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GIULIANO DI BERNARDO

LA MIA VITA IN MASSONERIA


In copertina

Gioiello del Gran Maestro dell’Ordine degli Illuminati

© 2021 by Giuliano Di Bernardo

Prima edizione 2021

giuliano.dibernardo15@gmail.com
LA MIA VITA IN MASSONERIA

Per comprendere la mia visione della Massoneria, è necessario riflettere su


alcune svolte fondamentali nel mio percorso massonico.
Io sono stato iniziato nella Loggia “Risorgimento-8 Agosto” di Bologna
nel 1961. Il mio sogno di diventare massone finalmente si era realizzato. Un
sogno che Arnaldo Nannetti, un massone toscano, aveva suscitato in me
quando ero ancora adolescente.
Era quello il tempo delle grandi intuizioni filosofiche. La conoscenza
della natura umana aveva un posto privilegiato nelle mie riflessioni.
Immaginavo che l’uomo non nasce né buono né cattivo: nasce
semplicemente. Saranno il suo patrimonio genetico e l’ambiente (naturale e
sociale) in cui vive a plasmarlo. Questa vaga intuizione ha trovato una
giustificazione razionale nell’antropologia filosofica che ho descritto nel
volume La conoscenza umana. Dalla fisica alla sociologia alla religione
(Marsilio, 2010).
Nella mia adolescenza, l’unica certezza che avevo è che solo con
l’intelletto avrei potuto realizzare i progetti che già allora erano ambiziosi.
Partivo da una posizione iniziale molto difficile sia socialmente sia
economicamente. Ero, però, sorretto da una volontà ferrea. Mi sentivo come
lo schiavo fuggito dalla Caverna di Platone: esterrefatto, intimorito andavo
verso la scoperta delle verità della vita.
Era il tempo in cui ricercavo nella filosofia le risposte ai grandi quesiti
sul mondo, la vita e l’uomo. La filosofia mi affascinava ma mi lasciava
insoddisfatto per la sua astrattezza rispetto alla condotta pratica dell’uomo.
L’arrivo di Arnaldo Nannetti è stato provvidenziale poiché egli mi ha
svelato e trasmesso, con entusiasmo e profondo convincimento, i principi e
la ritualità della Massoneria. La Massoneria mi apparve come anello di
congiunzione tra l’astrattezza della speculazione filosofica e la realtà storica
e contingente della vita.
Ne ero affascinato. Nannetti, con le sue narrazioni massoniche, mi
trasferiva il suo entusiasmo. Un giorno mi propose di costituire a Penne, la
cittadina alle pendici del Gran Sasso dove ero nato e vivevo, un
“Triangolo”. Mi spiegò che, secondo antiche usanze, tre massoni possono
formare il primo nucleo di una Loggia. Per quel che mi riguardava, non
avendo ancora raggiunto la maggiore età (21 anni), avrebbe dovuto chiedere
al Gran Segretario del Grande Oriente d’Italia la dispensa per la mia
iniziazione. La mia immaginazione era irrefrenabile. Era necessario, però,
trovare il terzo lato del Triangolo. Nannetti considerava la Massoneria un
mondo segreto da rivelare solo ai candidati. Coerentemente, non intendeva
parlarne con altri. Spettò a me il compito di trovare il terzo componente.
Avevo alcuni amici fidati con cui confidarmi. Ne scelsi uno e cominciai a
trasmettergli l’idea che mi ero fatto della Massoneria. Ero certo che l’
avrebbe fatta sua. Non fu così. Nonostante il suo impegno per
comprenderla, non riuscì a fugare i dubbi e le incertezze. Il “Triangolo” non
sarebbe mai stato costituito. La mia iniziazione sarebbe stata rinviata di
alcuni anni.
Avevo scoperto un mondo misterioso che, a volte, lasciava tracce nella
società. Il Grande Oriente d’Italia, ogni anno, celebrava il “20 Settembre”
con un manifesto che veniva affisso anche nei piccoli centri e recava la
firma del Gran Maestro. In quegli anni, le firme erano di Publio Cortini e di
Umberto Cipollone. Leggendo quei manifesti, sapevo come interpretarli e
ne ero orgoglioso.
Intanto si avvicinava il 1958 e il trasferimento della mia famiglia a
Bologna. Arnaldo Nannetti scrisse una lettera al Gran Segretario del Grande
Oriente d’Italia e gli chiese di ricevermi. La sua intenzione era quella di
darmi un mentore nella città dove avrei vissuto.
Mi recai a Roma in Via Giustiniani 5, sede ufficiale del Grande Oriente
d’Italia. Nell’atrio, c’erano la bandiera italiana, un labaro e alcune foto.
Salii le scale e fui condotto nella sala d’aspetto. Poco dopo entrai
nell’ufficio del Gran Segretario, che si chiamava Nannetti come il mio
mentore abruzzese. Mi guardò con curiosità e mi disse: “dalla descrizione
che Arnaldo mi ha fatto di te, non avrei mai immaginato di vedere un
ragazzino”. Mi fece accomodare e mi chiese per quali motivi ero interessato
alla Massoneria. Non so per quanto tempo parlai e che cosa dissi. Alla fine,
prese carta e penna e scrisse una lettera di presentazione per Carlo Manelli,
un massone che aveva contribuito alla rinascita della Massoneria in Italia,
fulgido esempio della Massoneria bolognese.
Il mio trasferimento a Bologna avvenne il 20 settembre del 1958. Passai
tutto il giorno su un camion che portava i mobili. Durante il viaggio, lessi la
rivista “Oggi” che era in gran parte dedicata alle discussioni sulla Legge
Merlin, appena approvata, riguardante la chiusura delle case di tolleranza.
Ricordo che un fautore dell’apertura aveva aspramente criticato la Legge
citando Tommaso d’Aquino, che aveva scritto: “togli la prostituzione dalle
cose umane e scatenerai dovunque disordini a causa della libido”.
Alcuni giorni dopo, telefonai a Manelli, mi presentai e chiesi di poterlo
incontrare. Abitava in Via Val d’Aposa, nel centro di Bologna. Nannetti gli
aveva parlato di me e mi aspettava. Quando bussai alla sua porta, venne ad
aprirmi un’anziana domestica che mi condusse in un salottino
elegantemente arredato con mobili dell’Ottocento. Poco dopo apparve un
uomo di età avanzata (aveva circa 80 anni) ma pieno di vigore. Mi guardò
stupito e mi disse in dialetto bolognese: “ma tu sei un ragazzino”. Ha
continuato a chiamarmi “ragazzino” anche quando sono diventato Gran
Maestro. E’ morto all’età di 103 anni.
Manelli era curioso di conoscermi. Anche se il mio aspetto era quello di
un ragazzino, il Gran Segretario mi aveva presentato e raccomandato.
Dentro di me doveva esserci qualcosa che lui voleva scoprire. Ma anche io
volevo sapere chi fosse lui. Non fu necessario chiederlo perché mi parlò
della sua vita in Massoneria, dalle persecuzioni del Fascismo al ruolo svolto
accanto al Gran Maestro Ugo Lenzi, che lo aveva voluto come Gran
Segretario. A dir la verità, rimasi deluso perché mi aspettavo di conoscere
non un uomo di esperienza ma di cultura. Perché il Gran Segretario mi
aveva indirizzato a lui pur sapendo che i miei interessi per la Massoneria
erano prevalentemente dottrinali? Poco tempo dopo, compresi le sue ragioni
e gliene fui grato.
Nel nostro secondo incontro, Carlo Manelli mi chiese di entrare in
Massoneria e mi fece compilare la domanda di ammissione. M’informò che
sarebbe iniziata la procedura della “Tegolatura” mediante cui tre massoni
mi avrebbero incontrato periodicamente per comprendere se vi fossero le
condizioni per la mia iniziazione. La mia tegolatura è durata circa un anno,
con incontri quindicinali. Un giorno Manelli mi disse che tutto era pronto
per la mia iniziazione. Il momento tanto atteso era finalmente arrivato.
L’indirizzo della casa massonica mi fu rivelato solo alcune ore prima
dell’inizio dei lavori. Al di fuori del portone di un maestoso palazzo, c’era
una persona ad attendermi. In silenzio, salimmo le scale e fui introdotto nel
“Gabinetto di riflessione”, un’angusta stanza alle cui pareti erano raffigurate
immagini e scritte che dovevano richiamare l’attenzione dell’iniziando sulla
gravità della decisione che stava per prendere. Vi erano un tavolo e una
sedia. Sul tavolo, troneggiava un foglio su cui era rappresentato un
triangolo. Ai tre lati era scritto: “quali sono i doveri verso me stesso”, “quali
sono i doveri verso la patria” e “quali sono i doveri verso l’umanità”.
Dovevo scrivere le risposte che sarebbero state valutate dai fratelli della
Loggia. Vi sarebbe stata l’iniziazione solo se il giudizio fosse stato positivo
all’unanimità. Dopo circa un’ora, una persona con i paramenti massonici,
sempre in silenzio, venne a ritirare il foglio che si chiama “Testamento”. Mi
disse di attendere. All’improvviso, la porta si aprì e mi si chiese di
spostarmi in un’altra sala, dove mi furono tolti la giacca, la cravatta e tutti
gli oggetti personali. Prima di entrare nel Tempio, mi sarei dovuto spogliare
di tutto ciò che mi teneva vincolato al mondo profano. Mi legarono le mani,
mi bendarono e mi misero un cappio intorno al collo. Fui introdotto nel
Tempio e cominciò la mia iniziazione. Anche se cercavo di capire
razionalmente ciò che accadeva intorno a me, il coinvolgimento emotivo
era sempre dominante. Sentivo le voci che scandivano i passaggi del rituale,
tra cui quella di Manelli che sovrastava tutte le altre. A un certo momento,
mi fu tolta la benda che copriva gli occhi. Mi guardai intorno e vidi figure
umane, con le insegne massoniche, che mi osservavano severe ma
compiaciute. Manelli era stato il Venerabile che aveva diretto la mia
iniziazione. Finiti i lavori rituali, tutti si congratularono con me. Era il 15
maggio del 1961.
La mia Loggia, denominata “Risorgimento-8 Agosto”, una delle più
antiche del Grande Oriente d’Italia fondata nel 1886, si riuniva
settimanalmente il venerdì. Si svolgevano i lavori rituali e si tornava a casa.
Una volta al mese si organizzavano incontri profani anche con i fratelli
delle altre Logge. In tal modo, ho potuto conoscere i fratelli della mia e
delle altre Logge anche nelle loro attività profane. Scoprii che erano
professionisti (medici, avvocati, ingegneri), imprenditori, politici (anche
parlamentari), professori (prevalentemente dell’università), tutti ben noti in
città. Stare in loro compagnia significava imparare tante cose importanti. La
“levigazione della pietra grezza” all’interno del Tempio trovava
corrispondenza nelle riunioni profane e si completavano a vicenda. I primi
anni di appartenenza alla Massoneria sono stati tra i più significativi della
mia vita, anche se non mancavano incomprensioni e ostacoli. Uno stato di
perfetta armonia non esiste nelle vicende umane.
Il perfezionamento del massone avviene mediante il passaggio ai Gradi
superiori di conoscenza. Nel Grande Oriente d’Italia, come in tutte le
Massonerie, esistono tre Gradi: Apprendista, Compagno e Maestro. Con
l’iniziazione, si diventa Apprendista. Per passare al Grado di Compagno, l’
Apprendista deve dimostrare di “aver ben inteso l’Arte”. Ciò avviene
mediante il giudizio positivo delle “Luci” di Loggia, cui fa seguito la
cerimonia di Passaggio. Per quanto mi riguardava, il passaggio avvenne in
tempi brevi. Tuttavia, la mia elevazione al Grado di Maestro fu più lunga
del solito. Per diventare Maestro, non basta più il semplice giudizio delle
“Luci” ma il candidato deve compilare una “Tavola” per dimostrare la sua
preparazione. Manelli mi chiese di preparare una Tavola sul percorso
storico dell’umanità. Avevo letto da poco un libro di Rodolfo Mondolfo,
storico e filosofo, in cui egli esprimeva il concetto di “filo rosso della
storia”, per intendere una narrazione dell’umanità dal punto di vista del
Socialismo, di cui era un eminente assertore. Presi lo spunto da Mondolfo e
scrissi una Tavola intitolata “Il filo rosso della storia umana”. Dopo la sua
presentazione in Loggia, si produssero due conseguenze diametralmente
opposte: una condivisione entusiasta e un’avversione radicale. Cominciai a
capire che il mio percorso massonico sarebbe stato caratterizzato da ferventi
sostenitori e da irriducibili oppositori.
Tra i più convinti oppositori, vi era l’avvocato Giovanni Lenzi, figlio
del Gran Maestro, il quale non comprese che stavo presentando non la mia
visione ma una possibile interpretazione della storia umana e mi accusò di
essere un comunista. La proposta di Manelli di elevarmi al Grado di
Maestro fu così respinta. Ci vollero due anni ma, alla fine, Manelli riuscì a
convincerlo e divenni Maestro.
Questo episodio mi aveva aperto gli occhi su un aspetto della
Massoneria che ignoravo: il suo anti-comunismo. E’ vero che Giovanni
Lenzi e coloro che lo sostenevano avevano rivelato un viscerale anti-
comunismo, ma altri la pensavano in maniera opposta. In ogni caso,
prendevo atto che nella Massoneria esisteva una fazione che ostentava
l’anti-comunismo. Per me fu una delusione. Fino ad allora, non mi ero mai
posto il problema della visione politica della Massoneria. Avevo
interpretato la sua universalità come un modo di stare al di sopra delle parti
della politica. Conoscevo intellettuali comunisti che erano più che degni di
entrare in Massoneria. Perché escluderli a priori? Inoltre, l’atteggiamento di
radicale condanna di Lenzi nei miei confronti malamente si accordava con
l’afflato di fratellanza che la Massoneria aveva sempre propugnato. A poco
a poco, cominciavo a capire che l’immagine della Massoneria che viveva
nel mio intelletto era espressione di un’idealità che non sempre trova
completa corrispondenza nella realtà.
Il 1961 fu l’anno non solo della mia iniziazione ma anche dell’elezione
a Gran Maestro di Giordano Gamberini. La rinascita della Massoneria in
Italia, dopo la seconda guerra mondiale, anche se supportata dalle Gran
Logge statunitensi, avvenne in modo caotico. I rappresentanti delle più
importanti Obbedienze, rimaste dormienti durante il Fascismo, uscirono
allo scoperto e si presentarono ai fratelli di oltre oceano rivendicando la
primogenitura. Tra tutte primeggiavano la “Gran Loggia d’Italia” guidata da
Roul Palermi, la “Gran Loggia Nazionale degli Alam” al cui vertice era il
principe Giovanni Aliata di Montereale e il Grande Oriente d’Italia
governato da un “Comitato di Maestranza” composto da Umberto Cipollone
(che sarà Gran Maestro pro tempore dal 5 gennaio 1949 al 18 marzo dello
stesso anno), Guido Laj (vice-sindaco di Roma) e Gaetano Varcasia. Ugo
Laj sarà eletto primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (1945-
1948). Con il suo successore, il bolognese Ugo Lenzi (1949-1953), il
Grande Oriente d’Italia sarà riconosciuto dalla Confederazione delle Gran
Logge degli Stati Uniti come unica, legittima e regolare. La Massoneria
statunitense ha cercato di riunire le Obbedienze italiane ma gli esiti sono
stati disastrosi.
E’ proprio in questo quadro storico che avviene l’elezione di Giordano
Gamberini, che darà al Grande Oriente d’Italia un particolare impulso dal
1961 al 1970. Dopo la rinascita dai disastri del Fascismo, il Grande Oriente
d’Italia non ha saputo ritrovare l’antico splendore. Anzi, era disorientato e
incapace di uscire dall’immobilismo. Gamberini comprende tutto questo ed
elabora un progetto di rinnovamento che si articola in tre punti: sollecitare il
riconoscimento della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, riprendere i rapporti
con la Chiesa Cattolica e riunificarsi con la Gran Loggia d’Italia.
Il Gran Maestro si rende conto che il suo primo e importante compito è
quello di far uscire il Grande Oriente d’Italia dall’isolamento in cui si
trovava. I riconoscimenti delle Gran Logge statunitensi erano importanti ma
insufficienti. Bisognava andare dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra,
“madre” di tutte le Gran Logge regolari del mondo. Iniziano le relazioni
diplomatiche che porteranno al riconoscimento inglese nell’agosto del
1972, due anni dopo la fine della sua Gran Maestranza. A goderne fu il
nuovo Gran Maestro Lino Salvini.
I rapporti con la Chiesa Cattolica, fin lì basati su un radicale anti-
clericalismo, dovevano essere ripresi e migliorati. Solo Gamberini, che da
anni apparteneva alla Chiesa Cattolica di Rito Antico e Gnostico, poteva
avere tale sensibilità. Più tardi, nel 1968, parteciperà alla realizzazione della
Bibbia Concordata, a cura della “Società biblica italiana”. Il punto di vista
da cui parte è la dottrina della “conciliabilità” tra Massoneria e Chiesa
Cattolica. Da Clemente XII (con la Bolla In eminenti), la Chiesa Cattolica
ha sempre sostenuto la tesi opposta dell’inconciliabilità, mediante cui non si
può essere nello stesso tempo cattolico e massone. Gamberini cerca di
dimostrarne l’insostenibilità avviando incontri pubblici (che si svolgono
anche nei teatri) con i rappresentanti della Chiesa Cattolica che si erano
dichiarati a favore della conciliabilità. Essi sono Rosario Francesco
Esposito (un paolino che si definisce parroco dei massoni) e Giovanni
Caprile (dotto gesuita). Più tardi si aggiungerà anche il prete Franco
Molinari, che definirà la Massoneria una cattedrale laica della fraternità. Gli
incontri tra massoni e sacerdoti ebbero una vasta eco nell’opinione pubblica
e nacque la speranza che potesse esservi un riavvicinamento della
Massoneria con la Chiesa Cattolica. I vertici ecclesiastici, dal canto loro,
non si pronunciavano né a favore né contro. Lasciavano fare. La speranza
alimentata da Gamberini, tuttavia, fu definitivamente distrutta quando
apparve, il 17 febbraio 1981, una “Dichiarazione” del cardinale Joseph
Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione della Fede, che ribadiva,
senza possibilità di equivoco, la tesi dell’inconciliabilità. Gamberini, che
aveva dedicato parte della sua Gran Maestranza alla ripresa dei rapporti con
la Chiesa Cattolica, dovette ammettere il fallimento del progetto in cui
aveva creduto con profonda convinzione.
La visione della Massoneria di Gamberini era molto ambiziosa e
prevedeva anche la riunificazione con le altre Obbedienze, prima fra tutte
con la Gran Loggia d’Italia di Piazza del Gesù, governata dal Gran Maestro
Giovanni Ghinazzi. Gamberini e Ghinazzi s’incontrarono e decisero di
costituire un’apposita commissione per studiare la fattibilità
dell’unificazione. Si comprese subito, però, che Ghinazzi non voleva
rinunciare al controllo della sua Gran Loggia e pose condizioni che il
Grande Oriente d’Italia non avrebbe mai potuto accettare come
l’ammissione delle donne. E’ un fallimento ma Gamberini non vuole
arrendersi. Intanto, all’interno della Gran Loggia d’Italia avvengono
importanti cambiamenti che portano all’elezione di Francesco Bellantonio
al rango di Sovrano Gran Commendatore. Gamberini, che stava per
concludere il suo mandato, incontrò Bellantonio e insieme raggiunsero
l’accordo sulle condizione per la riunificazione. L’accordo, però, sarà
formalizzato con il nuovo Gran Maestro Lino Salvini nel 1973. In tal modo,
il Grande Oriente d’Italia diventava l’unico interlocutore nei rapporti con le
Massonerie estere. L’unità, così faticosamente raggiunta, tuttavia, durò poco
e si ebbero le solite inevitabili scissioni.
Gamberini è stato il primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia che
ne ha avuto una visione unitaria e ambiziosa. Anche se la ripresa dei
rapporti con la Chiesa Cattolica e la riunificazione con la Gran Loggia
d’Italia sono fallite, la sua Gran Maestranza ha avuto un particolare
significato e merito per la rinascita della Massoneria nel nostro paese.
Il mio primo decennio di vita massonica l’ho trascorso sotto la Gran
Maestranza di Giordano Gamberini. Quando, nel 1974, fui trasferito nella
Loggia “Zamboni-De Rolandis” di Bologna, il Gran Maestro era Lino
Salvini, che aveva della Massoneria un progetto più politico che esoterico e
dottrinale. Finiva un periodo fortunato e entusiasmante per il Grande
Oriente d’Italia. La Gran Maestranza di Salvini già annunciava la P2 e ciò
che ne sarebbe seguito.
Nel 1962, l’anno successivo alla mia iniziazione, mi sono iscritto
all’Istituto Superiore di Scienze Sociali di Trento. Fui presentato ai
Venerabili delle Logge di Trento e di Bolzano e cominciai a partecipare alle
loro riunioni. Anche qui ho trovato fratelli stimati e ben inseriti nel contesto
cittadino. La fratellanza era veramente tangibile e mi procurava esperienze,
rituali e profane, di ampio appagamento. Restavo incardinato nella Loggia
“Risorgimento-8 Agosto” anche se la frequentazione delle Logge del
Trentino-Alto Adige era sempre più attiva.
Nel 1967 mi sono laureato e nel 1968 mi sono sposato a Trento. Nei
primi anni, ho frequentato sia la Loggia di Bologna sia la Loggia di Trento.
Successivamente, ho cominciato ad avere difficoltà perché le lotte
studentesche del ’68 richiedevano un notevole impegno accademico.
Inoltre, la famiglia che stavo formando prendeva gran parte del mio tempo.
Dopo il conseguimento della libera docenza in “Metodologia delle
scienze sociali” nel 1974, Carlo Manelli mi propose di entrare nella Loggia
bolognese “Zamboni-De Rolandis”, la famosa Loggia dei professori
universitari che godeva del privilegio di poter lavorare con riservatezza.
Così, nello stesso anno, avvenne il mio trasferimento dalla Loggia
“Risorgimento-8 Agosto” alla Loggia “Zamboni-De Rolandis”. Sono
rimasto in questa Loggia fino alle mie dimissioni dal Grande Oriente
d’Italia nel 1993.
Nella Loggia “Zamboni-De Rolandis”, avvengono importanti eventi sia
positivi sia negativi.
Le rivolte studentesche del ’68 stavano ormai passando e un vento di
novità spirava nelle università italiane. L’uscita da un periodo caratterizzato
dal terrorismo faceva nascere un senso di euforia e molte iniziative culturali
venivano intraprese. Ciò avviene anche nella Loggia “Zamboni-De
Rolandis.
All’inizio degli anni ’80, il Prof. Michele La Placa, Ordinario di
Microbiologia nell’Università di Bologna e Venerabile della Loggia,
diventa Presidente dell’”Accademia delle scienze di San Marino” (costituita
a San Marino con atto del notaio Pier Giorgio Micheloni il 15 marzo 1968)
e ne promuove il rilancio, con il patrocinio del Ministro della sanità Emma
Rossi.
A Firenze, il 10 novembre 1984, si tiene il suo primo convegno sul tema:
“Conoscenza e ideologie. Il posto dell’Uomo nella Natura”. Il discorso di
apertura è stato svolto da Emma Rossi. La mia relazione ha avuto per
oggetto: “Funzione costitutiva e prescrittiva delle regole nella costruzione
della realtà sociale”. La Loggia “Zamboni-De Rolandis” era diventata il
centro autorevole di molte iniziative culturali.
Nel 1985, si verificano due eventi che riguardano me e Roversi Monaco.
Fabio Ferrari, eletto Rettore dell’Università di Trento, mi chiede di ricoprire
la carica di Pro-Rettore. Accetto e Ferrari invia la proposta della mia
nomina al Ministero della Pubblica Istruzione per la necessaria
autorizzazione. Nell’attesa, Roversi chiede una convocazione straordinaria
e urgente della Loggia. Quando ci incontriamo, ci informa di aver appreso,
da fonti sicure, che la sua appartenenza alla “Zamboni-De Rolandis” sarà
usata contro di lui nella corsa per la conquista del Rettorato di Bologna.
Roversi, infatti, era il candidato con maggiori probabilità di successo.
Inoltre, sarebbe stato messo in inevidenza anche la “copertura” della
Loggia. Esaminiamo il problema e lo risolviamo con la decisione di
comunicare alla stampa il nostro elenco, proprio per dimostrare che la
Loggia non è coperta. Il giorno dopo, tutti i giornali, locali e nazionali,
riportavano l’elenco con i nostri nomi. Con questo espediente, avevamo
vanificato l’attacco anticipandolo. La nostra decisione fu efficace e Fabio
Roversi Monaco fu eletto Magnifico Rettore dell’Università di Bologna.
