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Il compagno dagli occhi senza cigli

Edizione di rif erimento:


Gabriele DAnnunzio, Le f aville del maglio a cura di Annamaria Andreoli, Arnoldo Mondadori editore, Milano
1995, edizione con il patrocinio de "Il Vittoriale degli Italiani.
Gabriele dAnnunzio, Il compagno dagli occhi senza cigli e altri studii del vivere inimitabile [1900-1920]
A ELEONORA DUSE
CHE DEL SUO GENIO E DEL SUO AMORE
IN TUTTA LA SUA VITA DI ESILII
FECE A S STESSA ALTERNE
UNA LUCE DI LAMPADA
UNA LUCE DI ROGO
Ho lavorato quasi tutta la notte al mio romanzo veneziano.Se questo ardore mi dura, f ra tre settimane
lavr compiuto. Verso le quattro il camino s spento, ma non ho sentito laria raf f reddarsi intorno alla mia
illusione.
Ho lavorato quasi tutta la notte al mio romanzo veneziano. Se questo ardore mi dura, f ra tre settimane
lavr compiuto. Verso le quattro il camino s spento, ma non ho sentito laria raf f reddarsi intorno alla mia
illusione.
Veramente mi pareva di respirare nella f ornace, coi vetrai di Murano, e di non avere in mano la mia penna ma
un f erro da sof f io con in cima il vetro f uso, e di non essere rischiarato dal mio quieto olio doliva ma dalla
vampa della grande ara incandescente. Mi bisognava, per creare il calice, convertir la parola in quella piccola
pera di pasta rossa dal garzone aggiunta di tratto in tratto alla f orma che nasce sotto i tocchi dellordegno.
Mi bisognava avere le mani pieghevoli prudenti e bruciacchiate di quel buon Seguso, i suoi gesti agili e
leggeri come i gesti duna danza silenziosa. Ecco alf ine, sul f oglio di carta, il vetro che si tempera a poco
a poco, quasi colorato dun colore mattutino dal mio spirito come da unalba pi prof onda di quella vera.
Sembra che la pi potente arte evocatrice debba essere, come la maga, notturna o antelucana. Ho notato
che la pi bella pagina quasi sempre scritta nellora dei sogni, nellora del gallo e della brina. Il corpo
desto, gli occhi sono aperti; ma lanima prossima al risveglio come quella del dormiente ed ha una
misteriosa f acolt di penetrare ogni oggetto e di trasmutarsi in esso. Che cosa la f antasia se non un
sognar di sognare?
Mi sono coricato senza stanchezza; e non mi pareva dessere qualcuno che sia per addormentarsi ma
qualcuno che sia per risvegliarsi. Le imagini nel mio cervello non pi avevano il carattere delle apparizioni ma
dei semplici ricordi. Ripensavo in realt al giorno di Murano, quando avevo accumulata la materia da
sottoporre alla scelta dellarte. E consideravo le cose tralasciate dalla scelta, ornai inservibili. Esse
appartenevano a unaltra vita, a un altro mondo, a una vita spenta, a un mondo estinto. In un Campetto
erboso, attorneato di magre acacie, davanti a Santa Maria degli Angeli, le donne muranesi sedute in su le
porte inf ilavano le conterie, immergendo nel pieno canestro un f ascio di f ili di f erro e poi risollevandolo con
gli acini via via passati in que f ili; e latto ripetevano uguale, senza pausa, f in nelloscurit del sonno.
Lo sgomento del destarsi allora insolita oggi pi grave, Invano sto in ascolto per riconoscere i rumori
diurni. Il silenzio di mezzogiorno come quello di mezzanotte, ma carico di non so che angoscia e di non so
che minaccia. La mia inquietudine somiglia quasi alla paura di vivere, alla paura di riesperimentare levento e
luomo. Stamani la mia armatura ha un f allo; e temo la f erita.
Quale f erita, e da chi? La causa di tanto sgomento non se non una visita annunziata! Debbo oggi
rivedere, dopo ventanni, un mio compagno di collegio e dietro di lui lo spettro della primissima giovinezza,
la larva ambigua della pubert.
E tornato a Firenze dallInghilterra dove ha vissuto molti anni oscuri e duri, interrotti da rare notizie. So che
malato, anzi condannato. Dindugio in indugio, ho dif f erito lincontro penoso. La sua lettera di ieri non mi
consente pi alcun pretesto. Ho gi il cuore stretto e la gola chiusa. Guardo con indif f erenza le pagine di
stanotte; non ho voglia di rileggerle. La coppa di vetro mi sembra andata in f rantumi, gi prima che la mano
convulsa di Perdita la spezzi. Pu talvolta la vita essere una cos cruda nemica dellarte? Nulla pi mi lega
alla mia opera. Il ritmo concorde sarresta. La legge della bellezza cessa di regolare il mio giorno e la mia
solitudine. Una f orza ignota sta per sopraggiungere e per entrare; come quando in certe notti buie, dormite
senza compagna, si sobbalza di tratto in tratto e sattende il rumore duna chiave nella serratura che una
lanterna cieca illumini.
Io sono uno di quei navigatori che, per non udire le sirene del Passato e per non cedere alla tentazione di
volgersi indietro mollando la scotta, si turano le orecchie con la cera dUlisse. Nondimeno maccade talvolta
di sentir rivivere le cose morte con s grande polso, che il presente n soverchiato e lavvenire n tutto
pallido.
E una di quelle giornate chiare in cui il paese toscano nudo e risecco sembra assumere laspetto di quelle
primitive incisioni in legno a contorno, ove soli grandeggiano Dante grif agno e il suo duca. La spiritualit
dantesca v come indurita in uno stile che mi rammenta il principio del Canto di Pier della Vigna. Sio
schiantassi uno stecco di quegli oppi o rompessi un nodo di quelle viti, f orse nuscirebbe insieme parole e
sangue.
Cammino per la rdola , aspettando. I tralci si danno la mano e sintrecciano come i putti nel pergamo di
Prato. Sono magri e storti, ma col segreto del ritmo evocano limagine dei balzanti corpi inf antili. E ora
sembra che si ricomponga intorno alla mia ansiet lincanto di quella danza gioiosa che ne miei sette anni di
clausura mi diede lillusione desser prigioniero non dun branco di pedagoghi ma duna ghirlanda di genietti.
Perch ho in me il sentimento che quel marmo mabbia nutrito come pane? Forse pel suo colore di spica
matura, quando il sole lo scalda e lingialla. Latto del volgere il capo in su a riguardarlo mera istintivo come
alluccello il levar la gola per beccare il f rutto sospeso. La visione entrava in me come un sapore; e son
certo che il ricordo non minganna, e che non attribuisco alla mia ingenuit di quel tempo la raf f inatezza
della mia sensibilit presente.
Anche allora avevo un mio particolar modo di apprendere la materia e di possederla. Se ripenso al divino
capitello di bronzo che nellangolo esterno del Duomo sostiene il ballatoio e se ripenso al suo compagno
mancante e alla mensoletta di pietra nuda ch nel suo luogo, mi pare che in quel tempo io considerassi
quelle cose non come esanimi ed estranee ma come attinenti alla mia vita e alla mia sorte. Domandavo
allistitutore: Perch quel capitello manca? Egli mi rispondeva: Dicono che f u portato via dagli
Spagnuoli. Ma io rimanevo pensoso e grave come se gli avessi domandato: Che il mondo? che la
morte? e f ossi stato deluso da una risposta insulsa.
Crepuscolo delladolescenza, pieno di musiche sof f ocate e di pensieri impigliati nelle vene inestricabili,
come parler io di te?
Ero il primo nella scuola, ma volevo sempre essere lultimo nella f ila, allora del passeggio; e Dario, lamico
che aspetto, mi veniva allato. Quando, nel tornare dalla Porta Mercatale, passavamo lungo il f ianco sinistro
del Duomo per seguitar poi a manca ed entrare nellombra della via stretta che sbocca davanti il Palazzo
pretorio, io volgevo il capo indietro verso la f accia meridionale di pietra verde e di pietra dorata a bande,
verso il pulpito color di f arro, verso il grande angelico nido impietrito che radevano i voli e le strida dei
balestrucci. Il sospiro della libert mi gonf iava il cuore. Avendo gli occhi occupati, maccadeva di errare col
piede e descir dalla f ila. Dario allora mi guidava, prendendomi il braccio, f inch non mi f ossi distolto.
Cos ora il ricordo lassocia in maniera visibile a un atto che f orse meglio dogni altro esprime la creatura
chio era. Giunti alla porta della nostra carcere, udivamo il passo misurato dei compagni risonar nellandrone
quando noi ultimi eravamo ancra allaperto. Bisognava che il pref etto ci sospingesse. Eravamo insof f erenti
e tristi; ma la f orza del nostro legame ci consolava. Certe sere, rientrando nella camerata senza lumi, ci
toglievamo i cinturini e ce ne servivamo come f lagelli per f lagellare le tavole dello studio. I compagni ci
imitavano. Era un grande strepito di battiture come alluf f icio delle Tenebre, nella Settimana Santa, quando
si batte con le bacchette su le panche in commemorazione del Signore paziente. Io e Dario eravamo cos
vicini che vedevamo rilucere il bianco de nostri occhi. Ci prendeva una f renesia subitanea, e raddoppiavamo
la violenza come se f ossimo per accoppare un nemico dallosso duro. Sotto quella monelleria di tutti si
celava qualcosa chera comune a noi due soli; e non sapevamo che. Si f aceva la luce. Sopravveniva il
censore f uribondo, ci trovava tutti coi cinturini in mano e con laria dei manigoldi battitori nelle case di
Caiaf a o di Pilato. Domandava: Chi stato il primo? Sbito Dario rispondeva: Io! E la mia risposta
seguiva la sua come il secondo colpo del f ucile a due canne. Dunque chi? Questa volta i due colpi
partivano nel tempo medesimo. Insieme scrollavamo le spalle, sotto la punizione.
Se rileggo la lettera che Michelangelo scrisse il 17 dottobre del 1509 al suo f ratello Buonarroto, mi sembra
che mai f u prof erita da uomo parola pi amara. Non ho amici di nessuna sorte, e non ne voglio. Certo,
come pi la vita sinalza, pi diventa dura. Ma io, che ho veduto intorno a me tante cose corrompersi e
f inire, non posso pensare senza orrore al giorno in cui perder anche la f ede nellamicizia ed estirper da
me il bisogno di conf idarmi.
La sorte ha voluto che io provassi la dolcezza dellamicizia assai prima che quella dellamore. Per ci m
rimasto per tutta la vita questo rammarico insieme con questa attesa. Di poi non ho mai conosciuto un
sentimento pi f resco e pi f ranco di quello che mi riempiva il cuore quando, al rullo serale del tamburo
indicante la f ine delle tre lunghe ore di studio, mi levavo dalla mia tavola mentre Dario si levava dalla sua e
andavamo luno incontro allaltro, f ra il brutale clamore dei compagni, con un sorriso silenzioso,
guardandoci negli occhi un poco abbagliati e stanchi dal lume della lucerna che troppo spesso f aceva
moccolaia.
Eppure altro olio ci bisognava, per rischiarare il nostro sogno.
Or qualche tempo, rileggevo nel libro di Vespasiano da Bisticci la Vita di Giuliano Cesarini e una sbita
commozione mi avvicinava alluomo divenutomi vivo veramente. La notte gli mancava talvolta il lume, e non
ne poteva avere tanto che potesse istudiare; e la sera quando si levavano da tavola i candelieri dovegli
stava, ragunava certo sego, che vavanzava, e pezzuoli di candele e con quelli sopperiva la notte a
studiare. Per sette inverni, ogni sera io f eci come il cardinale di Santo Agnolo. Terminato lo studio delle tre
ore, mi accingevo allispezione delle lucerne. Ognuno di noi ne aveva una, di quelle dottone chiamate
f iorentine, da poter alzare e abbassare sul f usto f ornito dun anello in sommo, da passarci il dito per
portarla qua e l. Io svitavo lanello della mia e toglievo dal f usto il serbatoio perch mi f osse pi f acile
riempirlo. Il simile f acevo ad ogni altra su ciascuna tavola, scolandone il poco dolio rimasto e lasciando a
secco i lucignoli; cosicch quasi sempre, a f orza di gocciole, mi riesciva di colmare la mia e di riaccenderla,
bene smoccolata e nettata. Con la lunga pratica, ero divenuto cos accorto in questa bisogna di vergine
saggia e cos spedito che non perdevo n una stilla n un attimo. Come nella parabola evangelica, io e il mio
amico dovevamo andare incontro al nostro Signore; e il nostro Signore si chiamava Napoleone Bonaparte.
Riaccendevamo la lucerna per abbandonarci alla celebrazione delleroe e della sua gesta.
Dario era pi f ervente di me, tanto che pareva posseduto da una vera mania. Aveva votato al Crso una
specie di zelo f anatico, ondera escluso qualunque culto o studio, in ispecie quello degli aoristi. Per ci,
dotato dintelletto pronto e acutissimo, riesciva mediocre scolare. Fisso al passaggio della Beresina, non
dava alcuna importanza ai diecimila di Senof onte.
Non so segli f osse nato con quel viso che gli vedevo o se glie lo avesse f oggiato la sua passione stessa.
Forse la mania gli era sorta dal f ondo dello specchio, tanto egli rassomigliava al giovinetto dAiaccio che le
stampe mostrano in meditazione dentro la grotta di Milleli: pallore quasi diaf ano, labbra arcuate, occhi grigi
senza cigli e con scarsi sopraccigli, mento robusto, gote scarne, capelli f ini e lisci sopra unalta f ronte
solcata di vene cerulee, con in tutto laspetto qualcosa di timido e dindomito, di gentile e di selvaggio. Tale
doveva essere il f iglio di Letizia alla scuola di Brienne.
Suo padre esercitava non so che of f icio onorevole nella Casa Reale, al Palazzo Pitti. Mi ricordo daver
sentito sof f iare per qualche tempo nellaria, contro il mio amico, una di quelle calunnie inf ami che si creano
ne collegi tra ragazzi f eroci. Nessuno osava rinf acciargli apertamente la bastardigia, ch lo sapevano
coraggioso e manesco. Ma a un altro de nostri compagni era apposta la stessa macchia; e costui aveva in
verit una strana rassomiglianza col Re galantuomo e galante. Guardandolo, si pensava ai grandi baf f i e al
gran pizzo che gli mancavano. In tutto il resto era coniato come lef f igie nelle palanche.
Quando allora della ricreazione io me ne stavo in disparte a guardare con quella pupilla nel tempo
medesimo lucida e allucinata che tale ancor serbo sotto la palpebra, vedevo spesso crearsi nel tumulto
f anciullesco improvvise f igure di malvagit quasi in aspetto di mostri a pi gambe a pi braccia a pi teste.
Una volont violenta e perf ida pareva saldare insieme i corpi di tre o quattro compagni. Li prendeva per le
reni e li spingeva in un angolo della camerata o del cortile, dove un poco di silenzio era misto a un poco
dombra. Da prima li riuniva in cerchio per i grugni, come i maialetti che mangiano nel medesimo truogolo. I
loro dossi si piegavano innanzi e le loro bazze saccostavano nel mormorio della congiura; e qualcosa di
f luttuante passava in mezzo a loro, simile a una f orza non ancor def inita e f erma. A poco a poco, nelle
pieghe delle tuniche f iacche una spina dorsale pi potente sembrava drizzarsi. Il gruppo si serrava, si
congegnava, si armava come una sola bestia nociva. La sghignazzata concorde aveva qualcosa di sinistro
che mi par dudire tuttavia, come escita da un sol cef f o. E quando alf ine il gruppo si voltava e savanzava
posseduto dalla volont di nuocere, io mi stupivo di riconoscere ancra il numero delle f acce distinto sotto
la stessa dif f ormazione ignobile e bieca, mentre le zampe camminavano con la cautela f erina dellagguato,
congiunte a un sol tronco.
Ogni giorno io e Dario eravamo seduti alla mia tavola, chini su la carta militare di Smolensko. Una luce grigia
e f redda entrava pe f inestroni, dove i vetri tintinnavano al vento; ma i nostri occhi erano abbagliati
dallincendio della citt presa e i nostri orecchi erano assordati dagli urli dei f eriti a mucchi nei f ossi, nelle
brecce, sotto le porte, lungo le vie, entro gli androni delle case in f iamme. A un tratto, non so che f remito
della mia carne mavvert che dietro di me si f ormava la bestia orribile.
Mi ricordo che la volta della camerata era molto sonora e in certi punti dava un rimbombo deco. Udii
ripercossa sul mio capo in un modo misterioso la ghignata singolare che nella mia imaginazione somigliava
allo squittire dello sciacallo. Anche ora, dopo tanti anni, al ricordo, quel suono della f erocia puerile mi
sgomenta e magghiaccia.
Voltandomi, scorsi in f ondo alla sala il gruppo imbestiato che veniva innanzi a f orma di cuneo. Una specie di
maligno canchero, nato nellisola dElba da un armatore arricchito nellArgentina, stava alla punta e guatava
la vittima. Due lo spalleggiavano: un Sardo di Sassari, giallognolo e pustoloso, attossicato precocemente
dalla nicotina, come quegli che non viveva se non per cogliere il destro di rinchiudersi nel cesso a f umare di
nascosto la sua pipa f etida; e un Fucecchiese melenso, dal cranio triangolare, vera testuggine di palude
tratta f uor della scaglia. Tre altri sozii seguivano, tenendo le mani dietro la schiena come se celassero una
lordura o unarme corta; e si dondolavano sguaiati, con un riso f urbesco negli occhi, con su denti un lustro
crudele.
La vittima designata era presso la porta del dormitorio, seduta su uno sgabello, inconsapevole; e mangiava
con attenzione golosa un pezzo di panf orte. Era ben egli il creduto bastardello regio, col suo testone
rotondo, col suo naso corto e rabbuf f ato in su, con le sue narici aperte, con le sue orecchie larghe.
Quando saccorse del pericolo che gli veniva sopra, salz masticando ancra il boccone e dovent un
poco pallido. Come gli assalitori f acevano tutti insieme un bercio buf f onesco, tent di ridere. Allimprovviso,
lElbano e il Sardo lo af f errarono per le braccia e lo abbatterono su limpiantito. Comegli per dif endersi
calciava, il Fucecchiese sebbe nel ninf olo una pedata che gli insanguin le gengive. Uno dei tre ultimi si
gett al soccorso; e le due gambe af f errate per le caviglie f urono tenute f erme e congiunte come a ricevere
il chiodo della crocef issione. Allora gli altri due f iguri mostrarono quel che celavano dietro la schiena: un
pentolino di colla e un poco di stoppa. Mentre latterrato f aceva latto di sputar loro in viso e di morderli alle
mani, essi gli attaccarono un gran paio di baf f i sotto il naso e un lungo pizzo sul mento. Non avevano f inito
di premere, che rotolarono sotto uno scroscio repentino di pugni.
Con la rapidit appresa nelle Campagne dItalia e dEgitto, il bonapartista sera scagUato contro il gruppo
gridando a squarciagola: Vigliacchi! Vigliacchi! Io lavevo seguito con lo stesso impeto e con lo stesso
clamore. Libero dalle grinf ie dellElbano e del Sardo, il mangiator di panf orte sera drizzato f uribondo e gi,
prima di pensare a togliersi lingiuria dal labbro e dal mento, distribuiva cef f oni e tempioni regali. Grande
schiamazzo di risa e di urli menavano intorno alla mischia gli spettatori. Sbaragliato e incalzato il gruppo si
ritirava verso luscio del lavabo, perdendo ogni coraggio, cercando lo scampo. Ben quegli che aveva portato
il pentolino nascosto dietro la schiena, con la stessa mano dietro la schiena rinculando apr luscio.
Vigliacchi! Vigliacchi! gridava Dario senza tregua. E luno dopo laltro li cacciammo dentro, a vergogna, e
serrammo.
Gir la chiave il buon guerriero, la tolse dalla serratura; e con un gesto di gaia e f iera grazia, ansando, la
of f erse al liberato che aveva ancra sul muso qualche f iocco di stoppa. Le mani gonf ie di geloni gli
sanguinavano, ma egli mostrava di non addarsene. Sdegn di raccontare lavventura al pref etto
sopraggiunto; chera un f loscio Pistoiese degenere nepote di Vanni Fucci e di quel della Monna, ignaro di
f azioni, darsioni, di balestre e di barre. Venne a sedersi novamente con me davanti alla tavola, dove era
rimasta spiegata la carta. Disse, continuando: Il maresciallo Ney, dunque, occupa la posizione presa di
contro al sobborgo di Krasnoi. Appoggia la sua sinistra sul Dnieper inf eriore. Alla sua destra, f ra la strada di
Krasnoi e quella di Mitislaw, il primo Corpo si sviluppa in due linee. La cavalleria leggera del re di Napoli...
Come egli indicava collindice i luoghi strategici, il sangue generoso gocciolava dalle crepature vive dei
geloni contusi. Io ruppi coi denti lorlo della mia pezzuola, poi tirando la divisi in due lembi; e mi misi a
f asciargli le mani.
Dario! Dario! Ecco chegli non parla e non sanguina pi nel mio ricordo; ma lo scorgo a un tratto di l dalla
siepe dalloro, lo vedo vivo in carne e ossa camminare verso di me, af f rettare il passo, alzare le mani
nascoste nei guanti di lana bianca, agitarle nel saluto, avvicinarsi ansando, raso e liscio come allora, pallido
come allora, simile a un f anciullo e simile a un vecchietto, con un sorriso straziante nella bocca smorta, con
su le spalle curve un peso orrendo e oscuro. Dario!
tra le mie braccia, senza poter dire una parola, strozzato da un nodo di tosse che alf ine scoppia nel
povero petto cavernoso squassando atrocemente tutta quella gracilit sensibile e stracca. Amico, amico
mio! E in nessuno sguardo umano, come in que suoi occhi senza cigli, ho mai letto una tristezza tanto
disperata.
Non so terrore pi prof ondo di quello che moccupa quando, nella pausa della mia propria volont che mi
crea, io vedo accorrere dallinf inito il vento senza nome e in esso agitarsi la polvere del passato e levarsi
contro a me non come ombre delle cose che f urono ma come aspetti di quelle che sono per essere: ondio
non riconosco pi la successione della vita n la mutazione della sua sostanza, ma avverto entro me una
specie dimmobilit veggente, simile a quella dellocchio che mi saperse quando nacqui lagnandomi, sopra al
quale mi sappassisce la palpebra e le ciglia mi si diradano.
Il giorno dinverno chiaro e senza sof f io, ma f ragile come un globo di vetro nella palma duna mano che
possa da un attimo allaltro lasciarlo cadere. Qualcosa pare serrarsi intorno a noi, par divenire angustia e
pericolo. Una contadina vocia in mezzo al campo, dietro un vitello f uggito. Lurlo nella luce; ma si sussulta
come quando allimprovviso una persiana sbatte mentre si scantona lungo una casa, per una viuzza
deserta, verso sera. Gi nella valle f ischia il treno che va ad Arezzo. Il f ischio sattenua, si f a dolce quasi
come una parola modulata che dica: addio, addio, addio. Per un istante lanima mi si parte, segue la parola
gi vanita, scende laggi a Girone, dove lArno sincurva di sotto ai poggi di Villamagna e dellIncontro, dove
lacqua presso le Gualchiere cos verde tranquilla e sola. Il mio amico ha nella mano un f azzoletto di seta
verde; con quello sasciuga la bocca, in quello nasconde la sua inf ezione. Lo prendo pel braccio; e
camminando su la ghiaia, [andiamo] verso la casa; ma come se ci f ossimo scolorati entrambi e f ossimo
entrati in un corridoio grigio. Non sode pi il grido della donna, non sode pi il rumore del treno. Laggi, f ra
Girone e Quiritole, c la Nave allAnchetta; e mi ricordo daver passato il f iume una mattina e daver
approdato su la strada di Rignalla e daver colto in una siepe un rametto di spin bianco.
Lanima sembra in f uga, quasi sgominata e sciolta, presa dal bisogno dessere altrove. Ritorna, tocca
lamico malato, lo avvolge, lo abbraccia; poi di nuovo si divide, si sparpaglia, si dissipa, come quella f iamma
che vagola su la superf icie del legno prima dapprendersi. E una voce le mormora, non senza perf idia:
Artista, artista, ecco, tieni, mordi la vita. Questa la malattia, questa la sciagura, questo il crollo dogni
bene. Non distogliere la pupilla dallamico che si trascina e saf f anna. Ma guardalo, ma sopportalo intero. Ha
uno specchio per te, perch tu vi ti miri, nel suo petto cavernoso. E f orse non ripugnanza, f orse non
vilt: soltanto quella dissipazione apparente dello spirito avvertito, che per raccogliersi e addensarsi
attende il luogo opportuno.
In f atti la mia casa mi sembra mutare aspetto, mentre le ci avviciniamo. Mi sembra come vuotata di tutto il
mio calore e pronta a ricevere qualcosa dinsolito che sia nel tempo medesimo un sogno e una necessit.
Credo di aver ripetuto pi duna volta con le mie labbra f redde: Dopo ventanni! Dopo ventanni! E queste
tre parole f anno delluno e dellaltro di noi una mole enorme e conf usa, la mole dellet trascorsa, non
morta, non viva, ma simile a quegli smisurati carri da sgombero, su cui si accumulano le masserizie diverse,
coi segni delluso e della bruttura umana, non pi appartenenti alla casa vecchia, non ancra possedute
dalla casa nuova, quasi svergognate dalla strada piena di passanti che si voltano; e dietro vanno i f reschi
f anciulli.
Or dietro quella tanta parte di noi sembrano andare due giovinetti a braccio, simili ai due che un giorno
camminavano lungo le gore brune della campagna pratese. Dopo ventanni! La gora l, con quellacqua
color di lavagna, che pare passata per la cenere come il ranno ; e tra essa e una siepe scarsa corre il
sentiere; e di tratto in tratto si dif f onde nellaria lodore muschiato di un insetto dalle lunghissime corna, che
noi chiamiamo macuba.
Vieni, vieni, Dario. Su la soglia massale unangoscia imperiosa come lannunzio duna trasf ormazione. E
dico dentro di me, senza sof f io: Sei tu? sei proprio tu?
Il lembo del suo pastrano simpiglia in un f iore del cancello di f erro battuto. Egli si china per districarsi: ha il
capo scoperto. Con una commozione che mi passa per tutte le f ibre, vedo di sotto ai suoi capelli f ini e radi
lorecchio arrossato dai geloni come allora.
Vieni, vieni. Lo prendo per la mano e lo traggo verso la stanza pi prof onda, verso la stanza della musica.
Sento la sua mano sudaticcia tremare nella mia. Tutte le cose adunate intorno, i legni i libri i quadri le
maioliche le stof f e, mi doventano rammarico e onta. Vorrei che le mie mura si f acessero a un tratto nude e
bianche come quelle del ref ettorio ove mangiammo, del dormentorio ove riposammo, dellaula ove
studiammo.
Siediti. Lo lascio sedere tra i cuscini troppo numerosi dun divano; mi siedo sopra uno sgabello di contro
a lui. Siamo presso la f inestra. Un poco di sole gli viene su le ginocchia. E ci guardiamo.
Ah, di che mai nasce quel suo tenue sorriso? Neppure il dolore di mia madre, in un giorno indimenticabile,
nebbe per me uno pi straziante.
