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si non est civis non est homo Remigio DE GIROLAMI, Tractatus de bono communi (1302)

GIOVANNI PUNZO

Balcani: cittadinanza etnica ed esclusione


Tra le numerose difficolt in cui si dibattono attualmente i nuovi paesi balcanici, bench da un lato si possa affermare con relativa tranquillit che lemergenza pi acuta sia superata e che in generale migliorino sia pure con lentezza a volte esasperante le prospettive politiche ed economiche complessive, dallaltro uno dei maggiori problemi tuttavia sempre costituito dai rifugiati e dai profughi in tutte le accezioni di questi termini1 e dalle situazioni complesse e instabili talvolta drammatiche che ne derivano. Soprattutto in assenza di un consolidato quadro politico di cooperazione transnazionale tra questi nuovi Stati e constatando che a causa delle vicende politiche e belliche della fine del secolo scorso un necessario processo di rinnovata integrazione ancora agli inizii, emerge quindi una realt politico-istituzionale estremamente frammentaria, complessa e fragile, almeno se confrontata con la parte settentrionale e occidentale dellEuropa. Il fenomeno in s non affatto nuovo in questarea geopolitica per vari ordini di ragioni: diverse sono in questo momento le cause principali, bench sostanzialmente tutte riconducibili come in passato alla diffusa presenza di minoranze ancora di una certa consistenza allinterno di una comunit a sua volta pi o meno omogenea, inserita in uno Stato debole strutturalmente; in altre parole la persistenza delle cosiddette macchie di leopardo, che caratterizzavano anche in passato le rappresentazioni cartografiche, collocate allinterno di complessi statali nella sostanza instabili, a dispetto delle parvenze di omogeneizzazione autoritaria che li hanno caratterizzati in passato. La principale conseguenza attuale nei processi di costituzione dei nuovi Stati sembra diventare quindi lassimilazione forzata (la stessa che implicava in passato anche la conversione religiosa), lesclusione, che talvolta pu prendere la forma dellespulsione pi o meno esplicita, il rifiuto del rientro nel luogo di origine o residenza abituale dei profughi o semplicemente la cancellazione amministrativa di numerose persone dai registri dello stato civile: una pulizia etnica silenziosa ed erosiva in un contesto ben diverso dalle drammatiche giornate di Srebrenica o Vukovar, ma non per questo meno pericolosa, proprio perch passata facilmente sotto silenzio. Per questi motivi la
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Bench la differenza sia abbastanza nota, necessaria una schematica precisazione: i rifugiati hanno attraversato una frontiera (border crossing, come richiamato nella Convenzione di Ginevra) per trovare riparo da una persecuzione o da un grave stato di difficolt o pericolo; i profughi interni (o gli sfollati) sono invece coloro i quali hanno abbandonato la loro zona di origine o la residenza abituale, ma non per questo si trovano in un paese straniero: per questa categoria si utilizza lespressione Internally Displaced Persons (IDPs). Nel caso dei Balcani, bench non vi sia stata una vera e profonda revisione globale delle frontiere, quanto piuttosto la nascita di nuovi Stati entro confini gi esistenti prima del decennio e che forse per questo hanno dimostrato scarsa rispondenza alla reale presenza di minoranze, tale comparsa ha tuttavia mutato le condizioni di fondo. Nel caso dei profughi di etnia serba riparati dal Kosovo in Serbia ovvio ad es. che il futuro status della provincia potrebbe influire sulla condizione degli stessi, sebbene si trovino allinterno di uno Stato etnicamente affine e bench non sempre accettati. V. UNHCR, I rifugiati nel mondo. Cinquantanni di azione umanitaria, Roma, UNHCR 2000.

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presenza di profughi e rifugiati sparsi un po dovunque nella penisola e in Europa diventa oggi non solo effetto generale della sommatoria di queste diverse politiche nazionali contingenti, ma piuttosto caratteristica strutturale riemergente della storia dei Balcani, gi interpretata del resto come susseguirsi secolare di flussi incrociati di profughi2 da una parte allaltra della penisola, dove per non si mai costituito sinora uno Stato totalmente e rigidamente monoetnico, basato cio sullalternativa tra assimilazione' o esclusione totale e questo nonostante tale tendenza si sia manifestata pi volte, senza per produrre una costruzione stabile e duratura. Solo dopo limplosione della Jugoslavia storica il riassetto politico e istituzionale generale si indirizzato esclusivamente verso la formazione di Stati monoetnici, mai esistiti in passato se non nei termini a volte leggendari rappresentati dalla mitopoiesi degli stessi. La tendenza attuale di molti Stati di recente comparsa a basare pi o meno apertamente il fondamento della cittadinanza su basi etniche conferma questa tendenza storica nella sostanziale antistoricit della stessa rappresentazione del modello statale forte e monoetnico. Disgraziatamente in questo modo si conferma per anche il paradossale successo dei tanti sanguinosi processi di pulizia etnica, operazioni che soprattutto dopo il 1992-93 e fino al 1999 divennero appunto lo strumento principale di queste rifondazioni statuali: Lobiettivo politico di costruzione dello Stato nazionale coincide[va] con quello etnico di espulsione e distruzione di chi considerato nemico, diverso malgrado decenni di convivenza, matrimoni misti, cultura e lingua condivise3. La cosiddetta pulizia etnica in realt un fenomeno articolato e complesso, nonostante tutto ancora presente e diffuso in varie forme e manifestazioni non sempre riconoscibili, e che implica diverse fasi di sviluppo collegate tra loro, ma che solo recentemente stato riportato allattenzione generale (soprattutto dopo il decennio balcanico), da uninquietante ricerca dedicata a questo fenomeno che lo definisce appunto lato oscuro della democrazia4. Lorigine della pulizia etnica si pu manifestare in forme diverse: pu trattarsi di una costruzione artificiale, oppure pu essere colta dalle forze interessate che ne sfruttano di volta in volta fermenti e tensioni spontanee originate da estese trasformazioni sociali o economiche; pu trarre vantaggio da un particolare contesto internazionale o pu radicarsi nella tradizione e nella storia patria, o pi correttamente nella semplice manipolazione di queste per altri fini. possibile, allora, identificare quali siano gli Stati e le societ maggiormente propensi a
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Marco DOGO, Storie balcaniche. Popoli e stati nella transizione alla modernit, Gorizia, LEG 1999, p. 44. Un'altra rappresentazione della storia dei Balcani come migrazioni proposta in un certo senso anche da Cvijic, quando parla dei movimenti metanastatici (Jovan CVIJIC, La pninsule balcanique. Gographie humaine, Paris, 1918). Per altri importanti riferimenti sugli esodi di popolazione si rimanda a M. BUTTINO (a cura), In fuga. Guerre, carestie e migrazioni forzate nel mondo contemporaneo, Napoli, Lancora del Mediterraneo 2001 M. CATTARUZZA-M. DOGO-R. PUPO (a cura), Esodi. Trasferimenti forzati di popolazione nel Novecento europeo, Napoli, ESI 2000. Non affatto casuale quindi che uno dei punti nodali della questione balcanica sia il controverso (e spesso strumentale) dibattito sui diritti etnici ad occupare un certo territorio rivendicando di essere stati i primi: in realt spesso, allo stato attuale delle ricerche, impossibile stabilirlo. 3 Marcello FLORES, Tutta la violenza di un secolo, Milano, Feltrinelli 2005, p. 39. Sullo stessa linea interpretativa, a proposito dei Balcani considerando maggiormente il livello di integrazione piuttosto che quello di disgregazione, v. anche Gabriele RANZATO, Un evento antico e un nuovo oggetto di riflessione, in Gabriele RANZATO (a cura), Guerre fratricide. Le guerre civili in et contemporanea, Torino, Bollati Boringhieri 1994, p. XVIII. 4 Michael MANN, Il lato oscuro della democrazia. Alle radici della violenza etnica, Milano, Bocconi-EGEA 2005 (trad. it. di The Dark Side of Democracy: Explaining Ethnic Cleasing, Cambridge, Cambridge University Press 2005).

