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Manuale di archivistica 5th Edition

Nunzio Silvestro Curatore


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80122 Napoli
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911 Manuale di archivistica

~· ·• n·, ilint't'
Art director l Gianfranco De Angelis
Responsabili grafici di fotocomposizione l Bianca Pierro e Marco Esposito
Coordinatrice di fotocomposizione Ilote Reale
Impaginazione l Lucia Molino

Hanno collaborato alla stesura dei materiali della presente edizione: Riccardo Bruno (Parte Quinta:
Archivistica informatica), Beatrice Locoratolo e Alessandra Pedaci (Capitoli 5 e 6 della Parte Secon-
da), Chiara Palladino (Capitolo 7 della Parte Seconda).

Ha collaborato alla precedente edizione la dott.ssa Michela Sessa.

Per informazioni su novità normative ed editoriali visita:


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La pubblicazione di questo volume, pur curato con scrupolosa attenzione dagli Autori e dalla redazione, non
comporta alcuna assunzione di responsabilità da parte degli stessi e della Casa editrice per eventuali errori,
incongruenze o difformità dai contenuti delle prove effettivamente somministrate in sede di concorso.
Tuttavia per continuare a migliorare la qualità delle sue pubblicazioni e renderle sempre più mirate alle esigen-
ze dei lettori, la Edizioni Simone sarà lieta di ricevere segnalazioni o osservazioni all'indirizzo info@simone.it

Questo volume è stato stampato nel mese di marzo 2022 presso:


«MultiMedia»
V.le Ferrovie dello Stato Zona Asi · Giugliano (NA)
PREMESSA
Questo Manuale di archivistica, giunto alla Vedizione, propone un'articolata disamina di tutti
i principali argomenti della materia, abbracciando l'intero complesso di norme e nozioni che
si riferiscono alla conservazione e ai criteri di ordinamento dei documenti negli archivi. Si
tratta di un testo completo sia per ottimizzare la preparazione a concorsi pubblici e ad esami
di livello universitario e post-universitario (corsi di specializzazione post-lauream), sia per
su p portare la formazione professionale di coloro che già svolgono la professione di archivisti.
La trattazione si articola in cinque parti.
La prima, Archivi e archivistica, prende in esame la storia degli archivi, le peculiarità della
documentazione archivistica, le diverse classificazioni degli istituti archivistici, nonché le
origini e l'evoluzione dell'archivistica intesa come scienza. Si considerano, altresì, le mansioni
degli archivisti e le problematiche attinenti alla diplomatica del documento contemporaneo.
La seconda, Legislazione e amministrazione archivistica, analizza anzitutto lo sviluppo della
normativa di settore, inquadrando gli archivi nel più ampio contesto dei beni culturali alla luce
del D.Lgs. 42/2004, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Questa stessa sezione
definisce pure la gerarchia e le competenze dei diversi organi che compongono l'Ammini-
strazione archivistica (a capo della quale si pone la Direzione generale Archivi) ed esamina
le principali norme che regolano la consultazione dei documenti, includendo le attribuzioni
del Ministero dell'interno in materia di documenti non ammessi alla libera consultabilità e la
vigente legislazione sul «segreto di Stato» e sul diritto d'autore. Completano la Parte i capitoli
concernenti la regolamentazione della sicurezza sul lavoro, l'accesso ai documenti ammini-
strativi e la normativa sulla protezione dei dati personali, a tale riguardo sottolineando come
la legislazione nazionale (D.Lgs. 196/2003, Codice della privacy) sia ormai completamente
armonizzata con quella europea (Regolamento UE 2016/679 o GDPR- Generai Data Protection
Regulation).
La terza, Gli archivi italiani, prende in considerazione l'insieme dei criteri organizzativi e degli
strumenti operativi che orientano la gestione amministrativa dei documenti da parte degli
enti produttori (record management), con particolare riferimento ai metodi di ordinamento e
alle operazioni di classificazione, registrazione, fascicolazione ecc. delle carte. Viene descritto,
quindi, il graduale passaggio della documentazione dagli archivi correnti a quelli di deposito
e, infine, a quelli storici, per poi presentare un'ampia panoramica delle diverse tipologie di
archivi (privati, notarili, ecclesiastici, giudiziari) che si affiancano a quelli dello Stato e degli
altri enti e istituti pubblici.
La quarta, Tecnologia archivistica, concerne sia le metodologie e gli istituti specialistici per
la conservazione e il restauro dei beni archivistici, sia le norme e i criteri per lo svolgimento
delle operazioni di fotoriproduzione e microfilmatura dei documenti, nonché la vera e propria
archiveconomia, ovvero la branca dell'archivistica che si occupa della collocazione e della
custodia delle carte. Si commentano, altresì, le norme di sicurezza degli impianti tecnici e le
linee-guida ministeriali sulla prevenzione dei rischi e la reazione alle emergenze negli archivi,
con uno sguardo anche alla stretta attualità legata all'emergenza da COVID-19, analizzando
le apposite linee-guida dell'ICPAL per archivi e biblioteche.
La quinta, Archivistica informatica, riserva un'attenzione specifica sia alla normativa di set-
tore, anch'essa ormai armonizzata con quella europea, sia alle problematiche insite nelle ope-
razioni di formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici, ora regolamentate
da apposite linee-guida emanate nel 2020 dali'AgiD, l'Agenzia per l'Italia Digitale. Rientrano
in quest'ultima Parte anche i capitoli sui principali standard italiani e internazionali per la
descrizione archivistica, mettendo in risalto, fra l'altro, la realizzazione del SAN, il "Sistema
archivistico nazionale".
A completamento dell'opera, un'utile Appendice tecnica comprendente le versioni integrali,
opportunamente tradotte, deli'ISAD (G) (Standard generale internazionale di descrizione
archivistica) e dell'ISAAR (CPF) (Standard internazionale per i record d'autorità archivistici
di enti, persone, famiglie).
PER ESAMI • CONCORSI • FORMAZIONE PROFESSIONALE

Manuale di
BIBLIOTECONOMIA
Il volume costituisce un sussidio completo e aggiornato 1n vista della preparazion
ai concorsi per blbtiotec•rl e agli eMml unlversit•rl e post-universlt•i (corsi
specializzazione post-lauream) di Biblioteconomia. oltre che un valido supporto P4
l'aggiornamento professionale di quanti già lavorano nelle biblioteche.
Il testo si articola in tre parti ·
• Bibtloteconomi•. comprendente: storia delle biblioteche; ordinamento delle b
blioteche pubbliche italiane; MiBAC e Ammimstrazione dei beni librari ; metodi
catalogazione: servizi al pubblico e organizzazione di eventi culturali; tutela d
diritto d'autore; protezione dei dati personali (privacy) ; deposito legale dei doc
menti;
• lnform•tla nette biblioteche. concernente la digitalizzazione degli istituti e 1si
sterni di automazione bibliotecaria.
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Vol. 90 gua per i concorsi per bibliotecari.
A completamento dell'opera. un'utile Appendice norm•tlv• che include il Regola
mento delle biblioteche pubbliche statali (DP.R. 417/1995) con relativo Modulario. l
Legge sulla protezione del diritto d'autore (l. 633/1941); il Regolamento in materia d
deposito legate dei documenti (DPR. 252/2006). articoli estratti (1-130) del Codice
dei beni culturali e del paesagg1o (D.Lgs. 42/2004).
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ALESSANDRO FERRETTI
Manuale di
DIRITTO dei BENI CULTURALI
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legato alle tradizionali classificazioni operate nei programmi accademici. Una parti-
colare attenzione è riservata agli aspetti applicativi attraverso proposte di problema-
tiche concrete che investono la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale
nazionale e internazionale.
Il manuale. grazie all'utilizzo di tabelle e schematizzazioni. facilita anche la fruibilità
e lo studio da parte di quanti abbiano l'esigenza di prep!lr•re euml unlverslt.rJ e
Vol. 28/1 concorsi pubbUcl.
Il volume è inoltre corredato da una selezione di provvedimenti norm.tlvt di set-
tore per un più agevole approccio alle fonti.

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INWw.simone.it/social SIMONE INWw.slmone.it IJ ((ID ~OO
CONCORSI
Parte Prima
Il Archivi e archivistica

CAPITOLO 1 Storia degli archivi 7


CAPITOLO 2 Documenti e archivi 16
CAPITOLO 3 L'archivistica 28
CAPITOLO 4 Gli archivisti 34
CAPITOLO 5 Diplomatica del documento contemporaneo 40
Vol. 91 Manuale di Archivistica smE

O CAPITOLO 1
Storia degli archivi
SOMMARIO
1. L'eredità del passato. - 2. L'età antica. - 3. L'età medievale. - 4. L'età moderna. - S. Il Settecento
e l'Ottocento. - 6. Dall'Unità al Novecento.

1. L'eredità del passato


Fin dai tempi più remoti i popoli avvertirono la necessità di tramandare testimonianze
della loro storia e della loro civiltà. Già gli uomini preistorici registravano la propria
memoria, affidando alle rocce e alle pareti delle caverne le raffigurazioni grafiche degli
avvenimenti da ricordare e comunicare. In seguito, con lo sviluppo delle organizzazioni
sociali più complesse, nacque l'esigenza di memorizzare la proprietà dei beni, i contratti e
gli scambi commerciali, finché, quando maturarono le capacità di documentare in modo
permanente, avvenne il passaggio dalla preistoria alla storia.
Con gli ideogrammi cinesi e i geroglifici egiziani si ebbero le prime forme di scrittura, ma
fu solo con i sumeri che, a partire dal 3200 a.C., si diffuse la prima lingua scritta basata
sull'utilizzo di caratteri cuneiformi sillabici, con i quali venne creato un codice in cui
i simboli convenzionali non avevano alcuna correlazione grafica con quanto si voleva
rappresentare.
Quindi, fu l'invenzione degli alfabeti a dare un grosso impulso alla produzione di docu-
menti, che, a seconda della deperibilità del materiale scrittorio impiegato, sono stati
tramandati nei secoli con alterna fortuna. La maggior parte di quelli scritti su foglie,
papiri o altri materiali delicati è andata infatti perduta, mentre la documentazione
registrata su ossa, tavolette di argilla e di bronzo o altri materiali più resistenti è riu-
scita a giungere fino a noi . Ne sono un esempio le trentanove tavolette di bronzo del IV
- III secolo a.C. scritte in greco e rinvenute presso il santuario di Zeus a Locri, o quelle
cerate di Pompei ed Ercolano, rivelatesi capaci di resistere addirittura all'eruzione del
Vesuvio del79 d.C., senza dimenticare le tavolette d'oro di origine etrusca di Pyrgi. Tutti
i reperti fin qui citati corrispondono anche ai più antichi fondi d'archivio prodotti e
conservati in Italia.

2. L'età antica
La storia degli archivi nasce con la formazione stessa di una civiltà organizzata: più
precisamente, quando i singoli popoli decidono di affidare ai documenti scritti le varie
manifestazioni della loro vita politica e amministrativa, prima ancora che culturale.
Scavi archeologici effettuati in diverse località hanno dimostrato che egiziani, babilo-
nesi e caldei avevano i loro archivi: lo testimoniano le iscrizioni a caratteri cuneiformi
rinvenute tra le rovine di Ninive e Babilonia, le tavolette di argilla di El-Amarna in Egitto
e i papiri ritrovati in alcune grotte della Giudea. Anche la Bibbia, a sua volta, nel libro
SftlmR - Parte Prima • Archivi e archivistica

di Esdra, attesta che il popolo ebreo custodiva, all'interno del Tempio, leggi e altri atti
giuridici di particolare importanza.
Notizie più sicure si hanno riguardo agli archivi sorti presso i greci c i romani, dal mo -
mento che sia gli uni che gli altri mostrarono sempre un costante e duraturo interesse
per la custodia di documenti che testimoniano la loro vita pubblica e privata.
Prima che in età ellenistica venissero istituiti i primi archivi, in Grecia esistevano i co-
siddetti mnemones, che, sotto giuramento, fornivano notizie sullo stato patrimoniale dei
cittadini . La città in cui si organizzarono i primi archivi fu Atene, dove gli atti emanati
dalle alte magistrature vennero conservati anzitutto sull'Areopago, dove si riunivano i
giudici , dopodiché, a conclusione della rivoluzione democratica del 460, furono affidati
a sette sorveglianti speciali, detti nomofulakes. Un vero e proprio Archivio di Stato, però,
sorse ad Atene solo verso la metà del IV secolo ed ebbe come sede il tempio di Cibele,
detto Metroon. Il grammateus che lo reggeva, unitamente ai suoi assistenti, provvedeva a
conservare e registrare le leggi, i risultati dei plebisciti e gli atti processuali per difenderli
da eventuali alterazioni o manomissioni, e consentiva ai cittadini di prenderne visione.
Quello ateniese era principalmente un archivio di emissione, cioè un archivio in cui si
custodivano gli atti spediti, che avevano un carattere di generalità e di pubblico dominio.
Già in quell'epoca, dunque, il termine arkeion stava ad indicare sia la raccolta degli atti
che il luogo in cui essi erano conservati .
Assai più numerose sono le testimonianze degli archivi del mondo romano, soprattutto a
partire dall'età repubblicana, quando tutti i documenti di maggiore interesse pubblico-
come le leggi, i plebisciti, i senatus consulta- cominciarono ad essere conservati, insieme
all'aerarium, nei templi di Saturno e di altre divinità, e affidati alla custodia dapprima dei
censori, poi dei questori, infine dei prefetti . Gli atti dei censori erano raccolti neii'Atrium
Libertatis presso il Foro, mentre neii'Aedes Nimpharum del Campo di Marte si depositavano
le tavole relative al censo dei cittadini . Oltre a quelli pubblici, anche gli archivi familiari
erano diffusissimi tra i romani e di solito venivano conservati nel tablinium . Erano i
tabelliones a redigere, per conto dei privati, quegli atti, che, per godere della fiducia dei
cittadini, dovevano essere poi depositati in appositi uffici pubblici .
Nel78 a.C. Quinto Lutazio Catulo fece costruire sul Campidoglio il primo edificio destina-
to a raccogliere i documenti dello Stato romano: il Tabularium. Affidato alla cura di un
magister census che coordinava il lavoro di servi pubblici, li berti e tabulari deputati alla
stesura dei documenti, il Tabularium conteneva materiale ordinato ed era frequentemen-
te consultato da storici e ufficiali pubblici. Negli ultimi tempi della Repubblica divenne
obbligatorio depositare prima le tabulae publicae, che riproducevano contratti privati,
conti ecc., poi gli acta, ovvero manifestazioni di imperio o esecuzioni di provvedimenti,
presso pubblici uffici controllati dagli iudices archiuiarii.
Anche per i romani il versamento dei documenti nell'archivio ne assicurava la conservazio-
ne e, soprattutto, ne garantiva l'autenticità contro le falsificazioni. Sull'esempio di Roma,
archivi pubblici, denominati gesta municipalia, si diffusero poi in epoca imperiale in tutte
le province, dove venivano diretti dai prefetti con lo scopo di conservare la memoria e
assicurare la pubblica fede dei documenti. Questa organizzazione archivistica rimase in
piedi fino alla caduta dell'Impero, quando il grande disordine provocato dalle invasioni
barbariche ebbe, fra le altre conseguenze, quella di rompere l'unità archivistica romana.
Capitolo 1• Storia degli archivi - s1IIE

3. L'età medievale
Alla Chiesa cattolica e agli archivi ecclesiastici spetta il merito di aver salvato gran parte
dei documenti anteriori al IX secolo. Con l'avvento del cristianesimo, infatti, ai templi
pagani si sostituirono le basiliche cristiane e per molto tempo chiese e monasteri furono
gli unici luoghi in cui venivano depositati documenti.
Tra gli archivi ecclesiastici che si andavano così formando, il più prestigioso divenne
quello della Chiesa romana, premurosa di custodire tutto quanto poteva riferirsi alla
sua storia e a quella dei luoghi sacri e dei suoi màrtiri. Di questo prestigioso archivio ha
parlato sia lsidoro di Siviglia (560-636 d.C), definendolo «archa quod arceat uisum atque
prohibeat, hinc et archiuum, hinc et arcanum, ide est secretum unde eteri arcentur»,
r.ioè una raccolta di mezzi per la difesa dei diritti, sul piano della giustizia, e di altri mezzi
per la salvezza della vita spirituale, sia Tancredi da Bologna (sec. XII - 1236 ca.), il quale
lo ha inteso, invece, come «publicum instrumentum dicitur quod de archiuo publico seu
armario prodicitur uelliber censualis in quo scribuntur census et liber annotationum,
scilicet, quod confìteatur illius ex archiuo publico esse productum».
Anche al di fuori di Roma sorsero diversi archivi monastici, i quali si rivelarono, oltre che
importantissimi centri di cultura, rifugi sicuri presso i quali conservare codici, pergame-
ne, cartolari. Tra i più famosi si possono ricordare quelli delle abbazie di Montecassino,
Farfa, Subiaco, mentre tra i più antichi vale la pena citare quello di S. Ambrogio, dove si
conservano documenti risalenti anche all'VIII secolo.
Gli archivi laici dell'epoca medievale continuarono ad essere i luoghi in cui, secondo la
definizione giustinianea, venivano conservati gli atti pubblici «Ut fìdem (aciant». A causa
degli inconvenienti determinati dalla grande disorganizzazione amministrativa, gli impe-
ratori bizantini ripristinarono l'uso di riporre gli archivi nei templi, mentre la concezione
romana della conservazione degli atti pubblici attraverso il potere civile tornò in auge
r.on la ricostruzione del Sacro Romano Impero, quando negli archivi, all'epoca uniti alla
cancelleria, si preparavano gli ordini relativi ai vari settori della giurisdizione imperiale
e si assicurava la conservazione degli atti depositati.
Tutte le leggi,le costituzioni, i testamenti venivano conservati nel palatium o nell'arma-
rium palatii, sebbene le numerose lotte intestine e l'abitudine dei sovrani di portare con
sé in viaggio i propri archivi provocassero lo smembramento del materiale archivistico.
La parte mobile degli archivi, detta uiatoria, era però sempre meno consistente di quella
che restava nella sede originaria, detta statoria, ed era costituita perlopiù da copie.
Dunque, anche in epoca medievale per «archivio» s'intende solo quello pubblico, costituito
esclusivamente da chi possedeva lojus archivi, potere esercitato dall'imperatore o dal
pontefice, oppure da chi ne aveva ricevuto direttamente da loro la facoltà.
In Italia, tuttavia, grazie all'attività dei notai, che il potere legittimo aveva investito della
facoltà di emanare atti in forma pubblica, anche i Comuni, nati come organismi di fatto
c quindi in contrasto con l'ordinamento giudiziario e amministrativo dell'Impero, ebbero
archivi intesi nel senso già precisato. Infatti, i notai, funzionari di nomina imperiale o
pontificia, erano in grado di conferire, grazie alla publica fìdes di cui godevano, valore
pubblico agli atti delle magistrature comunali che erano chiamati a redigere e che essi
stessi custodivano. L'importanza degli archivi comunali si deduce, altresì, dalla comples-
sità stessa degli organi a cui si riferivano. l Comuni, infatti, in quanto centri di un'orga-
nizzazione e di un governo che avevano sede in città dove tutte le classi sociali potevano
aE - Parte Prima • Archivi e archivistica

contare su una propria rappresentanza politica, acquisirono ben presto l'aspetto di Stati
territoriali definiti e i loro archivi divennero espressione degli interessi di tutti i cittadini.
All'inizio, quando i Comuni si limitavano all'amministrazione della giustizia, la serie degli
atti conservati era circoscritta a quelli giudiziari; poi, con il conseguimento dell'autonomia
politica, negli archivi comparvero pure gli statuti, le leggi, le raccolte di consuetudini,
così come divenne di fondamentale importanza conservare scrupolosamente i titoli giu-
ridici che sancivano l'autonomia dal potere imperiale e i rapporti con le città limitrofe.
Dapprima conservati in armadi, casse o sacchi presso gli uffici delle magistrature che li
avevano prodotti, i documenti furono successivamente destinati ad appositi edifici per
una custodia più sicura e accurata e ben presto la legislazione statutaria cominciò a in-
dicare varie norme sulla tenuta degli archivi, che potevano essere liberamente consultati
da tutti i cittadini. La compilazione di cartulari e regesti si accompagnò alla tenuta dei
registri e presero piede i primi criteri di classificazione delle carte.
Precise e numerose sono anche le testimonianze sugli archivi regi dell'Italia meridio-
nale, tra i più rilevanti e regolari della nostra tradizione archivistica. In Sicilia - dove,
fin dall'epoca del dominio normanno, l'archivio aveva una sede stabile presso il palazzo
reale di Palermo - Federico Il e i suoi successori, nel continuare le tradizioni degli avi,
dedicarono particolare cura alla tenuta degli archivi. Ad esempio, le Costituzioni di Melfi
(dette anche Liber Augustalis, dal nome del volume in cui vennero raccolte), promulgate
dal sovrano svevo nel 1231 e particolarmente significative perché corrispondenti al più
importante documento medievale di legislazione laica, prescrivevano che gli atti più
rilevanti dovessero essere trascritti e custoditi «in archivio nostrae curiae», che gli ori-
ginali non potevano essere estratti dagli «scrinia» e che solo i notai avrebbero potuto
esemplarne delle copie.
Anche gli angioini si dedicarono con grande interesse ai propri archivi. Carlo l, in parti-
colare, dispose il trasferimento a Napoli di tutte le scritture conservate nei vari castelli
del regno, finché, dopo vari spostamenti, l'archivio venne collocato nello stesso edificio
della zecca regia, presso il palazzo di Somma, per poi dotarsi di un proprio regolamento
già nell347, al tempo della regina Giovanna I (1326-1382).
Infine, la presenza in Italia di «grandi vassalli dell'Impero» permette di annoverare, fra
i principali archivi di epoca medievale, anche quelli venutisi a costituire su iniziativa dei
conti e monarchi di casa Savoia, dei marchesi (poi duchi) d'Este e di Mantova, dei duchi
di Milano, dei marchesi del Monferrato e di molti altri minori.