Il volto pur sempre quello, ma riscolpito dalla disperazione in una materia pi trasparente. Anche allora le
vene apparivano a f ior della pelle, ma ora mi rammentano quellesercizio chirurgico dallacciamento che vidi
compiere allospedale sul cadavere emaciato dun cavalleggere tisico. Potrei separarle e contarle. Gli occhi
tuttavia non hanno cigli, come quelli del Bonaparte, ma sembrano pieni duna inquietudine continua e di non
so che spavento f isso. Le tempie sono spoglie; la f ronte non direi rugosa ma sgualcita come una cosa
delicata che una mano cruda brancichi e getti a spregio.
Amico, amico mio, chi tha f atto tanto male? Egli pone le sue mani nude su le sue ginocchia, e il sole glie
le illumina. Lultima f alange delle dita stranamente def ormata intorno lunghia rigonf ia alla radice.
Egli mi chiede: Non mi riconosci? Dissimulo il sussulto che mi d il suono inatteso della sua voce nella
stanza chiusa. tanto sonora che mi sembra egli mabbia parlato f orte nellorecchio.
Oh, non sei mutato, quasi. Guarda me! E vorrei enumerare le lesioni del tempo, esagerarle, apparirgli
come un uomo esausto su cui sia sospesa la minaccia, ridiventargli compagno anche nella miseria e nella
passione. Vedi: non ho pi capelli; i denti mi si logorano; la vista mi diminuisce ogni giorno; sof f ro
dinsonnio e dallucinazioni. Tutta questa ricchezza, illusoria. Sono carico di debiti. O prima o poi, non mi
lasceranno se non una cinquantina di libri e una tavola dabete.
Egli mi guarda con una malinconia cos potente che sembra sola esistere come una creatura ammirabile che
intorno a s tutto riduca a ombre vane. Poi tenta ancra di sorridere. Quanto eri bello! Forse avevi gli occhi
pi grandi. Mi ricordo. E avevi i capelli cos scuri che non mi sarei mai aspettato di ritrovarti con una barba
bionda...
Non ho mai provato tanto f astidio del mio corpo o tanto increscimento di non potermene spogliare come
dun vecchio vestito. Da questi piedi, da queste gambe sostenuta la mia vita, da queste costole
rinserrata, da questo cranio coperchiata! E quella povera anima di f ratello abita le caverne orrende di quei
polmoni, si esala in quello sputo che il f azzoletto riceve e serba!
Credi che io abbia perduto il tuo talismano? mi dice il condannato, mettendo una mano nel taschino del
panciotto. Ma, ahim, non mha portato f ortuna. Doveva essermi un raggio del sole dAusterlitz, te ne
ricordi?; e m il viatico per gli Invalidi.
Cava una moneta gialla da venti lire del Regno dItalia coniata nel 1814 con lef f igie imberbe di Napoleone
imperatore e re. La prendo f ra le dita come una reliquia santa. Me laveva data mio padre, alla f ine delle
vacanze, in novembre, a Firenze, il giorno medesimo in cui avevo comperato da un libraiuccio su un
parapetto del Lungarno gli otto volumi delle Memorie del duca di Rovigo legati in pelle rossa e il Manoscritto
venuto di SantElena in una maniera sconosciuta, impresso a Londra nel 1817 per John Murray, dalle pagine
piene di macchie brunicce il cui lezzo di muf f a doveva inebriare me e il mio amico inconsapevoli del f also e
gi sollevati alle pi f olli speranze dalle parole del principio, che destituivano dogni singolarit linf anzia
dellEroe riducendolo un f anciullo ostinato curioso e taciturno come noi.
Ti ricordi? Ti ricordi? Sempre la stessa domanda ripetuta come il colpo della zappa che diseppellisce.
Gli scheletri e gli spettri si drizzano davanti a noi. La carne ricopre le ossa, gli occhi rioccupano le occhiaie,
le gengive si riattaccano ai denti, come nelle resurrezioni. Vedo la moneta doro nella mano grassa e bianca
di mio padre.
Mio padre l corpulento e sanguigno, un poco ansante, con quel suo sguardo un poco torvo in cui
passava talvolta uno strano ardore come di f osf oro che vi saccendesse. Vedo il collo enorme che ridonda
sul solino rovescio, e nella cravatta il piccolo cane cesellato dagli occhi di rubino, e il suggello di diaspro
pendente dalla catena dellorologio. M vicino e m lontano, f atto della mia sostanza e m sconosciuto.
Ho potuto vivere lungo tempo discosto da lui, talvolta ho potuto avversarlo, talvolta perf ino dimenticarlo: e
ora dun tratto un amore tumultuoso mi riempie, e il rammarico terribile di non esser giunto in tempo per
f issare il suo viso composto nella morte.
Ti ricordi, quando mio padre venne in collegio, e chiese al Rettore il permesso per noi due, e un gioved
sera ci condusse f uori insieme? io dico turbato, tenendo f ra le dita la moneta consunta.
Era di carnovale. Era una di quelle giornate pratesi di gran vento, quando a vespro la citt si empie dun
incessante garrito e dunombra palpitante, come se tutte le pannine dei suoi lanif icii sbattessero e si
divincolassero nel cielo delle strade tristi. Gli strilli sbito vi si spezzavano e dileguavano, come il getto
dacqua nella bocca del Bacchino. Passando dinanzi alla f ontanella, ricevemmo sul viso lo spruzzo f reddo.
Ridendo ci mettemmo a correre. In un colpo di vento il pulviscolo ci raggiunse, ci bagn la nuca. Seguitammo
a correre, e sotto il palazzo del Comune ci ritrovammo in mezzo a una compagnia di maschere sguaiate che
ci avvolsero e ci trascinarono.
Un sentimento straordinario di libert e davventura ci gonf i il cuore oppresso dal divieto e dalla prigiona.
E ci prese la tentazione f olle di abbandonarci a quegli sconosciuti che avevano per noi gli occhi dei dmoni.
Udivamo la voce di mio padre che mi chiamava, come nella tempesta. E tutto era ignoto e dubitoso in quella
strada prof onda, tutto era sonoro e vacuo, nuovo e incomprensibile, tra lululo disperato del cielo e gli aliti
di quelle bocche quasi belluine di sotto alle maschere di cartapesta nasute bernoccolute def ormi.
Fuggite, f uggite! Venite via! susurravano i saltatori sospingendoci. E la vita sopra noi, per entro a noi, era
non so che cosa f olta e immane squassata e dilaniata dal vento. E listinto in f ondo al nostro petto era
come un giovine leone f amelico che tentasse di spezzare le sbarre del serraglio. E non so che mistero
sensibile ci stringeva ai f ianchi, pi che le nostre cinture, pi reale che il nostro vestito e la nostra pelle. Ed
eravamo l, io ero l ma anche altrove; ch tutto quel tumulto aveva per luogo quel lastrico e il mondo, e il
mio nome chiamato da mio padre sorgeva dal f uoco del mio f ocolare e dal pi remoto antro della mia
montagna e anche dalla mia intima volont di vivere e di vincere. O primi movimenti di quella f orza lirica che
f in dalla chiusa puerizia era come il cuore del mio cuore!
Quando mio padre sopraggiunse, ci liberammo dagli sconosciuti e ci stringemmo a lui chera un poco
af f annato; e, mentre le maschere schiamazzavano scantonando, io gli raccontai la storia f antastica della
nostra avventura. E Dario non soltanto consentiva alle mie invenzioni ma le amplif icava, quasi che entrambi
tornassimo da un viaggio maraviglioso.
Sul canto della Piazza del Duomo, il vento era tanto rude che disperse anche la mia storia e ogni maraviglia.
Salimmo al vecchio albergo del Contrucci, e ci mettemmo a una f inestra per veder passare il corteo di
Berlingaccio.
Su la piazza ventosa laria era cos tersa che ci pareva di poter prendere per mano un de putti del pergamo
e condurre con lo stuolo il ballo tondo. Eravamo chini al davanzale, luno accanto allaltro, con lomero
contro lomero; e mio padre stava in piedi dietro di noi e ci riuniva ancor pi, tenendo una mano su la mia
spalla destra e una su la sinistra del mio compagno, af f ettuosamente, quasi che cos lo prendesse per
f iglio e me lo f acesse f ratello germano.
Non passava nessuno. La piazza era diventata solitaria come il cocuzzolo della Calvana. Anche la Via
Magnolf i laggi era deserta, e si vedeva f ermo sul binario alto un treno nero. Sembrava che la vita civica a
un tratto f osse sospesa e che soltanto il vento parlasse come sul Montef errato selvaggio tra gli
scheggioni del serpentino. Veduto da quella f inestra, il Duomo aveva un aspetto insolito che ci stupiva. Era
tanto prossimo che credevamo di toccarlo con la f ronte come f osse una vetrata; o credevamo di poter
salire di banda in banda, dalla verde alla bianca, dalla bianca alla verde, via via, sino in sommo, dov la
campanetta sotto la croce di f erro. Ma, discendendo noi per le bande con gli occhi, un pi grande stupore ci
prese come se conoscessimo il pergamo per la prima volta; ch era l, pieno di silenzio, quasi un nido
abbandonato dagli usignuoli, allaltezza della nostra vista. Era l come un ricetto di musica e di amore, per
certo; ma sentivamo che poteva essere anche un ricetto di sapore, da appressarvi le labbra come allorlo
dun vaso di miele ispessito.
Il vento sera allontanato dalla piazza, se nera andato verso il Mercatale a sof f iare sul ponte del Bisenzio.
Uno di noi disse sotto voce: Da una di quelle due porticelle esce il vescovo per mostrare al popolo la
Sacra Cintola. Tutte due erano chiuse tra i loro stipiti di pietra, separate dalla colonna massiccia che
sostiene la tettoia rotonda. A f orza di guardarle f iso, io creavo in me non so che sentimento di attesa e
non so che perplessit come io dovessi scegliere f ra le due la mia porta e laltra dovesse appartenere al
mio compagno e a ciascuno di noi dovesse qualche cosa apparire. E anche i pilastrini tra f ormella e f ormella
erano accoppiati con unindicibile gentilezza, e pensavamo che ci somigliassero perch non si sarebbero
mai divisi. E credo che i nostri petti premuti contro il davanzale si gonf iassero duna medesima ansiet.
E uno di noi disse, con quellaccento verace dellimaginazione puerile che crea dal nulla le sue potenze, uno
di noi disse: Ecco, ecco, ora sapre la porta e si mostra la Cintola! E laltro sbito disse; Quale porta?
quale? E il primo sbito rispose, ma senza f are il gesto: Quella. E non si seppe quale ei volesse dire;
ch luno e laltro stringendosi avevano f atto delle due una porta sola nel loro cuore e nella loro speranza.
Avvertendo non so che rif lesso vago sul piombo della tettoia, levai gli occhi e scopersi nella grande
perlagione del cielo il primo quarto della luna, un f il doro prezioso come la reliquia di Palestina. E gli altri due
occhi si levarono e videro. E ci sorridemmo, appena appena sogguardandoci dallangolo delle palpebre. E
mio padre non pot vedere quel sorriso; ma io sentivo la sua mano grave vivere su la spalla del mio f ratello
come su la mia.
E non ho mai dimenticato quel momento della nostra amicizia; che ora, nella memoria, mi splende duna
inesplicabile bellezza.
Ti ricordi? Ti ricordi? Gli occhi di Dario si velano duna lacrima che sbito sgorga, non avendo la palpebra
cigli a trattenerla. E la mia commozione tocca in me una prof ondit inculta, onde sembra sia per sorgere un
essere che a compiutamente vivere debba spezzarmi come legame che lo vincoli, scrollarmi come ingombro
che lo impacci. Chi egli mai? Uno che si risveglia? uno che ritorna? uno che nasce? Soltanto il passato e il
f uturo esistono; e il presente non se non un levame per cui luno e laltro f ermentano. E vha un pianto
duomo, ove si stempra pi dolore che non ve ne inf onda il piangente. E la nudit di quegli occhi, a cui
manca la mollezza umana dei cigli, riempie la mia casa dun sentimento della presenza umana pi severo che
i libri eterni.
Ora quella palpebra come lorlo dun segreto chio dovr conoscere. Non posso f issare quella pupilla
senza che il cuore mi si contragga, tanto ella simile al punto pi sensibile duna piaga, l dove resta
scoperta lestremit del vivo nervo. Sento che sotto la tristezza del malato si accumula unangoscia non
corporale, smaniosa desprimersi e paurosa delle parole comuni. La sento a quando a quando tendersi
verso me e quasi sopraf f armi. La vita potente suscitata dalla memoria le si oppone e la respinge. Bisogna
che prima riviviamo quella vita, che prima riudiamo quel canto, come i nauf raghi tratti da contrarie f ortune
sul medesimo banco di sabbia ascoltano la voce della sirena invisibile prima che la marea li riprenda e
rivltoli. Mi ricordo del f uturo. Chi mai ha parlato cos? Forse il nauf rago con le sue labbra contro le
lunghe labbra dellonda, o f orse io stesso nello smarrire me stesso.
Tanta anima mi cresce nella carne, che mi sembra di non avere quasi pi carne. La f orza che io conteneva,
ora mi contiene. Sento nelle mie mani il gesto istintivo di sollevarsi verso le mie tempie e di serrarle, come
quando lattenzione vuol concentrare il pensiero che si disperde. Perch tutto cambia aspetto? La zona di
sole non pi su le ginocchia del mio amico ma si ritrae da lui, discende a poco a poco gi per le sue
gambe, sta per toccare i miei piedi. La vampa nel camino ha dato lultimo guizzo, e le f alde della cenere
accecano la brace. Se bene non spiri un sof f io nella stanza, si solleva a un tratto la pagina del volume
aperto sul leggo e oscilla. La moneta doro mi sf ugge dalle dita e cade. Mio padre seduto su la seggiola di
cuoio, e china il capo sul petto in punto daddormentarsi.
Sai? Quel libro, lho ancra, lho qui. Vuoi rivederlo? Mi levo, per uscire dalla stanza.
Unallegrezza subitanea accompagna i miei primi passi. La lunga sala del Coro meno calda, volta a
settentrione, gi invasa dallombra. Mi sof f ermo a raccogliere in me il sentimento della mia casa solitaria,
dove soli vivevano ieri i libri eterni, dove gli spiriti delle vecchie cose adunate si mescolavano alla sostanza
delle pagine meditate. Odo il battito del mio cuore, odo i colpi sordi della mia ansia e del mio sgomento.
Dario ha ricominciato a tossire, da prima sommesso, poi sempre pi f orte, come liberato duna costrizione
nella mia assenza momentanea. Ogni volta che la tosse grassa si spegne nella pezzuola, mi manca il
respiro. Mallontano, varco una soglia, varco unaltra soglia, entro nella biblioteca. La tosse laggi, pi
f ioca, pi rada. Ma la presenza delluomo inf ermo e inf elice da per tutto; occupa tutta la casa; non la
lascia pi vivere se non di s, non la lascia pi respirare se non a traverso i suoi polmoni disf atti.
Minginocchio a pi dello scaf f ale dove ho riposto i libri che in diverse epoche della mia esistenza mi f urono
donati da mio padre; chino la f accia, aguzzo gli occhi per ritrovare quello. La mano bianca e grave sembra
che saccompagni alla mia nella ricerca, il respiro grosso vicino al mio sof f io.
I libri sono l, negli ultimi palchetti, da qualche tempo dimenticati, coperti di polvere. Unaria f unebre
intorno a loro. Ho dimenticato anche te? Ho potuto vivere giorni e giorni senza di te? E mesi e mesi, e
f orse anni! Lerba cresciuta sul tuo sepolcro, l su la collina che guarda il mare, dove io non son pi
tornato. Volli che sul tuo sepolcro non f osse posto se non un sasso rude e il tuo nome, per venire un
giorno io stesso a porvi un pi gran segno. E non son venuto ancra. E non ho adempiuto il vto. E loblio
nutre lerba.
Il mio sentimento crea la realt. Sono carponi sopra una tomba selvaggia, con la zolla sacra sotto le
ginocchia, con i f ili derba tra le dita. E ancor mi tiene quella specie di misterioso orrore carnale che non
mabbandonava neppure nei momenti della pi calda tenerezza e della riconoscenza pi ef f usa. E ripenso
che una volta mia sorella mi scrisse daver veduto quel pezzo di terra brulicante di lucciole senza numero, in
una sera di giugno.
Ecco il vecchio libro! polveroso. Lo scuoto, lo batto con la palma aperta. La polvere mi entra nelle narici.
Non posso pi indugiarmi. Odo il tempo spazzare la vita alle mie calcagna, come un servo zelante che dietro
me netti il tappeto con la granata. Corro verso il mio amico, ansioso io stesso di riudire il suono della mia
propria voce di l dal cuore che mi balza alla gola.
Ti ricordi? Ti ricordi? Come allora, la mia gota saccosta alla sua gota, il mio braccio destro passa dietro
la sua schiena, la mia mano sinistra preme la pagina aperta, le sue dita tengono il margine della pagina di
contro per esser pronte a voltare. Dopo ventanni! Odo nel petto f raterno un orribile rantolo umido, una
sorta di crepito mucoso, locculto f ragore della morte. Mi ricordo.
Eravamo ancra alla f inestra, di f accia al pergamo; e il vento ritornava dal Mercatale con una f olata di
maschere e con unondata dazzurro notturno. La sera cadeva rapidamente su lo schiamazzo cencioso.
Come un domestico dietro di noi apr la porta, la raf f ica invest la camera a riscontro. Ci mettemmo a
strillare, mentre le cortine svolazzavano. Facendo f orza, chiudemmo i vetri, chiudemmo gli scuri. Ci
ritrovammo nella stanza buia, rischiarata dal f uoco f olle del caminetto. Sbito dopo, la lampada raccesa
occup col suo cerchio di luce la tavola tonda. Tutto si quiet. Le legna cigolarono, scoppiettarono, e poi si
tacquero. Una pace lenta si dif f use intorno al paralume verde. Non desiderammo pi nulla, f uorch di
rimanere luno accanto allaltro. Che vi piace di f are stasera? chiese mio padre, che sapeva esser dolce.
Gli risposi: Dammi il libro!
Egli sorrideva de nostri occhi sf avillanti, mentre apriva la valigia con lentezza studiata. Impaziente, io
cacciai la mano nellapertura a f rugare; e scopersi al tasto non un solo volume ma cinque, sei, sette, f orse
pi. La mia avidit tremava, e tutte le membra mi balzavano dal giubilo; e nel viso del mio compagno vedevo
lo splendore del mio viso. Dammi gli altri! Dammi anche gli altri! Mio padre mi diede il pi pesante. Lo gettai
f ra le braccia di Dario; e continuai a supplicare tentando di ricacciar la mano nella valigia meravigliosa. Le mie
dita agili trascorsero come sopra una tastiera. Sono otto? gridai. Dario, sono otto!
Mio padre rideva. Il mio compagno era divenuto pallido, tenendo il volume contro il suo petto. Il mento f orte
gli vacillava, e le labbra stentavano a f ormare la parola. Ma gli occhi dicevano chegli sapeva, chegli aveva
indovinato. E laria della stanza mi pareva ora pi commossa che quando la raf f ica improvvisa aveva
investito le cortine e spento la lampada. Il Memoriale? balbett egli, scolorandosi ancor pi, come se
avesse veduto aprirsi la porta e apparire nel vano il cappotto grigio dellImperatore.
Sublime esaltazione delleroe nel cuore di un f anciullo! Anelito duna verginit inquieta verso linaccessibile
gloria! Per la prima volta in quella sera seppi veracemente come una creatura possa ardere.
Non avemmo subito gli otto volumi: la gioia ci f u misurata perch non ci soverchiasse. Soppesammo,
palpammo, esaminammo quel solo, pi massiccio. Aveva il dosso e gli spigoli di marrocchino rosso, il taglio
dorato, le f acce marmorizzate. Non so perch, ci pareva pesantissimo come un massello di bronzo, come
un disco da scagliare pi oltre. Quando laprimmo, respirammo insieme nella pagina breve lebrezza
dellimmensit. Un gruppo di veterani giganteschi, a guisa di cariatidi addossate, sosteneva il monumento
equestre dellImperatore cinto di lauro, pi alto che la pi alta alpe; e il lieve mondo pareva covato dalla
grande ombra.
Chi ci render quella potenza di sogno e di prodigio, per cui tanta animazione sorgeva da s f iacco
disegno? La sigla f atale sul f rontespizio, liniziale del Nome sormontata dal simbolo dellEternit, ci tenne
da sola per lungo tempo f issi in un f ascino silenzioso, mentre un oscuro mare f luttuava in entrambi al
medesimo livello. Il mugghio del vento ci pareva la voce di quel mare; e le strida delle maschere, i canti
carnascialeschi, i clamori della plebaglia ci giungevano di lungi come il tumulto duna citt invasa, dun
accampamento sorpreso, dun esercito inseguito.
Non era se non un mediocre libro, nel testo e nelle imagini; ma noi lo trasf ormammo in un poema abitato da
Dio e dagli Elementi, come dentro gli smisurati occhi dei f anciulli ascoltanti si converte in tesoro indicibile
ogni sillaba della semplice f avolatrice.
Era la Storia di Napoleone di P. M. Laurent de lArdche, illustrata da Orazio Vernet, voltata in italiano da
Antonio Lissoni antico uf f iziale di cavalleria e da esso cresciuta delle imprese militari delle soldatesche
italiane, stampata in Torino per Alessandro Fontana nel 1839. Quella sera non demmo che qualche rapida
occhiata alla prosa dellex-sansimoniano giudice e bibliotecario; ma su le cinquecento imagini del pittore del
Ponte dArcale e di Wagram ricomponemmo con la nostra f antasia tutta la gesta, indugiandoci sopra gli
argini dellAdige, negli stagni della pianura veronese, f ra le canne stroncate dal piombo austriaco, ove il
giovine eroe dalla gota macra e dalla capellatura liscia ci appariva svelto e pieghevole come un leopardo.
Guarda, babbo. Dario non somiglia al generale della Campagna dItalia? Avevo preso dun tratto f ra le mie
mani la f accia ossuta del mio amico che si schermiva; e la tenevo f erma come in una tanaglia, sentendo
sotto i suoi muscoli sottili la dura maschera dosso. La tenevo f erma e abbassata sotto il chiarore della
lampada, verso la pagina aperta ove il vincitore di Lodi a capo del ponte ingombro di cadaveri brandendo la
bandiera pareva avesse af f errata per i capegli la Vittoria e se la trascinasse dietro il suo impeto. E vero.
Gli somiglia.
Come dimenticher quella vampa di rossore che sal sino alla f ronte e sembr af f ocare pur il bianco degli
occhi?
Gli avevo lasciata libera la f accia; e ora lo guardavo f iso, in silenzio, senza sorridere, oppresso da una di
quelle malinconie subitanee che in quel tempo mi assalivano talvolta nel mezzo del gioco pi sf renato e mi
davano a un tratto la voglia di lasciarmi cadere in terra e di morire. Qualcosa di selvaggio, indistinto,
nasceva dal f ondo della mia amicizia come sella non f osse se non la larva dellamore sconosciuto. Mi
ricordo che gli dissi, con uno di quei movimenti irrif lessivi che spesso stupivano e scontentavano me
medesimo o mi f acevano sorridere della mia stranezza: Bench tu somigli al Bonaparte, moriresti per me
sul ponte dArcole come il Muiron? Egli non esit a rispondere: S, certo. E guard mio padre. Non so
perch, io gi sapevo che il mio destino era il pi f orte e che dovevo esigere dai miei prossimi la devozione
cieca e lintero dono.
Questo sapeva anche mio padre. Egli non mi lodava, non mincoraggiava, n mi indicava una via n mi
proponeva uno sf orzo; ma aveva in me, f in dai miei pi teneri anni, una f ede cos certa che sino al giorno
della sua morte io non cessai di sentir viva in lui la mia radice.
Spirito tirannico quantaltri mai, egli aveva da tempo abdicata la sua autorit sopra me, solo attento a
vigilare le mie tendenze e a spiare lombra de miei sogni. Pi duna volta lavevo veduto domare la sua
natura per non contrariarmi; pi duna volta avevo udito nel suo gran corpo il f remito del sangue contenuto.
Mi osservava con unattenzione grave e continua, cercando di comprendermi. Se voglio rappresentare al
mio amore la pi commovente imagine di lui, evoco la sua espressione seria e raccolta nellascoltarmi. Non
mai mi tratt alla leggera; n mai mi derise, pur davanti alle mie singolarit, ai miei eccessi o alle mie
af f ettazioni. Era rispettoso e f idente, in unattesa che non poteva essere delusa. E io, pur da lui tanto
diverso di cultura e dingegno, sentivo che una parte prof onda di me comunicava con loscurit chiusa nel
suo corpo terribile e nera nudrita.
Ecco, stava l, seduto, tranquillo, taciturno, a vedermi vivere, senza saziarsi. Non seguiva in s i suoi
proprii pensieri ma i miei. Amava in me il mio compagno, e lo adottava nella sua f ede. Respirava con noi in
quella passione eroica. Aveva cos spontaneo il sentimento della poesia che, dopo molti anni, si ricordava
duna mia parola detta in quella sera, conf erendole nel ricordo una signif icazione misteriosa che f orse
allora non apparve alla mia inconsapevolezza. Verso che cosa il cavallo simpenna? Certo egli era
toccato dal tono della mia voce pi che penetrato dalla lettera, per avere quellorecchio di musico,
disegnato con tanta delicatezza alla commettitura delle sue mascelle di stritolatore.
Dario volgeva le pagine. Il Bonaparte, svelto come la palma dEgitto, dallaltura guardava il naviglio nelle
acque dAlessandria. Ecco, drizzandosi sul cavallo bianco dallocchio di antilope, indicava la cima delle
Piramidi ai suoi soldati. Ecco, tornando dalle f ontane di Mos, smarrita la via, era sopraggiunto su lantica
spiaggia dalla notte e dalla marea.
Cera nel cielo dArabia la luna nuova, come stasera sul Duomo disse Dario, chinato avidamente su la
vignetta ovegli vedeva luccicare il gran f lutto, la f alce doro tagliare la nuvola, lo stallone delluomo f atale
scalpitare nella schiuma, lombra del sommerso Faraone sorgere tra le rupi.
Mi levai, andai alla f inestra, apersi gli scuri, guardai a traverso i vetri. Il primo quarto era tramontato. Su la
sommit dei marmi le stelle parevano consumarsi nel vento come le f iammelle su i candellieri di Pasquino da
Montepulciano. La piazza era deserta. I putti agghiacciavano, sospesi al pergamo solingo. Non c pi!
Lo spazio sallargava intorno alla nostra ansia; la notte non aveva pi orizzonte; tutto il mondo assumeva
laspetto dun mare periglioso dove f osse necessario navigare, con locchio f isso alla stella. E il condottiero
balzava nel palischermo; saccostava alla nave tarda il cui nome era il nome del giovine eroe caduto sul
ponte dArcole per aver tentato di coprirlo col suo corpo; saccostava alla nave di Cesare che doveva
portare la f ortuna di Cesare pi celere di tutte le vele. Ed era il d sette di f ruttidoro dellanno settimo.
La f regata salp, con i suoi tre alberi a cof f e, e con le sue tre gabbie, con le sue due batterie di cannoni.