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trovare o a costruire queste occasioni, quali tra questi siano insomma maggiormente portati alla violenza etnica fino alla conclusione genocida? Una domanda simile gi stata posta in passato e fortunatamente solo per breve tempo si parlato ad esempio del carattere innato, tendente allobbedienza assoluta del popolo tedesco come fattore determinante del livello di violenza irrazionale espressa in alcune vicende della II Guerra mondiale5. Analogamente, sullo stesso piano, nel corso del decennio balcanico, si fatto ampiamente ricorso al concetto di odio atavico per giustificare una violenza etnica a cui non si volevano dare spiegazioni razionali e alla quale non si cercava nemmeno di porre termine in modo rapido e coerente, bens attribuendo semplicemente al carattere innato di serbi e croati, di bosniaci e albanesi del Kosovo, la radice di un comportamento che al tempo stesso spaventava ed era rimosso. Il concetto di odio atavico sostituiva in questa esemplificazione causale molto diffusa la naturale tendenza alla violenza e allobbedienza assoluta, gi considerate responsabili del comportamento del popolo tedesco, per cui nello stesso modo, applicata a questa situazione particolare tale semplice spiegazione in astratto risulta altrettanto inaccettabile. Per comprendere appieno un fenomeno come quello della pulizia etnica con particolare riferimento al decennio balcanico, fenomeno alla base dellattuale esclusione nei confronti di singoli diversi o di minoranze, non solamente necessario ripercorrere alcuni nodi storici, ma inevitabile, come del resto prendere in considerazione una molteplicit di fattori che non si esaurisce affatto nei presunti caratteri innati, bens su elementi strutturali e diffusi meccanismi sociali attivi nei grandi processi di trasformazione, in altre parole mutuando lespressione dal linguaggio medico ricorrendo a una vera e propria eziopatogenesi multifattoriale Cio che preme soprattutto sottolineare allinterno di questo lavoro che un processo di pulizia etnica non affatto un fenomeno spontaneo o una semplice crisi di adattamento a nuove condizioni alla cui origine si trova il carattere innato di una popolazione, ma nasce piuttosto da fattori e circostanze precise in particolari fasi critiche di sviluppo di una societ organizzata e seguendo unevoluzione per gradi successivi, a volte condotta in modo strumentale e per altri fini. In altre parole la pulizia etnica pu evidenziarsi anche nelle fasi costitutive di un processo di formazione statuale che, richiedendo proprio per questi motivi alla propria base una solida impostazione di societ multiculturale e multietnica, diventano particolarmente critiche e delicate creando ulteriori difficolt a questo necessario sviluppo. La pulizia etnica pu quindi perpetuarsi nel tempo assumendo modalit selettive e di esclusione/inclusione. Per questi motivi, allinterno di queste fasi sono da considerare con estrema attenzione (e preoccupazione) il concetto di etnia nella sua pratica politica e il suo riverbero su quello di cittadinanza, intesa come legame secolarizzato dellindividuo con il suo Stato di appartenenza: un legame dal quale dipendono tutti gli aspetti collegati che vanno
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Solo studi recenti hanno invece messo a fuoco le particolari condizioni e gli aspetti concreti di alcune situazioni specifiche, uscendo da questo rozzo stereotipo che pi che inaccettabile concettualmente era anche insostenibile oggettivamente. Lovvio riferimento agli studi dello stesso Mann ma anche a C. BROWNING, Uomini comuni. La polizia tedesca e soluzione finale in Polonia, Torino, Einaudi 1995 (trad. it. di Ordinary Men: Reserve Police Battalion 101 and the Final Solution in Poland, New York, Harper Collins 1993); D. GOLDHAGEN, I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e lOlocausto, Milano, Mondadori 2001, London, Little Brown 1996 (trad. it. di Hitlers Willing Excutioners: Ordinary Germans and the Holocaust) e J. GROSS, I carnefici della porta accanto. 1941: il massacro della comunit ebraica di Jedwabne in Polonia, Milano, Mondadori 2002 (trad. it. di Neighbors: the Destruction of the Jewish Community in Jedwabne, Princeton, Princeton University Press 2001).

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dai giusti diritti ai doveri pi elementari, dalle aspettative sociali alle pretese economiche, dalle modalit di appartenenza e ai criteri di differenziazione, fino alle strategie di inclusione o di esclusione degli stessi cittadini dal loro Stato. Assumendo infine come elemento di valutazione della ricomposizione dei conflitti passati nellarea balcanica il grado di cooperazione politica ed economica tra i nuovi Stati, la questione della cittadinanza, analizzata nelle sue implicazioni etno-nazionali, si rivela ancora un segnale indicatore poco rassicurante nei processi di normalizzazione6. Una situazione generale sulla quale, a dispetto dellimpegno profuso anche in termini economici e finanziari non trascurabile , sembra che lazione politica dellUnione Europea, pure se unica portatrice di unampia soluzione condivisibile da tutti, non sia stata sufficientemente incisiva. Nel quadro di quella che in modo eufemistico descritta come la forma post-moderna di riorganizzazione degli assetti geopolitici ed economici dei Balcani dopo l89, unanalisi dei concetti di identit e di cittadinanza diventa cruciale, tentando possibilmente di limitare un uso sfrenato del concetto di identit trasformatosi ormai nella panacea ermeneutica della spiegazione della complessit del reale anche nel nostro mondo occidentale. Parafrasando con amara ironia un noto aforisma (I Balcani producono pi storia di quanta ne possano consumare7), resta purtroppo vero che la penisola balcanica continua oggi a generare pi profughi e rifugiati di quanti ne possa e ne debba trattare con maggior umanit e rispetto.
1. LEuropa orientale e balcanica tra le due Guerre mondiali

Bench ormai di tratti di unosservazione banalizzata, per comprendere anche questa situazione specifica indispensabile fare i consueti passi indietro e tornare ai nodi storici costituiti dalle due Guerre mondiali e pi esattamente al breve periodo di pace intercorso tra i due conflitti. In un certo senso i problemi emersi allora hanno anticipato quel legame globale tra i diversi fenomeni interni e il disordine collettivo che caratterizza gli attuali processi di mondializzazione e globalizzazione in atto. Ricorrendo nuovamente in questo caso a unaltra metafora abusata si potrebbe dire di trovarsi di fronte a terre riemerse dopo il ritiro delle acque che presentano tuttora una configurazione gi vista. La trasformazione radicale dellEuropa centro-orientale dopo il 1989 ha riportato infatti alla luce soprattutto nellambito dei rapporti tra gli individui e lo Stato, oltrech nei rapporti tra gli Stati stessi i numerosi problemi strutturali gi manifestatisi allora, affrontati in momenti e sedi diverse, ma non per questo
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Questo sembra essere il quadro descritto da Anna Maria GENTILI-Mario ZAMPONI (a cura), Stato, democrazia e legittimit. Le transizioni politiche in Africa, America Latina, Balcani, Medio Oriente, Roma, Carocci 2005. In particolare allinterno v. Stefano BIANCHINI, Stato debole e instabilit nellEuropa sudorientale: le radici storiche di un fenomeno moderno, p. 17-40; Damir GRUBISA, Il ruolo predominante della nazione-Stato e la cooperazione regionale nellEuropa sudorientale, p. 41-49; Francesco PRIVITERA, Lo smembramento della Jugoslavia e lintegrazione europea, p. 133-151; Luisa CHIODI, Legittimit e consenso, crisi dello Stato e transizioni politiche. Promuovere la societ civile nellAlbania postcomunista, p. 203-217. 7 La frase risale allumorista britannico H.H. Munro, conosciuto come Saki; in seguito ebbe ampia diffusione nel mondo anglosassone e fu attribuita addirittura a W. Churchill. In realt la versione originale era: The people of Crete unfortunately make more history than they can consume locally e per di pi in un contesto diverso. Saki, che aveva visitato effettivamente sia lisola greca he la Macedonia ottomana ai primi del Novecento, fece pronunciare la storica frase a un personaggio immaginario di nome Arlington Stringham, il cui comportamento soprattutto verbale condusse la moglie al suicidio (Keith BROWN, The Past in Question. Modern Macedonia and the Uncertanies of Nation, Princeton, Princeton University Press 2003, p. xi).