Mantenne la carica per 15 anni fino all’anno 2000.
Per quel che mi riguardava, si comprese a Trento che ero massone e
membro della “Zamboni-De Rolandis”. Io ritenni corretto e giusto rimettere
l’incarico di Pro-Rettore nelle mani di Ferrari, il quale rifiutò le mie
dimissioni e mi augurò buon lavoro. La stessa cosa avvenne con l’avvocato
Bruno Kessler, Presidente dell’Università, che mi confermò la sua stima. Mi
disse anche che gli era stato chiesto di entrare in Massoneria ma lui aveva
rifiutato perché il proponente non gli ispirava fiducia. Mi fece intendere
che, se la proposta fosse pervenuta dalla “Zamboni-De Rolandis”, l’avrebbe
presa seriamente in considerazione.
Fin dal mio arrivo a Trento nel 1962 come studente dell’Istituto
Superiore di Scienze Sociali, si era accesa una curiosità sui miei
orientamenti ideologici, poiché non manifestavo interesse per alcun partito
politico. Dopo la mia iniziazione in Massoneria avvenuta nel 1961, mi ero
posto su un piano morale e osservavo le vicende politiche e sociali senza
coinvolgimento. E’ proprio in tali condizioni che avvenne la conoscenza di
padre Luigi Rosa, autorevole e carismatico gesuita del Centro San Fedele di
Milano (morto il 16 settembre 1980). Ero studente del primo anno, quando
il professor Giorgio Braga mi presentò a lui. Fu un’intesa immediata. Mi
sentivo affascinato da quell’uomo che emanava conoscenza, saggezza e
profonda umanità. Vedevo in lui il Maestro e non un avversario della
Massoneria. Al nostro secondo incontro, mi chiese di dare alcune lezioni di
sociologia in un Istituto che dirigeva a Reggio Emilia. Rimasi stupito e
accettai con gioia. In breve tempo, si instaurò tra di noi un rapporto di
reciproca stima e affetto. Fu allora che decisi di rivelargli la mia
appartenenza alla Massoneria. Volevo che lui sapesse che la mia visione
dell’uomo e della vita era diversa dalla sua. Quando glielo dissi, mi guardò
negli occhi in un lungo silenzio. Poi, con un sorriso sulle labbra, mi disse:
“la condivisione di antropologie filosofiche diverse non ci impedirà di
percorrere la stessa via per migliorare l’umanità”. Abbiamo mantenuto la
nostra collaborazione fino alla sua morte, che gli ha impedito purtroppo di
vedermi come Gran Maestro della Massoneria italiana. Padre Rosa fu
l’ideatore della Facoltà di Sociologia di Trento. In un tradizionale
Convegno della Democrazia Cristiana, che si tenne a Saint Vincent (Valle
d’Aosta) nel 1960, avviene l’incontro fra padre Luigi Rosa e l’avvocato
Bruno Kessler, presidente della Provincia Autonoma di Trento. Il gesuita
espone all’avvocato il suo progetto per la costituzione di una nuova Facoltà
universitaria, per preparare le future generazioni al governo della cosa
pubblica. Kessler, da uomo illuminato quale era, comprende subito la
rilevanza del progetto e lo fa suo. Un grande pregio dell’avvocato era quello
di realizzare, in tempi brevi e nel migliore dei modi, i progetti in cui
credeva. Così, in meno di un anno, iniziano i corsi dell’Istituto Superiore di
Scienze Sociali, che poi diventerà la Facoltà di Sociologia. Più volte,
durante i nostri dialoghi, padre Rosa mi ha narrato le origini di quella
Facoltà che poi farà parlare di sé come epicentro delle rivolte studentesche
del 1968. L’intesa ideale e pratica con padre Rosa mi aveva fatto
comprendere che, per contribuire al miglioramento dell’umanità, è
necessario uscire dalla propria antropologia filosofica, senza rinunciare ad
essa. Il dialogo costruttivo con altri intelletti pensanti era non solo possibile
ma anche necessario. Sarà questa idea a sorreggere la fondazione
dell’Accademia degli Illuminati. Il mio dialogo, iniziato con padre Rosa,
continuerà più tardi con il cardinale Pietro Parolin, attuale Segretario di
Stato della Santa Sede.
Il 1988 era l’anno in cui ricorreva il Nono Centenario dell’Università di
Bologna (1088-1988). Il Rettore Roversi, che ne sarebbe stato il
protagonista, apre ufficialmente le celebrazioni del IX Centenario nella
vecchia Aula magna di Palazzo Poggi, sede centrale dell’Ateneo bolognese.
Nel corso dell’anno, saranno organizzati oltre duecento convegni scientifici
e aperti 22 musei universitari, con l’allestimento di nuove stanze-museo e
percorsi espositivi nello stesso Palazzo Poggi. Per tutto l’anno, Bologna
sarà sotto i riflettori per la presenza di tante personalità della cultura, della
scienza, della spiritualità e della politica, laureate ad honorem dall’Alma
Mater. I professori della Loggia erano sempre presenti per sostenere le
iniziative del Rettore. L’anno del Centenario fu, per la “Zamboni-De
Rolandis”, un periodo di risplendente fratellanza.
Ma il 1988 fu anche l’anno in cui il Pubblico ministero Libero Mancuso
della Procura di Bologna mise sotto inchiesta la “Zamboni-De Rolandis”,
accusandola di essere una Loggia “coperta” in violazione della Legge
Spadolini-Anselmi sulle società segrete. Lo scalpore fu enorme. Tutti noi,
membri della Loggia, ricevemmo l’avviso di garanzia con il mandato di
perquisizione e sequestro. Dovemmo preparare la nostra difesa. Il processo
penale seguì puntualmente in tutte le fasi di rito. Alcuni anni dopo, quando
ero Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, l’inchiesta pervenne alla
conclusione: fummo tutti assolti perché il fatto non sussiste. Si era cercato,
ancora una volta, di colpire la Loggia più autorevole del Grande Oriente
d’Italia, a cui appartenevano sia il Gran Maestro sia il Magnifico Rettore
dell’Università di Bologna.
Ancora oggi molti si chiedono come ciò possa essere accaduto. La
ragione va ricercata nell’ambiguità del termine “copertura”. Per intenderla
correttamente, è necessario esaminarla nella dimensione diacronica. Oggi il
significato di “Loggia coperta” è quello che si desume dalla Legge
Spadolini-Anselmi del 1982. Ma, nei decenni precedenti, il suo significato
era diverso. Per “copertura”, s’intendeva un privilegio concesso ad alcuni
organi massonici. Non si voleva nascondere qualcosa ma esaltarlo. La
“Zamboni-De Rolandis” era Loggia “coperta” perché aveva ricevuto dal
Gran Maestro il privilegio di riunirsi al di fuori della Casa massonica, con
la conseguenza che i fratelli delle altre Logge non avrebbero potuto
partecipare ai suoi lavori, come previsto dai Regolamenti Generali. La
ragione di questa decisione era pratica: poiché i temi trattati dai professori
universitari sarebbero stati di livello elevato, non avrebbe avuto senso far
partecipare gli altri fratelli, a meno che non l’avessero chiesto
esplicitamente. Fatta questa eccezione nei confronti delle altre Logge, tutto
era perfettamente identico, dalla pubblicità dell’ammissione, all’iniziazione,
al rispetto dei Regolamenti Generali dell’Ordine. Se confrontiamo la
“Zamboni-De Rolandis” con la P2, troviamo una profonda differenza: solo
la P2 possiede i requisiti della Loggia coperta, come è stato definito dalla
Legge Spadolini-Anselmi. Il Pubblico ministero Libero Mancuso ha messo
sotto inchiesta la “Zamboni-De Rolandis” per verificare se fosse in
violazione di questa Legge. La conclusione che “il fatto non sussiste” è la
più chiara evidenza che la Loggia non è “coperta”. A testimoniarlo è il
proprio il Tribunale di Bologna. Per quel che mi riguarda, quando Manelli
mi fece fare domanda per il trasferimento alla “Zamboni-De Rolandis” e mi
dettò la lettera, il significato che egli dava al termine “coperto” era proprio
quello precedente alla Legge Spadolini-Anselmi.
La Legge Spadolini-Anselmi sulle associazioni segrete, tanto invocata,
che cosa dispone? E’ stata promulgata nel 1982 per sciogliere la P2 e per
evitare che si riformassero Logge coperte. Alla sua formulazione, ha
partecipato il professor Paolo Ungari che è stato mio collega alla Facoltà di
Sociologia dell’Università di Trento. Ci siamo ritrovati nel 1990, dopo la
mia elezione a Gran Maestro, essendo egli massone del Grande Oriente
d’Italia. In una delle nostre conversazioni, parlando della Legge Spadolini-
Anselmi, mi disse che quella Legge non solo non vieta ma garantisce la
formazione di Logge coperte e pone un vincolo all’Art. 18 della
Costituzione. Nessuno se ne era accorto e si chiese quanto tempo sarebbe
passato prima che venisse scoperto.
Ci son voluti 35 anni per essere scoperto dalla Commissione Antimafia
presieduta dall’On. Rosy Bindi. Ciò è avvenuto anche in occasione della
mia audizione a testimonianza del 31 gennaio 2017, in cui ho narrato i fatti
da me esperiti nel corso della mia Gran Maestranza nel Grande Oriente
d’Italia, come risulta dalla Relazione della stessa Commissione.
Il primo capoverso dell’Art. 1 della Legge così recita: “Si considerano
associazioni segrete, come tali vietate dall’articolo 18 della Costituzione,
quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultano la loro
esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali
ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte e anche reciprocamente, i
soci”.
Subito dopo, però, nel secondo capoverso, si afferma che tali
associazioni sono segrete se “svolgono attività diretta ad interferire
sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni
pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche
economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale”.
In altre parole, un’associazione è segreta solo se trama contro gli organi
dello Stato. Viceversa, un’associazione, pur avendo tutti i requisiti della
segretezza, se non trama contro gli organi dello Stato, non è segreta.
La Legge Spadolini-Anselmi contrasta palesemente con l’Art. 18 della
Costituzione, che vieta le società segrete a prescindere dal mettere in pratica
trame contro gli organi dello Stato.
Una nota su Fabio Roversi Monaco è necessaria. Fin dal primo istante in
cui ci siamo conosciuti, siamo entrati in perfetta sintonia. Le nostre
conoscenze e competenze s’integravano vicendevolmente. La stima e la
fiducia erano al massimo livello. Così è stato dal 1974 al 1993, anno delle
mie dimissioni dal Grande Oriente d’Italia. Quando il Procuratore Cordova
iniziò l’inchiesta sul Grande Oriente d’Italia, Fabio mi consigliò di dargli
gli elenchi e poi dimettermi. E’ quello che praticamente ho fatto. Dopo le
mie dimissioni formali dal Grande Oriente d’Italia, lo chiamai al rettorato.
La sua segretaria lo informò e lui mi fece dare una risposta dalla quale si
evinceva che non avrebbe più gradito di essere contattato da me. Era un
modo per farmi sapere che la nostra amicizia era finita. Restai sorpreso e
rammaricato. Indubbiamente, secondo lui, avevo fatto qualcosa di una
gravità inaudita che lo aveva costretto a rompere la nostra amicizia. Cercai
di comprendere la ragione del suo atteggiamento. Gli eventi eclatanti che si
erano verificati riguardavano le mie dimissioni dal Grande Oriente d’Italia e
la fondazione della Gran Loggia Regolare d’Italia. Quale dei due aveva
fatto scattare il suo risentimento? Non le mie dimissioni, perché lui stesso
me le aveva consigliato. Restava la nuova Gran Loggia. Tertium non datur.
Se questa è l’interpretazione corretta, Roversi era tra coloro che vedevano
nella Gran Loggia Regolare d’Italia un possibile incubo da esorcizzare. La
conclusione logica che ne deriva è che egli, in definitiva, era rimasto un
sostenitore del Grande Oriente d’Italia, nonostante la gravità dei fatti emersi
con l’inchiesta di Cordova. Egli forse si aspettava che Giuliano Di
Bernardo, dopo le dimissioni, tornasse a fare il professore universitario. Ciò
che mi offese e provocò in me una profonda delusione non fu la sua
decisione di rompere il rapporto di amicizia ma il modo in cui mi è stata
comunicata. Da un uomo che consideravo un eletto, mi sarei aspettato
un’esplicita e diretta motivazione, ma vi fu solo silenzio. All’improvviso,
mi apparve un uomo normale, troppo normale. L’incantesimo era finito. Da
quel giorno, non l’ho più visto.
Nel 1979, vinsi il concorso di Ordinario in “Filosofia della scienza e
logica” e fui chiamato alla cattedra di Filosofia della scienza alla facoltà di
Sociologia dell’Università di Trento.
Fino a quel momento, tutto il mio impegno era stato dedicato alla vita
accademica. La mia partecipazione alle attività della Massoneria era stata,
per mia libera scelta, regolare ma senza l’assunzione di ruoli di governo.
Agli inizi degli anni ‘80, si risvegliò in me l’interesse per la Massoneria.
Le esperienze fin lì vissute mi avevano convinto che la maggior parte dei
massoni non aveva una chiara idea della Massoneria, dei suoi principi e
della sua ritualità. I libri scritti da massoni ritenuti autorevoli parlavano più
di visioni personali che di una concezione della Massoneria fondata
oggettivamente su documenti. Ne risultavano caos dottrinale e
disorientamento.
Nacque così in me l’idea di indagare i documenti emanati dalla
Massoneria inglese, da tutti considerata la Gran Loggia madre del mondo
(che assumerà diverse denominazioni nel corso del tempo, fino a definirsi
Gran Loggia Unita d’Inghilterra), allo scopo di verificare se il pensiero
massonico fosse coerente e unitario.
Mi procurai i documenti e mi misi al lavoro. Le difficoltà apparvero
subito enormi. Non esistevano precedenti dell’analisi filosofica di tali
documenti. L’unico libro disponibile era Filosofia della Massoneria di J.G.
Fichte, scritto agli inizi dell’Ottocento, che riguardava una raccolta di saggi
in cui emergono considerazioni personali del filosofo tedesco ma non una
concezione sistematica della Massoneria. Inoltre, nel migliore dei casi, i
documenti emanati dalle autorità massoniche erano stati analizzati
separatamente, senza mai tentare di metterli in relazione. Era necessario,
perciò, interpretarli da un punto di vista unitario, secondo i principi di una
filosofia pratica ispirata a un sistema etico universale.
Dopo un anno, il libro era pronto per la stampa. Le più prestigiose case
editrici lo rifiutarono. Marsilio Editori lo pubblicò in pochi mesi con il
titolo Filosofia della Massoneria (prima edizione 1987, ultima 2016). Fu
tradotto nelle principali lingue del mondo e divenne la bibbia dei massoni.
Il successo fu immediato.
Il libro è espressione di un’indagine che si propone di dare una risposta
ai seguenti quesiti: esiste una filosofia della Massoneria? Esiste
un’antropologia massonica? In quali fonti storiche e documenti tale
concezione ha trovato la sua codificazione? Se per filosofia s’intende un
sistema concettuale onnicomprensivo, allora il pensiero massonico non è
una filosofia. E’, tuttavia, una filosofia pratica poiché è sorretto da una
precisa e articolata concezione che riguarda l’uomo, la sua natura, le sue
finalità. Il nucleo essenziale di tale antropologia massonica si è venuto a
definire e codificare, nel corso della storia della Massoneria, attorno a
cinque nozioni-chiave: “Libertà”, “Tolleranza”, “Fratellanza”,
“Trascendenza”, “Segreto iniziatico”. Proprio l’intreccio tra questi principi
costituisce il patrimonio ideale consolidato della Massoneria, nel corso di
una lunga elaborazione le cui fonti più significative sono da rintracciare
nelle “Costituzioni” di Anderson e nelle “Dichiarazioni” della Gran Loggia
Unita d’Inghilterra. Pur tra le difficoltà e i problemi d’interpretazione che
tali documenti pongono, è possibile tuttavia rintracciare in essi un sicuro e
stabile nucleo unitario. L’esigenza di tale ricostruzione teorica è di
particolare attualità in un momento storico come il nostro in cui, accanto al
desiderio di tornare alle origini del pensiero massonico, si avverte anche il
bisogno di assicurare a esso contorni precisi tali da renderlo non
confondibile con altri che con l’idealità massonica nulla hanno a che fare.
La diffusione del libro diede l’avvio a una concatenazione di eventi che
mi portò al vertice supremo del Grande Oriente d’Italia. Il Gran Maestro di
allora, Armando Corona, aveva fatto modificare le Costituzioni con la
conseguenza che, dopo un mandato di cinque anni, egli non sarebbe stato
più eleggibile. Era, perciò, necessario pensare al suo successore. I candidati
non mancavano. L’avvocato di Perugia Enzo Paolo Tiberi era già chiamato
il “delfino” proprio perché ritenuto con certezza l’erede di Corona.
La notizia della pubblicazione del mio libro si diffondeva rapidamente
in tutte le Logge e la richiesta di presentarlo mi arrivava sempre più
numerosa. Così cominciai a percorrere le Logge d’Italia in lungo e in largo.
La presentazione del libro suscitava sempre entusiasmo e condivisione.
Il dibattito, che nasceva anche fuori dalle Logge, era il segno più evidente
che qualcosa di nuovo si aggirava nel Grande Oriente d’Italia. Cominciava
a farsi strada l’idea che questo massone filosofo potesse avere le qualità
necessarie per far uscire definitivamente la Massoneria italiana dalle nebbie
della P2. Giuliano Di Bernardo avrebbe potuto essere il nuovo Gran
Maestro della più antica e numerosa Comunione massonica italiana.
Al termine di ogni presentazione del libro, i fratelli più autorevoli mi
esprimevano la loro stima e mi chiedevano se avessi mai pensato di fare il
Gran Maestro. La mia risposta non poteva che essere negativa, poiché, fino
a quel momento, avevo sempre rifiutato di svolgere ruoli di governo. Il
potere massonico, da esercitare nelle Logge e altrove, non aveva mai
destato il mio interesse. Le pressioni, però, aumentarono e io cominciai a
pensarvi seriamente. Ero consapevole, però, di non avere nulla di ciò che
serve per essere eletto. Non avevo mai presieduto una Loggia, ignoravo la
realtà massonica del Grande Oriente d’Italia, non avevo una base elettorale.
Da queste premesse, discendeva la conclusione che la mia candidatura al
supremo rango di Gran Maestro sarebbe stata una follia.
Il successo di Filosofia della Massoneria produsse un’altra conseguenza
importante: la mia accettazione nel Supremo Consiglio di Rito Scozzese
Antico e Accettato. Nel 1965, alcuni anni dopo la mia elevazione al Grado
di Maestro nella Loggia “Risorgimento-8 Agosto”, Carlo Manelli, che
allora era Ispettore Generale del Rito in Emilia-Romagna e membro del
Supremo Consiglio, mi fece entrare nel Rito Scozzese. La mia progressione
nei Gradi è stata lenta ma continua.
Nel 1974, Manelli mi chiese di raggiungerlo in Via Rizzoli a Bologna
perché voleva presentarmi a Giovanni Pica, Sovrano Gran Commendatore
del Rito Scozzese Antico e Accettato d’Italia. Mi trovai di fronte un uomo
carismatico che emanava autorità e incuteva rispetto. Manelli gli disse che
vedeva in me una speranza per la Massoneria italiana. Ricordo che Pica
aveva un pacchetto legato con una corda. Cercava di aprirlo senza però
riuscirvi. Mi chiese di provarci. In un attimo sciolsi in nodo e lui
commentò: “ha gli artigli dell’aquila, volerà in alto”. Da quel giorno non
l’ho più visto.
Il Rito Scozzese d’Italia era rimasto unito sotto il governo di Giovanni
Pica (1967-1976) ma, dopo l’elezione a suo successore di Vittorio Colao
(1976-1978), si verificò una contrapposizione di due fazioni all’interno del
Supremo Consiglio. Il motivo riguardava la decisione di accettare Lino
Salvini, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, nel Supremo Consiglio.
Da una parte, vi era Colao che era contrario, dall’altra Manlio Cecovini e
Giordano Gamberini, che invece erano favorevoli. Tra il maggio e il giugno
del 1977, si addivenne a una reciproca espulsione incrociata e alla
formazione di due Supremi Consigli rivali: uno di Colao e l’altro di
Cecovini (che comprendeva Salvini e Gamberini). Il Grande Oriente
d’Italia riconobbe la legittimità di Cecovini. Così fece anche il Supremo
Consiglio della Giurisdizione Sud degli Stati Uniti di Washington D.C.,
ritenuto Supremo Consiglio “madre del mondo”.
Dopo la pubblicazione del mio libro, su proposta di Francesco Spina,
che intanto era succeduto a Carlo Manelli come Ispettore Generale
dell’Emilia-Romagna, sono stato elevato al Grado 33°.
Quando conobbi Manlio Cecovini, compresi subito di trovarmi di fronte
al Maestro. La sua conoscenza della Massoneria, l’autorità che emanava, il
rigore nel governo del Rito e la sua umiltà, facevano di lui il riferimento
ideale della mia vita massonica.
Manlio mi invitava spesso a Trieste dove viveva. Dopo alcune ore di
piacevole e dotta conversazione, finivamo in una trattoria per gustare piatti
di buon pesce. Fu in uno di questi incontri che mi diede copia della
“Dichiarazione su Massoneria e religione”, emanata dalla Gran Loggia
d’Inghilterra. Sapeva che stavo scrivendo Filosofia della Massoneria e
richiamò la mia attenzione su quel documento. Tornato a Trento, lo lessi
con attenzione e compresi che sarebbe diventato un caposaldo della mia
indagine sul pensiero massonico.
Dopo la pubblicazione del libro nel 1987, Manlio mi propose di
svolgere la stessa indagine filosofica anche sul Rito Scozzese. Accettai la
sua proposta e mi procurai il volume Morals and Dogma di Albert Pike,
considerato la “bibbia” del Rito Scozzese. Dedicai l’estate del 1988 alla
lettura di questa opera. Pike aveva dato un significato ai Gradi del Rito (dal
4° al 33°) attingendo anche dalla storia della filosofia. Tuttavia, le sue
citazioni erano infondate o prive di senso. Parlava di filosofia ma non la
conosceva. Più delle volte inventava. D’altra parte, il documento ufficiale
su cui si fondava il Rito Scozzese era proprio il suo libro. Qualsiasi
indagine filosofica non avrebbe potuto prescinderne. Pervenni alla
conclusione che, per mancanza di documenti ben fondati, non avrebbe
avuto senso svolgere un’indagine filosofica sul pensiero del Rito Scozzese.
Ne parlai con Cecovini e lui ne convenne.
Dopo pochi incontri, Manlio decise che io sarei dovuto entrare nel
Supremo Consiglio, non solo per svecchiarlo ma anche per portarlo a un
superiore livello di cultura. I Regolamenti Generali del Rito stabiliscono
che il Supremo Consiglio deve essere costituito da non più di 33 membri
con il 33° Grado. A quel tempo, erano vacanti sette posti. Cecovini propose
la mia candidatura ai ventisei membri chiedendo il loro appoggio. Qualche
tempo dopo mi comunicò che ero stato eletto Membro Effettivo del
Supremo Consiglio. Per festeggiare, mi invitò a Trieste. Durante il
tradizionale pranzo in trattoria, mi confidò come si erano svolti i fatti. La
proposta che mi riguardava aveva avuta all’inizio una forte opposizione a
causa della mia giovane età. In un certo senso, avevano ragione. La
differenza d’età tra me e il più giovane membro era almeno di venti anni.
Cecovini, tuttavia, comprese che la vera ragione dell’opposizione era
un’altra: sarebbero stati disposti a sostenermi se Manlio avesse accettato i
loro candidati. Ricordo il suo commento: “per avere te ho dovuto
permettere l’ammissione di persone modeste che non daranno nulla al Rito.
Parigi vale una messa”. In tal modo, a soli 49 anni, sono entrato nel
Supremo Consiglio d’Italia.
A quel tempo, era Sovrano Gran Commendatore Elvio Sciubba, una
figura modesta e intrigante. Nella mia prima partecipazione al Supremo
Consiglio, Mirto Cassanello, Ispettore Generale della Liguria, mi propose di
incontrarlo perché intendeva rivelarmi un problema che riguardava il
governo del Rito. Lo andai a trovare ad Arenzano in Liguria dove viveva.
Mi parlo di Sciubba e dei danni che, a suo dire, stava facendo. Il Supremo
Consiglio d’Italia (fondato nel 1805) era stato riconosciuto dal Supremo
Consiglio della Giurisdizione Sud degli Stati Uniti. Il suo Sovrano, Fred
Kleinknecht, svolgeva un ruolo egemonico in Italia attraverso Elvio
Sciubba, ritenuto da molti il suo fedele esecutore. In Europa, per iniziativa
dei Supremi Consigli di Francia e di Germania, sostenuti da quello della
Turchia, si stava preparando un progetto di Confederazione dei Riti. Contro
tale progetto era insorto Sciubba che ostacolava, su ordine di Kleinknecht,
la partecipazione dell’Italia. Cassanello e altri volevano invece entrare nella
costituenda Confederazione. Per questo, chiedevano il mio coinvolgimento.