Anche noi ci sedemmo sopra un af f usto, a poppava; e avevamo da una banda il silenzio di quel gran
destino sospeso e dallaltra banda lodore dellAf rica. Dopo lunghe settimane di navigazione cauta, un colpo
di vento ci spinse su la Corsica. I pastori delle colline salutarono il f iglio dellisola.
Sul mare egli era pi mio, apparteneva pi prof ondamente al mio sogno; ch dalla mia spiaggia natale avevo
portato meco nel mio cuore il rombo marino e ogni giorno, l, nella carcere toscana, mi ricordavo di aver
toccato nel tuf f o la sabbia prof onda e di aver esplorato con gli occhi aperti la luce del gorgo rattenendo il
respiro dietro le labbra salse. Cosicch, comebbe per ventanni calpestato la terra, io lo ripresi ancra sul
mare, lo rif eci mio nellIsola della sua f ine.
Eccolo nel suo letto di morte, nel suo letto da campo, coperto col mantello azzurro che lImperatore
portava a Marengo. Ha in capo il cappello dalla coccarda tricolore, ha un crocif isso sul petto. Unaquila
dargento sostiene i cortinaggi bianchi. Presso il capezzale un vaso dargento contiene il cuore
maraviglioso.
Ora dammi E Memoriale\ supplicai, prendendo mio padre per le mani e traendolo. Dammi almeno il primo
degli otto volumi!
Con le sue mani egli mi costrinse, e mi imprigion f ra le sue ginocchia. Mi teneva davanti a s, preso per i
gomiti, f ermamente, come un artiere che consideri lopera della sua maestria. Ma io era tutto un f remito,
come un uccello af f errato per le ali; e lo guardavo dentro le pupille, con un misto di sgomento e di
perspicacia, come per penetrare lombra accolta nel corpo, il buio ch tra le pareti della carne, loscurit
delle viscere e dei precordii, labisso della mia genitura.
Gabriele, Gabriele! Egli ripeteva il mio nome sotto voce, come un segreto, come la parola dordine
conf idata allorecchio prima della battaglia. E mi scoteva, mi scoteva come si scuote un albero per
impazienza di vedere se il f iore cada e se gi alleghi il f rutto. In me non vera pi f ibra che non f remesse,
non vera pi goccia di sangue che non tremasse. Figlio! Figlio!, ripeteva ancra sotto voce.
Mi abbandon i gomiti e mi palp i muscoli del braccio induriti alla sbarra f issa e alle parallele, poi gli omeri, il
torace, le costole. Mi pareva chegli mi armasse, pezzo per pezzo, chegli mi liberasse della mia tunica di
alunno e mi rivestisse darnese temprato. Sentivo le proporzioni del mio corpo in f orma di non so che gioia
musicale; e aspettavo che la natura aprisse f ra le mie labbra una sorgente di melodia, come quelle polle che
avevo scoperte su lo Spazzavento o sul Montef errato e che ritrovavo eguali in ogni stagione.
Poi desinammo, poco parlando. Durava in me il sentimento dellIsola; e vedevo rilucere laggi laggi, nella
lontananza dun oceano color di f erro nuovo, una piccola ciocca di capelli biondicci, quasi biancastri come la
canape: i capelli del Re di Roma.
Gli otto volumi erano su la tavola: Mmorial de SainteHlne. Era la ristampa del 1828, pel libraio Lecointe,
nella rilegatura del tempo. In principio, dopo lindice dei sommarii, stava ripiegata in pi ripiegature la carta
dellIsola.
Dario la spieg con inf inita cautela, come un divoto avrebbe spiegata una reliquia di lino, la santa Veronica
del sudario di Cristo. Il margine era ingiallito; alcune macchie rossigne erano sparse qua e l. LIsola aveva la
f oggia duna f oglia rosicchiata allorlo dagli insetti e malata dautunno. Quasi nel centro un segno non pi
grande dun punto indicava la Tomba di Napoleone. E intorno si stendeva il deserto dacqua inf inito, lesilio
irrevocabile.
Eravamo chini a guardare, a guardare, nel chiarore della lampada, senza saziarci, quando mi parve udire il
respiro di mio padre f arsi pi grave. Alzai gli occhi; e, vedendolo addormentato su la poltrona, nebbi una
commozione cos prof onda che anche oggi posso rappresentarmela intera. Tutto mi divenne misterioso e
remoto, conf uso di rimembranze e di presentimenti. Dario disse, con lindice su la carta: Qui il campo
dove Napoleone f ece il solco. Io gli dissi: Taci. E gli mostrai con lo sguardo mio padre addormentato. E
rimanemmo in silenzio, trattenendo il respiro, non osando di voltare la pagina.
La nostra biblioteca napoleonica era f ondata. Dario vaggiunse il Manoscritto del Mille ottocento dodici di
quel minuzioso e probo barone Fain segretario archivista dellImperatore, e lopera polemica del generale
Gourgaud su Napoleone e la Grande Armata in Russia: luna nelledizione del 1827 f atta dal libraio Delaunay,
laltra nelledizione del 1825 f atta dai f ratelli Bossange in Parigi. Erano alcuni volumi un po muf f iti, con la
rilegatura rabberciata, dai cartoni storti e dalla culatta logora; ma avevano nella nostra imaginazione un
pregio arcano, perch provenivano da un giardiniere di Boboli, che li teneva dietro una cassa piena di bulbi,
chi sa come, chi sa da quando.
Alla biblioteca era annesso il reliquiario, composto di f oglie secche, di f iori secchi, di conchiglie, di sassolini,
dun brandello di casimir, dun mezzo f erro di cavallo. Avevamo ottenuto che un nostro compagno di Massa
cogliesse per noi un rametto darancio su la piazza del Palazzo ducale, in memoria dElisa Baciocchi.
Consideravamo un altro nostro compagno, nato allombra della Torre dei Guinigi, come il ministro della
duchessa di Lucca. Le nostre continue interrogazioni gli gonf iavano la testa che gi era def orme, cosicch
egli se ne f uggiva tenendosela f ra le mani disperato.
Dario non aveva mai vista la dolce Lucca dalla cintura verde; e nella sua mania simaginava che tra Porta
San Donato e Porta Santa Croce, tra San Romano e San Francesco, tra San Frediano e San Martino non
rimanesse pietra senza limpronta dellossuta occhiuta saputa Napolenide. Certo ella aveva pur preso il
luogo dIlaria del Carretto su larca di Iacopo della Quercia per dormire il suo sonno eterno nellombra del
Duomo. Ma dove riposava quel seducente Bartolomeo Cenami chera succeduto al Lesprut nelle grazie
magre dElisa? La scrittura della Duchessa rassomigliava un poco a quella del f ratello? Non sarebbe stato
possibile avere almeno la sua f irma apposta in calce a tanti decreti? Alf ine, tornando dalle vacanze di
Pasqua, il Lucchese ci port un sonetto dun Academico degli Oscuri in lode della nuova Semiramide. Prima
di metterlo nellArchivio, lo imparammo a memoria.
Ma il nostro vero procacciante di reliquie era un Elbano: non il canchero di Portof erraio, non quello della
colla e della stoppa: un Elbano di Marciana Marina, che si chiamava Vittorio, un compagno af f ettuoso e
imaginoso, pieno di gentilezza servizievole, ma punto di tratto in tratto da un estro maligno, noto per aver
composta una imitazione del Cinque maggio in settenarii ora scarsi ora eccedenti, non senza il nascosto
af f lato di Dario.
Dario lo considerava come il solo tra i sudditi superstiti dellImperatore. Tu sei il suo suddito gli inculcava
guardandolo nella pupilla come un incantatore e non puoi sottrarti al tuo obbligo sacrosanto. Tu sei il
suddito di Napoleone. Comprendi? Il buon ragazzo in breve era divenuto anche un ossesso, divorato dalla
f ebbre crsa; e anelava le vacanze sol per andare a scoprir le vestigia imperiali nella sua isola f errigna.
Quando rientrava in collegio, le mani di Dario tormentate dai geloni divenivano per lui due branche inevitabili.
Ci ritiravamo in tre dentro il vano duna f inestra a f avoleggiare dellEroe, come tre pescatori di tonni nel
golf o di Procchio dopo la dipartita di f ebbraio.
Da prima lElbano era modesto e veridico raccontatore, sicch la materia dei suoi racconti si riduceva a
qualche escursione nei luoghi memorandi; n si mostrava pi ef f icace come raccoglitore di documenti, ch
la prima volta ci rec un ramoscello di mirto clto presso la f ontana nella Villa di San Martino, qualche
sassolino del viale, e un po di calcinaccio rapito al palazzo della Sottopref ettura. In sguito, covata dal
nostro desiderio imperioso, la sua f antasia cominci a scaldarsi e a svilupparsi. Ma di Madama Letizia che
sai? che sai di Paolina? che sai della Walewska? Nellagosto del 1814 Napoleone era allEremo della
Madonna di Marciana, era nella tua Marciana, era al f resco dei tuoi castagni! Se io f ossi in te, con questi
occhi per lo meno lavrei veduto, e f orse gh avrei parlato anche, con questa lingua. Alle veementi
obiurgazioni di Dario il suddito arrossiva f ino alla radice de suoi riccioli e mi guardava quasi supplichevole
come per chiedermi che io gli insegnassi il modo di evocare i grandi f antasmi e di rinvenire la reliquia rara.
Inesorabile, io lo riprof ondavo nella sua onta. Ah, la Walewska, Maria Walewska! Eppure tu sai, eppure sei
certo chella sbarc nel porto di Marciana, una notte di settembre, a visitare il Relegato.
Conf esso che io nutrivo un segreto amore per la bella Polacca di diciottanni, bionda e cerulea, la cui
dedizione allinvocato liberatore della sua patria parve una sorta dimmolazione sublime.
Avevo allora a Firenze per raccomandatario un vecchio colonnello in ritiro; che, dopo aver servito sotto il
Granduca, era passato nellesercito nazionale e, messo al comando della piazza f orte di Pescara, sera
legato damicizia con la mia f amiglia. Raccomandato a lui da mio padre, non soltanto ricevevo ogni
domenica a Prato la sua visita af f ettuosa ma passavo gran parte delle mie f este nella sua casa f iorentina
al Corso de Tintori. Egli aveva un f igliuolo, Pippo, uf f iciale dartiglieria, che mi lasciava montare i suoi cavalli
nel maneggio della Fortezza dabbasso; e una f igliuola ancor nubile, Clemenza, di f resca bellezza e di grazia
vivace, grande amatrice di prof umi e leggitrice di romanzi, motteggiatrice temibile quando la malinconia non
mutava i suoi motti in sospiri. E questa f igliuola naturalmente maveva ispirato una passione occulta, che
una rimembranza napoleonica doveva ancor rinf ocare.
Sai che io somiglio a Maria Walewska? mi disse un giorno chinandosi tutta prof umata di violetta sul libro
dove io leggevo il passaggio della Vistola a Thorn. Anzi i miei amici ora mi chiamano addirittura la piccola
Walewska. Guardami. Ella portava un vestito di velluto azzurro cupo, una gorgerina di merletto color
davorio, e una piuma di struzzo al cappello di f ekro bruno. Il suo viso f ra le sue trecce f aceva pensare a
quei grandi f iori di magnolia che i f iorai vendono intatti in un inviluppo di f oglie strette da un vimine.
Le avevano mostrato, in casa damici, un ritratto in miniatura, proveniente da uno di quei Poniatowski che
presero dimora in Firenze, f orse da quello che mise in musica il Giovanni da Procida del Niccolini e ottenne
dal Granduca la cittadinanza. Ti dico che ci somigliamo come due gocce dacqua. Io avevo gi passato la
Vistola, sbaragliato i Prussiani, varcato anche il Bug, respinto anche i Russi, e f atto il mio ingresso in
Varsavia. Balliamo la mazurka sotto gli occhi dellImperatore! gridai con un ardimento subitaneo. E subito
ci mettemmo a caricare una scatola armonica che f aceva le sue sonatine sin dal tempo del Regno dEtruria,
E ballai con tanta ebrezza che, se lImperatore mavesse visto, certo mavrebbe mandato immediatamente a
raggiungere il quartier generale del Principe Gerolamo dinanzi a Breslau.
Ora ballare la mazurka con la Walewska rediviva, e cercar di tradire il marito di Giuseppina e di Maria Luisa
abituato a questo trattamento, era il mio assiduo sogno. Il nostro maestro di ballo, un ometto monocolo
cognominato Basettino, maveva omai tra i suoi discepoli pi zelanti. La marzucca owerossia bassa
pollacca egli ammaestrava, f orandomi col suo occhietto di pepe gli un quimmdio [quid medium) tra la
porca e i vrzere. Essendo io riuscito a inf ondere ne miei compagni una smoderata predilezione per la
danza di Massovia, lincatarrito violinista al supplizio dellingollar polvere e del ricevere pedate accidentali
aggiunse quello di rimaner per sempre con le sue quattro corde stonate tra la polka e il valzer.
Certo lElbano di Marciana non imaginava la ragion recondita di tanto mio calore nellimporgli di ritrovar le
tracce della visitatrice notturna. Quando giunse alf ine la liberante estate, prima di separarci gli estorcemmo
il giuramento solenne di consacrarsi intero allimportanza del nostro archivio.
Mentre egli partiva per imbarcarsi a Livorno, io andavo a ritrovare la mia piccola Walewska in una chiara villa
di Castello che in antico era stata di Lucrezia Rucellai; perch la providenza di mio padre mi vietava la
barbara terra dAbruzzi f inch non mi f ossi intoscanito incorruttibilmente.
O poggetto della Castellina tra i f reschi boschi rigati di ruscelli! Giardini dei Rinieri e della Topaia ancra
abitata dalla grave eleganza di Benedetto Varchi! Delizie del Vivaio variato dai capricci dellacqua e dalle
f antasie del Tribolo, dove per la prima volta alle cure di Cosimo era f iorito il gelsomino!
Quando i pettirossi cominciavano gi a calare alla mia civetta in gruccia e le lodole ai miei lacci di setole di
cavallo, rison lora della prigionia; e mi convenne ritornar sotto lala della Cicogna invisa colubris comera
scritto su la triste porta. Ma il pensiero di rivedere Dario e di udire le novit dellElba mi alleviava lo strazio
delladdio in un giorno di scrosci sotto la tettoia del Tabernacolo allOlmo assordato da un gran passeraio.
Veramente gonf io e raggiante di novit ci riapparve Vittorio, sbarcato a Livorno come un f iero pirata
crsoligure carico di bottino. Era irriconoscibile: non barbugliava n arrossiva pi; aveva perduto ogni
timidezza, come se avesse f requentato i mamelucchi dellImperatore e i pi callosi veterani della Guardia
nelle taverne di Portof erraio; coloriva le sue narrazioni con particolarit cos evidenti che io e Dario ci
guardavamo in viso stupef atti. Aveva scoperto dessere imparentato con tutte le f amiglie isolane che in un
modo e in un altro si f ossero strof inate alla piccola corte imperiale. Da per tutto aveva raccolto notizie,
reliquie, documenti, rivelazioni. Aveva ritrovato sotto una muraglia della Linguella un vecchietto smunto e
adusto come una sardina af f umicata, chiamato Fan; il quale era stato mozzo nella scuderia di Napoleone.
E questo vecchietto bizzarro, che anche parlando non si toglieva mai di tra le gengive sdentate la cannuccia
della sua pipa di terracotta, gli aveva venduto per un prezzo non ben determinato un mezzo f erro di
cavallo con tre chiodi memori dellunghia di Wagram, del f amoso barberesco storno che lImperatore
montava nella f amosa giornata campale.
Giuri che vero? gli diceva Dario, con la voce che gli tremava in gola, palpando il pezzo di f erro
arrugginito, tentennando nei buchi i tre chiodi contorti, pel suo cuore sacri come se non avesser gi
penetrato lo zoccolo del corsiero ma le carni vive di Colui che sera chinato al disonor del Golgota come il
Re de Giudei,
Mi ricordo sempre dello sbigottimento che di tratto in tratto succedeva ai lampi daudacia negli occhi lionati
dellElbano. Ma, questo f erro, Wagram lo portava nella battaglia, sul piano del Danubio? chiedeva Dario
inebriato dalla sua propria commozione. Che ti ha detto Fan?
Vittorio, vedendo il nostro compagno cos pronto a creder tutto per alimentare il suo sogno e la sua f ede,
pareva tentato di chiudere gli occhi e di rispondere a bruciapelo: S, nella battaglia. Somigliava a
quellattore che, impuntato, non sapendo se dovesse dir s o no, proruppe: Sno. Il monosillabo ambiguo
si disegnava su le sue labbra rosse. Che ti ha detto Fan? incalzava il f anatico. Vittorio allora
rispondeva; Era dif f icile cavargli una parola di bocca. E, quando borbottava, indovinala. Grillo. Ma pare che
lo stornello arabo a lunga criniera f osse il prediletto dellImperatore, che andava spesso nella scuderia a
portargli lo zucchero.
Io, che anche a Castello avevo montato un sauro di Pippo ed avevo vuotato per lui di nascosto tutte le
zuccheriere del colonnello, nellora dello studio riprendevo in mano il trattato senof onteo Dellequitazione.
Le nari bene schiuse f anno s che il cavallo abbia pi dalito e dardore... E le f avole dellElbano mi si
animavano, f ra tavola e scansa. Le labbra sottili di Wagram venivano a cercare lavena su la pagina greca.
Tauris, lo stallone persiano grigio pomellato, che lImperatore montava allentrata in Mosca e al valico della
Beresina, mi guatava di traverso co suoi larghi occhi venati tra i lunghi ciuf f i dargento. Il buon sauro
Roitelet, nato dallincrocio dun purosangue inglese con una giumenta limosina, mi parlava della morte come
il corsiero dAchille sotto il giogo. A Lutzen, gloria sanguigna del maresciallo Ney, una palla di cannone gli era
passata rasente la groppa e gli aveva bruciato il pelo cos da lasciargli la chiazza nuda per sempre. Ad Arcis-
sur-Aube, dove anche una volta il gran Ney aveva drizzato il suo muro di f erro contro ogni sf orzo, al
conspetto dun giovine battaglione impallidito il sauro era stato spinto dal cavaliere sopra una granata in
punto di scoppiare ed era escito incolume dalla nuvola di f umo e di f iamma con in sella il dio sorridente tra il
clamore dei soldati ebri.
Il mio prof essore ginnasiale, un buon prete grasso e molle come una matrona bisantina, quando lesse la
mia traduzione f orbita, con la sua brava nomenclatura esatta del morso e della briglia, non pensava che di
l f osse passato il galoppo f atale del Bonaparte e che io mavessi per calcaf ogli un f erro di cavallo eroico,
ignoto alla vergine unghia della cavalleria di Senof onte.
Ma la Walewska?
Il riccioluto Elbano preludiava con una gesticolazione muta, come se una straordinaria plenitudine gli
sof f ocasse la f acondia. In f atti la sua scoperta aveva del prodigio. Un suo zio chiamato Saverio era il
f igliuolo dun medico di Marciana, il quale a suoi tempi ebbe dimestichezza col dottor Joureau. E questo zio
Saverio conservava un piccolo archivio napoleonico, ove tra le altre cose preziosissime era una copia
f edele di taluni scritti giovenili del convittore di Brienne. Ed era egli medesimo il proprietario della vecchia
casa abitata da Madama Letizia, durante il soggiorno estivo del f iglio allEremo. Ed egli af f ermava daver
veduto un giorno con grande sgomento, entrando nella sala gialla del primo piano, la madre dellImperatore
seduta come la statua di Agrippina romana.
Ma la Walewska?
LImperatore, per f uggire gli ardori della canicola, sera rif ugiato nellEremo, allombra dei castagni secolari.
Abitava in una cella, come un asceta, con la semplicit di un pastore del Cinto o del Padro; non aveva corte,
non aveva cuochi n bottiglieri; scendeva ogni giorno a Marciana per pranzare con Madama e poi risaliva sul
monte. Una sera di settembre lAmante misteriosa sbarc nel porto. Lattendevano palaf renieri e f amigli coi
cavalli sellati. Ella mont a cavallo e spron impaziente per la via sassosa. La luna splendeva sul golf o di
Procchio e sul granito del Capanne. Ma dalla roccia Fetovaia sorgeva come un mostro una grande nuvola
f osca. Gi, a mezzo dellerta, il plenilunio era ingoiato. Di SLibito scoppiava il nembo. Al lume dei lampi, sotto
la f oresta che si torceva e gemeva, lAmante sincontr col cavaliere ansioso. Egli cavalcava il baio
possente che non era scoppiato nella corsa terribile da VaUadolid a Burgos quando il condottiere parve pi
celere della Vittoria...
Vuoi una reliquia della Walewska? mi chiese lElbano, non senza concitazione, per f inire con una
pennellata di gran rilievo la sua pittura romantica. La vuoi? Eccola. Mi mostr un brandelletto di casimir
amaranto che la visitatrice aveva lasciato in uno sterpo lacerando nel turbine il suo mantello.
Fui pi f acile di Dario. Non richiesi alcun giuramento. Forse era quello un onesto ritaglio casalingo; ma certo
era qualcosa di f eminino e dun colore patetico, che bastava a commuovere la mia imaginazione orientata
verso la Veneretta del Giambologna, che con tanta venust in cima alla f ontana della Petraia si torce la
chioma grondante.
LElbano per aveva trascritto dai quaderni dello zio Saverio la f unerea prosa giovenile del Bonaparte, che
comincia: Toujours Seul au milieu des hommes, je ventre pour rver avec moi-mme et me livrer toute la
vivacit de ma mlancolie. De quel cot est-elle tourne aujourdhui? Du cot de la mort. Ohimei!
Dario in conseguenza minf lisse alcune settimane di disperata cupezza, costringendomi ad ascoltare le
strida imaginarie dellupupa f oscoliana mentre nel mio cuore cantavano tuttavia, come alle f alde del Monte
Morello, le lodole che non avevo potuto prendere con le mie pnere.
Nellora della passeggiata, camminavamo in silenzio lungo le sucide gore che servivano a gualcare i
pannilani, trasmutate per noi in morte riviere dinf erno. E il mio compagno, se bene ombra silente, non
trascurava di portare la mano sinistra dietro il dorso e la destra sul petto inf ilata tra due bottoni del
cappotto grigio.
Toujours Seul au milieu des hommes... sospir un giorno lepidamente il superstite suddito di Napoleone, il
gentile isolano, tentando di schiarire col suo sorriso promettitore di nuove reliquie lumor melancolico di
Dario. Rendimi lo scartaf accio dello zio Saverio, che omai pi consunto della Grammatica di Salvadore
Corticelli. Rendimelo. scritto con due tristi inchiostri: luno, cllora rossa che calda e secca; laltro,
cllora nera che secca e f redda. Se me lo rendi, ti do unaltra orliquia che ho in serbo: una orliquia
equestre!
Sbito si drizzarono in me due orecchi impazienti, come se nellestivo cavalierino di Castello rimasto f osse
stallo il sauro di Pippo f ratel di Clemenza Walewska. Mettila f uori sbito gridai. Dov? Mostrala.
Dammela. Lo scartaf accio dal censor Bereni che col suo pessimo f rancioso pretende di correggere il
cattivo f ranzese del suo compatriotto, peggiorato dagli sbagli dortograf ia che vha prof usi il copista
elbano. A me lilletterato Cice consiglia per corroborante i Comentarii di Cesare ignudi, e magari quelli del
Montluc.
Alla inattesa irriverenza parve che nello sguardo di Dario si stemprasse il cesareo Tu quoque. Ma io, chero
in una delle mie ore di classica empiet, scrollai le mie spalle diconmaco saputissimo e balzai sopra il
subornatore di Fano. uno sperone? una f onda? unaquiletta della gualdrappa o del pettorale? una f ibbia
di staf f ile? un burello? un anello?
Il mento di Dario cominciava a vacillare. Non balbett egli non una delle due cif re ricamate nella
coperta di velluto? Non lEnne?
Presi per le gomita lElbano, squassandolo. Ma parla, ma muoviti, perdio! Mi sembri pi rattrappito del tuo
Fano.
Come lo vedevo circospetto, e ricoverato dietro un sorriso vago, contenni a stento una nuova irriverenza
sibilante. Si tratta dun altro ritaglio, come quello di casimir polacco, estratto dal canterale arruf f ato di
Madama Letizia?
Tu devi sapere disse Vittorio arrossendo che il mio Fano ebbe pi duna volta lonore di spazzolare
quella magnif ica sella di velluto chermisino che nellAnno XIII f u comperata per sedicimila f ranchi, tutta a
ricami di cif re e daquile coronate, col pettorale dargento a due passanti, co voltoi doro, con le staf f e
doppiate doro, f atta a misura di quel palaf reno da comparsa, normanno di gran corpo, leardo, codilungo,
chiomante, di nome lIntendant, che Napoleone non montava se non per f are le sue solenni entrate di
vittorioso.
Montava malissimo f ece dun tratto una voce sottile, nasale e tranquilla.
Era la voce del mio vicino di studio; che aveva tavola e scansa dietro di me come il pota da Mdona le
aveva a me davanti.
Sussult il compagno dagli occhi senza cigli, serrando le modiche labbra che talora della bocca gli f acevan
quasi una cicatrice recente. Ma io, che aspiravo gi a doventar maestro nellarte del cavalcare e che tante
volte nel ricordo respiravo lodore della scuderia paterna f atto di f resca paglia e di f resco f ieno e
dinumidita avena e di pastone caldo, io non seppi resistere al mio demone di quellora sarcastico e
iconoclastico.
Parli Gian da Luni! squillai col pi metallico de miei toni, con una specie di allegrezza dominatrice che
simpadron dei cancheri gi raccolti presso le tre tavole studievoli o sollazzevoli.
Parli Aronta! berci il coro maligno.
Lo Carrarese che ronca e ronca e ronca!
Sembravo aderire alla vita astante; e pur sera f atta dentro di me una di quelle repentine solitudini dove non
pi balenava se non la inesplicabile e indisciplinabile variazione dello spirito e della carne. Tutto mi sf uggiva,
a un tratto; e nondimeno io potevo per qualche attimo seguire la f ugacit f in sul punto dannullarsi. Ogni
gravezza di pensiero salleviava dif f ormandosi. Ferme parole di ieri perdevano ogni peso di sentenza, si
attenuavano, dileguavano, sagguagliavano al perpetuo gioco delle menzogne. Le avevo prof erite in
contraddizione di me, come ora ne dicevo altre in dissidio con me, straniere alla mobilissima vita del mio
essere prof ondo, sonore e f alse e tuttavia toccate da non so che sof f io dun mio af f anno inconsapevole,
duna mia segreta smania, duna indistinta mia scontentezza. Mi piaceva di gualcire il f iore istesso
dellamicizia verace. Mi piaceva di of f endere un sentimento che mera parso un rif ugio e unalleanza, delluno
e dellaltra sdegnoso per f umo dorgoglio. Mi piaceva dinventare improvvisare suscitare su da
quellannientamento, su da quel vuoto, una diversa f accia della mia vita per gioire sbito della mia novit,
della mia libert, del mio rischio. Al limitare delladolescenza, una maniera di distruggere poteva essere una
maniera di acquistare. Ma ladolescenza mera ancor lontana come linf anzia, e vicina come linf anzia. La pi
astrusa parte di me somigliava tuttavia al silenzio orgoglioso e iroso di me f anciullo raggomitolato su la
predella dellinginocchiatoio per serrare e celare i miei mali.
