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Hoc unum stilo meo deerat: la Fam.

XIII 1*
La consolatoria rivolta al cardinale Gui de Boulogne vescovo di Porto inserita in apertura di un libro, il XIII, nel quale la quasi totalit delle lettere caratterizzata da un discorso metaletterario sullo scrivere e sul fare poesia. Fin dopo la prima lettera seguono infatti due epistole dedicate allaffidare il proprio figlio Giovanni alleducazione del grammatico veronese Rinaldo Cavalchini, che a prima vista potrebbero sembrare doccasione, ma che tali non sono. Giovanni cos poco avvezzo alla lettura da suscitare lo sdegno del padre (hominem nullum vidi magis a literis abhorentem; neminem odit aut metuit preter librum, illum unicum hostem habet1), che rintraccia la causa di questo nellaver portato il figlio con s nella tanto aborrita Avignone (curiam que romana dicitur, par. 4), facendogli interrompere gli studi gi intrapresi a Parma e Verona. La descrizione della citt caotica e quindi non adatta allo studio funzionale al passaggio alla lettera 4. Del 10 giugno 1352 e diretta al protonotario apostolico Francesco Calvo, la missiva tutta costruita sul confronto tra vita inquieta della citt e vita solitaria della campagna, verso la quale Petrarca propende. Il tentativo di persuasione condotto tramite il rovesciamento del tema del locus amoenus (ortos ad laborum fugam ac solatium quesitos, pluribus iam negotiis quam herbis aut floribus, pluribus curis abundare quam frondibus; thalamum et cubile ad recreationem humane fatigationis inventos, importunissorum hominum dissonis assidue vocibus strepere 2), sul motivo del tempus fugit (Hec inter anni fugiunt, dulcis iuventa dilabitur, senectus accelerat, mors illam aut precedit aut sequitur3), su svariati esempi classici (Fabrizio,
* Per le Familiares si utilizzata ledizione a cura di U. Dotti con la collaborazione di F. Audisio, Torino, Aragno, 2004-2009, 5 voll., che utilizza il testo critico di V. Rossi e U. Bosco (Firenze, Sansoni, 19331942). Il liber XIII si trova ivi, III, pp. 1778-1913. Per indicazioni di carattere cronologico sulla stesura del liber, probabilmente composto interamente nel 1352, cfr. R. ANTOGNINI, Il progetto autobiografico delle Familiares di Petrarca, Milano, Led, 2008, pp. 210-17. 1 Non ho mai visto nessuno che abbia in tanto orrore le lettere o in tanto terrore e odio i libri; essi sono i suoi veri nemici, par. 2. 2 Quei giardini che ci si procura per trovare scampo dalle fatiche e per riposare per te sono gremiti pi doccupazione che derbe e di fiori, pi di tormenti che di fronde; quelle camere da letto e di riposo che gli uomini hanno costruito per ricrearsi dai faticosi impegni della vita non fanno per te che risuonare continuamente delle voci dissonanti delle persone pi importune, par. 3. 3 Frattanto gli anni fuggono, la dolce giovinezza svanisce, la vecchiaia accelera il passo e la morte o la

