggiata coi gomiti al suo cervo, e nel quadrante
spiccavano su un fondo nichelato le cifre smaltate delle ore. Il marchingegno, senza
dubbio splendido, non era stato caricato da un paio di secoli, ma non era certo per
sapere l'ora che avevo acquistato quel pendolo, in Turenna.
Andai in portineria. L'orologio a cuc segnava l'una del mattino.
- In quattro ore, - pensai - posso arrivare al ballo di Loisy. Sulla piazza del Palais-Royal sostavano ancora cinque o sei carrozze, in attesa dei
soliti frequentatori dei circoli e delle case da gioco.
- A Loisy! - dissi a quello che mi parve pi in ordine.
- Dove diavolo si trova? - Dalle parti di Seulis, a otto leghe di qui. - Vi porter alla posta di ricambio - ribatt il cocchiere meno ansioso di me.
Com' deprimente di notte questa strada delle Fiandre! Diventa bella solo quando
raggiunge la zona delle foreste. Ma prima stretta da due secolari file di alberi
uniformi, che popolano le tenebre di ombre spettrali; al di l, prati erbosi e campi
lavorati, confinanti sulla sinistra dalla linea turchina delle colline di Montmorency, di
Ecouen e di Luzarches. Ed ecco Gonesse, vile borgo pieno dei ricordi della Lega e della
Fronda...
Oltre Louvre c' una via fiancheggiata da pometi, dei quali parecchie volte ho scorso i
fiori rifulgere nella notte, simili alle stelle terrene. Era la pi breve per raggiungere le
borgate.
Mentre la vettura saliva sulle pendici, io mi immergevo nei ricordi del tempo in cui
venivo qui cos spesso.
4. UN VIAGGIO A CITERA
Erano trascorsi alcuni anni: gi i tempi in cui Adriana era apparsa davanti al castello si
erano dileguati. Giunsi a Loisy al momento della festa del patrono, e andavo di nuovo a
unirmi ai cavalieri dell'Arco, prendendo posto nella compagnia della quale in passato
avevo fatto parte. La festa era stata organizzata da giovani appartenenti alle vecchie
famiglie proprietarie di parecchi di quei castelli sperduti laggi nei boschi e oltraggiati
pi dal tempo che dalle rivoluzioni. Da Chantilly, da Compigne e da Seulis giungeva
gente felice a cavallo che prendeva posto nel rustico corteo della compagnia dell'Arco.
Dopo la lunga passeggiata attraverso i casali e le borgate, dopo la messa in chiesa, dopo
aver preso parte alle gare di destrezza e aver partecipato alle premiazioni, i vincitori
erano stati invitati a una colazione che si dava in un'isola ombreggiata di pioppi e di
tigli, in mezzo a uno dei tanti stagni alimentati dalla Nonette e dalla Thve. Alcune
barche imbandierate ci portarono all'isola, la cui scelta era dovuta all'esistenza di un
tempio di forma ovoidale a colonne, trasformato per l'occasione in sala per il festino.
L, come a Ermenonville, la campagna disseminata da questi agili edifici della fine del
settecento, eretti da milionari filosofi ispirati al gusto dominante dell'epoca. Questo
tempio, se non mi inganno, era dedicato in origine a Urania. Tre colonne avevano
ceduto trascinando nel crollo una parte dell'architrave; ma si erano rimosse le macerie
dalla sala, appese alcune ghirlande fra le colonne, in modo da ringiovanire questo rudere
moderno, che richiamava il paganesimo di Boufflers o di Chaulieu assai pi che quello
di Orazio.

La traversata del lago era stata forse messa nel programma per mimare Il viaggio a
Citera di Watteau, e solo i nostri abiti moderni guastavano quell'illusione. L'immenso
bouquet della festa, tolto dal carro che lo trasportava, era stato posto sopra una grande
barca; il corteo di giovanette vestito di bianco, che secondo l'usanza lo
accompagnavano, aveva preso posto sui banchi, e quella splendida teoria dei tempi
antichi si rifletteva nelle quiete acque dello stagno, che lo separavano dalle rive
dell'isola, cos vermiglia ai raggi del tramonto, con le sue macchie di rovi e la colonnata
fra il mobile fogliame. In breve tutte le barche ormeggiarono. Il fascio di fiori portato
con grande cerimonia fu posto al centro della tavola, e ciascuno occup il suo posto, i
pi fortunati accanto alle fanciulle: distinzione per cui bastava essere conosciuti dai loro
congiunti. Fu proprio per questo che io potei trovarmi accanto a Silvia. Suo fratello si
era unito a me durante la festa, e mi aveva gi rimproverato di non avere da tanto tempo
fatto visita alla sua famiglia. Ne diedi la colpa ai miei studi che mi trattenevano a Parigi,
e lo assicurai di essere venuto l proprio per loro.
- La verit che mi ha dimenticata - comment Silvia. - Siamo dei poveri paesani,
noi, e Parigi tutta un'altra cosa. Cercai di baciarla per farla star zitta, ma lei mi teneva il broncio, e solo dopo che il
fratello la rimprover mi porse con freddezza la guancia. Non provai alcuna gioia per
quel bacio di cui altri ottenevano il favore, poich in quel villaggio patriarcale dove si
ha un saluto per tutti, un bacio non altro che una gentilezza fra gente per bene.
Gli organizzatori alla fine della festa ci avevano tenuto in serbo una sorpresa. Dal
fondo della vasta cesta, d'improvviso si vide prendere il volo un cigno selvatico, fino a
quel momento tenuto nascosto dai fiori, che con le sue ali possenti fece volare qua e l
pezzi di corone e di ghirlande che si dispersero dappertutto. E mentre il cigno volava
esultante abbagliato dal sole che tramontava, noi raccoglievamo le corone di cui ognuno
fregiava la fronte della fanciulla che gli stava accanto. Ebbi la fortuna di afferrarne al
volo una delle pi belle, e questa volta Silvia, sorridente, si lasci baciare con pi
dolcezza. Quel bacio, lo sentii, cancellava le passioni che avevo provato per l'attrice, e
non riuscii a toglierle lo sguardo di dosso manifestandole tutta la mia ammirazione.
Com'era bella! Non era pi una ragazzina di paese che avevo obliato mentre ne
corteggiavo una pi grande e soprattutto pi usa alle grazie mondane. Ogni cosa in lei
aveva acquistato una nuova grazia: lo splendore dei suoi occhi neri, cos magici fin dalla
prima infanzia, si era fatto irresistibile; e sotto la linea arcuata delle sopracciglia, il suo
sorriso che irradiava lineamenti regolari e sereni aveva qualcosa di attico.
Non mi stancavo di ammirare quel volto degno dell'arte antica in mezzo alle facce
civettuole delle compagne. Le manine delicate e sottili, le braccia bianche divenute pi
rotonde, il corpo snello la facevano apparire proprio diversa da prima. Non potei fare a
meno di dirle che la trovavo mutata positivamente, in tal modo speravo che cancellasse
il ricordo dell'infedelt di cui mi ero macchiato ultimamente.
Tutto mi favoriva: l'amicizia del fratello, l'incanto della festa, l'ora di sera e lo stesso
luogo dove, con raffinata fantasia, si era dato vita a quell'immagine delle galanti feste di
epoche lontane. Subito, appena era possibile, ci appartavamo dalla danza, per rievocare i
nostri ricordi del passato e per fantasticare insieme mentre ammiravamo i riflessi del
cielo che si riflettevano sull'acqua e sulle piante. A un certo punto intervenne il fratello
che interruppe i nostri sogni dicendo che era venuta l'ora di far ritorno al villaggio,
abbastanza lontano, dove abitavano i loro genitori.
5. IL VILLAGGIO
Era a Loisy, nella vecchia casa del guardaboschi. Li accompagnai fin laggi, e poi
ritornai a Montagny dove ero ospite di un mio zio. Abbandonai la via e attraversai un
boschetto che divide Loisy da San S., trovandomi a seguire una profonda mulattiera che