Che hai? mi chiese Dario con una voce smorta e intima, come se camminassimo di paro lunghessa la
cinericcia gora.
Perch dunque, di l dal voco e dal trepesto dei cancheri, udivo tutti i rumori del piazzale su per le f inestre
a tramoggia: richiami di donne, piagnucolo di bimbi, uggiolo di cani; e lo sgocciolare delle cannelle, l nel
lavabo; e il passo del bidello nel corridoio; e il pianof orte del maestro Ciardi, e il violino del maestro Nuti, e il
trombon tenore del maestro Chiti, sordi e conf usi, attraverso usci e solai? E come al mio trasognamento,
momentaneo e pur senza tempo, tante dissonanze parevan consonare e quasi dare al mio orecchio f erino
e scolastico la percezione di uno schema per arsi e per tesi? Non so; n larticolato linguaggio mi aiuta a
esprimere quellinarticolato apparire e vanire, f luire e arrestarsi, rilievarsi e cancellarsi, mancare e nascere.
Ma, poich di sopra alla tramoggia, nel vano della f inestra di contro, il pomeriggio di novembre trascolorava
come una mestizia senza f igura, essere io dovevo altrove che f ra due scaf f ali e due tavole, f ra due cartelle
e due calamai. Uno spirito di me mal f igurato mi f aceva sof f rire, e avversare ogni altra ef f igie conosciuta di
volont eroica. I galoppi spietati del Bonaparte attraverso i campi di battaglia, e i suoi troppi cavalli dogni
sangue e dogni pelame, e le sue cento otto selle dellAnno XIII covertate di cremisino merano remoti e
alieni, ad esempio, quanto gli Abanti che, combattendo sempre a piedi e a viso a viso con la spada corta, si
tendevano i capegli per non porgere la presa.
Parli Aronta! trogli il coro melenso.
Questo Aronta convittore aveva dellaruspice gli occhi un poco divergenti e la bocca sinuosa, e nella
f attezza e nel colorito del volto una immutabilit di maschera dipinta coi succhi dellironia: un risettino
canzonatorio secondo larguzia dellistitutore pistoiese cos costante che ne suoi muscoli coperti di
pelle troppo lustra pareva inciso, al tempo della culla, da un qualche Mometto sozio dei Fantiscritti patroni
della cava azzurricina. La sua mente lucida e gelida aveva per insegna una f ronte sporgente che a
Giovanmaria Cecchi dei Dissimili sarebbe parsa invetriata. E veramente mera egli tanto dissimile che pel
suo perspicacissimo gelo attraeva il mio ardore senza spegnerlo. Dai bianchi marmi della sua Carrara e
dallamore per la prosa greca egli parea derivare un gusto puro che sopravanzava il grado de suoi studii.
Pi che scolare della Cicogna, egli era alunno dellAcademia f ondata dallultima discendente dei Cybo. Dalla
raccolta dei modelli eccellenti aveva appreso il Cnone di proporzione; e ogni sconvenienza, ogni
intemperanza, ogni arroganza, ogni gonf iezza lo moveva a ironeggiare, con un presunto abominio greco
della barbarie. Di tavolino attigui, spesso studiavamo grammatica insieme, e insieme spulciavamo il gran
Thesaurus Graecae Linguae di Enrico Stef ano o il Lessico dello Scapola; e mi sollazzava quella sua
pedanteria quasi petulante nellimpormi i suoi cnoni grammaticali, come un grammaticuzzo dAlessandria
con in man la scotica. Ma, in verit, egli era il secondo specchio del mio dittico di riprova specchiante.
Nellamicizia di Dario miravo e misuravo le mie f acolt di azione; nellamicizia di Gian da Luni miravo e
misuravo le mie f acolt di acume e di sottigliezza, di arguzia e di eleganza, e specialmente il mio
attentissimo f urore del bello, il decoris furorem di Silio. Cos nelluno e nellaltro compagno, che mal
dissimulavano la lor mutua avversione, io mi compiacevo perch luno e laltro mi servivano allesperimento
di conciliare in me linconciliabile e di scoprire in me linimitabile. Entrambi egregi f uori della greggia mi
davano il piacere f requente del riconoscermi a entrambi superiore in quel che avevano di pi vivido, di pi
strenuo e di pi singolare. E in questo merano dittico di riprova: per esempio, quando Gian da Luni
tornando dalle vacanze mi port le Odi e i Frammenti di Saf f o in un libretto sgualcito e scolorito chio presi
nelle mie mani tremanti come se mi si ravvivassero tra le dita le violette intessute dal sorriso di miele, Seduti
su nostri sgabelli, quasi a tempia a tempia chini su la pagina, eravamo irreparabilmente separati dallinf inito
del sentire. Diceva egli, f iltrando nel naso la voce perch non le rimanesse nulla di sanguigno e di
numeroso, diceva: Mi sembra che tu ti stupisca, Gabriele. Ebbene, sappi che gli Eolii contemporanei di
Saf f o non usavano lo spirito rude... Non lo spirito rude ma non so quale altro spirito mi rivelava dal
prof ondo la mia vocazione di scrittore e mi comunicava lebriet del ritmo non percosso. Per la prima volta,
veramente, mi silluminava a sommo del petto il mistero adorabile della parola collocata con larte della stella
pi insigne nella f igura della costellazione. Senza parlare, distolsi quel dito unghiato che seguendo il verso
mi f aceva sof f rire come se sf ogliasse la pi tenue f ra le rose scempie di Mitilene.
Non cessai di leggere e rileggere la notturna strof a f inch non mi rimase nella memoria e
nellansiet. Poi, per pi giorni i cancheri mi credettero preso da una sorta di demenza alterna; ch non mi
saziavo di intonare con due voci i due versi dellepitalamio. - ... - ... E non volli
pi consultare insieme con Giannetto il Thesaurus.
Ora Dario diceva al Carrarese, in guisa di ammonimento: Il marmo della tomba di Napoleone f u tratto dalle
cave di Colonnata. Lo sai?
Avendo nella bocca il sapore della f ontana di Maria Beatrice Cybo dEste, il Carrarese abominava lacre
barbarie di Elisa Baciocchi che per ventilare il suo palagio di Massa aveva abbattuto la cattedrale antica; e
nel suo abominio accomunava tutta la f amiglia del Crso ignava rissosa e cupida.
Ecco un Bonaparte a cavallo, un disegno di Orazio Vernet, da convertire in monumento equestre col tuo
miglior marmo di Crstola insisteva Dario, non senza unaria di mal f renata provocazione.
Questo pu esser Pompeo, pu essere Germanico o Traiano o Marco Aurelio o un qualunque altro
cavalier latino che magari, da vivo, f osse pi cornpede e meno alpede del cavallo rispose pacato Gian da
Luni, col suo risolino f isso. Puoi anche provarti a mettere in groppa a un corsiere del f regio f idiaco il tuo
Bonaparte, grasso, col ventre su le corte cosce, con la testa china, col dosso curvo, come insaccato, co
ginocchi in f uori, con le staf f e lunghe, con le redini lente. Al primo sbalzo, casca, batte il capo contro un
tronco, e tramortisce, come a Mortef ontaine. Al primo ostacolo, si rivltola nella belletta, come a Boulogne.
Quivi anche, al primo arresto brusco, passa di sopra agli orecchi della sua bestia e trincia la capriola in aria.
Non ti f idare n ai pittori cesarei n alle stampe popolesche. Il mito di Napoleone nato dal culto delle
imagini. Mi meraviglio che tu non ne possegga almeno una delle tante che rappresentano il ponte di Lodi e il
Bonaparte su esso ponte con la bandiera in pugno. Ebbene, Dario, non il tuo eroe pass il ponte, non egli
condusse il combattimento. Ma, dopo, a un giovine incisore di Genova mand venticinque luigi
raccomandandogli di dare opera a una stampa del ponte di Lodi. Lincisore piant subito il largitore in co del
ponte, dove limagine temeraria omai rimane immortalmente. N pi si accosta al vero lepisodio di Arcole. Da
Lodi, da Arcole appunto incomincia la menzogna di tutte le arti in gloria del Crso. E singolare che, in tanto
glorif icato ardire, egli non sia mai rimasto f erito, f uorch una volta. Invulnerabile come Achille, f u f erito una
volta leggermente al piede in Ratisbona; e, dopo la rapida f asciatura, quanto se ne valse!
Il compagno dagli occhi senza cigli ora pareva imitare il riso f isso del Carrarese. A quando a quando crollava
il capo. Con un accento pi amaro del miele isolano, disse: Gian da Luni, io non son dotto come tu sei. Ma
non ignoro che i tuoi Lunensi straf acevano caci pesanti pi di mille libbre, a f oggia di zucca f rataia.
Il f ornitore del marmo di Crstola non mut la sua f accia invetriata. Gli era riconosciuta dai cancheri, e da
qualche scrivano reduce dalle patrie battaglie, una certa autorit militare, per esser egli nipote diretto di quel
generale Domenico Cucchiari che f u buon combattente nelle guerre dellIndipendenza e risplendette eroe tra
gli eroi della battaglia di San Martino.
Poich tu con tanta imprudenza ti arrischi a citar Plinio senza nominarlo disse lironeggiatore
imperturbabile ti porter e doner, dopo le vacanze natalizie, una bella stampa che rappresenta
Napoleone in Italia meditabondo presso la tomba e lalloro di Vergilio; af f inch, per tal documento, tu possa
celebrarlo anche gran Latinista e cupidissimo della gloria delle umane Lettere, come direbbe Monsignor
Giovanni della Casa che qui ci salvi dalla mala creanza dellalterco. Vedi, Gabriele, che anchio so prosare
come te, se mi ci metto.
Piena lode! sibil Dario, le cui labbra si af f ilavanosempre pi a taglio. Riponi dunque il tuo gran cacio di
Luni nella caciaia della tua parola; e andiamo a rileggere il Galateo.
Ma, se vogliamo abbuiare lonesta chiarezza, f acciamo intervenire nello sragionamento anche il Seneca
delle Pistole, per sentenziare una verit caciaiuola che ti quadra bene, o Dario. Il sorcio una parola; il
sorcio rode il cacio; adunque la parola rode il cacio. Ma con questo non ho f inito. Prima che lElbano ci
mostri lorliquia equestre, conviene onestamente che dallassenza del Primo Console sul ponte di Lodi e su
quel dArcole io concluda col viaggio dellImperatore allisola dElba.
Sentivo lo sguardo inquieto e penoso di Dario sul mio dubbio silenzio, su la mia tolleranza immota, su la
dissimulazione dellinterna mia vertigine struggitrice; scorgevo a quando a quando linquietudine e lo
stupore dei cancheri f issi allincomprensibile mio atteggiamento. E, f orse, proprio allora in taluno sorse il
disegno audace dei cartelli ingiuriosi da appiccare al dosso dei libri che parevan gi sconsacrati; f orse allora
a taluno balen lallegrezza del pasquinare.
Ascolta, Vittorio elbano riscurato dal f umo della pipa di Fano continuava imperterrito il Carrarese
odiatore di Elisa Baciocchi, sogguardandomi nellimitar la mia maniera f iorentina di prosare alcuno.
LImperator deposto aveva chiesto che, mallevadori della sua sicurezza, lo conducessero allisola dElba i
commissarii delle cinque grandi Potenze. Cinque testimoni dunque laccompagnavano che non ostili per
rassicurarlo consentirono a travestirsi, consentirono a mutar co suoi i loro panni, non senza il rischio di
esporsi in suo luogo ai colpi della plebaglia f uribonda! Ad Avignone, la turba url e scagli sassi. Ad Orgon,
f u intraveduta nellaria una f orca donde penzolava un f antoccio insanguinato. Pallidissimo il Bonaparte, in
f ondo alla carrozza, cerc di nascondersi dietro il generale Bertrand che gli sedeva accanto. Poi, non
dominando il terrore, giunse a incapperucciarsi da lacch, a mettersi una coccarda bianca, e a correre
innanzi. Ma, come le carrozze rallentavano, si venne a peggio; perch in Saint-Canat il popolo tent di
f orzare gli sportelli e di trucidare quel povero Bertrand che occupava il posto dellImperatore. Nella locanda,
dopo aver cercato invano di passar per Inghilese, il detto Imperatere propose di tornare indietro f ino a
Lione per intraprendere unaltra strada. Puerilmente lasciava gocciolare le lacrime, e studiava il modo di
scappar dalla f inestra. Ma la f inestra era inf erriata, e f orse spiata dalla turba selvaggia. La locandiera
sopraggiunse assicurando che la turba si disponeva ad accoppare e ad af f ogare il Bonaparte. Ed egli
tramenando f aceva f inta di applaudire. Rif iutava il pasto comune, temendo che i commissarii f ossero per
avvelenarlo. Perduto ogni ritegno, a tratti si sf orzava di ricacciare in gola il singhiozzo con una parlantina
convulsa e insulsa, rassegnandosi alla Commedia dellArte senza arrossire. A mezzanotte f u dato il segno
della partenza; e un Russo, aiutante del commissario Schuvalow, per rassicurarlo ancra, volle
graziosamente indossar quellabito che aveva f atto delleroe di Lodi e dArcole un lacch in corsa. E questi
inf ine si travest da generale austriaco indossando labito bianco del commissario Kohler...
Il rullo del tamburo nei corridoi, il segnale delle tre ore di studio, interruppe il racconto atroce. Nellombra
della camerata, il compagno dagli occhi senza cigli sera ritratto, era scomparso. Scorsi la sua lucerna
accesa, e lui curvo al suo tavolino laggi, con il capo tra le pugna. Altre lucerne saccendevano. Al bisbiglio e
allo scalpiccio succedeva il silenzio dello sgobbo.
Allora io medesimo accesi la lucerna di Aronta, e la mia. Dissi, con un cuore che mi sanguinava
meravigliosamente: Domattina al prof essore di Storia e di Geograf ia diremo che abbiamo udito pi dun
grido venir dal piano di Maratona.
E presi nella scansa il sesto libro di Erodoto.
Non so ridire il mio sentimento dallegrezza e darmonia quando, per le vacanze natalizie, ritrovai a Castello
la mia piccola Walewska nella casa di Lucrezia Rucellai. La mia toscanit era gi cos prof onda che un
cipresso al limite dun olivete bastava a f armi palpitare il cuore come la chiusa dun sonetto di Gino o di
Guido.
Era un inverno nitido come quel cristallo di rocca che inciso i Medici amavano legare nelloro. La campagna
era quasi deserta duccelli, ma per me le memorie cantavano in lor vece. Da per tutto saf f acciavano f igure
di gentili donne del tempo di gi. E sul prato ch dinanzi al Lepre dei Rinieri ci pareva dincontrare la Dianora
vedova di Bernab Malaspina, lOttavia di Gismondo della Stuf a, la Lucrezia di Pier Francesco Rinuccini. E
dagli Arcipressi, che f u dei Mini speziali al Canto del Giglio, scendeva quella Lisabetta onde Amerigo
Vespucci f u generato al mare ignoto. E veniva dalle Brache Camilla dAntonio Martelli, la giovinetta sposa
inf elice di Cosimo vecchio. E il Lasca sbucava motteggiando dal Pozzino.
La villa di San Poteto, l verso Quinto, ricostruita da Camillo Borghese, non portava ancra il nome di
Paolina? Ma quelle altre gentili donne non mi lasciavano pi ammirare la reine des colifichets, a quel modo
che il Ghirlandaio annullava gli af f reschi del Bezzuoli ed il Verrocchio i bassi rilievi di Aristodemo Costoli cari
al principe romano.
Clemenza mi chiedeva, sgranando i suoi occhi di pargoletta: vero che si bagnava in dieci pinte di latte
due volte la settimana e che viaggiava sempre con un letto di legno di rosa? Io le rispondevo: S; e anche,
per preparare le sue quadriglie mitologiche, aveva seco sempre i suoi maestri di ballo e i suoi violinisti
ripetitori. Balliamo la mazurka strisciata. Maria Walewska!
Rapito senza rossore al reliquiario, il brandello di casimir amaranto le f u of f erto proprio il giorno di Natale,
in guisa di strenna storica. Ne f ar un cuscinetto per gli spilli disse ella ridendo a f orma di cuoricino.
Andammo alla messa notturna nella chiesa medicea di San Michele. Senza sentire il f reddo, camminavamo
lungo i giardini murati che dovevan esser pieni di limoni e daranci. Di tratto in tratto udivamo il chioccolo
duna cannella o lo stroscio duno zampillo, quasi una musica bassa di sotto allalto concerto delle
campane. Un gran cipresso nero toccava le stelle. Poi le stelle savvicinavano tanto che io credevo di
vederle impigliate come lucciole nel tcco di zibellino.
Al canto duna via pi buia, ella mi prese per mano, con latto duna sorella maggiore. Sentendomi tremare,
mi domand: Hai f reddo? E mi copr il collo con lestremit del suo boa.
No dissi piano. Sono lImperatore.
Al mio ritorno, Dario non mi dissimul il suo malcontento n mi risparmi la sua ironia. Senza saperlo,
imitammo quellabominevole Dialogo su lAmore che ha per interlocutori linnamorato Des Mazis, laustero
Bonaparte e il Luogo-comune col cappello bislungo a due punte. Comment, monsieur, quest-ce que
lamour? Eh quoi! Io non conf essai la mia piaga vera. Il giorno prima della mia partenza dalla casa ospitale,
avevo scoperto che la piccola Walewska era f idanzata a un commilitone di Pippo, luogotenente dartiglieria
come il giovine Crso nel f amoso assedio!
Sul principio rilessi anchio, col capo f ra le mani, la prosa f unerea sul disgusto della vita (La vie mest
charge, etc. etc.), e anchio riguardai con occhio torbido le gore dei lanaiuoli pratesi. Ma una mattina
trovammo inf isso, nel palchetto della scansa overano ordinate le Storie napoleoniche, inf isso con due
pennini dacciaio uno di quei castagnacci rotondi, zeppi di pinocchi e di zibibbo, intrisi nella Montagna
pistoiese; e, sotto, liscrizione inf ame: Ecco il sole dAusterlitz. Subito scotendo da noi ogni pensiero vile
e vano, ci riarmammo di volont eroica e ci gettammo nella lotta.
Bisognava tener testa alla reazione. La biblioteca insigne pareva trasmutata nel torso di Pasquino, tanti
erano i motti che vappendeva una mano ignota e sacrilega. Limagine del martire di SantElena sanguinava
sotto i vituperii. Egli era chiamato villan riunto, becco e becchino, carnef ice panciuto, assassino del
duca di Enghien, strangolatore del Pichegru, f rodatore di Baiona, orco di Corsica, f ratello
incestuoso della Messalinetta di Guastalla, Giove Brighella e ben altro.
A quando a quando un grido ostile, messo da una voce contraf f atta, sorgeva da un gruppo chiuso ma
pronto a sciogliersi. La camerata si divideva nelle f azioni pi diverse e avverse. Lo spirito di parte ribolliva e
f ermentava peggio che nella Prato dei Dagomari e dei Guazzalotri, peggio che nella Pistoia dei Panciatichi e
dei Cancellieri. I romanzi di Alessandro Dumas vecchio f olti davventure e di millantature, le Storie popolari
f atturate di aneddoti, di leggende e di partigianeria, i drammacci rimpolpettati di retorica giacobina, le
vignette e le stampe di propaganda pi grossolane e pi truci alimentavano la passione criminosa e
limaginazione sanguinaria dei cancheri e dei cancherini irritati da mesi di clausura e di tirannide. Lincendio,
la f orca, la scure, la mannaia, lo stupro, la carnef icina a polvere e ad arme bianca erano i sogni spaventevoli
di tutta quella puerizia vestita di panno turchiniccio come la f anteria di Sua Maest. Limpresa dOliviero
Cromwell, la guerra di Vandea, lo sgoverno del Terrore erano i tre temi principali di quel delirio mimetico.
Ciascuno, dopo aver masticato la sua f etta di lesso e dopo aver balbettato il suo latinuccio, voleva
dimenticar s medesimo e la sua piccola vita per ansare sbuf f are ruggire nella pelle dun eroe violento.
Talvolta il bisogno della f inzione istrionesca prendeva gli aspetti della vera alienazione e giungeva agli
eccessi della demenza.
Mi ricordo di certe giornate pioverecce quando il passeggio era abolito ed eravamo costretti a rimanere
nella camerata uggiosa che aveva le f inestre a tramoggia. Al primo uscire dalle aule scolastiche, i cervelli gi
sintorbidavano. Salivamo con disciplina quel ramo delle scale che poteva ancra essere sorvegliato
dallandito ove bazzicavano le autorit. Sul principio del secondo ramo, invasi da una sbita f uria, gittavamo
un ululo concorde salendo i gradini a quattro a quattro, con limpeto dei combattenti di Villa Corsini o di
Calataf imi, irresistibili. Un colpo di spalla spalancava la porta; ed entravamo berciando, scalpitando,
sbatacchiando libri e cartelle su le tavole col piglio f eroce dei mercenarii dErode in atto di schiacciar contro
i muri le teste degli Innocenti.
Mi pare ancra di sentir salire in quel tumulto lodore dellammattonato che i servi avevano sparso dacqua
nello spazzarlo: un odore molliccio, disgustoso e un poco sof f ocante, che saccomuna nella mia memoria a
tutte quelle brutalit come il f umo del sangue ai delitti della storia. Succedeva un intervallo di smarrimento e
di f ame vorace. Ciascuno prendeva nel suo cassetto e addentava il pane, il panf orte, la schiacciata, il
biscotto o il cantuccio. Sul rumore della masticazione f rettolosa, sul moto delle ganasce, su le guance
gonf ie dun boccone soverchio, gli occhi gi cominciavano a mutarsi come se in ciascuno dei divoratori gi
cominciasse a vivere il personaggio chegli voleva f ingere. A un tratto, un rauco clangore f aceva sobbalzare
tutti e tra le briciole scosse tutti f remere di battaglia.
Era una corna di porcaro dellAgro romano, che il f iglio dun mercante di campagna aveva portato dal suo
casale per sonare la radunata delle bande vandeane. Ci sof f iava dentro con tutta la f orza de polmoni,
rimbombando il richiamo selvaggio per boschi e per riviere; ch egli non era se non Francesco Atanasio
Charette in persona, il gran partigiano dalla testa di gatto selvatico, gran violatore di leggi e di f emmine,
segatore di polsi republicani, propagginatore di patriotti, inaf f errabile e indomabile. Sul regolo, che gli
teneva luogo della ricca spada of f erta dal pusillo Conte dArtois, era scritto con inchiostro rosso: je ne
cde jamais. Al suono del corno di bue i Vandeani si drizzavano, digrignavano i denti, serravano le pugna; e
accorrevano al macello.
Una voce allora gridava nellimbuto di due mani ancor dolci di marmellata appiccicaticcia: La colonna di
Maienza giunta nella Vandea!
Gridava unaltra voce chioccia: Il duca di York arriva davanti a Dunkerque con ventimila Inghilesi e dodicimila
Austriaci!
Ma una voce pi f erma e pi tremenda, una voce darcangelo, diceva: Amici, necessario che qui voi vi
f acciate uccidere. Senza dubbio era il prode Klber, nelle vicinanze di Torf ; che poneva il suo pugno
duomini a capo del ponte.
E chi erano quei due che a vicenda si sporcavano dinchiostro il muso, presso il banco del pref etto? Era
Oliviero Cromwell che, nel f irmare lordine di morte per Carlo Primo, f aceva quella lugubre burla al suo sozio
Martyn; e il sozio gli rendeva la pariglia.
E quegli altri due che, seduti a una tavola, luno di contro allaltro, mangiavano un castagnaccio non senza
ghigni sinistri e rotamenti docchi? Giuseppe Lebon ad Arras cenava col boia.
Lombra del Terrore si spandeva sotto la volta a botte. Gli sgabelli trascinati imitavano il rombo dei carri
carichi di prigionieri intrepidi o tremanti. La Legge dei Sospetti non risparmiava nessuno. Gli interrogatorii si
seguivano speditamente. Conoscete la cospirazione? No. Non siete un ex-nobile? No. Non siete
f orse un prete? No. Non eravate il servitore dellex-costituente Tal de Tali? No. Non eravate
larchitetto di Madama? No. - Non avete il vostro suocero al Lussemburgo? No. Ebbene, andate alla
morte!
Il Fucecchiese melenso, quello dal capo triangolare, savanzava tentennando il suo collo di testuggine, e
sof f iava con la voce f essa: Io non sono accusato. Il mio nome non nella lista. Tonava il condannatore
scrollando le spalle: Me ne straf ischio! Datemi il vostro nome, e andate alla morte.
Nei pressi della ghigliottina avveniva allora una metamorf osi pi che ovidiana. I condannati si trasmutavano
in macube, in cetonie, in bucaperi, in raganelle, in lucertole, in topolini, e perf ino in salamandre e in
camaleonti. Tutta quella gente innocua, raccolta lungo le gore o lungo il Bisenzio, su per i gelsi i salci i
pioppi, intorno alle vasche, nelle grondaie o nelle sof f itte, quella gente piccola e ignara a cui il Firenzuola
non aveva dato la parola n la saggezza, passava sotto il f il della mannaia maneggiata dal boia senza f allo.
Ah, questo Robespierre insaziabile! Era Bertrando Barre, lAnacreonte della Ghigliottina, quello che
sbuf f ava cos, lasciandosi cadere nella seggiola bassa destinata al lavamento ebdomadario de nostri piedi.
Poco dopo, ritto su la medesima seggiola come su un piedestallo, sentenziava solenne: La libert una
vergine il cui velo non pu essere sollevato senza colpa. Il nostro pedagogo, il concittadino di Vanni Pucci,
tanto schivo dallo squadrar le f iche al cielo quanto ghiotto delle sue unghie, si scoteva e protestava contro
la f rase lubrica. Alla Badia ! Alla Badia ! si vocif erava da ogni parte. La Montagna pura, la Montagna
sublime! Il Saint-Just rovesciava le sue tasche, per mostrare che non le aveva piene di liste. Il Tallien
mostrava allAssemblea un pugnale di legno. Un Giacobino gridava; Io vengo a deporre nel seno... Ma il
pedagogo si scoteva, nuovamente scandolezzato, e interrompeva la f rase lubrica. Per lultima volta,
Presidente degli Assassini, io ti domando la parola, gli urlava il Robespierre tendendo verso di lui i pugni
chiusi e rovesciando in dietro il viso convulso. Il sangue del Danton ti sof f oca! E un istrioncello novellino,
troppo impaziente, gettava sul muso del tiranno una bottiglietta di carminio, senza dargli il tempo di tirarsi il
colpo di pistola preveduto.
Le costole di f erro, le teste tonde, i banditi di Vandea, per qualche momento sopraf f atti dal dramma del
Terrore, si risollevavano e operavano senza pi curarsi di quel che accadesse intorno.
Ciascuno combatteva pel suo dio, pel suo re, pel suo padrone, pel suo bottino, per la sua gloria,
interamente invasato dal delirio mimico chei sera scelto, gesticolando e blaterando in s come il pazzo nel
corridoio del manicomio.