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risolti completamente e nemmeno in parte attenuati. Nonostante i vari tentativi di riforme interne dalla fine del XIX secolo in poi il cui fallimento aveva per rafforzato le cause dello stesso conflitto , dopo la I Guerra mondiale scomparvero dallarea dellEuropa centro-orientale tre grandi imperi multietnici: limpero austro-ungarico, limpero russo e limpero ottomano. Apparentemente quindi i principali ostacoli verso la realizzazione di nuovi ordinamenti statuali basati sul principio di nazionalit potevano dirsi rimossi. Si sarebbero potute dunque realizzare le aspirazioni espresse da Tomas Masaryk ed Edvard Benes (ma anche dallo stesso jugoslavismo) che, dopo la lotta vittoriosa contro le potenze della monarchia medioevale e teocratica, dellassolutismo indemocratico e anazionale, auspicavano invece il sorgere di stati costituzionali, democratici e repubblicani, che riconoscessero il diritto di tutti i popoli, non solo dei grandi ma anche dei piccoli, allindipendenza statale. Al di l del loro valore di affermazioni di principio forse piuttosto enfatiche soprattutto oggi, considerate con una scettica mentalit contemporanea , queste idee erano comunque assolutamente in linea con quanto si sosteneva sullaltra sponda dellAtlantico: anzi da ricordare a questo proposito che il presidente americano Wilson, nella sua personale prospettiva, pur ritenuta da molti utopistica, articolava molto meglio il concetto di riassetto politico post-bellico riassumendolo mirabilmente nei famosi 14 punti8, risultato anche di una specifica visione costituzionale dei diritti delle minoranze tipicamente nordamericana, non fondata quindi sulla tutela internazionale, ma piuttosto sul sistema giudiziario interno come perno costituzionale. In breve per conciliare le esigenze del riassetto territoriale e delle minoranze di popolazione con la definizione di nuovi confini, nel tentativo di inglobarle in Stati etnicamente omogenei, si rivel lincubo dei diplomatici europei9. Da una parte esisteva infatti una scarsissima conoscenza delle intricate questioni territoriali ed etniche, che nemmeno unintensa e prolungata attivit di sopralluoghi e missioni in loco riusc a chiarire, ma dallaltra si era anche costituito un intreccio di accordi segreti nel contenuto e spregiudicati nelle finalit preliminari o contemporanei alla condotta politica della guerra , che condussero inevitabilmente al fallimento generale. Non solo esistono molte testimonianze dirette del clima particolare di quel periodo10, ma numerosi studi hanno sottolineato la generale sottovalutazione del problema etnico in s, se non addirittura la sua mancata comprensione11. Eppure un altro aspetto non secondario fu la propaganda dellet della massificazione della politica che fu un ulteriore tratto caratteristico della storia successiva alla I Guerra Mondiale12 e largomentazione
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Si trattava di un programma generale per il riassetto politico dellEuropa, esposto in un discorso pronunciato dinanzi al Congresso degli Stati Uniti l8 gennaio 1918. In particolare, ai punti X e XI, si sosteneva: Ai popoli dellAustria-Ungheria [] dovr essere accordata la pi ampia possibilit di uno sviluppo autonomo e le relazioni tra i diversi stati balcanici dovranno essere fissate amichevolmente, tenendo conto delle somiglianze e delle differenze di nazionalit che la storia ha creato. 9 Edgar HSCH, Storia dei paesi balcanici. Dalle origini ai giorni nostri, Torino, Einaudi 2005, p. 194 (trad. it. di Geschichte der Balkanlnder. Von der Frhzeit bis zur Gegenwart, Mnchen, Beck Verlag 2002). V. anche Guido FRANZINETTI, I Balcani: 1878-2001, Roma, Carocci 2001. 10 Il riferimento allampia memorialistica storico-diplomatica risalente al periodo tra le due guerre incentrata su queste vicende. 11 Claudio RIS, La Guerra Postmoderna. Elementi di polemologia, Gorizia, Tecnoscuola 1996, p. 52-60. 12 In realt sarebbe da approfondire il legame tra la forma e i contenuti della propaganda di guerra nel momento della massificazione della guerra e quella successiva in tempo di pace, per scoprire semmai che la politica la continuazione della guerra con altri mezzi, e non il contrario e che il confine in questo caso molto sfumato.

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storico-nazionalistica al suo servizio, che secondo lo storico Henry Pirenne non doveva pi agire su pochi diplomatici: doveva convincere della giustizia della loro causa quelle masse di cittadini che votano e che combattono. Pertanto, sommando alla sottovalutazione dei professionisti della politica internazionale le spinte di massa probabilmente, proprio in quanto tali considerate non accettabili, ritenute demagogighe o peggio , il risultato finale della mancata comprensione di una trasformazione contradditoria fu quello sotto gli occhi di tutti. In realt, pur tenendo in debito conto questa interpretazione, mancarono in seguito completamente due punti di riferimento stabili: il sistema internazionale come strumento regolatore esterno, ossia la mancanza di efficaci meccanismi attuativi e di controllo sovranazionali che si fondassero a loro volta su strutture statuali solide, sia i sistemi costituzionali interni per la tutela delle minoranze. In questo quadro complesso, di una difficolt cos estesa fino ad allora sconosciuta alla diplomazia e alle cancellerie europee, lapplicazione sostanziale dei 14 punti si rivel praticamente impossibile e non solo per la loro mera apparenza utopistica, pur riconosciuta da molti contemporanei, ma anche perch, solo da un punto di vista territoriale, si trattava in pratica quasi di mezzo continente e cio di tutta lEuropa orientale dal Baltico ai Balcani fino al Mar Nero e allAdriatico. Unestensione enorme occorre ricordare a cavallo di frontiere non solo territoriali o di singoli Stati, solcata per di pi dalle grandi linee della geopolitica: i confini interni dellEurasia e delle grandi religioni, dove il cuneo musulmano penetra a lambire la linea di demarcazione tra cattolici e ortodossi13. Laspetto economico e commerciale, che prevedeva la creazione di una sorta di area di libero scambio, divenne terreno di scontro di egoismi nazionali e in conclusione risult ingovernabile mentre mancarono anche le necessarie condizioni di sviluppo. In tal modo si consolidarono pertanto le premesse delle crisi economiche che periodicamente devastarono i fragili Stati di nuova costituzione e lobiettivo di fondo prefissato, cio il raggiungimento di un certo livello di stabilit politica interna legata a una sorta di autosufficienza economica, adeguata alla nascita dei nuovi Stati e fondamentale per il loro sviluppo, non fu mai colto. Soprattutto fall anche il tentativo di regolare nel suo complesso questo nuovo sistema internazionale che non comprendeva quindi solamente questi nuovi Stati attraverso la Societ delle Nazioni, materializzazione dellultimo dei 14 punti, che non fu in grado di assicurare la garanzia di equilibrio richiesta. Lultima risorsa a cui ricorsero i paesi balcanici divenne quindi la svolta autoritaria nel quadro dellemergenza, ovvero la dittatura per la salvezza della patria e lanti-parlamentarismo, in misure e tempi diversi per singolo paese, ma che si protrassero praticamente fino alle soglie del secondo conflitto mondiale, in uno Stato di anarchia interna semi-permanente sul quale si innestarono le pi forti politiche di potenza di Stati invece autenticamente dittatoriali come la Germania e lItalia o, pi semplicemente, le normali politiche di influenza di Stati democratici come Francia e Inghilterra. In sintesi si pu affermare quindi che le cause pi ampie dellinstabilit politica balcanica furono sia interne che esterne, ma riconducibili comunque a due grandi gruppi di fattori: a) la disomogeneit interna e la debolezza economica che condussero a crisi strutturali dei singoli Stati e b) gli influssi esterni destabilizzanti originati dalla diffusa pratica di accordi bilaterali
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Terry MARTIN, The Origins of Soviet Ethnic Cleansing, The Journal of Modern History, n. 70, 1998, p. 817.