4. L'età moderna
L'esigenza di conservare gelosamente titoli giuridici, unita all'interesse culturale legato
all'esaltazione del passato della propria famiglia, è alla base degli archivi signorili e prin-
cipeschi. Con questi presupposti, tra il Cinquecento e il Seicento gli archivi diventarono
importanti strumenti al servizio del potere: solo attraverso i documenti era possibile di-
fendere i diritti o i privilegi acquisiti nel tempo, oppure mutare radicalmente determinate
situazioni. Preziosi come tesori, gli archivi andavano difesi e protetti da qualunque insidia,
tanto che finirono per diventare segreti: consultabili, cioè, solo da poche persone fidate.
Per soddisfare le esigenze politico-amministrative legate alla consultazione degli archivi,
proprio a partire da quegli anni si verificò un maggiore interessamento per questi istituti:
la conservazione degli atti si andava perfezionando assieme alla loro custodia e la compi-
Capitolo 1 • Storia degli archivi - smE

!azione di inventari divenne abituale. l frutti di questo interessamento si concretizzarono


nel Seicento, con la pubblicazione dei primi trattati sulla tenuta degli archivi (legati ai
nomi di Baldassarre Bonifacio, Albertino Barisone e Niccolò Giussani) che comprende-
vano norme per l'ordinamento delle carte e per la disposizione materiale delle scritture.

5. Il Settecento e l'Ottocento
Apartire dalla seconda metà del Settecento, sotto l'influenza delle idee politico-giuridiche
che avevano animato la Rivoluzione francese, si giunse alla pubblicità degli archivi, la
4ual cosa contribuì ad esaltare l'aspetto culturale e l'uso storico di questi istituti, nei
quali, fino a quel momento, erano prevalse finalità prettamente giuridiche. Le riforme
portate avanti dall'assolutismo illuminato e le trasformazioni amministrative seguite
alla fine dell'ancien régime (il «vecchio regime» nobiliare imperniato sulle istituzioni
politico-sociali antecedenti alla Rivoluzione francese) portarono poi, in età napoleonica,
alla formazione dei cosiddetti «grandi archivi», dove fondi documentari appartenenti ad
uffici diversi (e da questi gestiti fino a quel momento) cominciarono ad essere concentrati
in depositi unici. Risale dunque a quest'epoca la separazione tra archivi e gestione dei
documenti presso gli uffici produttori, come pure si afferma la questione relativa all'ordi-
namento da conferire alle serie archivistiche riunite nei nuovi istituti di concentrazione.
Dal momento che l'Italia non era ancora un'entità politica unitaria e accentrata, non fu
possibile realizzare un'organizzazione archivistica uniforme, per cui all'interno dei singoli
Stati continuarono ad esistere realtà archivisticamente differenziate.
Nel corso del XIX secolo l'attenzione rivolta agli archivi crebbe poi notevolmente, anche
in seguito all'affermazione del principio di nazione e degli studi romantici sul passato
(quindi, sui documenti che lo testimoniavano), cosicché pure l'archivistica cominciò ad
affermarsi come scienza e disciplina autonoma. Si approfondirono i dibattiti sull'ordi-
namento delle carte e al metodo cosiddetto «per materia», che si era affermato ed era
stato attuato nella maggior parte degli archivi italiani dalla seconda metà del Settecento
fino a ben oltre l'unità d'Italia, si contrappose il metodo «storico>>, che avrebbe finito, di
lì a breve, per prevalere nettamente.

6. Dall'Unità al Novecento
Negli anni immediatamente successivi all'unità d'Italia vennero sollevate e affrontate
numerose e diversificate problematiche legate all'archivistica, a livello sia teorico che
pratico, con particolare riferimento alla natura degli archivi, al loro ordinamento e alla
scelta del Ministero che avrebbe dovuto avere competenza su di essi.
Una delle prime sedi che ospitarono importanti discussioni in materia fu costituita dal
Congresso internazionale di statistica svoltosi nel 1867 a Firenze (allora capitale del Regno),
dal quale scaturirono conclusioni che possono essere così sintetizzate:
l. riconoscimento ufficiale degli archivi, per la prima volta nella storia italiana, quali isti-
tuzioni scientifiche dotate di una propria, particolare fisionomia, ben distinta da quella
di musei e biblioteche. Più specificamente, si stabilì che qualunque documento con
carattere di atto pubblico o privato (in senso giuridico e diplomatico) sarebbe dovuto
appartenere alle istituzioni archivistiche (mentre le biblioteche avrebbero conservato
- Parte Prima • Archivi e archivistica

tutti gli altri documenti privi di quelle caratteristiche), così come sarebbero confluiti
negli archivi, altresì, i sigilli, la cui custodia era stata reclamata, fino ad allora, anche
dai musei;
2. riconoscimento della necessità di una tutela governativa anche sugli archivi privati;
3. accettazione della condivisa esigenza di provvedere alla compilazione di strumenti di
ricerca.
Tre anni dopo, nel1870, venne istituita la Commissione Cibrario (dal nome del suo pre-
sidente, lo storico Luigi Cibrario, direttore dell'Accademia delle Scienze), la quale, creata
dai due Ministeri che si dividevano le competenze sugli archivi degli Stati preunitari (il
Ministero dell'interno e quello della pubblica istruzione), fu incaricata di discutere le
questioni rimaste irrisolte nel 1867, fra cui quelle riguardanti i versamenti e lo scarto
dei documenti, la consultabilità delle carte, la formazione del personale, ma soprattutto
il problema concernente la dipendenza del settore archivistico da un unico dicastero.
A conclusione dei propri lavori la commissione si pronunciò a favore del Ministero dell'in-
terno e tale decisione, suffragata e motivata dall'opportunità di un'adeguata tutela della
documentazione amministrativa, venne poi sancita ufficialmente dal regio decreto 5
marzo 1874, n.1852, rendendo possibile, così, il trasferimento dei quindici Archivi di Stato
allora esistenti alle dipendenze del suddetto dicastero. Inoltre, la maggioranza dei membri
si espresse a favore dell'abolizione della divisione tra archivi storici e Archivi ammini-
strativi, in luogo della quale venne sancita la distinzione tra «parte antica» (consultabile)
e «parte moderna» (riservata) di uno stesso archivio, stabilendo, altresì, l'istituzione di
un Consiglio per gli archivi e delle soprintendenze regionali.
l risultati conseguiti dalla commissione furono complessivamente recepiti dal regio decre-
to27maggio 1875, n. 2552, nel contesto del quale la novità più significativa fu rappresentata
dal varo delle regole per l'ordinamento generale degli Archivi di Stato: in particolare, il
regolamento in oggetto prescrisse sia il «rispetto dei fondi», sia, soprattutto, l'applica-
zione del metodo storico, che in tal modo trovò finalmente un riconoscimento ufficiale.
Numerosi ma inutili furono invece i tentativi- peraltro testimoniati dai disegni di legge
presentati dai Ministri dell'interno Nicotera prima, Depretis e Crispi poi - di istituire
Archivi di Stato in tutti i capoluoghi di provincia: progetto, questo, realizzato solo nel1939.
Nel corso della seconda guerra mondiale, nonostante le molte cautele adottate, il pa-
trimonio documentario nazionale subì gravi danni . Quando il governo fascista si stabilì
nell'Italia settentrionale (Repubblica di Salò), insieme alla capitale e agli organi ammi-
nistrativi furono trasferiti anche gli archivi, mentre nel sud l'amministrazione centrale
degli archivi fu ripristinata solo quando il governo stabilì la propria sede prima a Brindisi
e poi a Salerno. Al termine del conflitto tutti gli archivi (compreso quello di Mussolini)
furono riportati a Roma, tranne una parte, che venne deliberatamente distrutta.
Nel 1949 un comitato di esperti, convocato daii'UNESCO a Parigi, decise di costituire
I'ICA (International Council o n Archiues, «Consiglio internazionale degli archivi»), che
nell'agosto dell'anno successivo tenne il primo congresso proprio nella capitale francese .

;. Il Consiglio internazionale degli archiui



Il Consiglio internazionale degli archivi - CIA (in francese Consci/ international des archiues- CIA;
in inglese lnternatiunal Council on Archiues - ICA) , fondato nel giugno del19'•9 presso l'UNESCO c
con sede a Parigi , è il più importante organo internazionale in campo archivistico. Ha come scopo
il collegamento fra le singole entità nazionali, senza tuttavia imporre normative da dover applican!
Capitolo 1• Storia degli archivi- ~

a livello sovranazionale, mentre la sua finalità più rilevante è quella di assicurare la conservazione,
la fruizione e la valorizzazione del patrimonio archivistico mondiale.
Ha una struttura molto articolata in quanto vi partecipano le istituzioni archivistiche nazionali,
regionali, locali, pubbliche e private, le associazioni professionali di categoria, alcuni archivisti a
titolo individuale e membri d'onore. In particolare ne fanno parte Amministrazioni archivistiche
(Archivi nazionali o Direzioni generali per gli archivi), associazioni di archivisti e singoli archivi
(archivi di enti locali, d'impresa, di università, di sindacati, di ONG, di organizzazioni internaziona-
li, di denominazioni religiose ecc.) di oltre 190 Stati, così come anche i singoli archivisti possono
associarsi al ClA, ma senza diritto di voto.
Il governo del Consiglio è affidato a un'Assemblea generale, a sua volta dotata di un Segretariato
generale, di una Conferenza internazionale della tavola rotonda degli archivi e di un Comitato ese -
cutivo. Un apposito settore è dedicato agli interessi regionali, come pure esiste una Commissione
per la gestione del programma. Nell'organigramma figurano, altresì, molteplici sottocommissioni,
sezioni professionali e gruppi editoriali che possono dare impulso a svariate iniziative pubbliche
ed editoriali.
Con cadenza quadriennale il CIA organizza, in sedi ogni volta diverse, il proprio Congresso inter-
nazionale. Fino al2011 ospitava anche il meeting annuale della CITRA (lnternational Conference of
the Round Table on Archives), che raggruppava i dirigenti delle istituzioni archivistiche nazionali,
i presidenti delle associazioni archivistiche nazionali di professionisti e i rappresentanti delle
varie sezioni, dopodiché i meeting della CITRA sono stati sostituiti con una conferenza annuale.
Con cadenza annuale, oppure due volte l'anno, il CIA pubblica Comma.
Tra il 1988-1993 la Commissione ad hoc per gli standard di descrizione del CIA (ICA/DDS), poi tra-
sformata in Comitato permanente al Congresso internazionale degli archivi di Pechino del 1996,
elaborò la prima versione, pubblicata nel1994, di ISAD (G) (Generallnternational Standard Archi val
Description), allo scopo di definire standard internazionali di descrizione archivistica. Tali regole
vennero poi sottoposte a revisione nel quinquennio successivo (fino al settembre del1998), finché
sulla base delle proposte inviate da 25 paesi, compresa l'Italia, fu elaborata una seconda edizione
delle regole, approvata nel settembre del1999 a Stoccolma e resa pubblica durante il Congresso
l CA di Siviglia nel settembre del2000: lnternational Council o n Archives l Conseil international d es
archives, ISAD (G): Generallnternational Standard Archival Description, Second Edition, Adopted by
the Committee on Descriptive Standards, Stockholm, Sweden, 19-22 September 1999, Ottawa, 2000.
Nel1997 il CIA pubblicò la Guida per la gestione dei documenti elettronici secondo una prospetti-
ua archivistica, in cui viene sottolineato, fra l'altro, che i documenti digitali non possono essere
considerati come un corpus documentario a parte, che la formazione dell'archivio inizia con la
creazione/acquisizione dei documenti e che il processo archivistico non va dunque considerato "a
valle", owero dopo la creazione dei documenti.
Al2008 risale invece la pubblicazione dei Requisiti fondamentali del software per creare e gestire
documenti digitali in ambienti d'u(fìcio (poi acquisiti dall'ISO con codice ISO 16175), con cui vengo-
no indicate diverse «buone prassi» per la gestione dei documenti archivistici, come l'affidabilità
gestionale, le informazioni sull'uso di metadati, i criteri riguardanti conservazione e accessibilità,
i metodi per la selezione e lo scarto, prowedendo inoltre a identificare la divisione archivistica in
quattro macroaree: creazione, tenuta, distribuzione, amministrazione.
Alle diverse sezioni tematiche del CIA (Sezione associazioni professionali, Sezione archivi d'im-
presa e sindacali, Sezione archivi letterari e dell'arte, Sezione archivi d'architettura ecc.) si deve la
preparazione di ulteriori manuali, bibliografie, glossari e altri strumenti di lavoro, nonché l'orga-
nizzazione di seminari e convegni.
Il CIA si articola in varie sezioni regionali con diversi livelli di attività, come la sezione dei Caraibi
(CARBICA), quella dell'Est e Sud Africa (ESARBICA), quella del Sud e Ovest dell'Asia (SWARBICA), quella
europea (EURHICA, fondata nel2001 a Firenze in occasione della VI Conferenza europea degli archi-
vi), quella dell'area del Pacifico (PARBlCA), nonché quella del Nord America (NAANICA), che opera
grazie al contributo della Society ofAmerica n Archivists e della Association o(Canadian Archivists.
Inoltre il CIA ha dodici sezioni professionali che si occupano di indirizzare i contenuti archivistici
dell'organizzazione e delle sue attività, fra cui la "Sezione per l'educazione archivistica" (SAE), la
SAR (Section (or Architectural Records), la SBA (Section (or Business Archives), la SL.A (Section (or
.. - Perte Prima • Archivi e archivistica

Archi ves o( Literature and Art), la SLMT (Section (or Local, Municipal and Territorial Archives), la
SPO (Section on Sports Archives), la SPP (Section (or Archi ves o( Parliaments and Politica! Parties),
la SUV (Section (or University and Research lnstitutions) .
Nel corso del Congresso di Pechino del1996 il ClA si dotò di un Codice etico per archivisti, mentre
nel 2010 l'Assemblea generale approvò la Dichiarazione universale sugli archivi, poi fatta propria
dall'assemblea plenaria deii'UNESCO, con voto unanime, il IO novembre 2011. Infine nel 2012, in
occasione del Congresso di Brisbane, il Cl A approvò i Principi sulla consultabilità degli archivi.

Al1949 risale anche l'istituzione, a Roma, dell'Associazione nazionale archivistica italiana


(ANAI), la quale riunisce persone che svolgono professionalmente attività archivistiche
e alla quale possono aderire persone, istituzioni, enti, aziende interessati a tutto quan-
to concerne il mondo degli archivi . L'Associazione, che non ha fini di lucro, aderisce al
Consiglio internazionale degli archivi e può aderire ad associazioni e organizzazioni di
rappresentanza in ambito sia nazionale che internazionale (1) .
Per conservare la memoria documentaria del nuovo Stato italiano venne poi creato, con
la legge 13 aprile 1953, n. 340, l'Archivio centrale dello Stato, un istituto autonomo in cui
furono raccolte le carte dei ministeri, degli uffici e degli enti di rilevanza nazionale a par-
tire dal1860, al fine di offrire agli studiosi di storia contemporanea le basi indispensabili
per la ricerca. La suddetta documentazione, che dal1875 era stata fatta confluire in una
sezione interna dell'Archivio di Stato di Roma e si trovava dispersa in quattro depositi
diversi, venne riunita ordinatamente, tra il1959-1960, nella sede prescelta: l'edificio che,
progettato nel1938 per ospitare il Museo delle Forze Armate, era stato poi destinato, in
alternativa, alla Mostra permanente delle corporazioni, nel contesto delle manifestazioni
organizzate per l'Esposizione Universale di Roma (EUR) prevista per il1942.
Con il D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409 fu invece affrontato il problema di creare un colle-
gamento organico tra gli Archivi di Stato e le amministrazioni che producono documen-

(l)Lo Statuto dell'Associazione, approvato dall'assemblea nazionale dei soci ill 0 aprile 2017 cd entrato in vigore
il15 aprile successivo, stabilisce all'art. 2 che I'ANAI si prefigge i seguenti scopi:
«a) rappresentare - in ogni ambito culturale, scientifìco, tecnico, giuridico, legislativo, politico - le istanze
relative a tutto quanto attiene la professione archivistica, le caratteristiche e l'organizzazione degli archivi
(correnti, di deposito e storici, qualunque sia la tipologia e il formato - analogico e/o digitale - della do·
cumentazione trattata e custodita) e dei servizi archivistici;
b) affermare, accrescere e tutelare la specifìcità e la qualità della professionalità degli archivisti iscritti allì\s·
sociazione mediante l'identifìcazione delle attività professionali, la defìnizione di principi deontologici, la
verifìca de/loro rispetto e il rilascio di attestazioni di qualità e di qualifìcazione professionale dei sen1izi
prestati dai soci;
c) tutelare la funzione degli archivisti e il loro ruolo nella gestione documentale delle pubbliche amministra ·
zioni e degli enti privati e contribuire, in ogni sede, a defìnire gli orientamenti e le scelte in materia;
d) sviluppare attività volte alla tutela, alla conservazione, alla fruizione e alla valorizzazione del patrimonio
archivistico;
e) promuovere, sviluppare e collaborare a iniziative specifìche rivolte allo studio, alla formazione e alla de·
fìnizione di norme attinenti gli archivi digitali, con particolare riguardo alla loro formazione, gestione e
conservazione e ai temi dell'innovazione e della comunicazione dei dati;
f) promuovere l'organizzazione e lo sviluppo di archivi e di servizi archivistici che tengano in considerazione
i diritti e i bisogni di tutti i cittadini di oggi e di domani;
g) promuovere e condurre attività editoriali, iniziative di informazione e di comunicazione sui temi di propria
competenza e interesse;
h) promuovere e condurre attività di formazione e aggiornamento professionale e ogni iniziativa intesa allo
sviluppo dell'attività scientifìca e tecnica degli archivisti;
i) favorire le relazioni degli archivisti italiani tra loro, con colleghi stranieri e con tutti coloro che si interessano
agli archivi e alle discipline archivistiche>>.
Capitolo 1 • Storia degli archivi - sft~ME

t azione statale, problema che venne risolto con l'istituzione di apposite commissioni di
taorveglianza, deputate appunto a sorvegliare sulla conservazione e sull'ordinamento degli
archivi delle pubbliche amministrazioni, provvedere allo scarto della documentazione
m utile e curare il versamento negli Archivi di Stato competenti per territorio. Altrettanto
importante è stata l'affermazione della libera consultabilità dei documenti conservati
presso gli Archivi di Stato, nonché l'estensione dello stesso principio agli archivi correnti
P di deposito degli organi dello Stato e degli enti pubblici .
A seguito dell'istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali, nel1975, gli Ar-
r.hivi di Stato entrarono a far parte di quel dicastero, ponendo fine, così , alla dipendenza
da quello dell'interno, iniziata un secolo prima.
Con il decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, infine, venne istituito il nuovo Ministero
per i beni e le attività culturali, che nel corso degli anni ha poi assunto varie denominazio-
lli, fìno a quella attuale di Ministero della cultura (D.L. 22/2021). Ad oggi l'Amministrazione
archivistica italiana rientra dunque nelle competenze di questo dicastero.
Vol. 91 Manuale di Archivistica SJml!

Q CAPITOL02
Documenti e archivi
SOMMARIO
1. La documentazione archivistica . - 2. Gli archivi come complessi organici di documenti.
- 3. Archivi correnti. archivi di deposito. archivi storici. - 4. Gli archivi come fondi documentari.
- 5. l criteri per la classificazione degli archivi . - 6. L'organizzazione dei documenti nell'archivio
cartaceo. - 7. Documenti e informatica : l'automazione degli strumenti di ricerca.

1. La documentazione archivistica
1.1 Definizione e tipologia del documento
Nel Grande dizionario della lingua italiana di S. Battaglia (UTET, Torino, 1971, IV) vengono
fornite tre definizioni della parola documento:
l. «Ogni mezzo (in particolare, e originariamente, una scrittura) che consente di traman-
dare la memoria di un fatto, provandone l'esattezza e le modalità. - Soprattutto: l'atto
giuridico che si concreta in una scrittura».
2. «Testimonianza di qualunque genere (e può essere uno scritto, un'opera, un oggetto,
un monumento ecc.), che, appartenendo a un dato ambiente o periodo o civiltà, ne è
espressione e in qualche modo lo rappresenta e consente di conoscerlo; attestazione,
espressione».
3. «Qualunque oggetto materiale che può essere usato (in originale o in riproduzione)
come strumento di studio, di consultazione, di indagine o come sussidio per deterrni-
nate ricerche (documenti grafici, iconografici, fotografici , visivi, fonici ecc.)».
In sostanza, per documento si potrebbe dunque intendere qualsiasi mezzo o cosa in grado
di rappresentare un fatto, oppure di costituirne testimonianza o tramandarne memoria.
A partire da questa definizione il documento d'archivio potrebbe a sua volta essere in-
teso, secondo la spiegazione fornita da P. Carucci, come «La rappresentazione, in forma
libera o secondo determinati requisiti, di un fatto o di un atto relativo allo svolgimento
dell'attività istituzionale, statutaria o professionale di un ente o di una persona», con la
precisazione che, se un tempo poteva trattarsi tutt'al più di una scrittura o di un disegno,
ora rientrano a pieno titolo fra i documenti d'archivio anche le fotografie, i microfilm, i
film, le registrazioni sonore, le videocassette, i dischi ottici, nonché informazioni e dati
elaborati e diffusi per mezzo di apparecchiature informatiche.
A seconda della forma, un documento conservato in archivio può a sua volta essere in:
• originale, se si tratta dell 'esemplare compiuto del documento, praticamente perfetto
nelle sue peculiarità formali e contenutistiche (l);

(l)Di uno stesso documento possono esistere più originali, com t ~ avviene, ad esempio, per gli atti notarili , o per
le circolari inviate da un ufficio centrale presso i propri ullìci perirerici, o per i registri di stato civile, conservati
sia ne i Comuni che nei tribunali.
Capitolo 2 • Documenti e archivi - s1lftiE

• minuta, intesa come esemplare di un documento originale spedito che resta nell'ar-
chivio del mittente (2);
• copia, intesa come riproduzione di un documento originale eseguita a mano, a macchi-
na, tramite computer, o mediante qualsiasi altro apparecchio abilitato alla riproduzione
(fotocopiatrice, stampante ecc.) (3).