Latroce Charette savanzava col braccio al collo e con la testa avvolta in una pezzuola, come quando f u
condotto a Nantes per essere f ucilato; si strappava le bende e comandava con magnif ica insolenza,
sbarrando gli occhi f elini: Fuoco!
Massimiliano Robespierre stava disteso sul banco del pref etto, con un pacco di libri sotto la nuca, f acendo
sangue dal labbro e dalla gota. Come sasciugava con una ciabatta simulante il f odero della pistola, gli
assistenti gli davano pezzi di carta perch meglio con quelli si nettasse.
Oliviero Cromwell, duro e f reddo sotto il suo imaginario f eltro di puritano, massiccio su suoi imaginarii
stivali a tromba, con limpenetrabile torace f asciato dimaginario dante, si chinava a guardare il cadavere del
Re, gli toccava la testa per accertarsi chella f osse veramente recisa, e diceva con la voce diaccia: Ecco un
corpo ben costrutto, che prometteva una vita lunga.
Ma il decapitato disteso nella bara non era se non un f also monarca. Il vero Carlo primo dInghilterra, il vero
Stuardo, il vinto di Naseby, ricusava costantemente di f arsi decapitare e di f arsi poi riappiccare il capo al
collo per ricevere la visita del nemico. Nel processo del suo martirio, egli si f ermava al punto pi patetico,
allepisodio dello sputo; e non cera verso di spingerlo f ino al ceppo, se bene vi f osse qualche buono
ef f etto da trarre nellora del boia, specialmente in quellinterrompersi continuo per ripetere al gentiluomo:
Attento alla scure; non mi toccate la scure; non mi guastate il taglio.
Quanto misteriosa la vicenda che d maggiore o minor vigora alle impronte della memoria! Misteriosa
f orse come il rilievo e il legame de sogni. Figure ed eventi in apparenza poco notabili rimangono impressi
indelebilmente, quasi nascondano un enigma dello spirito o un emblema del destino. Forse scioglieremmo
luno o comprenderemmo laltro, se ci dessimo la pena dindagare e di meditare. Ma anche i pi vigili e i pi
inquieti si acquetano nella nozione della stranezza e nel culto del caso. Si sa come del sangue si sia
giovato talun morituro a scrivere su la parete il testamento del suo eroismo. Forse un giorno luomo sapr
leggere e interpretare quel che in lui medesimo il suo sangue di continuo scrive.
Perch f ra tanti aspetti attitudini gesti di quel tempo io serbo cos viva limagine di quel mio compagno
ostinato nel rappresentare la parte dello Stuardo esposto agli oltraggi della soldatesca e dei giudicatori?
Era un Modenese, mi ricordo, un povero f igliuolo scialbo e di scarso ingegno, una specie di ravanello
bianchiccio, niente altro che linf a stagnante. Aveva i capelli deboli e mal piantati sopra un cranio a pan di
zucchero, non bruni n biondi ma dun color di talpa; gli occhi chiarissimi come quelli degli albini, tra gli orli
della congiuntiva arrossati; il naso per solito untuoso e punteggiato di nero; la bocca un poco aperta, col
labbro superiore sporgente. Pareva promesso a una dolce ebetudine, disposto a vivere dentro una
cassetta di cotone come la Secchia tassoniana riserrata nella sua Ghirlandina.
Nella camerata la sua tavola da studio era davanti alla mia. In quelle lunghe tre ore serali, lo vedevo sempre
chino a sbirciare le pagine dun romanzo nascosto sotto il quaderno del compito. Aveva nella nuca gracile
un solco pieno di lanugine, e la cotenna bianca appariva di sotto ai capelli restii. Sempre la vista di quel suo
dosso meschino mi poneva nel cuore una gran compassione. Per aiutarlo, gli lasciavo copiare i miei latinetti
e i miei problemi risolti. La qualit della sua indole si manif estava in questo: che, in segno di riconoscenza,
se bene f osse perdutamente dato alla lettura amena, ricacciava gi il lucignolo nel becco della lucernina
af f inch troppo ardendo non consumasse tutto lolio, e alla f ine dello studio si mostrava f elice se aveva
potuto risparmiare tanto da of f rirmi un poco pi delle ultime stille che solevo raccogliere. Forse per ci
aveva gli occhi malati.
Una sera mera parso che la sua schiena e le sue spalle sussultassero pi del consueto ai sof f ii tragici
ventati dalle pagine del libro occulto. A un certo punto mera parso perf ino di vedere la pelurie di talpa
drizzarglisi sul cocuzzolo. Sorridevo in me medesimo bizzarramente pensando allo zampone f amoso, alla
prodezza del conte di Culagna, alla Vera historia del pota da Mdona. Quando il rullo del tamburo son la
f ine delle tre ore, egli si volse verso di me ansando come se mi giungesse di corsa da un luogo lontano per
recarmi chi sa che messaggio.
Che accade? gli chiesi. Di dove torni? Mi rispose: Dalla grande sala di Westminster.
Si stropicciava le palpebre irritate. Udivo battere il suo cuore. Che si f a nella grande sala di Westminster?
Mi pareva dinterrogare una di quelle sonnambule bendate che avevo vedute nelle f iere di terra dAbruzzi.
Si giudica il Re. Il Presidente Bradshaw siede in un seggiolone di velluto crmisi, e i sessantasei
commissarii ai due lati in f ila seggono su panche ricoperte di scarlatto. Carlo entra con passo f ermo; ha il
cappello in testa, la mazza in mano. Sopra la tavola, dove scrivono i due segretarii del tribunale, i giudici
riconoscendosi carnef ici hanno posta una spada sguainata. Carlo, passando presso la tavola, tocca la
lama con la punta della mazza e dice: Non mi f a paura...
Mi rappresentava il processo dello Stuart davanti allalta corte, come un visionario, con una strana f acolt
dimitazione, che di minuto in minuto si f aceva pi intensa. Non so in che modo quel suo povero viso
esangue evocasse il pallore e la tristezza regale. Quando disse che il miserabile aveva sputato su la
guancia del Re, prese il f azzoletto e sasciug in silenzio, con un gesto di cos patetica verit che m ancor
vivo nellanima e in pi di ventanni non s af f ievolito.
Perch da quellattimo quel gesto simpadron di lui come lidea f issa si radica nel cervello del maniaco?
A cena, poco dopo, ogni volta che mavveniva di guardarlo, egli mi guardava triste e sasciugava la guancia
molle e smorta. Pi tardi, nel dormentorio, mentre mi spogliavo per coricarmi, egli pass a pi del mio letto,
si sof f erm, mi guard e sasciug la guancia. Ebbi un brivido oscuro, come sotto laura gelida della f ollia. E
f u la prima volta che mi si rivel in conf uso quel terrore della lesione improvvisa, che in certe epoche della
mia vita mha poi cos crudelmente incalzato.
Parve stabilirsi tra noi una specie di muto f ascino, non so che dipendenza indistinta. Egli indovinava il mio
turbamento; e io mi sentivo come il complice del suo gesto. A poco a poco la f requenza lo aveva reso simile
a quei moti nervosi involontarii che af f liggono i degeneri e gli esausti. I compagni ne ridevano come della
scempiaggine tenace dun mentecatto; e avevano cognominato la Secchia sciapita lacquoso concittadino
di quellAlessandro Tassoni cui dal tanto f aticare era rimasto in mano un f ico, un f ico vieto; ficus inanis.
Io non sapevo f uggirlo, n persuaderlo o costringerlo a smettere. Era l, davanti a me, col suo f ievole petto
contro il taglio del tavolino; e sempre il cuore mi dava un colpo sordo quando lo vedevo rimanere f iso e poi
ripetere quel gesto come in sogno. La guancia ne pareva af f loscita, appassita. Talvolta il sogno avviluppava
anche me, disciogliendo ogni senso di realt, aprendo non so che lontananze deserte nella mia
inconsapevolezza. La mia anima sbigottita, con uno sgomento ignoto che non la ritraeva ma la protendeva,
un giorno vide sul muro bianco nellombra di quel capo def orme disegnarsi la maschera della f ollia.
Mi rivelava f orse Vergilio le lacrime delle cose? o ero nato per adunarle in me e per temprarne la mia stessa
amarezza?
Su quel muro certe volte, in una certa ora del mattino, appariva un tremolo dorato in f orma di cerchio, un
tenue miracolo che si propagava ai precordii e moveva i pensieri a sua somiglianza; ma non poteva essere
se non un rif lesso dacqua percossa dal sole, f orse duna pozzanghera nella piazza, f orse duna catinella
sul davanzale duna f inestra dirimpetto celata a noi dalla tramoggia.
Il piccolo re oltraggiato teneva nel suo cassetto un topo domestico, un topo bianco dagli occhi rossi e dalle
zampine nude. Sudiva a quando a quando annusare, rosicchiare, trotterellare. Talora mi pareva che non
abitasse il cassetto ma quel triste corpo abbandonato contro il tavolino e che lo f rugasse
incessantemente.
Un giorno f u agguantato e portato via da uno dei satelliti di Oliviero Cromwell, e decapitato dal boia,
insieme con le raganelle e con le lucertole.
Vedo la pena squallida del superstite davanti al cassetto vuoto, sparso di rimasugli e di sporcizie; e il
f azzoletto premuto su la sua guancia, e lorlo inf iammato della palpebra tratta gi dalla pressura, e la
pupilla dilatata nelliride senza colore; e quel tremolo tenue nella parete, sospeso su quel capo vanito.
Come linf ermiere venne e lo prese per mano, egli si alz, si lasci condurre, si volt dalla soglia verso di
me, rif ece quel gesto. E non ricomparve mai pi tra i suoi giudici e i suoi carnef ici che lo dimenticarono.
Dario dice, dopo un intervallo di silenzio, con la bocca convulsa, con la voce tremante, con non so che di
colpevole e dinconf esso in tutto laspetto: Chi occup il suo posto vuoto, accanto al tuo? Te ne ricordi?
La paura di non so che conf essione improvvisa mi riassale. Sembra che limagine del posto vuoto si
propaghi alla stanza ove respiriamo. Laria si f a cava e senza f ondo. Non esiste la vita che f u, non esiste la
vita che i polsi misurano; ma qualcosa intorno a noi vige, che nessuno mai espresse, che nessuno
esprimer mai.
Lintervallo dura un attimo, a bastanza perch io veda in quella specie dorrore indistinto dileguarsi la larva
scialba del demente come nel suo proprio mistero, come nellignoto chegli trov di l dalla soglia lasciando
dietro di s il susurro dei f anciulli f eroci.
Rieccomi f ra tavola e scansa. Il cassetto sgombro, e vi persiste ancra il lezzo della bestiuola
domesticata. Sgombri sono i palchetti, e il muro nudo si vede a traverso. Il calamaio di piombo risecco.
Riconosco le macchie dinchiostro, le tacche f atte col temperino, le iniziali del nome intagliate come nella
scorza dun albero o nel coperchio duna cassa mortuaria. Lo sgabello l, su le sue quattro gambe, con la
sua f essura per mettervi le dita nel tramutarlo, con i suoi spigoli levigati. A quando a quando riappare su la
parete il tremolo doro.
Era la prima volta che raccoglievo in me la tristezza delle cose impregnate ancra della vita duna creatura
scomparsa. Il piccolo re esangue non era pi l, eppure non mi pareva del tutto assente. La sera, nel
silenzio delle tre ore, alzavo a un tratto gli occhi dal libro con un lieve sussulto come segli f osse tornato in
punta di piedi e si f osse messo di nuovo a sedere e stesse l, col gomito su la tavola e col f azzoletto
contro la guancia. Il posto era vuoto e pieno dombra; ma una f ievole esalazione vitale esciva dal legno,
saliva dal mattone, in quel modo che il f osf oro tramanda il suo bagliore; e respirandola mi sentivo inquieto
e oppresso.
Talvolta mavveniva di sognare a occhi aperti e di mescolare il f antasma ai ricordi dellinf anzia pi lontana.
Quellodore tenace del topo bianco mi rammentava un vecchio stipo di casa mia, messo da parte in un
andito che conduceva alla carbonaia, un vecchio stipo dabete pencolante su tre gambe, chiuso da una
chiave perduta chi sa da quando, con negli sportelli due spiragli tondi protetti da una grata di f il di f erro
addoppiata dun ragnatelo, donde emanava un puzzo di cacio stantio e di cotenna rancida come da una
vecchia trappola. Mazzi di sorbe pendevano appiccati ai travicelli, nespole e cotogne maturavano su la
paglia, sacchi di civaie e di crusca sappoggiavano al muro; e le cipolle dalla resta ci spiavano a traverso la
sf oglia, con un viso tondo o con un viso schiacciato, e le malige allungavano il muso. Tutto per noi viveva
duna vita coperta e insidiosa, come nel vestibolo dun palagio incantato. Per me, pel mio f ratello minore,
per le mie tre sorelle la carbonaia era la sede delle meraviglie, era labisso delle apparizioni e dei tesori.
Tenendoci stretti, verso sera ci arrischiavamo nellandito, af f ascinati dalla stessa nostra paura, in ascolto,
guatando laggi luscio dalla soglia nera, presso il quale un sacco di cicerchie se ne stava sornion sornione.
Se a taluno di noi borbottava il ventre, davamo un gran balzo indietro, sbigottiti, col gelo nella radice dei
capelli, non sapendo di dove potesse escire un rumore tanto vicino. Poi si rideva, luno sospingendo laltro;
e una sorba matura cadendo dal mazzo arrestava il riso.
Non so perch, quel sentimento del soprannaturale mi risaliva dal f ondo in certe ore, davanti al posto
vuoto e pieno dombra, La mia imaginazione ci si avventurava trepidando, come laggi verso la soglia nera.
Talvolta mi pareva che la f igura del vano re smorticcio mi tornasse veramente da quella lontananza,
immedesimata a una f antasima dalla f accia bianca di f arina, che il mio piccolo f ratello chiamava Mamla. La
scansa sgombra scricchiolando come il vecchio stipo pareva rinnovare in me uno di quei brividi. E, poich
tutto questo era indicibile e incomunicabile, uno strano impedimento pareva nato f ra me e Dario, una
f enditura pareva essersi f atta nella nostra amicizia senza f allo.
In sguito a un accordo col cameriere che si chiamava Cipriani come quello che accompagn Napoleone a
SantElena, ogni sera per lo studio delle tre ore la lucernina era posta su la tavola disoccupata, piena dolio
ma non accesa. Alzando gli occhi dal compito, vedevo rilucere lottone pulito e pensavo alla buona riserva. Il
lettore ansioso non era pi l, ma quello era tuttavia il suo olio. Non egli me lo riserbava con la sua
parsimonia gentile, ma pur gli apparteneva in qualche modo.
Quando, la notte, dopo il primo sonno, mi levavo di nascosto e con grandi cautele escivo dal dormentorio e
tornavo ai miei libri, il cuore mi palpitava dun sentimento misterioso che talvolta il canto lontano dun gallo
rendeva bello come lansia dun poeta inconsapevole. Sentivo di non essere solo, nella vasta sala che
rendeva pi paurosa il chiarore f ioco della lampada passando a traverso la porta vetrata. Sbigottito, mi
volgevo a guardare di l dai vetri la f ila dei letti bianchi; e speravo che Dario non dormisse ma che mi
seguisse co suoi occhi aperti, co suoi occhi senza cigli. Poi, a tentoni, maccostavo alla tavola, ritrovavo la
lucerna respirante verso la mia anima, come una creatura viva. E, quando lo zolf anello non saccendeva alla
prima, nel buio la f orza di quella vita saccresceva smisuratamente: la mana riprendeva carne e ossa e
sguardo e gesti.
Allumato il lucignolo, ogni scoppietto, ogni vacillazione della f iammella mera una sorta di linguaggio
intermesso che mi pareva dintendere o di divinare. A poco a poco il cuore mi si placava, gi capace di
contenere quellaumento di potenza e di libert, che d la veglia solitaria allo studioso. Vedevo
biancheggiare i letti, di l dai vetri, sotto la lampada sospesa; scorgevo qualche testa bruna sul guanciale,
tenuta dallopaco sonno; e in me sorridevo dei dormienti supini, ignari del mio acquisto segreto, del mio
stratagemma notturno per vincere. Il rullo del tamburo, la piccola diana scolastica, avrebbe trovato me solo
pronto e sicuro della vittoria e ricco duna vita diversa, con una speranza che aveva risposto al canto del
gallo sbattendo la cresta e le ali contro le gretole della gabbia.
Sul f ar del giorno, andavo nel lavabo inviso ai sonnacchiosi e aprivo sul mio corpo tutte le cannelle
dellacqua diaccia attonite di tanto spreco. Poi, quando il rullo echeggiava nei corridoi deserti, correvo al
dormentorio urlando e tempestando, toglievo dal mio letto il capezzale e me ne servivo contro i covatoti di
lenzuola come Sansone us la mascella non ancor secca contro i Filistei. Con una mascella dasino, un
mucchio, due mucchi! Con una mascella dasino i striglio trenta ciuchi!
Ma le mascelle si moltiplicavano, e la battaglia diveniva pi f uriosa che a Ramat-Lehi. Dietro i capezzali
volavano i guanciali; dietro i guanciali, le coltri; dietro le coltri inf ine i materassi arrotolati in guisa di barili
ardenti da lanciare col mngano a sf ascio. Il pedagogo pistoiese in mutande, diritto sul suo letto,
pudicamente serrato nelle cortine candide, metteva f uori il capo tra lembo e lembo, minacciando i f ulmini del
Censore. Dalli al Panciatico! Dlli al Panciatico! si gridava da ogni parte, sol per onorarlo, come in un capo
di strada della sua citt f aziosa. E il timorato Panciatico era stretto dassedio nella sua torre di cotonina.
Brucia, brucia! Ardi, ardi! La stipa! La ragia! La pece! Ultimi f uochi maneschi, volavano i berretti e le
pantof ole. Rompi, rompi! Dirocca, dirocca!
Allimprovviso dietro di noi sonava un ruggito di leone inf reddato, un rugghio ben noto.
Di colpo la f azione sarrestava coi gesti in aria, immobile e ammutolita, simulando una mischia da museo di
cera. La f accia del pedagogo in mutande, f ra cortina e cortina, si raggrinzava, f aceva greppo, e metteva un
suono lacrimevole: Non credevo trovarmi a questi f erri, signor Censore. Si sarebbe detto che gli
cascassero di mano i f erri da calza o il f erro da stirare, in verit. Ma un secondo rugghio, accompagnato da
una battuta di piede, lo annientava nel cotone con una rapidit da castello di burattini. E quel f antoccio del
Tiranno rimaneva solo col suo f urore dinanzi ai nostri visi compunti e ai nostri occhi ridenti, sul campo
sparso di armi imbottite.
Era un nuovo Censore, una specie di inesorabile rif ormatore dei costumi. Catone catonior, venuto a
reprimere e sopprimere con rigido polso ogni disdicevole usanza e ogni licenza dabuso. Ed era o
bizzaria della sorte! un Crso, un vero Crso, un Crso schietto, da quanto il Paoli e il Bonaparte,
portato chi sa da qual vento, chi sa di dove, e ammesso al censorato dagli Amministratori municipali su le
vive raccomandazioni del Rettore che ne rispondeva come dun amico dinf anzia. Quanto dif f icile cosa
rappresentarsi linf anzia delluno e dellaltro! Il raccomandante rimontava allOdissea, e f orse di lui si poteva
dire che f osse novenne, avendo conservato la sua buaggine f avolosa pe secoli de secoli: ch egli non era
se non lotre di Eolo, mal chiuso, lotre conciato col cuoio dun bue di nove anni, onde continuo gemendo
o tonf ando sf uggivano strani vnti, e noi si diceva: Attento alla scotta, Ulisse! Ma il raccomandato aveva
dovuto servire da spaventacchio senza et, in qualche campo sassoso di Fiumorbo o di Valinco f requente
di corvi, tanto la sua terribilit pareva posticcia.
Che ne dici? chiedevo a Dario, dopo aver udito bof onchiare sul mio capo chiomato dangelo neutro quella
barba da pannocchia di f ormentone. Egli scoteva il suo capo da vincitore di Lodi e dArcole; poi rispondeva,
con una gravit galileana: Eppure Crso! Non potendo destituirlo della sua qualit nativa, deliberammo
di battezzarlo Matteo Buttaf uoco (il suo vero nome era Bereni, Dio labbia in pace) per potergli gettare in
f accia alla prima occasione la f amosa epistola napoleonica ricopiata dallElbano di Marciana nellarchivio
dello zio Saverio. Depuis Bonifacio au Cap Corse, depuis Ajaccio Bastia, ce nest quun chorus dimprcation
contre vous...
Quavez-vous donc fait? Quels sont donc les dlits, etc., etc.
Ne imparammo a memoria le f rasi pi virulente, e le imbeccammo anche a qualche pappagallo dei nostri. Gi
sudiva mormorare nei corridoi, al passaggio del castigamatti: Lhistoire de votre vie est connue.
Les principaux traits en sont tracs ici en lettres de sang... Nel ref ettorio, il mercoled e il sabato, giorni sacri
allinef f abile polpetta, il mormorio si propagava di mensa in mensa. Empoisonns par les aliments,
tourments par leurs chanes, accabls par les plus indignes traitements... Eravamo tutti trasmutati in patriotti
crsi, rinchiusi nella Torre di Tolone, rsi dalla f ame e dalla vendetta. E il prezzemolo nellorrido tritume
sapeva di cicuta socratica.
Matteo Buttaf uoco, alquanto sordo, non riesciva a comprendere che gergo f osse mai quello; ch il pessimo
f rancese dellepistolograf o pativa per giunta le pi atroci stroppiature passando negli accenti dei pi diversi
dialetti dItalia. Si voltava in qua e in l, bruscamente, come se un moscone inaf f errabile lo tormentasse; e il
f iocco doro in sommo della papalina tentennava e si voltava con lui, le f alde dellautorevolissima giornea
sventolavano lunghessi i pantaloni color pulce che tanto erano scarsi quanto quella era prolissa. A un
brontolio pi rude, si f ermava di botto, nel mezzo del ref ettorio; e cominciava a rotare gli occhiacci
scerpellati coccoveggiando come f osse su la gruccia per pettirossi. Quando la sua guardatura bieca si
posava su me, era prodigio che io non ne rimanessi incenerito.
Egli aveva preso a odiarmi f in dal primo istante, per una di quelle antipatie subitanee ed irreconciliabili che
sembran f are duna creatura umana lassoluta negazione dellaltra. Sentii che il solo e semplice caso
dellessere io vivo gli dava cruccio, e che ogni moto inatteso e incompreso della mia vitalit gli moveva la
bile atra. Egli poteva dirsi veramente il precursore inconsapevole di quel curioso f enomeno animale che pi
tardi la sapienza critica design f oggiando a sua similitudine la parola di molti piedi e di lunga coda
antidannunzianesimo.
Accettai la lotta allegra; e c ancra nel vecchio collegio pratese qualcuno che se ne ricorda e ne f a le
grasse risa. Laltranno, in una mia visita al Pergamo e alla camerata, il piacevole bidello Carmagnino, vegeto
tuttavia e rubicondo, mi domand: Quando la scrive La Bereneide? mi ci mette anche me? Proprio me lo
merito. E poi, sa, sto bene con la rima.
Il Carma, in f atti, era un alleato segreto di grandissimo pregio. Egli esercitava la polizia dei corridoi, delle
scale e di altri luoghi publici con una beata indulgenza. Accoccolato nel suo sgabuzzino come un
f ratacchiotto nella sua celletta, col suo vggio e col suo f iasco di Chianti, chiudeva un occhio e spesso
anche due, solo intento a scalducciarsi, a bevicchiare, a leggiucchiare Bertoldo, Cacasenno, Sesto Caio
Baccelli, lantico Vesta-Verde, il Barbanera e altre f amose opere dalta letteratura; cosicch conosceva a
menadito la genealogia di tutti i sovrani regnanti e spodestati, il corso di tutte le monete dalla lira di cento
centesimi al peso di cento centavos, le f este e i digiuni degli Israeliti, le tavole naturali e simpatiche per la
cabala del lotto, e specialmente le f iere e i mercati della Toscana con tutte le loro date che gli erano
cagione di sospiro come se a restar l perdesse ogni giorno qualche grosso af f are di bozzoli o di cereali o
di bestiame nero. Di tratto in tratto ammoniva, con un tono divinatorio: Ragazzi, movimenti vulcanici in
Francia. Oppure: Fra breve, ragazzi, morte dun capo di stato. Oppure: Uragani e vnti terribili,
accadranno disgrazie in terra e in mare. Ma lof f icio suo pi meritorio era di provvedere alla nostra
ghiottoneria biscotti, cantucci, stiacciate, panf orti, canditi: e per me il suo pi gran merito era di possedere
la comunella e di lasciarsela carpire.
La comunella si poteva dir veramente il nerbo della mia guerricola. Era una specie di chiave magica, che
girava in tutte le serrature, apriva porte usci e usciuoli, doppia, a due ingegni, maschio e f emmina, col
cannello snodato. Il Carma, che per essere discepolo dello Strolago di Brozzi aveva gran f ede nel mio
oroscopo, non osava resistermi in nulla, precursore anchegli nel senso opposto; ch me le dava tutte
vinte, persuaso che tutto mi f osse permesso e tutto mi f osse dovuto. Non soltanto ottenevo da lui
lonesto grimaldello a ogni richiesta, ma gli avevo insegnato un linguaggio f urbesco di suoni gutturali, di
colpi di tosse e di nocca, di strizzatine docchi e daltri segni e cenni, utilissimo per il lavoro di vigilanza
contro le sorprese. Egli era doventato il mio inf ormatore, il mio esploratore e la mia vedetta f edele. In
compenso i pepatissimi salami dAbruzzo e i caci pugliesi gonf i come uveri di vacche gli adornavano lo
sgabuzzino e gli aguzzavano il gusto del Carmignano.
Come un nemico pu abbellire e arricchire la nostra vita e come comprendo colui che coltiv con indef essa
costanza larte di inimicarsi il prossimo!
Quel tanghero di Corsica non imaginava che mi f osse causa di tanto ardore e di tanta gioia. La prigionia
non mincresceva pi, le mura edif icate dal gran Gesuita non pi mopprimevano, lorario misurato non pi
mera a noia, la disciplina non mera pi di peso; ch davo tutto me stesso allinf razione e alla
trasgressione, vivevo solo pel divino piacere di rompere il divieto, f acevo dogni mio giorno un gioco
appassionato dastuzia e daudacia, consideravo quellimmensa f uga di corridoi, di anditi, di aule, di sale, di
scale come una reggia piena dinsidie e di minacce dove io f ossi per cercare qualcosa dinf initamente
prezioso che mi appartenesse e dattimo in attimo mutasse di natura e di pregio serbando la sua novit
perpetua alla mia ricerca puerile.
Quante porte! Quante porte! Quante toppe! Quanti serrami! Cento, mille, diecimila, innumerevoli, come nelle
f avole, come nei sogni. La mia imaginazione moltiplicava senza f ine le chiusure, complicava i congegni,
consolidava le imposte, mentre il f erro della comunella magica sintiepidiva contro la palma della mia mano.
Eludendo ogni vigilanza, partivo per la mia corsa perigliosa, talvolta solo, talvolta con Dario che mera
divenuto ancor pi certo, pi concorde, e pi caro. Andavamo alla ventura, come una coppia di malandrini in
un castello ignoto, regolandoci su una voce, su un rumore, indugiandoci nei pianerottoli, risalendo e
ridiscendendo le scale a precipizio, sporgendoci da una f inestra, ritrovandoci nel buio dun nascondiglio,
sbucando sul tetto per un abbaino.