Era chiaro che si stava preparando la defenestrazione di Sciubba. Chiesi a
Cassanello perché si erano rivolti a me. Ero da poco entrato nel Supremo
Consiglio e ne ignoravo le strategie di potere. La risposta fu semplice: la
sostituzione di Sciubba sarà possibile solo se Cecovini darà il suo consenso.
Tu sei l’unico che può convincerlo. Mi disse che Sciubba sarebbe stato
rimpiazzato da Augusto De Megni, Ispettore Generale dell’Umbria.
Riflettei attentamente sulla proposta di Cassanello. Mi rendevo conto
che il mio primo atto nel Supremo Consiglio sarebbe stato quello di
destituire il Sovrano in carica e la cosa non mi piaceva. Tuttavia, a
prescindere dalle considerazioni di Cassanello, non ritenevo Sciubba capace
di governare il Rito. Decisi di parlarne con Cecovini per capire la sua
posizione.
Come al solito, andai a trovarlo a Trieste. Mi ascoltò con attenzione e,
dopo una lunga pausa, mi disse cosa pensava. Riteneva normali e doverosi i
nostri rapporti di amicizia con il Supremo Consiglio di Washington D.C.,
ma non nei termini in cui li intendeva Sciubba. Era convinto che i Supremi
Consigli devono potersi confederare, se questo è il loro desiderio. Pertanto,
l’ordine impartito da Kleinknecht a Sciubba di tenere fuori l’Italia dalla
Confederazione non poteva essere accettato. In altre parole, era favorevole
alla sostituzione di Sciubba. Gli dissi, al riguardo, che sarebbe stato
gradimento di tutti se avesse acconsentito di rifare il Sovrano. Declinò
l’invito e partì la candidatura di Augusto De Megni. Seguirono incontri per
convincere altri membri del Supremo Consiglio. Arrivammo al giorno
dell’elezione con la maggioranza necessaria per eleggere il nuovo Sovrano.
Ricordo ogni istante di quella riunione. Sciubba era convinto di essere
rieletto ma, quando il nome di De Megni ricorreva sempre più
frequentemente, un’ombra di preoccupazione apparve nel suo volto. Finito
lo scrutinio, egli dovette annunciare che il Supremo Consiglio aveva un
nuovo Sovrano. Lasciò la riunione come un pugile che era stato “suonato”
dall’avversario. Umanamente, mi fece pena.
Intanto, si avvicinava il tempo dell’elezione del Gran Maestro. Il Gran
Maestro in carica, Armando Corona, non vedeva di buon occhio la mia
candidatura. Egli aveva bisogno di un candidato che gli facesse preservare i
privilegi acquisiti e lo sostenesse nella sua ricandidatura. Per lui io ero uno
sconosciuto difficilmente manipolabile. Egli, quindi, sostenne ufficialmente
Enzo Paolo Tiberi, da sempre considerato il suo delfino.
Per valutare l’effettivo sostegno del Rito Scozzese alla mia candidatura,
dovevo verificare l’atteggiamento dei singoli membri del Supremo
Consiglio. Alcuni, come Enrico Palmi (Ispettore Generale delle Puglie) e
Francesco Baraldi (Ispettore Generale del Veneto), oltre a Cecovini, De
Megni e Cassanello, erano decisamente a mio favore. Altri, come Mario
Treves (Ispettore Generale del Piemonte) seguivano gli ordini di Armando
Corona. Sciubba era contrario perché mi riteneva responsabile della sua
defenestrazione.
Inizialmente, Corona sottovalutò la mia candidatura ma poi si rese conto
che io rappresentavo per lui un pericolo e mise in atto ogni espediente per
arrestare la mia ascesa. Quando comprese che il mio successo sarebbe stato
inevitabile, fece un accordo con i vertici del Rito Scozzese per sostenere la
mia candidatura. Ormai risultava evidente a tutti che la mia elezione a Gran
Maestro sarebbe stata una certezza da prendere seriamente in
considerazione.
Dopo aver deciso di sostenermi, Corona doveva evitare che io ottenessi
la maggioranza dei voti perché, come prevedono le Costituzioni
dell’Ordine, sarei stato subito eletto Gran Maestro. Nel caso in cui io non
avessi raggiunto la maggioranza dei voti, ci sarebbe stato il ballottaggio,
che gli avrebbe consentito di pormi le sue condizioni. Poiché tutti davano
per certo che sarei stato eletto al primo turno, Corona escogitò un
espediente. Suggerì a Ernesto Zampieri, che era stato suo Gran Segretario
ed era candidato nella mia lista, di inviare il mio programma elettorale, con
una busta non chiusa, a tutti i Maestri della Comunione Lo scopo era quello
di suscitare in molti di loro una reazione di sdegno perché, attraverso la
consegna della busta non chiusa, si sarebbe potuto rivelare la loro identità
massonica. Corona ottenne l’esito sperato: non ottenni la maggioranza dei
voti ma solo il 48,5%. Sarebbe stato necessario andare al ballottaggio con
Enzo Paolo Tiberi.
L’elezione del Gran Maestro, nelle Costituzioni modificate da Corona,
richiede, esattamente come nel mondo politico, la formazione di liste e di
programmi, che i candidati devono presentare alle Logge per avere il loro
voto. Inizia l’esperienza più negativa della mia vita in Massoneria. Ho
percorso in solitudine le Logge d’Italia per presentare il mio programma.
Come avviene nelle competizioni elettorali in politica, i candidati alla Gran
Maestranza, invece di presentare il loro programma, si accusavano
reciprocamente sperando che, dalla demolizione morale degli avversari,
potesse emergere il proprio successo. Continuamente mi ripetevo: “è questa
la Massoneria in cui ho sempre creduto?”
Il 18 marzo del 1990, al termine di un ballottaggio estenuante fra me e
Tiberi, il Gran Maestro Armando Corona proclamò Giuliano Di Bernardo
nuovo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Aveva ottenuto 332 voti
contro i 265 di Tiberi.
Subito dopo la mia proclamazione, si verificò un fatto altamente
significativo che mi fece dimenticare le delusioni della campagna elettorale.
I Fratelli che avevano partecipato alla Gran Loggia si misero tutti in fila ed
espressero la loro gioia con il triplice abbraccio. Li ho visti tutti, sostenitori
e avversari, uniti in un afflato fraterno. Lo ricorderò sempre come esempio
di fratellanza massonica.
Arrivò la notte e mi ritrovai solo con i miei pensieri. Ero stato eletto al
vertice della più potente Massoneria italiana, di cui ignoravo tutto: uomini e
cose. Intuivo però che era iniziata un’avventura che avrebbe profondamente
cambiato me, la Massoneria e l’Italia.
Cominciavo a inoltrarmi nel “pianeta sconosciuto” del Grande Oriente
d’Italia. La prima anomalia che mi apparve fu la composizione della
Giunta. Le nuove Costituzioni di Corona prevedevano, per l’elezione del
Gran Maestro, la stessa procedura vigente nel sistema politico italiano.
Corona, tuttavia, con la sua riforma, era andato oltre. A differenza della
politica, dove vince una lista con tutti i suoi candidati, nel Grande Oriente
d’Italia non è la lista a vincere ma i singoli candidati che hanno riportato
più voti, anche se erano fuori dalle liste. Con questa regola, la mia giunta
risultava composta in parte da candidati della mia lista (Ettore Loizzo,
Rosario Genovese e Sergio Rosso), in parte da candidati della lista di Tiberi
(Gustavo Raffi, Pietro Mascagni) e da Eraldo Ghinoi che aveva corso da
solo al di fuori di ogni lista. Il Gran Segretario, Alfredo Diomede, era stato
scelto da me. Come avrei potuto governare una Giunta per metà costituita
da avversari? Non avrei potuto, come risulterà chiaro dalle vicende che
avverranno successivamente.
Il giorno dopo la mia elezione, mentre mi accingevo a lasciare l’hotel
Hilton, Corona m’invitò a salire sulla sua auto per condurmi personalmente
a Villa il Vascello. Poiché l’appartamento del Gran Maestro era ancora
occupato da lui, mi portò in una stanza angusta e dall’arredamento
francescano e mi disse che quella sarebbe stata la mia camera da letto. Non
lontano, vi era il bagno. La cosa mi parve strana ma non dissi nulla. Con
tutti i problemi che già si affastellavano nella mia mente, non era il
momento per disquisire sulla mia sistemazione. Alfredo Diomede,
abruzzese come me, che avevo scelto come Gran Segretario, faceva del suo
meglio per rendermi la vita meno complicata.
Durante il periodo elettorale, Luigi Savina, che era stato segretario
personale di Corona, mi teneva informato su tutto ciò che accadeva. Era
puntuale e ben informato e lo stimavo. Nello stesso pomeriggio, mi
raggiunse in villa e si mise a mia disposizione. Non sapevo ancora come
avrei potuto utilizzarlo ma lo compresi ben presto.
Alcuni giorni dopo incontrai Corona e gli dissi che lo ringraziavo per il
suo appoggio e che volevo sapere in che modo avrei potuto compensarlo.
Mi sarei aspettato una o più richieste, ma lui si limitò a dirmi che non
voleva nulla. Il suo desiderio era quello di starmi accanto per assistermi nel
governo dell’Ordine. Compresi che, negando di voler qualcosa, in realtà
voleva tutto. Aveva in mente un progetto che dovevo assolutamente
conoscere. E’ proprio qui che Savina comincia a essere prezioso. Poiché ne
era stato il segretario personale, avrebbe dovuto sapere tutto di Corona,
almeno le cose che a me interessavano. Gli chiesi cosa desiderasse e lui mi
propose di lasciargli l’incarico di segretario personale che aveva già svolto
per Corona. E’ quel che feci. Compresi l’importanza di tale incarico più
tardi, quando Eraldo Ghinoi, che era stato eletto Gran Maestro Aggiunto,
mi chiese di affidarglielo. Il suo scopo chiaramente era quello di starmi
sempre accanto per avere informazioni su tutto e per controllarmi. Gli dissi
che avevo già fatto la mia scelta e che non intendevo modificarla. Fin dal
primo momento che l’ho conosciuto, Ghinoi non mi ha ispirato fiducia. Già
nei primi giorni della mia Gran Maestranza, ebbi l’impressione di
camminare su un terreno minato.
Nella prima riunione di Giunta, Corona si presentò con un
atteggiamento arrogante e dominante. Voleva far intendere che nulla era
cambiato. Nominai Alfredo Diomede Gran Segretario e Luigi Savina mio
segretario personale. Già nella campagna elettorale, avevo dichiarato che
una parte preponderante del mio impegno sarebbe stata dedicata alla
cultura. Era giunto il momento di nominare il Direttore della nuova rivista
massonica che si sarebbe chiamata “Hiram”. L’architetto Delfo Del Bino di
Firenze era stato 1° Gran Sorvegliante di Corona. Mi era apparso un uomo
di cultura con i requisiti necessari per dirigere la rivista. Lo proposi per
questa carica e vi fu subito una forte opposizione di Ghinoi perché vedeva,
con la nomina di Del Bino, rafforzata la fazione di Tiberi che lui osteggiava.
Argomentò la sua opposizione in tutti i modi, andando anche oltre il linite
della buona educazione. S’impegnò a presentarmi un candidato che avrebbe
svolto meglio di Del Bino il ruolo di direttore. Lasciai che sparasse tutte le
sue cartucce. Alla fine, misi ai voti la nomina di Delfo Del Bino che fu
approvata. Questa vicenda mi aveva offerto la possibilità di capire meglio
Ghinoi, che si era rivelato un uomo accidioso e irritante.
Il primo e più importante problema da risolvere riguardava Corona.
Aveva rifiutato un ruolo di governo e continuava a occupare l’appartamento
del Gran Maestro, senza mai dire quando sarebbe andato via. Ebbi la
certezza che tramava contro di me, quando Luigi Savina mi informò che i
fratelli che andavano a trovarlo gli avevano riferito che Corona esprimeva
giudizi molto negativi su di me. Mi considerava bravo come filosofo ma
incapace come Gran Maestro. Dovevo snidarlo e giocai d’astuzia. Gli dissi
che sentivo il bisogno di essere illuminato da lui. Volevo conoscere la sua
esperienza per essere in grado di governare. Cadde nella trappola. Ricordo
il tempo che passava con me per trasmettermi le sue esperienze di Gran
Maestro. Lo ascoltavo attonito e lo elogiavo anche quando era evidente che
inventava. Il mio atteggiamento aveva lo scopo di apparire a lui come un
povero deficiente che per puro caso si era ritrovato al vertice del Grande
Oriente d’Italia. Quando raggiunse questa convinzione, la trasmise a tutti
coloro che incontrava, cominciando a far trapelare la necessità della sua
rielezione. Quando ormai le sue critiche nei miei confronti si erano diffuse
ed erano diventate una certezza inconfutabile, lo affrontai. Corona era un
uomo permaloso e pieno di sé. Nei miei confronti nutriva un superiore
disprezzo. Lo colpii proprio in questa sua debolezza. Dovevo solo attendere
il momento giusto per eliminarlo. Una sera m’invitò a cena per parlarmi
della sua permanenza in villa. Mi disse che stava cercando un appartamento
che potesse soddisfare le sue esigenze non lontano dal Vascello. Poiché
avrebbe avuto bisogno di un paio di mesi, mi chiese se poteva continuare a
restare in villa. Non gli diedi la risposta che si aspettava. Non gli dissi di
restare fin quando lo desiderasse ma gli feci notare che, trascorso i due
mesi, avrei avuto bisogno dell’appartamento per svolgere a pieno titolo il
mio incarico. Poteva restare ma dopo due mesi doveva andarsene. Divenne
paonazzo. Voleva restare in villa non soltanto per umiliarmi (il Gran
Maestro dorme in una cella da certosino) ma per poter tramare contro di me
da una posizione privilegiata. Nelle sue intenzioni, non sarebbe mai andato
via anche perché era convinto che, alla prossima riunione di Gran Loggia,
mi avrebbe disarcionato e sarebbe stato rieletto. Il suo punto debole era
scattato con forte emotività. Come si era permesso questo incapace di dirgli
di andarsene? L’offesa fu tale che in una settimana fece le valigie e andò
via. Avevo risolto il problema della sua eliminazione senza doverlo
accusare di aver tramato contro di me ma facendo scattare le sue debolezze.
Dopo la sua andata, Diomede mi fece preparare l’appartamento dove mi
trasferii. Massimo della Campa, un autorevole massone milanese che
aspirava a fare il Gran Maestro, in un nostro incontro a Verona, mi disse che
avevo avuto molto coraggio nel metterlo alla porta. Lui non ci sarebbe mai
riuscito. “Per questo non sarai mai Gran Maestro”, fu il mio commento.
La prima battaglia da Gran Maestro avevo dovuto farla contro il mio
predecessore. Qualcuno mi aveva detto che, dallo stesso istante in cui si
diventa Gran Maestro, iniziano le trame contro lui perché 10, 100, 1000
candidati aspirano alla sua successione. Era proprio vero e ne avevo fatta
esperienza. Mi aspettavano altre battaglie e mi sentivo pronto a farle. Una
di esse si presentò due settimane dopo la mia elezione.
Luigi Savina mi aveva preannunciato la visita dell’avvocato Virgilio
Gaito, Capo del Rito Simbolico Italiano. Dopo essersi congratulato anche a
nome del suo Rito per la mia elezione, mi dice di avere la certezza che
Armando Corona abbia costituito una Loggia “coperta” in violazione della
Legge Spadolini-Anselmi sulle società segrete. Avevano cercato di
individuarla ma non vi erano riusciti. Mi chiede di fare tutto il possibile per
trovarla poiché la sua esistenza potrebbe mettere a rischio il Grande Oriente
d’Italia. Ne parlo con il Gran Segretario Diomede e gli conferisco l’incarico
di trovare questa Loggia. Gaito è persona della massima serietà mentre la
sua fedeltà alla Comunione è al di sopra di ogni sospetto. Il problema esiste
e va risolto.
In molti mi avevano detto di far attenzione a Corona perché è una mina
vagante che può far deflagrare il Grande Oriente d’Italia. Mi era
sconosciuto ma cominciavo a delinearne i contorni. Corona era stato
iniziato nel 1969 nella Loggia “Giovanni Mori” di Carbonia in Sardegna.
Nel 1979, fu eletto Presidente della Corte Centrale, l’organo giurisdizionale
del Grande Oriente d’Italia. Fu lui che fece decretare l’espulsione di Licio
Gelli nel 1981. L’anno successivo, grazie all’opera da lui svolta nella Corte
Centrale, fu eletto Gran Maestro con l’impegno di traghettare il Grande
Oriente d’Italia al di fuori delle acque paludose della P2. Ha collaborato con
la Commissione Anselmi per fare luce sulle trame di Gelli. Com’è possibile
che un uomo con questo curriculum possa aver costituito una Loggia
coperta vietata dalla legge? La risposta a questa domanda l’avrò qualche
tempo dopo.
Se da una parte non conoscevo la realtà del Grande Oriente d’Italia,
dall’altra sapevo con certezza come l’avrei governata. La concezione
massonica dell’uomo, che Arnaldo Nannetti aveva fatto baluginare nella
mia mente e che successivamente aveva trovato una codificazione in
Filosofia della Massoneria, sarebbe stata la mia stella polare. Non avrei
dovuto inventare nulla poiché tutto era già stato scritto nel mio intelletto.
Avrei dovuto semplicemente verificare se nel Grande Oriente d’Italia
sussistessero le condizioni per realizzare quella concezione di Massoneria.
I miei predecessori avevano circoscritto il loro magistero all’Italia,
svolgendo nei confronti delle Massonerie estere la funzione di
rappresentanza. Io ritenevo invece che, in un mondo di profonde
trasformazioni, il ruolo della Massoneria dovesse essere svolto in un
orizzonte internazionale, per realizzare un progetto comune di sviluppo
morale dell’umanità. Questo spiega perché, nei mesi successivi alla mia
elezione, mi sono recato in visita presso le più importanti Gran Logge
europee, a cominciare da quella inglese. Così facendo, ho rivendicato un
ruolo importante per il Grande Oriente d’Italia nel panorama delle relazioni
internazionali. Una conseguenza di tale scelta è stata il contributo del
Grande Oriente d’Italia alla rinascita della Massoneria nei paesi dell’Est
europeo dopo il crollo del muro di Berlino.
Dopo alcuni mesi della mia Gran Maestranza, ho preso la decisione di
dimettermi dal Supremo Consiglio di Rito Scozzese. Anche se nel passato
vi erano stati Gran Maestri che avevano mantenuto le due cariche, io le
vedevo in contrapposizione. Infatti, nelle riunioni del Supremo Consiglio, il
Gran Maestro, in quanto suo membro, deve sottomettersi all’autorità del
Sovrano Gran Commendatore. Il Rito, tuttavia, è stato riconosciuto dal
Gran Maestro, che ha autorizzato i Maestri delle sue Logge a farne parte.
Lo stesso Sovrano è un Maestro all’obbedienza del Gran Maestro. Ho
risolto tale ambiguità con le mie dimissioni dal Rito. Non è stata una
decisione facile. Il Supremo Consiglio era stato il luogo dove avevo
coltivato sincera amicizia con uomini degni di ogni rispetto e avevo
realizzato progetti e guardato con entusiasmo il futuro della mia vita
massonica. La rinuncia a tutto questo mi procurava tristezza. Sentivo, però,
il dovere di lasciare. Da quel momento, la mia strada si è separata da quella
del Rito Scozzese. Nel Supremo Consiglio non ho mai più fatto ritorno.
Il mio progetto per il risveglio del Grande Oriente d’Italia, desunto dalla
concezione massonica dell’uomo delineata in Filosofia della Massoneria,
era ormai pronto e si articolava nei seguenti punti.
1. Recuperare il valore ideale della Massoneria e della tradizione
iniziatica.
2. Eliminare le inutili incrostazioni storiche, come i cappucci e le false
denominazioni delle case massoniche.
3. Diffondere la cultura massonica con iniziative sorrette dalla rivista
Hiram.
4. Dialogare con le istituzioni italiane.
5. Avere un rapporto corretto con i giornali e con la televisione,
concedendo interviste in occasione di eventi importanti.
6. Collaborare con la Magistratura per colpire i massoni corrotti che
compiono reati.
7. Assumere un atteggiamento verso la Chiesa Cattolica non più basato
su un anticlericalismo viscerale, ma improntato al dialogo per la
realizzazione di progetti comuni.
8. Intensificare le relazioni con le Massonerie regolari riconosciute dalla
Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
9. Partecipare attivamente alla rinascita della Massoneria nell’Est
europeo, mediando anche i rapporti fra i governanti di questi paesi e il
governo italiano.
Questo progetto è stato denominato “trasparenza”. Il suo fine era quello
di far uscire la Massoneria italiana dalle catacombe, rivendicando per essa il
ruolo propulsore che la Massoneria ha sempre svolto nel mondo
occidentale.
Un momento significativo per la realizzazione del progetto si presentò
quando la Marsilio Editori pubblicò la quarta edizione accresciuta di
Filosofia della Massoneria. La sua presentazione avvenne a Roma il 21
settembre del 1990 in Campidoglio, nella sala della Protomoteca, offerta per
la circostanza dal sindaco Franco Carraro, dove si riunì un pubblico colto,
attento e tanto numeroso da occupare non solo i posti disponibili in sala e i
corridoi di disimpegno ma anche il contiguo vestibolo. Si trattava, in effetti,
di un avvenimento importante che ha segnato il passaggio da un periodo in
cui erano altri a parlare di Massoneria, a un altro, del tutto nuovo, in cui
sono proprio i massoni che parlano della loro istituzione. Lo scopo era
quello di eliminare quelle ombre che non hanno giovato né alla cultura
massonica né alla cultura in generale.
Tra i relatori, Cesare De Michelis, il sindaco Franco Carraro, il
professor Sergio Moravia e altri rappresentanti della cultura italiana che
hanno auspicato altre simili iniziative. Il Gran Maestro ha risposto alle
numerose domande, ribadendo la propria visione della Massoneria che
coincideva con il contenuto del libro che si stava presentando.
Ancora una volta Filosofia della Massoneria era il volano per guidare il
rinnovamento della Massoneria. Era il più chiaro esempio di come le
battaglie ideali e le trasformazioni sociali che da esse discendono si possono
vincere con la cultura.
Il rinnovamento del Grande Oriente d’Italia era seguito con grande
attenzione dalla stampa e dalla televisione. Numerose erano le interviste al
Gran Maestro mentre continuo era il suo coinvolgimento in trasmissioni
televisive. Gli eventi culturali promossi dal Grande Oriente d’Italia erano
seguiti con la massima attenzione. In Italia, tutti avvertivano il nuovo vento
massonico che soffiava dalle alture di Villa il Vascello, sede nazionale del
Grande Oriente d’Italia.
In questo clima di rinnovato interesse per la Massoneria, si situò la
polemica con la Chiesa cattolica, che inizia con la reprimenda di Giovanni
Paolo II sui poteri occulti nelle grandi città d’Italia. Il cardinale Piovanelli,
riferendosi a Firenze, la città in cui esercitava la propria autorità, dichiarò
all’”Avvenire”, quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, che si
percepiva in Toscana una presenza molto vasta della Massoneria, che tirava
le fila da dietro le quinte e condizionava con mano guantata l’impegno
amministrativo e la professione.
La risposta del Gran Maestro Giuliano Di Bernardo arrivò qualche
giorno dopo. In occasione della conferenza stampa del 22 marzo 1991 che
precedeva la riunione di Gran Loggia, egli respinse le accuse del cardinale
Piovanelli e invitò il Papa a smentirlo. Altrimenti, si sarebbe riaperta la
disputa secolare tra Massoneria e Chiesa Cattolica, che aveva prodotto nei
secoli scorsi conseguenze nefaste e aveva impedito a entrambe di
partecipare a un progetto etico comune per il miglioramento dell’umanità.
Questa polemica, svolta con ironia, in sé irrilevante, è stata la prova che
visioni contrapposte circa il modo di concepire la vita e l’uomo ancora
esistevano. L’uomo, nella solitudine della vita quotidiana, poteva ancora
rivolgersi a concezioni ideali che avrebbero potuto orientare la sua condotta
pratica.