Curio, Camillo, ecc., parr. 12-16) e su di un finale autoritratto tutto rivolto a costruire una volta di pi quella tanto ricorrente immagine del Petrarca solus e cogitans nellambiente silvestre di Valchiusa, lontano da qualsiasi preoccupazione mondana 4. Questa descrizione di s ulteriormente motivata nella lettera seguente, datata 9 agosto e indirizzata al suo Simonide Francesco Nelli, allora priore della Chiesa dei Santi Apostoli di Firenze. In essa Petrarca elenca le ragioni che lo hanno indotto alla rinuncia alla carica di segretario papale offertagli nellautunno del 1351 5: il rifuggire lo strepito di Avignone posto questa volta in secondo piano rispetto ad un motivo stilistico-espressivo che trova nel par. 12 pieno sviluppo. Unum obstare dicebatur quod michi altior stilus esset quam romane sedis humilitas postularet 6; la conseguente richiesta di humiliare ingenium e inclinare stilum permette perci a Petrarca di innalzare tutto il suo talento contro le volont semplificative della Curia avignonese, in una strenua difesa del ruolo suo e della categoria dei letterati, cui implicitamente appartiene. Le sue alte parole, rimaste incomprese, -alcuni le intendono come greche, altri addirittura barbare7- offrono poi al poeta il motivo per trattare i tre stili della Rhetorica ad Erennium (gravem, mediocrem, humilem) e conseguentemente tracciare i tratti distintivi del lettore cui desidera riferirsi (Volo ego ut lector meus, quisquis sit, me unum, non filie nuptias non amice noctem non hostis insidias non vadimonium non domum aut agrum aut thesaurum suum cogitet, et saltem dum legit, volo mecum

precede o la segue, par. 5. 4 Forte enim accidit ut cum sero solus inter fontes multa cogitans constitissem, murmurque illud immensum quo se carceribus emissum gaudens Sorgia cavis circum rupibus insultat, auribus hausissem, repente ad memoriam rediret ille strepitus qui aures tuas absque intermissione circumtonat. (M capitato infatti che, essendomi seduto sul tardi tutto solo e pensieroso presso le mie fonti ed essendomi allora venuto allorecchio quellimmenso rumore dacque che la Sorga fa gioiosamente scaturire dalle sue grotte per farlo risuonare tuttintorno sulle cave rupi, mi tornasse di colpo alla memoria quel frastuono che senza interruzione assorda le tue orecchie.), par. 27. 5 La carica gli era gi stata offerta nel 1347: cfr. E. H. WILKINS, Vita del Petrarca e la formazione del Canzoniere, a cura di R. Ceserani, Milano, Feltrinelli, 1964, p. 90. 6 Una sola cosa -si diceva- mi era dostacolo [allelezione a segretario]: il fatto che il mio stile fosse troppo alto rispetto allumilt che esigeva la Curia. 7 Quod dictaveram magne parti non satis intelligibile, cum tamen esset apertissimum, quibusdam vero grecum seu mage barbaricum visum est: en quibus ingeniis rerum summa committitur! (Ci che avevo dettato ai pi non parve abbastanza intelligibile, per quanto fosse chiarissimo; ad alcuni addirittura greco e persino barbaro: queste sono le menti che ci governano!), par. 15.