costeggia la foresta di Ermenonville: sapevo di dover incontrare entro breve le mura di


un convento, che poi avrei rasentato per un quarto d'ora. La luna di tanto in tanto veniva
nascosta dalle nubi, e illuminava appena le cupe rocce di arenaria e le eriche che
rendevano faticoso il cammino. A destra e a sinistra si ergevano foreste senza alcuna
traccia di strada, e davanti a me vedevo le rocce druidiche tipiche della contrada, che
serbano il ricordi dei figli di Armen massacrati dai Romani. Dall'alto di quelle rocce
solenni sorgevo gli stagni lontani luccicare come specchi nella pianura brumosa, ma
ormai non riuscivo pi a localizzare l'isolotto dove si era svolta la festa.
L'aria era tiepida e fragrante. Decisi di sospendere il viaggio, e di aspettare il mattino
coricandomi sopra l'erica. Quando mi svegliai pian piano riconobbi i paraggi del luogo
dove mi ero smarrito nella notte. Sulla sinistra si ergeva il muro di cinta del convento di
San S.; poi, dall'altra parte della valle, la collina dei Gendarmi, con le rovine sgretolate
dell'antica residenza carolingia, e l vicino, alti sopra il bosco, i resti dell'abbazia di
Thiers contornavano sull'orizzonte le ali delle muraglie traforate da rosoni e ogive. Pi
in l, il castello gotico di Pontarm, cinto d'acqua come una volta, non tard a smaltarsi
di fresche luci nascenti, mentre a meridione si scorgeva l'alta torre de La Tournelle e le
quattro torri di Bertrand-Foss sulle prime balze di Montmliant.
Avevo trascorso la notte pensando dolcemente a Silvia, e tuttavia, osservando il
convento, fantasticai che l dentro forse viveva Adriana. Senza dubbio a svegliarmi era
stata la campana del mattino che ancora mi tintinnava negli orecchi. Per un istante
pensai di andare in cima alle rocce per gettare uno sguardo oltre quelle mura, ma
riflettendoci me ne astenni come da un sacrilegio. La luce del giorno facendosi pi
intensa scacci dal mio pensiero quella fissazione, non lasciandovi che la rosea figura di
Silvia.
- Andiamo a svegliarla - pensai, e ripresi la via di Loisy.
In fondo alla mulattiera che corre lungo la foresta spunt il villaggio, una ventina di
casucce sui cui muri le viti e le rose rampicanti ornavano festoni. Davanti a una fattoria
lavorava un gruppo di filatrici mattiniere con il capo coperto di fazzoletti rossi, Silvia
per non era insieme a loro. - diventata quasi una signorina da quando ricama merletti
di pregio; mentre i suoi sono rimasti tipi alla buona. - Senza che nessuno ci facesse caso
entrai nella sua camera. Gi sveglia da ore, Silvia faceva andare su e gi i fuselli
lavorando le trine che frusciavano dolcemente sul tombolo verde posto alle sue
ginocchia.
- Finalmente, perdigiorno! - esclam, con uno dei suoi celestiali sorrisi. - Magari ti sei
appena alzato da letto! Le raccontai di avere trascorso una notte insonne, di aver errato per i boschi e le rocce,
e lei per un istante mi consol.
- Se non sei troppo stanco ti far marciare ancora. Andiamo a trovare la sorella di mio
nonno a Othys. Non avevo ancora espresso un parere che si era gi alzata allegra; si aggiust i capelli
guardandosi allo specchio e si mise in testa un cappello di paglia rustica. I suoi occhi
risplendevano di purezza e gioia.
Ci incamminammo seguendo le sponde della Thve, attraverso i prati tappezzati di
margherite e di bottoni d'oro, e poi lungo i boschi di San Lorenzo, saltando ogni tanto i
ruscelli e passando attraverso le siepi per abbreviare il cammino. I merli fischiavano in
cima agli alberi e le cingallegre prendevano il volo festose dalle siepi sfiorate dal nostro
passaggio.
Lungo il sentiero incontravamo talvolta le pervinche tanto care a Rousseau, che
schiudevano le azzurre corolle fra quei lunghi arboscelli striscianti sul suolo dei boschi,
specie di umili liane che si impigliavano nei piedini furtivi della mia amica. Indifferente

ai miei ricordi del filosofo ginevrino, lei cercava qua e l le fragole profumate, mentre
io le parlavo della Nuova Eloisa, e ne declamavo qualche brano a memoria.
- un bel libro? - chiese.
- Stupendo. - Pi bello di Augusto Lafontaine? - Pi commovente. - Allora bisogna che lo legga. Dir a mio fratello di comprarlo quando andr a Seulis.
Poi io avevo ripreso a recitare brani dell'Eloisa, mentre Silvia raccoglieva fragole.
6. OTHIS
Appena uscimmo dal bosco vedemmo alcune macchie di digitale purpurea. Silvia ne
raccolse un grosso mazzo osservando:
- per mia zia. cos contenta di tenere questi bei fiori in camera! Mancava solo un breve tratto di strada pianeggiante per arrivare a Othys, di cui gi
spuntava il campanile fra le colline bluastre che vanno da Montmliant a Dammartin. La
Thve mormorava tra le rocce e sassi, pi stretta man mano che si avvicinava alla
sorgente, dove poi si espande nei prati formando un laghetto circondato da gladioli e
iris. Di l a poco raggiungemmo le prime case. La zia di Silvia abitava in una bicocca
fatta di sassi ineguali, nascosti da un pergolato di luppoli e viti selvatiche; viveva da
sola di quei pochi metri quadrati di orto che i contadini del borgo vangavano per lei
dopo la morte di suo marito. Quando giungeva l la nipote la festa era grande.
- Ciao, zia! - la river Silvia. - Eccoci qui, pieni di fame! Le diede un bacio affettuoso, le mise su un braccio il mazzo di fiori e infine mi
present in questo modo: - E' il mio innamorato! - .
Io stesso abbracciai la zia.
- Mi piace - comment. - Un biondino, eh? - Ha bei capelli fini come la seta - soggiunse Silvia.
- Sono capelli che non dureranno a lungo, - rispose la zia - ma davanti a voi ci sono
ancora diversi anni di giovinezza, e con te che sei bruna cos biondo figura bene. - Bisogna dargli la colazione - fece Silvia, e infil un braccio nella credenza e nella
madia in cerca di cibo. Qui vide il latte, l il pane nero e lo zucchero, disponendo alla
rinfusa sulla tavola le stoviglie e i piattini di maiolica su cui erano dipinti fiori che
sembravano arbusti e galli dalle piume variopinte. Una scodella di porcellana di Creil,
piena di latte con le fragole, fu messa al centro della tovaglia, e dopo aver raccolto
nell'orto qualche manciata di ciliege e di ribes, Silvia dispose due vasi di fiori alle
estremit della tavola. Subito la zia fece questo gradito commento:
- Che poco cibo! Adesso ci penso io. E aveva staccato dal muro la padella e gettato una fascina nel grande focolare.
Silvia voleva aiutarla, ma la zia ribatt: - Non toccare questi vecchi arnesi! Sciuperesti
le tue belle dita, che confezionano dei merletti ancora pi preziosi di quelli di Chantilly!
S, ne hai dati anche a me, e io me ne intendo. - Grazie, zia! Senti, hai ancora qualche merletto antico? Mi potrebbe servire da
modello. - Va' a vedere un po' di sopra, forse ce ne sono nel cassettone. - Dammi le chiavi. - Quali chiavi? I cassetti sono sempre aperti. - Non vero, ce n' uno che sempre chiuso. E mentre la zia puliva la padella dopo averla passata sul fuoco, Silvia le staccava
svelta da un gancetto della cintura una piccola chiave di acciaio lavorato, che mi fece
vedere esultante.