La richiesta di Gaito di cercare la Loggia coperta di Corona non aveva
dato esito alcuno. Quando ormai stavo per archiviarla, nell’autunno del
1991, accade qualcosa che riaprì la speranza. Il mio segretario personale mi
informa che un autorevole personaggio calabrese ai vertici del Ministero
per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali, insisteva
per volermi incontrare. Lo ricevo in un tardo pomeriggio. Mi trovo di fronte
un gentiluomo dai modi cortesi. Senza alcun preliminare, mi informa di
essere attivo nella Loggia coperta di Corona. Poiché a lui piace stare
accanto al Gran Maestro, mi chiede di entrare nella mia Loggia coperta. Il
suo nome è Mariano Cudia. La mia prima impressione è stata quella di un
uomo, entusiasta della Massoneria, che era caduto nelle trame paludose di
Corona. Comprendo subito, tuttavia, che la prova che stavo cercando si
stava materializzando e decido di giocare d’astuzia. Gli dico che posso
accettarlo ma deve prima darmi un curriculum vitae e mettere per iscritto la
sua appartenenza alla Loggia coperta di Corona insieme alla richiesta di
entrare nella mia Loggia coperta. Due giorni dopo ricevo su carta intestata
la sua dichiarazione e una foto che lo ritraeva con Corona con i paramenti
massonici. Ecco la prova che stavamo cercando. L’intuizione di Gaito era
stata provata. La pericolosità di Corona per il Grande Oriente d’Italia
cresceva a dismisura. Ho dato al Procuratore Cordova la lettera e la foto.
In una prospettiva internazionale, come auspicato nel mio progetto, il
contributo alla rinascita della Massoneria nei paesi dell’Est europeo
comincia a trovare pratica attuazione. Il 20 ottobre del 1990, si tiene a
Budapest la Gran Loggia d’Ungheria, alla quale partecipò, per la prima
volta, una numerosa delegazione italiana guidata dal Gran Maestro. Si trattò
di un avvenimento di grande rilievo, che salutò la rinascita della Massoneria
in Ungheria, dopo un lungo periodo di dittatura. Durante la cerimonia, ci fu
uno scambio di saluti augurali tra il Gran Maestro Istvan Galambos e il
Gran Maestro Giuliano Di Bernardo. A conclusione dell’evento massonico
ungherese, il 22 ottobre i due Gran Maestri resero omaggio a Lajos
Kossuth, eroe nazionale ungherese, patriota e massone, deponendo una
corona d’alloro ai piedi del monumento che gli era stato eretto nella piazza
del Parlamento.
Nel novembre del 1990, ricevo la visita del Ministro degli Esteri della
Romania, il professor Adrian Nastase. Egli recava una lettera ufficiale del
Presidente Ion Iliescu al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia,
mediante cui chiedeva la ricostituzione della Massoneria in Romania.
Nell’inverno del 1990, arrivai a Bucarest con il volo Parigi-Bucarest.
Ad accogliermi c’erano alcuni alti funzionari dei servizi segreti e
Constantin (Costel) Iancu, un violinista rumeno che era stato iniziato in una
Loggia dell’Aquila. Mi era stato presentato da Alfredo Diomede che ben lo
conosceva. Iancu si rivelò subito prezioso per l’instaurazione e il
mantenimento dei rapporti con i vertici rumeni. Conosceva il suo popolo e
sapeva come farsi ascoltare. Era d’inverno e Bucarest si trovava sotto una
coltre di neve. Sembrava un paesaggio uscito da una fiaba. Fui alloggiato
nella residenza del primo Presidente della Romania. Si trovava ai margini
della citta e incuteva un senso di mistero. La sua privacy era protetta da
militari che ne controllavano l’accesso. Il cameriere personale di Ceausescu
era stato posto al mio servizio. Un lago ghiacciato si trovava sul lato
posteriore della villa. Vi erano alberi secolari su cui stazionavano stormi di
corvi neri. Sembrava di vivere fuori dal mondo.
Solo Iancu ne aveva il libero accesso. Veniva più volte al giorno per
informarmi degli incontri che stava preparando. Primo fra tutti, la visita al
Presidente Ion Iliescu nello storico Palazzo Cotroceni, una meraviglia
dell’arte rumena. Quando incontrai Iliescu, si manifestò subito tra di noi
una reciproca simpatia e una stima profonda. Nonostante vi fosse la
traduzione di Iancu, il Presidente preferiva parlare in francese, lingua che
conoscevo. Con riferimento all’invito ufficiale che mi aveva fatto recapitare
a Roma dal Ministro degli esteri Adrian Nastase, mi disse che voleva
riaprire la Romania alla Massoneria. Aveva avuto, al riguardo, alcune
proposte da Massonerie europee, ma egli preferiva l’Italia in considerazione
anche dei rapporti storici e di amicizia tra i nostri due paesi. Mi annunciò
che, durante la mia visita, avrei incontrato i personaggi che rappresentavano
il nuovo governo della Repubblica di Romania.
Il primo a farmi visita fu il generale Victor Atanasie Stanculescu,
Ministro della Difesa, che aveva avuto un ruolo determinante nella fine del
dittatore Ceausescu. Fu proprio lui, infatti, che fece tornare indietro
l’elicottero che lo stava portando all’estero. Lo processò e lo fece fucilare
insieme alla moglie Elena. Aspettavo di vedere un uomo in alta uniforme
ma fui deluso. Si presentò, invece, un compassato gentiluomo inglese con il
sorriso sulle labbra. Per oltre due ore parlammo di storia, letteratura e
filosofia. Prima di andarsene mi invitò a pranzo nel Ministero della Difesa.
Non dimenticherò mai quel pranzo. All’ora convenuta, fui ricevuto con gli
onori militari e introdotto in una sala lunga e stretta. Vi era un enorme
tavolo ai lati del quale sedevano ufficiali in alta uniforme, in un silenzio
tombale. Al mio arrivo, scattarono in piedi e poi si rimisero subito a sedere.
Fui fatto accomodare in uno dei lati di testa del tavolo. Dopo alcuni minuti,
in un tempo che sembrava mai passare, si aprì una porta, in fondo alla
parete opposta alla mia. Tutti scattarono in piedi e, all’apparire del
Generale, lo accolsero con un saluto militare. Lo guardai. Quel che vedevo
non aveva nulla del gentiluomo inglese che avevo conosciuto due giorni
prima. Era in alta uniforme e i suoi occhi gelidi incutevano timore. Al
termine del pranzo, mi rivolse parole di elogio e mi regalò un drappo con i
colori della Romania. Da quel giorno non l’ho più visto. Stanculescu svolse
il ruolo di Ministro della Difesa nei primi due esecutivi guidati da Petre
Roman e fu ambasciatore in Inghilterra. Processato per aver represso con la
violenza alcuni moti per la liberazione, fu rinchiuso in carcere dove ancora
si trova. La storia personale di quest’uomo rivela le contraddizioni della
democrazia: prima è stato usato per eliminare il dittatore e poi imprigionato
per il modo in cui l’ha fatto.
Erano giorni freddi con frequenti nevicate. Passavo il tempo nella villa
accudito dal cameriere, che mi preparava i piatti tipici della cucina rumena.
Mi raccontava anche le sue esperienze al servizio di Ceausescu. In una tarda
mattinata, venne a trovarmi Petre Roman, Primo Ministro della Romania.
Mi trovai di fronte un uomo mediocre e timoroso. Mi parlò della sua
partecipazione alla rivoluzione e delle relazioni che stava intrattenendo con
paesi europei. Capii subito che, a differenza di Iliescu e Nastase, egli era
orientato a favore della Francia. Si mise formalmente a mia disposizione.
Iancu confermò la mia impressione e mi disse che la fortuna di Roman era
dovuta alla moglie, una donna forte e autoritaria, che l’aveva costretto a
partecipare alla rivolta contro Ceausescu.
Adrian Nastase, che avevo conosciuto a Roma nella sede del Grande
Oriente d’Italia, seguiva a distanza i miei incontri. Una sera venne a
trovarmi. Espresse subito compiacimento per il modo in cui procedevano
gli incontri. Mi confermò il suo pieno appoggio. Tra di noi, a prescindere
dalle ragioni della mia visita, emerse subito un’intesa sul piano accademico
e culturale. Egli era professore ordinario di Diritto all’Università di
Bucarest. Aveva scritto opere che in parte coincidevano con i miei studi
epistemologici delle scienze sociali. Questo legame rimarrà intatto per gli
anni a venire. Come Ministro degli Esteri prima e come Primo Ministro poi,
egli sosterrà con convinzione e autorevolezza i rapporti privilegiati con
l’Italia.
In un paese appena uscito dalla dittatura, un ruolo di primo piano è stato
svolto anche da Virgil Magureanu, primo Direttore dei Servizi segreti
(Serviciul Roman de Informatii). Nell’immaginario popolare, Magureanu
era la personificazione del male. Quando si faceva il suo nome, la gente si
segnava con il simbolo della croce. Era considerato l’autore o in mandante
di atroci crimini contro il popolo rumeno. Era odiato ma temuto. Quando lo
incontrai, avevo di lui quest’immagine. Mi trovai di fronte, invece, un uomo
di grande intelligenza e un politico lungimirante. Collaborava con Iliescu e
Nastase per dare un nuovo assetto alla Romania.
Iliescu volle che io incontrassi un giovane economista che era stato da
lui nominato Governatore della Banca Nazionale di Romania. Si chiamava
Mugur Isarescu. Il lungo colloquio che ebbi con lui mi fece capire che il
futuro della Romania non era soltanto nella mani di esponenti della vecchia
generazione che erano stati coinvolti nella dittatura di Ceausescu, ma anche
di giovani preparati e di talento. Ne è prova che ancora oggi Isarescu è
Governatore della Banca Nazionale. Quando nel 2010 feci ritorno in
Romania, mi ricevette con gli onori dovuti ai Capi di Stato. Al termine di
un pranzo in banca, fece scattare delle foto che mi consegnò con la dicitura:
“venti anni dopo”. Penso che, in tutte le travagliate vicende della Romania
negli ultimi trent’anni, Mugur Isarescu sia un pilastro che abbia dato
stabilità e prestigio al suo paese.
In soli tre giorni, avevo incontrato e conosciuto i massimi esponenti del
nuovo potere in Romania. Tornai a Roma e convocai la Giunta alla quale
comunicai che avremmo riportato la Luce massonica in Romania.
Iniziano così periodici viaggi verso Bucarest. Con il consenso dei vertici
istituzionali rumeni, vengono scelti i candidati per formare le Logge. Sono
tutti di alto livello e rappresentano i diversi aspetti della società: medici,
avvocati, ingegneri, professori universitari, imprenditori, politici,
giornalisti. Comincia la formazione delle Logge. Secondo le antiche usanze,
le iniziazioni sono fatte da massoni del Grande Oriente d’Italia. Nel caso
specifico, è lo stesso Gran Maestro. Si usano le Costituzioni e i
Regolamenti Generali del Grande Oriente d’Italia. Il Gran Maestro nomina i
Venerabili e consacra le Logge.
Costel Iancu consolida la sua posizione come mio rappresentante. In
alcuni casi, usa la sua influenza massonica per favorire gli affari di una
società che aveva in Italia con un imprenditore dell’Aquila. Non sempre si
muove con prudenza e cominciano le prime critiche nei suoi confronti. Per
realizzare le sue ambizioni, forma un gruppo di sostenitori. Appare chiaro
che punta in alto. Lo studiavo attentamente perché volevo giustamente
compensare il suo contributo ma non avevo trovato in lui ciò che ritenevo
fondamentale: la fedeltà e la correttezza. Tra le due, la correttezza è più
importante perché esprime la dignità di un uomo.
Era l’inverno del 1991 quando Iancu mi propone di andare a Mosca per
incontrare il Patriarca di tutte le Russie, Alessio II (1990-2008). La visita
era stata organizzata dal Segretario della Chiesa Ortodossa rumena, che
aveva studiato con Alessio nello stesso collegio. Fu un viaggio in auto da
Bucarest a Mosca estenuante ma di grande interesse. Per la prima volta,
vedevo regioni che conoscevo solo nelle carte geografiche. Il cielo era
nuvoloso e a volte nevicava. Fui impressionato dalle barriere militari che
esistevano nei confini tra paesi e le ispezioni che venivano fatte su uomini e
cose. Arrivammo finalmente a Mosca che era sotto un candido manto di
neve. Fummo alloggiati al Metropol, il più antico e prestigioso hotel della
capitale russa. E’ situato nel centro di Mosca e fu costruito negli anni 1899-
1907 in stile liberty, prima della rivoluzione bolscevica del 1917. Dopo aver
varcato la porta girevole, ho avuto la sensazione di entrare in un mondo
onirico. Tutto ciò che ti circondava sembrava espressione di tempi ormai
lontani. Così la cena in uno splendido salone con pareti affrescate e
lampadari giganteschi che emanavano una luce di rara bellezza. Su un
ballatoio, che sporgeva da una delle pareti, un’orchestra suonava musiche
tradizionali che coinvolgevano emotivamente. Fummo fatti sedere intorno a
un tavolo su cui facevano mostra una tovaglia riccamente ricamata, posate e
bicchieri in puro stile liberty e un candelabro che emanava una luce
scintillante. I camerieri, che indossavano i vestiti tradizionali, col sorriso
sulle labbra, ci deliziavano narrandoci i piatti del menù. La nostra scelta fu
a favore della cucina tradizionale. Caviale beluga e champagne d’annata
hanno cominciato a stimolare il nostro palato, seguiti da piatti i cui sapori
esaltavano il gusto e il piacere. La vodka “Absolut Crystal Pinstripe Black”
intervallava le diverse portate. Il caffè “alla turca” concluse una cena
indimenticabile.
All’indomani, avremmo saputo quando ci sarebbe stato l’incontro col
Patriarca. La colazione avvenne in una piccola sala i cui colori dominanti
erano il verde e l’oro. Al centro, su un piedistallo, stava una fanciulla, di
rara bellezza, che suonava l’arpa. Le note che si diffondevano nell’aria mi
catturavano al punto che non riuscivo ad assaporare i prelibati cibi che
avevo sul piatto.
Ci fu comunicato che l’incontro col Patriarca avrebbe richiesto l’attesa
di giorni. Era l’occasione per visitare Mosca. La Piazza Rossa, il Mausoleo
di Lenin, il Teatro Bolscioi erano lì intorno. Sotto una forte nevicata e un
vento gelido che soffiava, abbiamo contemplato monumenti che
raccontavano ancora storia e leggenda.
Due giorni dopo, alle otto della sera, ricevemmo la notizia che il
Patriarca ci avrebbe ricevuto. Due ore dopo varcammo la soglia della sua
dimora. Fummo ricevuti dal Segretario che chiese le mie generalità. E’ a
quel punto che accadde qualcosa che avrebbe potuto vanificare la nostra
visita a Mosca. Quando il Segretario apprese che il Patriarca avrebbe
incontrato un Gran Maestro della Massoneria, cadde dalle nuvole ed ebbe
una reazione di stizza. Il Segretario della Chiesa Ortodossa rumena non gli
aveva parlato di Massoneria e lui era disorientato. Non sapendo cosa fare
informò il Patriarca, il quale mi ricevette con interesse e curiosità. Voleva
sapere perché un Gran Maestro della Massoneria italiana fosse andato da
lui.
Ebbe inizio l’incontro e io gli feci omaggio di un’antica e prestigiosa
Bibbia che era stata acquistata in un negozio di antiquariato di Bucarest. Il
Patriarca mi parlò della sua elezione da poco avvenuta e del suo progetto
per ridare vita e splendore alla Chiesa Ortodossa russa. Criticò aspramente
Giovanni Paolo II perché inviava in Russia i preti polacchi che
consideravano il suo paese come terra di conquista e di evangelizzazione.
Parlammo di religione, geo-politica e di futuro. L’incontro si protrasse fino
alle ore 4 di mattina. Mi regalò una Bibbia in russo e mi chiese di portare un
suo messaggio a Giovanni Paolo II. Lo avrebbe ricevuto a Mosca e gli
avrebbe fatto costruire chiese, se non avesse più inviato i preti polacchi e gli
“uniati” (cristiani d’Oriente che seguono le dottrine cattoliche e sono in
comunione con la sede apostolica di Roma). Il Patriarca ignorava che in
quel tempo io ero in “guerra” con il Vaticano. Al viaggio in Russia
partecipò anche Felix Ruben, Tesoriere della Fondazione Dignity e
rappresentante in Italia di Marc Rich.
Intanto fa la sua comparsa sulla scena massonica della Romania il Rito
Scozzese Antico e Accettato. Il Sovrano Gran Commendatore della
Giurisdizione Sud degli Stati Uniti, Fred Kleinknecht, aveva inviato a
Bucarest un suo rappresentante di origini romene. E’ una caratteristica
tipica del Rito Scozzese di intervenire in un territorio dopo che sono state
formate Logge con i tre Gradi di Apprendista, Compagno e Maestro. Lo
scopo è quello di prelevare i Maestri dalle Logge e iniziarli nel Rito. Mentre
questo già avveniva e si formavano i Capitoli del Rito, si attendeva la
fondazione e la consacrazione della Gran Loggia per formare il Supremo
Consiglio.
I rapporti fra la Romania e l’Italia procedevano con soddisfazione di
entrambe le parti. Le relazioni tra il Presidente Iliescu e il Presidente del
Consiglio italiano, Bettino Craxi, erano mediate da Giuliano Di Bernardo,
Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Il Presidente Craxi aveva dato
l’incarico a una persona di sua fiducia, l’Onorevole Emilio De Rose di
Verona, di venire a Trento nella mia residenza per ritirare i plichi riservati
che il Presidente Iliescu mi aveva consegnato. De Rose, a sua volta, mi
dava i plichi di Craxi che avrei dovuto consegnare al Presidente Iliescu. In
tal modo, sono state sviluppate e rafforzate le relazioni politiche,
economiche e culturali tra l’Italia e la Romania
Con Bettino Craxi esisteva un’intesa molto forte sul modo d’intendere
la politica italiana. Nell’autunno del 1991, Craxi mi confida un progetto
ancora segreto, che partiva da un accordo con Giulio Andreotti, mediante
cui si sarebbe dato un nuovo assetto alla politica del nostro paese, ponendo
Andreotti alla Presidenza della Repubblica e lo stesso Craxi alla Presidenza
del Consiglio dei Ministri. Si trattava di un progetto all’interno del
cosiddetto CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), di cui Eugenio Scalfari, che ha
il dono di annusare le novità della politica italiana, aveva intuito l’esistenza
e ne aveva parlato in uno dei suoi articoli magistrali. I due leader non
volevano che il progetto trapelasse perché avrebbe potuto creare problemi
alla formazione del governo. Entrambi pensarono di affidare a Giuliano Di
Bernardo, non tanto al Gran Maestro quanto al filosofo che conosce la
natura umana, il compito di incontrare i possibili Ministri e Sotto-segretari,
allo scopo di valutarli e proporre, per ciascuno di loro, un posto nella
compagine governativa. Iniziarono per me incontri molto riservati con
Ministri allora in carica come Rino Formica (Ministro delle Finanze), che
venne a trovarmi di notte a Villa il Vascello. Di particolare interesse furono
gli incontri con Antonino (Rino) Nicolosi, presidente della Regione
Siciliana dal 1985 al 1991. Craxi mi aveva detto che, per Nicolosi, si
prevedeva un incarico di Sotto-segretario. Dopo il primo incontro, avvenuto
a Roma in Via delle Quattro Fontane, mi disse con franchezza che lui
aspirava a un incarico di Ministro. L’uomo mi piacque e mi ispirava fiducia.
Mi chiese di dargli la possibilità di mostrarmi il suo valore. Acconsentii e
m’invito a Palermo. Voleva che io vedessi il suo centro Cerisdi, una scuola
manageriale di alta formazione sul Monte Pellegrino che sovrasta Palermo.
Aveva sede nel Castello Utveggio, un’elegante dimora in stile liberty che
nasce come albergo di lusso. Non ebbe fortuna e, dopo un periodo di lungo
abbandono, fu acquistato dalla Regione Siciliana. Fui sorpreso dal rigore
organizzativo e dall’alta tecnologia che veniva usata. In definitiva, ero più
che convinto che Rino Nicolosi avrebbe potuto svolgere con competenza e
impegno il ruolo di Ministro.
Tutto procedeva a gonfie vele, quando il 17 febbraio del 1992 accade
qualcosa che distruggerà il progetto e cambierà l’Italia. E’ l’arresto di
Mario Chiesa e l’inizio di “Mani pulite”. Dopo gli anni del terrorismo, che
tanto affanno aveva procurato al nostro paese, bussava alla porta dell’Italia
la stagione che vedrà distrutti i partiti politici e l’insorgere di uno stato di
caos nei rapporti tra le Istituzioni che ancora oggi fa sentire il suo peso. A
volte mi chiedo come sarebbe stata l’Italia se il progetto Craxi-Andreotti si
fosse realizzato. In alternativa, abbiamo avuto il berlusconismo che ha
radicalmente cambiato il modo di concepire la politica.
Sono trascorsi circa due anni dalla mia prima visita a Bucarest
nell’inverno del 1990. Alcune Logge sono state formate e preparate per
svolgere il lavoro massonico. Le Costituzioni e i Regolamenti sono stati
tradotti in rumeno. Cominciano ad esservi le condizioni per far nascere la
Gran Loggia di Romania.
Il primo e più importante problema da risolvere riguardava il Gran
Maestro. Chi sarà il Gran Maestro? Costel Iancu mi propose la sua
candidatura. Me l’aspettavo e avevo già preparato la risposta. Gli dissi che
avevo esaminato con la massima attenzione la sua candidatura. Gli ero
grato per il contributo che aveva dato ma il suo livello morale non mi era
apparso così rigoroso come lo avrei voluto. Il primo Gran Maestro di una
rinascente Massoneria deve essere un modello di limpida idealità da
trasmettere a tutti i fratelli della Comunione. Se Iancu era stato bravo nel
governare gli uomini, non altrettanto lo era stato nell’irradiare i principi
etici universali. La sua non sarebbe stata la scelta giusta. Glie lo dissi con la
franchezza che mi contraddistingue. Annuì ma non fu sorpreso più di tanto.
Forse se l’aspettava.
Dopo aver chiarito la situazione con Costel Iancu, convocai i Venerabili
delle Logge e diedi loro l’incarico di trovare colui che avrebbe potuto
prendere il maglietto di Gran Maestro. Passarono alcuni mesi e mi
proposero Nicu Filip. Era un pianista di grande talento che aveva subito
persecuzioni durante il regime di Ceausescu. Viveva al di fuori del suo
tempo ma la sua dignità di uomo era adamantina. Approvai la proposta e
fissai la data per la fondazione e la consacrazione della Gran Loggia
Nazionale di Romania. Iancu mi comunicò che si sarebbe dedicato al Rito
Scozzese aspirando a farne il Sovrano Gran Commendatore. Così è stato.
Iancu è stato l’indiscusso Sovrano del Rito Scozzese Antico e Accettato
della Romania fino al 2015. In quell’anno scoppia un conflitto tra lui e
Radu Balanescu, Gran Maestro della Gran Loggia Nazionale di Romania, il
quale voleva modificare le Costituzioni dell’Ordine per favorire la sua
rielezione. A questa sua aspirazione, si oppone Costel Iancu, il quale,
tuttavia, commette alcuni errori che danno l’occasione a Balanescu di
metterlo in stato d’accusa e rinviarlo al giudizio del Tribunale massonico. Il
21 settembre del 2015 il Tribunale sospende Constantin Iancu da tutte le
attività massoniche. Il 25 settembre il Supremo Consiglio del Rito Scozzese
nomina Stelian Nistor nuovo Sovrano Gran Commendatore. Costel Iancu
lascia la Romania e ritorna in Italia. Si dice che sia all’Aquila, la città
abruzzese da cui ha avuto inizio la sua avventura in Massoneria. Anche per
lui vale il mito dell’eterno ritorno.
Il 24 gennaio del 1993, in una solenne cerimonia, il Gran Maestro
Giuliano Di Bernardo, dopo aver verificato la regolarità di tre Logge
all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia, (“Concordia”, “Delta Dunarii” e
“Nicolae Balcescu”), dichiara formalmente costituita e consacrata la “Gran
Loggia Nazionale di Romania”. Al termine della cerimonia di “passaggio
della luce”, nomina Nicu Filip Gran Maestro e lo installa sul Trono di Re
Salomone.
La Massoneria torna a vivere in Romania per svolgere un ruolo
propulsore nello sviluppo delle attività politiche, economiche e culturali del
paese ispirate da una visione etica. Poco tempo dopo, tuttavia, iniziarono
conflitti e scissioni. Della Massoneria unita e autorevole che io avevo
fondato, resta oggi solo una pallida immagine. Dopo circa 30 anni, in
Romania esistono una decina di Obbedienze massoniche e un numero
imprecisato di Ordini e Riti, che si combattano nella maniera più indegna.
La confusione regna sovrana.