sit. (...) Nolo sine ullo labore percipiat que sine labore non scripsi. 8), svelando una volta per tutte la necessit di un lettore partecipe che possa fruire appieno dellopera letteraria. La lettera 6, datata 10 agosto e diretta ancora al Nelli, fa da contraltare alla precedente epistola trattando questa volta la concezione che il volgo ha della poesia: Quod hodiernum est, his ad te prolatum literis, accipies: poesis divinum munus et paucorum hominum, iam vulgari, ne profanari dicam ac prostitui, cepit; nichil est quod indignantius feram9. Dopo la sua caduta Cola di Rienzo era stato trasportato da Praga, ove viveva alla corte di Carlo IV, al carcere di Avignone e probabilmente ebbe salva la vita grazie ad una serie di suoi componimenti che gli rafforzarono la nomea di letterato e al tempo stesso gli permisero la scarcerazione gi nel settembre del 53. Questo non pu che suscitare lo sdegno di Petrarca, cos attento a creare nel pi minimo dettaglio limmagine di un poeta che agisce in quanto tale nel corso di tutta la sua vita. Egli afferma quindi che Cola pu essere s un grande lettore di poesia, ma non per questo pi poeta di quanto sia tessitore vestendo un abito creato da mani altrui: Non tamen ideo magis est poeta quam textor ideo quia manibus alienis texta chlamyde induitur10. La lettera 7, rivolta allabate di San Benigno Pierre dAuvergne, tratta poi, fin dallargomento, di quellinsanabile morbo che lo scrivere. Alla fatica intellettuale il poeta non riesce infatti a sottrarsi -in quiete laborans, in laboribus conquiesco, afferma in maniera chiasmatica Petrarca- e i suoi scritti finiscono perfino per influire sulle singole vite di persone a lui sconosciute 11. La chiusura ancora una volta dedicata al tema topico dellassenza dingegno nel mondo contemporaneo, per cui
8 Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi a me solo e non alle nozze della figlia o alla notte con lamante o alle insidie del nemico o al processo o alla casa, al podere, al tesoro; e almeno finch legge, voglio che stia con me. (...) Non voglio che apprenda senza fatica ci che non senza fatica io ho scritto., par. 23, corsivi nostri. 9 Quanto al compito doggi, eccotelo consegnato in questa lettera: la poesia, dono divino concesso a pochi uomini, ha cominciato a divenire cosa volgare, per non dire a profanarsi e a prostituirsi: non c niente che mi dia maggiore sdegno, par. 3. 10 Ivi, par. 26. Sul complesso rapporto tra Petrarca e Cola cfr. U. DOTTI, Vita di Petrarca, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 176-90. 11 Laneddoto del padre che descrive il proprio figlio distratto dagli studi giuridici a causa dellinteresse verso la poesia (parr. 8-10) fa parte di un topos che da Ovidio (Tristia IV, x, 21) giunger fino ad Ariosto (Satire VI, 157-59) e Marino (Adone IX, 69).

tutti possono venire definiti poeti. E ladynaton finale -Pastores piscatores venatores aratores ipsique boves mera mugient poemata, mera poemata ruminabunt 12- l a confermarlo. Dopo 8, a Francesco Nelli, in cui prosegue la descrizione della vita appartata e solitaria di Valchiusa, definita Elicona transalpinum (par. 14), segue una lettera a Zanobi da Strada (futuro poeta laureato) indicativa dellattenzione di Petrarca verso la diffusione delle sue opere. Al grammatico, che si proponeva di difendere e diffondere i suoi scritti, Petrarca risponde con una esortazione a farlo seguendo le categorie retoriche dellinventio, dellelocutio e della dispositio: Fragilia qua potes adiuva, inculta excole, sparsa conglutina; primum ingenii viribus, secundum eloquio et vel suavitate vel acrimonia vocis efficies, tertium artificio disponendi13. Tutto questo al fine di preservare per la posterit pagine fragilia et inculta dagli attacchi in cattiva fede dei malevoli. Dopo una lettera di chiarimento in merito a XII 6 e unepistola carica di erudizione sulla fedelt dei cani, il libro si chiude con una missiva indirizzata allabate di Santa Cecilia della Croara Francesco Monachi in risposta alla sua richiesta dinvio dellAfrica. Una volta di pi, in posizione ultima e quindi preminente, emerge un Petrarca intento a lavorare sui propri scritti in maniera infaticabile e ostinata, senza farsi distrarre dalle sempre incombenti attese e richieste del suo pubblico. Con la metafora agricola dellopera in fieri considerata campo da coltivare, un topos fin da Platone a Isidoro (Etym. VI 9, 2) allIndovinello veronese14, e lulteriore autodefinizione di Petrarca come contadino -Africa (...) nondum tamen supremo sarculo culta est; nondum glebas inutiles rastris attrivi; nondum superductis cratibus scabrioris agelli cumulos coequavi; nondum frondator luxuriantes pampinos et irsutam sepem falce compescui15- si chiude dunque un liber in gran parte dedicato a
12 Pastori, pescatori, cacciatori, aratori e persino gli stessi buoi muggiranno soltanto poesie e poesia soltanto rumineranno, par. 21. 13 Soccorri la fragilit dei miei scritti, portane a perfezione limperfezione, d unit alla loro frammentariet: il primo obiettivo lotterrai con la forza dellintelletto, il secondo con il modulare la parola ora in modo suadente ora energico, il terzo con larte del ben disporre, par. 6. 14 Cfr. E. R. CURTIUS, Letteratura europea e Medio Evo romanzo, a cura di R. Antonelli, Firenze, La Nuova Italia, 1995, pp. 347-49. 15 LAfrica (...) non ha ancora avuto lopera ultima del sarchiello; non ho ancora infranto col rastrello le zolle inutili, non ho ancora spianato con il ruvido erpice i monticelli del terreno, non ho ancora