Ecco un odore di bucato, di giaggiolo e di spico! Eravamo alla soglia della guardaroba: udivamo un cicaleccio
di vecchie streghe, il colpo dei f erri da stirare, il f ruscio della tela.
Ecco un odore tristo, come dacido f enico e di brodo grasso, come di spedale e di cucina. Eravamo dinanzi
allinf ermeria: tendevamo lorecchio per sentire se non ci f osse Cice, linf ermiere carceriere; camminavamo in
punta di piedi, ascoltavamo agli usci delle camere, entravamo in qualcuna allimprovviso, vedevamo il piccolo
malato colorarsi in volto dalla maraviglia, sollevarsi su i guanciali, tenderci le mani, chiamarci per nome.
Avevamo vergogna di non dargli nulla; ci f rugavamo nelle tasche per trovare qualcosa; gli promettevamo di
tornare con un cartoccio di chicche e con un libro di f igure. Non lo dire a Cice. Guarisci presto. Addio,
addio.
Scendevamo un ramo di scale, f endendo col viso quella malinconia accolta, come si f ende la nebbia della
sera. Un getto di sole vivo irrompeva da uno spiraglio, batteva contro un pilastro, colava gi come unacqua
dorata traboccante dalla tazza duna f ontana, con tanta copia che ci stupivamo di non udirla scrosciare, di
non vederla schiumare. Rimanevamo quasi sof f ocati, palpitanti come se la Primavera f osse nascosta dietro
il pilastro e ci spiasse e avesse gi tra le labbra la piccola rosa scempia che sboccia dallo stecco del pesco.
Lo spiraglio dava sul giardino annesso al Gabinetto di Storia naturale pieno di pietre f ossili e di uccelli
impagliati. Da un crepito leggero indovinavamo che il giardiniere annaf f iava laiuola. La f ronte di Dario era
liscia come la f oglia del mughetto. In me la vita era f resca come quellacqua in quellannaf f iatoio.
Dico ridendo, quasi ritrovando le af f ettazioni del mio riso venusto e del mio motteggio dotto di allora: O
Dario, ma darei oggi anche il sole di Austerlitz, darei f in la cavalla dellAurora che in f rode di luce telesse
allannitribile regno, per unora sola della mia vita f olle di balestruccio senza nido, lass, rasente la gronda
dei tetti... Te ne ricordi?
Pure il ricordo mi f a rabbrividire egli dice, senza poter sorridere.
Veramente, lo stil f ugato era un ramo del mio stile scolastico. Ti ricordi della mia f uga di Pistoia, quando io
alf iere ti consegnai la bandiera nel sacco a piantarti l con tutta la tua voglia di seguirmi, e abbandonai la
compagnia molto accortamente per andarmene a mirare il f regio robbiesco delle Sette opere di misericordia
nellOspedale del Ceppo? Ma non io mi scorder mai della seconda mia f uga sul Montalbano, che meglio
della f emminella Gloriuzza deve avere appreso e ritenuto il mio nome tante volte gridato dai cercatori
ansanti, tante volte abbaiato dai segugi privi di f iuto. Innanzi a tutti voi correva serpeggiante la Calunnia
dApelle, f uggita anchella; per dalla tavola di Sandro con in bocca unottava del Poliziano: Ma io ho vista
una gentil donzella Che va cogliendo fiori intorno al monte... Non era vero. Lo sai. La mia libert voleva
possedere nel respiro del pieno petto la bellezza del Valdarno intiera, f ino ai monti di Volterra, f ino
allAmiata, e per lArno f ino al mare al mare al mare! Voleva giungere alla torre di SantAllucio, alla ruina di
San Giusto, alla badia di San Baronto. Tanto mi cercaste, e non mi trovaste. Io ritornai quando mi piacque,
senza smarrirmi, e vi ritrovai. Te ne ricordi? Sotto il croscio dei rimprocci non aprii bocca. A nessuna dimanda
risposi mai. Credo ch i avessi lasciato la mia voce di muda in una delle tre assidiole di San Giusto. Non
risposi neppure a te. Mavveniva di straniarmi anche da te, a quando a quando, come in quellora di Aronta,
in quella storia del Carrarese. Ho nel rimpianto la tua cera attonita e appenata. Pareva che tu stentassi a
riconoscermi; e a me pareva che, nellannottare, il giorno non si partisse dal mio viso. Te ne rammenti?
Avevo perduto il mio berretto di alf iere nelle f rasche. Sentivo nellombra la mia f ronte scoperta rilucere
come il f osf oro dei mari. Ah, Dario, quanto era bella e nuova la mia anima, che ora la volutt di scrivere
consuma!
Angosciosamente egli mi prende le mani; e, nello stringerle, mi f a sentire lumidore delle palme, il tremore dei
polsi. Tutta quanta ricevo la sua miseria. Sul suo capo accostato vedo i suoi capelli intristiti come una
peluria di dubbio colore. Nuda langoscia ne suoi occhi senza cigli; e de suoi radi sopraccigli non v quasi
pi traccia. Il suo mento, chera il suo segno pi robusto, losso della volont incugnato nella passione,
divenuto una povera cosa vacillante sotto il labbro inetto a dissimulare la pi lieve f itta del dolore. Nella mia
piet perplessa si rinnova la dimanda senza suono: Amico, amico mio, chi tha f atto tanto male? Ma, per
unapprensione che sempre pi dentro mi cresce nelloscurit, non oso interrogare, ripugno a sollecitare la
conf idenza, a strappare il segreto. Lopera interrotta, lasciata l sopra la lunga tavola umbra massiccia pi
che unasse di potente strettoio, m come unattenenza implacabile. Il calore del cervello, quasi lodore del
cervello, che per giorni e per notti ha impregnato ogni cosa l tra le pareti severe, sembra di tratto in tratto
investirmi passando per la f uga delle stanze come un alito dincendio. Son nato a creare una vita sovrana,
intento a crearla, per non lasciarmi sopraf f are dal contrasto spietato; ed ecco, nel colmo dello sf orzo
inaccesso, posto m innanzi un tremendo specchio dalla larva di unamicizia estinta. Limpulso interiore
della creazione mi conduce a ricolorire la larva, a risuscitare lamicizia, a comunicare la f orza traendola
dallabbondanza della lontana et rivissuta. E, per linganno del mio cuore ambiguo, ho nel rivivere e
nellilludere la f ervidezza e limpeto del vivere o del creare. Sembro inf atuarmi nei tripudii che gira in me lo
sveglio f anciullo non domato.
Voglio tornare in un solstizio sul Montalbano, ad inalzarvi una colonnetta milliare con incisa una parola
breve: Sibi, ch tutti que miei passi su per lerta mi son memorandi come se li avessi allungati dentro di me.
E f ui punito con otto giorni di prigione! Sbito dopo il ritorno, il carceriere si present, mi mostr la sua
chiave e mi accenn di f ar f agotto. In quella sera di novit, conobbi anche un novo tono del dispregio. Non
salutai nessuno. Neppur noi due ci salutammo. Avevo potuto celare nella giubba quello spuntoncello che
mera stato utile in pi duna inf razione. Portavo anche meco celati il mio disegno e il mio gioco.
Ma come non mi sento rimordere nellabbandonarmi a rivivere con tanta puerilit un incanto che non f u f atto
se non da me solo per me solo?
La carcere da me f requentata guardava i vasti tetti del Collegio gesuitico disposto in f orma del greco
maiuscolo. Per burbero f avore del carceriere Cice, era riserbata alla mia singolare e nef aria crudelitade.
Per alla grazia saggiungeva la cautela contro il malo esempio; ch io soleva a dispetto intieramente
istoriare le pareti bianche, e le istoriette distinguere con iscrizioni in lingua f urbesca. N limbianchino valeva
a cancellarle, rif iorendo esse come le sante verit conculcate o lasciandomi il campo a novissime vendette.
Muro bianco, carta di pazzi proverbiava Cice tentennando il suo capo di bue.
Quella notte dormii prof ondo nella branda, con sul viso il buon cociore del sole di Montalbano e con sul
capezzale un rametto del citiso di Vergilio. Al mattino, f ui risvegliato dal primo sole che, toccando le mie
palpebre, mi mostr rosea la vita attraverso il mio sangue innanzi chio le aprissi. Ben a ragione il Bonaparte
si rideva di quelli che ammiravano Scipione Cesare Alessandro pel loro sonno tranquillo alla vigilia della
battaglia persuaso non dallestremo coraggio ma dalla estrema stanchezza. Io avevo dormito, in verit, il
pi placido de miei sonni. E, senza indugiarmi, balzai alla f inestra f errata sopra tetto e la scossi,
compiacendomi dellesperto e coperto mio lavoro eseguito a pi riprese. In f atti le sbarre vacillavano
scalzate ne f ori overano inf isse; ma i f rammenti della calcina rimessi intorno con arte avevano occultato gli
incavi. Soltanto resistevano i f erri di sotto, incastrati nel davanzaletto di pietra. N mi valeva lo
spuntoncello.
Apparivo rassegnato e mansueto quando il carceriere venne per condurmi allaula delle lezioni e poi
ricondurmi alla carcere sopra tetto. A Dario, che mi sedeva accanto nel banco, dissi in un orecchio: Per
lora della lezione pomeridiana ho assoluto bisogno dun cartoccio di polvere da schioppo o da mina, dun
poco di carta f orte e dun gomitolo di spago. Incarica uno degli esterni pi sf acciati, magari Pippo Lippo.
Armeggia come puoi; ma portami la polvere. E, proprio quella mattina, avemmo per tema del componimento
dal prete rotondo una sentenza di Seneca: Nil maiores nostri liberos suos docebant quod discendum esset
iacentibus. Non insegnavano i nostri maggiori cosa veruna di quelle che simparano a sedere. Pensai che
quella volta avrei sicuramente meritato dieci con lode, e in aspetto di agnello mi riconsegnai al carceriere
mormorando a capo chino: Ecce agnus petulcus.
Ebbi il cartoccio di polvere, e il resto. Seppi celare il tutto con inf ernali accorgimenti. Rientrato in prigionia,
quando udii stridere la chiave e il chiavistello, f ui preso da una cos f iera allegrezza che parvi consentire coi
Padri la cella del continuo abitata doventar dolce.
I petardi si f anno a pi f ogge e di f orme diverse, a uso di rompere porte, palizzate, barricate,
saracinesche, grate di f erro... Avevo studiato con Dario gli Af orismi dellarte bellica, di Raimondo
Montecuccoli, con le annotazioni di Ugo Foscolo, attratto da una certa concordanza napoleonica nel
prevedere e provvedere per tutto osare. Ma conf esso di avere imparato la f abbricazione dei petardi dal
Fornaretto di Pescara, da lu Furnarielle, che ne f aceva dogni misura e dogni tuono in gloria di santo
Cetteo patrono strepitosissimo. Nondimeno il disperato assalitore del novo Brandeburgo avrebbe potuto
esser contento di me.
Certo, dopo aver terminato gli apparecchi, in quella seconda notte dormii men prof ondo. Al primo albeggiare
quando lalba sinnamora come usan dire le massaie della mia terra dAbruzzi ero gi in piedi, gi
pronto. Con uno straordinario palpito, udii garrire le rondini nellargentatura cilestra. In f ondo al mio cuore di
uomo da f azione viveva dunque un cuor di rondine? Nellattendere che si placasse, considerai il mio
pericolo nello scoppio e il modo di scansarlo.
Con terrore dei topi tettaiuoli, alf ine lo scoppio avvenne; la presa della pietra f u allentata; poche stratte
bastarono a sconf iccare le sbarre. Appoggiai la graticola di f erro contro la porta chiusa; bevvi un gran
bicchiere dacqua, mi misi in tasca una crosta di pane; e libero balzai sul tetto. Senza indugiarmi, di tegolo in
tegolo, dembrice in embrice, seguendo il comignolo, col piede lesto e cauto dun ginnasta peritissimo, mi
allontanai dal luogo del f orzamento.
Mi f ermai dietro una rocca di camino senza f umo, ottima per stare alle vedette. Allora le risa rattenute
dallansia della f uga e dalla dif f icolt dellequilibrio mi si ruppero con un cos schietto scroscio che mi parve
tutto largento del mattino tintinnire su la mia allegrezza. E due tre quattro rondini mi passarono rasente il
capo, quasi f orandomi col grido aguzzo. Mi premetti i f ianchi a contenere leccesso dellilarit, che mi
torceva a doglia; ma, imaginando lo stupore e il clamore di Cice nello spingere luscio del carcere e
nellabbattere la graticola contro lammattonato, mi riprendeva il sussulto e mi si riempivano gli occhi di
lacrime razzanti che mimpedivan di vedere. Tornarono le rondini a rasentarmi gridando, con un accento che
mi parve dintendere. Mi asciugai le ciglia: intravidi da una parte le case e le strade cittadine, dallaltra parte
di l dal muro che chiude il prato della ricreazione la campagna verde. Ripensai la vastit del Montalbano;
e non cercai pi oltre in val di Bisenzio, ma mi ridussi per proposito al mio dominio embriciato. Soltanto la
cima del campanile a liste, coronato da Nicol del Mercia, mi commosse perch mi indicava dove si
allungasse il f ianco del Duomo e dove sporgesse il pergamo. Era l, pieno di silenzio, quasi un nido
abbandonato dagli usignuoli. Era l come un ricetto di musica e di amore, per certo; ma sentivamo che
poteva essere anche un ricetto di sapore, da appressarvi le labbra come allorlo dun vaso di miele
ispessito. Per alcuni attimi ripensai la lontana giornata pratese di gran vento, ripensai lora del donato
Memoriale, il pallore e il rossore di Dario, lesaltazione eroica che aveva sostenuto la nostra amicizia e che
gi era per attenuarsi. Respinsi da me quellimportuno assalto della malinconia; e mi piacque desser solo e
dintraprendere cos la mia giornata imprevedibile.
Passavano e ripassavano a saetta sul mio capo le rondini; e, crescendo di numero, incominciavano a
stormeggiare intorno alla rocca, come raccolte da un richiamo delle prime, con uno strido dallarme. Per
tutta la distesa dei tetti non mi si mostrava segno daltro allarme. Scorgevo la vuota occhiaia della carcere;
e pensavo che, se lo stianto del mortaretto aveva assordato me accenditore, non aveva certo risvegliato i
dormienti, e f orse ai desti era parso come il lontano colpo di f ucile tirato da un cacciatore mattiniero.
Ma le rondini avevan laria di volermi f ugare come incomodo e sospetto; e avevo anche veduto guizzare e
celarsi qualche lucertola grigia, che mi ricordava le tarantole del mio torrazzo pescarese. Cauto e lieve girai
intorno alla rocca spiando. E, nella Salutazione angelica, che f orse veniva dalla chiesa di San Francesco o
da Santa Maria delle Carceri, mi appar un miracolo tanto gentile che dal mio nome darcangelo sorse lAve
senza chio aprissi le labbra.
Pendeva dalla rocca un nido non somigliante ad alcuno di quelli che tante volte avevo osservato nelle
cornici della mia casa paterna e sotto le arcate della scuderia e della cantina, costrutti con la terra cretosa
delle mie rive natali. Quelli, in f orma di mezza sf era, avevano unangustissima apertura a cerchio, che
appena bastava allentrata della covatrice mentre il maschio rimaneva aggrappato allorlo. Ma il nido
miracoloso, un po pi grande e un poco pi schiacciato, dun terzo di sf era, aveva una lunga f enditura che
sbito mi diede la f rancescana imagine duna bocca rotonda che nel beatamente ridere si f osse f enduta
sino a mezzo le gote e rimasta f osse cos atteggiata dalla beatitudine perenne. Ecco che per la prima volta
miravo il riso dun nido terreno, e qualcosa dancor pi incantevole del riso dargilla! Quattro testine
nerazzurre sporgevano in f ila dalla f enditura, quattro teneri becchi in f ila saprivano allattesa del cibo
mattutino, quattro rondinette stavano af f acciate come a un veroncello. Stupito e rapito da quel f elice
cambiamento delloriginaria architettura pnsile, umiliandomi su i tegoli disteso, quasi accovacciandomi e
comprimendomi per non occupar laria delle creature tuttali che si cibano volando si dissetano volando si
bagnano volando e perf in nutrono volando i lor nati, io sbito riconobbi i benef izii ottenuti dallarte del
divino architetto innovatore. I piccoli non rimanevan pi chiusi nel covcciolo, ma si disponevano in ordine
lunghessa la f enditura per ricever limbeccata con agio, per gioire della luce, per respirare il cielo, per
godere la conversazion dellaria secondo la grazia toscana del f avolatore greco che a scuola mavea
f atto venire in uggia Fedro. Inoltre i genitori non dovevan pi entrar nel nido alternamente per nutrire i
nidaci, n studiare qual dessi bisognasse di cibo, n angustiarli nelluf f icio disagevole. Aggrappandosi di
sotto alladito lungo, potevano imbeccarli lun dopo laltro senza dubitare e senza errare; e pi f acilmente
potevan anche, nellora propizia, sceglier via via i pi arditi e trarli allaria per addestrarli nel dilettevole
volamento del grecotosco f avolatore. (Se credere coelo modulava la campana di Santa Maria delle Carceri,
per i nidaci, e per me f atto uccel di gronda. Pennis et corde assurgere in auras.)
Per convertire in subitanea vita, in volo e in grido, un ricordo dinf anzia attonita nel mirare il genio socievole
delle ali f alcate e delle code f orcute, ebbi un pensiero misto di crudelt e di dolcezza. Mi levai da giacere,
tolsi una lista dal mio f azzoletto e delicatamente ne copersi i quattro capini nerazzurri, serrai tutta
lapertura del nido, cercai di f ermare ai lati le cocche perch il vento e lagitazione della nidiata non
sollevasse lo strano bavaglio. La coppia, senza un attimo di esitazione, cominci a svolazzare rasentando
la casa pendula, con gran garrissa di f urore e di dolore; poi saggrapp alla creta tenace, pi e pi volte,
cercando di strappare la benda perf ida. Le altre rondini, gi raccolte da un men f iero allarme, turbinavano e
garrivano intorno alla rocca dando segni compagnevoli di consenso e di soccorso. La coppia inf elice si lev
e spazi a volo f ulmineo con strida di richiamo. Alcune compagne seguirono lesempio a richiamar tutta la
gente f alcata e f orcuta. Da ogni parte, da tutte le gronde di Prato, da tutti i f umaioli, da tutti i campanili, e
dagli archi del ponte di Bisenzio, e dalle ripe murate, e da sei bastioni e dalle cinque porte: dalla Fiorentina,
dalla Pistoiese, dal Mercatale, dal Serraglio, da Santa Trinit: e f orse da un gruppo venusto di nidi color di
f rumento che sempre vedo nel mio sogno adornare con arte aerea la f accia del capitello angolare vedova di
bronzo: da ogni parte accorsero, pi o men f olti, pi o men radi, gli stormi. Eran mille, eran dumila, eran
tremila, erano una miriade i sodali: fraterno more sodales, o mio peligno Ovidio del mio medesimo sangue
ansioso di metamorf osi! Mero rimesso a giacere su tegoli, questa volta supino; e miravo sopra di me tutto
il mattino vibrante di ali e di gridi, di bont e di coraggio, damore e di collera. A quando a quando il numero
prendeva la f orma di un albero, assottigliandosi f in su la rocca e dilatandosi pi in alto a chioma. E pensavo
essere la radice umana dellinnumerevole albero alato; pensavo che sorgesse tal f igura dalla maraviglia del
mio maravigliato cuore; pensavo che al battito celere de miei polsi e delle mie tempie corrispondesse la
trepidazione incessante del volo unanime. Se credere coelo cantava largo il bronzo di Santa Maria delle
Carceri: pennis et corde assurgere in auras. E sul canto disteso i gridi acuti del nero e bianco tumulto non
erano le f aville sonore del bronzo sacro?
Il mio orecchio di f anciullo, gi attento alla esopea conversazion dellaria negli arrivi di primavera e nelle
partenze dautunno, si rinnovellava in me con pi dacume abile e pi di perizia ritmica a riconoscere la
diversit degli accenti espressivi nellagitato coro, a comprendere una cos ricca brevit di linguaggio.
Lindignazione, la compassione, il consiglio, la disputa, la proposta, la risposta, laccordo, lordinanza eran
signif icati con s chiara prontezza che talune note mi parevan restare impresse quasi con caratteri mobili su
la rigata musicale del mio cervello. Divinavo che un atto straordinario era per seguire: e lattesa e lansia
meran palpitanti alle tempie come le due alette del ptaso . Pi mi sf orzai di comprimermi f ra tegoli ed
embrici, meglio madeguai alla spina del tetto; e pi e pi, per rif lesso dellalto e per aumento dellanima, gli
occhi mi singrandivano e mi sinazzurravano.
Giuro, per le vendette di Progne, che questa testimonianza verace. Vidi una parte degli stormi
assottigliarsi disponendosi in una lunga f ila serrata che sabbass per volar rasente alla rocca donde
pendeva il nido of f eso. Ciascuna rondine passando beccava la benda, con lesattezza veloce duna giostra
allanello, dun torneamento al brocchiero . I colpi si susseguivano dattimo in attimo. Dopo le prime prove,
mi parvero meglio diretti alle cocche della pezzuola; che luna dopo laltra cedettero. E allora la rimanente
f ila sf ior con lala la f ascia leggera, la sollev e linvol col vento dellala, liber lapertura del nido, discopr
le quattro teste immelensite delle rondinette. E una saettante garrissa di giubilo e un innumerevole bagliore
di petti bianchi inebriarono il mattino seraf ico.
Or che avrebbe potuto mai predicare il f ratello del Re de versi alle sue sirocchie rondini? Non avrebbe
potuto se non laudarle. N, segli avesse f atto il segno della croce per il commiato come 1 f ece tra Armano
e Bevagno, si sarebber partite le liberatrici in quattro schiere: luna verso loriente, laltra verso loccidente,
la terza verso il meriggio, la quarta verso laquilone. I miei stormi sindugiavano a turbinare a f elicitare a
conversare a comentare, ricomponendo e discomponendo diradando e af f oltando sul mio cuore il celeste
albero volante e parlante. La campana di Santa Maria delle Carceri sonava a distesa, e quella dello Spirito
Santo, e quella di San Francesco, e quella del Duomo: Se credere coelo pennis et corde assurgere in auras.
Balzai in piedi; un poco vacillai come cotticcio . La f amiglia era aggrappata al nido, presso lorlo dellapertura
lunga ove i quattro becchi tozzi serano aperti allimbeccata del conf orto.
Mi ribalen, dinanzi alla novit dellarchitetto pratichissimo e dinanzi alla mutazione inaudita dellistinto
millenne, mi ribalen limagine duna bocca rotonda che nel beatamente ridere si f osse f enduta sino a
mezzo le gote e rimasta f osse cos atteggiata dalla beatitudine durevole. La mia maraviglia e la mia f ede
parvero aggiungere un f ioretto ai f ioretti dellUmbria, della Verna, della Soldana . Tutti i nidi nuovi delle
rondini pellegrine, su tutte le terre de lor pellegrinaggi, ridevano di quel medesimo riso. E tal providenza
dargilla mutava a miracolo il costume immutabile. A laude di Cristo. Amen.
Non avevo udito i rulli del tamburo disciplinare, intanto. Non avevo pi alcuna misura del tempo; n
scorgevo alcun indizio di scoprimento e dinseguimento. Ma sentivo omai sotto i miei piedi ricominciare il
trameno de cancheri, de pedagoghi, de pedanti, de torzoni . Con una ripugnanza pi tetra della
stomacaggine e dello schif o, mi contraevo e storcevo come per dissepararmi straniarmi involarmi
smemorarmi, quasi che le creature dellaria avesser conf itto a castigo nella mia impotenza disperata il lor
privilegio irridendomi. Per non so che tempo intimo come linf inito della f avola nella credulit di chi ascolta,
tanto ero io stato aeroso che non pi avevo distinto il mio pensiero dal mio respiro. Ecco, e mi pareva assai
men triste di me nella memoria lotre che con una piet irragionevole la mia inf anzia vedeva af f losciarsi
quando luomo della Maiella toglieva la bocca dalla canna del sof f io e le dita dalle altre canne bucherate,
dinanzi al Presepe esanime. Di molto lontano, a lembi, mi tornavano i ricordi musicali del f ocolare e della
strada. E nella musica del mio paese e in tutta la musica del mondo io sof f riva come non mai. E la volont di
f uggire era come la volont di vanire.
Oggi, mentre scrivo per medicare il dolore e il terrore che il compagno dagli occhi senza cigli ha portato in
questa f ucina della mia poesia, penso che lora delle rondini mi sia memoranda perch in quellora pi e pi
si strinse il nodo lirico annodato dentro di me: il nodo che tuttora maf f anno a disciogliere, che mi bisogna
pur disciogliere intieramente per essere il grande poeta certo.
Innanzi quellora, non avevo io sentito dentro di me il viluppo incognito, sin dal limitare della puerizia, sin da
certi avidi giorni dellinf anzia consunta?
Il mio zio diletto, quello medesimo nomato Demetrio nel Trionf o della Morte, soleva al tramonto condurmi
verso la f oce della Pescara e poi a destra verso il lido dellAdriatico, quando ad accelerarmi il cuore mi
bastava lessere attento alle ombre dei pini maritimi f ratelli degli olivi di poggio nellespressivo distorcersi, e
attento allattenuarsi delle ombre nellaf f ievolirsi del chiarore, e attento al cancellarsi delle ombre nella
sabbia che pareva suggerle come suggeva lorlo lieve dellonda.
Mi si accelerava il cuore, e mi si gonf iava di non segnati ritmi. E il mio parente, nellammaestrarmi, si
agguagliava alla mia inf anzia, con una triste grazia ove lacume non era dissimile agli aghi del pino
galleggianti nella spuma della maretta. Minsegnava il nome della prima stella sgorgante. Minsegnava il nome
duna conchiglia che mi pareva ascoltasse il mare come lorecchia dun f anciullo a me simigliante e a me
consanguineo ma nato prima di me. Minsegnava a riconoscere la f ase lunare dalla curvatura della f alce che
il pugno del mietitore celeste volgeva e rivolgeva per tagliare il vento azzurrato o la lanugine della nube
pubere . Sapeva dare per me una subitanea novit ai pi antichi detti della nostra gente pensosa, ai pi
usuali adagi del nostro popolo virtuoso. Talvolta, allimprovviso, mi toglievo dal suo f ianco, loltrepassavo,
correvo un tratto avanti, senza volgermi indietro, come divenuto oscuramente indocile e ingrato.
Cos pi tardi, molto pi tardi, essendo pieno di musiche, mi avvenne di rivolgermi contro le mie interne
corde, a simiglianza di quelle f igure intagliate nel luogo del riccio in sommo del manico di certi antichi
strumenti, f igure angeliche o demoniache rivolte verso il sonatore di viola o di violino, quasi alenanti volti
del legno sonoro, della misteriosamente congegnata anima. E mi sovviene del brivido magico chebbi in una
sacrestia della terra sulmontina, al colmo delladolescenza, quando per la prima volta un parroco rustico mi
pose f ra le mani una viola da braccio cavata f uori da una specie di custodia ermetica; e la f igura intagliata
nel manico, una specie di giovine Belzeb ebro di ritmi, cos mi f u viva che non soltanto mi cre le corde
assenti ma al numero della regola aggiunse altre corde che lardire delle mie imaginazioni conobbe e tent
sbito, non senza inaudite consonanze e dissonanze omai f amiliari alla mia arte non impressa.