Abbiamo visto che Radu Balanescu, Gran Maestro della Gran Loggia
Nazionale di Romania, si sta adoperando per modificare le Costituzioni
dell’Ordine allo scopo di favorire la sua rielezione. Costel Iancu è stato una
vittima illustre della sua ambizione. In Romania oggi si sta ripetendo ciò
che accadde in Italia, quando Gustavo Raffi, Gran Maestro del Grande
Oriente d’Italia, fece salti mortali per modificare più volte le Costituzioni
dell’Ordine allo scopo di consentire la sua rielezione. Raffi conseguì il
risultato desiderato ma diede un’immagine deformata della più antica
Massoneria nel nostro paese. E’ stato Gran Maestro per quindici anni. Poi,
all’improvviso, l’oblio è caduto su di lui.
Questa è la stessa strada che Radu Balanescu sta percorrendo.
Similmente a Raffi, ha dovuto sottomettere il Rito Scozzese alla sua
autorità. A differenza di Raffi, lo scontro è stato, e lo è ancora, molto
violento e distruttivo. Anche se in condizioni diverse, sembra che in
Romania si stiano creando le condizioni che portarono in Italia alla
scissione tra Cecovini e Colao, con la costituzione di due Supremi Consigli
rivali, che molti danni procurò alla Massoneria italiana. Quando i Gran
Maestri capiranno che la Massoneria non è la realizzazione delle proprie
ambizioni e del tornaconto personale, ma una delle più nobili e antiche
concezioni dell’uomo e della vita per la costruzione del Tempio della
Fratellanza universale? E’ arrivato il momento di cacciare i mercanti dal
Tempio!
Il mio impegno per la rinascita della Massoneria nei paesi dell’Est
europeo continuò instancabilmente nel 1991 e nel 1992. Il Grande Oriente
d’Italia partecipò alla ricostruzione della Massoneria in Cecoslovacchia e in
Polonia.
Nei primi due anni della mia Gran Maestranza, i punti fondamentali del
progetto “trasparenza” avevano trovato pratica attuazione. I rapporti con le
istituzioni pubbliche erano improntate a un reciproco rispetto. La stampa e
la televisione seguivano con interesse crescente gli eventi massonici. Il
ruolo internazionale del Grande Oriente d’Italia era sempre più importante,
come si evinceva dalla rinascita della Massoneria nei paesi dell’ex impero
sovietico. Il numero delle iscrizioni cresceva in maniera esponenziale, a
conferma della rinata fiducia nel Grande Oriente d’Italia dopo la vicenda
della P2.
Mi muovevo ormai con disinvoltura ai vertici mondiali e venivo
coinvolto in progetti di grande rilevanza, come la Fondazione “Dignity”.
Era il tardo pomeriggio di un giorno d’autunno del 1991, quando
ricevetti la visita di una delegazione di ebrei svizzeri, nella sede romana di
Via San Pancrazio. Il mio segretario personale, Luigi Savina, aveva
preparato l’incontro con particolare attenzione, essendo lui stesso ebreo.
La delegazione era guidata da Joseph Guggenheim, un avvocato di
Zurigo. Compresi subito che avevo di fronte un personaggio importante.
Dopo i preliminari, Guggenheim mi rivelò lo scopo della sua visita. I
vertici ebrei di Israele, degli Stati Uniti e della Svizzera avevano deciso di
costituire una Fondazione internazionale per la difesa delle minoranze
etniche. Mi proponevano di formarla e di assumerne la presidenza.
Accolsi la proposta con interesse e curiosità ma volevo sapere la ragione
per cui si erano rivolti proprio a me. Feci notare che avevo, del complesso
mondo ebraico, solo una conoscenza superficiale. La risposta fu chiara:
avevano osservato il ruolo da me svolto alla guida del Grande Oriente
d’Italia e per questo mi avevano scelto. Guggenheim, cordiale ma
determinato, mi chiese di pensarci e di comunicargli la mia decisione.
La sera, nel silenzio della mia dimora, cominciai a riflettere. Da una
parte, la proposta mi rendeva orgoglioso, dall’altra mi preoccupava. Se un
personaggio come Guggenheim era venuto da me, significava che il
progetto trasparenza, da me iniziato subito dopo la mia elezione, era seguito
e apprezzato anche da autorevoli ambienti non massonici. Tuttavia,
l’impegno che mi avevano chiesto avrebbe potuto ostacolare l’opera che
avevo iniziato nel Grande Oriente d’Italia. Sarei riuscito a svolgere, con
l’impegno che mi contraddistingue, le due rilevanti ma differenti attività?
La proposta di Guggenheim mi affascinava ma, nello stesso tempo, faceva
nascere il timore che mi avrebbe distratto dall’impegnativo compito di
riportare il Grande Oriente d’Italia ai fasti e alla nobiltà delle origini. I
giorni che seguirono videro il mio intelletto teso nello sforzo di trovare una
soluzione equilibrata.
La settimana dopo informai Guggenheim che mi stavo orientando ad
accettare la loro proposta e che avrei voluto ulteriori informazioni sul
progetto. Fece seguito l’invito a Zurigo per un incontro che si sarebbe
tenuto nello splendido hotel “The Dolder Grand”, in via Kurhausstrasse 65,
che era stato scelto come sede provvisoria della nascente Fondazione.
Arrivato a Zurigo, presi un taxi per andare al Dolder Grand, che era
situato in zona collinare. Era un tardo pomeriggio e il sole stava
tramontando. Salendo verso la collina che già presentava i densi colori
dell’autunno, ebbi la sensazione che stavo per iniziare un’avventura che mi
avrebbe fatto entrare negli aspetti più reconditi di un mondo che non
conoscevo ma che mi affascinava. Quando vidi la maestosità dell’hotel,
compresi senza alcun dubbio che la mia scelta era stata sensata e giusta,
almeno come esperienza straordinaria della mia vita. Fui accolto come
ospite di riguardo.
Il programma prevedeva una riunione prima della cena. Nell’attesa di
essere convocato, mi ponevo domande cercando d’immaginare il progetto
che mi sarebbe stato presentato. Fui avvisato che ero atteso in una saletta
dedicata all’incontro. Mi trovai di fronte Joseph Guggenheim e alcune
persone che avrebbero sostenuto la Fondazione. Tra queste, Felix Ruben, un
massone alla mia obbedienza in una Loggia di Milano e rappresentante in
Italia di Marc Rich, considerato il re delle materie prime con sede a Zuch in
Svizzera.
Fatte le usuali presentazioni, Guggenheim mi illustra il progetto che i
vertici ebrei avevano concepito e che ora si voleva attuare.
La millenaria storia del popolo ebreo è caratterizzata da persecuzioni
che gli hanno inflitto sofferenza e affanni. Dopo il crollo del Comunismo, si
stavano riformando in Europa nazionalismi che avrebbero potuto generare
nuove persecuzioni contro le minoranze etniche e religiose. Se ciò fosse
avvenuto, sarebbe stato necessario difendere la loro dignità.
In poche parole, mi viene svelato il fine della Fondazione, che non è
quello di difendere specificamente il popolo ebraico da eventuali future
persecuzioni, ma la difesa di tutte le minoranze etniche e religiose. Non una
Fondazione per la difesa degli ebrei ma dell’uomo in quanto persequitato.
Difendendo tutte le minoranze, si sarebbe difende anche Israele.
Il progetto mi apparve grandioso e indispensabile per il futuro
dell’umanità. Come realizzarlo? Avevo compreso il progetto ma ancora mi
sfuggiva la ragione per cui si erano rivolti a me. Personaggi di grande
levatura morale e intellettuale all’interno del mondo ebraico avrebbero
potuto svolgere l’impegnativo compito meglio di me. Lo feci presente a
Guggenheim il quale mi diede la risposta che fugò ogni mio dubbio. La
scelta era caduta su di me per due ragioni. La prima perché, come filosofo e
Gran Maestro, avevo chiaramente rivelato di possedere le qualità necessarie
per comprendere la natura umana e la società. La seconda perché il fine
sarebbe stato meglio raggiunto da colui che avrebbe operato dall’esterno
all’ebraismo. Per queste ragioni, vedevano in me il fondatore e il presidente
della Fondazione.
Chiariti il fine e il ruolo del Fondatore, restavano da definire la
denominazione e i membri di governo. Per quanto riguarda la
denominazione, viene dato a me il compito di proporla, mentre i membri
che avrebbero governato la Fondazione sarebbero stati scelti da
Guggenheim e da me. Con questo programma termina la riunione. La cena,
che si è tenuta in una saletta a noi riservata, si svolge in un clima di fraterna
amicizia, con la consapevolezza che si stava iniziando qualcosa
d’importante non solo per il popolo ebreo ma anche per l’umanità. La
deferenza con cui lo chef e i camerieri si rivolgevano a Guggenheim era
un’ulteriore prova della sua autorevolezza.
Dopo il mio ritorno a Roma, cominciano le riflessioni. Quale nome dare
alla Fondazione? E’ mia abitudine ricercare nella filosofia, per trovare il
filosofo o l’atteggiamento filosofico che meglio interpreti ciò che si vuole
denominare. La prima scelta cadde su Protagora, il sofista che aveva
dichiarato che “l’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in
quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”. L’uomo è anche
misura di dio ed è al centro della conoscenza umana. Nello specifico, la
visione di Protagora ben esprimeva la dignità dell’uomo che la Fondazione
intendeva esaltare. Ne parlai con Guggenheim che condivise la mia
proposta ma preferiva una denominazione di più facile e immediata
comprensione. Non tutti conoscono Protagora e la sua interpretazione
dell’uomo. Dovetti ammettere che egli aveva ragione. Perché allora non
denominare la Fondazione “Dignity” visto che il suo fine è proprio quello
di difendere la dignità dell’uomo? Ecco la soluzione: “Dignity” e, come
sottotitolo “Fondazione per la difesa della dignità dell’uomo”. La
Fondazione si sarebbe chiamata: “Dignity. Fondazione per la difesa della
dignità dell’uomo”.
Dopo la denominazione, avrei dovuto proporre eminenti personaggi per
il governo degli Organi della Fondazione. Il mio primo pensiero andò a
Spencer Compton, VII marchese di Northampton, membro della House of
Lords e astro nascente della Massoneria inglese. I nostri rapporti
discendevano da un’intesa ideale, che avrebbe poi determinato decisioni
importanti non solo per la Massoneria italiana. I nostri incontri si
svolgevano nella sua dimora, il castello di Wynyates (Tysoe, Warwick), reso
famoso da eventi storici e dalla sua incomparabile bellezza.
Dopo Lord Spencer (per me Spenny), la mia scelta cadde su Walter
Hess, già professore emerito di Chirurgia all’Università di Basilea, che
aveva scritto libri di chirurgia, tradotti nelle principali lingue del mondo, su
cui si erano formati medici di più generazioni. Era un Maestro nel vero
senso della parola. Conobbi Walter nel 1988 a Bologna, in una riunione
della Loggia “Zamboni-De Rolandis”, dove rappresentava la Gran Loggia
Svizzera Alpina. L’intesa fu immediata. Conosceva molto bene l’italiano e
aveva letto la mia Filosofia della Massoneria. Ne aveva apprezzato la
profondità di pensiero e mi chiese di poterlo tradurre in tedesco. M’invitò a
Zurigo, dove viveva, per progettare le cose da fare.
Il professor Antonio Monclus, esponente di spicco della rinata
Massoneria in Spagna e traduttore in spagnolo dei miei libri Filosofia della
Massoneria e La ricostruzione del tempio, mi aveva presentato Mario
Conde, presidente del Banco Espanol de Credito (Banesto) a Madrid. L’
amicizia con Mario non si è mai spenta, anche se circostanze avverse della
sua vita hanno interrotto la realizzazione di ambiziosi progetti.
Lord Northampton, il professor Hess e il banchiere Mario Conde
rappresentavano, rispettivamente, l’Inghilterra, la Svizzera e la Spagna.
Volevo che ai vertici della Fondazione vi fossero anche eminenti personalità
italiane da ricercare nel mondo della filosofia e della scienza. Da tempo
intrattenevo rapporti, non solo accademici, con Vittorio Mathieu, professore
ordinario di Filosofia morale all’Università di Torino. I suoi contributi alla
riflessione filosofica, con particolare riguardo a Kant, erano ben noti e
apprezzati in Italia e all’estero.
Mathieu, che rappresentava il pensiero filosofico, doveva essere
affiancato da un eminente scienziato. La mia scelta cadde su Giorgio
Cavallo, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Torino, di
cui era stato anche Rettore, e Accademico dei “Lincei”. Mathieu e Cavallo,
entrambi torinesi, erano i rappresentanti di una visione universalistica
dell’uomo e della vita, che li rendeva in perfetta sintonia con il fine della
costituenda Fondazione.
I miei candidati per la formazione degli Organi di governo della
Fondazione sarebbero stati: Lord Northampton, Walter Hess, Mario Conde,
Vittorio Mathieu e Giorgio Cavallo, i quali accettarono con entusiasmo la
mia proposta di entrare a far parte della Fondazione.
Informai Guggenheim di aver trovato la denominazione della
Fondazione e di essere pronto a presentare i miei candidati. Fissammo la
data del prossimo incontro da tenersi sempre al Dolder Grand di Zurigo.
La seconda riunione si svolse con la stessa formalità della precedente.
Proposi la denominazione della Fondazione, che fu accolta all’unanimità.
Sempre all’unanimità furono accettati i candidati da me proposti.
Guggenheim, dal canto suo, propose i suoi candidati.
Marc Rich, leggendario personaggio che determinava il destino di
popoli e nazioni, con sede a Zug in Svizzera.
Abraham Foxman, potente Direttore Nazionale di ADL (Anti-
Defamation League) della B’nai B’rith, con sede a New York nel Palazzo di
Vetro.
Rabbi Arthur Schneier, Fondatore e Presidente della “Appeal of
Conscience Foundation” e capo spirituale della “New York’s Park East
Synagogue”, uno dei più importanti leader carismatici per la difesa delle
libertà religiose.
Dr. Hans Rudolf Meyer, avvocato e sindaco di Lucerna, autorevole
leader politico della Confederazione Elvetica.
Prof. Dr. E.L. Ehrlich, potente rappresentante in Svizzera della B’nai
B’rith, che viveva a Berna.
Accettai i candidati di Guggenheim e così completammo l’elenco di
coloro che avrebbero svolto la funzione di guida della nascente Fondazione.
Nei mesi successivi, si svolsero riunioni in Svizzera, Inghilterra, Stati
Uniti, Spagna e Italia. Lo scopo era quello di preparare la costituzione degli
Organi di governo della Fondazione. Seguirono incontri al Dolder Grand,
dove mi furono presentati eminenti personalità del mondo ebraico che
avrebbero partecipato alla Fondazione.
Mentre le attività procedevano con impegno ed entusiasmo,
Guggenheim mi invita a Lucerna per vedere la residenza che era stata scelta
come sede della Fondazione. Era una stupenda Villa liberty sulla riva del
lago di Lucerna, con uno splendido parco e un porticciolo per barche. Si
trovava in via Haldenstrasse 40.
Marc Rich, che avevo conosciuto a Zug e incontrato a Bucarest, mi fa
avere da Felix Ruben l’invito, come suo gradito ospite, per partecipare al
Festival di musica classica di Lucerna, nella seconda quindicina di agosto
del 1992. E’ stata un’esperienza che non dimenticherò mai. Io e mia moglie
eravamo ospiti dell’hotel Palace, sulla riva del lago a pochi metri dalla sede
della Fondazione. La nostra camera aveva la vista sul lago di fronte al
castello dove Wagner aveva composto “Tristano e Isotta”. La sera al
tramonto una barca veniva a prenderci per portarci all’altra sponda del lago
dove era la sede del Festival. Dopo le emozioni della musica, si concludeva
la serata con la cena in un piacevole ristorante.
In un contesto di solennità al Dolder Grand, nell’autunno del 1992, viene
costituito il “Board of Governors”:
Chairman: Giuliano Di Bernardo
Vice-Chairmen: The Marquis of Northampton
Hans Rudolf Meyer
Treasurer: Felix Ruben
Members: Giorgio Cavallo
Mario Conde
Walter Hess
Vittorio Mathieu
Subito dopo, si procede alla costituzione del “The Statutory Foundation
Council”:
Chairman: Giuliano Di Bernardo
Vice-Chairman: Hans Rudolf Meyer
Member of the Board Walter Hess
Secretary: Joseph Guggenheim
Joseph Guggenheim è il Segretario Generale della Fondazione.
Si decide di chiedere il riconoscimento della Fondazione “Dignity” al
Governo Cantonale di Lucerna e al Governo Federale della Svizzera. Di
tale compito viene investito Hans Rudolf Meyer mentre il Segretario
Generale avrebbe preparato l’Atto costitutivo.
I tempi erano ormai maturi per dare alla nascente Fondazione un assetto
formale e stabile. In una riunione al Dolder Grand nell’autunno del 1992,
viene presa la decisione di tenere “La prima Assemblea Generale di
Dignity” a Castel Ashby, seconda residenza di Lord Northampton, sabato
31 gennaio del 1993. Castel Ashby è più imponente ma meno intimo di
Wynyates e si presentava come la migliore scelta per l’inizio ufficiale di
Dignity. Lord Northampton e Felix Ruben si sarebbero occupati
dell’organizzazione. Guggenheim il 13 gennaio invia la lettera di
convocazione dell’Assemblea.
Venerdì 30 gennaio 1993 cominciano ad arrivare i convitati a Castel
Ashby. Vi si accede percorrendo un lungo viale fiancheggiato da prati dove
pascolavano greggi di pecore. Il paesaggio sembrava quello delle scene
bucoliche dipinte dai pittori del Settecento. Dopo la sistemazione nelle
camere assegnate (io avevo la stanza cinese), ci siamo ritrovati in un ampio
salone con le pareti ricoperte di antica quercia, dove un enorme caminetto
irradiava luce e calore. La cena si è svolta in un’atmosfera magica
indimenticabile.
Il giorno dopo, al termine di una colazione all’inglese, alle ore 11
precise, ha inizio la “Prima Assemblea Generale di Dignity”. Erano presenti
non solo i membri designati per gli Organi della Fondazione ma anche
autorevoli rappresentanti internazionali della cultura, della politica e
dell’economia. Vi era anche un prestigioso rappresentante della Corona.
I lavori vengono aperti dal Presidente, Giuliano Di Bernardo, che
illustra, passo dopo passo, le origini e gli sviluppi della Fondazione. Vi sono
interventi autorevoli di Hess e Mathieu che presentano proposte riguardanti
la progettazione di eventi culturali. Guggenheim, dal canto suo,
preannuncia le attività che saranno svolte in un prossimo futuro.
Il Presidente presenta gli Organi che sono stati formati e ne chiede la
conferma. All’unanimità, vengono approvati “The Board of Governors”,
“The Statutory Foundation Council” e la nomina di Joseph Guggenheim a
Segretario Generale.
Guggenheim dà lettura dello Statuto della Fondazione che viene
approvato all’unanimità. Si conferisce a Meyer il compito di presentarlo al
Governo Cantonale di Lucerna e al Governo Federale di Berna per farlo
approvare e registrare.
Il Segretario Generale comunica che la Sede della Fondazione sarà una
splendida Villa liberty, sulla riva del lago di Lucerna, in via Haldenstrasse
40.
Il Presidente propone la costituzione della “International Academy of
Philosophical Anthropology”, la cui direzione è affidata a Vittorio Mathieu.
Scopo dell’Accademia è quello di creare una nuova immagine dell’uomo
come premessa per realizzare un nuovo ordine mondiale. La proposta è
accolta all’unanimità.
Il Presidente propone la costituzione di un “Permanent Seminar for
Initiatory Studies”. Scopo del Seminario è quello di integrare la nuova
immagine dell’uomo elaborato dall’Accademia con le tradizioni esoteriche
e mistiche che hanno caratterizzato le civiltà umane. La proposta è accolta
all’unanimità.
A conclusione dei lavori, Lord Northampton ringrazia i convenuti e
dichiara che sarebbe onorato se Castel Ashby divenisse la Sede inglese
della Fondazione.
I partecipanti ripartono per le loro destinazioni con la convinzione di
aver contribuito a costituire una Fondazione che avrebbe reso migliore il
mondo in cui viviamo.
Mentre erano iniziate le trattative per l’acquisto della villa in via
Haldenstrasse, il Board of Governors si riunisce al Dolder Grand per una
prima valutazione dell’Assemblea. Fu in quella occasione che Guggenheim
mi ha presentato una lista di venti candidati da valutare come membri della
sezione “Fisica, biologia e medicina”. Erano tutti personaggi di fama
mondiale, tra cui eccelleva Arber Werner, professore di biologia
molecolare, Premio Nobel nel 1985 e Rettore dell’Università di Basilea.
Proposte di candidati sarebbero arrivate anche dal Rabbi Schneier, Foxman
e Erlich.
Alcuni giorni dopo l’incontro di Castel Ashby, Mario Conde m’invitò a
Madrid perché voleva parlarmi di un fatto di grande rilevanza. Incontrai
Mario nella sua banca, il Banesto. Mi confidò che il re, considerato la crisi
del partito socialista e di Felipe Gonzales, riteneva probabile affidargli
l’incarico di costituire il nuovo governo. Aveva valutato la situazione e
riteneva che avrebbe potuto aver successo solo se vi fosse stato l’appoggio
della comunità ebraica. Era chiaro il messaggio: avrei dovuto parlare con
Abraham Foxam per convincerlo a sostenere la sua causa. In definitiva,
eravamo tutti membri di Dignity.
Informai Foxman del mio arrivo a New York e gli chiesi di poterlo
incontrare. Nel pomeriggio del 24 febbraio 1993, varcai la soglia dell’Anti-
Defamation League. Entrai subito in argomento e gli presentai la situazione
riguardante Mario Conde. Precisai che senza il sostegno degli ebrei
spagnoli Mario non avrebbe accettato l’eventuale incarico del re. Foxman
mi ascolto in silenzio e poi mi disse che c’erano delle difficoltà da superare.
Le avrebbe esaminate e poi mi avrebbe dato la risposta. Dopo avermi
informato che mi avrebbe inviato un elenco di personaggi eminenti da
ammettere in Dignity, ci siamo lasciati con molte cordialità. Il giorno dopo
ho partecipato alla Conferenza dei Gran Maestri del Nord America e poi
sono ripartito per Roma.
Passano pochi giorni e Foxman mi informa che può fare quello che io
gli avevo chiesto. L’ho ringraziato e ho telefonato a Conde per dargli la
notizia. Tutto procedeva bene secondo i piani prestabiliti. Anche in questa
occasione Dignity aveva dimostrato di essere in grado di ottenere ciò che
vuole.
Intanto in Spagna la popolarità di Mario Conde cresceva. Le sue foto
primeggiavano sui giornali e nelle televisioni. Era un uomo di successo.
Quando la stella di Conde brillava nel firmamento spagnolo, accadde
qualcosa che cambiò il corso degli eventi. Le intenzioni del re di affidargli
l’incarico di formare il nuovo governo erano arrivate negli ambienti della
politica e avevano destato più di una preoccupazione. Era necessario evitare
che ciò accadesse e si fece ricorso al trucco più vecchio del mondo: si avviò
un’ispezione della Banca Centrale sul Banesto per verificare se tutto fosse
in conformità con le leggi bancarie. In qualsiasi banca, l’ispezione delle
autorità bancarie centrali avrebbe trovato situazioni di irregolarità. Allora
c’è da chiedersi: perché proprio e soltanto il Banesto? La risposta è
semplice: il Banesto perché Mario Conde è il suo Presidente, che aspira a
fare il Primo Ministro. L’arresto di Conde fu una deflagrazione che sorprese
tutti. Com’era possibile che un uomo tanto amato e invidiato potesse finire
in carcere? La stella splendente di Mario Conde aveva cominciato a cadere
distruggendo la vita e le ambizioni di un uomo. Ciò che seguì fu un calvario
senza fine. Mario Conde, l’amico e il fratello, sopportò tutto con dignità e
rassegnazione. A volte mi chiedo come sarebbe la Spagna oggi se il suo
destino fosse stato nelle mani di Mario Conde.
Durante l’Assemblea di Diginty a Castel Ashby, Mathieu aveva
proposto un Convegno sul misticismo, come prima attività del “The
Permanent Seminar for Initiatory Studies”. Mario Conde propose Madrid
come luogo dove svolgerla. Vi fu un consenso unanime. Lord Northampton
fu designato come organizzatore scientifico del Convegno, che si sarebbe
tenuto a Madrid nel novembre dello stesso anno. Il tema prescelto fu “The
Contribution of Christian and Jewish Mysticism to Inspire the Future of
Humanity”. Lo scopo era quello di identificare e definire il fondamento
comune di tutte le forme di misticismo conosciute nella storia dell’umanità.
Il programma del Convegno si sarebbe articolato in tre sezioni: 1. Il
misticismo ebraico, 2. Il misticismo cristiano, 3. Il misticismo generale.