riflettere sulla letteratura e la scrittura, in modalit idealmente propedeutica. Anche la consolatoria in posizione di testa sembra inserirsi con questa precisa volont di fondo, seppur pi velatamente. Datata 14 maggio 1352, la lettera rivolta allallora vescovo di Porto Gui de Boulogne al fine di consolarlo riguardo alla morte della madre Maria di Fiandra, con probabilit avvenuta il giorno prima. Fin dal par. 1 chiamato in causa il rapporto tra tempo e stile, per il quale la scarsezza del primo fattore implicherebbe necessariamente la mediocrit del secondo: Stilum studiosius commendare, si nequeam brevitate temporis arctatus, non magnopere curabo16. Lo stile andrebbe perci in secondo piano rispetto al messaggio17, ma almeno nel caso petrarchesco traspare una simulazione di modestia che si esplicita nel successivo presentarsi in secondordine rispetto al soggetto (tu ed io)18. Di conseguenza Petrarca svela al par. 2 con una minima correctio la novit tematica che sta apportando non solo al suo corpus di scritti, ma allintero genere della consolatoria: Hoc unum non dolori meo deerat sed stilo, ut filio in matris obitu consolator existerem19. Questa mancanza determinata dallassenza di tale avvenimento nei confronti dei pi stretti amici: solo la morte di sua madre Eletta Canigiani, avvenuta nel 1318, pu rammemorare una situazione simile. In occasione di tale accadimento Petrarca, allora quindicenne, scrisse infatti un panegyricum in 38 esametri (come gli anni della madre) nel quale Eletta, tam nomine quam rei per
potato con la falce i pampini troppo lussureggianti e le siepi troppo irte di spine, par. 5; per Valchiusa come luogo adatto alla composizione cfr. anche Fam. VIII 3, 11-12. 16 Non mi curer troppo se, stretto dal tempo, non mi riuscir di raggiungere la dovuta eleganza di linguaggio. 17 Un secolo prima un medievale come Pietro di Blois aveva affermato: Cumque ita vobis non legenda, sed lugenda destinemus, in praesentibus litteris non ornatum attendere, sed ploratum, non verborum venustatem sed fletuum ubertatem (Poich indirizzeremo a voi parole che si devono piangere piuttosto che leggere, allora non fate caso nella presente epistola allornato, ma al pianto, non alleleganza della parola, ma alla sovrabbondanza delle lacrime, corsivi nostri); Petrarca sposta il rapporto tra stile e dolore a quello pi attuale tra stile e tempo. Sulla brevitas nella tematica consolatoria cfr. anche i testi raccolti da P. VON MOOS nel suo fondamentale Consolatio. Studien zur mittelateinischen Trostliteratur uber den Tod und zum Problem der christlichen Trauer, Munchen, Fink, 1971-1972, 4 voll., III, pp. 22-3 (TT 3843), da cui si cita (T 43). 18 B. MORTARA GARAVELLI, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 201012, p. 265. 19 Questo solo mancava non al mio dolore ma alla mia penna, di dovere confortare un figlio per la morte della madre.