La seguii, salendo di corsa la scala di legno che portava alla camera da letto. O
giovinezza! O innocente vecchiaia! Purezza inoffuscabile di un amore giovanile, in quel
santuario di amori che sfidavano l'eternit! Il ritratto di un giovane uomo del buon
tempo antico ci sorrideva con gli occhi neri e le labbra rosee, in un ovale a cornice
dorata, appeso al capezzale del rustico letto. Indossava la divisa dei guardacaccia della
casa di Cond; la posa virile, il volto fresco e benevolo, la fronte serena sotto la chioma
incipriata, ravvivavano quel modesto pastello delle grazie della giovinezza e della
semplicit. Un pittore dilettante, invitato a quelle cacce principesche, aveva fatto del suo
meglio per ritrarre il giovane, e con lui la sposina che spiccava in un medaglione
gemello: attraente e maliziosa, slanciata nella lunga scollatura a punta del suo corpetto
dai nastri zigzaganti, sorrideva col suo nasetto all'ins a un uccellino posato su un suo
dito. Eppure era sempre lei, l'attuale vecchietta che adesso stava in cucina, curva sul
focolare.Tutto questo mi fece pensare alle fate dei Funamboli, che nascondono sotto una
maschera grinzosa un volto piacevole che si palesa solo alla fine della pantomima,
quando sullo sfondo appare il tempio di Amore col suo sole che irradia magiche luci.
- Com'era carina tua zia! - osservi.
- E io, non sono carina? - ribatt Silvia, che era riuscita infine ad aprire il famoso
cassetto, trovandovi un lungo vestito di taffet color bruciato tutto frusciante.
- Voglio provare se mi va bene. Magari sembrer una fata. - La fata sempre giovane delle leggende - pensai.
Lei si tolse la veste di indiana che le era caduta ai piedi, poi io le allacciai l'abito
abbondante della zia che aderiva perfettamente all'agile corpo di Silvia.
- Oh, queste maniche lisce, come sono ridicole! Eppure attraverso il merletto le piccole maniche scoprivano in modo seducente le
braccia nude, e il seno spiccava nei puri contorni del corpetto dal tulle ingiallito e dai
nastri a passanti, che avevano dovuto lasciare scoperte le bellezze della zia ormai
svanite nel nulla.
- Spicciati! Non sei neanche capace di allacciare un abito? Sembrava la protagonista de La fidanzata di villaggio, di Greuze.
- Ci vorrebbe della cipria - osservai.
- Ne troveremo. E si mise di nuovo a frugare nei cassetti, pieni di sorprese. Che buon odore
mandavano tutte quelle cose, come scintillavano di vividi colori e di modesti orpelli!
Due ventagli di madreperla un po' vetusti, scatole di cosmetico decorate con disegni
cinesi, una collana d'ambra e mille altri oggettini, e in mezzo, luccicanti, due scarpine di
seta bianca ricamata con fibbie incrostate di diamanti d'Irlanda.
- Oh, voglio mettermele, - disse Silvia - se trovo le calze ricamate. E di l a poco srotol un paio di calze di seta rosa tenero con i talloni verdi, ma proprio
in quel momento la zia, mentre la padella sfrigolava, ci richiam tutt'a un tratto alla
realt.
- Svelto, scendi! - mi esort Silvia che, nonostante le mie insistenze, non volle a
nessun costo che la aiutassi a mettere le calze.
Frattanto la vecchia aveva versato in un piatto il contenuto della padella, una fetta di
lardo fritto con le uova.
- Dai, vestiti anche tu! - mi esort la ragazza.
E lei, gi abbigliata, mi indic gli abiti nuziali del povero zio distesi sul cassettone. In
un attimo mi trasformai in uno sposo del secolo scorso. Silvia mi attendeva sulla scala, e
di l a poco scendemmo insieme tenendoci per mano.
Quando ci vide la zia esclam: - Figli miei! -.
Poi si mise a piangere e nello stesso tempo a sorridere in mezzo alle lacrime. Le
ricordavamo la sua giovinezza, una apparizione commovente e crudele! Ci sedemmo

accanto a lei, imbarazzati e affettuosi; alla fine ebbe la meglio l'allegria poich di l a
poco la buona vecchia prese a parlarci dei fastosi tripudi delle sue nozze. Si ricord
perfino dei canti alternati, allora in uso, che i convitati si rimandavano da un capo
all'altro del banchetto nuziale, e lo schietto epitalamio che gli sposi si dovevano sorbire
quando si ritiravano dopo il ballo. Noi ripetevamo quelle strofe dal ritmo tanto
semplice, con gli iati e le assonanze dell'epoca, tutte suggestive e sensuali come il
Cantico dei cantici.
E fummo cos lo sposo e la sposa per tutto un luminoso mattino d'estate.
7. CHALIS
Sono le quattro del mattino; la carreggiata si sprofonda in un vallone, poi risale. La
vettura attraverser Orry e La Chapelle. Qui a sinistra una strada costeggia il bosco di
Hallate; ed per quella strada che una sera il fratello di Silvia mi ha portato nel suo
calesse a una festa del paese. Se non ricordo male era la sera di San Bartolomeo. Il
cavallino filava come il vento attraverso i boschi, percorrendo strade deserte, come se
partecipassimo a un sabba.
Raggiungemmo la strada maestra a Mont-l'Evque, e di l a poco ci fermammo alla
casa del guardiano, davanti all'antica abbazia di Chalis.
Chalis, un altro ricordo!
Questo vecchio romitaggio imperiale - rovina dimenticata di quelle pie fondazioni
comprese fra le tenute chiamate un tempo fattorie di Carlomagno - non offre pi
all'ammirazione dei visitatori se non i resti del chiostro dalla arcate bizantine, di cui una
sola fila spicca tuttora fra gli stagni. La religione, in quella localit distante dal
movimento dalle arterie stradali e dalle citt, ha conservato le tracce del lungo
soggiorno che, al tempo dei Medici, vi hanno fatto i cardinali della casa d'Este. Le sue
feste hanno anche adesso qualcosa di galante e fantasioso, e sotto gli archi delle
cappelle dagli spigoli sottili, decorate da artisti italiani, spira una fragranza
rinascimentale. Le figure dei santi e degli angeli si profilano rosee sulle volte dipinte
d'azzurro pallido, con certi atteggiamenti da allegoria pagana che fanno pensare alle
sensitivit del Petrarca o al fantastico misticismo di Francesco Colonna.
Il fratello di Silvia e io, nella festa privata che aveva luogo quella notte, eravamo
proprio due intrusi. Un signore d'illustre casato, proprietario di quelle terre, aveva avuto
l'idea di invitare alcune persone della borgata a una specie di rappresentazione
allegorica, cui prendevano parte alcune educande di un monastero vicino.Tutto questo
non aveva nulla a che fare con una reminiscenza delle tragedie di Saint-Cyr; se mai lo
spettacolo risaliva ai primi saggi di teatro lirico introdotti in Francia al tempo dei
Valois. Quello che osservai recitare era come un Mistero medievale. Gli abiti,
consistenti in lunghe vesti, variavano solo per la diversit delle tinte, azzurro, giacinto o
aurora. Il dialogo si svolgeva fra gli angeli, sui ruderi del cosmo annientato. Ogni voce
cantava una delle meraviglie della terra distrutta, e l'angelo della Morte spiegava le
cause della sua distruzione. Un'anima saliva dall'oltretomba, tenendo in mano la spada
fiammeggiante, e invitava gli altri ad ammirare la gloria del Cristo vincitore degli inferi.
Quest'anima era Adriana, trasfigurata dal suo costume come gi lo era dalla sua
vocazione. L'aureola di cartone dorato, che cingeva il suo capo angelico, ci pareva
davvero un cerchio di luce; la sua voce si era arricchita di forza e di volume, e le
fiorettature infinite del canto italiano trapuntavano con i loro trilli d'uccello le parole
solenni di un recitativo sfarzoso.
Ma adesso, ricordando questi dettagli, sono colto dal timore che non siano reali bens
sognati. Il fratello di Silvia quella sera aveva bevuto oltre il lecito. Ci eravamo
soffermati qualche istante nella casa del guardiano dove, e questo particolare allora mi
colp molto, c'era sulla porta un cigno impagliato ad ali spiegate, e all'interno, degli alti