Ecco lopera interrotta dallevento sinistro mentre sopra la pagina il vetro si temperava a poco a poco,
quasi colorato dun colore mattutino dal mio spirito come da unalba pi prof onda di quella vera. Non ho
cuore di metter le dita f ra le carte, di svolgerle, di riconoscerle. Verso il f ascio dei f ogli, sensibile come i
legni trascelti dal liutaio, inclino questo orecchio che certo aiut Saf f o ad accordare la sua cetra, e
Riccardo Wagner a scatenare e a contenere le procelle della sua orchestra non classicamente domata
come dal solingo Orf eo il bestiame sanguinario.
Vorrei che domani, nel nuovo giorno, la musica qui chiusa e segreta mi sembrasse avere tuttora qualche
analogia con la gemmazione dellalbero nellimminenza della primavera. Mi sembr ieri che la musica urgesse
in ogni sillaba, come in ogni gemma il turbamento della radice prof onda. Mi sembr che la sinf onia
primaverile f osse presentita e annunciata.
La linea della modulazione nelle labbra del sonatore appassionato, prima chegli imbocchi listrumento. Ho
nella memoria non so che angelo di cantoria respirante linspirazione nella grazia dellatteggiata bocca e del
misurato f iato, mentre le dita gi commosse avvivano i f ri del f lauto prima di trascorrerli. Esprimo io
linesprimibile? Spesso la mia penna latina, il f usto della mia penna scorrevole, il clamo: levis calamus.
Mavviene, in alcuna sosta, poggiarne lestremit al labbro, come il dito del silenzio: non legno insensibile,
ma s capace di af f lato, obbediente allalito umano, obbediente al sof f io del dio meditabondo.
O mia penna, aggiustata in una delle sette canne della syrinx di Pan disciolta dal lino e dalla cera, dislegata
e sparsa! E credo averle provate tutte sette, nella mia arte notturna di scrivere, con tutte le generazioni di
suoni originate dalle sette e sette e sette.
Come dunque lass, lungo il comignolo dellimbiancato convitto gesuitico, il sopruso alla mia natura poteva
non apparirmi irreparabile? Disperavo di preservare dai contagi dalle inf ezioni dalle def ormazioni da ogni
sorta di f alsit e di meschinit quel che in me era degno di rimanere intatto e immune, f uor della regola e
f uor della legge. Vedevo sotto di me, come in uno spaccato, i corridoi le scale gli stanzoni da sgobbo e da
chiasso i dormentori! i ref ettorii le aule le bigonce le panche, tutto quel gran seminario laicale istituito per
isterilire e inaridire le pi f ervide semenze, quel vivaio piantato a imagine del Girone secondo per ridurre a
stecchi con tosco i pi vividi arbusti umani, quel convento senza celle avverso a ogni solitudine e a ogni
ritrosa, quel conservatorio di ben tollerate cattivrie e di mal esaminate asinit, quella uf iziatura cotidiana
della pi obbrobriosa f ra le soggezioni, della pi disonorante f ra le abiezioni: che lobbedienza per timore
di castigo, lobbedienza per desiderio di premio: lobbedienza costretta.
Poi, discendendo verso la gronda in f acciata, vedevo giungere strasciconi per la via di f ronte e per la piazza
la pretara degli insegnanti; distinguevo il gesto abituale della mano alzata a contener lo sbadiglio chera per
convertirsi in biascicatura dinsegnamento, in noia di parolone e di parolozze rigonf iate per anni ed anni
senza divario; riavevo nellorecchio il continuo stono di ciascuna voce, gli impacci della pronuncia, le
cadenze stucchevoli, gli intercalari sazievoli, le lungaggini sonnif ere, i vecchiumi e i tritumi topici rugumati
senza f ine. La dottrina imparaticcia era nel loro cranio pronta alla presa f ra indice e pollice come il tabacco
da naso nella tabacchiera dosso o di bosso. La serie de loro giudizii e pregiudizii non superava in pregio la
f ila dei bottoni a globetto ordinata f ra il collarino e lorlo della gonnella talare; n lampiezza del pi ampio
f ra i lor pensieri avanzava quella della chierica sul cocuzzolo grattato. E consegner dunque domattina al
mio grassotto prete de Bocchineri il mio componimentuccio sul tema insolito? pensavo, in un ritorno di
risa che non eran pi quelle dellalba. Nil maiores nostri liberos suos docebant quod discendum esset
iacentibus.
Era lora della scuola, lora delle prime lezioni. La pretara arcigna entrava nellatrio, passava sotto il segno
della Cicogna, si af f rettava a occupare le bigonce, f ra il crocif isso e la mappa, f ra la tabella delle Radici
quadrate e la lavagna pietra del paragone de cervelli.
In quel punto udii Cice bociare di sopra i tetti. Mi volsi, e riconobbi il capo di bue nel vano della mia f inestra
senza graticola; vidi f uor del vano le braccia f uriosamente dimenate verso me tetrgono; attesi che la f uria
balzasse dal parapetto e cercasse di raggiungermi. Ma periglioso era il balzo, e non men disagevole il
tramite; cosicch ridendo mi tenni sicuro che da quella parte alle vocif erazioni e alle gesticolazioni gof f e
non era per seguire laf f ronto. Pensai che, discorato dalla mia incuranza, il Contraggnio di Pertola non
potesse altro f are se non correre a denunziarmi, se non sostenere le prime smanie del f into Matteo
Buttaf uoco, se non ricevere ordini bislacchi per la cattura, se non traccheggiare conf ondersi indugiarsi,
inf ermiere e carceriere sempre oscillante f ra il serviziale e le manette. La strategia della monelleria mi
occup scacciando langoscia; mi rischiar la f ronte, mi acu la vista, mi svelt le gambe. Avevo tutto il tempo
di conf ermare il mio disegno, di studiare i luoghi, di scegliere il punto strategico; e perf in di occhieggiare le
belle nuvole giovinette che salivano da dietro le spalle di Montef errato, a borea ponente. Come poteva mai
aver ragione della mia mobilissima audacia quel balogio bischerume seditore, quella gena sedentaria dalle
lacche adese alla ciambella, che di Benedetto Varchi e degli altri Citati non avea comentato in carne se non
un passo a proposito? La paura una trepidazione, e vogliamo dire spavento della mente, per cagione
dalcun pericolo, o presente, o f uturo. La paura unoppenione... Lilarit mi ritornava a squassi, a buf f i;
mentre vedevo scomparire dal vano della f inestra il capo di bue e mi f ingevo linf iochito muglio della
denunzia e la prima interghiezione dindegnazione de maggioringhi, il borbotto a poco a poco ingrossato
dallenf asi e mutato in subbuglio, la notizia propagata per gli anditi e per le aule di panca in panca, la
susurrante allegria de cancheri, i loro occhi distolti dal libro e tutti levati al sof f itto con lo sf orzo lnceo di
trapassare e di giungere a scoprire leroe dscolo sopra i tetti...
Tenevo sotto i calcagni la scolaresca occhiuta, la greggia che avea cessato di belare declinazioni
coniugazioni aoristi attivi passivi medii, non per rovesciar panche e bigonce come a un segnale di rivolta ma
per riporre la penna dietro lorecchia ceruminosa e stropicciarsi le mani sporche dinchiostro. Minf astidiva
quella specie di gloriuzza f unambola che, venendo di gi, pareva f umicare tra gli interstizii degli embrici. Ero
una sommit solitaria e inarrivabile. Ero pacato e intento, senza ombra di millanteria verso altrui n verso
me, dissimulando a me medesimo lorrore di una necessit non evitabile se avessi dovuto compiere il mio
proposito dichiarato, eseguire la mia deliberata minaccia.
Lesplorazione de luoghi mi accertava che il corpulento e lento birro non aveva se non un varco per escir
sopra il tetto a tentare di riammansarmi o di riacchiapparmi: un abbaino riserbato al servigio dei
racconciatori di tegoli, al passaggio de gatti tettaiuoli.
Or la latinggine del mio prete in bigoncia non si sognava, di certo, che per accrescitiva diligenza io avessi
desunto da quel suo medesimo Seneca un tema ben pi temerario Extrema tegula stat e f ossi per
isvolgerlo co piedi: pedibus firmis, senza of f esa della metrica. Il mio punto strategico era inf atti lorlo del
precipizio, lestremit della gronda. Avevo esplorato la resistenza terminale, provato in me la persistenza di
quella immunit dalla vertigine che f ece cos candidamente rischiosa la mia f anciullezza apparentata al gallo
del mio campanile e alla testadimoro del mio trabccolo. Avevo osservato in quel tratto di dccia un po di
polviglio, un po di terriccio, qualche f ilo derba, qualche f ogliuzza macera, e uno scheletrino duccello.
Ma quanto eran belle e cortesi le nuvole che da Montef errato crescendo e splendendo gi raggiungevano il
colmo del cielo! Apparivano come opere darte f oggiate dalla improvvisa f econdit diversit celerit dun
artista giovenile che avesse studiato nelle of f icine dei Ciclopi, nelle pi antiche of f icine pelasgiche, sotto i
maestri f onditori di Samo, sotto i maestri saldatori e congegnatori di Chio, nelle scuole doriche del
Peloponneso, nella scuola di Egina, e anche nella scuola dAtene, e anche in quella di Pergamo, e anche
presso i coroplasti di Tanagra e di Mileto e di Minna e di Tarso, ma ricevuto avesse dallEtereo il potere di
scuotere da s tanti secoli di studio, e il dono di serbare per sempre la sua giovinezza dalunno. Ben io mi
ricordavo del suo nome sconosciuto, non compreso nel Pinace pelasgo, non nella Rosa italiana. Tra Luco
e Apeliote, tra Ornitio e Argeste, egli si chiamava Nef eloplste: . Gli altri Vnti, se ef f igiati, nel sof f io
mostran le gote cos gonf ie che muovono a riso. Ma egli mostrava la f accia dun bel pastore cerulo
attenuata dallarte del canto come quella dei gareggianti siracusani; e le sue palpebre erano immote e le sue
labbra eran composte mentre le sue mani inf aticabili creavano la mai veduta bellezza di alcuno de suoi cieli
nuvolosi.
Che la f a qui, signorino mio bello? Da una nuvola divinamente adagiata come il Cef iso nel f rontone
occidentale del Partenone mi volsi alla mellif lua voce del birro apparito nellapertura dellabbaino; e risposi,
inspirato da Nef eloplste: Ko. Ero a men di due passi dalla gronda.
Egli tentenn il capo di bue bonariamente, con un suo sorriso f ra il trasecolato e lincantato. E anche una
volta, come in tanti altri casi, riconobbi chio gli f acevo una sorta di malia f orse non lontana da quella di
certe serpi leggiadre che impastoiano la bestia bovina nella stalla sordida.
Ma che si gira! Fa certi estri! Qui da pi che centanni o dugento una diavoleria simile non sera mai vista;
neppur per ombra. Il general Cicognini con tutta la Compagnia di Ges si devesser rivoltato sottosopra. La
dica, sor Gabriello: non s noiato ancra? Basta. La venga via col suo Cice. Tutto saccomoda. Fra poco
rulla il tamburo per il ref ettorio.
Palesemente, mera f atto non il ponte doro ma il ponte di zucchero candi, pur che rientrassi nel bellovile
ovio dormii agnello!
Quella volta pi che altra mai mi riconobbi balestra a petto, eccellentemente costrutta e caricata a
perf ettissimi quadrelli, tanto lo scatto della volont f u pronto. Come il Contraggenio si curvava per porre il
piede su la soglia di pietra contigua alla prima f ila di tegoli, io con f erma cautela posi tutte due i piedi sul
tegolo estremo: extrema tegula steti. Vidi il buon birro applicator dempiastri f arsi smorto e coprirsi gli occhi
con le palme in un moto di orrore. Per carit, per carit, si levi di l! La supplico, mi metto ginocchioni.
O Cice, gridai senza muovermi dal punto o Cice, copriti pure gli occhi ma strati gli orecchi. Ascolta. Se
tu osi avvicinarti a me, se tu osi porre la mano su me, io mi getto gi di stianto; e non so ancra se mi
piaccia aggrapparmi a te e trascinarti meco. Mintendi? Rientra nellabbaino, e ritorna a chi ti manda, sbito.
Per la f inestra senza graticola io rientrer nella mia carcere, solo, non costretto, nellora del segnale per la
Cappella e per la Cena o del Silenzio e del Riposo. Fino a quellora nessuno si ardisca di venire a noiarmi.
Laccoglier come tho accolto; lo tratter come ti tratto. Hai inteso? Sparisci sbito. Di qui, sempre di qui,
ritto, io dico: Uno, due, tre!
Il capo di bue, tutto bianciardo come se avesse bollito a stroscio nel paiuolo, senza f iatare scomparve per
labbaino, si dilegu, and a f iutare laceto de sette ladri. Io mi mossi, mappressai allusciuolo, trovai la
chiave nella toppa di dentro, la tolsi, serrai di f uori; e me la tenni, mastia comera, per f are il paio con la
comunella del Carmagnino. Manc la cerimonia dellinchinevole of f erta in sul piatto dariento, ma quella era
ben la chiave dellespugnata signoria.
Optime mi dissi con parca lode. Come premio, ti concederai di andare a rivedere i quattro rondinini, l,
nel riso dargilla, nel nido miracoloso del tuo f ioretto non tramandato. Conf esso che allo sf orzo della tesa
corda succedeva entro di me il sollievo dellallentamento; e, dopo la disf ida alla morte ignuda di creazione,
una selvaggia avidit di vivere, una quasi rabida bramosia dof f rire alla mia f ame un canestro di f rutti
appena colti, una brocca dacqua diaccia alla mia sete. Af f ogavo di sete, morivo di sete. Pensavo alla
volutt delle rondini che entrano con tutto il petto nellacqua inseguendo gli insetti acqutili, e sabbeverano
in voi radente imitando i sassi scagliati a rimbalzello.
Le quattro testine nerazzurre sporgevano in f ila tuttavia dalla f enditura, immobili. La coppia volando in
caccia non si dilungava dalla rocca del camino sicura. Appressandomi, sentii novamente sul mio capo
stridere il vetro arido dellaria rigato dal diamante f uggitivo. Non so perch, lo stridore e lombra guizzante
parvero accrescere il bruciore della mia gola, esasperare il mio supplizio; ma non toccarono lanima, non
rinnovarono lincanto della prima ora, non mi ridonarono la f resca trasparenza primiera. Ero come deluso. Il
nido non marrideva pi. Non pi la maraviglia del mio maravigliato cuore ingrandiva il portento. Non pi i miei
pensieri si disperdevan nel gioco ribalenando a gara con i bagliori dei candidi petti. Non sapevo pi leggere
nelle apparenze; e avevo un inquieto bisogno di leggere dentro di me, nel pi prof ondo di me. Qualcosa di
grave mera avvenuto nel pi prof ondo, qualcosa che mi valeva come la rivelazione della mia natura vera,
della mia vera sorte. Ritornai a capo chino verso il luogo della mia prova, laggi, tra lusciuolo e la gronda. E
anche quel luogo non ebbe pi il medesimo aspetto. Lansia di vivere continuo nella novit dello spirito e
dellevento era dunque il mio divieto di tregua e di pace, il mio divieto di sosta e dindugio? In quel punto
cominciava a determinarsi quella sentenza che doveva rimaner sospesa su la mia prima giovinezza e su la
seconda, e certo pi oltre, e certo insino al trapasso: la spada a due tagli, il dilemma af f ilato: O rinnovarsi
o morire. Ma il senso della novit tanto pi breve e pi cadevole quanto pi lo spirito vorace. La novit
di vita richiede la rinnovazione rischiosa non dogni d ma dogni ora, ma dogni attimo. Vivere per creare
un precetto men grave dellaltro, inverso: creare per vivere. Nellordine dellazione interiore, nellordine
dellalta illusione che si genera tra i sensi e gli esperimenti, lanima dedita alla dea dalla f ronte velata e dalla
tunica lunga non deve mantener vivo il f uoco sacro n conservare intatto il suo vto, ma deve di continuo
riaccendere il f uoco che si spegne, di continuo riprodurre il pregio del dono che si dona: voti munus, muneris
votum. Il possesso ideale del mondo non comporta il rimpianto dellepitalamio saf f ico, non la malinconia
dellintervallo, non il dubbio nella potenza inesausta del gran sentire e f iammeggiare secondo la parola
di quellasceta italiano che scambiava la Volont allAmore, lAmore alla Volont.
Laggi, in quellestrema tegola che per gioco avevo chiamata il mio punto strategico, ora vedevo una
scolpita f igura della mia volont. Il mio atto f orsennato e lucido si disegnava gi f uori di me; non pi
mapparteneva, compiuto; discordava stranamente con limpulso che laveva mosso. Non vera una causa
eroica che lo sostenesse. Il motivo che laveva spinto non valeva pi dun capriccio puerile. Ma valeva
altissimamente in me la sincerit della mia risoluzione, la certezza daver messo a repentaglio la vita su
lorlo vero del precipizio, per nulla, per ben poco, per dispregio alla trivialit altrui, per vampo del mio
orgoglio. Tutto il resto impallidiva e spariva, come la f accia del birro. Rimaneva la volont intrepida, l,
esternata come una f igura, espressa come un esempio. Rimaneva in me la consapevolezza del possedere
una volont di tal tempra, e laspirazione generosa alla causa bella, e il crudo amore della solitudine. Che
segno mera omai quella brutta chiave non atta ad aprire se non un piccolo uscio servile? La presi; e,
sollevando un tegolo, la seppellii. Avevo, da quellora, unaltra chiave, invisibile ma irresistibile, per tutte le
porte incognite: custodite e incustodite.
Ero incapace di meditare, incapace di rischiarare e di noverare le tante altre f orze oscure che mi
travagliavano. Non so da quale lontananza, non so da quale origine mi venisse un atteggiamento che
solevo prendere come per contenere e costringere la pienezza del tumulto, nelle ore estrose. Risalii verso il
colmigno; e mi sedetti, circondando con le braccia le ginocchia sollevate f ino al mento, incurvando la
schiena, piegando la nuca, quasi del mio capo f acendo coperchio al serrame delle mie ossa. Era bello nella
levit del digiuno sentir pullulare la vita, come in una di quelle urne coricate che f igurano le sorgenti perenni.
Era bello non derivarla non deviarla non condurla non disperderla ma saperla nascosta e intiera, misteriosa
e intiera. Non pi avevo cura delle rondini, delle nuvole, dei rumori sottostanti, delle voci lontane, di quel che
accadeva, di quel che poteva accadere. E a poco a poco larte del sogno cominci a insinuarsi nel f olto
delle f orme senza nome. I grandi spazii che avevo dentro di me cominciarono a distendersi intorno a me,
davanti a me, non segnati da alcuna via, da alcuna mta. Chiusi gli occhi; smarrii la certezza dei luoghi;
scordai la carcere, scordai la f uga. Solo rimase in me il senso dello spazio, il senso indef inito dellorizzonte,
del cerchio massimo, dellultimo termine. Non avevo da scegliere un cammino, non un cammino da seguire;
non avevo davanti a me il bivio come emblema solenne, dove un giudicatore canuto f osse a f ar lalta
separazione degli eletti da reprobi. Ma nelle ginocchia sollevate e abbracciate, ma in tutto il corpo
rannicchiato e ristretto, dai piedi congiunti al collo curvo, sentii limpulso di sorgere e di camminare.
Allora il mio nome f u pronunziato, f u gridato. Il piccolo uscio servile f u battuto. Sbito mi levai; e in quella
prima riscossa non chiara un movimento dira prevalse. Chi chiama? Era Dario.
Che vuoi?
Vederti. Aprimi.
Non posso pi aprire.
Perch?
Non voglio.
Aprimi. Che f ollia tha preso?
Lasciami con questa f ollia. Vattene.
Ti porto qualcosa da mangiare.
Non ho f ame.
Ti porto da bere.
Non ho sete.
Sono mandato per parlarti.
Un parlamentario basta. Lho respinto.
Ma sono io, sono Dario.
Addio, Dario. Vattene. Me ne vado.
Ascoltami! Ascoltami!
Mi conosci. Non parlo due volte.
Rimontai sul colmigno, allontanandomi. Unavversione insuperabile mi separava anche dal compagno diletto,
mi disamorava dallamicizia, minduceva a considerare lamicizia come un vincolo da abolire. E si palesava in
quella durezza improvvisa un altro de miei rilievi pi risentiti: la ripugnanza allaiuto, al sostegno: quella che
nellinf anzia costantemente, quando cadevo, mi dava limpeto di respingere la mano tesa a rialzarmi, perf in
la mano pi cara.
Anche la vicenda del cielo si cangiava. Sof f ii tiepidi e f reschi, umidi e secchi a volta a volta mi passavano sul
viso. Il volo delle rondini si f aceva sempre pi basso. Dalla parte di Montef errato veniva un rombo rotto
come se le macine di granito e i massi di serpentino rotolassero e precipitassero. Le opere della bellezza
erano dif f ormate o cancellate come da una barbarie soverchiante. Addio, Nef eloplste, modellatore senza
peso, che repente sapevi convertire in una sostanza labile e f ulgida tutti i marmi adunati nella valle
dellAlf eo! Pareva che succeduto gli f osse un barbaro gonf iatore di otri. Saccumulavano e sinf oscavano le
nuvole. Si f reddavano nella mia bocca riarsa i sof f ii, dattimo in attimo pi distesi e pi gagliardi, con un
sapore dacqua piovana.
Allora novamente lanima mi f u rapita dalle cose, mi f u dispersa nellansiet della buf era. La sete mi f ece
simile a s, mi f ece simile al suo bruciore, non mi lasci niente altro, come quando nel deserto nulla pi vale
f uorch la polla da scoprire o la cisterna da raggiungere, come quando tutto il sangue ispessito non vale
una gocciola dacqua. Le nuvole saddensavano e sabbassavano cos che io mi tendevo con lillusione
f ebrile di raggiungerne una, di af f errarla, di tirarla, di pigiarla come le mani dei sitibondi pigiano lotre non
abbastanza pieno per tanta sete che un f iume non estinguerebbe.
Nel primo mattino lalbero volante e parlante delle rondini non aveva dato al mio petto il respiro della vastit
che il mio desiderio perdutamente dava alla mia gola aperta. Era come il mio respiro di Montalbano, lalito
pnico della mia sensualit e della mia poesia, capace di trarre a s uno spazio pi ampio di quello che la
vista avea percorso. Fra le pi distanti nuvole cerulee distinguevo dal grado del colore la pi acquosa, la pi
pregna di nembo; e colorata lumidit mi scendeva ai precordii. Una pausa del vento mi rendeva piano e
liscio come una lastra esposta alla prima gocciola. Un saetto nero di rondini f uggiasche mi trasmetteva lo
scroscio lontano af f rettandone il sopraggiungere. Cos mera la sete un tormento plastico, una specie di
f olla mimetica che somigliava allinizio duna metamorf osi della Meteora.
O annunzio e attesa, patimento angusto, dominio ampliato di l da ogni limite! Repentino si rovesci il
nembo, come la massa della cataratta che di sbito sapre e inonda. Mi sentivo gi tutto f radicio, prima
dinumidire larsura della bocca, prima di raccogliere la misura dun sorso. Tenni la f accia levata per bagnare
le labbra; e le occhiaie pigliavan pi acqua che le labbra. Mi chinai; mi stesi lungo sopra i coppi, mi adeguai
tutto ai rvoli che gi ingrossavano correndo verso la gronda; posi la bocca nel f ilo mediano degli embrici,
con unaccortezza f erina usando la lingua a sceverare il tritume e il sudiciume mescolati al rovescio, senza
schif o io tanto schif iltoso. Aiutandomi con le mani e co piedi scivolai sino alla gronda; cercai di aggiustarmi
per avanzare il capo. I capelli meran tanto zuppi che per le gote mi bagnavan la commessura delle labbra,
ma pur anco mi rempievan gli orecchi. Sporgendo alf ine la f accia, vidi che la gronda sera lavata e mostrava
il metallo netto. I rvoli parevan men torbidi. Col rischio mi cresceva la destrezza. Prima adoperai la lista di
lino che mera servita a imbavagliare il riso dargilla; tuf f ai e suzzai, inzuppai e spremetti. Ma lacquazzone
aumentava di veemenza e di piena. Mi sentivo come in punto desser travolto dal torrente. Il torrente
mentrava gi dalle gambe f ino alla schiena, mi guadagnava la pelle come se f osse per trarmi dalla trista
spoglia e selvaggiamente nudarmi. Ma passandomi sul corpo lacqua non mi spegneva la sete, non mi dava
la gioia del lungo sorso che dallugola sembra colare insino al calcagno. Fissai le punte de piedi a un rilievo
scabro, che non sapevo se dietro di me resistesse. Tenendo lantibraccio sinistro serrato contro il petto
prono, cercai di pontare con sicurezza il gomito. Avendo riconosciuto limpossibilit di bere a giumella dalla
dccia di latta come dalla f onte di Bandusia, ebbi liberato il gioco del braccio destro per prender lacqua nel
cavo duna sola mano. Com bello sentire nella lucidit del coraggio, allorlo del precipizio, gli spiriti
dellaccortezza misteriosamente istruire e condurre senza f allo i giovani muscoli che si accorgono di
appartenere a un giovine animale! Il rvolo era tanto gagliardo che mi disperavo di non poter bere a
garganella, di dover bere a zinzini come soleva ammonire nel ref ettorio listitutore ciano. Ma, quasi che
nel f radicio mi si agevolassero le giunture, ebbi modo di portare la mano alla bocca seguitamente con tanta
f requenza che dun sol cavo f eci una giumella , imitai la continuit del sorso lungo: prima che il zinzino
scendesse in gola, laltro zinzino era gi alle labbra. Marrestai per alcuni attimi come a interrogare la mia
sete, e a considerar la saldezza del gomito manco. Se f ossi scivolato gi, avrei creduto di bere volando
come le rondini, a rimbalzello sul nembo e su la nembosa morte. Rispondendomi la sete non essere in tutto
spenta, ripresi la bevuta acrobatica. Poi, con eguale scaltrezza strisciando in dietro, mi ritrassi incolume; mi
sof f ermai respirando nel diluvio come quando nel mio mare dopo il lungo tuf f o risalivo a galla; eseguii da
maestro un movimento girevole verso lalto, a simiglianza della lancetta dun oriuolo: mettiamo, di quel tanto
f amoso oriuolo f atto da Lorenzo della Volpaia in ripa dArno. Da prono mi rivoltai supino. Mi ritrovai presso
il comignolo, secondando col corpo il pendio de tegoli e de rvoli, con la f accia alla sf erza della pioggia,
macerato non come un f ascio di canapa o di lino, s bene come un abile f ascio di vimini. Ma mi sentivo tanto
f elice duna divina bestialit che mi rimisi a ridere f inalmente, per disdegno della similitudine vegetale,
pref erendo esser magari una lontra o un bevero di gronda. Ridendo ripensai la crudele parodia dellInf erno
scritta da me e da Gian di Luni a castigo di cancheri e di pedagoghi; e due versi danteschi bagnai dicendoli
ad alta voce con labbra f orse gi lividicce: E come l tra li Beoti lurchi Lo bevero sassetta a far sua guerra...