1.2 Differenza tra atto e documento


Nel linguaggio comune si riscontra spesso un uso confusionario delle parole atto e docu-
mento, nel senso che vengono adoperate come sinonimi. In realtà occorre considerare
che, nel contesto tecnico-giuridico, l'atto (o azione giuridica) sta ad indicare il compor-
tamento ovvero la manifestazione di volontà che produce effetti giuridici (costituendo,
modificando o estinguendo situazioni regolamentate dalla legge), mentre il documento
costituisce, a sua volta, la rappresentazione e la testimonianza dell'atto, vale a dire l'at-
testazione scritta nella quale la volontà che presiede alla produzione dell'atto prende
forma per essere manifestata («documentata») all'esterno.
Sotto il profilo formale è da specificare che quando la forma scritta dell'atto è richiesta
per sancire l'esistenza dell'atto stesso si ha la forma ad substantiam, mentre se è richiesta
soltanto a fini di prova si ha la forma ad probationem. In questo secondo caso, quindi,
l'esistenza dell'atto è completamente indipendente dal documento che servirebbe solo a
provarla (ma non a determinarla), ragion per cui si può affermare che, sul versante giu-
ridico, l'atto e il documento coincidono solo nel caso di quegli atti in cui la forma scritta
(il documento) è richiesta ad substantiam.
Ferme restando le differenziazioni esistenti in campo giuridico, vale la pena chiarire che,
nel linguaggio diplomatico-archivistico, si dovrebbe indicare con documento l'oggetto
in cui l'atto giuridico prende forma (a prescindere che sia ad substantiam o ad probatio-
llem), e con scrittura la carta scritta priva dei requisiti formali dell'atto giuridico, anche
se poi, nella prassi reale, si adopera genericamente la parola atto per fare riferimento a
qualunque tipo di carta scritta conservata in un archivio.

(:!)In effetti, per minuta dovrebbe intendersi la prima stesura, provvisoria e sommaria, di uno scritto, destinata
acl essere poi rivista, corretta e ampliata prima di essere redatta nella forma defìnitiva. Oggi, però, in virtù
•Ielle moderne tecnologie, è possibile comporre praticamente in contemporanea la minuta e l'esemplare (o gli
l!semplari) da spedire, sicché la minuta stessa, se da un lato può ess!!re preceduta da un'ulteriore redazione del
documento contenente le correzioni, i ripensamenti o le abbreviazioni dell'autore, dall'altro è ormai parago·
nabile a un fac -simile dell'originale (in mancanza del quale, se andato perduto, la minuta custodita in archivio
potrebbe valere come esemplare sostitutivo, con valore di prova). Ciò non toglie che possano comunque esistere
delle discordanze tra le minute e i documenti originali: infatti, se questi sono antichi, sulla minuta possono
risultare assenti, ad esempio, sigilli, sottoscrizioni ecc., mentre per quelli moderni può verificarsi il caso che sulla
minuta compaia una sigla, anziché la firma dell 'autore, oppure che la minuta non risulti su carta intestata ecc.
l'er una corretta tenuta de ll'archivio è opportuno segnare anche sulla minuta il numero di protocollo e l'indice
di classificazione.
Ila ricordare, infine, che si possono archiviare non soltanto le minute eli documenti spediti, ma anche quelle
relative ad articoli, discorsi e altri atti formali non suscettibili di spedizione.
(:1) Una copia si dice semplice quando è priva di valore giuridico. ossia non presenta Forme legali tali da confe -
rirle valore di prova, mentre viene denominata imitativa quando riproduce, senza Falsificarle, le caratteristiche
!-:rafìche del documento originale (Fotocopia, fotografia, fax ecc.).
Il anno invece valore giuridico le copie:
• uiclimate, cioù convalidate da un'autorità pubblica;
• uutentiche (o uutenticute), ovvero legittimate da un notaio.
.. - Parte Prima • Archivi e archivistica

Ad ogni modo, al fine di scongiurare fraintendimenti, è consigliabile attenersi agli ac-


corgimenti di seguito specificati:
• non perdere mai di vista la differenza concettuale tra l'atto giuridico e il documento
che lo «rappresenta»;
• tenere sempre presente che mentre in campo giuridico la «forma» esprime il modo
in cui l'atto viene esternato, nell'ambito diplomatico tende invece a corrispondere alle
modalità con cui il documento è stato redatto, esprimendone, in definitiva, la tipologia;
• in riferimento alla diplomatica del documento contemporaneo, adoperare il termine
documento per qualunque tipo di carta scritta, senza differenziazioni di carattere
generale (P. Carucci, Il documento contemporaneo, 1995).
Senza dimenticare che, come fa notare la Carucci, «Il documento non si forma sempre
con valore costitutivo, probatorio o informativo di attività giuridica. Una pluralità di
documenti viene posta in essere per fìnalità pratiche diverse giuridicamente irrilevanti.
Ma [. .. ] la giuridicità del documento può essere originaria oppure può sopravvenire in
momenti successivi.[. ..] Può accadere che un documento nato con una determinata rile-
vanza giuridica ne assuma una diversa in un tempo successivo» (Le fonti archivistiche:
ordinamento e conservazione, 1988).
Resta solo da dire che, naturalmente, oltre agli archivi di uffici ed enti che esercitano
pubbliche funzioni , possono avere rilevanza giuridica anche gli archivi privati, siano essi
di famiglie, aziende, banche, sindacati ecc.

2. Gli archivi come complessi organici di documenti


Qualunque persona, famiglia, ufficio, ente, impresa, industria, istituto culturale ecc. può
custodire, per fini pratici o istituzionali, i documenti che produce o riceve nel corso della
propria esistenza, dando vita, così, a un archivio.
Secondo la definizione classica, formulata da E. Casanova in Archivistica (1928), un archivio
è «la raccolta ordinata degli atti di un ente o di un individuo, costituitasi durante lo svolgi-
mento degli scopi politici, giuridici e culturali di quell'ente o individuo».
Un archivio nasce dunque spontaneamente, in seguito al progressivo accumulo di do-
cumenti inerenti a un'attività pratica, amministrativa o giuridica. l suoi requisiti essen-
ziali sono costituiti dall'organicità e dal vincolo documentario involontario (il cosiddetto
vincolo archivistico) che lega tra loro le carte conservate. Talvolta si può verificare che
dietro la rilevazione di un vincolo involontario si celi, in realtà, un vincolo volontario o
apparente e quindi non idoneo a confermare la natura di archivio in senso tecnico.
Pertanto, solo dopo un'approfondita ricerca documentaria, realizzata con lo scopo di co -
noscere l'entità del soggetto produttore e dei soggetti ad esso correlati, si potrà indicare
se un archivio è:
• proprio, cioè dotato di un riconoscibile vincolo involontario o naturale;
• improprio, ossia dotato di un vincolo naturale, originariamente esistente, ma non
riconoscibile allo stato attuale;
• apparente, vale a dire dotato di un vincolo conseguente all'effettuazione di un accer-
tamento a posteriori.
Capitolo 2 • Documenti e archivi - sBE

l:onalisi sulla natura del nesso che collega tra loro, secondo criteri logici e necessari, i
documenti consente di fissare, in particolare, quattro diverse tipologie di vincoli:
l. vincolo istituzionale esterno, individuabile nel collegamento che intercorre tra l'ente
produttore del fondo e la realtà istituzionale nella quale tale soggetto opera;
2. vincolo istituzionale interno, il quale si sviluppa, invece, nel rapporto tra l'ente pro-
duttore e le altre realtà sociali che si pongono in collegamento con essa;
:J. vincolo archivistico esterno, che si propone nel rapporto tra l'ente produttore, l'unità
referente e il fondo prodotto;
4. vincolo archivistico interno, a sua volta individuabile nel nesso che collega la docu-
mentazione realizzata con quella conservata dall'ente produttore.
Testimoniato soprattutto dagli elementi formali riguardanti la classificazione, la registra-
zione, la numerazione ecc. delle carte, il vincolo archivistico esiste anche quando non sia
individuabile da questi riferimenti, poiché la documentazione archivistica riflette sempre
l'attività del soggetto (sia esso un ufficio, un ente, o una singola persona) connessa ai do-
cumenti che si producono o si acquisiscono. In quanto tale, esso permette di riconoscere
puntualmente la fonte che ha prodotto una determinata documentazione e di risalire,
altresì, alle misure adottate dal soggetto in questione per la crescita e la tenuta ordinata
del proprio Archivio, secondo uno schema prestabilito che ne rispecchi e ne rispetti l'atti-
vità. A tale proposito, C. Salvati ha giustamente osservato che «L'esistenza di uno schema
preordinato è anche l'unico modo per salvare quel vincolo necessario che lega un'attività
n d un 'altra attività dello stesso ufficio, vincolo che rappresenta, al momento, l'unità dell'a-
zio ne amministrativa e, successivamente, l'unità organica che farà dell'archivio un corpo
morfologicamente articolato, così com'era morfologicamente organizzato l'ente che lo
produsse» (Manuale dell'archivista, 1982).
Per poter reperire facilmente i documenti emanati, spediti o ricevuti è quindi di fon-
damentale importanza che essi siano organizzati in modo omogeneo e funzionale, così
come è evidente che a una maggiore complessità delle competenze e dell'organizzazione
del soggetto produttore corrisponda una più viva esigenza di razionalizzare la tenuta
dell'archivio. A seconda dell'autorità esercitata dal soggetto produttore, infatti, gli archivi
possono essere vincolati da una serie di norme tecnico-giuridiche concernenti la loro
formazione e conservazione, anche se quest'aspetto non determina una differenza nel
grado d'importanza della documentazione.

3. Archivi correnti, archivi di deposito, archivi storici


Per archivio si può intendere anche il locale o il deposito nel quale i documenti vengono
custoditi e conservati. Del resto, lo stesso termine «archivio» sembrerebbe derivato dal-
la parola greca arkeion, indicante il palazzo in cui l'arconte, il più alto magistrato della
Grecia arcaica, conservava gli atti emanati.
Di solito gli enti utilizzano locali attigui ai propri uffici per conservare le pratiche neces-
sarie alla trattazione degli affari in corso, le quali costituiscono il cosiddetto archivio
corrente, espressione normalmente utilizzata anche in riferimento agli armadi e agli
scaffali (oppure ai locali veri e propri, in caso di documentazione assai vasta) in cui ap-
punto si tengono le pratiche.
Patte Prima • Archivi e archivistica

Successivamente, man mano che le pratiche stesse vengono evase, i relativi fascicoli
vengono separati dall'archivio corrente e passano in locali più appartati, dove si viene
a creare l'archivio di deposito, contenente documenti che comunque possono essere
ancora consultati per scopi giuridico-amministrativi.
Infine, dopo un certo numero di anni, quando ormai non sono più necessari alla trat-
tazione degli affari, i documenti vengono destinati alla conservazione permanente nel
cosiddetto archivio storico, il quale può trovarsi presso l'ente stesso che ha prodotto
la documentazione, oppure può confluire, insieme con gli archivi storici di altri enti, in
istituti creati appositamente per la concentrazione e la conservazione di archivi destinati
alla consultazione. Quest'ultima soluzione, in particolare, è stata prevista dal legislatore
in riferimento agli archivi degli uffici statali (sia precedenti che successivi all'unità d'I-
talia) e agli archivi notarili la cui documentazione deve essere periodicamente versata
nell'Archivio di Stato competente per territorio.
In pratica l'Archivio corrente, l'archivio di deposito e quello storico corrispondono a tre
fasi, peraltro non sempre distinte, nella costituzione di un medesimo archivio, cosicché
questa triplice distinzione, dal carattere prettamente operativo, risulta priva di una
significativa rilevanza sul piano teorico, al punto che si può convenire, con la Carucci,
che alle tre tipologie di archivio appena descritte non può essere attribuita una vera e
propria differenza sostanziale, «se non quella per cui la stessa documentazione uiene
considerata in tempi diversi».

4. Gli archivi come fondi documentari


Il termine «archivio» viene utilizzato, altresì, come sinonimo di fondo, parola di origine
francese molto diffusa, usata per indicare un complesso documentario che, all'interno di
un Archivio di Stato o di un qualsiasi istituto in cui si trovino collocati archivi di diversa
provenienza, abbia un carattere di unitarietà.
A partire da questo significato, il termine fondo può dunque valere per:
• un normale archivio prodotto da un qualunque ente;
• un insieme di documenti che, pur essendo stati prodotti da enti diversi, sono poi con-
fluiti, per ragioni varie, in un unico ente che ha provveduto a versarli o a depositarli ;
• un complesso di documenti venutosi a creare in virtù di accorpamenti, riordinamenti,
o suddivisioni che abbiano avuto luogo in archivi di concentrazione;
• miscellanee (4) o raccolte (collezioni) (5).

(4) Per miscellanea s"intende un complesso di documenti (che possono riguardare argomenti affini o eteroge ·
nei) provenienti da serie diverse di uno stesso archivio o da archivi diversi. In quanto tale, può essere frutto
di un accumulo occasionate e disordinato di carte, oppure può derivare tanto da una consapevole attività di
riordinamento (per materia), quanto dall"aggregazione di documenti che voluta mente non sono stati ricollocati
nelle serie di provenienza, magari al fine di provvedere poi a rilegare in volume la miscellanea che ne deriva .
Ciò si verifica soprattutto quando la miscellanea abbia assunto una configurazione talmente omogenea da
allontanare qualsiasi ipotesi di smembramento (come invece avviene nel caso di miscellanee per le quali è
opportuno o indispensabile riportare i singoli documenti ai rispettivi fondi di provenienza).
(5) Le raccolte o collezioni vengono di solito indicate col nome di chi le ha formate, anche se poi i documenti in
esse contenuti non si riferiscono a colui il quale ha provveduto a collezionarli (a prescindere che si tratti di un
archivista che lo abbia fatto per ragioni di servizio oppure di un privato o di un ente che si siano procurati. in
vari modi , carte di diversa origine o provenienza).
Capitolo 2 • Documenti e archivi - sftlmE