armadi di noce scolpito, un grande orologio nella sua cassa, e trofei di archi e di frecce,
sopra un bersaglio di cartone rosso e verde. Uno strano gnomo, con in testa un
copricapo cinese, stringendo con una mano una bottiglia e con l'altra un anello,
sembrava invitare i tiratori a mirare giusto... Certamente il nano era di lamiera ritagliata.
Ora mi domando se l'apparizione di Adriana sia vera come tutte queste cose che ricordo
e come l'incontestabile esistenza dell'abbazia di Chalis... Fu proprio il figlio del
guardiano a portarci nel salone dove si svolgeva la recita; noi stavamo presso la porta,
alle spalle di tanta gente, seduta e alla merc della commozione pi cocente. Era, ripeto,
il giorno di San Bartolomeo, legato in modo singolare al ricordo dei Medici, le cui
insegne, intrecciate a quelle della casa d'Este, ornavano quelle antiche mura... Ma questa
rimembranza forse solo un incubo!
Per fortuna, ecco la carrozza che si arresta sulla strada del Plessis. Mi libero delle
fantasticherie! Per raggiungere Loisy non ho pi che un quarto d'ora di cammino, per
certe strade solitarie.
8. IL BALLO DI LOISY
Entrai nella sala da ballo di Loisy in quell'ora malinconica e tuttavia piena di dolcezza
in cui le luci cominciano a impallidire e a vacillare all'avvicinarsi dal primo bagliore
dell'alba. Le cime dei tigli dipinti di nero si andavano smaltando di un chiarore
azzurrognolo; mentre il flauto campestre si stava stancando di gareggiare col
gorgheggio dell'usignolo. Tutto era soffuso di pallore, e nei capannelli sparsi qua e l
stentai a riconoscere qualche viso amico. Scorsi poi la grande Lisa, un'amica di Silvia,
che mi abbracci.
- Ecco qui il Parigino. da tanto che non ti fai vedere. - Eh s, da un bel po'. - E arrivi adesso? - Adesso, con la diligenza. - Non hai avuto fretta! - Mi piacerebbe vedere Silvia. ancora qui? - Certo. Non se ne va via prima del mattino perch le piace tanto ballare. Lisa non fin di parlare che Silvia era gi accanto a me. Aveva il viso sciupato, ma gli
occhi neri scintillavano sempre del sorriso attico d'un tempo. Era insieme a un giovane
con cui aveva ballato fino allora che si ritir con un inchino, dopo che lei gli aveva fatto
capire che rinunciava alla prossima contraddanza.
Il cielo era gi illuminato quando noi, tenendoci per mano, ci lasciavamo la sala da
ballo alle spalle. Tra i capelli disciolti i fiori cominciavano a piegare il capo, e quelli
appuntati al corsetto perdevano i petali sulle trine gualcite, opera preziosa del suo
ingegno. Le offersi di accompagnarla fino a casa sua; intanto il sole si era alzato ma il
cielo appariva luttuoso. La Thve ruscellava alla nostra sinistra, formando nelle
insenature degli stagni su cui galleggiavano le ninfee bianche e gialle e risplendeva
come margherite il delicato ricamo delle stelle acquatiche. La campagna che ci
circondava era cosparsa di covoni e di mannelli di fieno, il cui odore mi eccitava senza
per ubriacarmi, come un tempo le profumate esalazioni dei boschi e delle piante
candide di biancospini, che questa volta non ci venne in mente di attraversare.
- Silvia, - mi lamentai - tu non mi vuoi pi bene. - Amico mio, - rispose con un sospiro - bisogna farsi una ragione. Nella vita le cose
non vanno sempre come si vorrebbe. Un giorno mi hai parlato della Nuova Eloisa, che
ho preso in mano: quando ho letto la frase: 'La fanciulla che legger questo libro
perduta' mi sono spaventata, ma affidandomi al mio buon senso ho continuato la lettura.
Ti ricordi quella volta che indossammo i vestiti nuziali dei miei zii? Anche le incisioni
della Nuova Eloisa raffigurano i due amanti nei loro costumi del tempo passato: cos per

me tu eri Saint-Preux, come io mi ritrovavo in Giulia. Allora perch non sei ritornato?!
Sentivo dire che ti trovavi in Italia, e l certo ne avrai incontrare di pi attraenti di me! - Nessuna, Silvia, che abbia i tuoi occhi e la purezza del tuo viso. Sei una ninfa
primordiale che ignora se stessa... Del resto, i boschi di questa zona sono belli quanto
quelli della campagna romana. Questi macigni di granito non sono meno sublimi, e
laggi la cascata precipita dall'alto delle rocce come quella di Terni. In Italia non ho
visto nulla che sia pi bello di ci che c' qui. - E a Parigi? - chiese.
- A Parigi? - E mi limitai a scuotere il capo.
Tutt'a un tratto pensai a quella giovane che mi ossessionava da tempo e che mi
astraeva dalla realt.
- Silvia, - mormorai - fermiamoci qui, vuoi? Caddi ai suoi piedi e con le lacrime che mi bagnavano il viso le confessai le mie
incertezze, le mie bizzarrie, ed evocai la fissazione che mi spingeva ad amare una donna
che avevo idealizzato.
- Salvami, - la esortai - ti amer sempre. Silvia mi osserv commossa, ma giunti a questo punto il nostro dialogo fu interrotto
da una risata fragorosa.
Era il fratello di Silvia a farci la sorpresa, con quella schietta allegria campagnola resa
pi sfrenata dalle abbondanti libagioni consumate durante la festa durata tutta la notte.
Chiamava il corteggiatore di Silvia al ballo, che si era nascosto fra i cespugli di pruni, e
non tard a raggiungerci. Il giovane non aveva bevuto meno del fratello di Silvia, e
pareva pi imbarazzato dalla presenza di un Parigino che da quella della ragazza. La sua
espressione ingenua, la sua impacciata cortesia mi impedivano di serbargli rancore per
essere stato il ballerino che aveva trattenuto fino a quell'ora Silvia alla festa. Oltre tutto,
lo consideravo un avversario di poco conto.
- Bisogna ritornare a casa - Silvia si rivolse al fratello, e mi porse la guancia: - A
presto. Il suo corteggiatore non se ne mostr offeso.
9. ERMENONVILLE
Non avevo alcuna voglia di farmi una dormita, cos mi recai a Montagny per rivedere
la casa di mio zio. Fui colto da una profonda tristezza appena intravidi quella facciata
gialla con gli scuri verdi. Tutto sembrava nel medesimo stato di prima; soltanto fu
necessario andare dal fattore per avere la chiave. Aperte le imposte, rividi con angoscia i
vecchi mobili, sempre allo stesso posto, che qualcuno veniva di tanto in tanto a
spolverare; l'alto armadio di noce, due quadri fiamminghi, opera, si diceva, di un
vecchio pittore nostro avo, grandi riproduzioni di Boucher, e tutta una serie di incisioni
dell'Emilio e della Nuova Eloisa, di Moreau; sul tavolo un cane impagliato che avevo
visto vivo, vecchio amico delle mie scorribande nei boschi, l'ultimo carlino forse,
poich apparteneva a quella razza oggi estinta.
- Il pappagallo vive sempre - soggiunse il fittavolo. - Ce l'ho in casa io. Il giardino si era inselvatichito, e la vegetazione offriva uno spettacolo magnifico. In
un angolo scorsi un'aiuola che io stesso avevo tracciato da bambino. Con un tuffo al
cuore entrai nello studio dove c'era sempre la piccola biblioteca di libri di qualit,
vecchi compagni dell'uomo che era morto, e sulla scrivania oggetti antichi trovati
nell'orto, vasi, medaglie romane, una collezione locale di cui lo zio andava fiero.
- Andiamo a vedere il pappagallo - proposi al fattore.
L'uccello come sempre chiedeva da mangiare, e mi esamin con quegli occhi rotondi,
orlati di una pelle grinzosa, che facevano pensare allo sguardo vissuto delle persone
anziane.