Erano stati individuati i relatori, tra cui il Prof. Zwi Werblowsky,
dell’Università di Gerusalemme e Amsterdam, specialista del misticismo
giudaico e cristiano. Tale Convegno, su cui vi era grande attesa, non si mai
tenuto.
Ho voluto di proposito tener distinta la Fondazione Dignity dalle
vicende che intanto infuriavano sul Grande Oriente d’Italia. Già dall’estate
del 1992, vi erano state le prime avvisaglie di un attacco contro la
Massoneria italiana, che raggiunge il suo apice con l’inchiesta del
Procuratore di Palmi Agostino Cordova. Ciò significa che, mentre si
svolgeva a Castel Ashby la Prima Assemblea di Dignity, io stavo già
meditando di dimettermi dal Grande Oriente d’Italia. Come ho già spiegato,
alcuni mesi dopo mi sono dimesso dal Grande Oriente d’Italia e ho fondato
la Gran Loggia Regolare d’Italia.
Nel 1992, il giornalista Vittorio Feltri assume la direzione de
L’Indipendente e ne fa un quotidiano di successo cavalcando lo sdegno
popolare in seguito alle inchieste di “Mani pulite”. Nell’agosto dell’anno
successivo, il mio addetto stampa mi informa che Feltri sta per pubblicare
un articolo in cui afferma di aver finalmente trovato la Loggia “coperta” di
Di Bernardo, che si trova a Lucerna in via Haldenstrasse 40. Gli chiedo di
parlare con Feltri per dirgli che la Fondazione Dignity non ha proprio nulla
a che fare con la Massoneria e dichiaro la mia disponibilità a incontrarlo per
dargli tutte le informazioni sul caso. Feltri rifiuta e pubblica l’articolo che
produce un effetto deflagrante su Dignity. A settembre convoco il “Board of
Directors” al Dolder Grand per esaminare la situazione e prendere una
conseguente decisione. Dopo aver ascoltato i pareri dei partecipanti,
delibero la chiusura di Dignity. Anche questa stella, che brillava nel
firmamento dell’umanità, cade nella polvere e si estingue.
La Loggia coperta di Corona, di cui avevo documentata evidenza, mi
preoccupava. Se la notizia fosse trapelata nella magistratura inquirente e
nell’opinione pubblica, sarebbero ripresi gli attacchi contro il Grande
Oriente d’Italia. Mi giungevano, inoltre, suoi coinvolgimenti in indagini
giudiziarie e processi. Sarebbe stato necessario tenerlo monitorato.
Era il tardo autunno del 1991 quando, di notte, fui svegliato dal telefono
che squillava. Lasciai perdere pensando a un errore. Poco dopo ricominciò a
squillare. Se suona ancora, andrò a rispondere (il telefono si trovava nello
studio, lontano dalla camera da letto), pensai. Dopo una breve pausa, riprese
a squillare e, con riluttanza, mi alzai dal letto e andai a rispondere. “Parlo
col Gran Maestro”? fu la domanda che mi venne rivolta, con un marcato
accento francese. Risposi di sì. Con mio sommo stupore, mi si chiedeva la
solita fornitura di armi, leggere e pesanti. Poiché non parlavo, il mio
interlocutore s’insospettì e mi chiese se fossi Armando Corona. Al mio
diniego, chiuse la comunicazione. Tornai a letto con pensieri che si
affastellavano nella mia mente. La richiesta della fornitura di armi era
inequivocabile, come era certo il nome di Corona. A meno che io non
avessi sognato, Armando Corona, durante il suo magistero, si era avvalso
della sua autorità di Gran Maestro per fare traffico di armi. Il giorno dopo
ne parlai con il mio segretario personale, il quale confermò il mio sospetto e
mi consigliò di parlare con Giampiero Batoni, che di Corona conosceva
vita, morte e miracoli. Batoni è stato per me un personaggio chiave per
comprendere alcune zone d’ombra di ”Armandino” (come lo chiamava lui).
Batoni è stato Presidente dell’Enfap Uil (Ente di formazione). Insieme con
Corona il 17 dicembre 1986 era stato ricevuto in udienza dal Presidente
della Repubblica Francesco Cossiga. A Batoni avevo dato l’incarico di
Direttore del “Servizio stampa” che lo ufficializzava come portavoce del
Grande Oriente d’Italia. Quando gli ho riferito della telefonata notturna,
senza affatto sorprendersi, mi dice che Corona vendeva armi anche per
conto della Selenia, la divisione di Finmeccanica che controlla le imprese
produttrici di apparecchiature militari. Mi dice, inoltre, che Corona
svolgeva questa attività senza prendere le necessarie precauzioni. Un
giorno, prima che egli intraprendesse uno di questi viaggi, Batoni si accorse
che Corona stava utilizzando la carta di credito del Grande Oriente d’Italia.
Glie lo fa notare, lo rimprovera e gli offre la sua carta di credito personale.
Questo a voler significare che Corona si sentiva assolutamente sicuro di se
stesso e delle cose che faceva.
Dall’informazione di Giampiero Batoni, emergeva che il mio
predecessore, usando il canale massonico, aveva fatto da intermediario nel
traffico di armi con alcuni paesi africani, come la Somalia e il Gabon, il cui
Presidente, Albert-Bernard Bongo, era anche Gran Maestro della
Massoneria. Anche se lo avesse fatto legalmente con l’accordo del governo
italiano, sarebbe stato moralmente riprovevole. Non è mia intenzione
giudicare la sua condotta generale di uomo ma solo quella specifica di Gran
Maestro.
In occasione di una mia visita a Parigi alla Gran Loggia Nazionale
Francese (GLNF), ne parlai con il Gran Segretario Yves Trestournel. Non
sembrò affatto sorpreso. Anzi, mi mostrò la sua irritazione perché Corona
aveva invaso il suo territorio, essendo la Gran Loggia del Gabon sotto la
sua protezione. Non volevo credere a ciò che stavo ascoltando. Trestournel
non accusava Corona per il traffico d’armi ma per una sleale concorrenza.
Sembrava che il traffico di armi, da parte della Massoneria, fosse ritenuto
cosa lecita. Fu questa la prima volta che dubitai non solo del Grande
Oriente d’Italia ma anche della Massoneria in generale. Era quella la
Massoneria che avevo sempre immaginato? Il traffico d’armi cosa c’entra
con la più nobile e antica fratellanza? Ero disorientato e cominciai ad aprire
gli occhi. La figura di Corona si stava sempre più precisando nei suoi
contorni: tramava contro di me, ricostituiva Logge coperte, faceva traffico
d’armi. Cos’altro mi sarei dovuto aspettare? Il peggio doveva ancora
arrivare.
Nel 1990, mi pervengono due lettere di Gelli (la prima il 1° maggio e la
seconda il 25 agosto). Il Venerabile della P2 mi chiedeva di riammetterlo
nel Grande Oriente d’Italia, poiché era stato espulso da Corona con un
processo farsa. Su questo punto aveva ragione. Dall’analisi dei documenti,
risultava evidente che Gelli non aveva avuto giustizia ma un’esecuzione
sommaria.
Di quest’uomo tanto controverso, di cui si diceva tutto e il contrario di
tutto, mi ero fatto un’idea abbastanza precisa. Lo vedevo come colui che si
è ritrovato a gestire un potere immenso, di cui però ha compreso solo una
parte, forse neanche la più importante. Un uomo che ha avuto alla sua
obbedienza i vertici politici, economici, militari e culturali d’Italia. Un
uomo che avrebbe veramente potuto cambiare l’Italia. Non l’ha fatto perché
non ha capito che avrebbe potuto farlo. Perciò, un uomo che ha usato il suo
immenso potere per realizzare fini secondari. Un uomo che ha preferito le
trame alla trasparenza. Un uomo che, in trasparenza, avrebbe potuto
realizzare i fini principali per cui veniva pagato, che sono i fini del governo
degli Stati Uniti.
Non ho mai voluto incontrare Gelli perché ero certo che il suo sarebbe
stato un abbraccio mortale. Già durante la campagna elettorale per la Gran
Maestranza, Gelli mi aveva fatto proporre, da amici che avevamo in
comune, un suo sostanzioso sostegno economico per le spese da me
sostenute. Non riteneva dignitoso che un candidato all’alto rango di Gran
Maestro viaggiasse per l’Italia da solo e in condizioni disagiate, a differenza
del suo avversario, l’avvocato Enzo Paolo Tiberi, che era sempre
accompagnato da autorevoli personaggi e si spostava con aerei, treni e auto
di lusso. Lo feci ringraziare della sua offerta ma non potevo accettarla.
Anche qui Gelli aveva ragione. Finanziavo la mia campagna elettorale
con i risparmi dell’attività accademica svolta all’Università di Trento.
Notevole era il disagio che affrontavo quotidianamente. Ricordo quella sera
che, dopo la presentazione del mio programma alla Circoscrizione regionale
della Toscana, salii su un vagone di terza classe di un treno che avrebbe
dovuto portarmi a Bologna. La mattina dopo, mi aspettavano a Padova. Era
d’inverno e faceva molto freddo. Mi addormentai e non mi accorsi che il
treno era arrivato nella stazione di Bologna. Quando mi svegliai, ero su un
binario morto. Avevo perso il treno per Padova. In compagnia della mia
inseparabile valigetta Valextra, presi il treno successivo e continuai il mio
viaggio verso il futuro.
Gelli sapeva che non mi sarei lasciato comprare da lui. Ciononostante,
all’inizio dell’autunno, visto che non avevo risposto alle sue lettere, mi
invia un suo fedelissimo, Marco Alessandro Urbini di Firenze, che era stato
mio concorrente nella corsa alla Gran Maestranza. Marco mi disse che Gelli
era rimasto sorpreso e deluso del fatto che non avessi risposto alle sue
lettere. Senza mezzi termini, affermò che, se avessi consentito il suo ritorno,
io e i miei figli avremmo trascorso una vita nell’agiatezza e nel lusso. Avrei
dovuto semplicemente scrivere su un foglio di carta la cifra che volevo.
Dissi a Urbini di informare Gelli che, come non avevo accettato i suoi soldi
durante la campagna elettorale, così non intendevo farlo adesso. Dopo
alcuni giorni, Urbini tornò e mi disse che aveva una proposta di Gelli che
non avrei potuto rifiutare. Gelli era disposto a darmi l’elenco completo della
P2 insieme con i fascicoli personali. Mi disse che, con quei documenti,
avrei potuto ricattare l’Italia. Compresi subito l’importanza di quella
proposta e chiesi a Urbini di tornare la settimana dopo.
Questa volta non si trattava di soldi ma della possibilità di scoprire i
segreti di un’Italia che il terrorismo, di destra e di sinistra, aveva messo in
ginocchio. Una cosa era certa: non avrei mai ricattato l’Italia. Esaminai le
due ipotesi alternative. Se avessi consentito a Gelli di rientrare, avrei avuto
l’elenco completo della P2. Cosa ne avrei fatto? A prescindere dal mio
desiderio di conoscerne i nomi, non avrebbe avuto senso tenerlo per me.
Avrei dovuto consegnarlo. Ma a chi? Ai magistrati? Nei loro confronti,
avevo qualche riserva: le lotte all’interno del loro Ordine mostravano
contrapposizioni insanabili sul modo di concepire la giustizia. A quale
fazione avrei dovuto consegnare l’elenco? Avrei potuto consegnarlo ai
politici. Ma di quale partito: di destra o di sinistra? Alla stampa? Ne sarebbe
seguita una confusione universale. Forse al Presidente della Repubblica, ma
anche per lui si sarebbero riproposti i miei stessi dubbi. Alla mancanza di
una chiara visione circa il suo uso, si aggiungeva inoltre il ritorno di Gelli
nel Grande Oriente d’Italia. Che cosa avrebbe fatto? Sarebbe stato saggio
rimettere le sorti della Massoneria italiana nelle sue mani? L’incapacità di
dare risposte soddisfacenti a queste domande mi portò a rifiutare la
proposta. Lo comunicai a Urbini. Pensavo che la vicenda fosse conclusa ma
non fu così.
Dell’esistenza di un elenco completo della P2, avevo già avuto
evidenza. Nell’autunno del 1991, Savina mi informa che l’ex segretario
personale del Gran Maestro Ennio Battelli voleva farmi una dichiarazione
testimoniale su un fatto che riguardava Gelli. Quando lo incontrai, mi disse
che sentiva suo dovere trasmettermi un’informazione sulla P2 che era in suo
possesso. Racconta che una sera Gelli è entrato nello studio del Gran
Maestro Battelli con un enorme fascicolo rilegato. Lo mette sul tavolo e gli
dice che quello è l’elenco della Loggia P2. Il Gran Maestro comincia a
sfogliarlo e, a mano a mano che procedeva, il suo volto diventava paonazzo.
All’improvviso, lo chiude e dice a Gelli che quell’elenco lui non lo ha mai
visto e lo invita a portarselo via. Rimasto solo rifiuta ogni commento. Da
ciò, il suo segretario personale aveva tratto la conclusione che quello fosse
il vero elenco della P2 e non quello che i magistrati avevano trovato a Villa
Wanda di Arezzo. La sua testimonianza era contenuta in una lettera firmata
che consegnai al Gran Segretario Alfredo Diomede. Mettendo insieme la
sua testimonianza giurata e la proposta di Urbini, ho acquisito la certezza
che l’elenco completo della P2 esiste.
Se questa è la verità, allora nascono dubbi sull’elenco di 962 nomi
appartenenti alla Loggia P2, sequestrato dalla Guardia di Finanza il 17
marzo 1981 a Villa Wanda di Arezzo, residenza di Gelli. Innanzi tutto, vi è
palese contraddizione tra l’elenco sequestrato e l’elenco di cui parlano
Urbini e il segretario personale del Gran Maestro Ennio Battelli. Su questa
intricata vicenda, si possono fare solo ipotesi. Gelli era a conoscenza
dell’imminente intervento della Guardia di Finanza? Se sì, ha avuto il
tempo di preparare un elenco ridotto da far trovare agli inquirenti. Se no,
l’elenco sequestrato era proprio quello di cui hanno parlato Urbini e il
segretario di Battelli. Ma se l’elenco sequestrato era quello completo, chi lo
ha “ripulito”? Questi dubbi saranno fugati se, e solo se, si ritroverà l’elenco
completo.
Qualche tempo dopo, all’inizio dell’inverno, venne a trovarmi Eraldo
Ghinoi, mio Gran Maestro Aggiunto. Con orgoglio, mi mostrò una
medaglia di platino precisando che gli era stata donato da Gelli in occasione
di una ricorrenza importante. Spontanea fu la mia domanda: “allora tu sei
amico di Gelli?”. Mi disse che non solo era suo amico ma anche un suo
fedele collaboratore. Non capivo perché Ghinoi mi stesse rivelando il suo
rapporto con Gelli. Stavo ancora vagliando alcune ipotesi, quando egli fece
cadere il discorso sulle lettere del fondatore della P2. Allora compresi tutto.
Gelli aveva preferito tenere nell’ombra il suo più importante “infiltrato” nel
Grande Oriente d’Italia. Dopo il fallimento di Urbini, però, era stato
costretto a scoprire Ghinoi, il quale voleva sapere se avessi ricevuto le
lettere e qual era la mia intenzione circa la richiesta di Gelli di rientrare nel
Grande Oriente d’Italia. Argomentai sulla vicenda e gli dissi che, dopo
attenta riflessione, avevo deciso di non farlo rientrare. Tutt’al più, gli avrei
fatto rifare il processo che consideravo una palese violazione del senso di
giustizia che contraddistingue il pensiero massonico. Inoltre, anche se
avessi deciso di riammetterlo, non avrei mai avuto l’approvazione della
Gran Loggia. “Su questo punto ti sbagli”, affermò Ghinoi. “Metti la
proposta nell’agenda della prossima Gran Loggia e ti garantisco che sarà
approvata poiché sono ancora tanti gli amici di Licio”. Ero rimasto
esterrefatto. Non solo avevo appreso che il mio Gran Maestro Aggiunto è
sempre stato amico e sostenitore di Gelli, ma anche che la maggioranza
della Gran Loggia è a favore del suo rientro. Ero disorientato. Da poco più
di un anno ero alla guida del Grande Oriente d’Italia ma sembrava che io ne
ignorassi gli aspetti più rilevanti e pericolosi. Non gli diedi una risposta e lo
salutai con un senso di fastidio.
Rimasto solo, mi sentivo Gran Maestro di una Massoneria sconosciuta,
dove agivano indisturbati Gran Maestri che ricostituivano Logge coperte e
facevano traffico di armi e Gran Maestri Aggiunti che volevano rimettere
Gelli alla guida della Comunione. Compresi allora, con amara delusione,
che il mio progetto “trasparenza” per far uscire il Grande Oriente d’Italia
dalle nebbie insidiose del passato era destinato al fallimento. Nessuna idea
può trovare concreta realizzazione se chi dovrebbe trarne vantaggio l’ignora
o vi si oppone. Così è stato.
Avevo riferito alla Giunta e ai Presidenti circoscrizionali quanto era
emerso a carico di Corona. Mi sarei aspettato una reazione di sdegno ma
notai una certa freddezza e un senso di fastidio. Allora formulai l’ipotesi
che Corona, sebbene fosse scomparso da circa due anni dalla scena
massonica, avesse ancora un forte ascendente su molti vertici che allora
governavano il Grande Oriente d’Italia. Dovevo capire quanto fosse
attendibile la mia ipotesi. Per farli uscire allo scoperto, feci una “Tavola
d’accusa” a Corona motivandola con i fatti che avevo appurato su di lui.
La giustizia massonica viene esercitata, nel Grande Oriente d’Italia,
dalla Corte Centrale, distinta in cinque Sezioni ciascuna delle quali ha un
Presidente, nominato dal Presidente dell’intera Corte. La Tavola d’accusa
va inoltrata al Presidente generale che la invia, a sua volta, al Presidente
della Sezione che è stata scelta. Di solito, si lascia la scelta all’accusato. Al
Termine del processo, si emette la sentenza, che può essere di assoluzione o
di condanna. Corona fu assolto perché il fatto non sussiste. Ciò significava
che le mie accuse erano state ritenute infondate.
Avevo avuto la conferma della mia ipotesi: il potere di Corona era
ancora molto forte. Idealmente, feci ritorno al “pianeta massonico
sconosciuto”, dove un altro territorio arido e pericoloso era stato
individuato: quello della Corte Centrale. La sentenza riguardante Corona
era stata una palese violazione della giustizia massonica.
L’articolo di Feltri è stato l’atto conclusivo di una vicenda che
sconvolgerà e travolgerà la Massoneria italiana. Le ostilità iniziano
nell’estate del 1992 con un articolo dell’On. Flaminio Piccoli, il quale
metteva in guardia contro le trame della Massoneria.
L’annuncio di trame da parte di Piccoli passò quasi inosservato, tranne
che per coloro i quali, conoscendolo bene, videro in esso il primo atto di un
attacco che sarebbe stato violento e distruttivo.
Poco tempo dopo, infatti, ebbe inizio un’inchiesta contro la Massoneria
italiana ad opera del Procuratore di Palmi, Agostino Cordova. L’accusa
riguardava i massoni che risultavano coinvolti in attività criminali. Per
quanto riguarda il Grande Oriente d’Italia, mi pervenne la richiesta di
consegnare gli elenchi delle Logge calabresi. Trattandosi di una richiesta
formale, la dovetti soddisfare. Pensai però che, se l’intento di Cordova era
quello di scoprire i massoni che commettevano reati o erano collusi con la
‘Ndrangheta, lo avrei sostenuto perché mi avrebbe consentito di eliminare
dal Grande Oriente d’Italia le “mele marce”. Poco tempo dopo, Francesco
Neri, magistrato della Procura di Palmi e braccio destro di Cordova, si
presentò con i carabinieri a Villa il Vascello con un mandato di
perquisizione e di sequestro. Mi chiese l’elenco di tutti i massoni d’Italia
con la motivazione che, essendo i massoni calabresi inquisiti in contatto con
massoni di altre regioni, soprattutto del nord, si voleva verificare se il
Grande Oriente d’Italia non favorisse tali attività criminali facendone anche
da copertura. Cordova aveva già intuito che la ‘Ndrangheta stava
occupando le regioni del Nord Italia.
Rifiutai di consegnare l’elenco poiché la richiesta non era supportata da
un mandato. Dopo il mio rifiuto, in attesa del mandato, il computer fu
“imbavagliato” e due carabinieri furono messi alla sua guardia, per evitare
che potesse essere manomesso. Il giorno dopo, il magistrato tornò con il
mandato e io fui costretto a consegnare gli elenchi.
Subito dopo scattarono, in tutta Italia, le operazioni di perquisizioni in
molte Logge non solo del Grande Oriente d’Italia.
Il Grande Oriente d’Italia risultò ufficialmente indagato dalla Procura di
Palmi. Il suo Gran Maestro, essendone il rappresentante legale, fu più volte
interrogato. Questa è stata per me un’esperienza estremamente negativa ma
molto istruttiva, poiché ho potuto comprendere cose che ignoravo ma di cui
avevo già intuizioni.
Il mio primo incontro con il Procuratore Agostino Cordova avvenne in
un luogo segreto, poiché si voleva tenere lontano i giornali e la televisione.
Quando ci siamo trovati l’uno di fronte all’altro, dopo avermi soppesato, mi
dice: “professore, lei è un fiore sulla palude”. Mi sarei aspettato un
approccio meditato e razionale, ma fu come la deflagrazione di un colpo di
cannone. Lo guardai tra l’incuriosito e l’irritato e gli dissi che non
permettevo a nessuno di definire la mia Massoneria una palude. Senza
battere ciglio, mi indicò un pacco di fogli protocollo che si trovava in terra
vicino alla sua scrivania. M’invitò a prenderne alcuni e leggerli. Così feci.
A mano a mano che procedevo nella lettura, il mio stato di quiete si
trasformava in forte turbamento. Apprendevo che autorevoli massoni
calabresi, alcuni dei quali molto vicini a me per la carica che ricoprivano,
avevano deciso di risolvere le controversie che avevano con altri massoni
denunciandoli alla Procura di Palmi. In aggiunta, Cordova mi aveva detto
chiaramente che le Logge calabresi erano infiltrate dalla ‘Ndrangheta.
Di fronte a Cordova, mi sentivo un Don Chisciotte e nella mia
mente si scatenò una tempesta perfetta. Solo un’ora prima avevo la più
luminosa certezza circa l’atteggiamento che avrei assunto nei suoi
confronti. Se fosse stato necessario, mi sarei fatto anche arrestare pur di
salvare la dignità della mia Massoneria. Ma ora, esterrefatto, mi chiedevo a
quale dignità io avessi pensato. Nel corso della mia vita, ho posto alcuni
principi a fondamento della mia condotta pratica. Uno di loro riguarda
l’ammissione degli errori fatti. Senza alcun dubbio, Cordova mi aveva fatto
capire alcuni miei errori di valutazione del Grande Oriente d’Italia. Finito
l’incontro, gli dissi che avrei riflettuto su quanto avevo appreso da lui.
Di quel “pianeta sconosciuto” che era il Grande Oriente d’Italia,
continuavo a marcare altri inusitati territori, che non erano formati da
spiagge lussureggianti o candite vette innevate ma da zone aride e
inospitali. Corona, Gelli, Ghinoi e altri potenti massoni ne avevano fatto la
loro dimora.
Avevo assoluta necessità di verificare quanto avevo appreso. Non era da
escludere, infatti, anche se lo ritenevo improbabile, che Cordova avesse
artatamente costruito quelle prove. Convocai la Giunta (organo di governo)
in forma straordinaria, per un’analisi della situazione emersa dopo il mio
incontro con Cordova. Chiesi al Gran Segretario Diomede di invitare anche
i vertici calabresi. Ci ritrovammo tutti intorno al tavolo delle riunioni, in un
silenzio che presagiva momenti di alta tensione. Diomede propose che non
si tenesse il verbale data l’estrema riservatezza della riunione. La proposta
fu accolta all’unanimità. Riferii gli argomenti trattati con Cordova senza
omettere nulla e conclusi affermando che il rischio di scioglimento del
Grande Oriente d’Italia era altamente probabile. Di conseguenza, sarebbe
stato necessario che io venissi informato di tutto, per poter tentare una
difesa valida e vincente. Dai Calabresi, in particolare, volevo sapere la
verità sull’infiltrazione della ‘Ndrangheta nelle Logge. Forse fu a causa di
uno stato emotivo che serpeggiava nei presenti o la paura di un’eventuale
scioglimento, che vennero a determinarsi le premesse per parlare secondo
verità. Fu allora che chiesi a Ettore Loizzo, mio Gran Maestro Aggiunto e
massimo responsabile dell’Ordine in Calabria, di dirmi la verità sulla
presenza della ‘Ndrangheta nelle Logge. Ettore si concesse una pausa e poi
dichiarò: “ la ‘Ndrangheta non solo infiltra ma controlla 28 delle 32
Logge”. Fu come un fulmine a ciel sereno. Superato il primo momento di
smarrimento, gli chiesi perché non lo avesse evitato e che cosa intendesse
fare adesso. La sua risposta fu semplice e lapidaria: “ nulla, perché metterei
a rischio la mia vita e quella dei miei familiari”. Non c’era nient’altro da
aggiungere. Tutto era evidente e chiaro. Di Loizzo avevo la più grande
stima e fiducia. Non potevo mettere in dubbio una sola parola di quel che
aveva affermato. In quel preciso istante, sentii dentro di me l’imperativo
categorico che mi ordinava di ritirarmi dal Grande Oriente d’Italia. Sarei
stato disposto a passare su molte cose, da Corona a Gelli, ma mai
ammettere che il Grande Oriente d’Italia fosse diventato la dimora delle
organizzazioni criminali. Questa non era più Massoneria. Durante la notte
che seguì decisi il mio futuro e quello del Grande Oriente d’Italia, che non
sentivo più come la casa dove il mio pensiero e la mia vita avevano trovato
dimora. Un senso totale di prostrazione assalì il mio essere, ma ero sicuro di
non vacillare perché il mio intelletto mi avrebbe sorretto.