La mia guerra non era f inita, era anzi nel colmo. Mi bisognava senza indugio f are una nuova invenzione,
ricorrere a uno stratagemma tacito. Veramente ero f radicio sino alle midolle. I miei panni zuppi mi f acevano
aderire al tetto ostile, come quelle gromme ravvivate che per tutto maculavano i coppi bruni e li rendevano
molto pi sdrucciolevoli. Insof f erente della sf erza incessante che battendomi le palpebre mi f aceva dolere
gli occhi, da supino mi rivoltai prono e con una mossa di bevero montai sul colmigno; mi stesi per lungo;
poggiai i gomiti, e rialzai tra le palme la f ronte stillante, in atto di meditare, come un epitagmarco di
Alessandro, come un capo di f alangi macedoni (in dispetto di Dario?) che dopo la vittoria di Arbela studii il
guado dellEuleo e lentrata nella pianura di Persepoli, standosi unto di olio sopra una muraglia di Susa
straboccante di drici doro .
Meglio esser unto di ginnasiale oliva che f radicio di acqua a f lagello. Avevo voglia di strapparmi i panni da
dosso e di gettarli alla buf era. Ogni raf f ica me li diacciava sul nudo e mi dava i brividi.
Allora, disperato di trovare uno stratagemma valido, tolsi dalle mie tempie le palme; e, piegando la gota
contro il braccio destro disteso innanzi mentre il sinistro pi indietro per caso era contratto, mi accorsi di
aver preso latteggiamento mio f avorito di nuotatore. La sof f erenza e la stanchezza mi ammansarono, mi
f iaccarono la volont dinsorgere e di lottare ancra; mi volsero lanima alle imagini della mia terra lontana,
della mia casa lontana. Chiusi gli occhi, stillanti come se lacrimassero; e non cangiai lattitudine, che mi
persuadeva il sogno marino. Non ero pi sul comignolo inviso ma su la chiglia duna paranza capovolta,
nellAdriatico; e stavo per gettarmi a nuoto senza darmi pensiero dei nauf ragio, avendo avvistato una f rotta
di delf ini miei f amiliari che rilucevano dalle schiene curve a ogni salto. Dopo aver nuotato a lungo, mi
prendeva il f reddo. Sbracciando con pi vigore, riguadagnavo la spiaggia. Con una maravigliosa volutt mi
rotolavo nella sabbia af f ocata, mi seppellivo nella sabbia cocente.
Apersi gli occhi. Cominciavo a battere i denti. La pioggia continuava a f lagello. Guardai, co cigli acquosi, la
f inestra della carcere senza graticola. Cercai di rialzarmi in piedi; ma il passo era dif f icilissimo su per i coppi
ingrommati e inondati. Due o tre volte sdrucciolai, con pericolo di raggiungere per lultima volta la dccia e di
saltare oltre. Strof inandomi un ginocchio pesto, mi misi a ridere della mia disavventura che da buon marinaio
dAbruzzo non attribuivo se non al malocchio di Matteo Buttaf uoco. Dove sono i miei delf ini super aequora
curvi? Se casco gi da questa maledetta chiglia, senza il lauro e senza la cetera di Arione, certo che non
trovo nel piazzale della Cicogna un delf ino salvatore, e neppure una barella! Dovetti rassegnarmi a f ar di
nuovo il bevero dantesco, camminando con le mani e coi piedi, bef f andomi di quel glorioso ribelle che nel
primo mattino sul tetto non esplorato si reggeva sempre in equilibrio. Avevo nellorecchio pien dacqua la
voce nasalissima del mio prete che volgeva a scherno la parola sacra: Sic transit gloria mundi. Scuotere il
capo per vuotar gli orecchi ingombri, come nelluscir dal mare verso la sabbia ardente, mi f aceva dolere il
cuore.
Il malessere e la stanchezza estrema attutirono lintimo tumulto, mi velarono perf in laspetto della carcere.
Al parapetto, dondero balzato con s agile arditezza, minerpicai con uno sf orzo penoso. Rientrai. La cella
era deserta; luscio era chiuso; linf erriata divelta era poggiata al muro. Il f inale sussulto della mia energia mi
consent di smuovere il f erro e di ricollocarlo contro luscio. N so comebbi la f orza di strapparmi da dosso
i panni molli che seran appiccati alla pelle; n so comebbi la f orza di asciugarmi almen la f accia. Mi distesi
nella branda; mi avviluppai nelle coperte di lana color di cenere; mi rannicchiai; ricevetti il colpo di clava
nelloccipite dal sonno f ratello della morte.
Come escii dal f ondo del nero sonno, non so dopo quanto tempo, nellatto di stirarmi a dirompere le
membra indolenzite sentii limpedimento. Per le braccia e pe f usoli delle gambe ero legato ai f erri della
branda con una f une, ignudo! Non potei tenermi dal ridere nel buio, tanto mi parve grossa la stupidit del
martirio. Per luscio socchiuso Cice sporse la lampada accesa e il suo capo di bue ricolorito; e disse: Si
sveglia ridendo. Buon segno!
Rido, o bue, perch mhai consacrato martire e mhai dischiuso il regno de cieli.
Gli stato quel bischero del censor Bereni, non so come dimine lo chiamate voi rispose Cice
appressandosi.
Bischero Buttaf uoco appunto. Ma chi mha legato?
lho dovuto ubbidire. La dormiva sodo, sino al giorno del Giudizio. Neppure un sospiro!
Tu sei un birro, un chiappino , un cif f ero ; ma non se buono n a chiappare n a legare. Io, oggi marinaio
dacqua piovana ma in altri tempi marinaio dacqua salatissima, conosco un nodo che appunto si chiama
birro come te, quando si naviga: f ormato a braca, cos che locchio di un doppino entra nellaltro...
Ma la mi f accia il piacere interruppe il canzonato.
Quel Buttaf uoco della papalina non ha imaginazione, orbo balogio . Io tavrei ordinato di legarmi alla
graticola come san Lorenzo. Chi di f erro f ere di f erro pere.
La non mi canzoni, chio le voglio bene. La venga via con me.
Dove?
La venga allinf ermeria, dove c tutto, per mutarsi, per bere, per mangiare, per riposare f ra due lenzuola.
Vedr che le scoppia una f ebbre da cavallo.
Da leone. Ora ti f accio vedere come mi slego.
La venga via, sor martire tettaiuolo . La si lasci slegare da Cice.
Fui slegato. E il Contraggenio f orzuto volle portarmi su le braccia avvolto in una coperta di lana.
Nellinf ermeria ebbe di me ogni cura; mentre i piccoli malati susurravano e parlottavano e mi nominavano,
nelle stanze attigue. Dal bagno passai al letto. Come il f igliuol prodigo, f ui pettinato stropicciato abbeverato
rif ocillato.
A sedere nel letto, col busto rialzato dai cuscini dietro la schiena, non senza malinconia e svogliataggine
mangiucchiavo, di sopra a una tavoletta acconcia, quando vidi Cice volgersi verso luscio socchiuso per
dove sinsinuava qualcosa come unombra timida.
Incerto domandai: Chi ?
Il su compagno rispose linf ermiere a bassa voce.
Dario singhiozzava a pi del letto, col viso nascosto f ra le palme. Dario ancor l, seduto di contro a me,
con un viso disf atto che somiglia a quello di quella sera come un giovine dolore ardente pu somigliare a un
dolore invecchiato e umiliato. Il ricordo della terza f uga, che rivive in me con s robusti rilievi, non gli riappare
se non come un gaio rischio, se non come una tremenda f anciullaggine, nelle mie parole interrotte che non
mai alludono al prof ondo evento interiore, allintima rivelazione, allintimo acquisto.
Ritornando nella camerata te ne ricordi? ritrovasti occupato il posto vuoto del povero Stuardo di
Modena dice Dario anche una volta, con la bocca convulsa, con la voce tremante, con non so che di
colpevole e dinconf esso in tutto laspetto. Nel posto non vollero metter me, cambiandomi, per timore della
lega. Misero uno che aveva la lisca in gola ed era sospettato di f ar la spia: quello delle f erriere di
Cutigliano.
Novamente mi stringe langoscia oscura. Nella dissimulazione sof f rendo, rispondo con leggerezza
af f annosa: Dimentichi che per ingraziarsi me e te aveva trascritta e appiccata alla sua scansa la notizia
storica che si legge nel Palazzo pretorio di Cutigliano: Al tempo di Giovanni Filippo di Mario Bonaparte di
San Miniato Capitano della Montagna dal 1742 al 1745. E, quando rientrai nella camerata, mi salut col
nome dun de due condottieri nativi del suo paese arditissimi: li capitan Mattana! E diede a s il nome
dellaltro: Il capitan Santuccio, con la lisca.
Dario non si rischiara, non sorride. Balbetta: Pochi giorni dopo, quando si sparse la voce che per la tua
condotta ti avrebbero espulso, accadde il f urto della grammatica...
Ma come sei strano, Dario! Sembra che il f atto della mia grammatica ti sia rimasto pi impresso che il f atto
della mia gronda.
Egli si rovescia da un lato su i cuscini del divano, premendosi il f azzoletto su la bocca, straziato da un
nodo della sua tosse mortale.
Dario! Dario!
Non riesco a comprendere la sua insistenza dolorosa in quellepisodio volgare ed estraneo. Il nuovo vicino
di scansa, alunno della mia classe, di poca statura, bleso, obeso anzi tempo, con due occhi vitrei tanto
chiari che liride pareva stinta e quasi cancellata, era diverso dal suo predecessore ma della medesima
specie misera e degenere. Il breve spazio tra la sua tavola e la mia rimase per me occupato dallinquietudine
e dalla tristezza, come nella stagione del piccolo re oltraggiato che teneva dentro il cassetto il topo bianco
dagli occhi rossi e dalle zampine nude. Ora avvenne che un bel giorno io non trovassi pi tra miei libri la
lodatissima e omai rarissima Grammatica del Padre Salvadore Corticelli: Regole ed Osservazioni della Lingua
toscana, ridotte a metodo per uso del Seminario di Bologna 1745. Era caro ai miei studii minuti
specialmente lottimo libro secondo Della costruzione toscana. Inutilmente la cercai, ne dimandai con ogni
premura a miei vicini. Ma Gian da Luni osserv un lieve rossore sul viso gialligno del bleso di Cutigliano.
Cogliendo lora della ricreazione in cortile, quando la stanza dello sgobbo restava deserta, si mise a
rovistare nello scaf f ale del Lisca della Lima; e trov, ben nascosto in f ondo al pi alto de palchetti
dasse, il libro involato. Lo lasci nel nascondiglio, per incrudire la scena dellaccusa. Senza indugio, quando
gli alunni f urono rientrati tutti, accus il ladruncolo, lo svergogn, lo conf use; montando sopra lo sgabello,
tir f uori dal f ondo del palchetto il volume; porgendomelo disse: Non questo? Io dissi: Non esser
crudele, Aronta. Comprendi e scusa lamore della Costruzione toscana in chi nacque l dove Filippo Pananti
e Giuseppe Tigri respirarono la purit dellaria e della f avella, dove Niccol Tommaseo si be nel canto della
Beatrice di Pian degli Ontani. Allironeggiatore lironia. Ma chiudevo dentro di me una tristezza ben pi
aspra di quella che avevo gi patita dal compagno scomparso quando sasciugava in silenzio la guancia
molle e smorta col gesto e con lo sguardo della f issa demenza. proprio vero che non v in terra luogo
pi orrido di quellorridezza che in certi attimi pu storcere un volto umano. Dopo ventanni e pi, ecco che
mi riappare atrocemente la f accia del conf esso, innanzi ai cancheri senza piet, pallido e bof f ice come una
vescica di sugna, scilinguato nellaf f anno del mentire, con quella lisca ridicola che lo strozza, con quegli
occhi tondi che sotto il battito delle palpebre sembrano sciogliersi in acqua come due acini duva bianca
pigiati. Dopo ventanni e pi, quel povero capitan Santuccio sappaia nella mia pena col reuccio scialbo che
non f inisce mai dasciugarsi il vituperio dello sputo su la gota che non f inisce mai daf f losciarsi.
Balzo in piedi. La stessa angoscia mi volge lanima e lo sguardo allun de due Prigioni che Michelangelo
aveva scolpito per la sepoltura interminabile della sua propria inf elicit: al Giovine che inarca il braccio
sinistro sul capo e posa le musiche dita dellaltra mano sotto la zona del petto, bello come un Orf eo che
abbia inf ranto la pttide e sia rimasto in su la porta dellAde a sostenere con la sua deserta bellezza il
dolore di tutti i perdimenti. presso il cembalo. A suoi piedi la maschera f unebre delleroe dalle nove
sinf onie sta sopra un velluto dItalia rosso, che serba il suo proprio f uoco da pi di quattro secoli.
Vieni, Dario. Lvati. Vieni a bere una tazza di t dove in su questora io la bevo: sopra la tavola del mio
lavoro. Andiamo.
Lo aiuto a levarsi, quasi brusco. Non lo guardo. Conduco una disperazione che agonizza nel non sapersi
conf essare. Indovino che andiamo entrambi a un supplizio inevitabile. Ecco, qui io lavoro quindici ore,
diciottore di sguito, ogni giorno. Tra le belle ptine ve n una molto rara, che non prodotta se non
dallassiduo calore del cervello. Prima di me, questi legni non eran tanto ricchi.
La stanza rivestita dun legno corale di sacrestia. Due vasti leggi a muro, provenienti da Santa Maria
Novella, f iancheggiano il camino. Sorge nel mezzo uno stupendo leggo da coro, trovato nel Senese a
miracolo: veramente il pi sensuale piacere chio mabbia nella mia casa composa a mia simiglianza, la pi
saporosa delle dovizie simoniache ancor calde di of f icio divino: materia ambigua tra il legno dellOccidente
cattolico e il bronzo dellOriente estremo, dun indicibile color nocciuola rosseggiante, con i rilievi
dellintaglio pi lisci e lustri che la pi liscia e lustra pelle duna susina claudia.
Vedi. La Grammatica del conf essore di Benedetto XIV l, sempre utile a chi vuol sempre imparare. Larte
lunga. Vedi: porta segnato il mio numero di matricola, e tre volte il mio nome, con la scrittura ancra un po
debole e negletta di quel tempo; che arieggiava la tua. Ecco, nel f rontespizio, un segno della mia tirannide
puerile: le Regole sono in tre libri distribuite da Salvadore Corticelli per uso di Gabriele dAnnunzio
Sospingo il cumulo ingente di pagine che compongono il mio romanzo gi prossimo alla f ine. Le spargo su
la tavola, bianche e nere: carta a mano e inchiostro di seppia. Ora guarda che f orza! Questo si chiama
inchiostrare. Asciugo il calamaio ogni tre ore. Spezzo non so quante penne al giorno. Ma poco dura alla sua
penna tempra, come nel Canto di Vanni Fucci.
Parlo con quella volubilit che sillude di stornare la tristezza, evitando dincontrar gli occhi senza cigli.
Dario ammutito prende un de f ogli bianchi, intinge una penna, e scrive il mio nome, tanto perf ettamente
contraf f acendo la mia f irma che io gli metto le mani su le spalle con un atto af f ettuoso ed esclamo: Alter
ego Di sbito egli si volge verso di me, a f accia a f accia.
In un attimo sono vuotato di tutto il mio mondo imaginario, di tutte le mie f inzioni, di tutte le mie musiche; in
un attimo la stanza severa vuotata di tutta la sua sensibilit af f ine ai miei pensieri come la cassa dello
strumento alle corde. Laura di laggi, quella che appenava lo spazio f ra la mia tavola e laltra, laura sorda
respirata dal maniaco e dal bleso, laura di sf acelo e di dolo mi riawolge a un tratto, mi af f anna, mi af f oga,
come lemanazione di un contagio sordido. Come in un sogno incubo, vedo il mio amico serrato f ra i due
miseri. I tre volti esangui si sovrappongono, si conf ondono, f ormano un volto solo e un solo male, una sola
convulsione e una sola ignominia. E col meglio e col peggio di me io sof f ro nellattimo e negli anni, sof f ro in
non so che groppo inumano di piet e di paura, di bont e di rimorso, di of f erta e di rancore. Ma che hai?
Dario, che hai? Parla. Ti supplico.
Devo parlare? o dovevo uccidermi?
Sono sempre il tuo f ratello, Dario. Pensa che mio padre sia l e ci riunisca mettendo le sue mani su le
nostre spalle, come in quella sera del Memoriale. So comprendere tutto; e posso ancor tutto f are per te. Ma
parla.
Brucerei questa mano che scrive, la brucerei alla f iammella che rischiara questa mia angoscia di notte
perduta, piuttosto che interpretare qui con la mia arte la sua voce, piuttosto che f ermare qui alcuna delle
sue parole. Il suo clamore di colpa non se non lo spasimo de suoi polmoni malati, come la sua tosse
lacerante. Alcuna delle sue parole doventa il sof f io duna larva che temo presente, che temo aggiunta agli
spettri della mia oscurit minacciosa. Quando credo aver riaf f errato il mio coraggio, gli dico: Non ti stimare
cos basso, non taccusare con tanta acredine, non ti dispregiare cos. Non credere che io osi giudicarti.
Sono come te. Conosco il vizio. Ma non mi abbandono se non per vincerlo, come f anno talvolta i lottatori
ingannando lavversario con un f also smarrimento. Giungo perf ino a intendere la personif icazione de Vizii
nelle allegorie cristiane. Tu devi spesso aver sentito il tuo, o f ratello, vivere nella tua casa, allagguato,
bruciarti col suo alito che si parte dallangolo pi oscuro. Conosco lo sf orzo orgoglioso per isf uggirgli.
Conosco il vacillare della volont, conosco gli espedienti puerili: apro la f inestra; guardo la notte chiara, le
stelle, il giardino, la f accia delliddio; guardo questa tavola del mio lavoro, le pagine scritte che paventano la
lima dura, le pagine non scritte che dimandano la spontanea perf ezione. Lanima in me alta, sollevata da
una specie di delirio stellare. Perf ino in questa ambascia del resistere, non iscopro novelle regioni della mia
vita? Non allargo la mia tragedia, di l dal quinto atto consueto? Anche f uor del deserto, il dramma della
Tentazione sublime; non per il resistere, che rinserra il cerchio interiore, ma per il cedere che ti conduce a
scoprire limmensit lirica del tuo corpo e le inaudite creazioni plastiche del tuo desiderio. Credi desser
perduto, e ricevi un inf inito dono. Leggi quel che inciso nel noce massiccio dal coltello di una saggezza
sf rontata: Coercitio Effrenatio.
La mia voce sembra dargli una specie di sollievo soporoso, come un f armaco benigno. A quando a quando
scuote il capo; e la commessura delle labbra violacee gli si contrae con una lugubre assenza di vita, come il
congegno guasto del sorriso in una maschera semovente. A quando a quando, quasi ei f osse cotticcio in
f ondo alla sua taverna di Charing Cross, mormora qualche parola nellidioma della sua f emmina: O this
gloomy world! Mi sembra di cogliere una sillaba o due, e dindovinare. Il mio dolore men torbido; la mia
piet si chiarisce. Laspetto del compagno dagli occhi senza cigli cos dif f ormato che mi sembra una mia
imaginazione espressa con una evidenza di allucinazione, come quando chiudo gli occhi per f ormare
intensamente nel mio cervello una f igura scenica di tragedia e poi apro gli occhi e non senza brivido la vedo
l, tra vita e arte, esterna, pi durevole di me.
Ora imagino che f orse si seduto egli nella taverna della Sirena in Bread-street o in Friday-street f ra
Cristof oro Marlowe e Roberto Greene, dinanzi ai nappi colmi di birra chiara o di vino delle Canarie, dinanzi
alla f igliuola di quella celebre bagascia e ladra espertissima che si chiamava Cutting-Ball e che f u impiccata
a Tyburn dopo un processo scandaloso, f orse anche dinanzi a quella grande e f ulva f emmina raccolta in
Turnbull-street dallautore dello Specchio di Modestia, e f orse ha udito lamasia di Cristof oro, quella che
domani lo tradir nelle braccia del servo Francis Archer e lo getter alla truce morte, dire: O Marlowe, f a il
sordo ai consigli della tua madre timorata. Vivi f ra letto e taverna, f ra taverna e letto. Sii su la terra quel che
il dio ottimo massimo in cielo: il f lessibile schiavo delle tue passioni. E f orse ha udito il poeta di Faustus
pronunziare quel suo verso che lui mago inebriava pi che il vino delle Canarie: A sound magician is a mighty
God.
O lo sf orzo della conf essione lha spossato, o lo estenua la mancanza del f armaco abituale. l, nella
sedia, come istupidito, con le mani su le ginocchia, col mento premuto sul sommo del petto, con gli occhi
f issi, con la bocca malchiusa. Mormora: Allora, domani... Dunque, domani... Mi devo uccidere? E alza una
mano tremolante per cercare sopra la tavola il f oglio dove con la stessa mano ha contraf f atto la mia f irma
di debitore perpetuo.
Gli dico: Dario, non ti tormentare. Quel che ti ho promesso, domattina sar mantenuto. Se sei stanco, se
hai bisogno di riposarti, ti rimando sino a Firenze, sino alla porta della tua casa, con una vettura chiusa. Ti
prego desser tranquillo, Dario. Ho per te lo stesso cuore che avevo dianzi nel venirti incontro per la
rdola.
Cos lo rassicuro, lo racqueto; mi sf orzo di togliere ogni gravit al f allo astuto che lo svergogna: vinco la
mia ripugnanza con laumento continuo della mia tristezza; medicandogli la piaga invelenita dalla sua
f emmina tormentatrice pratica dei f armachi e delle maniere di f ar patire gli uomini, penso al giorno
irrevocabile quando il sangue generoso gli gocciolava gi dalle crepature vive dei geloni contusi e io ruppi
coi denti lorlo della mia pezzuola e la divisi in due lembi per f asciargli le mani. Non hai pi nulla da temere.
Tutto omai divenuto semplice, mio povero Dario!
Per la disperata smania di mandar denaro alla lontana sorella della f igliuola di Cutting-Ball, alla sua Inf ida
nomata italianamente secundum mores meretricis come lamasiuncola di Roberto Greene, egli ha scritto il
mio nome con la perizia che gli conduceva dianzi la penna su quel f oglio vergine prof ittando del mio ben
noto credito presso gli usurai concittadini di Ciappo Ebriachi dalloca bianca in campo vermiglio. Che
importa?
Prendo un cof anetto intagliato da quel Clemente di Francesco del Tasso che f ece lornamento per una
tavola di Filippino Lippi. Contiene il mio scarso tesoro. Lo apro. Dico a Dario esausto, un poco scotendolo:
Guarda. Qui ho quel che mi occorre per ritirare domattina quelle carte. Ma credo che tu sia smanioso di
ritornare a Londra. Prendi questo che rimane, ti prego: t indispensabile. Domani nel pomeriggio verrai a
salutarmi. E bruceremo le carte in quel camino di marmo nero che devessere delle cave di Lesbo. Non hai
badato che nel sasso, f ra i due alari, inciso Divae Salamandrae sacrum. Dentro quel sarcof ago alto, che
sta su due mensole nel luogo della cappa, dorme la principessa Salamandra. Ho la credulit di Benvenuto.
Parlo come chi, avendo paura nel buio, crede di poter tenere a ciancia le tenebre e le larve. S, ho paura di
essere sopraf f atto dalla tristezza, in quella stanza di sacrif izio indef esso dove, dissipandosi il calore del
cervello, rssica la passione del cuore lacerato e umiliato. Nel mio coetaneo, che senza il pi lieve segno di
repulsa in ambe le mani accostate riceve quanto gli of f ro, vedo scendere una improvvisa vecchiezza. Con
un dolore che mi sf orza al pianto, con un terrore che mi agghiaccia la schiena, nel compagno dagli occhi
senza cigli scopro a un tratto qualcosa di vile, qualcosa dignobile.
Balbetta, riponendo in tasca il denaro: Hai una bottiglia di gin in casa? Mi f ai dare un bicchiere di gin? Non
ho pi f orza.
Esco dalla stanza, camminando mollemente sul mio cuore. Chiamo qualcuno de miei f amigli. Af f retto gli
ordini per la vettura chiusa. Faccio portare il ginepro f ino alla soglia. Io stesso prendo la bottiglia e il
bicchiere; poso luna e laltro presso la pagina dove si tempera il vetro f oggiato dallordegno del mio vetraio
di Murano con gesti agili e leggeri come i gesti duna danza silenziosa. Per crudelt contro me stesso,
dico a colui che non pu udire n intendere: Ti verso il gin nel calice di Murano appena appena f reddato, o
Dario.
Egli chiude gli occhi senza cigli, e tracanna. Manda il sorso ardente gi sul nodo di tosse che riscoppia gli
rompe il petto lo strangola.
Diritto, con nel mezzo dellanima una gorgone che mimpietra e mi ammutola, attendo il termine del mio
supplizio assai pi iniquo del suo patimento. Cos, condannato, egli smania di ringoiare lonta e la nebbia. O
this gloomy world!
Ora ti accompagno alla vettura, che pronta. Copriti, Rimetti i tuoi guanti di lana. Avvolgiti bene il collo in
questa sciarpa.
Egli sof f ia: Non mia.
Gli dico: mia. Prendila. Rialzala f in su la bocca.
Egli tocca la bottiglia di ginepro, e sof f ia: Se me la dai, la porto via. Non ho pi f orza.
Prendila. Forse ti sta in una tasca del pastrano.
S, mi sta.
Fa per muoversi; tentenna; si regge in piedi a stento; ciondola un poco dalla parte della bottiglia come se
inchinasse lorecchia al ginepro che un poco si diguazza. Brontola parole smozzicate, che non intendo.
Io e un de f amigli lo prendiamo per le braccia tra gomito e ascella. Lo conduciamo f ino allo sportello,
aiutandolo a salire. Annotta. Il cavallo sbuf f a; e nel chiarore dei f anali vedo f umare il suo f iato. I miei cani,
che dal canile prossimo hanno riconosciuto la mia voce, cominciano a latrare eccitandosi f inch
saccordano in quel roco e lungo clamore che pel rimbombo del chiuso lgubre, quando annotta su campi
deserti.
Dario gi nel f ondo della vettura cupa come se f osse rivestita del drappo nero che susa a coprire la bara
o a cucire la coltre.
Addio, amico! Addio, f ratello! gli grido rassettandogli il pastrano su poveri ginocchi.
Cos alto il latrato della mia doppia muta che io stesso odo appena le mie parole.
Addio, addio, Dario!
Ma lanima ode lo schianto del pianto, e si torce indietro sof f rendo nellattimo e negli anni. Riode e rivede il
compagno dagli occhi senza cigli, che singhiozzava a pi del letto, nel giorno delle rondini e del miracolo,
nel giorno delle nubi e della buf era, nel giorno della ribellione e del coraggio e dellorgoglio, quando senza di
lui nacqui alla gloria.
Gennaio, 1900, in Settignano di Desiderio
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