In bala allo struggimento che mi incuteva quel ritardato ritorno in luoghi cos cari,
sentii il desiderio di rivedere Silvia, l'unica persona viva e giovane ancora che mi
legasse pi a quel borgo. Ripresi la strada di Loisy. Era mezzogiorno, e tutti dormivano,
stanchi per la festa. Poi mi venne l'idea di distrarmi passeggiando fino a Ermenonville,
distante pochi chilometri prendendo per la foresta. Era una splendida giornata estiva, e
la frescura di quella strada, che pareva il viottolo di un parco, mi mise subito di buon
umore. Il colore verde, cos uniforme, delle querce gigantesche era variato solo dagli
argentei tronchi delle betulle con le loro foglie tremolanti. Gli uccelli tacevano: sentivo
per il rumore che fa il picchio battendo i tronchi per scavarsi il nido. A un tratto
rischiai di perdermi perch le insegne stradali che indicavano le varie direzioni non
mostrano ormai che diciture cancellate dalle intemperie. Infine, lasciando sulla sinistra
il Deserto, giunsi allo spiazzo destinato al ballo, dove esiste anche adesso il "banco dei
vecchi". I ricordi della filosofia classica, che il proprietario di quelle terre aveva
resuscitato, mi si ripresentavano in mucchio davanti a quella pittoresca realizzazione
dell'Anacarsi e dell'Emilio.
Quando scorsi brillare le acque del lago, che spruzzavano raggi lucenti attraverso i
rami dei salici e dei noccili, riconobbi con certezza una localit dove mio zio, durante
le nostre passeggiate, mi aveva portato pi di una volta: il Tempio della filosofia, che il
suo ideatore non ebbe il piacere di condurre a termine. Ha la forma del tempio della
Sibilla tiburtina, e ancora in piedi sotto un boschetto di pini, espone tutti quei nomi di
eccelsi pensatori che partono da Montaigne e Descartes e arrivano fino a Rousseau.
L'edificio incompleto gi tutta una rovina: l'edera lo copre con leggiadria, e il rovo
sbarra i gradini d'ingresso. Quand'ero ancora un bambino, l ho assistito a cerimonie in
cui le ragazze bianche come un giglio venivano a ricevere i loro premi di studio e di
bont.
Che fine hanno fatto i roseti che allora fiorivano tutt'intorno alla collina? Sono
ritornati allo stato selvaggio, e ora ne nascondono gli ultimi steli la rosa canina e il
lampone. E gli allori, sono stati forse estirpati? come dice la canzone delle ragazze che
non intendono pi andare al bosco? No, ma questi arbusti della dolce Italia sono morti
sotto il nostro cielo brumoso. Per fortuna il ligustro di Virgilio fiorisce ancora come per
convalidare le parola del poeta, Rerum cognoscere causas!, iscritte sull'architrave della
porta.
S, questo tempio come tanti va in rovina; gli uomini distratti o spossati
abbandoneranno per sempre questi luoghi; la natura indifferente si riprender quello che
l'arte le disputava; ma la sete di sapere rester eterna, bussola di ogni forza e di ogni
attivit.
Ecco l'isola dei Pioppi con la tomba di Rousseau, priva delle sue ceneri1. Ci avevi
dato il latte dei forti, o saggio, ma noi eravamo troppo fragili per poterne approfittare.
Abbiamo dimenticato i tuoi insegnamenti, che i nostri padri avevano assimilato, e il
significato della tua idea, ultima eco dell'antica sapienza, per noi andato perso. Ma non
scoraggiamoci, e come facesti tu al tuo ultimo istante rivolgiamo lo sguardo al sole!
Ho rivisto il castello, le acque calme che lo cingono, la cascata che piange tra le rocce
e l'argine che congiunge le due parti del borgo, ai cui angoli sorgono quattro colombaie,
e il prato che laggi in fondo sembra una savana, pieno di rive cespugliose. La torre di
Gabriella si riflette lontana nelle acque di un lago artificiale stellato di fiorellini; vi
ribolle l'acqua schiumosa, paradiso degli insetti... Via! via! da questi miasmi
ammorbanti! Fuggiamo verso le rocce polverose del Deserto, e le lande dove l'erica rosa
risalta frammischiata con le verdi distese di felci. Com' tutto triste e desolato! Un
tempo lo sguardo trasognato di Silvia, le sue corse folli, le sue grida di gioia, davano
molto fascino a queste contrade che sto percorrendo! Allora era una bimbetta selvatica,
andava via a piedi nudi, era tutta bruciata dal sole bench portasse il cappello di paglia il

cui largo nastro fluttuava insieme alle trecce nere. Ci recavamo a bere il latte alla
fattoria svizzera, e l mi sussurravano:
- Carina la tua bamboletta, piccolo Parigino! Oh, allora un paesanotto non avrebbe potuto pretendere di ballare con lei. Silvia
ballava solo con me, una volta all'anno, alla festa dell'Arco.
10. IL RICCIOLINO
Ripresi la via di Loisy. Gli abitanti erano tutti desti, e Silvia indossava un abito da
signorina, quasi di gusto cittadino. Con tutto il candore di un tempo mi fece entrare
nella sua camera. Gli occhi le luccicavano anche allora in un sorriso pieno di splendore,
ma a tratti l'arco marcato delle sopracciglia le dava un'espressione pensierosa. La
camera era ornata nel modo pi semplice, e l'arredo era moderno: uno specchio a
cornice dorata aveva preso il posto dell'obsoleta specchiera, sulla quale un pastore
stilizzato porgeva un nido a una pastorella rosea e celeste. Il letto a colonne,
pudicamente nascosto da un drappeggio di vecchia tela persiana a fogliami, era stato
sostituito da un lettino di noce con la tendina ad anelli; e alla finestra, nella gabbia dove
un giorno stavano le capinere, c'erano ora dei canarini. Non vedevo l'ora di uscire da
quella camera, dove non era rimasta traccia del passato.
- Oggi non lavori al merletto? - le chiesi.
- Oh, non faccio pi merletti, non li compra pi nessuno; nemmeno a Chantilly, il
laboratorio chiuso. - E allora, che cosa fai? And in fondo alla stanza e vi prese un attrezzo di ferro che somigliava a una lunga
pinza.
- Che cosa ? - E' un arnese che serve a mantenere tesa la pelle dei guanti per poterli cucire. - Silvia, sei guantaia. - Gi, lavoriamo qui per Dammartin; per il momento rende bene. Ma oggi non ho
voglia di lavorare. Andiamo dove vuoi tu. Volsi lo sguardo verso la strada di Othys, ma lei scosse la testa e compresi che la
vecchia zia era passata a miglior vita. Silvia chiam un ragazzo e gli chiese di sellare un
asino.
- Sono ancora stanca di ieri, ma una passeggiata mi tirer su. Andiamo a Chalis... Ed eccoci intenti ad attraversare la foresta, seguiti dal ragazzo munito di un
ramoscello. Non molto tempo dopo Silvia volle fare una sosta, e io la presi in braccio e
la feci sedere. La conversazione fra noi non poteva essere pi di tanto intima, cos le
parlai della mia vita a Parigi, dei miei viaggi...
- Come si fa ad andare cos lontano? - esclam.
- quello che, rivedendoti, mi domando anch'io. - Oh, parli cos adesso... - Il fatto che una volta non eri affascinante come lo sei ora. - Dici sul serio? - Ti ricordi di quando eravamo ragazzini, e tu eri pi alta di me? - E tu il pi buono. - Oh, Silvia. - Ci mettevano sullo stesso asino, nelle due ceste, uno per parte. - E non ci si dava del voi... Rammenti che mi insegnavi a pescare i gamberi sotto i
ponti della Thve e della Nonette? - E tu, ricordi quando un giorno il tuo fratello di latte ti tir su dall'acqua? - Gi, il Ricciolino! Era stato lui a dirmi di guardare l'acca! -