Negli incontri successivi con Cordova, lo informai delle attività illegali
di Corona, dalla costituzione di Logge coperte al traffico di armi. Mi ero
liberato di un peso che avevo messo nelle mani dei tutori della legge e della
sicurezza pubblica.
Informai Lord Northampton di quanto stava accadendo. Mi consigliò di
chiedere un incontro a Michael Higham, Gran Segretario della Gran loggia
Unita d’Inghilterra. Pochi giorni dopo ero a Londra, in Freemasons’s Hall,
sede della Massoneria inglese. Higham, che mi aveva ascoltato con
interesse e attenzione, mi disse che aveva conoscenza dello stato in cui si
trovava il Grande Oriente d’Italia e mi parlò del ruolo che avrei potuto
svolgere. Quando ho lasciato Londra, sapevo esattamente che cosa avrei
fatto. Fu proprio in quei giorni che Francesco Cossiga, allora Presidente
della Repubblica, in un nostro incontro riservato, mi disse: “Di Bernardo,
questa per te è la grande occasione per eliminare le “mele marce”.
Approfittane. Al suggerimento, che esprimeva buon senso, diedi questa
risposta: “La via che lei suggerisce non posso seguirla, almeno per due
ragioni. La prima riguarda Corona, il quale aveva modificato le Costituzioni
dell’Ordine togliendo al Gran Maestro il potere di espulsione. Non avrei
avuto, pertanto, lo strumento per farlo. Inoltre, le mele marce erano di
proporzione tanto elevata da rendere di fatto impossibile l’espulsione.
Sarebbe stato più semplice tagliare la pianta divenuta sterile e piantarne
un’altra”. E’ quel che feci.
Intanto, gli attacchi contro il Grande Oriente d’Italia si intensificavano.
Molti massoni, che non avevano condiviso il mio progetto “trasparenza”,
colsero l’occasione per criticarmi aspramente. Mi si rimproverava di non
saper difendere l’Obbedienza dagli attacchi della Magistratura. Si disse che
ero un filosofo che sapeva volare alto con le attività culturali ma ero
impreparato per fronteggiare un attacco politico. Ci sarebbe voluto un uomo
che conoscesse i meandri della politica per venire in aiuto del Grande
Oriente d’Italia. Velatamente, ma non tanto, si riproponeva Armando
Corona alla guida della Comunione. Si susseguirono incontri segreti (vietati
dai Regolamenti) in cui mi vennero rivolte tutte le accuse più infamanti. I
miei fedeli vi parteciparono, registrarono e mi informarono.
A poco a poco, tutte le Logge d’Italia stavano insorgendo contro di me.
Armando Corona coordinava le rivolte. Avrei potuto applicare i
Regolamenti e accusarli di alto tradimento ma non lo feci. Lasciai che la
congiura andasse avanti perché sapevo come fronteggiarla. Fu allora che
Corona fece fare da un suo fedelissimo, Giorgio La Malfa, una Tavola
d’accusa contro di me per aver diffamato la sua reputazione. Secondo le
nuove Costituzioni volute da Corona, chiunque può accusare il Gran
Maestro. Non esiste un organo che valuta la presentabilità della Tavola
d’accusa. Che si tratti di un Apprendista o del Gran Maestro, la procedura è
sempre la stessa. Sarà una Sezione della Corte Centrale a giudicare. Dovetti
scegliere una sezione della Corte e aspettare il giudizio. La Tavola d’accusa
contro di me era basata sulla diffamazione, poiché Corona era stato assolto
dalle accuse che io avevo rivolto contro di lui. Era chiaro che, mostrando i
documenti che confermavano le mie accuse, sarei stato assolto. Ciò che
Corona voleva, tuttavia, non era la mia condanna ma il mio indebolimento
proprio nel momento in cui le Circoscrizioni regionali si stavano
coalizzando contro di me.
In un susseguirsi d’incontri e di accuse al Gran Maestro, si arriva al 20
marzo, data della Gran Loggia. La sera precedente l’hotel Hilton era
gremito di massoni. Si riuniscono per ribadire le accuse a Giuliano Di
Bernardo e concordare l’attacco che avrebbero sferrato il giorno dopo per
costringerlo alle dimissioni. La loro guida era sempre Armando Corona, che
vedeva concretizzarsi la possibilità di riprendere il controllo del Grande
Oriente d’Italia. E’ presente anche Enzo Paolo Tiberi, che era stato da me
sconfitto. Anche i Riti sono presenti con i loro vertici: il Rito Scozzese
Antico e Accettato (il mio Rito) con il Sovrano Augusto De Megni, il Rito
di York con il Sommo Sacerdote Alberto Banti, il Rito Simbolico con
Virgilio Gaito. All’unanimità decidono che Giuliano Di Bernardo deve
dimettersi. Cala su tutti il silenzio della notte. Percepivo intorno a me
un’aria di odio e di complotto.
Il 20 marzo 1993, giorno della Gran Loggia, entrai nel Tempio in
solitudine. Tutti, anche i miei sostenitori più fedeli, mi avevano
abbandonato. Ero solo contro tutti. L’idea di scendere nel campo di
battaglia per affrontare un esercito di avversari mi esaltava. Il filosofo aveva
preso il sopravvento sul Gran Maestro. Ancora una volta il mio intelletto si
trovava a lottare per vincere un’impresa impossibile, come impossibile era
apparsa la mia elezione alla Gran Maestranza, in un tempo che sembrava
ormai lontano.
Alle ore 10, in forma solenne, inizia la cerimonia rituale. Il salone
“Cavalieri” era gremito come un uovo con oltre 2.000 presenze. C’erano i
Venerabili di tutte le Logge d’Italia, i membri della Giunta, i Gran Maestri
onorari, i Grandi Rappresentanti delle Massonerie estere e tanti fratelli che
non volevano perdersi un evento storico. Lo strumento scelto per far cadere
il Gran Maestro era il vecchio espediente di non approvare il Bilancio che
riassume e codifica le attività da lui svolte. La non approvazione del
Bilancio equivaleva alla condanna del suo operato. Il Bilancio doveva
essere approvato dal Gran Tesoriere, che lo aveva redatto, e da cinque
Revisori dei conti. Tre di loro si erano rifiutati di farlo: Antonello Zucco,
Giuseppe Wrzy e Michele Dolci. L’ideatore del piano era stato ancora
Armando Corona.
Dopo l’apertura dei Lavori, il 1° Gran Sorvegliante, Rosario Genovese,
comincia a raccogliere le richieste per gli interventi. Si forma una lunga fila
di fratelli che vogliono accusare il Gran Maestro e chiedere le sue
dimissioni. Per consentire a tutti di parlare, si limita a cinque minuti il
tempo degli interventi.
Dalle ore 11 della mattina alle ore 16 del pomeriggio, senza alcuna
interruzione, mi furono rivolte le accuse più disonorevoli da un centinaio di
massoni che concludevano il loro intervento chiedendo le mie dimissioni.
Per tutto il tempo rimasi impassibile, seduto sul trono di Re Salomone, per
ascoltare le infamie e le calunnie che mi venivano scaraventate addosso.
Senza mai reagire alle provocazioni.
Alle ore 16 concessi la pausa di un’ora. La motivazione era quella di
consentire ai presenti di mangiare qualcosa. In verità, volevo che si
verificasse un fatto da me atteso. Conoscendo Corona, davo per certo che
avrebbe inviato una persona di sua fiducia per propormi un accordo. Era sua
abitudine cavalcare l’onda. Mi ero chiuso nella mia camera e aspettavo che
qualcuno bussasse. Tre colpi furono battuti alla porta e andai ad aprire. La
sera prima mi ero arrovellato a pensare chi sarebbe stato il messaggero di
Corona. Avevo fatto diverse ipotesi ma non avrei mai potuto indovinare.
Pensai a una regola della mafia: colui che verrà a proporti l’accordo è il
traditore. Chi mi avrebbe tradito? Aprii la porta e mi trovai di fronte Gianni
Puglisi. Ero sbalordito. Puglisi era uno dei più stimati professori che
insegnava all’Università di Palermo. Era Presidente di molte associazioni
culturali. Poco tempo prima, insieme con Paolo Ungari avevamo costituito
con atto notarile l’”Associazione per la difesa dei valori laici”. Era uno dei
più fedeli collaboratori del mio progetto “trasparenza”. Lo feci entrare.
Senza alcun imbarazzo, mi disse che “Armandino” (come lo chiamava lui),
nonostante tutto, aveva sempre apprezzato la mia intelligenza. Sarebbe stato
disposto a salvarmi, se avessi fatto un accordo con lui sul governo del
Grande Oriente d’Italia. Ciò dimostrava che Corona aveva ripreso il totale
controllo della Comunione, se poteva decidere da solo quale sarebbe stato il
mio destino. Gli dissi di riferirgli che non ero affatto interessato alla sua
offerta e che fra poco ci saremmo scontrati nell’arena della Gran Loggia.
Da allora non l’ho più visto.
Alle 17 ripresero i lavori e gli attacchi al Gran Maestro. Alle 18 diedi un
colpo di maglietto e intimai il silenzio.
Prima di cominciare a parlare mi sono guardato intorno. L’ultima cosa
che ho visto è stato il Grande Oratore (Gustavo Raffi), che sedeva sulla mia
destra, rivolgersi al Gran Tesoriere (Pietro Mascagni), che gli sedeva di
fronte, che faceva il segno della croce rivolgendosi a me. Era certo che sarei
stato crocefisso.
Tutti erano convinti che avrei capitolato. Non fu così. In un silenzio di
tomba, parlai. Forse per venti minuti, ma sembrò un’eternità. Se il corpo era
del Gran Maestro, l’intelletto era del filosofo. Ciò che dissi è ancora vivido
nella mia memoria e rappresenta forse la più sublime delle mie vittorie.
Guardando tutti negli occhi, le parole cominciarono a defluire dalla mia
bocca. Il silenzio regnava sovrano. Tutti si aspettavano che io giustificassi
la mia incapacità a governare la Comunione e chiedessi sommessamente
clemenza. Vi fu invece il boato delle mie accuse che rimbombavano
nell’immenso salone dell’Hilton. Accusai i vertici che avevano tramato
contro di me con riunioni (di cui avevo le trascrizioni) vietate dalla
Costituzione. Condannai il ritorno di Corona che loro auspicavano (avevo
tra le mie carte il documento che provava la sua ricostituzione di Logge
coperte). Come potevano pensare che un uomo come Corona, accusato di
cose che avrei preferito non rivelare ma che ero pronto a farlo se necessario,
potesse essere il giusto traghettatore della Comunione al di fuori
dell’inchiesta di Cordova? Se la mia difesa della Comunione era stata
prudente, lo si doveva al fatto che avevo cercato di fuorviare l’attenzione
dei magistrati da alcune zone d’ombra che esistono al nostro interno.
Mentre parlavo modulavo la voce da bassi appena percettibili a scoppi che
sembravano urla. Il silenzio era totale. Quando compresi di aver fortemente
inciso sulla coscienza dei presenti, conclusi dicendo che mai mi sarei
dimesso. Se avessero voluto le mie dimissioni, avrebbero dovuto uccidermi,
come era già avvenuto con Hiram.
Al termine della mia arringa, misi ai voti l’approvazione del Bilancio. Il
risultato: su oltre 600 votanti, solo 21 votarono contro. Avevo sconfitto tutti
i miei oppositori. Armando Corona, che era ritornato in Gran Loggia per
guidare la rivolta, mi disse: “Non finirà così” e se ne andò via con la coda
tra le gambe.
I numerosi ospiti stranieri, Gran Maestri o loro rappresentanti, erano
stati informati che, dopo la riunione di Gran Loggia, non sarei stato più
Gran Maestro. Non fu così e i miei oppositori persero la faccia. La perse
anche il giornale La Repubblica, il quale, il giorno dopo, pubblicò la
notizia, in prima pagina, che il Gran Maestro Giuliano Di Bernardo era
stato costretto alle dimissioni poiché la Gran Loggia non aveva approvato il
Bilancio. Anche i giornali importanti possono sbagliare, quando ascoltano
voci infondate.
Il giorno dopo, il 21 marzo, dedicato al ricevimento delle delegazioni
straniere, in forma solenne e rituale, feci da vincitore il “Discorso sullo
stato della Comunione”. E’ stato l’ultimo.
Feci ritorno a Villa il Vascello accompagnato da Luigi Savina, l’unico
che mi era rimasto fedele. Tutti, compreso Alfredo Diomede che avevo
elevato al rango di Gran Segretario, mio compaesano abruzzese, mi
avevano voltato le spalle. Avevo bisogno di solitudine e silenzio per
progettare il futuro. Dopo la mia vittoria, tutti tornarono a Canossa per
mettersi alla mia obbedienza. Rifiutai di parlare anche con i miei più stretti
collaboratori. Solo Savina conosceva e condivideva il mio progetto.
Avevo ripreso il controllo totale del Grande Oriente d’Italia. I congiurati
avevano accusato la sconfitta. Sembrava tutto normale ma era solo
apparenza poiché, alla prima occasione, avrebbero ripreso le critiche e gli
attacchi per costringermi alle dimissioni. Un Gran Maestro riformatore, che
si ostinava ad attuare il progetto “trasparenza”, i vertici del Grande Oriente
non lo avrebbero mai tollerato.
Dopo gli eventi della Gran Loggia, l’imperativo categorico era la
preparazione del mio ritiro dal Grande Oriente d’Italia. Il mio primo dovere
sarebbe stato quello di informare la Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Fui
ricevuto in Freemason’s Hall, la sede ufficiale della Massoneria inglese. Al
termine dell’incontro sapevo che cosa avrei fatto: mi sarei dimesso dal
Grande Oriente d’Italia e avrei fondato una nuova Obbedienza sul modello
della Massoneria inglese.
Il 13 aprile inviai una lettera a tutti i Gran Maestri che erano in relazione
col Grande Oriente d’Italia per informarli della decisione di dimettermi.
Quando mi apprestavo a lasciare Villa il Vascello, il 15 aprile del 1993,
consegnai al Gran Segretario, Alfredo Diomede, la mia “Lettera alla
Comunione: Epilogo”, in cui spiegavo le ragioni del mio ritiro, con la
richiesta di inviarla a tutte le Logge. Quella lettera non fu mai spedita e i
fratelli non hanno mai saputo perché li ho abbandonati.
La lettera così concludeva: “Il Gran Maestro, per coerenza con i propri
ideali di vita e di pensiero, constatata la propria impossibilità a garantire che
tutto sia giusto e perfetto, dichiara conclusa la sua opera al vertice del
Grande Oriente d’Italia e rimette il Supremo Maglietto nelle mani della
Gran Loggia.
Mentre si allontana da Villa Il Vascello egli ritorna a vivere nella sua
Utopia massonica, in cui esiste una Comunione di iniziati che percorrono la
via del perfezionamento morale, che sono uniti dal vincolo dell’amore
fraterno e operano nel nome del Grande Architetto dell’Universo. Nella
società in cui essi vivono, non nascondono i loro nomi e i luoghi delle loro
riunioni. Rispettano le leggi dello Stato e i magistrati che le fanno
osservare. Esercitano la tolleranza nei confronti di tutti coloro i quali
condividono differenti concezioni dell’uomo e rispettano tutte le fedi
religiose. Partecipano ai progetti che tendono a curare o a eliminare i mali
che oggi affliggono l’umanità. Uniti idealmente e praticamente con l’antica
Tradizione iniziatica, essi portano luce nel mondo che li circonda.
I Fratelli che sono idealmente legati al Gran Maestro non devono
sentirsi abbandonati. Egli sta per incamminarsi nel sentiero che conduce
alla vera Massoneria ed è pronto ad accogliere con un abbraccio fraterno
tutti coloro, massoni e non massoni, che desiderano pensare e vivere
secondo i nobili e antichi principi della Massoneria Universale”.
Quella lettera, che non fu mai spedita, fece chiaramente intendere che
avrei lasciato il Grande Oriente d’Italia. La notizia, che si diffuse con la
velocità del fulmine, creò un senso di euforia negli alti ranghi della
Comunione. Non erano riusciti a cacciarmi in sei mesi di congiure. Adesso,
per mia spontanea volontà, me ne stavo andando. Molti, ipocritamente,
dicevano di aver compreso la mia sofferta decisione e che mi avrebbero
rimpianto. Il vertice del potere era rimasto vacante e molti aspiravano a
occuparlo. Corona fu il primo. Non perse tempo e si autoproclamò, nella
sua veste di ex-Gran Maestro, guida della Comunione. Altri, come Ghinoi e
Gaito, lo rifiutavano: il primo per aver espulso Gelli, il secondo per aver
costituito Logge coperte. Entrambi aspiravano a fare il Gran Maestro. Si
delineava già uno scontro senza quartiere tra le fazioni rivali del Grande
Oriente d’Italia. Giuliano Di Bernardo era stato già archiviato.
Tuttavia, quando comincia a circolare la voce che Di Bernardo era stato
ricevuto a Freemasons’ Hall con tutti gli onori, si materializza uno spettro
che turberà per tanti anni i loro sogni. Appare chiaro che Di Bernardo non
vuole tornare alla Cattedra universitaria ma progetta una nuova Massoneria.
Molti non si preoccupano. Se Di Bernardo vuole farsi la sua Massoneria, lo
faccia. Un’Obbedienza in più in Italia non fa alcuna differenza. Quando,
però, si inizia a capire che la sua nuova Massoneria potrebbe avere il
riconoscimento della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, i semplici timori
diventano incubo. La Massoneria inglese aveva sempre mostrato di gradire
Di Bernardo e il ruolo che aveva svolto in Italia e nel mondo. Un fatto
importante, da non sottovalutare, era la sua amicizia con Lord Northampton
che andava oltre i rapporti massonici, come si evinceva dalla Fondazione
“Dignity”. L’atteggiamento nei miei confronti cambia radicalmente: ero
diventato un pericoloso nemico da distruggere. Alle Logge arriva l’ordine
di usare ogni mezzo per scatenare l’odio dei fratelli nei miei confronti. Si
ricorre a un’antica usanza per mettermi al rogo, che simbolicamente
consiste nel bruciare nel Tempio la mia effige. Per tutti, sono il “traditore”.
Si usano anche la stampa e la televisione per rivolgermi accuse infamanti.
Corona chiede udienza al Gran Segretario della Massoneria inglese come
capo di una numerosa delegazione (tutti vogliono il privilegio di essere
ricevuti a Freemasons’ Hall). Michael Higham accetta di ricevere solo
Corona. Prima di partire per Londra, egli tranquillizza i vertici del Grande
Oriente d’Italia, dicendo che lui conosce gli inglesi e sa come prenderli. Il
Gran Segretario inglese lo ascoltò e gli disse che avrebbe fatto sapere le sue
decisioni. Quando l’8 settembre di quell’anno, la Gran Loggia Unita
d’Inghilterra comunicò formalmente al Gran Segretario del Grande Oriente
d’Italia il ritiro del riconoscimento, Corona fu definitivamente battuto. Si
ritirò senza mai più far ritorno nella Massoneria di Palazzo Giustiniani.
La lettera delle mie dimissioni recava la data del 16 aprile del 1993.
Questa era la mia seconda dimissione che seguiva quella del 1990 dal
Supremo Consiglio di Rito Scozzese Antico e Accettato. Il Grande Oriente
d’Italia, in cui ero stato iniziato trenta anni prima e a cui avevo dedicato la
vita, era ormai alle mie spalle. Gli uomini che si dicevano massoni mi
avevano profondamente deluso. Non tutti, ovviamente. L’esito della
votazione sul Bilancio aveva mostrato chiaramente che i Venerabili, anche
se erano stati indottrinati nelle riunioni segrete a votare contro il Bilancio,
dopo la mia arringa avevano voltato le spalle ai capibastone, esercitando la
libertà di scelta. Altri condividevano il mio progetto “trasparenza”. Mi
trovavo nella tipica situazione di ambivalenza: dolore verso il passato, gioia
verso il futuro. Il futuro mi esaltava poiché mi consentiva di introdurre in
Italia il modello di Massoneria della Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
All’interno del Grande Oriente d’Italia esistevano già Logge che
lavoravano con il Rituale Emulation, in uso nella Massoneria inglese.
Queste Logge, che erano state imposte dalla Gran Loggia Unita
d’Inghilterra come condizione per riconoscere il Grande Oriente d’Italia nel
1972, erano considerate però un corpo estraneo e i loro adepti guardati con
sospetto. Il modello inglese di Massoneria, inoltre, presentava
caratteristiche (come il fondamento religioso) che lo rendevano
inaccettabile alla maggior parte dei massoni del Grande Oriente d’Italia, che
erano stati educati sul modello del Grande Oriente di Francia.
La mia scelta fu radicale. La nuova Obbedienza massonica sarebbe stata
costituita solo ed esclusivamente dai fratelli delle Logge Emulation. Ero
consapevole delle conseguenze di tale limitazione ma non avevo altra scelta
se volevo evitare ogni compromesso.
Così il 17 aprile del 1993, in una solenne cerimonia tenuta all’Hotel
Parco dei Principi di Roma, alla presenza del Gran Segretario e Gran
Maestro d’Onore della Gran Loggia Nazionale Francese (GLNF) Yves
Trestournel, fu fondata e consacrata la Gran Loggia Regolare d’Italia.
Essa fu costituita da sei delle sette Logge Emulation che appartenevano
al Grande Oriente d’Italia:
Keats & Shelley, n. 900 di Roma
Sir Horace Mann 1732, n. 913 di Firenze
Pericle Maruzzi, n. 1.069 di Bologna
Polaris, n. 1.118 di Milano
Degli Antichi Doveri, n. 1.092 di Roma
Michael, n. 939 di Roma.
La fondazione di una Gran Loggia è regolare, secondo i Regolamenti
Generali della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, se è formata da almeno tre
Logge regolarmente costituite e consacrate. Le suddette Logge avevano tale
requisito poiché appartenevano al Grande Oriente d’Italia, che era allora
riconosciuto dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra.
Alla cerimonia di fondazione parteciparono 107 Fratelli, tutti Maestri
delle suddette Logge.
Yves Trestournel, dopo aver esaminato le Bolle di Fondazione delle
Logge, ne attestò la regolarità.
Giuliano Di Bernardo, che aveva l’autorità di fondare una Gran Loggia
poiché era stato Gran Maestro di un’Obbedienza riconosciuta dalla Gran
Loggia Unita d’Inghilterra, venne eletto per acclamazione Primo Gran
Maestro della Gran Loggia Regolare d’Italia e venne introdotto nel Tempio
con le formule di rito proprie del suo rango.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, fu costituito il Supremo Gran
Capitolo dell’Arco Reale. Giuliano Di Bernardo ne divenne il Primo Gran
Principale.
Con la fondazione della Gran Loggia Regolare d’Italia, si compì il
primo atto per l’introduzione in Italia del modello di Massoneria della Gran
Loggia Unita d’Inghilterra. Ora sarebbe cominciata la lotta per i
riconoscimenti internazionali, primo fra tutti quello inglese. Senza tali
riconoscimenti, la nuova Gran Loggia non sarebbe entrata nel circuito
internazionale delle massonerie regolari (riconosciute dalla Gran Loggia
Unita d’Inghilterra).
Ancora una volta sapevo che il mio intelletto sarebbe stato la stella
polare che avrebbe guidato la mia condotta pratica. In solitudine, ho iniziato
una corrispondenza epistolare con Michael Higham, Gran Segretario della
Gran Loggia Unita d’Inghilterra, per creare le condizioni favorevoli al
riconoscimento.