interpretatio nominis (v. 5), viene lodata per le sue qualit (onest, bellezza, innocenza) ed prefigurato un tema assai presente in molte consolatorie successive: lopposizione tra la felicit celeste del defunto e il dolore terrestre dei sopravvissuti (Nec quia contigerit quicquam tibi triste, dolemus, / sed quia me fratremque, parens dulcissima, fessos / Pytaghorae in bivio, et rerum sub turbine linquis 20). Al par. 3 poi esplicitato laltrettanto ricorrente tema delle lacrime, da Petrarca approvate si breves si sobrie si modeste fuerint, criterio del giusto mezzo di derivazione senecana (Ad. Luc. 63 1 Nobis autem ignosci potest prolapsis ad lacrimas, si non nimiae decucurrerunt si ipsi illas repressimus 21) e in parte ambrosiana (nel De exc. il cessabunt igitur lacrimae di I 70 contraddetto dal successivo aut, si cessare non poterunt, in communibus lamentis flebo te, frater, et sub dolore publico domesticos gemitus tegam22). Il tempo delle lacrime deve per lasciare spazio alla riflessione sul defunto, introdotta al par. 4. Maria deve essere stata felicissima gi solo per il fatto di aver generato un figlio del valore di Gui allo stesso modo in cui Cornelia, di fronte ai due figli Gracchi uccisi, esclam: Ego veram nunquam me miseram fatebor, que tales filios genui23. La volont di rimarcare il legame anche fisico instauratosi tra madre e figlio fin
20 Piangiamo lamara sorte nostra, non la tua, poich me e il fratello siamo lasciati come al bivio di Pitagora sotto il turbine degli eventi, vv. 15-7. Il bivio di Pitagora, presente in autori pagani (Persio, Servio) e cristiani (Lattanzio, Gerolamo, Agostino), oltre ad essere stato descritto da Isidoro (Etym. I, III, 7), anche figura ricorrente nella storia dellarte: cfr. E. PANOFSKY, La scultura funeraria dallAntico Egitto a Bernini, a cura di P. Conte, Torino, Einaudi, 2011, p. 46. Sul Panegyricum, che si cita da F. PETRARCA, Canzoniere, Trionfi, Rime varie e una scelta di versi latini, a cura di C. Muscetta e D. Ponchiroli, Torino, Einaudi, 1958, pp. 680-83, in cui la madre viene ad essere un compromesso tra la matrona e la santa modellata su virt mariane, cfr. E. GIANNARELLI, Fra mondo classico e agiografia cristiana: il Breve Pangerycum defuncte matri di Petrarca, in Annali della Scuola Normale Superiore, classe di Lettere e Filosofia, serie III, IX (1979), pp. 1099-1118, cit. p. 1116 e C. CORDI, Madame de Stal e il Breve Pangerycum defuncte matri, in Quaderni petrarcheschi, IV (1987), pp. 331-34. 21 Quanto a noi, siamo scusabili per non aver trattenuto le lacrime, purch esse non scorrano troppo numerose e noi sappiamo mettervi un freno. 22 Oppure, se non potranno cessare, ti pianger, fratello, unendomi al pianto comune e nasconder nel pubblico lutto i miei lamenti privati, par. 72. 23 Non posso davvero dirmi infelice, dal momento che ho generato tali figli. La citazione, rielaborata, proviene di nuovo da Seneca, Ad Marc. 16 3 (Nunquam non felicem me dicam, quae Gracchos peperi, Non ci sar volta che non mi dir fortunata, dal momento che ho partorito i Gracchi) e da Ivi, 12 2 (Si confessa fueris percepisse magnas voluptates, oportet te non de eo quod detractum est queri, sed de eo gratias agere quod contigit, Se ammetterai di avere ricevuto grandi soddisfazioni, devi non gi lamentarti di ci che ti stato portato via, bens ringraziare di ci che ti toccato in sorte).