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negoziati da ristrette elites al potere in un quadro politico-internazionale a sua volta instabile, privo cio di una struttura non tanto di governance, ma nemmeno di ricomposizione dei conflitti. Prima della scomparsa degli imperi multinazionali i sudditi di etnia diversa allinterno di queste grandi compagini statali erano circa sessanta milioni, mentre alla fine della guerra gli europei governati da unetnia diversa erano diventati circa venticinque milioni14. Soprattutto nellEuropa orientale le nazionalit subordinate erano diventate dalla met a circa un quarto della popolazione nel suo complesso: in tal modo si era notevolmente affermato il principio dellidentificazione tra Stato ed etnia/nazione, ma la situazione preesistente si era frammentata ulteriormente. Si trattava in ogni caso di una cifra ancora rilevante ma che, al di l del semplice dato numerico, rappresentava comunque delle significative diversit, soprattutto nelle condizioni delle singole minoranze. In totale gli Stati invitati a sottoscrivere speciali trattati sulla tutela delle minoranze, o ad impegnarsi comunque in tal senso davanti alla Societ delle Nazioni, furono ben quattordici: Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Ungheria, Romania, Jugoslavia, Albania, Grecia, Turchia e Iraq; un elenco dal quale si desumono facilmente lestensione del problema e la sua dimensione, ma anche il livello di diversit intrinseca dei singoli problemi nazionali.
La guerra aveva visto forti flussi di rifugiati, che gli accordi di pace aumentarono. Nel 1926 i profughi europei erano quasi 10 milioni, tra cui 1,5 milioni scambiati tra Grecia e Turchia, 280.000 scambiati tra Grecia e Bulgaria, 2 milioni di polacchi, 2 milioni di russi e ucraini, quasi un milione di tedeschi, quasi 250.000 ungheresi e 200.000 estoni, lettoni o lituani. Sono cifre sconvolgenti. [] In Europa orientale, le nazionalit subordinate erano state ridotte dalla met a un quarto della popolazione. La cittadinanza ora si identificava sostanzialmente con letnia e gli appartenenti a minoranze rischiavano di diventare cittadini di seconda classe15.

Mentre lo Stato-nazione organico si afferm o si rafforz ulteriormente nellEuropa occidentale e del nord-est (Spagna, Francia, Germania, Italia e in parte in Polonia), nellEuropa orientale e balcanica le dinamiche politiche del dopo-guerra crearono tre tipi principali di soggetti con connotazione etnica, ma non per questo nazionale: a) le minoranze nazionali: ovvero gruppi di popolazione che costituivano una minoranza nello Stato in cui si trovavano; b) gli Stati in via di nazionalizzazione: Stati allinterno dei quali la maggioranza nazionale tentava di riflettere solo se stessa allinterno della nuova organizzazione creando una cittadinanza di seconda classe; c) gli Stati-patria esteri: ovvero un punto di riferimento esterno per le minoranze nazionali al quale rivolgersi per richiedere sostegno e protezione16.
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MANN, cit., p. 82. Ivi, p. 82. 16 R. BRUBAKER, Nationalism Reframed: Nationhood and the National Question in the New Europe, Cambridge, Cambridge University Press 1996. Gi Hannah Arendt aveva messo in evidenza nelle Origini del totalitarismo (1951), soprattutto a partire dalla fine della I Guerra mondiale, che ladozione del modello dello stato-nazione da parte di lite politiche di societ multietniche port alla creazione di due categorie di vittime, le minoranze nazionali e i senza stato. I primi erano persone con unidentificazione nazionale diversa da quella su cui lo stato in cui vivevano fondava la propria identit politica, ma omogenea a quella di uno stato estero. Questa circostanza differenziava gli appartenenti a una minoranza nazionale dai senza stato, che invece erano privi di un loro stato di riferimento, ed erano condannati a rimanere delle eccezioni rispetto allequazione dellideologia nazionalista: una nazione=uno stato.

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A questi soggetti se ne potrebbe aggiungere un quarto, bench in realt di natura molto pi complessa e sfuggente alle classiche categorie etniche, costituito dagli ebrei e dagli zingari che, sparsi in tutta larea, rappresentavano a loro volta una nazione-patria, ovvero, pur costituendo gruppi minoritari, non potevano per ancora contare sui consueti legami di solidariet e protezione indiretta tra una minoranza e uno Stato-nazione altrove costituito. In considerazione del sentimento anti-semita e dellaperto razzismo nei confronti degli zingari presenti in Europa orientale17 tra le due guerre, ma soprattutto nella prospettiva del successivo genocidio perpetrato, tali gruppi costituiscono un caso a s stante, che conferma per lesistenza di un diffuso sentimento di ostilit latente nei confronti del diverso e dello straniero, in altre parole verso un cittadino non riconosciuto come tale e quindi di seconda categoria. Il nesso che interessa sottolineare quello che lega lo sviluppo dello Stato moderno, promotore di politiche di popolazione e di divisione delle stesse in segmenti pre-definiti (soprattutto in rapporto alla fedelt nei confronti dello Stato stesso), alle repressioni che furono messe in atto in seguito nei confronti di tali categorie costruite e reificate dalla stessa azione statale18 in contesti emergenziali, soprattutto durante una guerra, ma anche in previsione di questa o immediatamente dopo un conflitto. Una situazione ora descritta in termini astratti, ma che ci porta a definire un quadro per quanto sfuocato assai simile a quello contemporaneo. Di fronte a questo difficile quadro complessivo, allinterno del quale si mescolavano la presenza di attori ineguali, la necessit di un nuovo ordine internazionale stabile e quella del consolidamento istituzionale degli Stati, le opzioni possibili per regolare i problemi delle minoranze furono in pratica quattro: a) la revisione delle frontiere per inglobare o cedere aree sulle quali insistevano minoranze, che per come detto sopra si rivel praticamente impossibile; b) lemigrazione e lo scambio di popolazioni, di cui si tratter pi avanti; c) leliminazione delle minoranze, di cui si manifestarono numerosi tentativi attraverso lassimilazione forzata o lespulsione; d) altri tentativi di modifiche costituzionali per permettere uneffettiva tutela delle minoranze, ma da coordinare con il nuovo ordine internazionale19.
1.1 Tutela internazionale e scambi di popolazione

La soluzione della vigilanza internazionale, che in termini contemporanei si potrebbe giudicare


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Un elemento da pi parti sottolineato, per chiarire alcuni aspetti sulle origini dellantisemitismo che gravava pesantemente sullEuropa orientale, era la diffusione di testi di propaganda apertamente razzista, come ad esempio I Protocolli dei Savi di Sion, notoriamente un falso prodotto dalla polizia zarista nei primi anni del secolo. Anche HSCH (cit., p. 198) e H. SETON WATSON, Eastern Europe between the Wars 1918-1941, Boulder, Weastview Press 1986, sottolineano la particolare virulenza dellantisemitismo interbellico non solo nei Balcani ma in tutta lEuropa orientale. 18 Oltre alla gi citata interpretazione di H. Arendt, Aristide ZOLBERG, The Formation of New States as a RefugeeGenerating Process, Annals of the American Academy of Political and Social Science, n. 467, 1983 ha colto invece laspetto religioso del fenomeno richiamandosi alla cacciata dalla Spagna degli ebrei alla fine del XV secolo: estendendolo ad altri casi connessi ad eventi legati alle vicende della Riforma e della Controriforma (espulsioni dei protestanti dai Paesi bassi spagnoli, degli Ugonotti dalla Francia o dei Valdesi dal Ducato di Savoia), a fattore comune resta comunque lespulsione del diverso, attraverso le fasi successive dellidentificazione del potenziale nemico, dellassimilazione forzata (per abiura) o dellespulsione. 19 R. HAYDEN, Imagined Communities and Real Victims: Self-Determination and Ethnic Cleansing in Yugoslavia, American Ethnologist, vol. 23, 1996.