S. l criteri per la classificazione degli archivi


~~~istonodiversi metodi per procedere alla classificazione degli archivi . Un primo criterio
pc•r operare una distinzione di massima è, ad esempio, quello proposto da E. Casanova,
rtw. tenendo conto dell'età dell'archivio, distingue gli archivi vivi dagli archivi morti.
Atale riguardo, però, bisogna osservare che siccome anche un archivio non più in conti-
nuazione conserva comunque una sua utilità come fonte irrinunciabile per l'effettuazione
eli ricerche storico-documentarie, sarebbe opportuno parlare di:
• archivi chiusi o definiti, per indicare quelli non più suscettibili di accrescimento, perché
appartenenti a enti o ad amministrazioni non più esistenti;
• archivi aperti o in formazione, per fare invece riferimento a quelli suscettibili di ulte-
riore accrescimento, perché prodotti da enti o individui ancora operanti o viventi; tali
archivi, a loro volta, si distinguono in:
• archivi correnti o registrature correnti, i cui atti risultano frequentemente consultati
nella misura in cui si riferiscano ad affari in corso di trattazione (tali sono, ad esempio,
gli archivi delle prefetture, delle università, gli archivi aziendali che contengono le
pratiche concernenti il personale finché questo rimane in servizio ecc.);
• archivi di deposito o registrature di deposito, i cui atti si riferiscono a pratiche esau-
rite o sospese che, pur non essendo consultate spesso, possono essere comunque
richieste per operare raffronti o ricerche;
• archivi storici o archivi defìnitivi, in cui si raccolgono tutti gli atti che, pur non avendo
più alcun valore amministrativo o burocratico, conservano però un interesse docu-
mentario e vengono consultati soprattutto per motivi di studio.
i~ inoltre possibile differenziare gli archivi anche in base alla loro natura e alle finalità
dell'ufficio produttore: avremo, così, archivi amministrativi, finanziari, politici, notarili,
giudiziari ecc. Un caso a sé è poi costituito dagli archivi ecclesiastici.
A seconda dello stato giuridico dell'ente produttore, si possono poi distinguere:
• archivi prodotti da organi centrali e periferici dello Stato;
• archivi di enti pubblici non statali;
• archivi privati (di famiglie, persone giuridiche, persone fisiche) .
Si tratta di una classificazione essenziale per stabilire anche la natura e la diversa inci -
denza del ruolo svolto dalle autorità statali in merito alla conservazione e alla tutela dei
documenti : lo Stato, infatti, se da un lato si riserva piena competenza sugli archivi statali,
dall'altro ha solo compiti di vigilanza sia sugli archivi degli enti pubblici (i quali devono
provvedere a conservare la propria documentazione anteriore agli ultimi quarant'anni),
sia su quelli privati dichiarati «di notevole interesse storico».
Si ricordi, infine, che la denominazione archivio pubblico può essere usata anche per
indicare un archivio normalmente consultabile (aperto al pubblico, appunto), in con-
trapposizione all'archivio segreto, a sua volta non consultabile.

6. L'organizzazione dei documenti nell'archivio cartaceo


I vari raggruppamenti di documenti in cui si articola un archivio cartaceo prendono il
nome di serie. Ciascuna di esse si compone di un certo numero di fascicoli, ognuno dei
quali è costituito da un insieme di documenti riguardanti una determinata pratica (o
~ - Parte Prima • Archivi e archivistica

affare), conservati per ordine cronologico in una copertina (camicia) . Le serie possono
essere ulteriormente ripartite in sottoserie, anche se, soprattutto negli archivi sorti in
epoca attuale, non è facile definire sia le une che le altre (specialmente per quanto at-
tiene alla documentazione prodotta da organi di vaste proporzioni, come i ministeri, gli
uffici dei maggiori enti pubblici, o i grandi archivi privati), ragion per cui, in questi casi,
si preferisce parlare di archiui complessi, costituiti, cioè, da più archivi.
È lo stesso ente produttore della documentazione a stabilire i criteri che collegano tra loro
i fascicoli facenti parte di una serie, i quali possono riferirsi alle funzioni svolte dall'ente,
alla materia degli affari trattati, come pure alla forma e alla natura dei documenti. In
alcuni casi il nesso di collegamento tra i fascicoli si può ricavare, seppure indirettamen-
te, dal loro oggetto, mentre in altri appare evidente già dalle segnature archivistiche,
espressione con cui si fa riferimento alle numerazioni e alle classificazioni che connotano
le singole unità archivistiche. Asua volta, l'unità archivistica (o pezzo) può corrispondere
al singolo documento, oppure a un insieme di documenti che, sulla base di un nesso di
collegamento organico, vengono raggruppati o rilegati insieme, fino a formare un'unità
indivisibile.
In questi termini dovrebbero costituire unità archivistiche pure i fascicoli, i quali, però,
vengono di norma accorpati, analogamente a quanto accade anche per i documenti
sciolti, in buste (ovvero cartelle o faldoni) oppure in scatole, abitualmente definite
anch'esse «pezzi». Mentre le scatole - costituite da contenitori di cartone, o di tela e
cartone - vengono utilizzate per conservare i documenti disposti in senso orizzontale,
le buste, anch'esse di cartone, si adoperano invece per conservarli con una disposizione
verticale (6). Un ulteriore metodo di conservazione è quello concernente il rotolo, vale
a dire l'unità archivistica costituita da un foglio o da più fogli cuciti gli uni con gli altri,
conservati arrotolati, come spesso accade per le pergamene, o per mappe, piante e disegni
(che a loro volta, a seconda dei casi, si possono conservare anche disposti in orizzontale,
ripiegati o no). Un discorso a parte vale per i sigilli, i quali, se in cera, sono protetti da
una teca, mentre tutto ciò che costituisce «cimelio o rarità» viene conservato in apposite
bacheche da esposizione nel museo dell'archivio.
Ai fini della valutazione della consistenza di un archivio, le buste vengono solitamente
distinte dai volumi e dai registri, sia gli uni che gli altri definiti cartolati se hanno le pagine
numerate. Il volume, in particolare, corrisponde genericamente all'unità archivistica che
si viene a creare dalla rilegatura di più fogli e che appunto per questo si differenzia dai
documenti sciolti (7). Nel caso in cui contenga registrazioni, trascrizioni, o sunti di atti, il
volume assume la denominazione di registro. Fermo restando che in quest'ultimo possono
coesistere anche atti di diversa natura (atti di iscrizione, di trascrizione, di annotazione
ecc.), si può dire che ogni registro corrisponda a una precisa esigenza amministrativa
dell'ente o ufficio produttore e costituisca una diretta testimonianza delle sue attività
giornaliere, ossia degli affari in corso (8).

(6) Per busta s'intende un contenitore formato da un unico pezzo di cartone con due piegature verticali, che
separano le due facciate laterali (piatti) dal dorso (costa). Per fare in modo che la documentazione non fuoriesca
dall'involucro si usano fettucce su uno, due, o tutti e tre i lati del contenitore, mentre le segnature archivistiche
si riportano direttamente sul dorso, oppure su un cartellino attaccato al dorso stesso.
(7) Un gruppo di fogli tenuti insieme, di solito mediante cucitura, viene indicato anche come quaderno.
(8) A tale riguardo si ricordi che, nel linguaggio corrente, in alcuni casi sussiste il termine libro (libro giomale,libro
delle uscite ecc.) per indicare il registro sul quale devono essere annotate quotidianamente determinate operazioni.
Capitolo 2 • Documenti e archivi - slllllr!

Un ulteriore tipo di unità archivistica è infine rappresentato dalla filza, costituita da un


insieme, perlopiù voluminoso, di documenti sciolti, tenuti insieme da due cartoni (o due
tavolette di legno) legati con lo spago (9).
Le unità archivistiche così definite (buste, scatole, rotoli, volumi, registri, filze) vengono
poi contrassegnate col cosiddetto numero di corda, che in pratica corrisponde alla nu-
merazione progressiva a cui si ricorre per collegare tutti i pezzi di un archivio, allo scopo
di semplificare operazioni pratiche come il calcolo della consistenza della documentazio-
ne, la rapida e sicura individuazione dei documenti richiesti in consultazione, l'ordinata
tenuta delle unità di ciascuna serie.
Fermo restando che non bisogna mai perdere di vista la necessità di evitare qualsiasi
tipo di confusione tra pezzi appartenenti a fondi diversi, occorre considerare, nello stesso
tempo, le conseguenze derivanti dall'aggiunta di nuova documentazione in un archivio
già esistente. In effetti ciò non provoca problemi particolari nel caso in cui le serie siano
costituite da registrazioni sistematiche o da atti formali ai quali sia stata assegnata una
numerazione progressiva, mentre per i fondi suscettibili di grossi incrementi si pone,
prima o poi, la necessità di un riordinamento. Poiché questo comporta, in genere, un cam-
biamento nella disposizione, nella collocazione e quindi nella numerazione delle unità, è
consigliabile assegnare sempre a ciascun fondo una propria numerazione, mantenendo
- se ancora funzionale - quella ereditata dall'ente produttore o quella determinatasi
al momento del versamento, laddove l'attribuzione di un nuovo numero di corda appare
Invece indispensabile nel momento in cui, pur essendo ancora disponibile la numerazio-
ne originale, si riscontrino salti di numerazione dovuti allo scarto o alla dispersione di
alcuni documenti. Nel contesto di ciascun fondo dotato di una numerazione autonoma
le singole unità devono essere individuate dal numero di corda e dalla denominazione
del fondo, mentre a fronte dell'assegnazione di una numerazione diversa alle varie serie
del fondo i pezzi verranno identificati anche dalla denominazione della serie.

8.1 l mezzi di corredo


Vengono definiti tali quegli strumenti in cui è compendiata, in forma analitica o som-
maria, la descrizione dei «pezzi» archivistici o dei singoli documenti che costituiscono
un archivio o un fondo archivistico.
In base alla loro natura, si dicono.
• primari, quando si riferiscono agli archivi propri (elenchi, guide, inventari);
• sussidiari, quando si correlano con quelli primari, nella misura in cui forniscono un
sostegno a livello di gestione delle registrazioni effettuate (indici, rubriche, repertori);
• complementari, quando, nonostante si riferiscano agli archivi, sono redatti per assol-
vere a funzioni scientifiche attinenti alla diplomatica e alla paleografia;

(9) La parola fìlzo deriva dall'uso, risalente al periodo medievale, di raggruppare i documenti in arrivo presso
un ufficio <<Ìnfilzandoli» uno sull'altro su un lungo ago, fissato verticalmente su un tavolo. Nel momento in cui
il numero dei fogli diventava molto consistente, oppure quando si riteneva conclusa una pratica o esaurito un
ciclo di documentazione, le carte venivano tolte dall'ago e conservate in maniera tale da teneri e unite, magari
facendo passare attraverso i loro fori un'apposita fettuccia.
l>a notare che il termine fìlza si è diffuso alla stregua di un regionalismo, in quanto si è affermato soprattutto
In un particolare contesto storico-geografico costituito dall'area emiliana, toscana, veneta e genovese. Come
suoi sinonimi si usano: pacco in Piemonte, fascio nell'Italia meridionale e mazzo nelle altre regioni centro·
!lellentrionali.
s1111E - Parte Prima • Archivi e archivistica

• atipici, quando si riferiscono agli archivi apparenti, cioè attengono a scritture prive di
vincolo involontario, come le raccolte (schedari, data base, cataloghi).
l mezzi di corredo si possono venire a creare contemporaneamente alla redazione dei
documenti da parte dell'ente produttore dell'archivio, oppure possono essere compilati
al momento del versamento (a cura dello stesso ufficio che li versa) o successivamente
alla formazione delle carte, in alcuni casi su iniziativa dello stesso ente produttore. Mol-
to più spesso, però, vengono redatti solo dopo che i documenti passano negli istituti di
conservazione (siano essi Archivi di Stato, archivi privati ecc.).
Rimandando ai capitoli successivi per un esame specifico dei mezzi di corredo più diffusi
e significativi in ordine allo svolgimento delle attività archivistiche (inventari, rubriche,
schedari, regesti ecc.), vale la pena riservare un accenno iniziale agli indici e agli elenchi.
La parola indice, spesso adoperata in archivistica come sinonimo di rubrica o repertorio,
è utilizzata nel suo significato effettivo di «elenco alfabetico di nomi di persona, di ente,
di luogo» quando si riferisce agli indici di un inventario. In generale, a seconda dei modi e
della forma in cui è compilato, un indice si definisce alfabetico, analitico, cronologico ecc.
L'elenco, invece, che generalmente concerne un fondo non riordinato, è una lista indicante,
in modo più o meno sommario, i documenti contenuti in ciascuna busta (fino a conside-
rare, se necessario, i fascicoli e i registri), seguendo l'ordine effettivo in cui sono disposti
i singoli pezzi. In quanto tale, costituisce un mezzo di corredo che, oltre a poter contri-
buire fattivamente all'ordinamento di un fondo particolarmente complesso, permette di
effettuare ricerche anche in fondi per niente o solo parzialmente ordinati, o comunque
di limitato interesse. Si può compilare mediante stesura diretta, oppure ricorrendo ad
apposite schede (poi utilizzabili per comporre eventuali indici).
Dovendo comporre un elenco analitico, è opportuno indicare per ciascuna unità:
• le segnature archivistiche originali (nel caso in cui esistano) e il titolo originale del fa-
scicolo (eventualmente sostituito, qualora dovesse mancare, da un nuovo titolo ideato
dall'archivista o da un breve sunto dei contenuti della documentazione);
• un numero di corda progressivo per le buste e uno per i fascicoli;
• eventuali ulteriori informazioni sotto forma di annotazioni (la selezione delle quali è
affidata alle competenze e ai criteri di scelta dell'archivista).
A seconda dei contenuti e delle finalità per le quali viene utilizzato, un elenco può essere:
• di consistenza, quando indica il numero delle unità raggruppate nelle varie serie di un
fondo per fascicolo, per categoria, per anno, per busta, per tipo di registro ecc. Talvolta,
questo tipo di elenco corrisponde a un inventario sommario;
• di deposito, quando enumera i documenti depositati da un privato o da un ente pubblico
presso un Archivio di Stato o un qualunque altro istituto deputato alla conservazione
delle carte. Sottoscritto sia da un rappresentante dell'ente depositante che da uno
dell'ente ricevente, l'elenco di deposito, pur essendo utilizzabile per eseguire ricerche
d'archivio, viene redatto prioritariamente al fine di attestare quali e quanti documenti
passino da un ente a un altro;
• di versamento, quando elenca i documenti che, previa effettuazione delle operazioni
di scarto, vengono versati dall'ufficio produttore all'Archivio di Stato competente per
territorio. Redatto a cura dell'ente che versa le carte e sottoscritto da rappresentanti
degli organi di sorveglianza, questo particolare tipo di elenco può essere utile anche
per svolgere ricerche d'archivio, ma viene compilato, in sostanza, per prendere nota
Capitolo 2 • Documenti e archivi - ~

dei documenti che passano dalla giurisdizione dell'ufficio produttore a quella dell'Ar-
chivio di Stato che riceve la documentazione versata.
In definitiva, si può affermare che la compilazione di un elenco è utile soprattutto per
operare una descrizione delle singole unità archivistiche tale da consentirne la consul-
tazione. Ciò non toglie che, se in un elenco risultano adeguatamente descritti fascicoli e
documenti sciolti, se ne possano ricavare vari indici, funzionali ad un più agevole accesso
n fondi anche non riordinati (a prescindere che l'indice sia cronologico oppure struttu-
rato per luoghi, per enti ecc.). Senza dimenticare, altresì, che quello della compilazione
di elenchi (specialmente se molto dettagliati) per fondi non riordinati rappresenta un
'lt!ltore per il quale sarebbe auspicabile un opportuno utilizzo dei mezzi informatici.

7. Documenti e informatica: l'automazione degli strumenti di ricerca


l.a rilevanza di un documento archivistico può consistere nei tratti distintivi (formali e/o
c·ontenutistici) che ne hanno caratterizzato la preparazione e la stesura, nella natura
t(iuridica dell'atto da esso rappresentato, nell'oggetto particolare che ne costituisce il
c·ontenuto (owero nei riferimenti, immediatamente percepibili o logicamente desumibili,
nel altri oggetti), nonché nell'opportunità di poter risalire all'effettiva articolazione inter-
IHI dell'archivio, attraverso l'individuazione dei legami che contraddistinguono i singoli
wmponenti dell'intera documentazione prodotta o acquisita da un ente.
l'otenti e straordinarie innovazioni nella redazione dei documenti, nei linguaggi adoperati
Jll!r crearli , come pure nei sistemi e nei criteri utilizzati per rappresentarli graficamente
11ono state introdotte dal ricorso all'informatica, oramai affermatasi pienamente come
!llrumento irrinunciabile per procedere alla registrazione, conservazione ed eventuale
duplicazione di enormi quantità di dati suscettibili o bisognosi di sistematici e puntuali
aggiornamenti, quale esigenza specifica dei settori amministrativi operanti sia nel com-
parto pubblico che in quello privato.
In virtù delle trasformazioni subite dagli archivi tradizionali, owero imperniati esclu-
!livamente o prioritariamente su supporti cartacei, anche la ricerca d'archivio deve ora
c:onfrontarsi con un diverso modo di leggere e interpretare i dati forniti per l'effettuazio-
ne della ricerca stessa. Infatti, al concetto di «Sequenzialità dei dati» tipico delle serie
archivistiche tradizionali, che permetteva ai ricercatori di consultare in piena libertà
l"intera documentazione disponibile, si viene a sostituire la nuova realtà dell'archivio
ricalibrato sulla base dell'elaborazione elettronica, in cui subentra una «pluralità dei
dati» variamente organizzabili e aggregabili a seconda degli scopi di chi li raccoglie e ne
predispone gli strumenti di ricerca.
Ila qui, evidentemente, una nuova e ampliata responsabilità degli archivisti, in qualità
di principali soggetti deputati, proprio attraverso l'opera di mediazione svolta con il loro
ruolo professionale, a incidere in misura preponderante sulla selezione delle informazio-
ni da introdurre nelle tecnologie computerizzate e sulla predisposizione dei programmi
mediante i quali i ricercatori avranno poi modo di interrogare il sistema informativo,
all'interno del quale ciascun dato acquista una propria valenza e un adeguato significato
nella misura in cui può essere messo in relazione con altri dati.
L'automazione delle chiavi di ricerca normalmente adoperate negli archivi tradizionali
implica, dunque, nuove problematiche per la professionalità archivistica, le quali, a
prescindere dai risvolti giuridico-normativi dettati dall'awento dei documenti elettro-
s1liiiiE - Parte Prima • Archivi e archivistica

nici, possono essere riferite direttamente alla «quotidianità» del lavoro che si rende
indispensabile per predisporre e attivare il sistema di comunicazione dei dati (ossi
delle informazioni) attinenti all'archivio. Tale questione concerne non tanto le modali tà
operative che presiedono alla risistemazione di serie e fondi archivistici, dal momen to
che le problematiche legate al riordinamento dei documenti, essendo di natura soprat-
tutto concettuale, sottendono evidentemente processi logici e mentali che rimangono
sostanzialmente invariati sia in caso di schedature manuali, sia in caso di schedatur
basate su supporti informatizzati. Il problema, semmai, attiene concretamente ali
redazione degli strumenti di ricerca e ai criteri con cui vengono trattate e gestite le
fonti documentarie.
Come fanno notare P. Carucci e M. Guercio, da ciò deriva, per ciascun archivio interessa to
ad automatizzare l'accesso ai propri documenti, l'obbligo di «fornire sempre il quadro
generale delle fonti conservate e l'indicazione chiara e puntuale di ogni fondo, della sua
consistenza, delle date estreme, della presenza o meno di strumenti di ricerca parziali
o generali, analitici o sintetici», in quanto procedere alla descrizione minuziosa di un
determinato insieme di documenti archivistici può tradursi in un atto significativo sol o
a patto che risulti evidente «il rapporto tra quella situazione particolare e il compi s o
delle fonti cui appartiene» (Manuale di archivistica, 2008).
Le stesse autrici evidenziano, altresì, che nel momento in cui si crea un «sistema info r-
mativo», ovvero una determinata chiave di ricerca automatizzata, si costituisce un do-
cumento elettronico, sulla cui durata temporale non è possibile avere assolute cert zze:
«Oggi possiamo usare ai fini della ricerca repertori risalenti a vari secoli fa; quanto a lungo
potremo usare i nostri sistemi informativi?». Ecco perché, a fronte dei rischi co nn s i
allo spostamento delle informazioni su nuove piattaforme, con particolare riferimen to
alle lacune e alle discrepanze che si potrebbero venire a creare tra una versione e l'al tr
dei medesimi dati, pare opportuno il ricorso a «linguaggi di marcatura» (IO) che, su l!

(IO) Il termine «marcatura» (dall'inglese markup) proviene dall'ambito tipografico, contesto in cui sussisteva
l'abitudine di «marcare» con apposite annotazioni le sezioni del testo che dovevano essere corrette o vide n-
ziate, così da poterle opportunamente segnalare al fotocompositore o al dattilografo. La tecnica compositiva
basata sull'utilizzo di marcatori (da intendersi come espressioni codificate) implica il ricorso ad un « linguaggio
a marcatori di documenti» (linguaggio di markup) che usa elementi convenzionali per realizzare la d cri zio n
dei meccanismi rappresentativi di un testo, i quali, siano essi strutturali, semantici o presentazionali, adope ran o
convenzioni standardizzate, in modo da poter essere utilizzati su più supporti.
l diversi linguaggi di markup si suddividono in due gruppi, che si differenziano per la tecnica adoperata in
funzione della rappresentazione del testo, con particolare riferimento alla sua struttura, al significato degli
elementi che lo compongono e alla visualizzazione (o formattazione) :
a) linguaggi di markup di tipo procedurale, i quali, nell'indicare le «procedure>> di trattamento del testo, for-
niscono le istruzioni da seguire per poter visualizzare la porzione di testo referenziata (troff, Te X ecc.);
b) linguaggi di markup di tipo descrittivo, nei quali la scelta del tipo di rappresentazione da applicare al L sto
viene invece lasciata, di volta in volta, al software destinato a riprodurlo (SGML, HTML, XML ecc.). Sono
certamente i linguaggi più convenienti, poiché assicurano un'equilibrata ripartizione tra struttura e vi-
sualizzazione (o presentazione, non necessariamente visiva, come avviene, ad esempio, nel caso di que ll
parlate), concentrandosi sui fattori strutturali di leggibilità e prescindendo, al momento della lettura, d l
software che li ha generati. li primo di questi linguaggi ad essere standardizzato a livello internazionale (ISO
8879 del1986) fu l'SGML (Standard Generalized Markup Language), con cui vennero definiti i metodi di ra p-