Cambiai subito argomento. Quel ricordo mi aveva fatto rivivere l'epoca in cui venivo
a trovare mio zio vestito d'un abitino all'inglese che faceva ridere i campagnoli, a parte
Silvia che mi trovava di gradevole aspetto; ma non mi permisi di rammentarle questa
sua valutazione di un'epoca cos lontana. Chiss per quale strana associazione di idee mi
ricordai degli abiti nuziali che avevamo indossato dalla sua defunta zia di Othys, e le
chiesi che fine avessero fatto.
- Povera zia! - sospir. - Mi aveva dato quell'abito per andare al ballo di Carnevale a
Dammartin, due anni fa. Poi l'anno dopo morta. Si mise a sospirare e a piangere, cos non ebbi il coraggio di chiederle per quale
motivo fosse andata al ballo in maschera; comunque mi resi conto che, grazie alle sue
qualit di artigiana, Silvia non era pi una contadina. Solamente i suoi genitori erano
rimasti nelle condizioni di prima, e lei viveva con loro come una fata ingegnosa,
elargendo intorno a s l'abbondanza.
11. RITORNO
Uscendo dal bosco il paesaggio si apriva. Eravamo arrivati sul bordo degli stagni di
Chalis. Le gallerie del chiostro, la cappella dalle ogive slanciate, la torre feudale e la
piccola dimora che accolse le tenerezze di Enrico IV e di Gabriella, si smaltavano per il
rossore del tramonto nel verde scuro della foresta.
- Sembra una paesaggio di Walter Scott, - osserv Silvia - non vero? - Chi ti ha mai parlato di Walter Scott? - ribattei. - Ne hai letti di libri in questi tre
anni! In quanto a me, i libri cerco di scordarmeli. Se mai incantevole rivedere con te
questa vecchia abbazia dove da piccoli ci nascondevamo tra le rovine. Silvia, ricordi
come ci spaventava il guardiano quando ci parlava della leggenda dei monaci rossi? - Ah, davvero! - Dai, cantami la canzone della bella fanciulla, rapita dal giardino di casa, sotto il
roseto bianco. - una canzone fuori moda. - Adesso te ne intendi anche di musica? - Un pochino. - Silvia, Silvia, sono certo che canti motivetti d'opera. - Sembri dispiaciuto. - S, perch amo le vecchie arie che forse non sai pi cantare. Silvia modul il motivo di un capolavoro moderno... Sapeva il fraseggiato!
Avevamo girato intorno agli stagni vicini. Laggi spiccava il bel prato verde
circondato da olmi e da tigli, dove avevamo spesso danzato. Ebbi l'amor proprio di
illustrare le vecchie mura carolingie, e decifrare gli stemmi della casa d'Este.
- Eh, si capisce che sei una persona istruita - disse Silvia. - Sei forse diventato un
professore? Quel rimprovero mi stizz. Avevo fatto del mio meglio per portarla in un luogo
solitario dove avrei potuto riprendere le affettuosit del mattino; ma che dirle mai, in
compagnia di un asino e di un ragazzetto furbo che ci stava sempre alle costole per
sentire parlare un Parigino?
Malauguratamente ebbi allora l'idea di confidarle la visione di Chalis, rimasta tra le
mie reminiscenze. Portai addirittura Silvia nella stanza del castello dove avevo udito
cantare Adriana.
- Te ne prego, canta! - la supplicai. - Fa che la tua amata voce echeggi sotto queste
volte, cacciandone lo spirito che mi ossessiona, celestiale o sinistro che sia! E lei ripet, di seguito a me, le parole e il canto:
Angeli, scendete immantinente

nel profondo del purgatorio!


- molto triste! - osserv.
- sublime... Mi pare sia del Porpora, coi versi antichi tradotti. - Sar cos - fece Silvia.
Ritornammo indietro lungo la valle, seguendo la strada di Charlepont, che i contadini,
poco attenti alle etimologie, chiamavano senza complessi Chllepont. Silvia, stanca
dell'asino, stava stretta a me. Per la strada non c'era nessuno, e la solitudine mi invogli
a palesare quello che provavo per lei, se non che riuscivo a dire solo cose banali, oppure
qualche frase pomposa da romanzo che Silvia poteva anche aver letto. Ogni tanto mi
zittivo, rinnegando il romanticismo, e lei mi scrutava stupita chiedendosi che cosa
nascondessero le mie affettuosit lasciate a mezzo. Giunti alle mura di San S...,
dovevamo stare attenti a dove mettere i piedi perch l la campagna simile a una marcita
era madida di ruscelli zigzaganti.
- E di Adriana, - chiesi d'un tratto - che ne stato? - Ah, sei proprio insopportabile, tu e la tua monaca... Ebbene, gi, le andata male. E non volle dirmi di pi.
Le donne capiscono davvero che spesso le parole passano sulle labbra senza provenire
dal cuore? Direi di no, dato che si illudono con facilit, con la conseguenza che
rimangono ingannate ogni qual volta incontrano uomini che recitano bene la commedia
dell'amore. Io non ci sono mai riuscito, bench sia consapevole che talune li apprezzano
purch ci sappiano fare. D'altra parte, l'amore che c' tra me e Silva risale all'infanzia, e
dunque sacro... Ho visto la ragazza crescere, per me come una sorella, e non saprei
come muovermi per sedurla.
Poi fui attraversato da un altro pensiero. - A quest'ora potrei essere a teatro, - mi dissi.
- Che parte interpreta questa sera Aurelia? - (Era il nome dell'attrice.) - La parte della
principessa, certo, nel nuovo dramma. Com' commovente, nel terzo atto! E nella scena
d'amore del secondo, con quel nonnetto che fa la parte del giovane primo attore?... - Cosa stai pensando? - chiese Silvia, e si mise a cantare:
Ci sono tre fanciulle a Dammartin
c' la prima pi leggiadra del mattin...
- Ah, cattiva - esclamai. - Ricordi ancora, dunque, le vecchie canzoni! - Se ti facessi vedere pi di frequente me ne tornerebbero in mente molte - ribatt, ma bisogna essere realisti: tu hai i tuoi interessi a Parigi, e io invece vivo qui. Si fatto
tardi, e io domani mattina mi alzo all'alba. 12. BABBO DODU
Stavo per risponderle a tono, per gettarmi ai suoi piedi, per donarle la villa del mio
povero zio, che potevo ancora riscattare poich eravamo diversi eredi e i beni non erano
stati ancora divisi; ma gi eravamo arrivati a Loisy dove ci aspettavano per la cena. Il
profumo patriarcale della zuppa di cipolle si espandeva dappertutto. C'erano dei vicini,
invitati per quel giorno di mezza festa.
Riconobbi subito un anziano boscaiolo, babbo Dodu, che una volta nelle veglie
raccontava storie farsesche o spaventevoli. Lui di volta in volta aveva fatto il pastore, il
vetturino, il guardacaccia, il pescatore, perfino il cacciatore di frodo; quando ne aveva
voglia babbo Dodu fabbricava cuc e girarrosti. Per molto tempo si era dedicato ad
accompagnare gli inglesi per Ermenonville, conducendoli nei luoghi di meditazione di
Rousseau e raccontando loro i suoi ultimi istanti di vita. In effetti lui era stato il giovane
di cui il Ginevrino si giovava per catalogare le sue erbe, e a lui aveva dato la