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con il senno di poi come il pi praticabile e auspicabile, nellambito delle trattative di Versailles fu pi volte riconosciuta gi come tale e sottolineata, come del resto appare abbastanza nettamente dai trattati per la tutela delle minoranze che furono promossi nel quadro dellattivit della Societ delle Nazioni20. A parte la fragilit strutturale dellorganizzazione internazionale tra le due guerre, carenza che emerse nettamente pi tardi di fronte al problema dellesecuzione delle deliberazioni, il problema delle minoranze era in ogni caso ben noto e fu formata una Commissione ad hoc per la stesura di un trattato per la loro tutela. Linternazionalizzazione del problema, che si concretizzava nella proposta di adozione di tale trattato, costituiva un notevole passo in avanti sul piano degli strumenti giuridici da porre in essere, e non solo quindi su quello delle semplici affermazioni di principio. Tutti i trattati erano pi o meno simili, in quanto contenevano una dichiarazione generale, dei principi di base e norme precise sulle garanzie di cittadinanza volte a prevenire discriminazioni nei confronti delle minoranze21. Il principio della tutela esterna non poteva nemmeno definirsi in s del tutto nuovo in quanto per secoli, proprio in tutta larea balcanica, si era sviluppato il sistema del millet che offriva delle minime garanzie in materia di trattamento delle minoranze da un punto di vista religioso e quello della potenza protettrice. Ma principalmente, nel nuovo assetto proposto a Ginevra e si trattava probabilmente dellaspetto pi innovativo , erano indicati strumenti coattivi per lapplicazione della tutela ed erano inoltre previsti i casi nei quali la minoranza si potesse rivolgere direttamente alla Societ delle Nazioni in caso di violazione dei propri diritti. Le eventuali controversie sarebbero state successivamente discusse in sede di Corte permanente di giustizia internazionale, nuovo organo della Societ delle Nazioni, le cui deliberazioni erano vincolanti. Sebbene le norme variassero da Stato a Stato, e la loro reale efficacia fosse discutibile, limpostazione del problema risultava abbastanza corretta e comunque moderna. Anche in questo caso per le difficolt di ordine politico generale non consentirono la piena realizzazione dei progetti principalmente perch i vincitori esausti esitarono a conferire uno status troppo importante alle minoranze, a indebolire i governi e a fornire ai difensori delle minoranze mezzi per contestare il nuovo ordine22. In altre parole, pur riconoscendo il passo avanti fatto per la tutela delle minoranze, il compromesso ottenuto risult alla fine troppo debole alla prova dei fatti.

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Dubbi sulla solidit del nuovo assetto balcanico furono espressi abbastanza presto. In un dibattito alla Societ delle Nazioni, Smuts fece alcune osservazioni: The animosieties and rivalries among the indipendent Balkan states in the past, which kept that pot boiling, and occasionaly boiling over, will serve to remind us that there is the risk of a similar state of affairs on a much large scale in the new Europe, covered as it will be whit small indipendent States. In the past the Empire kept the peace among the rival nationalities; the League will have to keep the peace among the new States formed from these nationalities. This will impose a task of constant and vigilant supervision on it. 21 Erik GOLDSTEIN, Gli accordi di pace dopo la Grande guerra (1919-1925), Bologna, Mulino 2005, p. 54 (trad. it. di The First Word War Peace Settlements (1919-1925), London, Longman 2002); il corsivo mio. 22 C. FINK, The Minorities Question at the Paris Peace Conference. The Polish Minorities Treaty, June 28, 1919, in M. BOEMECKE-G.D. FELDMAN-E. GLASER (eds), The Treaty of Versailles. A Reassesment after 75 Years, Cambridge, Cambridge University Press 1998, p. 274. V. anche U. CORSINI-D. ZAFFI (a cura), Le minoranze tra le due guerre, Bologna, Mulino 1994.

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Restava quindi la seconda soluzione tra quelle indicate alla fine del precedente paragrafo e cio quella dellesodo volontario o del trasferimento forzato di popolazioni da uno Stato allaltro. Lepisodio pi noto e controverso dopo la I Guerra mondiale fu lo scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia, successivamente sanzionato con il trattato di Losanna nel 1923 e sul quale necessario soffermarsi in maniera abbastanza dettagliata. Alla conclusione del conflitto sul fronte occidentale la Grecia, godendo dellappoggio delle potenze vincitrici e nel quadro di una politica di spiccato carattere imperialista, intendeva espandere la propria egemonia nel Mediterraneo orientale fino a lambire lo Stretto dei Dardanelli e quindi laccesso al Mar Nero. Questa politica di potenza, denominata Grande Idea, mirava poco realisticamente al modello dellimpero bizantino e, nel momento del crollo dellimpero ottomano, trov una circostanza favorevole al suo avvio. Lunica fase favorevole fu per quella iniziale e, nonostante lo sbarco a Smirne dove si trovava una consistente minoranza greca non solo presente nella citt nel maggio 1919, dopo uninsurrezione nazionalista turca e una durissima battaglia campale nellagosto 1921, le sorti si capovolsero e un milione e centomila greci dovette abbandonare la Turchia, pressato e incalzato dalle truppe turche. Contemporaneamente almeno cinquecentomila musulmani furono costretti ad abbandonare la Grecia. Questi fatti non solo segnarono la sconfitta greca determinandone tutta la futura politica estera praticamente sino al secondo dopoguerra ma una vera e propria rinascita turca, dopo che Mustaf Kemal, imponendo il trattato di Losanna nel 1923, arrest ulteriori smembramenti territoriali mediante un assetto politico stabile in Asia minore. Dal punto di vista della tutela delle minoranze il precedente fu comunque terribile in quanto le espulsioni dei musulmani dalla Grecia e dei greci dalla Turchia costituirono praticamente anche un deliberato atto di rappresaglia contro una minoranza etnica a seguito di una sconfitta militare subita in una campagna voluta per ampliare il proprio territorio. Questo valore di precedente stato colto da Istvn Bib, intellettuale e politico ungherese, che nel 1946 scriveva che il metodo dello scambio delle popolazioni stato sperimentato la prima volta nelle relazioni greco-turche e, sebbene si sia svolto in maniera alquanto disordinata, tumultuosa e poco umanitaria, i suoi risultati sono stati sorprendenti e invitanti: il secolare contrasto tra turchi e greci, che prometteva di durare altri secoli, si dissolto nel giro di dieci anni23. Tuttavia in seguito riconosceva, non senza una certa magnanimit, che lo spostamento di popolazione poteva diventare unarma a doppio taglio, usata da ogni aggressore che volesse conquistare un territorio liberandolo da una popolazione estranea, e doveva essere soggetto a regole ben precise e internazionalmente riconosciute: lo scambio di popolazione va preso in considerazione quando su un determinato territorio non si possa fisicamente seguire il confine etnico, e a causa del contrasto tra le parti non si possano mantenere le condizioni storicamente affermatesi, vale a dire lo status quo. Inoltre, lo spostamento pu avvenire solo su basi di reciprocit, e con una risoluzione della comunit delle nazioni e sotto il suo controllo; e, una volta cos avvenuto, irreversibile24. Le considerazioni di Bib, scritte nel secondo dopoguerra, traevano spunto da quanto accaduto a seguito delle modifiche territoriali tra Germania e Polonia e dallannessione della Slesia al nuovo Stato polacco dopo il 1945, che aveva praticamente espulso tutta la popolazione di etnia tedesca.
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Istvn BIB, Miseria dei piccoli stati dellEuropa orientale, Bologna, Mulino 1994, p. 96 (ed. or. 1946), il corsivo mio. 24 IDEM, p. 97.