presentazione di un testo in forma elettronica in modalità autonoma dall'hardware e dal sistema utili zza to.
Imperniato sul concetto di DTD (Document Type Defìnition, «definizione del tipo di documento>>),l'SGML in
pratica richiede di definire, per ciascun documento, in che modo si possono adoperare i vari elementi d l
testo.
Capitolo 2 • Documenti e archivi - sBE

ha se delle conoscenze attuali, da una parte permettono di recuperare i dati «Secondo la


loro struttura logica originaria», dall'altra, per loro stessa natura, «non dipendono dalle
specifiche piattaforme e soluzioni applicative».
l'ili in generale, occorrerebbe porsi in una nuova prospettiva a carattere sia teorico che
pratico, orientata a configurare, sulla scorta di soluzioni innovative per ciò che riguarda
l'accostamento alla ricerca, «la progettazione delle modalità di rileuazione e comuni-
I.'IIZione delle informazioni», ma senza nulla togliere ai «criteri metodologici di ordina-
mento e inuentariazione» e ai «criteri filologici» maturati e affermatisi nella tradizione
archivistica.
O CAPITOLO 3
L'archivistica - -- - - - - -- -- · - -- - - -

SOMMARIO
1. Definizione e classificazioni. - 2. Le origini dell'archivistica: Cinquecento e Seicento. - 3. L'archi-
vistica nelretà dell'Illuminismo. - 4. L'affermazione del metodo storico. - S. La scienza archivistica.

1. Definizione e classificazioni

L'archivistica è la scienza che si occupa degli archivi, studiandone l'origine, la formazione


e la relativa regolamentazione giuridica.
Più in particolare, si parla di:
• archivistica elementare, quando oggetto di studio sono le nozioni di base di tale ma-
teria;
• archivistica tecnica, quando si trattano i vari metodi di classificazione, ordinamento,
conservazione e riproduzione degli atti;
• archivistica superiore, quando vengono studiati i metodi di ricerca storica su docu-
menti d'archivio e i nuovi ordinamenti legislativi.
La distinzione più classica, però, è quella operata da Casanova, per il quale l'archivistica
si può suddividere in tre branche, corrispondenti ad altrettanti settori d'interesse:
l. archivistica pura (o teorica), che si occupa di tutto quanto concerne la formazione,
l'ordinamento, l'inventariazione, la conservazione e lo studio dei documenti che co-
stituiscono gli archivi;
2. archiveconomia (o archivistica pratica), che s'interessa dell'organizzazione fisica degli
archivi, quindi della sistemazione del materiale archivistico, della disposizione interna
e dell'arredamento dei locali e di tutte le tecnologie archivistiche in genere;
3. legislazione archivistica, che, oltre a disciplinare l'aspetto giuridico della conservazione
e il controllo dei fondi archivistici, detta, più in generale, tutte le norme che regolano
la vita degli archivi .

2. Le origini dell'archivistica: Cinquecento e Seicento


L'archivistica può essere definita una scienza:
• giuridica, in quanto la maggior parte degli archivi, sin dall'origine, ha valore giuridico,
poiché nasce e si conserva in base a precise regole giuridiche;
• storica, poiché gli archivi possono costituire la fonte primaria per lo studio e la rico-
struzione della vita di un popolo, di una comunità, o di singoli individui.
Non a caso, proprio per queste sue caratteristiche, l'archivistica si collega per via inter-
disciplinare anche con la storia del diritto e con le scienze ausiliarie della storia.
Come disciplina scientifica, essa nasce ufficialmente in Europa nella seconda metà del
Settecento (ma in Italia, ad esempio, le sue radici sono molto più profonde: già i roma-
Capitolo 3 • L'archivistica - s1llllll

ni, infatti, erano sensibilmente interessati alle questioni concernenti l'autenticità e la


consultabilità dei documenti). Fu poi in epoca medievale che vennero elaborati i primi
principi sull'organizzazione e l'ordinamento dei documenti d'archivio.
Per ciò che riguarda i periodi successivi, invece, risale al1571la pubblicazione dell'opera
di Jacob von Rammingen relativa alla registrazione dei documenti del principe di Hei-
delberg, opera che si rivelò particolarmente proficua per la loro conservazione, oltre che
per i significativi legami di quelle carte con la gestione della tesoreria e della cancelleria
del principato. Quindici anni dopo, dunque nel 1586, furono editi a Mantova gli usi e le
consuetudini dei monasteri benedettini ad opera di don Angelo Pietra (poi morto a Mon-
tecassino nel1590), la cui opera si trasformò in un prontuario ufficiale di conservazione
dei documenti in uso presso tutti i monasteri.
Nel Seicento comparvero poi i primi trattati dedicati in modo specifico agli archivi. Il
cremonese Baldassarre Bonifacio, ad esempio, pubblicò nel1632 a Venezia il De archiuiis
liber singularis, opera in cui si sottolineava la necessità della conservazione per finalità
sia giuridiche che culturali e veniva postulato un ordinamento dei documenti secondo un
criterio geografico e «per materia». Nel1636, invece, Albertino Barisone, dopo un lavoro
durato oltre quindici anni, presentò, con il suo De archiuiis antiquorum, una storia degli
archivi nell'antica Roma, mentre nel1684 Niccolò Giussani pubblicò a Milano il Methodus
archiuorum, seu modus eadem texendi ac disponendi, con cui fornì una serie di regole
per la disposizione materiale delle scritture nel locale dell'archivio, prescrivendo una
disposizione per corpo, classi e serie.
Ulteriori contributi allo sviluppo degli studi archivistici pervennero specificamente
dall'ambito religioso, grazie soprattutto all'impegno dei seguenti autori: Cesare Baro n io,
che pubblicò a Roma, fra il1588 e il1605, i dodici volumi degli Annales ecclesiastici; Giovanni
llolland e Goffredo Henskens, entrambi gesuiti, che nel1643 iniziarono a editare gli Acta
sunctorum, ordinati secondo il calendario; Ferdinando Ughelli, dell'ordine dei cistercensi,
che presentò a Roma, fra il1643 e il1662, l'opera Dell'Italia sacra, in nove volumi; il gesuita
Philippe Labbe, i cui Sacrosanta concilia, in diciotto volumi, furono invece pubblicati a
Parigi, dopo la sua morte, fra il1671-1672, arricchiti dalle integrazioni di G. Cossart; Jean
Mabillon, benedettino, al quale si deve l'opera, ritenuta fondamentale, dal titolo De re
diplomatica, in sei libri, edita a Parigi nel1681; senza dimenticare, altresì, i benedettini
della congregazione di San Mauro («Maurini») del monastero di St. Germain des Pres di
Parigi, meritevoli di essere ricordati non solo per le edizioni degli scritti dei Padri della
Chiesa, sia latini che greci, a cui essi lavorarono durante il Seicento, ma anche per i viaggi
compiuti in diverse biblioteche italiane, francesi, tedesche e belghe, che portarono al
rinvenimento di numerose fonti .

3. L'archivistica nell'età dell'Illuminismo


Nel XVIII secolo, in seguito alle riforme che l'assolutismo illuminato introdusse in campo
amministrativo, l'archivistica si trovò a dover fronteggiare il problema dell'ordinamento
da dare ai fondi e alle serie di documenti che, da sempre conservati presso ciascun ufficio
produttore, venivano ora concentrati nei «grandi archivi», istituti creati appositamente
per raggruppare fondi archivistici provenienti da uffici diversi. Il dibattito che si accese
sull'opportunità di mantenere o ricostruire l'ordine che i documenti avevano ricevuto in
origine portò all'elaborazione di due teorie di ordinamento, illustrate in alcuni scritti re-
.. - Parte Prima • Archivi e archivistica

datti per lo più in Francia e in Germania: il metodo «per materia», sostenuto soprattutto
da Le Moine, e quello «cronologico» di Chevrières.
Fu nell765 che il francese Pierre-Camille Le Moine pubblicò il suo Diplomatique pratique,
ou traité de l'arrangement des archiues et trésors des chartes, in cui proponeva che il ri-
ordinamento dei documenti venisse fatto per sezioni, a seconda di chi aveva prodotto gli
atti, attribuendo all'archivista il compito di riassumerne il contenuto e trascriverlo in un
inventario, per poi procedere alla compilazione di appositi elenchi, in ordine alfabetico,
delle materie trascritte.
A sua volta J. G. de Chevrières, nel suo Le nouuel archiviste, edito nell775, sosteneva in-
vece il metodo cronologico, proponendo appunto che il riordinamento delle carte venisse
fatto nel pieno rispetto della loro rigorosa successione temporale.
Nato soprattutto per rispondere a esigenze di natura giuridico-amministrativa, l'ordina-
mento «per materia» prevalse negli archivi italiani fino alla prima metà dell'Ottocento,
anche perché sembrava rispondere meglio alla mentalità razionalistica e classificatoria
dell'epoca. Interi complessi documentari furono totalmente scompaginati e la varietà
tipologica venne ingabbiata in una rigida nomenclatura di classi e sottoclassi, categorie
e sottocategorie. l documenti considerati poco utili al potere venivano scartati e quasi
sempre distrutti, mentre molte pergamene antiche, appartenute a corporazioni religiose,
uffici statali, Comuni e privati, vennero stralciate dai fondi di appartenenza per formare
i vari archivi diplomatici.

3.1 L'Archivio governativo di Milano


Quasi tutti gli archivi italiani adottarono il metodo di ordinamento «per materia», la cui
espressione più alta venne realizzata nell'Archivio governativo di Milano. Istituito nel
1781 dall'imperatore austriaco Giuseppe Il con la funzione di archivio generale dell'Am-
ministrazione asburgica in territorio lombardo, l'istituto mirò ad accorpare in un unico
archivio di deposito, la cui sede venne individuata nell'ex casa gesuitica in San Fedele,
tutti i fondi delle magistrature passate e presenti.
Fino a quel momento i documenti governativi erano stati conservati nell'Archivio del
Castello di porta Giovia (meglio noto, nel periodo asburgico, come «Regio duca) archi-
vio»), in cui erano confluite, e venivano tenute distinte, le carte degli archivi risalenti
all'epoca dei Visconti e degli Sforza, nonché quelle prodotte dalle cancellerie spagnole e
austriache, dal Consiglio segreto, dalle Giunte interinali e provvisorie di governo, senza
dimenticare i registri degli statuti. Fu poi il responsabile della loro conservazione, Ilario
Corte, a sollecitarne lo spostamento nella suddetta ex canonica di San Fedele, individua-
ta come sede più idonea del Castello a fronte dei rischi di dispersione e distruzione che
potevano correre quei documenti .
Diverse erano state le vicende relative alla collocazione degli atti concernenti l'ammi-
nistrazione delle rendite dei sovrani e dello Stato di Milano che erano stati prodotti, fin
dal secolo XV, dal Magistrato ordinario e da quello straordinario, dal nuovo Magistrato
camerale, dalle Giunte per le riforme e del censo, dal Supremo consiglio di economia,
nonché dal Senato camerale e dalla Camera dei conti: tali atti formavano, infatti, l'Ar-
chivio camerale, custodito nella cosiddetta «Casa del Ducato». Nel1765 il responsabile
di quell'istituto, Gaetano Pescarenico, ricevette dall'imperatrice Maria Teresa l'ordine di
procedere a un riordinamento per materia degli archivi dei soppressi Magistrati ordinario
e straordinario, ma vi si oppose, propendendo per una risistemazione di tipo cronologico.
Capitolo 3 • L'archivistica - s1BI;

Il governo di Vienna, a sua volta, rigettò quella proposta, disponendo, nel1767, la fusione
dei due archivi e l'utilizzo di un metodo di ordinamento per classi, dopodiché il3 novem-
bre dell'anno successivo il principe di Kaunitz (Cancelliere di Stato e Ministro degli affari
esteri dell'impero austriaco dal1753 al1792) inviò a Milano, quale modello da seguire per la
classificazione dell'Archivio camerale, il tito lario dell'Archivio del Dipartimento d'Italia a
Vienna. Alla fine Pescarenico dovette adeguarsi al criterio dell'ordinamento per materia,
formulando, nel1770, un piano di classificazione in sedici classi, ma continuò a non ac-
cettare l'accorpamento di tutti i documenti camerali in un unico complesso archivistico.
Otto anni dopo, nel1778, Kaunitz dispose che l'Archivio del Magistrato camerale venisse
trasferito nell'ex collegio gesuitico di San Fedele e ne affidò la responsabilità a Bartolomeo
Sambrunico, il quale, accettando di buon grado le disposizioni delle autorità asburgiche,
conferì un forte impulso all'ordinamento per materia.
l documenti camerali, dunque, furono trasportati progressivamente nell'archivio ubicato
in San Fedele, lo stesso nel quale affluirono, nel1781, anche le carte dell'Amministrazione
corrente, in funzione di un graduale ma ormai irreversibile accorpamento complessivo
di tutti gli archivi in un unico fondo documentario (quello degli Atti di governo) capace
di riunire gli atti del passato e quelli del presente, prestando attenzione soprattutto al
contenuto delle carte piuttosto che agli uffici che le avevano create. Un fondo che, in
sostanza, era assai più rispondente alla precisa volontà della burocrazia austriaca di
garantirsi una consultazione rapida ed esatta di documenti che erano stati prodotti in
contesti amministrativi e istituzionali sensibilmente diversi fra loro.
Primo direttore dell'Archivio governativo fu Ilario Corte (1781-1786), al quale toccò dare
awio alla difficile e impegnativa opera di smembramento e riordinamento degli Atti di
governo, poi proseguita tenacemente dal già citato Bartolomeo Sambrunico (1786-1796,
1799-1800, 1814-1818) e, soprattutto, da Luca Peroni (1796-1799, 1818-1832), il quale, come
ha sottolineato Lodolini in Lineamenti di storia dell'archivistica , portò alle «estreme
conseguenze» l'applicazione del sistema di classificazione basato sull'ordinamento per
materia. Non a caso, proprio da lui prese il nome il cosiddetto «sistema peroniano» che,
basandosi su un diverso tipo di articolazione organica dei documenti, badava non tanto
a stabilire una gerarchia fra le classi, quanto ad accrescere il numero e l'eterogeneità
delle classi dominanti.
Luigi Bossi (1800-1814), Giuseppe Viglezzi (1832-1851), Luigi Osio (1851-1873) furono gli altri
direttori che, fino alla fine dell'Ottocento, si alternarono alla guida dell'Archivio governati-
vo, all'interno del quale gran parte della documentazione delle magistrature ducali affluì
nella Parte antica (Quattrocento-Settecento), mentre quella ottocentesca fu raggruppata
nella Parte moderna (dal periodo napoleonico alla fine del Regno lombardo-veneto).

4. L'affermazione del metodo storico


Elaborazioni dottrinarie sulla validità dell'ordinamento per materia continuarono ad es-
sere sostenute anche dopo l'unità d'Italia, così come il metodo rimase applicato ancora a
lungo in molti archivi, ma già verso la metà dell'Ottocento si affermarono e si radicarono
quei principi di ordinamento destinati a un'ulteriore e più ampia diffusione negli anni
successivi. La forte opposizione all'ordinamento per materia portò, infatti, alla formula-
zione di due teorie molto simili tra loro.
.. - Parte Prima • Archivi e archivistica

La prima, nota in Francia come «respect des fonds», prescriveva di non mescolare tra
loro documenti appartenenti a fondi diversi, pur ammettendo il ricorso a un ordinamento
per materia all'interno delle singole serie.
La seconda, incentrata sulla predilezione per il metodo storico di ordinamento, proponeva
invece di riordinare l'archivio non solo rispettandone il fondo, ma anche ricostruendo
l'organizzazione originaria data alle carte dall'ufficio produttore, rispecchiando altresì il
cosiddetto principio di prouenienza, in base al quale un archivio deve sempre conservarsi
quale venne costituito dall'ufficio produttore, per cui non può essere smembrato neanche
se, ad esempio, una parte dei documenti in esso contenuti dovesse riguardare territori che
nel corso del tempo siano entrati a far parte di una circoscrizione amministrativa diversa
o siano stati ceduti a un altro Stato. Analogamente, nel caso in cui la documentazione
dovesse essere stata asportata (anche solo parzialmente) per un motivo qualsiasi dalla
sua collocazione originaria, la si dovrebbe riportare all'ente produttore (l).
Denominato «storico» perché aveva il suo fondamento e la sua principale fonte d'ispi-
razione nella storia, questo principio, portato in auge da Francesco Bonaini e dalla sua
scuola toscana, restituiva importanza alle istituzioni e apriva gli archivi a consultazioni
sempre più ampie per studi e ricerche di carattere scientifico. Il principio di ordinamento
sostenuto da Bonaini fu sostanzialmente accolto nel1870 dalla Commissione Cibrario, per
poi essere sancito anche a livello legislativo dal R. D. 27 maggio 1875, n. 2552, trovando poi
un'ampia riconferma nella normativa successiva.
Altra voce degna di menzione fra coloro che si dichiararono favorevoli al metodo
storico fu quella di un insigne allievo di Bonaini, il professor Carlo Malagola, prota-
gonista di un'intensa attività scientifica di edizione di fonti, di stretti rapporti con
l'Università di Bologna (dove, nell888, ricoprì anche la prima cattedra di Paleografia
e Diplomatica presso la facoltà di giurisprudenza) e con il mondo scientifico inter-
nazionale, con particolare riferimento a quello tedesco. Nella relazione avente per
argomento L'Archivio di Stato di Bologna dal 1887 a tutto il 1892, da lui elaborata in
qualità di direttore di quell'istituto, ebbe modo di scrivere, fra l'altro, che un archivio
non deve essere inteso come un semplice accorpamento di numerose serie di carte,
ognuna a sé stante, ma deve configurarsi piuttosto come «un tutto organico» atto a
riprodurre, nell'ordinamento stesso delle serie, «quello della completa amministra·
zione governativa antica e moderna di un dato luogo, e diviso, come naturalmente fu
quella, a periodi di tempo; e rispondere in ciascuno alle magistrature ed agli u(Jici che
in esso si delinearono, ed in questi ritrarre, colle varie serie, le varie attribuzioni pro-
prie di ciascun u(Jizio», sostenendo nel contempo che l'organizzazione di un archivio
dovrebbe sempre corrispondere «ai concetti della storia ed a quelli della politica ed
amministrativa costituzione del luogo».

(l) Al principio di prouenierua, che produce, evidentemente, immediate ripercussioni sugli archivi delle aree
di confine e su quelli di Stati che, per ragion i dinastiche o in seguito a trattati diplomatici, abbiano acquisito o
perduto determinati territori, si contrappone, a sua volta, il cosiddetto principio della territorialità (o dell'appor·
tenenza), in base al quale, nel momento in cui dovessero verificarsi cambiamenti delle circoscrizioni territoriali,
anche i relativi archivi dovrebbero essere smembrati, per fare in modo che i singoli documenti possano essere
ricondotti nel territorio al quale effettivamente si riferiscono.
Capitolo 3 • L'archivistica - s1IIE

5. La scienza archivistica
Sul finire dell'Ottocento i tempi erano ormai maturi per una definizione scientifica dell'ar-
chivistica, la quale, oltre a continuare il proprio cammino negli archivi e nelle scuole
archivistiche ad essi annesse, iniziò ad affacciarsi pure nel mondo universitario.
Agli inizi del XX secolo, con l'opera intitolata Ordinamento e inventario degli archivi (To-
rino, UTET, 1908), corrispondente alla traduzione libera con note che Giuseppe Bonelli e
l:iovanni Vitta n i avevano fatto del famoso «manuale olandese» composto tra il1898 e il
l!l05 da S. Muller, J.A. Feith e R. Fruin (direttori, rispettivamente, degli archivi di Utrecht,
l:roningen e Middelburg), gli archivisti italiani ebbero a disposizione, per la prima volta,
un valido testo a cui potersi riferire per trovare codificati quegli stessi principi archivistici
che, pur essendo già noti in Italia da almeno trent'anni, erano tuttavia rimasti per gran
parte disattesi (ad esempio, nel manuale veniva spiegato chiaramente che «nell'ordinare
un archivio si deve soltanto in secondo ordine badare agli interessi delle ricerche storiche»,
sulle quali quelle archivistiche «hanno la precedenza»).
Ili rilievo, altresì, anche gli spunti forniti dall'«Annuario» di Luigi Fumi, la prima rivista
a interessarsi di archivistica, grazie alla quale gli addetti ai lavori furono ulteriormente
facilitati nel dibattere le più importanti questioni in materia.
l progressi più vistosi, però, si registrarono con le opere di Eugenio Casanova, la figura
dominante dell'archivistica italiana nella prima metà del XX secolo. Rappresentante uffi-
ciale degli archivi di casa nostra al Congresso internazionale degli archivisti e bibliotecari
svoltosi a Bruxelles nel1910, egli fondò la prima rivista italiana di archivistica a carattere
nazionale («Gli archivi italiani»), promosse la costituzione di un'associazione nazionale di
archivisti, introdusse l'archivistica nell'insegnamento universitario e pubblicò, nel1928, un
trattato di Archivistica nel quale approfondì esaustivamente tutti i settori della disciplina,
tanto che quest'opera è ancora oggi considerata tra le più vaste e complete in materia.
Fra gli altri nomi che hanno reso illustre l'archivistica italiana è doveroso ricordare an-
che quello di Giorgio Cencetti, specie per la sua nota teoria, in materia di ordinamento,
del rispetto della «necessarietà», ovvero del vincolo che lega tra loro i documenti di un
archivio fin dal momento della nascita. Nato nel1908 e morto nell970 a Roma, Cencetti,
dopo aver lavorato presso l'Archivio di Stato di Bologna, nel 1939 tenne la cattedra di
l'aleografia e Diplomatica presso l'ateneo della città felsinea, dopodiché, a partire dal
1966, fu preside della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell'Università di Roma.
Tutti questi personaggi e gli studi da essi compiuti con tanta passione, sebbene in parte
superati dall'evolversi della legislazione e dalla modernizzazione di molti settori di questa
materia, costituiscono altrettante pietre miliari dell'archivistica italiana.
Vol. 91 Manuale di Archivistica SJm.!

O CAPITOL04
Gli archivisti
SOMMARIO
1. La figura dell'archivista fra tradizione e innovazione. - 2. La formazione professionale. - 3. Le
funzioni degli archivisti. - 4. Il Codice internazionale di deontologia degli archivisti.

1. La figura dell'archivista fra tradizione e innovazione


Generalmente la figura dell 'archivista viene associata a quella di mediatore di sapere
e conservatore di memoria storica. Custode delle tradizioni tramandate dal passato
e artefice, attraverso gli interventi selettivi operati sulla congerie del materiale docu-
mentario, di quelle che si formano nel presente, l'archivista ha il compito di rendere
questa tradizione accessibile a un pubblico che, sempre più numeroso, si affaccia nel
mondo degli archivi.
Naturalmente, l'innovazione e la razionalizzazione che le moderne tecnologie stanno
apportando anche in questo settore spingono l'archivista a nutrire timori per la propria
immagine professionale, che proprio in questi ultimi anni è al centro di una continua
evoluzione. Infatti , se da una parte la responsabilità verso la tradizione ha sempre an-
corato l'archivista a metodi di lavoro tradizionali, dall'altra l'evoluzione della disciplina
verso settori documentari che non erano previsti nel canone classico della formazione
archivistica (come quelli audiovisivi o automatizzati) ha determinato un ampliamento
delle sue funzioni e imposto un adeguamento della formazione professionale alle nuove