disposizione di raccogliere la cicuta di cui spremette il succo nella sua tazza di


caffellatte. Il locandiere della Croce d'Oro considerava eccepibile questo particolare: da
ci un odio incessante. Per molto tempo la gente del luogo aveva fatto circolare la voce
che babbo Dodu potesse fruire di alcune magie abbastanza innocenti, come quella di
guarire le mucche recitando un versetto al contrario e facendo il segno della croce con il
piede sinistro; ma ben presto lui aveva messo a tacere queste dicerie, grazie al ricordo,
sosteneva, degli insegnamenti di Rousseau.
- Ecco qui con noi il Parigino! - esclam vedendomi. - Ci vieni a corrompere le
ragazze? - Io, babbo Dodu? - Le conduci nel bosco mentre il lupo non c'! - lei il lupo, babbo Dodu. - Certo, lo sono stato finch ho trovato pecorelle; ma adesso incontro solo capre, che
sanno difendersi! Ma voi, a Parigi, vi foraggiate abbondantemente. Giangiacomo non
aveva certo torto quando diceva: 'L'uomo si corrompe nell'aria avvelenata delle citt'. - Babbo Dodu, sa meglio di me che l'uomo si corrompe dappertutto. Poi babbo Dodu cominci a cantare una canzone da ubriaconi, e un po' tutti cercarono
di fermarlo prima che gridasse una frase oscena, che l dentro anche le pietre
conoscevano. Silvia, bench sollecitata, non volle cantare, perch, disse, non era pi in
uso cantare a tavola. Di l a poco scorsi il corteggiatore di Silvia del giorno prima, che le
stava seduto a sinistra. Nel suo viso rotondo, nella sua chioma scarruffata c'era qualcosa
che non mi riusciva nuovo. Si alz, mi raggiunse, e chiese:
- Allora, Parigino, non ti ricordi di me? Una povera donna che, dopo averci serviti, giunti alla frutta si era seduta a tavola, mi
bisbigli all'orecchio:
- Non riconosci il tuo fratello di latte? Senza il suo suggerimento avrei fatto la figura dello smemorato.
- Ma s, Ricciolino - esclamai. - Sei proprio tu, quello che mi ha salvato dall'acqua! Silvia rideva felice assistendo al riconoscimento.
- Fra l'altro avevi un bell'orologio d'argento, - esultava il giovane abbracciandomi - e
quando sei tornato in te eri molto pi preoccupato dell'orologio, che si era fermato, che
di te stesso, e dicevi: - La bestiolina si annegata, non fa pi tic tac; adesso mio zio mi
sgrider. - Una bestia in un orologio! - esclam babbo Dodu - ecco che cosa si insegna ai
bambini a Parigi! Silvia voleva andare a letto, e io in quell'istante compresi che per lei non contavo pi
nulla. Mentre la baciavo, prima che risalisse in camera, disse:
- A domani, vieni a trovarci. Il vecchio Dodu rimase a tavola con Silvano e il mio fratello di latte, cos potemmo
chiacchierare a lungo, resi euforici da un bottiglione di ratafi di Louvres.
- Gli uomini sono tutti uguali - profer il vecchio Dodu fra una canzonetta e l'altra. Trinco con un pasticcere come trincherei con un principe. - Qui non ci sono pasticceri - ribattei.
- No? Guardati intorno, e vedrai un pasticcere che sta meditando di mettere su casa. Il mio fratello di latte era impacciato, e in breve capii ogni cosa. La fatalit mi
assegnava un fratello di latte proprio in un localit resa famosa da Rousseau, che voleva
sopprimere le nutrici!
Babbo Dodu mi spieg che in paese circolava la voce che Silvia e Ricciolino si
sarebbero presto sposati, e che costui intendeva aprire un laboratorio di pasticceria a
Dammartin. Ne avevo gi abbastanza di quelle confidenze. Il giorno dopo la vettura di
Nanteuil-le-Haudoin mi ricondusse a Parigi.

13. AURELIA
Per arrivare a Parigi la vettura impiega cinque ore, e a me premeva arrivare l prima di
sera. Ma gi verso le otto occupavo il mio solito palco. Aurelia ci elarg la sua arte e il
suo fascino, recitando i versi di uno scrittore contemporaneo che forse si era ispirato a
Schiller. Nella scena del giardino fu incantevole. Durante il quarto atto, nel quale lei
non figurava, mi recai da Madama Prvost ad acquistare un mazzo di fiori. Vi unii una
lettera dolcissima, firmata: uno sconosciuto. E pensai: - Ecco intanto un seme per
l'avvenire - .
E l'indomani ero gi in viaggio per la Germania.
Che cosa andavo a fare laggi? Intendevo, nei limiti delle mie possibilit, mettere
ordine nei miei sentimenti. Se scrivessi una novella, non mi riuscirebbe facile essere
preso sul serio parlando di un cuore trafitto nello stesso momento da due amori. Se
perdevo Silvia la colpa era solo mia; comunque, mi era bastato rivederla un giorno per
sentirmi di nuovo euforico, e io la ponevo ormai come un monumento gioioso nel
tempio della Saggezza.
Il suo sguardo mi aveva arrestato sull'orlo dell'abisso. Di riflesso ora pi di sempre mi
nauseava l'idea di propormi a Aurelia come uno dei tanti volgari pretendenti che per una
sera ottenevano i suoi favori e poi di loro non si sapeva pi nulla.
- Voglio proprio vedere se questa donna ha anche un cuore - pensai.
Un mattino lessi in un giornale che lei stava male. Le invia una lettera da un luogo
montano di Salisburgo. Lo scritto era cos pregno di spiritualismo germanico che non
potevo aspettarmi un grosso risultato, e infatti ero convinto che non mi avrebbe risposto.
Contavo un po' sul caso e su quelle parole: uno sconosciuto.
Passarono alcuni mesi, mentre continuavano i miei vagabondaggi e le mie vacanze.
Intanto avevo incominciato a scrivere un poema erotico sull'attrazione del pittore
Colonna per la graziosa Laura, che i suoi genitori destinarono al chiostro e che il pittore
am per tutta la vita. Sentivo quel tema perch in qualche modo rifletteva la mia
situazione sentimentale, e quando terminai di scrivere l'ultimo verso del dramma non
pensai pi che a ritornare in Francia.
Adesso rischio di parlare di ci che potrebbe essere privo di originalit. Sono passato
attraverso tutti i cerchi di quei purgatori che si chiamano teatri. - Ho mangiato dei
tamburi e bevuto dei cembali - , come dice la frase in apparenza priva di significato
degli iniziati di Elusi. Il passo vuol significare che quando necessario bisogna
superare i confini dell'insensatezza e della follia. La ragione per me era di conquistare e
fissare il mio ideale.
Aurelia aveva accettato che le leggessi la prima parte del dramma che io recavo con
me dalla Germania. Il giorno in cui andai da lei credo che non lo dimenticher mai pi.
Il sensuale che avevo messo nell'opera proveniva dall'amore che provavo per lei.
Declamai, credo, con poesia e passione. Nel colloquio che ne segu confessai di essere
lo sconosciuto delle due lettere.
- Siete un bel matto, - fece lei - ma tornate a trovarmi. Devo ancora incontrare l'uomo
che sappia amarmi veramente. O donna, donna, cerchi l'amore... E io?
I giorni successivi le scrissi lettere cos sature di tenerezza e di amore, che
sicuramente dovevano riempirla di stupore. Lei mi rispondeva con scritti fitti di
buonsenso; ma per un momento fu commossa, volle che andassi a trovarla, e mi
confess che era legata a un uomo da tempo e che per lei era difficile porre fine a quel
rapporto.
- Se davvero amate me per me, ebbene, - osserv - capirete che io posso appartenere
solo a una persona. -