dalla nascita porta Petrarca ad elencare i gesti consueti di Maria (Ipsa te cum gaudio ac dolore peperit, ipsa in cunis posito somnum blando murmure suasit, ipsa molli fascia obvolutum vagientemque, dulce honus, amplexa est, ipsa reptantem sedula, ipsa gressus ambiguos tentantem trepida, ipsa coetaneis colludentem anxia, ipsa petentem scolas puerum solicita, ipsa reducem adolescentem leta conspexit) oltre che la discendenza carnale (Ipsa te alvo gravida usque in decimum mensem cum fastidio ac labore gestavit24) gi cara ad Agostino (Per quorum [di Monica e Patrizio] carnem introduxisti me in hanc vitam, Conf. IX 13, 37) e, in negativo, a Seneca (in Ad Marc. 11 1 il putre fluidumque corpus di Marcia descritto per provare la sentenza mortalis nata es mortalesque peperisti). La stessa carriera ecclesiastica di Gui, vescovo di Lione (40), cardinale (42), infine vescovo di Porto (50) stata ingens gaudium per Maria, ora passata ad una eternam felicitatem cui parteciperanno anche i figli. Il riferimento testuale va al Panegyricum giovanile (vivemus pariter, pariter memorabimur ambo, v. 30) e a passi ambrosiani quali De exc. I 78 (Praecede ad illam communem omnibus et debitam, sed iam mihi prae ceteris desiderabilem domum25) e II 135 (Quid enim superest solacii mihi, quam quod me citius ad te, frater, spero venturum nec digressus inter nos nos longa divortia fore?26). Alle lacrime dovranno seguire le pi necessarie preghiere, nel caso qualche impedimento rallentasse a Maria la salita al cielo. Al par. 9 Petrarca definisce poi il momento pi adatto a morire come quello in cui si gode del presente con speranza per il futuro piuttosto che quello in cui, raggiunto ogni obiettivo, si teme di perdere tutto: Verum hac opinione sum ut tunc felicius mori putem, quando de presenti gaudium adest et de futuro spes, quam quando consummata spe atque omnibus habitis que sperantur vel optantur in terris, iam sensim spei timor obrepserit. Maria
24 Ella fu colei che ti gener con gioia e dolore, che ti cull il sonno quanderi in cuna con blande cantilene, che ti tenne tra le braccia, peso tanto dolce, quando vagivi avvolto tra le fasce, che ti sorvegli attenta mentre ti trascinavi carponi, trepida mentre muovevi i primi passi, ansiosa mentre giocavi con i coetanei, sollecita quando fanciullo andavi a scuola, lieta quando adolescente ne tornavi (...) Ella fu colei che ti port in grembo con pene e fatica per nove mesi, par. 5. 25 Precedimi in quella dimora che tutti per diritto ci attende, ma che ormai pi di ogni altra cosa io desidero. 26 Quale conforto, infatti, mi resta oltre alla speranza che ti raggiunger presto, fratello, e non sar lunga la separazione per la tua dipartita?.