esigenze. Di certo le competenze tradizionali restano fondamentali , ma è doveroso as-
similare anche i metodi di conservazione e formazione dei documenti informatici e, più
in generale, di tutti i documenti affidati a supporti non cartacei.
Il rischio maggiore è quello di ottenere una formazione professionale superficiale, poiché,
sebbene sia inevitabile un certo eclettismo nella professione di archivista, sarebbe im-
possibile occuparsi con la stessa professionalità di documenti medievali come di personal
computer. Per questo motivo, ormai da tempo si discute sull'opportunità di prevedere
profili professionali specializzati: accanto agli archivisti che si occupano di documenti
antichi, la cui formazione comporta la conoscenza di lingue morte, e a quelli che si in-
teressano di Jocumenti moderni e contemporanei, un'ulteriore specializzazione è stata
prevista anche per gli archivisti informatici, con risvolti positivi facilmente intuibili sia
per la programmazione dei sistemi computerizzati che per la definizione dei caratteri
formali dei documenti informatici.

2. La formazione professionale
L'iter formativo degli archivisti che operano in Italia, affidato alle scuole di archivistica,
ai corsi gestiti dalle amministrazioni archivistiche e alle università, prevede una prepa-
razione di base a contenuto prevalentemente storico -giuridico e una, più specialistica,
Capitolo 4 • Gli archivisti - SlalmE

Imperniata soprattutto sull'archivistica e su quelle che ne costituiscono le scienze ausi-


liarie. Di queste ultime, alcune si possono considerare specifiche, nel senso che la loro
•~sistenza è sostanzialmente legata ai collegamenti che hanno con l'archivistica.
rra le più rilevanti, vale la pena segnalare:
• la diplomatica, che studia le varie parti in cui è strutturato un documento;
• la sigillografia, detta anticamente sfragistica, la quale studia i sigilli che venivano
apposti sui documenti antichi per la convalida;
• l'araldica, intesa come lo studio degli stemmi distintivi di famiglie gentilizie, congreghe
religiose, comunità e gruppi politici;
• la paleografia, cioè lo studio delle scritture antiche;
• la cronologia, che studia i sistemi di datazione in uso nelle varie epoche e nei vari paesi.
lìiù l'art. 58 del R.D. 2 ottobre 1911, n. 1163, aveva stabilito che presso gli Archivi di Stato
dt~signati dal Ministero dell'interno venissero aperte scuole di paleografia e dottrina
archivistica. Successivamente l'art. 14 del D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, sancì l'isti-
tuzione, presso diciassette Archivi di Stato (quelli di Torino, Milano, Mantova, Venezia,
Uolzano, Trieste, Genova, Parma, Modena, Bologna, Firenze, Perugia, Roma, Napoli, Bari,
Palermo, Cagliari), di altrettante scuole di archivistica, paleografia e diplomatica, intese
come strutture didattiche di specializzazione di grado universitario, statali, gratuite e
pubbliche (non riservate, cioè, al solo personale dell'Amministrazione), abilitate appunto
al rilascio del diploma di archivistica, paleografia e diplomatica.
Anche la Chiesa ha prescritto l'insegnamento dell'archivistica nei corsi di teologia di tutti
i maggiori seminari d'Italia, mentre il Consiglio internazionale degli archivi ha costituito
un Comitato per la formazione professionale degli archivisti, che fin dal1992 si è trasfor-
mato in «Sezione» permanente.
Per svolgere la professione di archivisti presso enti pubblici è richiesto almeno il diploma
conseguito presso una scuola di archivistica, paleografia e diplomatica (unico percorso
formativo disponibile prima che venissero istituiti i corsi di laurea a cui si può accedere
con un diploma di scuola superiore). Oggi, però, nei concorsi pubblici viene richiesto
sempre più spesso il titolo di laurea magistrale in Beni archivistici e librari, Conserva-
zione di beni artistici e culturali, o un titolo di laurea equipollente. Esistono, altresì, corsi
di specializzazione e perfezionamento per indirizzi specifici (ad esempio, per archivisti
flaleologi, per lo studio della scrittura antica).

3. Le funzioni degli archivisti


Il personale archivistico che opera in Italia è organizzato secondo la seguente articola-
zione strutturale:
• negli archivi di grandi dimensioni e in quelli che operano a livello nazionale esiste
uno staff di personale archivistico ordinato sulla base di una gerarchia che prevede:
• archivisti a livello di personale scientifico, con formazione universitaria;
• archivisti con diploma di scuola superiore;
• impiegati di quadro esecutivo;
• personale addetto al servizio nei depositi;
• uno staff di personale tecnico;
• uno staff di personale amministrativo;
SIIIM~ - Parte Prima • Archivi e archivistica

• negli archivi di piccole e medie dimensioni, sia pubblici che privati, le funzioni archi-
vistiche, tecniche e amministrative vengono svolte, in molti casi, da personale non
inquadrato in strutture chiaramente articolate;
• gli archivisti che operano negli archivi correnti dell'amministrazione statale, invece,
non hanno, il più delle volte, una configurazione professionale esplicitamente definita.
Il lavoro di competenza degli archivisti prevede le seguenti attività:
a) ordinamento ed elaborazione degli strumenti di ricerca, corrispondente a una delle
funzioni più importanti e qualificanti del lavoro di archivista;
b) conservazione dei documenti, che comporta la conoscenza dell'archiveconomia, delle
tecniche di restauro e di quelle di riproduzione. Tale funzione è generalmente espletata
da personale tecnico con competenze specifiche;
c) confronto con l'utenza, che implica tanto l'instaurazione di rapporti diretti con privati
cittadini, studiosi, uffici pubblici e istituti privati, quanto l'effettuazione di ricerche per
corrispondenza o con l'ausilio di sistemi multimediali;
d) rapporti con l'amministrazione attiva, che, se non proprio nella fase di formazione degli
archivi correnti, si concretizzano in quella della selezione. Implicano la conoscenza
dell'ordinamento amministrativo, dell'iter burocratico delle pratiche e delle tecniche
di classificazione in uso presso i singoli uffici;
e) didattica e attività promozionali, miranti a far conoscere le fonti documentarie a un
pubblico specializzato e non.

4. Il Codice internazionale di deontologia degli archivisti


Un valido punto di riferimento per tutti gli operatori del settore è costituito dal Codice
internazionale di deontologia degli archivisti, approvato il 6 settembre 1996 a Pechino
dall'assemblea generale del Consiglio internazionale degli archivi, la maggiore organiz-
zazione archivistica a livello mondiale. Il documento, la cui rilevanza appare abbastanza
significativa in ordine alla comprensione dello spirito, della mentalità e dell'etica con
cui dovrebbero essere svolte le mansioni archivistiche, viene di seguito proposto, in
versione completa, nella traduzione italiana di Marco Carassi, tratta dal sito liberamente
consultabile dell'ANAl.

11 Prefazione
f. A. Un codice di deontologia degli archivisti ha lo scopo di fornire alla professione regole di
~, condotta di alto livello. Dovrebbe inoltre sensibilizzare al rispetto di tali regole i nuovi
i membri della professione, ricordare agli archivisti più esperti le loro responsabilità pro-
~ fessionali ed ispirare al pubblico fiducia nella professione.
1j B. Il termine «archivista», nel senso utilizzato in questo testo, si applica a tutti coloro la cui
f responsabilità è di controllare, prendere in gestione, trattare, conservare, restaurare e
~ amministrare gli archivi .

l
~ C. Gli organismi datori di lavoro e le istituzioni archivistiche sono incoraggiati ad adottare
programmi generali e pratiche quotidiane che consentano l'applicazione di questo codice.
D. Questo codice è destinato a fornire un orientamento etico alla condotta dei membri della

l
. professione e non a fornire soluzioni specifiche a particolari problemi.
E. Ogni articolo è accompagnato da un commento che sviluppa e illustra il principio enun-
ciato; articoli e commenti formano un tutt'uno e insieme costituiscono il testo del codice
di deontologia.
Capitolo 4 • Gli archivisti - slllmE

F. L'applicazione del codice dipende dalla buona volontà delle istituzioni archivistiche e
delle associazioni professionali. Essa può prendere la forma di uno sforzo educativo e
della messa a punto di procedure per suggerire orientamenti in casi di dubbio, esaminare
comportamenti contrari alla deontologia e, quando sia opportuno, applicare sanzioni.

Testo
l.
Gli archiuisti tutelano l'integrità degli archiui e in tal modo
garantiscono che questi continuino ad essere affidabile testimonianza del passato.

Il primo dovere degli archivisti è di mantenere l'integrità dei documenti affidati alla loro sorve·
glianza o custodia. Nel compimento di tale dovere essi devono tener conto dei diritti e interessi
legittimi, pur talora contraddittori, dei loro datori di lavoro, dei proprietari, delle persone citate
nei documenti e degli utenti, sia per quanto riguarda il passato che il presente e il futuro.
!:obiettività e l'imparzialità degli archivisti danno la misura della loro professionalità.
Gli archivisti resistono ad ogni pressione, da qualunque parte provenga, diretta a manipolare le
testimonianze come a dissimulare o deformare i fatti.

2.
Gli archiuisti trattano, selezionano e conseruano gli archiui nel loro
contesto storico, giuridico e amministratiuo, rispettando quindi
il principio di prouenlenza, tutelando e rendendo euldentlle
lnterrela:ioni originarie del documenti.

Gli archivisti operano in conformità con i principi e le pratiche della professione generalmente
accettati .
Gli archivisti svolgono i loro doveri e le loro funzioni, coerentemente con i principi archivistici, in
riferimento alla creazione, gestione e scelta della destinazione degli archivi correnti e di deposito,
ivi compresi i documenti elettronici e multimediali, alla selezione e acquisizione dei documenti in
vista della loro archiviazione definitiva, alla salvaguardia, conservazione e restauro degli archivi di
cui hanno la responsabilità e all'ordinamento, alla descrizione, alla pubblicazione e alla migliore
accessibilità dei documenti.
Gli archivisti selezionano i documenti con imparzialità, fondando il loro giudizio su una profonda
conoscenza delle esigenze amministrative e delle politiche di acquisizione. l documenti scelti per la
conservazione sono da essi ordinati e descritti conformemente ai principi archivistici (in particolare,
il principio di provenienza e il principio dell'ordinamento originario) e alle norme generalmente
riconosciute, e ciò quanto più rapidamente consentono le risorse.
Gli archivisti debbono acquisire documenti in conformità con gli obiettivi e le risorse delle istituzioni
per le quali lavorano. Essi non cercano o non accettano acquisizioni quando queste possano mettere in
pericolo l'integrità e la sicurezza dei documenti; essi cooperano affinché i documenti siano conservati
nelle istituzioni più appropriate.
Gli archivisti cooperano al rimpatrio e alla ricollocazione di archivi che si trovino fuori della loro
giusta situazione.

3.
Gli archiuistl tutelano l'autenticità dei documenti durante
le operazioni di trattamento, conseroa:ione e utllluazione.

Essi operano in modo che il valore archivistico dei documenti, compresi quelli elettronici e mul·
timediali, non sia diminuito nel corso dei lavori di selezione, ordinamento e descrizione, di con·
servazione ed utilizzazione. Essi conservano traccia scritta dei lavori di acquisizione, trattamento
e restauro dei documenti.
Se debbono procedere a campionamenti, essi fondano le loro decisioni su metodi e criteri atten·
tamente stabiliti.
sJ1111B - Parte Prima • Archivi e archivistica

l La sostituzione degli originali con altri supporti può essere decisa solo dopo averne considerato il
valore legale, intrinseco e informativo.
Quando documenti esclusi dalla consultazione siano stati estratti temporaneamente da un fasci-
. colo, ne informano il ricercatore.
4
.

Gli archivisti devono garantire la costante accessibilità


e intelligibilità dei documenti d'archivio.

Gli archivisti debbono selezionare i documenti da conservare o da distruggere considerando


prioritaria la necessità di salvaguardare la testimonianza essenziale dell'attività della persona o
dell'istituzione che ha prodotto o accumulato i documenti, e inoltre tenendo conto che le esigenze
della ricerca mutano nel tempo.
Gli archivisti debbono essere coscienti che l'acquisizione di documenti di dubbia origine, anche
se di grande interesse, può incoraggiare un illecito commercio. Essi collaborano con i colleghi e
con i servizi competenti a identificare e perseguire in giudizio le persone sospettate di furto di
documenti d'archivio.

5.
Gli archivisti documentano le loro attività di trattamento
del materiale archivistico e sono pronti a dame giustificazione.

Gli archivisti promuovono buone pratiche di gestione in tutte le fasi di vita dei documenti e coopera-
no con i creatori di questi nel controllo dei nuovi formati e delle procedure di trattamento dei dati.
Gli archivisti non sono interessati unicamente ad acquisire documenti esistenti, ma fanno sì che
anche nei sistemi di informazione e archiviazione elettronica siano incorporate fin dall'origine
procedure destinate alla salvaguardia di documenti di valore permanente.
Gli archivisti, quando trattano con i servizi versanti o con i proprietari dei documenti, perseguono
eque soluzioni basate sui seguenti criteri, quando applicabili: autorizzazioni di versamento, di
donazione o di vendita; accordi finanziari; programmi di ordinamento e inventariazione; diritti di
riproduzione e condizioni di consultazione.
Gli archivisti conservano traccia scritta delle acquisizioni dei documenti, della loro conservazione
e trattamento.

6.
Gli archivisti promuovono il massimo accesso possibile agli archivi
e forniscono imparzialmente assistenza a tutti gli utenti.

Gli archivisti producono, per la totalità dei fondi di cui sono responsabili, gli strumenti di ricerca
generali e particolari che risultano opportuni.
Essi debbono fornire assistenza imparzialmente a tutti gli utenti ed utilizzare le risorse disponibili
per fornire una serie equilibrata di prestazioni.
Gli archivisti rispondono con cortesia, e con lo scopo di essere effettivamente utili, a tutte le ri-
chieste ragionevoli concernenti i documenti a loro affidati, e incoraggiano l'utilizzazione di questi
nella massima misura possibile compatibilmente con le esigenze istituzionali, la salvaguardia dei
documenti, i vincoli normativi, i diritti degli individui e gli accordi con i donatori. Essi spiegano ai
richiedenti i motivi delle restrizioni e le applicano con equità.
Gli archivisti scoraggiano le limitazioni non ragionevoli di accesso e di utilizzazione dei docu-
menti, ma possono accettare o suggerire restrizioni chiaramente definite e di durata limitata
quando queste sono la condizione di un'acquisizione. Essi osservano fedelmente e applicano
con imparzialità tutti gli accordi stabiliti al momento dell'acquisizione, ma, nell'interesse della
liberalizzazione dell'accesso ai documenti, possono rinegoziare le clausole quando le circostanze
cambiano.
Capitolo 4 • Gli archivisti - s1llliE

7.
Gli archivisti cercano il giusto equUibrio, nel quadro
della legislazione in uigore, tra il diritto all'informazione e il rispetto della riservatezza.

Gli archivisti operano in modo che la riservatezza delle persone e delle istituzioni, nonché la si-
curezza nazionale, siano tutelate senza distruzione di informazioni, specialmente nel caso degli
archivi informatici ove la cancellazione di dati e l'aggiornamento sostitutivo sono prassi diffuse.
Gli archivisti rispettano la riservatezza degli individui che hanno partecipato alla creazione o che
sono oggetto dei documenti, specialmente di coloro che non sono stati consultati sull'uso o sulla
sorte dei documenti.

8.
Gli archivisti corrispondono alla fiducia in essi riposta
perseguendo il pubblico interesse ed evitando di utilizzare
la propria posizione per a1111antaggiare scorrettamente sé o altri.

Gli archivisti devono astenersi da ogni attività che possa pregiudicare la loro integrità professionale,
la loro obiettività e imparzialità.
Gli archivisti non traggono dalla loro attività vantaggi economici, personali o di altra natura, a
detrimento delle istituzioni, degli utenti e dei colleghi.
Gli archivisti non collezionano personalmente documenti originali né partecipano ad alcun com-
mercio di documenti.
Essi si astengono da attività che potrebbero creare nell'opinione pubblica l'apparenza di un con-
flitto di interessi.
Gli archivisti possono utilizzare per scopi personali di ricerca e pubblicazione i fondi archivistici
delle loro istituzioni, purché tali lavori si svolgano su un piano di parità rispetto agli altri utenti
dei medesimi fondi. Essi non rivelano né utilizzano le informazioni che hanno ottenuto a seguito
del loro lavoro sui fondi d'archivio il cui accesso è limitato.
Essi non debbono consentire ai propri interessi personali di ricerca e pubblicazione di interferire
con il corretto svolgimento dei compiti professionali e amministrativi per i quali sono assunti.
Utilizzando i fondi archivistici affidati alle istituzioni per le quali essi lavorano, gli archivisti non
devono sfruttare la loro conoscenza di informazioni acquisite da altri ricercatori e non ancora
pubblicate, senza avere anticipatamente avvertito gli interessati dell'uso che gli archivisti stessi
intendono fare di tali informazioni.
Gli archivisti possono recensire e commentare i lavori pubblicati su campi vicini ai loro interessi
di ricerca, ivi compresi i lavori basati sui documenti dei quali essi hanno la custodia.
Gli archivisti non devono permettere a persone esterne alla professione di interferire nei loro lavori
e nell'adempimento dei loro doveri.

9.
GU archivisti perseguono Wl'alto qWJlltà profèsslonole aggiornando slsCemotlcamen!
e continuamente le loro conoscenze e condlvldendo i rlsultal1 delle loro rll!erche e della loro esperienza.

Gli archivisti devono sviluppare la loro competenza professionale e le loro conoscenze tecniche,
contribuire ai progressi dell'archivistica e assicurarsi che le persone il cui lavoro e la cui forma·
zione essi sovrintendono siano preparate a svolgere in maniera competente le rispettive funzioni.

IO.
Gli archiuisti promuovono la saluaguardla e l'uso del patrimonio archluistico del mondo Intero,
cooperando a tal fine con i membri della propria e di altre professioni.

Gli archivisti cercano di favorire la collaborazione e di evitare i conflitti con i colleghi, risolvendo
le difficoltà con l'incoraggiamento a rispettare le regole archivistiche e i principi deontologici.
Gli archivisti cooperano con i rappresentanti delle professioni parallele in spirito di rispetto e di
comprensione reciproca.
Q CAPITOLOS
Diplomatica del documento
conte m pora neo
SOMMARIO
1. Definizione. contenuti e tipologie della diplomatica. - 2. Il documento. - 3. Gli elementi identificativi
del documento. - 4. La proposta di Paola Carucci per una diplomatica del documento contemporaneo.

1. Definizione, contenuti e tipologie della diplomatica


La diplomatica (dal francese diplomatique, termine derivato dal titolo latino di un trattato
di Jean Mabillon del1681 , De re diplomatica) è la scienza storica che studia i documenti
(diplomi) nei loro caratteri esterni e interni, al fine di accertarne l'autenticità e ricostru-
irne il processo di produzione in tutte le sue fasi e in ciascun aspetto (sia esso giuridico,
amministrativo, culturale, linguistico, paleografico ecc.).
Sono state coniate diverse definizioni per descrivere la diplomatica: ad esempio, secondo
Filippo Valenti essa è «la dottrina delle forme assunte nel tempo dalla documentazione
di carattere u(fìciale e di ualore giuridicamente probante o addirittura costitutivo» (non
a caso oggi si parla di «diplomatica del documento contemporaneo», o addirittura di
«diplomatica del documento digitale») , mentre Alessandro Pratesi la definisce come
«la scienza che ha per oggetto lo studio critico del documento al fìne di determinarne il
ualore come testimonianza storica».
Considerata come tecnica di analisi delle forme dei documenti, l'oggetto della critica
diplomatistica è costituito da qualsiasi scrittura redatta per scopi giuridici o comunque
pratici, compilata con l'osservanza di forme sufficientemente tipiche da poter esser
rapportate a un determinato modello o paradigma o criticamente confrontate con esso.
Le direttrici con cui può essere approcciata la diplomatica sono sostanzialmente due: una è
la diplomatica generale, la quale tiene conto delle caratteristiche universalmente comuni
dei documenti; l'altra è la diplomatica speciale, che invece analizza settori più specifici.
Nella diplomatica classica si è soliti distinguere fra:
• diplomatica dei documenti pubblici (cioè quelli emanati da autorità pubbliche in forma
pubblica);
• diplomatica dei documenti privati (ossia i «documenti di proua», in grado di docu-
mentare in forma scritta un atto di diritto privato; sostanzialmente, gli atti notarili);
• diplomatica dei documenti semipubblici, una sorta di categoria intermedia fra le
precedenti due, che a sua volta si occupa dei documenti emanati da autorità private
in forma pubblica (ad esempio, le emanazioni vescovili) oppure da autorità pubbliche
in forma privata (come le lettere del papa).
Si distingue, altresì, fra diplomatica dei documenti regi e imperiali, dei documenti pon-
tifici, dei documenti privati, dei documenti signorili, nonché di quelli ecclesiastici,
comunali, giudiziari, amministrativi.
Capitolo 5 • Diplomatica del documento contemporaneo - s1lftmE

2. Il documento
Per documento s'intende genericamente «la memorizzazione di informazioni su un certo
tipo di supporto», mentre una definizione più specifica e articolata è quella riportata nel
Vocabolario Treccani: « ... con significato più recente, qualunque oggetto materiale che possa
essere utilizzato a scopo di studio, di ricerca, di consultazione: grafici (libri, opuscoli, mano-
scritti ecc.), iconografici (ritratti, disegni, fotografie), plastici (monete, medaglie, sigilli ecc.),
fonici (dischi, nastri ecc.), visivi, audiovisivi, informatici ((ile); nel senso di documento storico,
qualsiasi testimonianza che illustri il passato».ln ambito internazionale si può ricordare che
"The Society of American Archivists" fornisce, a sua volta, la seguente definizione: «1. Any
written or printed work; a writing. 2. Information or data fìxed in some media. 3. Informa-
tion or data fìxed in some media, but which is not part ofthe ofjicial record; a nonrecord».
Per quanto concerne più specificatamente il documento archivistico (record), nel
glossario ISAD viene descritto come «Informazioni memorizzate su qualsiasi supporto o
tipologia documentaria, prodotte o ricevute e conservate da un ente o da una persona
nello svolgimento delle proprie attività o nella condotta dei propri affari».
Tuttavia, «Non tutte le forme di scrittura [...] costituiscono documenti archivisticL Lo sono
solo quelle legate fra loro da un nesso logico inscindibile, appositamente organizzate e con-
servate nel proprio archivio da un soggetto produttore. Le possibili tipologie di documento