Due mesi pi tardi lei mi chiam presso di s con una lettera piena di affettuosit.
Qualcuno intanto mi aveva confidato un particolare prezioso. L'elegante giovanotto che
avevo visto una sera al circolo si era arruolato di fresco negli Spahis.
L'estate seguente c'erano gare ippiche a Chantilly, e laggi la compagnia del teatro in
cui recitava Aurelia dava uno spettacolo. Una volta giunti in quella localit, per tre
giorni gli attori erano a disposizione del direttore di scena, una brava persona con cui
avevo stretto amicizia, vecchio Dorante delle commedie di Marivaux, per lungo tempo
giovane primo attore, il cui ultimo trionfo era stato nel ruolo di amante, nel dramma che
faceva pensare a Schiller, in cui il mio binocolo me lo aveva esposto con un volto cos
pieno di rughe. Conoscendolo bene pareva pi giovane, fra l'altro si manteneva magro,
comunque in provincia riusciva ancora a fare colpo, e non mancava di fuoco.
Seguii gli attori per i quali ero il signor poeta e convinsi il direttore a dare delle recite
a Seulis e a Dammartin. In principio lui propendeva per Compigne, ma Aurelia fu del
mio parere. Il giorno dopo, mentre si stava trattando con i proprietari dei locali e con le
autorit, noleggiai dei cavalli e ci dirigemmo sulla strada degli stagni di Commelle, con
l'idea di merendare al castello della regina Bianca. Aurelia, vestita da amazzone e con i
biondi capelli al vento, attraversava il bosco come una regina delle favole, e i villani si
fermavano a guardarla a bocca aperta. Non rammentavano che madama di F. cos
splendida e cos armoniosa nei suoi saluti.
Dopo colazione raggiungemmo certi borghi, simili a quelli svizzeri, dove l'acqua
corrente della Nonette mette in moto delle segherie. Questi paesaggi, che io ricordo con
tanto piacere, non affascinavano pi di tanto Aurelia. Avevo in mente di portarla al
castello vicino a Orry, sullo stesso spiazzo inverdito dagli alberi dove avevo conosciuto
Adriana, per Aurelia a quella proposta era rimasta indifferente. Allora vuotai il sacco,
le parlai di Adriana, l'origine di questo amore intravisto nelle mie notti che
magicamente era confluito in lei, Aurelia.
Mi ascolt attentamente, poi fece: - Voi non mi amate, e vorreste che vi dicessi:
'L'attrice e la suora non sono che una persona sola'; state mettendo insieme la trama di
un dramma, ecco tutto, e vi manca la conclusione. Andate via, non vi credo pi. Quelle parole furono per me illuminanti. Quelle voglie bizzarre che mi avevano
assalito tante volte, quei sogni, quei pianti, quella malinconia... non erano dunque
amore? Ma dov', allora, l'amore?
Quella sera Aurelia recit a Seulis. Mi sembr che lei fosse eccessivamente legata al
direttore, il primo attore giovane tanto rugoso. Quell'uomo aveva un carattere eccellente
e le aveva certo fatto dei favori.
Un giorno Aurelia mi aveva detto. - Ecco l l'uomo che mi ama davvero. 14. ULTIMO FOGLIO
Ecco le chimere che ci affascinano e ci sviano all'alba della vita. Non sono stato molto
chiaro nel parlare di ci, per quanto sia sicuro che molte persone mi comprenderanno.
Le illusioni cadono una dopo l'altra, come la buccia di un frutto, e il frutto la
conoscenza. Il suo sapore aspro, tuttavia qualcosa di questa asprezza ti d forza, mi si
perdoner questo linguaggio obsoleto. Rousseu dice che lo spettacolo della natura
consola di tutto. E io talvolta cerco di ritrovare, dispersi a nord di Parigi, in mezzo alle
nebbie, i miei piccoli boschi di Clarens, ma il paesaggio cos mutato!
Ermenonville! paese dove esisteva ancora l'annoso idillio - o almeno chi, come
Gessner, lo imitava con la descrizione dei suoi paesaggi - ha perso il solo astro che
luccicava per me di una doppia luminosit. A tratti rosea e a tratti azzurra, come l'astro
ingannevole di Aldebaran, era Adriana o era Silvia; si trattava delle due facce della
stessa moneta. Una rappresentava un amore ideale, e l'altra la dolce realt. Che cosa
sono ora per me le tue ombre e i tuoi stagni, e anche la tua campagna steppica? Othys,

Montagny, Loiseaux, poveri borghi vicini, e tu Chalis, che si sta ora restaurando, non
avete serbato una sola traccia di tutto quel passato! Talvolta sento la necessit di
rivedere quei posti cos solitari e onirici. L io ritrovo dentro di me i residui impalpabili
di un periodo in cui eravamo cos naturali da sembrare leziosi; sorrido alle volte
leggendo sul fianco delle rocce certi versi di Roucher, che una volta mi parevano
incantevoli, o certe regole di vita sopra una fontana o all'entrata di una grotta consacrata
al dio Pan. I laghetti, che furono scavati con tanta fatica, offrono invano allo sguardo la
loro acqua stagnante disdegnata dai cigni. E' finito il tempo in cui le cacce di Cond
passavano al galoppo con le loro amazzoni superbe e i corni echeggianti si
rispondevano di lontano. Per andare a Ermenonville non si trova pi adesso una sola
strada diretta. Talvolta ci vado passando per Creil e per Seulis; tal altra per Dammartin.
A Dammartin conviene arrivare solo di sera, e poi andare ad alloggiare All'Immagine di
San Giovanni. La stanza che di solito mi danno linda, parata di vecchia tappezzeria,
con una pittura nella specchiera. Questa stanza rappresenta per me un ritorno a ci che
stato superato dal tempo, a cui io stesso ho detto addio. Vi faccio delle dormite
riscaldato dal piumino, rimasto in uso in queste contrade. Di mattina, come apro la
finestra gremita di pampini e di rose, scorgo con ammirazione un orizzonte
lussureggiante per decine di chilometri, dove le masse dei pioppi stanno sull'attenti
come i soldati. Alcuni borghi sembra cerchino protezione intorno al proprio campanile
costruito, come dicono laggi, a punta di osso. Si distingue subito Othys, poi Eve, poi
Ver; oltre il bosco c' Ermenonville, che per non ha il campanile; ma in quel
laboratorio di filosofia non ci poteva essere posto per una chiesa. Dopo essermi riempito
i polmoni d'aria pura che si respira su quelle colline, scendo in strada di buon umore e
mi infilo nel negozio del pasticcere.
- Guarda chi si rivede, il Ricciolino! - Bentornato, Parigino! Ci scambiamo qualche pugno amichevole come facevamo da ragazzi, poi salgo una
certa scala e vengo accolto dalle allegre grida di due bambini.
Il sorriso attico di Silvia le illumina ancora il bel volto, e intanto penso: - Qui c'era la
felicit. E invece... La chiamo talvolta Carlotta, e lei sostiene che io somigli a Werther, per non ho con
me le pistole che non sono pi di moda.
Mentre suo marito prepara da mangiare, io e Silvia andiamo a passeggiare con i bimbi
lungo i viali di tigli che circondano i resti delle vecchie torri di mattoni del castello. I
piccoli si arrestano, ecco, al tiro a segno della compagnia dell'Arco, e infilano nella
paglia le frecce paterne; intanto noi leggiamo qualche poesia o qualche pagina di quei
libretti che nessuno oggi scrive pi.
Mi stavo dimenticando di dire che il giorno in cui la compagnia di Aurelia aveva dato
una recita a Dammartin, io avevo condotto Silvia allo spettacolo, e le avevo domandato
se non le sembrava che Aurelia somigliasse a una giovane che lei aveva gi conosciuto.
- E a chi mai? - Ti ricordi ancora di Adriana? Si era messa a ridere fragorosamente, esclamando:
- Che idea! Poi, come in preda a un pentimento, aveva sospirato:
- Povera Adriana, morta nel convento di San S., verso il 1832. -

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