dunque venuta a mancare nel momento pi opportuno e prima del proprio figlio, una volta tanto seguendo il corso naturale delle cose. Il contrario, daltra parte, avrebbe spinto la madre ad enorme sofferenza, come attestano i molti exempla della letteratura classica. Nuovamente dalla consolatoria Ad Marciam (2 3-5) sono tratti gli opposti esempi di Livia (moglie di Augusto) e di Ottavia (sua sorella), luna in grado di porre fine al dolore grazie alla forza danimo, laltra inconsolabile fino alla fine dei suoi giorni e quindi in condizione di offendere tutti i suoi figli ancora vivi. Lunicit della consolatoria viene una volta di pi esplicitata al par. 13 e motivata tramite la natura e le sue leggi che frenano il pianto: Filii autem matris interitum graviter deplorantis, nisi me fallit memoria, vix plusquam unum clarum invenies exemplum, non pietatis defectu sed nature ordine gemitum27. Daltra parte al par. 14 viene poi dichiarato il grande modello che percorre sottotraccia tutta lepistola: la morte di Monica narrata nel IX libro delle Confessiones. Come scrive Petrarca al fine di marcare lappartenenza dellautore al patrimonio comune dei due interlocutori, Augustinus noster ha pianto la morte della madre per un solo giorno, grazie al sonno che ha permesso di cancellare il dolore che n la ragione n un bagno erano riusciti a sedare (Deinde dormivi et vigilavi et non parva ex parte mitigatum inveni dolorem meum, Poi dormii e al risveglio trovai il mio dolore non poco addolcito, Conf. IX 12 33). stato questesempio classico a far idealmente tardare la stesura e linvio della missiva, affinch anche Gui potesse dare spazio alle lacrime per un solo giorno. Ma la prospettiva di una seconda notte di pianto ha messo fretta a Petrarca, che decide di terminare la festyna epistola tralasciando le multa que res exigit. Probabilmente influisce ancora lAgostino del IX libro -Multa praetereo, quia multum festino, afferma proprio a proposito della morte di Monica, IX 8 17- ma questa aposiopesi, per la quale il segnale metacomunicativo per eccellenza lenunciazione dellintenzione di non dire28, rispecchia a livello pi macrotestuale la
27 di figli che piangono disperatamente la morte della madre, se la memoria non minganna, che troverai ben pochi esempi che siano noti, e questo non per carenza daffetto, ma perch sono proprio le leggi della natura a frenare il pianto. 28 M. PRANDI, Una figura testuale del silenzio: la reticenza, in Dimensioni della linguistica, a cura di M. E. Conte, A. Giacalone Ramat e P. Ramat, Milano, Angeli, 1990, pp. 217-39, cit. p. 232.

misura temporale giornaliera delle 24 ore che fonda le Familiares e le differenzia cos dai 365 giorni cui sono riconducibili i Rerum vulgarium fragmenta29. Daltra parte lultima lettera delle Familiares terminer con lo stesso concetto: hic liber satis crevit nec, nisi iusti voluminis meta trascenditur, plurium capax est 30, ad indicare la complessa organicit che percorre tutto il liber delle Familiares31.

DANIELE BERSANO

29 Cfr. S. LONGHI, Le lettere e i giorni. La scansione del tempo nella scrittura epistolare, in Motivi e forme delle Familiari di Francesco Petrarca, a cura di C. Berra, Milano, Cisalpino, 2003, pp. 385-98, cit. p. 397. Sulla peculiare concezione psicologica ed esistenziale del tempo in Petrarca cfr. il notevole saggio di G. FOLENA, Lorologio del Petrarca, in ID., Textus testis. Lingua e cultura poetica delle origini, Torino, Bollati, 2002, pp. 266-89, cit. p. 277. 30 Il libro ora cresciuto a sufficienza e, se anche non ha superato le giuste misure richieste ad unopera, non pi in grado di accogliere altro, XXIV 13, par. 6. 31 Sul liber delle Familiares come insieme organico di testi cfr. i saggi di D. GOLDIN FOLENA, Familiarum rerum liber. Petrarca e la problematica epistolare, in Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, a cura di A. Chemello, Milano, Guerini, 1998, pp. 51-82 e di W. STOREY, Il liber nella formazione delle Familiari, in Motivi e forme delle Familiari di Francesco Petrarca, cit., pp. 495-506.

Bibliografia
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Motivi e forme delle Familiari di Francesco Petrarca, a cura di C. Berra, Milano, Cisalpino, 2003. E. PANOFSKY, La scultura funeraria dallAntico Egitto a Bernini, a cura di P. Conte, Torino, Einaudi, 2011. M. PRANDI, Una figura testuale del silenzio: la reticenza, in Dimensioni della linguistica, a cura di M. E. Conte, A. Giacalone Ramat e P. Ramat, Milano, Angeli, 1990, pp. 217-39. E. H. WILKINS, Vita del Petrarca e la formazione del Canzoniere, a cura di R. Ceserani, Milano, Feltrinelli, 1964.

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