archivistico sono molto ampie: gli atti di natura giuridica o amministrativa, anche a mera
rilevanza interna, prodotti da organizzazioni pubbliche; le scritture contabili di un azienda,
la documentazione tecnica prodotta all'interno di un ciclo produttivo, la corrispondenza con
clienti e fornitori ecc.; gli epistolari personali o professionali, gli studi, le bozze di opere, i
disegni e gli schizzi di artisti e architetti ecc. Il concetto di documento archivistico è quindi più
ampio di quello di documento in senso giuridico o diplomatistico. Il concetto di documento
è svincolato dal legame con un particolare supporto: possono essere documenti archivistici
anche le registrazioni audio e video, le registrazioni ottiche o magnetiche e ogni altra forma
di memorizzazione di informazioni su un qualsiasi tipo di supporto purché conservate e orga-
nizzate da un soggetto produttore e inserite nel proprio archivio» (plain.lombardiastorica.it).
È possibile distinguere fra:
• documento giuridico, inteso come testimonianza scritta di un fatto di natura giuri-
dica, compilata con osservanza di determinate forme che conferiscono al documento
pubblica fede e forza di prova;
• documento pubblico, ossia emanato da una pubblica autorità nell'esercizio delle
proprie funzioni regolate dal diritto pubblico, oppure prodotto da soggetti privati
che agiscono nell'esercizio di una pubblica funzione (come avviene, ad esempio, per i
documenti notarili);
• documento privato, in riferimento al quale la dottrina definisce la scrittura privata come
un «documento sottoscritto da un privato, senza la partecipazione nell'esercizio delle sue
funzioni, di un pubblico ufficiale abilitato a dare pubblica fede agli atti e ai documenti».
In diplomatica sussiste inoltre la distinzione fra:
• documento, da intendersi come la rappresentazione di atti e fatti , fissata su un sup-
porto stabile nel tempo e nello spazio;
• atti, costituiti da attività frutto della volontà di una persona tesa a produrre effetti sul
mondo esterno;
• fatti, corrispondenti ad eventi e circostanze varie.
slftiE - Parte Prima • Archivi e archivistica

Dal punto di vista della diplomatica la forma del documento consiste a sua volta in: ele-
menti fisici del documento; persone che partecipano alla formazione del documento (chi
scrive, a chi è destinato); disposizione (struttura) del contenuto del documento; modalità
di redazione.

3. Gli elementi identificativi del documento


In diplomatica gli elementi identificativi del documento vengono classificati in:
• grado di perfezione;
• elementi intrinseci ed estrinseci;
• partizioni interne del documento.
Il grado di perfezione riguarda:
• minuta: prima bozza preparata per scopi di correzione e di rifinitura, conservata
nell'archivio del mittente;
• originale: stesura definitiva del documento, completo nei suoi elementi formali e
contenutistici, efficace perché capace di produrre le conseguenze volute dall'autore.
Esistono anche originali multipli di uno stesso documento, come ad esempio contratti,
trattati (obblighi reciproci), circolari, inviti (destinatari molteplici), i quali devono essere
prodotti e trasmessi nello stesso tempo, altrimenti saremmo in presenza di copie;
• copia: riproduzione eseguita a mano, a macchina, fotocopiata ecc.; semplice: ricopiata
senza prestare attenzione agli elementi formali; autenticata: resa conforme all'originale
da un ufficiale pubblico autorizzato; imitativa: fotocopia.
Gli elementi estrinseci (forma fisica) riguardano la forma fisica, il modo fisico di presenta-
zione del documento e comprendono supporto, lingua, scrittura, segni speciali (segni del
rogatorio, segni dei sottoscrittori, segni di cancelleria, annotazioni), mentre gli elementi
intrinseci (forma intellettuale) si riferiscono alla forma/disposizione/articolazione che
il contenuto del documento assume non in quanto contenuto, bensì a seconda del modo
in cui risulta organizzato e articolato.
Le partizioni interne del documento, infine, si articolano in :
• protocollo, in cui si presentano sia l'autore e, in generale, il contesto amministrativo
dell'azione, ossia le persone coinvolte in quanto autori e destinatari dell'atto, sia l'og-
getto, sia il luogo e il tempo dell'azione;
• testo, in cui è definita l'azione;
• escatocollo, in cui trovano spazio e vengono "annunciati" i modi di validazione.
A proposito del documento contemporaneo va precisato che: nel caso degli elementi
estrinseci, talvolta le tracce lasciate dal tempo sul supporto possono rivelarsi preziose
per il lavoro di ordinamento, ma non per questo si possono considerare elementi costi-
tutivi e determinanti ai fini dell'autenticità come lo erano per i documenti medievali; nel
caso delle partizioni interne, esiste la tendenza a raggruppare quasi tutti gli elementi
nel protocollo (come accade, ad esempio, per i messaggi di posta elettronica). Inoltre
l'escatocollo tende a scomparire e, più in generale, tutte le parti tendono a semplificarsi:
ad esempio, l'invocazione è diventata sempre più rara e resta confinata nei documenti
religiosi o solenni, specialmente quando si proclama che l'azione viene compiuta in nome
del popolo, della nazione ecc.
Capitolo 5 • Diplomatica del documento contemporaneo - saJl

4. la proposta di Paola Carucci per una diplomatica del documento


contemporaneo
Paola Carucci, fra le voci più autorevoli dell'archivistica italiana, è stata professoressa
ordinaria di archivistica dal1990 al1997 all'Università di Milano e poi all'Università «La
Sapienza» di Roma, quindi sovrintendente dell'Archivio centrale dello Stato del marzo
1997 all'ottobre 2002, infine sovrintendente dell'Archivio storico della Presidenza della
Repubblica dal giugno 2006 all'aprile 2015. La sua proposta per una diplomatica del do-
cumento contemporaneo si basa sul raggruppamento degli elementi intrinseci (forma
intellettuale) in tre gruppi, definiti in rapporto alla frequenza e all'estensione del loro uso.

4.1 Elementi del primo gruppo


Tali sono: autore, destinatario, testo, sottoscrizione, data. Si tratta di elementi riscontra-
bili in qualsiasi documento scritto, anche se questo non vuoi dire che ogni documento li
presenti tutti insieme, poiché ciò dipende dal periodo storico, dalle circostanze, dal tipo
di atto che viene formulato. Ad esempio, in linea di massima negli atti formali si trovano
quasi tutti, ma nelle lettere private può essere assente la data, oppure il destinatario,
mentre vi è sempre il testo.
L'autore del documento è la persona che ha l'autorità e la competenza per produrre un
documento. Spesso indicato nell'intestazione in forma impersonale, esso può coincidere
oppure no con l'autore dell'atto o del fatto rappresentato nel documento. Quando si parla di
autore in ambito diplomatico o archivistico ci si riferisce sempre a quello del documento.
Nei documenti pubblici solitamente c'è coincidenza tra autore del documento e autore
dell'atto.
Nei documenti privati, invece, la situazione è più varia e dipende dalle diverse tipologie
di atti. Nelle lettere e, in generale, in tutti i documenti definiti Mprivati• l'autore dell'atto
coincide con quello del documento. In tali documenti rivestono grande importanza la
sottoscrizione e l'autenticità del documento stesso.
Per quanto concerne i «documenti redatti con le richieste formalità da un notaio o da altro
pubblico u(fì.ciale autorizzato ad attribuire pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato»
(art. 2699 c.c.), l'autore del documento è il notaio, mentre l'autore dell'atto è il cittadino.
Il destinatario è la persona a cui è diretto il documento, la quale può essere diversa da
quella a cui è diretto l'atto. Soprattutto nel settore pubblico, un documento può essere
trasmesso materialmente ad un ufficio, ma l'atto può interessare un impiegato.
Il testo è la parte del documento in cui è descritta la volontà dell'autore oppure viene
esposto il contenuto dell'atto/fatto.
In linea di massima, negli atti formali il testo si articola in:
• premessa, la quale può comprendere il preambolo (citazione di leggi, circolari ecc.;
indicazione del proponente; indicazione delle parti) e le motivazioni che hanno deter-
minato l'atto, ovvero la narrazione, cioè la descrizione dei fatti a cui l'atto si riferisce;
• dispositivo, il quale rappresenta il contenuto sostanziale dell'atto e corrisponde alla
descrizione della statuizione o della manifestazione di volontà, di giudizio, di rappresen-
tazione ecc. in cui l'atto consiste. Esso è introdotto da formule che possono consentire
di individuare la natura dell'atto, come ad esempio: "promulga", "decreta", "autorizza",
"informa", Mrilascia", Mnomina", "convengono quanto segue .. ." ecc.
smB - Parte Prima • Archivi e archivistica

Il testo può essere distinto in articoli (leggi, decreti, trattati, contratti, convenzioni ecc.).
Se il provvedimento amministrativo non è nella forma del decreto, non sempre la parte
dispositiva è enucleabile dalle altre parti del documento.
La sottoscrizione è costituita dal nome e cognome della persona fisica responsabile sia
dell'articolazione del contenuto del documento, sia della corrispondenza del documento
all'atto. Negli atti formali la firma completa il documento. Esistono alcuni atti che richie-
dono più di una firma (leggi, contratti, sentenze di organi collegiali ecc.), mentre vi sono
documenti che hanno valore di prova anche senza la sottoscrizione (alcune scritture
contabili di cui è imposta la tenuta per legge agli imprenditori) .
Infine la data, topica e cronica, è l'elemento che serve a definire il luogo e il momento
della formazione del documento.
La data del documento può coincidere oppure no con la data dell'atto ovvero della mani-
festazione di volontà; ad esempio:
• la data del parere del Consiglio di Stato corrisponde alla data della seduta del Consiglio
medesimo;
• la data di una legge è quella della promulgazione da parte del Presidente della Repub-
blica e non quella dell'approvazione del Parlamento;
• la data delle sentenze è quella del deposito presso la cancelleria e non quella dell'e -
manazione;
• nel caso di atti notarili vi è coincidenza.
La posizione della data varia a seconda del tipo di atto: lettera della P.A., lettera privata,
legge, atti notarili, verbali ecc.
Sotto il profilo archivistico interessa la data del documento. Nel caso di documenti non
datati, che possono essere presenti anche in uffici e organismi pubblici dotati di struttura
burocratica (sotto forma di appunti, note interne, documentazione non formale), si
ricorre ad elementi interni di contenuto.
Nella corrispondenza di un ufficio pubblico si trovano diverse date:
• data che si riferisce al contenuto;
• data scritta contestualmente alla redazione del testo della lettera (data archivistica),
che ormai coincide con la data del protocollo;
• data del protocollo di partenza;
• data del protocollo dell'ufficio ricevente;
• data delle annotazioni;
• data delle registrazioni;
• data della spedizione e della ricezione (busta).

4.2 Elementi del secondo gruppo


Tali sono le registrazioni e le autenticazioni, che, apposte dopo la redazione, si trovano
nei casi espressamente previsti da specifiche disposizioni.
A proposito della registrazione va detto anzitutto che per alcuni atti della Pubblica
Amministrazione sono richieste le registrazioni effettuate da uffici diversi da quelli che
hanno prodotto l'atto. In genere sono organi di controllo. La registrazione viene fatta
sull'originale, quindi è riscontrabile nell'archivio del destinatario. Il numero di registra-
zione rappresenta la posizione del documento nell'archivio dell'ufficio che effettua la
registrazione stessa.
Capitolo 5 • Diplomatica del documento contemporaneo- SME

l)uesti alcuni esempi di uffici che effettuano le registrazioni:


• Corte dei conti: controllo di legittimità sull'Amministrazione statale per accertare la
rispondenza con le norme dell'ordinamento e con la legge di bilancio. Apposizione del
visto sul provvedimento e annotazione su appositi registri;
• Ufficio del registro per gli atti notarili;
• Conservatoria del registro immobiliare per gli atti relativi agli immobili;
• Registro delle ipoteche nel caso in cui sull'immobile in oggetto gravi un'ipoteca.
L'autenticazione, a sua volta, è l'atto che serve a certificare l'autenticità della firma di un
documento o di un intero documento. Da sottolineare che l'autenticazione di una copia
garantisce la conformità della copia all'originale prodotto o conservato dal soggetto
autorizzato a rilasciare copia, non la veridicità del contenuto dell'atto.

4.3 Elementi del terzo gruppo


Tali sono: classi{ìcazioni, registrazioni di protocollo, annotazioni, segna tu re urchiuistiche.
Vengono inserite perlopiù dal servizio di protocollo e di archivio, allo scopo di identifica-
re il singolo documento, per dare una posizione. Anche questi elementi possono essere
dotati di rilevanza giuridica e generalmente si trovano nei documenti di archivi pubblici
e privati, purché ben organizzati.
L'indice di classificazione e il numero progressivo di registrazione di protocollo sono i
principali codici identificativi del documento e della posizione che esso ha nell'archivio.
Le annotazioni si trovano sul fascicolo e sul documento. Per il fascicolo può trattarsi di
dati anagrafici su fascicoli personali (ad esempio, nel caso del fascicolo del Casellario
politico centrale: nome e cognome del"sovversivo", colore politico, professione ecc.). Per
il documento può trattarsi di note di segreteria, note dell'ufficio ricevente ecc.
Infine, per segnatura archivistica è possibile intendere:
• indici di classificazione ed eventuali numerazioni che contrassegnano fascicoli e re-
gistri presso l'archivio corrente;
• numerazioni di corda delle buste sia originarie che attribuite in seguito a riordina-
menti storici.
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„Wat nu gedaan?

„Een bitje gewacht! Maar ’t en beterde niet met Mijnheer Pastor, en de


menschen wierden ongeduldig!

„De pastor kreeg een gedacht. Koster! riep hij, ’k en kan [75]ik volstrekt in
de kerke niet gaan, ge zult gij moeten de kruiskes geven.

„De koster, die zijnen pastor gewend was, verstond dat nog al wel.

„Zegt de pastor toen:

„Ge weet wat ge moet zeggen, binst dat ge de kruiskes geeft: Memento,
homo! quia pulvis es et in pulverum reverteris (Herinner, mensch! dat gij
stof zijt en in stof zult wederkeeren).

„Wat belieft er u? zei de koster.

„De pastor herhaalde ’t latijn, maar de koster en verstond het nog niet.

„Na drie of vier keeren wierd de pastor ongeduldig:

„Ge zijt ezel geboren, schreeuwde de pastor, en ge zult ezel sterven!

„Ja, Mijnheer Pastor, zei de koster, en hij trok de kerke binnen, peinzende
in zijn eigen dat ze toch aardige dingen zeggen aan de menschen in ’t
latijn.

„En hij begon maar kruiskes te geven en te herhalen dat hij schuimde:

„Ge zijt ezel geboren, en ge zult ezel sterven!

„De menschen keken wat aardig en dat wierd beklapt en besproken als zij
buiten de kerke kwamen.

„En de historie en bleef in de prochie niet; ze wierd wijd en breed


verspreid in ’t omliggende en verder, en zoo kwam het dat de lieden van
Cuerne den name van ezels kregen.

„Onverdiend!”
Hier voren (op bladzijde 70) heb ik reeds met een enkel woord
vermeld de verzen van eenen Vlaming uit den ouden tijd, waarin al
de spotnamen van Vlaamsche steden en dorpen zijn opgenoemd.
Op dat hoogst merkwaardige stuk wil ik hier nader terug komen.

In het midden der zestiende eeuw leefde te Brugge een procureur,


namens Eduwaert de Dene, Lymans zone; die „Factor” was van de
rederijkerskamer „De drie Sanctinnen” aldaar. Deze man bracht de
Vlaamsche spotnamen in rijm te zamen, en smeedde daar lange
verzen van, die hij den naam gaf van Den langhen Adieu (het lange
Vaarwel). Eduwaert de Dene stelt [76]het voor alsof hij allen
Vlamingen, de inwoners van allerlei Vlaamsche steden en dorpen,
die hij allen afzonderlijk bij hunne spotnamen noemt, vaarwel zegt,
eer hij sterven gaat. Immers zóó moet men den telkens herhaalden
slotregel der verzen verstaan: „Adieu, eer ick reyse naer Adams
moer.” Adam, de eerste mensch, was uit de aarde voortgekomen;
„Ende de H E E R E Godt hadde den mensche geformeert uyt het
stof der aerden”, zoo lezen we in den Bijbel. Dus, in
overdrachtelijken zin genomen, was de aarde de moeder van Adam.
Zoo iemand gestorven is, wordt zijn doode lichaam in de aarde
begraven. Men kan hiervan zeggen: hij reist naar (of in) de aarde;
met andere woorden: hij reist maar de moeder van Adam, naar
„Adams moer.”

De bedoelde verzen nu luiden als volgt:

Den langhen Adieu


Niet oudgestich
In tjaer ghemaect nieu
1500 ende tzestich.
Adieu, P o o r t e r s van Brugge, adieu H e e r e n van
Ghendt,
Adieu, K i n d r e n van Ipre, wijdt verre bekent,
Adieu, D a r y n c b a r n e r s van den Vryen mede,
Adieu, S c h o t t e r s van Douay, ende daer omtrent,
Adieu, S p e e r e b r e k e r s der Rysselsche stede,
N o t e c r a e c k e r s van Orchies, naer doude zede,
L e d i c h g h a n g h e r s van Oudenaerde ghepresen.
Adieu insghelijcx, oock zoo ick dandere dede,
P a s t e y e t e r s van Curtrijcke mits desen;
Adieu, C u p e r s van Damme: adieu, moet wesen,
W i t v o e t e n van Aelst, B e e n h a u w e r s van Male,
H u d e v e t t e r s van Gheerdsberghe hooghe geresen,
V o o r v e c h t e r s van Cassele int speciale,
V a c h t p l u c k e r s van Poperynghe tprincipale:
S l a e p e r s van Vuerne, hebt oock huwen toer.
R a e p e t e r s van Waes, elck end int generale,
Adieu, eer ick reyse naer Adams moer.

Adieu, van Dermonde M a c k e l e t e r s daer,


P e l s n a e y e r s van Nieneven openbaar,
D r y n c k e r s van Winnoxberghe, Z o u t z i e d e r s van
Biervliedt,
R o c h e t e r s van Muenickeree der naer.
Adieu, M o s t a e r t e t e r s die men t’ Oosthende ziet,
B u e t e r e t e r s van Dixmude en vergheet ick niet;
Adieu, metten C o n ij n e t e r s van Dunkercke goet; [77]
Adieu, D r a p e n i e r s van Comene, mijn jonste biedt;
Adieu, oock an de V u l d e r s van Caprijcke vroedt,
En den S c h i p g a e r n e m a e c k e r s van Oudenburgh, tmoet
Oock adieu gheseyt sijn, ken cans my bedwynghen,
C a b e l j a u e t e r s van Nieupoort, zijt oock ghegroet!
S a e y w e v e r s van Hondscote, Ghistelsche
Hovelynghen,
D r o o g h a e r t s van Werveke int ommerynghen,
C a e r d e m a e c k e r s van Deynse op heurlieder vloer;
Ghy, S a u d e n i e r s van Grevelynghe, laet hu niet
besprynghen
Adieu, eer ick reyse naar Adams moer.

Adieu oock, G r o o t s p r e k e r s van Thorout, ghy


L u e g h e n a e r s van Ardenburch, den W i l t j a g h e r s by
Van Maldeghem, C a n d e e l e t e r s van Meenen voort,
K e t e l b o e t e r s van Middelburch; adieu van my
C r u d e n i e r s van Oostburch; insghelijcx adieu (hoort!)
L ij n w a d i e r s van Thielt, twelck menich oorboort;
Oock mede R o o t b i e r d r y n c k e r s van Haerlebeke:
Ghy P e p e r l o o c k e t e r s van Eecloo verstoort;
K e e r m e s h o u d e r s van Ruusselare meniche weke,
C a p p o e n e t e r s van Meessene, waert nood ’tbleke
Met menich smetsere ende goet gheselle:
An de W y n z u p e r s van Hulst ick adieu spreke,
S n o u c k e t e r s van Acxele, C a e s e m a e c k e r s van
Belle,
De Te g h e l b a c k e r s van Stekene oock mede telle;
R o o m e t e r s van Moerbeke, ghy sonder poer,
Ende W a e r m o e s e t e r s van Coolkercke snelle,
Adieu, eer ick reyse naer Adams moer.

Adieu, H o p p e w i n d e r s van Okeghem sterck,


Adieu, O v e r m o e d i g h e van Ronsse int werck,
P a p e t e r s van Denterghem, daer in onverzaet,
G a n s s e d r ij v e r s van Laerne, scherp int bemerck;
Te Zele daer vyndt men de V l a s b o o t e r s , jaet;
Adieu, S t i e r m a n s van Wendune, elck met zijn maet.
Ende ghy, M u s s e l e t e r s van Bouchoute reyn,
V i s s c h e r s van Blanckeberghe oock adieu ontfaet;
Adieu, P u t o o r e t e r s van Waestene int pleyn,
Adieu, D i e n a e r s van Sint Anna ter Mude certeyn,
V e r z e y l d e r s van Heyst ten Zeeusschen gronde.
C o k e r m a e c k e r s van Ruurle, van V l a e t e r s tgreyn;
Die van Sint Jans Steene oock adieu tallen stonde,
C o m p o o s t e t e r s van Loo, T h o o l n a e r s van
Reppelmonde,
Adieu, Eillynghen tsaemen met den Ackerboer,
Adieu, dus namelicke Vlaandren int ronde,
Adieu, eer ick reyse naer Adams moer. [78]
Adieu, voorts noch, ende wederom oorlof, adieu,
Al dat oud was, en zichtens 14 gheworden nieu!

Ook al deze oude Vlaamsche spotnamen vertoonen weêr ten


duidelijksten de bijzondere kenmerken van zulke Nederlandsche
namen in ’t algemeen. Ook dezen zijn grootendeels meer bijnamen
in schertsenden zin, dan smaad- of hoonnamen en scheldnamen
van krenkenden aard. Zoo treffen we hier weêr de namen aan die
ontleend zijn aan allerlei nering en bedrijf in ’t bijzonder eigen aan
deze of gene plaats; b.v. H u d e v e t t e r s van Geeraartsberge en
de P e l s n a a i e r s van Ninove, de S a e y w e v e r s van
Hondschoten en de C r u d e n i e r s van Oostburg, de
K a a s m a k e r s van Belle en de S t u u r l i e d e n van Wenduine.
Verder ook de namen ontleend aan de eene of andere spijze of
lekkernij, die hier of daar bijzonder gaarne of bijzonder menigvuldig
door de lieden werd gegeten; b.v. de P a s t e i - e t e r s van Kortrijk
en de R a a p - e t e r s van Waas, de R o g - e t e r s van
Munnikereede en de K o n ij n - e t e r s van Duinkerke, de
K a b e l j a u w - e t e r s van Nieuwpoort en de S n o e k - e t e r s van
Aksel. Als rechtstreeksche spotnamen merken we op de
L e d i g g a n g e r s van Oudenaarden, de W i t v o e t e n van Aalst,
de V o o r v e c h t e r s van Kassel en de S l a p e r s van Veurne; de
G r o o t s p r e k e r s van Thorhout en de K e r m i s h o u d e r s van
Rousselare. Onder deze laatste soort van namen zijn er zeker velen,
die aan het een of ander geschiedkundig voorval hunnen oorsprong
te danken hebben.

Toen deze verzen berijmd werden was Vlaanderen nog in zijn


geheel, nog één en onverdeeld. Sedert is de westelijkste gouw van
Vlaanderen bij Frankrijk gevoegd, en de noordelijkste bij Noord-
Nederland. Maar Eduwaert de Dene noemt, zeer te recht zoo wel
de spotnamen op van de inwoners van Biervliet, Aardenburg,
Oostburg, Hulst, Aksel, Sint-Anna-ter-Muiden en Sint-Jans-Steen
(allen thans tot Noord-Nederland behoorende—Zeeuwsch
Vlaanderen), als die van Douay, Rijssel, Orchies, Kassei, Sint-
Winoks-Bergen, Duinkerke, Hondschoten, Grevelingen, Belle,
tegenwoordig deel uitmakende van Frankrijk—Fransch-Vlaanderen.
Ja, in één versregel vinden we de S n o e k e t e r s van [79]Aksel
vermeld naast de K a a s m a k e r s van Belle; die van Aksel zoo wel
als die van Belle zijn oorspronkelijk goede Vlamingen, maar thans,
en reeds sedert twee of drie eeuwen als Noord-Nederlanders en als
Franschen geheel van elkanderen vervreemd.

Sommigen van deze oude namen leven nog heden in den mond des
volks. De H e e r e n van Gent, de K i n d e r e n van Yperen, de
P a s t e i - e t e r s van Kortrijk, de M a k e l - e t e r s van
Dendermonde, de W i t v o e t e n van Aalst, en anderen zijn nog
heden ten dage zoo goed bekend als tijdens Eduwaert den Dene.