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2. Dalletnia alla cittadinanza europea 2.1 Letnia e la cittadinanza

Stabilire un concetto univoco di etnia non impresa facile. Per meglio dire, se da un lato risulta abbastanza semplice descrivere in astratto le caratteristiche ipotetiche di una comunit da un punto di vista meramente teorico25, dallaltro ci si trova di fronte a varie raffigurazioni controverse e confliggenti , soprattutto quando ci imbatte nel concetto di identit, categoria esplicativa per altro ormai abusata. Occorre precisare preliminarmente che anche lidentit etnica comunque identit sociale26, ma che lindividuazione del suo peso effettivo tuttaltro che irrilevante nello studio delle ulteriori dinamiche messe in atto: stabilire in altre parole quali ne siano concretamente dimensione e ruolo allinterno di processi sociali pi ampi, ma tenendo presente anche che lidentit collettiva necessita non solo di un riconoscimento interno cio, il senso di appartenenza , ma anche di un riconoscimento esterno mediante il conferimento della qualifica di alleato, neutrale o nemico da parte di altre comunit sulla base di analoghe elaborazioni concettuali. In assenza, secondo la maggior parte degli studiosi, di un solido fondamento ontologico, lidentit si sposta sul piano della conflittualit27. Determinante diventa quindi il terreno di scontro, ovvero loggetto del contendere che, nel caso del governo di un paese o del controllo di una parte del territorio, si trasforma in un fattore scatenante. Il problema vero diventa quindi stabilire la natura del legame etnico in s, per scoprire quale ruolo giochi in determinate situazioni e quando siano da attribuirgli gravi responsabilit. Il decennio balcanico, oltre a indebolire drasticamente qualsiasi ragionevole ottimismo sul futuro delle relazioni internazionali28, ha imposto delle profonde riflessioni sia sul concetto di guerra etnica, sia sulla conseguente pulizia che ne era diventata lo scopo principale, e indirettamente ha prodotto una quantit rilevante di studi e ricerche. Tra le pi significative si colloca quella di Michael Mann, soprattutto per lo sforzo di comparazione tra epoche, localizzazioni geografiche e casi diversi e labbondante documentazione presentata: tesi principale di questo autore che La pulizia omicida moderna: il lato oscuro della democrazia29. Dopo aver elencato brevemente i focolai tuttora esistenti in varie parti del globo, Mann illustra e articola dettagliatamente le prime sottotesi relative: 1a. la pulizia etnica omicida un rischio connaturato allera della democrazia perch in condizioni di multietnicit il governo ideale del popolo cominci a intrecciare il demos con lethnos dominante, generando concetti organici di nazione e Stato che incoraggiano leliminazione delle minoranze e tali concetti si inaspriscono ulteriormente assumendo connotazione di classe. Tralasciando la sottotesi 1b
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Secondo una diffusa definizione una popolazione costituisce unetnia quando condivide un certo numero di elementi culturali significativi: riti religiosi, mitologie, memoria collettiva, lingua. (Anthony D. SMITH, Le origini etniche delle nazioni, Bologna, Mulino 1992, p. 65: questo senso della storia e la percezione dellunicit e dellindividualit culturale a differenziare le popolazioni le une dalle altre e a conferire a una data popolazione una definita identit, sia ai suoi stessi occhi, sia a quelli degli outsiders). 26 Vittorio COTESTA, Sociologia dei confitti etnici, Milano, Angeli 1999. 27 quanto sostiene ad esempio Ugo FABIETTI, Lidentit etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Roma, Nuova Italia Scientifica 1995. 28 F. TUCCARI, Scenari delle relazioni internazionali, in A. DORSI (a cura), Guerre globali. Capire i conflitti del XXI secolo, Roma, Carocci 2003, p. 40. 29 MANN, cit., p. 2, il corsivo dellautore.

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riferita a determinate situazioni coloniali la sottotesi 1c si riferisce invece ai processi di democratizzazione, allinterno dei quali esistono maggiori possibilit, rispetto i regimi stabilmente autoritari, che si manifestino pulizie etniche30. Le ultime due sottotesi sostengono che le democrazie stabilizzate non coloniali hanno minori possibilit in quanto dispongono di meccanismi per la tutela delle minoranze e che, comunque, lattuazione di un processo di pulizia etnica non connota uno Stato come democratico. Secondo Anthony D. Smith31 il processo storico che ha portato alla formazione delle moderne nazioni europee ha avuto origine, in momenti diversi e con diverse modalit, dalla convergenza di tre rivoluzioni: a) il passaggio dal feudalesimo al capitalismo, che si attuato con i collegamenti tra i centri economici e le singole elites urbane e regionali; b) la crescita e lo sviluppo del controllo amministrativo statale, per fissare condizioni legislative e fiscali omogenee attraverso la creazione di una struttura burocratica (e conseguentemente di un ceto addetto) per controllare il territorio; c) un processo di integrazione culturale comune allinterno del quale la fondazione di scuole, accademie e musei, o il disegno di un grande progetto di educazione nazionale sostituisse la salvezza ultraterrena con una invece terrena, gestita dal sovrano che surrogava in tal modo lorganizzazione religiosa. Naturalmente questi fenomeni si manifestarono con discontinuit sia nel tempo che nello spazio e, a seconda di altre variabili, il processo di formazione assunse una connotazione pi o meno marcatamente etnica. Almeno fino alla seconda met dellOttocento lidea che la cittadinanza intesa come secolarizzato legame giuridico e politico fra lindividuo e lo Stato si estendesse in maniera automatica alla popolazione di un territorio sul quale uno Stato avesse la propria sovranit non si impose nei Balcani, o comunque se non con riserve e resistenze molto radicate. Del resto anche da ricordare come la regione fosse divisa tra pi imperi e quante differenze esistessero allepoca. Occorrer attendere almeno il periodo successivo alla I Guerra mondiale per assistere alle prime manifestazioni delle conseguenze di queste trasformazioni, bench i pochi esiti positivi siano stati vanificati dal conflitto. Nella scomparsa Repubblica Federale di Jugoslavia la cittadinanza si articolava su tre distinti livelli, che implicavano a loro volta tre status diversi: esistevano infatti la cittadinanza jugoslava, la cittadinanza della repubblica e una residenza permanente. La cittadinanza jugoslava era concessa ai nati da genitori jugoslavi e costituiva laccesso allo status di cittadino jugoslavo, principio estensivo e fondante della cittadinanza. Accanto a questa esisteva la cittadinanza di una repubblica, iscritta in appositi Registri dei cittadini, conservati dalle singole repubbliche dalle quali era formata la ex-Jugoslavia (Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Macedonia). Tale tipo di cittadinanza, non producendo di fatto specifici effetti, non era nemmeno nota alla stragrande maggioranza della popolazione, n esplicitata in uno specifico documento a s. Una parte dei dati relativi a questo status era nota per solo alle autorit amministrative (e/o di polizia) e conteneva un implicito valore di censimento etnico. Lo strumento organizzativo principale restava pertanto la
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Mann, a sostegno della sottotesi, cita A. CHUA, World On Fire: How Exporting Free Market Democracy Breeds Ethnics Hatred and Global Instability, New York, Anchor Books 2004. Per quanto riguarda le difficolt del processo di transizione democratico o di profonde trasformazioni istituzionali come fattori di conflitti interni (anche a carattere etnico) v. R. RAGIONIERI, Guerra civile e guerra etnica, in F. CERUTTI-D. BELLITI (a cura), La guerra, le guerre, Trieste, Asterios 2003. 31 SMITH, cit.