Daarentegen zijn de rijke en machtige P o o r t e r s van Brugge uit
de zestiende eeuw in onze negentiende eeuw tot Z o t t e n
vernederd, zijn de oude L e d i g g a n g e r s van Oudenaarde thans
B o o n e n k n o o p e r s , de H u i d e v e t t e r s van Geeraartsbergen
thans B e r g k r u i p e r s , de K a n d e e l e t e r s van Meenen thans
Ta a r t e b a k k e r s , de R o o m e t e r s van Moerbeke thans
S m e e r k o e k e t e r s (de hedendaagsche lieden van Meenen en
van Moerbeke zijn toch liefhebbers van lekkernij gebleven, zoo als
hunne oud-eeuwsche voorvaders reeds waren); de
V a c h t p l u k k e r s van Poperinge heeten thans K e i k o p p e n , de
O v e r m o e d i g e n van Ronse zijn tot Z o t t e n ,
V l i e g e n v a n g e r s en S l e k k e n t r e k k e r s geworden, en de
zestiende-eeuwsche B u e t e r - e t e r s van Diksmude thans, min
hoffelijk, tot B o t e r - k o p p e n .

Uit een taalkundig oogpunt zijn eenigen van deze namen zeer
merkwaardig; b.v. de D a r y n c b a r n e r s van ’t Land van den Vrijen
van Brugge (eene gouw in ’t Noorden van West-Vlaanderen), die in ’t
hedendaagsche Hollandsche Nederduitsch T u r f b r a n d e r s
zouden moeten genoemd worden. Darync, Darink, Daring,
hedendaags in West-Vlaanderen als dèring of derring uitgesproken,
is de oorspronkelijke vorm van ons hedendaagsch Noord-
Nederlandsche woord derrie.—Verder de H u d e v e t t e r s
(Lederbereiders) van Geeraartsbergen, de D r o o g h a e r t s
(Droogscheerders) van Werveke, de T h o o l n a e r s (Tollenaars of,
zoo als de verbasterde Hollanders zeggen, „Douanen”) van
Rupelmonde, enz.

Merkwaardig is het ook dat Eduwaert de Dene in zijne verzen


almede de „R o c h - e t e r s van Muenickeree” noemt. Muenickeree,
[80]Munnikeree (Monnikereede in hedendaagschen taalvorm) was in
de middeleeuwen een bloeiend stedeke aan het Zwin, tusschen
Sluis, Damme en Brugge in Vlaanderland. In de zestiende eeuw
verviel het plaatsje, in vervolg van tijd verviel het al meer en meer,
eindelijk ook geheel en al, en in deze negentiende eeuw verdween
het geheel van den aardbodem, om ter nauwer nood de heugenis
van zijn bestaan achter te laten. Door het verloopen, het verslijken
en verzanden, en door het inpolderen van den zeearm het Zwin is
zelfs de plaats waar Munnikereede lag niet meer nauwkeurig aan te
wijzen. Maar al is het stadje te niet gegaan, er zijn toch nog
Munnikereeders over gebleven, lieden wier voorouders te
Munnikereede woonden, lieden die dus van daar oorspronkelijk
herkomstig zijn. Een man uit Munnikereede (misschien ook wel een
geheel gezin) heeft oudtijds, om de eene of andere reden, zijne
woonplaats verlaten, en zich in Holland gevestigd, evenals in de
zestiende eeuw zoo vele andere Vlamingen met hem. Die man
noemde zich in zijne nieuwe woonplaats, ter onderscheiding van
anderen, met den als voor de hand liggenden toenaam „Van
Muenickeree” of „Van Munnikeree” of „Van Munnikreede” (de spelling
van den naam doet er niet toe). En eene maagschap van dien naam,
te weten: „v a n M u n n e k r e d e ”, ’s mans nakomelingschap,
bestaat nog heden, en komt of kwam nog in de laatste helft dezer
eeuw voor te Delft, Rotterdam, Haarlem, Heemskerk. De
geslachtsnaam heeft dus in dit geval den plaatsnaam, de oud-
ingezetene van Munnikereede heeft, in zijne nakomelingen, het
stedeke zelf overleefd. En zelfs de spotnaam waarmede de oude
Munnikereeders in de middeleeuwen door andere Vlamingen
werden genoemd, is ons nog overgeleverd geworden en bewaard
gebleven.

Daar zijn nog oudere Vlaamsche spotnamen bekend, dan dezen van
1560. In de Anzeiger für Kunde der Teutschen Vorzeit, jaargang
1835, bladzijde 299 vindt men een lijstje van die namen
medegedeeld, ’t welk volgens de meening van sommige geleerden
tusschen de jaren 1347 en 1414 moet zijn opgesteld. Deze
middeleeuwsche spotnamen zijn in hoofdzaak de zelfden als die
men in „den langhen Adieu” vindt opgesomd. Sommigen echter
wijken in meerdere of mindere mate af van de namen in dat [81]rijm
voorkomende. Zoo heeten in dit middeleeuwsche lijstje de
ingezetenen van Poperingen V a c h t p l o t e r s , terwijl Eduwaert
de Dene ze V a c h t p l u c k e r s noemt; die van Meenen
P e l s m a k e r s , tegenover de C a n d e e l e t e r s van de Dene; die
van Werveke V e r w a t e n l i e d e n , tegenover de
D r o o g h a e r t s van de Dene; die van Deinse G a r e n c o e p e r s
tegenover de C a e r d e m a e c k e r s van de Dene. En er worden in
het oude lijstje ook eenigen genoemd, die de Dene niet heeft; bij
voorbeeld de W a f e l e t e r s van Bethune, de U t r e c h t s c h e
V l a m i n g e n van de Vier-Ambachten, de P l a t t e G e s e l l e n
van Sleedingen (hedendaags Sleidinge), de D a n s e r s van
Everghem, de S c i p h e e r e n van der Sluus, de T u u s c h e r s van
Theemsche (hedendaags Temseke), en anderen.

Ook in dit lijstje vinden de taalgeleerde en de geschiedkundige veel


van hunne gading, ter verklaring; zoo als de T u u s c h e r s (Ruilers,
in ’t hedendaagsche Friesch nog túskers, tyskers) van Temseke en
de S c i p h e e r e n van der Sluus. Deze laatste naam dagteekent uit
den middeleeuwschen tijd, toen het hedendaagsche stille en
vervallene stedeke Sluis, thans tot het Zeeuwsche deel van
Vlaanderen, dus tot Noord-Nederland behoorende, eene bloeiende
Vlaamsche handelsstad was, de mededingster van het naburige
Brugge. Vele rijke reeders (S c i p h e e r e n ) woonden toen daar.

En dan de U t r e c h t s e V l a m i n g e n van de Vier-Ambachten, die


nog herinneren aan den overouden tijd toen de noordelijkste gouw
van Vlaanderland, in de middeleeuwen de Vier-Ambachten
genoemd, en thans Zeeuwsch-Vlaanderen, soms ook nog Staatsch-
Vlaanderen geheeten, in het kerkelijke niet tot een Vlaamsch bisdom
(Gent of Brugge) behoorden, maar tot het aartsbisdom van Utrecht.
In deze gouw toch was de bevolking in de vroege middeleeuwen
hoofdzakelijk van Frieschen bloede, en de Friezen bewesten
Lauwers en bewesten Flie behoorden, sedert ze Christenen waren,
tot dat aartsbisdom. Van daar dat de Vlamingen van Hulst en Aksel,
van Biervliet en Aardenburg hier U t r e c h t s c h e V l a m i n g e n
worden geheeten. Men zie over deze zaak mijn werk Oud
Nederland, de aanteekeningen op bladzijden 109 en 110.
De ingezetenen van Duinkerke worden in den Langhen Adieu [82]en
eveneens in dit oude lijstje C o n y n e t e r s genoemd, en deze naam
is voor lieden die midden in het duin, midden in die meest geliefde
verblijfplaats der konijnen wonen, en die aan die ligging in de duinen
zelfs den naam hunner stad ontleend hebben, zeker zeer
eigenaardig en gepast. Ik zelf echter, eenige jaren geleden een en
ander maal te Duinkerke vertoevende, en daar den luiden vragende
naar hunnen spotnaam, en naar die van andere Fransch-Vlamingen,
kreeg telkens ten antwoord: K e u n e t e r s van Duunkerke. 15 Hieruit
blijkt dat keun de Vlaamsche benaming is van konijn; en in der daad
vinden we ook in De Bo’s Westvlaamsch Idioticon het woord keun
voor konijn aangegeven. De ingezetenen van het dorp Heist op Zee,
bij Brugge, en dat ook midden in het duin aan zee gelegen is (als
Zandvoort), dragen heden ten dage almede den spotnaam van
K e u n s (Konijnen). Door onze taalgeleerden wordt ons
hedendaagsch algemeen Nederlandsch woord konijn voorgesteld
als afgeleid of herkomstig van het Latijnsche woord cuniculus. Het is
toch opmerkelijk, ja, het komt mij zonderling voor, zelfs ongelooflijk,
dat zulk een algemeen bekend inlandsch dier als het konijn is, dat bij
duizendtallen in onze zeeduinen, en ook binnen ’s lands op
heidevelden en in woeste, zandige streken leeft, niet eenen
oorspronkelijk Nederlandschen, oorspronkelijk Dietschen, niet eenen
echt Germaanschen naam zoude hebben. Is misschien dit
Westvlaamsche keun de eigenlijke, de oorspronkelijk Dietsche naam
van het konijn? En moet men ons hedendaagsch woord konijn dan
als een oude verkleinvorm van keun (koon, kone) beschouwen?
Heeft ons woord konijn dan misschien niets met het Latijnsche
woord cuniculus te maken? En hebben dan, juist andersom, de
Romeinen hun woord cuniculus misschien afgeleid van ons woord
keun? Allemaal vragen, die ik niet beantwoorden kan, maar die den
taalvorscher zeker belangstelling zullen inboezemen. [83]
De ingezetenen van sommige gewesten, landstreken en eilanden in
hun geheel, ja sommige volken hebben ook wel hunne spotnamen.
Ook hierop wil ik nog kortelijk wijzen. Zoo heeten de Friezen
S t ij f k o p p e n , Noord-Bevelanders bij de andere Zeeuwen
P e e v r e t e r s , en de Zuid-Bevelanders P a d d e l a n d e r s .
(Peeën, dat is Zeeuwsch voor wortelen—de gewone als spijs
gebruikte wortelen van Daucus carota, en beetwortelen). De
opgezetenen van ’t eiland Walcheren in ’t bijzonder, op welk eiland,
naar men zegt, geen kikvorschen en geen padden voorkomen,
noemen dus het eiland Zuid-Beveland, waar deze amphibiën wel
gevonden worden, smadelijk ’t P a d d e l a n d . Die van Texel heeten
K w a l l e n , en die van Wieringen S k e p e n (Schapen), ’t is op bl.
62 en 63 reeds vermeld.

De Engelschman J o h n B u l l , de Franschman J e a n
P o t a g e e n zijn wijf M a r i a n n e , J a n t j e - K a a s de Hollander
(door Vlamingen en Brabanders zoo genoemd) en de Duitsche
M i c h e l of H a n s - M i c h e l zijn overbekend. Overbekend is ook in
onze dagen de spotnaam R o o i n e k en R o o i b a a i t j i e , dien
onze Zuid-Afrikaansche stamgenooten den Engelschman geven. De
Hollanders in ’t bijzonder hebben ook nog eenen bijzonderen
spotnaam voor den Duitscher, dien ze M o f noemen. Naar den
oorsprong van dezen naam is door velen vruchteloos gezocht.
Opmerkelijk is het dat de Duitschers, die langs onze oostelijke
grenzen wonen, dien spotnaam M o f (zij zeggen M u f ) wederkeerig
op de Nederlanders toepassen, en ons H o l l a n d e r - M u f
noemen; zie Ten Doornkaat Koolman, Wörterbuch der
Ostfriesischen Sprache, waar almede eene verklaring van dit woord
Muf of Mof te vinden is. De Nederlanders noemen geheel
Duitschland wel M o f f r i k a , maar de Duitschers zelven geven dien
naam M u f f r i k a in ’t bijzonder aan eene kleine gouw, langs onze
grenzen zich uitstrekkende, aan het zoogenoemde Nedersticht van
Munster, tusschen Oost-Friesland en Bentheim gelegen, en de
stadjes Meppen en Lingen met omstreken omvattende.

De Friezen hebben nog eenen bijzonderen spotnaam voor de


Duitschers in ’t algemeen; zij noemen dezen P o e p e n . Dit woord
poep is een bijzonder, een raadselachtig woord. Dat het niet het
woord poep is, in de gewone algemeen Nederlandsche volks- vooral
kinderspreektaal van bekende beteekenis, blijkt hieruit dat de
Friezen beide woorden nauwkeurig in uitspraak onderscheiden.
[84]Zij, met hun fijn en nauwkeurig onderscheidend taalgehoor,
spreken in den spotnaam P o e p dit woord uit met den zeer duidelijk
hoorbaren t w e e klank oe; terwijl ze, waar dit woord de andere
beteekenis heeft, slechts eenen enkelvoudigen klank laten hooren,
de u der Duitschers, de ou der Franschen. Uit nauwkeurige, en
steeds strikt volgehoudene onderscheid in uitspraak tusschen den
enkelvoudigen en den twee-klank oe, dat zoowel den Friezen als
den West- en Zee-Vlamingen thans nog bijzonder eigen is, maar
oudtijds algemeen Dietsch moet geweest zijn, verbiedt om aan te
nemen dat dit woord poep in beide beteekenissen van een en den
zelfden oorsprong zoude zijn. Maar wat het woord poep als
spotnaam dan wel zijn mag, van oorsprongswegen, het is mij niet
gelukt dit uit te vorschen.

De Friezen geven den naam P o e p wel aan de Duitschers in het


algemeen, maar in ’t bijzonder aan den Westfaalschen grasmaaier
en aan den Westfaalschen koopman in kleedingstoffen en
kleedingstukken, die met een groot pak van zijn koopwaar op den
rug, het Friesche platteland afreist, en die, ter onderscheiding van
zijnen landsman den grasmaaier, door de Friezen
F y n d o e k s p o e p genoemd wordt.

Overdrachtelijk noemt men in de Friesche gewesten (immers


Groningerland doet hierin mede, volgens Molema’s Woordenboek
der Groningsche volkstaal) een paard of eene koe van Duitsch,
gewoonlijk Oldenburgsch, zoogenoemd Bovenlandsch ras, ook
p o e p ; en zelfs eene bijzondere soort van aardappelen, ook van
Duitsche herkomst, en die anders wel „Munsterlanders” heeten,
noemt de Friesche boer p o e p e n . Ja, onze Friesche zeeman geeft
zelfs aan een schip (kof of tjalk), dat in Oost-Friesche en Weser-
Friesche havens thuis behoort, en dit door geringe afwijkingen in
bouw en tuig bemerkbaar doet zijn, den naam van p o e p .

Ook in noordelijk Noord-Holland, almede oorspronkelijk eene


Friesche gouw, is de spotnaam P o e p , G r a s p o e p , G r o e n e
P o e p voor den Duitschen Grasmaaier in gebruik, volgens Dr. G. J.
Boekenoogen’s werk De Zaansche Volkstaal, en volgens J.
Bouman’s werk De Volkstaal in Noord-Holland.

De echte Friezen in ’t land tusschen Flie en Lauwers beperken


hunnen spotnaam P o e p niet enkel tot de Duitschers. Ook de
Groningerlanders en de Drenten noemen ze P o e p e n , en [85]zelfs
de ingezetenen van de Friesche dorpen Kollum en Burum (in
uitspraak Boerum), die, ofschoon nog bewesten Lauwers wonende,
toch niet de zuivere Friesche taal spreken, maar eenen gemengden
tongval, een overgang van het Stad-Friesch tot het
Groningerlandsch—zelfs dezen moeten zich den spotnaam
P o e p e n laten welgevallen, alsof ze, door hunnen afwijkenden
tongval, reeds halve Groningerlanders, en alsof de
Groningerlanders, met hun Friso-Sassisch bloed en met hunne
Friso-Sassische gouwspraak reeds halve Duitschers waren.

Opmerkelijk is het, dat men dit woord P o e p als spotnaam ook hier
en daar elders in de Nederlanden terug vindt. De ingezetenen van
Deventer toch dragen bij de andere Overijsselaars en bij de
Gelderschen in hunne nabuurschap ook dezen naam. En ook de
Zeeuwen noemen hunne Vlaamsche en Brabantsche naburen
P o e p e n . Zoo hoorde ik in 1869 door een paar burgers van Goes
zeggen, van een gezelschap boeren en boerinnen uit de polders van
Zandvliet bij Antwerpen, die door ’t stadje Goes ronddwaalden: „’t
zijn maar P o e p e n ,” eenigszins minachtender wijze, juist zoo als
de Friezen spreken van de Duitschers. Volgens van Dale (zelf een
Zeeuwsche Vlaming), Nieuw Woordenboek der Nederlandsche taal,
is p o e p een scheldnaam dien de bewoners van Zuid-Beveland aan
de bewoners van Zeeuwsch-Vlaanderen geven. En volgens De Bo’s
Westvlaamsch Idioticon noemt men in West-Vlaanderen „iemand die
weinig verstand of weinig moed heeft,” een „dwazerik” dus, of een
„lafaard”, een „p o e p g a a i .”

De oorsprong en de verspreiding van dezen raadselachtigen


spotnaam P o e p uit te vorschen, zal zeker wel de moeite loonen.

Als eene bijzondere uiting van volkseigenaard en van speelsch


volksvernuft, dienen ten slotte nog vermeld te worden eenige
rijmkes, die van sommige gouwen en eilanden, van sommige steden
en dorpen, ook van groepen van nabij elkanderen gelegene
plaatsen, bij het volk bekend zijn, en die als ter kenschetsing dienen
van sommige bijzonderheden, aan die gouwen en plaatsen eigen.
Deze rijmkes zijn uit de zelfde bron gevloeid, waaruit ook de
spotnamen ontstaan zijn; zij komen er in aard en strekking,
veelvuldig ook in oorsprong en in eigenaardig wezen mede overeen,
ja, zijn eigenlijk slechts als eene uitbreiding [86]daarvan te
beschouwen. Ik wil slechts enkele van die rijmkes hier mededeelen,
om de aandacht daarop te vestigen van navorschers, van allen die
belang stellen in volkseigene zaken, en die zulke zaken nog in tijds
behouden willen, eer de nieuwe tijd ze uit het geheugen der
menschen zal hebben doen verdwijnen.
Over al de Nederlanden zijn deze rijmkes verspreid, en, even als de
spotnamen, ook over Oost-Friesland en andere nabij gelegene
gouwen van naburige landen, waar de bevolking met die van onze
eigene gewesten zoo menig punt van overeenkomst heeft, of
daarmede oorspronkelijk eenzelvig is. Een enkel van die
Oostfriesche rijmkes, de stad Aurik betreffende, is reeds op bladzijde
58 hiervoren medegedeeld. Anderen uit de Friesche gewesten
beoosten Eems kan men vinden in Kern en Willms, Ostfriesland
wie es denkt und spricht (Norden, 1869). Een paar rijmkes van ’t
Ameland vindt men op bladzijden 27 en 28 hiervoren vermeld. Een
paar andere uit Friesland zijn nog:

Oostergoo het land,


Westergoo het geld.
De Wouden het verstand,
De Steden het geweld.

Hier wordt op geestige wijze het kenmerkende van de drie gouwen,


Oostergoo, Westergoo en de Zevenwouden, waarin Friesland
tusschen Flie en Lauwers van ouds her verdeeld is, met de elf
steden, uiteengezet.

Dokkum is een oude stad,


Een oude stad boven maten;
Daar verkoopt men anders niet
Als taai en ook garnaten.

In der daad, de stad Dokkum dagteekent reeds uit zeer ouden tijd;
reeds ten jare 754 verkondigde Sint-Bonifacius daar het Evangelie.
Het Dokkumer taai, eene soort van grof Sint-Nicolaasgebak, is in
geheel Friesland vermaard. En wat de Dokkumer garnaten
(garnalen) aangaat, daar moet men maar niet te luide van spreken,
als er Dokkumers bij zijn (zie bladzijde 21 en vervolgens). [87]
Zeer aardig kenschetsend zijn deze twee rijmkes, van een
Utrechtsch en van een Noordbrabantsch dorp:

Neêr-Langbroek,
Die schrale hoek!
Daar wonen niets dan edellui
En bedellui,
Ridders
En broodbidders;
Daar staan anders niet als kasteelen en nesten,
Sterkenburg is het beste.

Loon-op-Zand,
Licht volk, licht land;
Ze schooien den kost.
En ze stelen den brand. 16

Tamelijk onbeduidend daarentegen is het volgende rijmke van drie


Zeeuwsch-Vlaamsche dorpen Breskens, Schoondijke en de Groede:

De Bressianen
Zijn hanen,
Maar voor Schoondijke
Moeten ze wijken,
En komen die van de Groe,
Dan houden ze beter hun deuren maar toe!

Veelal heerscht in deze rijmkes een schimpende, smalende toon


tegenover andere naburige plaatsen, afgewisseld met lof voor de
eigene woonplaats. Bij voorbeeld uit Drente:

Koevorden is een fraaie stad,


Dalen is een moddergat,
Wachtum is een eendepoel,
Hesselen is een koningsstoel.

Of uit Overijssel en Gelderland:

Deventer is een koopstad,


Zutfen is een loopstad,
Lochem is nog wat,
Maar Borkeloo is een hondegat.

[88]

Van groote ingenomenheid met zich zelven getuigt het volgende rijm
van sommige Noordhollandsche steden, dat bij de
Monnikendammers in zwang is:

Amsterdam ligt aan het IJ,


Monnikendam daar wonen wij;
Edam is een nest,
Hoorn doet zijn best,
Enkhuizen staat op tonnen.
Medemblik heeft het gewonnen.

Aardig is het rijmke van Kootwijk, een zeer nederig dorpke op de


Veluwe:

Kootwijk is een zoetendal,


En die er is die blijft er al.

Zoetendal, ten Sueten dale—dat klinkt zoo middeleeuwsch liefelijk!


Wie weet hoe oud dit rijm al is!

Ten slotte kan ik nog een zeer bijzonder rijm hier mede deelen, dat
betrekking heeft op de Friesche eilandenreeks die zich uitstrekt
tusschen de Weser en het Marsdiep, en dat door mij is
opgeschreven uit den mond van eenen Frieschen schipperszoon,
die met de tjalk van zijnen vader wel oostwaarts naar Emden,
Bremen en Hamburg, en wel zuidwaarts naar Amsterdam,
Rotterdam, Dordrecht en Antwerpen voer. Het rijm is niet in de
eigenlijke Friesche taal opgesteld, maar in het zoogenoemde Stad-
Friesch of „Stêdsk”, dat is Oud-Dietsch met Friesche woorden en
woordvormen vermengd, en met eenen Frieschen mond
uitgesproken.

Wrangero de skoone,
Spikeroog de krone,
Langeroog is ’n butterfat
En Baltrum is ’n sangat.
En de Norderneyers frete har mar half sat
Juust dat is ’n rooverland;
En Borkum is ’n tooverland;
Rottumeroog is ’n klein land,
Mar Skiermonnikoog is sterk bemand:
De Amelander skalken
Hewwe stolen drie balken,
Avons in ’e maneskijn,
Daarom sal ’t har wapen sijn. [89]
Skilingen het ’n hooge toren,
Flielan het siin naam ferloren,
Tessel is mar ’n seegat,
De Helderse T r a a n b o k k e n segge dat.

Eenige opmerkingen mogen dit rijm nader toelichten.

Wrangero (ook de visscherlieden van Urk, die ter uitoefening van


hun bedrijf op de Noordzee wel tot bij dit eiland komen, spreken
dezen naam nog op deze Oud-Friesche wijze uit)—Wrangero is een
oude en zeer goede, oorspronkelijk Friesche naamsvorm, ouder en
beter dan Wangeroog of Wangerooge, zoo als dit eiland thans in ’t
geijkte Nederlandsch en Hoogduitsch heet. Oudtijds woonde aan
den vasten wal, aan de Noordzeekust waar dit eiland tegenover ligt,
westelijk van den Wesermond, een Friesche volksstam, Wranger-
Friezen genoemd. (Hunne rechtstreeksche nakomelingen wonen
daar nog heden in het thans zoo genoemde Jeverland en
Butjadingerland). Toenmaals noemde men het land dier Wranger-
Friezen Wrangerland, en het eiland daarnevens in de Noordzee:
Wrangero, Wranger-o. De woordvormen o, oe (eu) ei (in ons woord
eiland nog bestaande en in den eilandsnaam Nordernei eveneens)
zijn oorspronkelijk eenzelvig met het hedendaagsche oog, in
Süderoog (Noord-Friesland), Wangeroog, (Weser-Friesland),
Langeroog (Oost-Friesland), Schiermonnikoog (Friesland tusschen
Flie en Lauwers), Valkoog (West-Friesland of Noord-Holland), enz.

Skilingen is de Friesche naamsvorm voor ’t eiland ter Schelling,


beter Schellingerland, dat in het dorp Wester-Schelling in der daad
eenen zeer hoogen toren heeft, de vuurtoren of Brandaris, die het
geheele zeegat van ’t Flie verlicht.

Flieland heeft althans voor de helft zijnen naam verloren. De


westelijke helft van dit eiland, met het aldaar gelegene dorp West-
Flieland is in de 17de eeuw ten deele, maar in de vorige eeuw
volkomen door de zee vernield en weggeslagen. Er is daar nog maar
eene zandplaat van over, die nu de Hors heet. Inderdaad, „Flieland
heeft zijn naam verloren.”

Dit is het einde van mijn opstel over spotnamen, spotrijmen, enz.
Mogen anderen hierin aanleiding vinden dit belangrijke onderwerp
nog eens beter en uitvoeriger te behandelen. [90]
[Inhoud]

BRONNEN EN LITTERATUUR OVER


SPOTNAMEN, ENZ.

Het tijdschrift De Navorscher (Amsterdam, 1851 en vervolgens), in


verschillende jaargangen. Men zie de Algemeene Registers, op
„Namen (Nederlandsche Spot- en Scheldnamen).”

Ons Volksleven. Tijdschrift voor taal-, volks- en oudheidkunde, onder


leiding van Jos. Cornelissen en J. B. Vervliet. Brecht (bij
Braeckmans, 1889 en vervolgens) in verschillende jaargangen.

A. Mertens, Iets over de spotnamen onzer Belgische steden.


Antwerpen, 1847.

Friesland en de Friezen (Plaatselijke schimpnamen). Leeuwarden,


1877.

Dr. E. Laurillard, Vlechtwerk. Amsterdam, 1880. Idem,


Sprokkelhout. Amsterdam, 1887. Idem, Op uw’ stoel door uw land.
Amsterdam, 1891. [91]

1 Vermoedelijk komen soortgelijke spotnamen als de Nederlandsche, wel in alle


landen en bij alle volken voor. Eenigen van die namen uit Duitschland vindt men
vermeld in het Korrespondenzblatt des Vereins für Niederdeutsche
Sprachforschung, VIII, 47; en anderen uit Frankrijk in De Navorscher, XV, 318. En
wat Engeland aan gaat, de spotnaam van de Londenaars, Cockneys, is daar
algemeen bekend. ↑
2 De Dokkumer kleermaker spreekt hier natuurlijk ook de dagelijksche spreektaal
van Dokkum—dat is: gewoon stad-Friesch, met enkele bijzonderheden. Bij
voorbeeld: Luwarden en sil, waar de Leeuwarders Leewarden en sal zeggen. Ook
brengt de Dokkumer tongval meê, dat de lange a eenigermate naar den aai klank
zweemende wordt uitgesproken. Van daar dat andere Friesche stedelingen de

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