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cosiddetta residenza permanente, ancorata ad un luogo effettivo, che consentiva laccesso dei diritti previsti, diventando lo strumento principale dei diritti di cittadinanza e che di fatto coordinava gli altri livelli e contribuiva allintegrazione sociale complessiva. facilmente intuibile come, anche al di fuori dei casi di persecuzione etnica pi eclatanti e gi sotto i riflettori dellopinione pubblica internazionale, la comparsa di nuovi Stati abbia creato non poche difficolt, soprattutto per lampiezza dello spettro di situazioni venutosi a creare. In altre parole un cittadino della ex-Jugoslavia ora diventato ora cittadino di un altro Stato, ma a seconda del luogo in cui si trova e nonostante possa trovarsi allinterno di un exterritiorio federale soggetto a trattamenti diversi che non sempre ne riconoscono uno status adeguato alla situazione32. Da queste osservazioni emerge un quadro generale frammentario e apparentemente confuso nei dettagli, sebbene avvicinandosi alla realt storica, soprattutto in questo inizio di secolo, come era accaduto pi di ottanta anni fa alla conclusione del primo conflitto mondiale i contorni comincino invece a delinearsi con precisione allinterno dei vari processi di nation-building facendo emergere le caratteristiche pi o meno autoritarie di stati nuovamente deboli nel loro assetto interno che manifestano ancora processi di pulizia etnica pi o meno evidenti. La constatazione di questa situazione non affatto nuova in s in quanto, gi nel 1990, commentando la situazione europea dopo la caduta del muro, Ralf Dahrendorf scriveva:
Molti di quelli che si appellano allautodeterminazione, mirano a comunit politiche che siano omogenee [] Lomogeneit culturale spesso il nucleo duro della rivendicazione. Ora non c nulla di sbagliato in s nellomogeneit culturale o forse s? [] Da soggetti tutti uguali non nasce alcuno Stato, diceva Aristotele. Non pu essere che da soggetti tutti culturalmente uguali sia impossibile che nasca uno Stato liberale?33

mentre, dopo qualche pagina, riferendosi alla Slovenia repubblica uscita pressoch indenne dalla dissoluzione jugoslava annotava invece criticamente: I cosiddetti liberali in Slovenia promuovono esplicitamente lemancipazione della persona nazionale e non della persona reale, dellindividuo34. Daltra parte per, di fronte alle vicende della disgrazione dello Stato jugoslavo soprattutto oggi a pi di tre lustri di distanza dallavvio di quel processo diffile non notare che le repubbliche etnicamente omogenee come nel recente caso del Montenegro si sono staccate in maniera meno traumatica, ma non hanno potuto evitare in seguito di affrontare in qualche modo la questione delle minoranze. Anche la Macedonia
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UNHCR, Asylum Levels and Trends in Industrialized Countries, 2005. Overview of Asylum Applications Lodged in Europe and non-European Industrialized Countries in 2005, 17 marzo 2006; Profile of Internal Displacement: Bosnia and Herzegovina. Compilation of the information available in the Global IDP. Database of the Norwegian Refugee Council (as of 24 March, 2005); UNHCR-Executive Comittee of the High Commisioners Programme, Protracted Refugee Situations (EC/54/SC/CRP.14). 33 Ralf DAHRENDORF, Cittadini maturi alla ricerca di un punto fermo, in R. DAHRENDORF, La societ riaperta. Dal crollo del muro alla guerra in Iraq, Roma-Bari, Laterza 2005, p. 40-41 (il brano da cui tratta la citazione stato scritto nel 1990). 34 DAHRENDORF, cit., p. 45. Inoltre, sulle successive svolte autoritarie che sono state condotte anche nella piccola repubblica, v. Slovenia. Amnesty Internationals Briefing to the UN Committee on Economic, Social and Cultural Rights, 35th Session, November 2005, che riassume la spinosa questione dei cancellati, ovvero di cittadini della ex-Jugoslavia col residenti che sono stati di fatto esclusi a loro insaputa dal nuovo Stato. Sarebbe interessante un approfondimento sulle modalit di accettazione della tutela delle minoranze nei paesi baltici. Dahrendorf si limita a segnalare linsorgere del problema anche in quellarea, ma in realt, proprio perch dopo il primo conflitto mondiale, si tratt di un gruppo di paesi che sostanzialmente accettarono le indicazioni della Societ delle Nazioni, attualmente la situazione sembra meno drammatica che nei Balcani.

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infatti, bench uscita pressoch indenne dal processo di dissoluzione, si trovata in seguito a fronteggiare una crisi interna provocata dalla minoranza albanese a sua volta coinvolta (pi o meno volontariamente) dalle vicende del Kosovo confinante. Eppure, in questo caso, resta per difficile riconoscere da parte delletnia maggioritaria macedone una esplicita volont di pulizia etnica, in termini almeno paragonabili a quelli che hanno spinto verso i massacri della Croazia, della Bosnia e del Kosovo. 2.2 La cittadinanza multiculturale e la prospettiva europea Dal secondo dopoguerra ad oggi il concetto ma anche le caratteristiche funzionali della cittadinanza nei paesi dellEuropa occidentale hanno subito profonde trasformazioni e non a caso quindi la cittadinanza nel suo complesso stata al centro di molte ricerche teoriche a partire da Thomas H. Marshall35 negli anni cinquanta a quelle pi recenti Will Kymlika36. Marshall sosteneva che i diritti connessi alla cittadinanza avrebbero favorito lintegrazione delle classi sociali pi svantaggiate; molto pi che le differenze materiali, era proprio lesclusione culturale ci che rischiava di rendere pressoch impossibile la partecipazione alla vita pubblica. Per questo Marshall faceva dellespansione della cittadinanza, mediante linclusione nel suo novero dei diritti sociali relativi al welfare policies, uno dei punti qualificanti della sua analisi. Proprio alla luce di queste osservazioni di Marshall si delinea ora il pensiero pi recente di W. Kymlika: i fatti hanno dato ragione a Marshall, secondo questo autore, ma nonostante lintegrazione materiale abbia avuto successo permangono delle sacche residuali, dei gruppi che non condividono la comune cultura materiale per una molteplicit di ragioni (immigrati, minoranze etniche o religiose). Lapporto fondamentale allanalisi della cittadinanza che dobbiamo a Will Kymlicka, lintroduzione del concetto di cultura con tutti i suoi riverberi positivi sul concetto parallelo di cultura etnica e lindividuazione della valenza positiva del mantenimento delle radici culturali dei singoli, nellambito del meccanismo dinclusione sociale. Secondo questo assunto la libert di scelta dellindividuo diviene effettiva solo attraverso la partecipazione al proprio retaggio culturale, tappa base funzionale alla condivisione della civilt materiale, fattore unificante della societ nella sua interezza. Una comunit culturale costituita da un gruppo di individui identificato dalla condivisione di particolari norme, credenze e valori, quindi dotata di un suo proprio carattere fondante. Limportanza dellessere membro di una comunit per data dal fatto che essa esiste in quanto tale, e non tanto dalla qualit del proprio carattere distintivo. a questo livello che entra in gioco la cittadinanza multiculturale. Il riconoscimento della cultura diviene un supporto identitario per il singolo, un riferimento fondamentale nel compimento di scelte autonome, ed in considerazione di ci che le istituzioni sono chiamate a tutelare le minoranze culturali (o etniche): non per il contenuto della loro cultura, ma perch rappresentano specifici luoghi della realizzazione dellautonomia personale, bene cruciale nella moderna societ. Limportanza di tutta la questione della cittadinanza nei nuovi paesi balcanici va ora
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Thomas H. MARSHALL, Cittadinanza e classe sociale, Torino, UTET 1976 (ed. or. 1950); stato definito da Daherendorf un maestro. 36 Will KYMLIKA, La cittadinanza multiculturale, Bologna, Mulino 1999 (ed. or. 1995). Altri autori che hanno toccato largomento della cittadinanza a partire dalle riflessioni di Marshall sono stati Anthony GIDDENS, La costituzione della societ, Milano, Comunit 1990 (ed. or. 1984) e David HELD, Modelli di democrazia, Bologna, Mulino 1989 (ed. or. 1987).

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sottolineata alla luce della relazione tra cittadino e Stato nazionale che inevitabilmente si riflette sullo stesso status di cittadinanza. Il processo di globalizzazione ha infatti aperto un divario fra lidea di appartenenza a una comunit politica nazionale (che si manifesta ed regolata sul piano giuridico attraverso la cittadinanza) e lo sviluppo di una legislazione internazionale che sottopone individui e strutture governative (e non) a nuovi sistemi di regolazione. Nel caso dellEuropa orientale ci si trova ora di fronte in particolare al processo politico di integrazione europea e si potrebbe dire che la questione delle minoranze sia un indicatore importante dellandamento di questo processo e dei suoi effettivi progressi. In sostanza nuovi diritti e nuovi doveri vengono riconosciuti da leggi internazionali che, trascurando il singolo Stato e qualora possano contare su un effettivo potere coercitivo, conducono a conseguenze la cui applicazione garantita. In altre parole diventa possibile il ricorso, con esiti positivi, a una giurisdizione sovranazionale. In particolare, di fronte a un processo di integrazione europea allinterno del quale come sostiene Habermas37 il perno dei diritti identitario, le singole situazioni balcaniche in materia diventano estremamente contraddittorie e questo perch il baricentro dei diritti non sembra pi essere ancorato allo Stato-nazione come in passato38, bens allUnione europea. Considerando pertanto le disavventure del passato balcanico come conseguenze della mancanza di unadeguata cornice di controllo transnazionale sullapplicazione dei diritti delle minoranze, evidente quale diventi il compito dellUnione per garantirne in futuro i diritti. In questo quadro il ruolo dellUnione europea per la stabilizzazione dei Balcani e per risolvere le pi gravi situazioni di conflitto semplicemente determinante. In primo luogo si tratta di allontanare la pericolosa tentazione degli scambi di popolazione come avvenuto nel primo dopoguerra, respingendo il c.d. principio di Losanna e non trasferendo la popolazione di etnia serba dal Kosovo in altre zone e, per compensazione, altri albanesi dalla Serbia in Kosovo39. In secondo luogo di mantenere attivo ed efficace il sistema di controllo sui diritti delle minoranze, garantendo anche dei meccanismi coattivi per il rispetto delle decisioni. Riferendosi allEuropa dopo la Prima guerra mondiale il politico ceco Tomas Masaryk aveva definito il continente come un grande laboratorio politico sopra un cimitero. Questa immagine ora pi che mai attuale per i Balcani, auspicando per che lera degli esperimenti si concluda al pi presto. Allattuale complessit della situazione politica, economica e sociale di una parte molto estesa di un continente si sta tentando di dare una risposta, ma riemergono dei pericoli che hanno origini remote, bench non del tutto sconosciute. Dietro limpostazione dei numerosi processi di nation-building in corso, suggeriti e sostenuti dalle varie organizzazioni internazionali o condotti da zelanti ONG impegnate in numerosi progetti, ancora difficile individuare unefficace coordinamento e ancora meno una visione unitaria. Nel caso dellindipendenza della provincia del Kosovo un territorio che per la Serbia continua a mantenere un valore quasi sacro e che comunque, al di l dellimmaginario simbolico-politico, vede ancora la presenza di una consistente minoranza serba, oggetto di contropulizia etnica si sono confrontate due posizioni: lindipendenza subito o con gradualit. Nel primo caso le conseguenze peggiori dovrebbe subirle la minoranza serba, nel
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Jrgen HABERMAS, Cittadinanza e identit nazionale, Micromega, 5, 1991. Pietro COSTA, Cittadinanza, Roma-Bari, Laterza 2005, p. 148: Il baricentro dei diritti non sembra pi coincidere (come avveniva nellOtto-Novecento) con lo Stato nazione. 39 European Stability Iniziative (ESI), The Lausanne Principle. Multiethnicity, Territory and the Future of Kosovos Serbs, Berlin-Pristina 2004.

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secondo si eviterebbe uno spostamento forzoso di popolazione e si consoliderebbero le strutture per garantirle la sopravvivenza. forse azzardato trarne delle conclusioni, ma si riscopre unantica dissonanza dietro tutta la questione della tutela delle minoranze, quasi uneco dellirrealizzata politica wilsoniana del primo dopoguerra. Nel sistema costituzionale nord-americano il problema delle minoranze etniche pu definirsi un percorso lungo, cominciato a met del XIX secolo con il caso Dredd Scott v. Sandford (1857) non proprio felicemente e proseguito con alterne vicende fino agli scontri per i diritti civili degli anni sessanta dello scorso secolo40, mantenendo per una forte prevalenza sul piano della tutela dei diritti individuali e non collettivi di un gruppo. Impossibile quindi allinterno di questo modello rintracciare la presenza di un gruppo che rivendichi in maniera conflittuale, oltre alla propria identit, diritti esclusivi su un determinato territorio o la regolazione di una simile situazione. Quando gli Stati Uniti, dopo il Primo conflitto mondiale, si affacciarono sulla scena europea con lintento di contribuire a ridefinirne lassetto, essi rappresentavano il punto culminante della politica di assimilazione degli immigrati in quanto, nei decenni prcedenti, avevano toccato i valori massimi degli afflussi. Si trattava di numerosi e diversi gruppi etnici che non contestavano affatto per lautorit dello Stato che li ospitava e gli americani tendevano (e tendono ancora oggi) a concepire i diritti delle minoranze in termini individuali, non collettivi41. Poich tali diritti sono protetti dalla Costituzione, il solo diritto allautodeterminazione dei popoli avrebbe innescato un processo fondativo politicocostituzionale garantista in s e quindi senza la necessit di ulteriori correttivi. Oggi, quando si osserva che la maggior parte degli operatori del diritto attivi in Kosovo (UNIMIK o altre organizzazioni internazionali) di formazione legata al common law, implicitamente si sottolinea anche questa diversa concezione42. La concezione dei diritti individuali affonda in realt le proprie radici nella diverse modalit dei processi costituzionali avvenuti alla fine del XVIII secolo negli Stati Uniti e in Francia. La fiducia nel legislatore ispirata da Rousseau conduce in Francia a un conflitto tra legge e diritti, mentre sullaltra sponda dellAtlantico si sviluppa lidea di una libert tanto fiduciosa nelle capacit creative dei soggetti quanto diffidente delle iniziative e delle prerogative del potere politico43. Come aveva osservato molti anni fa Hanna Arendt in Le origini del totalitarismo (1951) dalla rivoluzione americana e dalla rivoluzione francese abbiamo ereditato al tempo stesso unidea pi ampia dei diritti delluomo e uno stretto legame tra diritti umani e identit nazionali. Un legame che oggi viene negato a molti: Lasciato il loro paese dorigine erano senza casa; lasciato il loro stato, erano senza stato; privati dei diritti umani, erano senza diritti .
La bibliografia sulle minoranze e sulla pulizia etnica, sulle loro condizioni e il loro trattamento riferita alla ex-Jugoslavia in particolare o ai Balcani in generale semplicemente sterminata. Oltre a quella indicata nel testo, senza pretesa di essere esaustivi, sono segnalati alcuni contributi. AL-KHASAWNEH A.S. - HATANO R., The human rights dimensions of population transfer, including the implantation of settlers, Preliminary report prepared for the United Nations Commission on Human Rights, Sub-Commission on Prevention of Discrimination and Protection of Minorities, 1993.
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Per una storia delle vicende giudiziarie e soprattutto del ruolo della Corte suprema, come perno dello stesso, v. Carlo CASONATO, Minoranze etniche e rappresentanza politica: i modelli statunitense e canadese, Trento, 1998. 41 MANN, cit., p. 81. 42 Fabio MINI, La guerra dopo la guerra. Soldati, burocrati e mercenari nellepoca della pace virtuale, Torino, Einaudi 2003; Marco MAYER, Intervento umanitario e missioni di pace. Una guida non retorica, Roma, Carocci 2005; Michael IGNATIEFF, Impero light: dalla periferia al centro del nuovo ordine mondiale, Roma, Carocci 2003. 43 COSTA, cit., p. 53.

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