I Regolamenti Generali della Massoneria inglese prevedono che il
riconoscimento possa essere dato a una sola Obbedienza in un determinato
paese. In Italia, titolare del riconoscimento inglese era ancora il Grande
Oriente d’Italia, che l’aveva ottenuto nel 1972, esattamente 110 anni dopo
che Costantino Nigra, per pochi mesi Gran Maestro, ne aveva fatto
richiesta. Per dare il riconoscimento alla Gran Loggia Regolare d’Italia,
perciò, la Massoneria inglese avrebbe dovuto ritirarlo al Grande Oriente
d’Italia. Ero impegnato su due fronti: da una parte, rilevare e segnalare le
irregolarità del Grande Oriente d’Italia, dall’altra dimostrare la regolarità
della Gran Loggia Regolare d’Italia.
Il primo risultato si ottenne l’8 settembre, quando la Gran Loggia Unita
d’Inghilterra ritirò il riconoscimento al Grande Oriente d’Italia. Con questo
atto, l’Italia era diventata un territorio massonicamente libero e io avrei
potuto fare richiesta del riconoscimento inglese. Ciò avvenne il 4 ottobre
del 1993.
Nella Comunicazione Trimestrale dell’8 dicembre 1993, la Gran Loggia
Unita d’Inghilterra concesse il proprio riconoscimento alla Gran Loggia
Regolare d’Italia, assegnandole così una patente di legittimità e regolarità
della massima importanza. Per esprimere la sua più alta considerazione
verso la Gran Loggia Regolare d’Italia, nominò Gran Rappresentante il
marchese Lord Northampton, Assistente Gran Maestro e membro della
House of Lords.
La Gran Loggia Unita d’Inghilterra, ininterrottamente dal 1717,
custodisce, trasmette e garantisce in tutto il mondo la tradizione autentica e
originaria della Massoneria. Questo ne fa la massima autorità cui si
rivolgono le Gran Logge che desiderano collocarsi e operare nella vera
tradizione massonica.
In soli sette mesi, avevo fondato la Gran Loggia Regolare d’Italia e
ottenuto il riconoscimento inglese. Tutto il mondo massonico restò sorpreso
e meravigliato. Mai si era verificato, nella storia della Massoneria mondiale,
un riconoscimento inglese in così breve tempo.
La Gran Loggia Regolare d’Italia poteva finalmente entrare nel novero
delle massonerie regolari e partecipare ai loro progetti. Per la prima volta in
Italia, dalle origini storiche del 1717, esisteva una Massoneria che era
simile, in tutti gli aspetti, a quella inglese.
La Gran Loggia Nazionale Francese, l’unica Gran Loggia regolare in
Francia, riconobbe ufficialmente la Gran Loggia Regolare d’Italia il 10
marzo 1994, a soli pochi mesi di distanza dalla Gran Loggia Unita
d’Inghilterra.
La Gran Loggia d’Irlanda riconobbe la Gran Loggia Regolare d’Italia il
1° ottobre 1994.
Il 5 marzo del 1995 la Gran Loggia Regolare d’Italia ricevette l’ambito
riconoscimento della Gran Loggia dello Stato di Israele. Questo
riconoscimento riveste una particolare rilevanza, poiché la maggior parte
dei simboli che la Massoneria ha mutuato dalla storia millenaria
dell’umanità deriva dall’Antico Testamento e dalle vicende che
caratterizzano lo sviluppo storico degli ebrei. Il riconoscimento segnò la
nascita di rapporti di fraterna amicizia tra le due Gran Logge, che si vedono
entrambe impegnate a realizzare un progetto ispirato ai più alti principi
della Massoneria tradizionale.
Nacque così l’idea di fondare una Loggia a Roma, denominata
“Jerusalem”, da consacrarsi in Terra Santa. Ciò avvenne il 28 dicembre
1995, nelle Grotte di Re Salomone, a Gerusalemme. Il Gran Maestro
Giuliano Di Bernardo, il Gran Maestro Ephraim Fuchs, il Gran Maestro
della Gran Loggia Nazionale Francese Claude Charbonniaud e altre
delegazioni, in un Tempio eretto per l’occasione, celebrarono la Cerimonia
di consacrazione della Loggia “Jerusalem”, scandendo i tempi di un rituale
antichissimo.
Le Gran Logge d’Inghilterra, d’Irlanda e di Scozia sono state da sempre
le Garanti della regolarità massonica in tutto il mondo. E’ proprio a esse che
si deve la formulazione dei “Principi” fondamentali per il riconoscimento di
una Gran Loggia, emanata nel 1929. Ciò sta a significare che queste Gran
Logge hanno concepito la natura e le finalità della Massoneria nello stesso
identico modo. Almeno per questa ragione, sarebbe stato importante, per la
Gran Loggia Regolare d’Italia, ottenere il loro riconoscimento.
Il Gran Segretario McGibbon, il 4 maggio del 1995, comunica che, in
occasione della Comunicazione Trimestrale, la Gran Loggia di Scozia
aveva riconosciuto la Gran Loggia Regolare d’Italia.
Si vennero così a coronare e a completare i riconoscimenti delle Gran
Logge d’Inghilterra, Irlanda e Scozia, ai quali aspirano tutte le massonerie
del mondo. In soli due anni avevo fondato una Gran Loggia e l’avevo fatta
riconoscere dalle massonerie più nobili, origine dell’autenticità e della
purezza iniziatica.
Il mio sogno si era realizzato. Non tardarono, però, a nascere i problemi.
Il Gran Segretario della Gran Loggia Nazionale Francese Yves Trestournel,
che aveva tenuto a battesimo la nascita della Gran Loggia Regolare d’Italia,
mi fece presente che i Gran Maestri delle Gran Logge europee non avevano
gradito la scelta radicale che io avevo fatto a favore della Massoneria
inglese. Pertanto, se avessi voluto anche i loro riconoscimenti, avrei dovuto
consentire l’uso dei loro rituali nelle mie Logge, per dimostrare
un’equidistanza rispetto alla Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Il messaggio
era chiaro. Mi trovavo di fronte all’alternativa: avere i riconoscimenti
europei alla condizione di inquinare il modello inglese o rinunciarvi. Non
ho avuto alcun dubbio. Vi ho rinunciato perché altrimenti avrei dovuto
rinnegare quel modello di Massoneria in cui credevo con assoluta certezza.
Ero consapevole delle difficoltà che avrei incontrato, ma non me ne curavo.
La strada era stata tracciata e l’avrei seguita fino in fondo senza alcuna
esitazione. Da questa vicenda si evince chiaramente che le relazioni tra la
Gran Loggia Unita d’Inghilterra e le Gran Logge europee non erano buone.
Analoga situazione si verificò quando mi si propose di chiedere il
riconoscimento alla Conferenza dei Gran Maestri dell’America del Nord. In
realtà, quei riconoscimenti a me interessavano poco poiché la Massoneria
statunitense ha una visione completamente diversa sia da quella inglese sia
da quella europea. In ogni caso, si trattava di una sfida che mi incuriosiva.
Così, il 9 febbraio del 1994 scrissi una lettera a Robert Dillard, Segretario
della Commissione per i riconoscimenti. Mi rispose invitandomi a Dallas.
L’incontro fu costruttivo. Lo lasciai con la convinzione che i riconoscimenti
mi sarebbero stati dati.
Nella Massoneria degli Stati Uniti, nulla accade senza il consenso del
Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico e Accettato. Era
importante, perciò, conoscere anche l’orientamento di Fred Kleinknecht. Lo
incontrai a Washington D.C., nella maestosa sede del Rito Scozzese. Si
congratulò con me per aver combattuto la corruzione all’interno della
Massoneria italiana e mi garantì che i riconoscimenti sarebbero stati tolti al
Grande Oriente d’Italia e dati alla Gran Loggia Regolare d’Italia. Sembrava
fatta, ma non fu così.
Quando andai alla Conferenza dei Gran Maestri del Nord America nel
febbraio del 1995, trovai un clima a dir poco strano. Sentivo che a monte
c’era un problema da risolvere, ma non riuscivo a capire quale fosse. Tutto
apparve chiaro il giorno precedente alla Conferenza. Il riconoscimento mi
sarebbe stato dato, se avessi consentito la formazione del Rito Scozzese
all’interno della Gran Loggia Regolare d’Italia. Il problema era serio.
Poiché il Supremo Consiglio d’Italia era ancora incardinato sul Grande
Oriente d’Italia, il ritiro dei riconoscimenti a questa Obbedienza avrebbe
lasciato il Rito Scozzese sospeso in aria. L’unica collocazione che avrebbe
potuto avere sarebbe stata nella Gran Loggia Regolare d’Italia. Solo se lo
avessi consentito, avrei potuto avere i riconoscimenti delle Gran Logge
statunitensi. Ero disposto ad accogliere il Rito Scozzese nella mia Gran
Loggia? Ancora una volta, mi trovavo di fronte al rischio d’inquinamento.
Accogliere il Rito Scozzese d’Italia avrebbe avuto il significato di aprire le
porte a migliaia di massoni del Grande Oriente d’Italia che appartenevano
al Rito Scozzese. Fino a quel momento, avevo scelto i candidati con la
massima attenzione. La decisione di accogliere il Rito Scozzese avrebbe
vanificato il lavoro fin lì svolto. Inoltre, i massoni scozzesi non amavano la
Massoneria inglese e il suo rituale Emulation. Così la mia risposta fu
negativa, consapevole che i riconoscimenti non mi sarebbero mai stati dati.
Qualche ora prima che cominciasse la riunione della Commissione per i
riconoscimenti, il Sommo Sacerdote del Rito di York mi disse che
avrebbero votato a favore del mio riconoscimento se mi fossi impegnato ad
accogliere il loro Rito nella Gran Loggia Regolare d’Italia. La mia risposta
fu ancora negativa. La situazione ormai era chiara. I riconoscimenti
sarebbero rimasti al Grande Oriente d’Italia. Così è stato.
Per restare fedele al modello inglese di Massoneria, avevo perso sia i
riconoscimenti delle Gran Logge europee sia quelli delle Gran Logge degli
Stati Uniti.
La decisione della Conferenza dei Gran Maestri del Nord America e
l’atteggiamento negativo del Rito scozzese, tuttavia, non erano stati
condivisi da tutti. La proposta di mantenere i riconoscimenti al Grande
Oriente d’Italia era passata con un solo voto di maggioranza. All’interno del
Supremo Consiglio di Washington D.C., inoltre, non tutti avevano
condiviso la decisione del Sovrano Gran Commendatore Fred Kleinknecht.
Per sedare le critiche che gli venivano rivolte, il 28 marzo del 1995, egli
inviò una lettera a tutti i membri del Supremo Consiglio, in cui dichiarava
che non aveva potuto darmi i riconoscimenti perché ero stato in prigione
per alcuni mesi. Tale lettera mi venne inviata dal Grande Ispettore
dell’Oregon e io invitai Kleinknecht a smentirla perché la sua accusa era
priva di ogni fondamento. Lo informai anche che, in assenza di una sua
smentita, avrei proceduto legalmente contro di lui. Il massone più potente
degli Stati Uniti e del Rito scozzese mondiale assunse allora un
atteggiamento arrogante senza pari: si sentì offeso perché era stato
richiamato alla correttezza da un Gran Maestro di un paese del tutto
irrilevante nello scacchiere della Massoneria mondiale e decise di non
rispondere alla mia lettera. Di conseguenza, avviai un procedimento legale
contro di lui, che si è svolto secondo le regole processuali degli Stati Uniti.
Della mia decisione di querelare Kleinknecht informai la Gran Loggia
Unita d’Inghilterra e le altre Gran Logge che avevano riconosciuto la Gran
Loggia Regolare d’Italia. Da parte loro, vi fu consenso e compiacimento.
Lord Northampton mi fece notare che mai un altro Gran Maestro avrebbe
osato tanto.
Quel che seguì fu per me importante e istruttivo. Importante perché
stavo contrapponendomi al massone più potente del mondo. Istruttivo
perché toccai con mano le fasi del processo giudiziario degli Stati Uniti.
Come Studio legale per la mia difesa, scelsi uno dei più potenti a
Washington D.C., la “Graham & James”. Diedi loro l’incarico formale di
rappresentarmi nella causa contro il Sovrano Fred Kleinknecht. L’inizio
della procedura legale prevede che una lettera di citazione sia consegnata
nelle mani dell’inquisito. Il Sovrano ricevette la lettera durante una cena di
gala del Rito, alla presenza di circa 1.000 fratelli e ospiti. La cena si
svolgeva in un immenso salone. All’improvviso, apparve un uomo vestito
di nero, si diresse sicuro verso Kleinknecht. Quando lo raggiunse, gli chiese
nome e cognome. Dopo aver avuto conferma, gli consegnò la lettera di
citazione che lo informava di essere in stato di accusa.
Nel febbraio del 1997, quando la Corte di Washington D.C. era pronta
per iniziare il processo contro Kleinknecht, diedi ordine ai miei avvocati di
proporre un accordo: avrei evitato il processo e il risarcimento dei danni a
condizione che egli scrivesse una lettera in cui ammetteva la sua calunnia.
Così stato.
Il 19 febbraio del 1997, su carta intestata del Supremo Consiglio,
Kleinknecht mi scrisse una lettera che così concludeva: “Caro Professore Di
Bernardo, colgo l’occasione per spiegare e per chiederle scusa per la
dichiarazione fatta nella mia lettera del 28 marzo 1995 [...]. Non ho alcun
motivo per credere, ora, che la dichiarazione fatta nella mia lettera del 28
marzo corrisponda a verità. Per quanto io so personalmente, lei non ha mai
trascorso un periodo di reclusione in prigione. Di conseguenza ritiro la mia
dichiarazione e offro a lei, alla sua famiglia, ai suoi amici, ai colleghi e a
tutte le altre persone che saranno venute a conoscenza della mia lettera le
mie più sincere scuse”.
Una lettera di scuse è quanto volevo dal massone più potente degli Stati
Uniti, per insegnargli che l’arroganza non paga. Avrei potuto umiliarlo
facendolo condannare per calunnia. Avrei potuto chiedergli un notevole
risarcimento per i danni morali. Volevo, invece, insegnargli l’umiltà che i
massoni devono avere, soprattutto se sono ai più alti ranghi mondiali della
Massoneria.
Dopo la fondazione della Gran Loggia Regolare d’Italia, Bruno
Castellani, primo Presidente del Consiglio delle Proposte Generali, sollecita
il mio incontro con Fausto Bruni, Sovrano Gran Commendatore del Rito
Scozzese, che era succeduto a Vittorio Colao. Questo Rito, pur contando un
certo numero di adepti, stava attraversando un periodo di crisi. Dopo la
scissione del Supremo Consiglio, il Rito di Cecovini era stato riconosciuto
dalla Giurisdizione Sud degli Stati Uniti e dal Grande Oriente d’Italia. Ciò
ne aveva permesso l’incardinato sul Grande Oriente d’Italia.
Il Rito Scozzese di Fausto Bruni non aveva avuto questa possibilità.
Quando non esiste un Ordine su cui incardinare il Rito, è consuetudine
creare un Ordine all’interno dello stesso Rito. In tal caso, il Sovrano è anche
Gran Maestro. Era un espediente che, tutto sommato, funzionava. Tuttavia,
poneva forti limiti soprattutto nei rapporti internazionali. Bruni cercava il
modo per uscire da una situazione angusta e difficile in cui si trovava.
Anche la Gran Loggia Regolare d’Italia aveva un problema da risolvere,
che riguardava la sua crescita quantitativa. Il rigido criterio selettivo dei
candidati ne rallentava lo sviluppo. La Gran Loggia Unita d’Inghilterra lo
sollecitava. Accettai la proposta di incontrare Fausto Bruni. La prima
impressione fu positiva. Bruni e i suoi più fidati collaboratori erano
sinceramente convinti di entrare nella Gran Loggia Regolare d’Italia e
volevano esaminare con me le condizioni per farlo. Esistevano, però,
difficoltà che mi sembravano insuperabili.
Anche se avevo accettato l’incontro con Bruni per accontentare
Castellani, cominciai a riflettervi. Le difficoltà erano evidenti. Bruni era il
capo di un Rito. Già nella fondazione della Gran Loggia Regolare d’Italia,
avevo dichiarato che mai nessun Rito vi sarebbe entrato. Per mantenere
questo impegno, avevo rinunciato al riconoscimento delle Gran Logge del
Nord America. Conoscevo troppo bene il Rito Scozzese per non temerne gli
inquinamenti. Da un punto di vista umano e strategico, vedevo la proposta
con favore ma non riuscivo a immaginare come realizzarla. Nel secondo
incontro, dissi con chiarezza a Bruni che non avrei consentito al suo Rito di
incardinarsi sulla Gran Loggia Regolare d’Italia. Pensavo che, dopo questa
mia dichiarazione, tutto fosse finito ma non fu così. Castellani e il
luogotenente di Bruni volevano comunque fare l’accordo e proposero
compromessi che rifiutai. Alla fine, escogitai la soluzione, la proposi e fu
accolta. Tutti i membri del Rito (Bruni incluso) sarebbero entrati nella Gran
Loggia Regolare d’Italia come Maestri e si sarebbero messi alla mia
obbedienza. Avrebbero potuto avere il Rito Scozzese ma all’esterno della
Gran Loggia Regolare d’Italia. In tal modo, non vi sarebbero state
interferenze. La mia proposta si basava sulla situazione esistente in
Inghilterra, dove il Rito Scozzese (detto Rose Croix) era indipendente dalla
Gran Loggia Unita d’Inghilterra, per cui il Gran Maestro non doveva
riconoscerlo per autorizzare i suoi Maestri a farne parte.
Informai dell’accordo raggiunto la Gran Loggia Unita d’Inghilterra che
espresse compiacimento perché aveva tentato di far entrare l’Obbedienza di
Bruni nel Grande Oriente d’Italia (quando lo riconosceva) senza però
riuscirvi. Sulla base di questa intesa, comincia la procedura per
l’ammissione dell’Obbedienza di Bruni. Una solenne cerimonia a Cosenza
la formalizza e si formano Logge in diverse regioni d’Italia.
Inizialmente, tutto procede bene ma poi si cominciano a formare le
prime crepe. Bruni avverte i segni della matura età e il suo luogotenente,
che aspirava alla sua successione, pretende di trasferire il Rito Scozzese
all’interno della Gran Loggia Regolare d’Italia. E’ stato inutile richiamarlo
al rispetto del Protocollo condiviso e sottoscritto dai due Gran Maestri. Non
ho avuto altra scelta che quella di porlo davanti all’alternativa: mantenere
gli impegni assunti o andarsene. Se ne andarono. La storia della Massoneria
italiana è la storia di unificazioni e scissioni, tutte concluse nel peggiore dei
modi. Avevo acconsentito che ciò avvenisse anche nella Gran Loggia
Regolare d’Italia. Fu un errore.
I primi due anni di vita della Gran Loggia Regolare d’Italia li ho
dedicati ai riconoscimenti internazionali. Di conseguenza, ho dovuto
mettere tra parentesi la rinascita della Massoneria nei paesi dell’ex Impero
sovietico. L’occasione per riprendere quelle attività mi viene offerta il 23
ottobre 1996 dalla visita di Anatoli Coman della Moldova, il quale espresse
il desiderio di veder costituita nel suo paese una Gran Loggia simile a
quella che avevo fondato in Italia. Riprese così la mia missione per riportare
la luce massonica in quei paesi che per ragioni ideologiche l’avevano persa.
Il mio arrivo a Chisinau, capitale della Moldova, avvenne nella
primavera del 1997. Il Presidente della Repubblica, Petru Lucinski, mi
ricevette con tutti gli onori ed espresse il desiderio che la Massoneria
tornasse a splendere anche in Moldova. Il giorno dopo, in mio onore, si
tenne un concerto al Teatro del Balletto dell’Opera, cui parteciparono circa
300 persone, tra cui 20 ambasciatori (Russia, Cina, Giappone), 5 ministri di
Stato, giornalisti, artisti, imprenditori e rettori delle università. Con la scelta
dei più autorevoli personaggi, comincia la costituzione di Logge che
adottano I Regolamenti Generali della Gran Loggia Regolare d’Italia (che
sono gli stessi della Gran Unita d’Inghilterra) e il Rituale Emulation.
Ero già stato a Chisinau cinque anni prima, quando stavo facendo
rinascere la Massoneria in Romania. Costel Iancu mi parlò dei rapporti fra
Romania e Moldova. Nei due paesi, esistevano sostenitori della loro
riunificazione politica e geografica, i quali chiedevano al Gran Maestro di
intervenire per favorirla. Si organizza così la mia visita a Chisinau che
avviene nel gennaio del 1992. Siamo partiti da Bucarest in auto in un giorno
gelido di nevicata. Ricordo la fila di auto al confine, un viaggio estenuante e
l’arrivo a Chisinau durante la notte. Fui alloggiato all’Hotel Jolly Alon. La
mattina dopo, guardando attraverso la finestra della mia camera, vidi un
giardino che sembrava uscito da una fiaba: alberi secolari coperti da una
soffice neve che luccicava sotto i timidi raggi del sole. Dopo un’abbondante
colazione servita in camera, incontrai il personaggio che mi aveva invitato.
Apparteneva ai ranghi più alti della polizia. Mi illustrò il suo progetto e
chiese il mio intervento. Lo ascoltai con attenzione e gli dissi che lo avrei
preso in considerazione. La visita alla capitale della Moldova era stata
un’esperienza significativa ma non era mia intenzione entrare nel merito di
contrasti geopolitici, poiché sono stato sempre convinto che la Massoneria,
per poter svolgere la sua missione, deve restarne al di sopra. In ogni caso,
avevo appreso un problema che si sarebbe riproposto qualche tempo dopo.
Il mio ritorno a Chisinau mi aveva mostrato una città più moderna e
accattivante, anche se restavano le buche nelle strade principali. Ero
alloggiato al Jolly Alon che era ancora l’hotel più confortevole. Espressi il
desiderio di conoscere il paese. Vicino a Chisinau vi è la cantina Cricova.
Chiamarla cantina è riduttivo perché, con i suoi 200 km di gallerie che
raggiungono una profondità di 90 metri dove riposano dieci milioni di
bottiglie, Cricova è una città del vino sotterranea dove si trovano un
cinema, un museo del vino che contiene le collezioni dei vini più pregiati
provenienti da mezzo mondo, sale per banchetti e un enorme caminetto con
una canna fumaria di 90 metri. In una parete della sala più importante, era
stata collocata una foto che ritraeva l’astronauta Juriy Gagarin, il quale,
dopo il volo nello spazio, aveva espresso il desiderio di trascorrere tre
giorni nella Cricova con tre belle fanciulle. La foto recava la sua dedica. La
cantina Cricova è stata, negli anni successivi, il luogo privilegiato dei nostri
incontri.
La Moldova è famosa anche per i suoi monasteri. Quello di Orhei è
stato più volte da me visitato per la sacralità che emana. Nel XIV secolo,
nelle terre dove sorge un monastero, si stabilirono tribù nomade provenienti
dalle steppe dell’Asia Centrale e dalla Mongolia. Nel 1368, dopo lo
straripamento dei due grandi fiumi della Moldova, il Prut e il Dnestr, i
mongoli lasciarono l’area alluvionata, che fu pian piano rioccupata dalle
popolazioni autoctone. Nel corso dei secoli, sulla collina che sovrasta il
fiume, è stata edificata la chiesa ortodossa di Santa Maria Dormata che dà
accesso al monastero rupestre di Pestera, risalente al XV-XVI secolo, che è
interamente scavato nella roccia. L’ambiente è illuminato dalle candele e da
una fioca luce che penetra da una finestra che guarda verso il fiume.
Tutt’intorno aleggia un senso diffuso di mistero. La cantina Cricova e il
monastero di Pestera rappresentano il sacro e il profano di un popolo che si
stava aprendo verso un futuro migliore.
Nel centro della Moldova, è situata la Transnistria, un piccolo territorio
che ha rivendicato la sua indipendenza. Nell’impero sovietico, ospitava uno
dei più importanti centri di elettronica e la XII armata che aveva il compito
di difendere l’Unione Sovietica da attacchi provenienti dall’Europa. E’ stato
governato anche dal Generale Lebed che ebbe una certa notorietà quando si
svolsero in Russia le elezioni presidenziale dopo Gorbaciov. A Tiraspol, la
capitale della Transnistria, formai quattro Logge e nominai Gran Maestro
del Distretto il Generale che allora la governava. La Transnistria è anche
famosa per la produzione del cognac che viene in gran parte esportato in
Francia. Fu indimenticabile la degustazione di cognac di oltre
cinquant’anni.
Poiché i rapporti della Moldova con l’Ucraina erano molto stretti, mi si
propose di far rinascere la Massoneria anche in quel paese. Così ho
conosciuto Valeriy Zaporozhan, rettore dell’Università medica di Odessa,
uno dei più eminenti personaggi dell’Ucraina.
La rinascita della Massoneria in questo paese era stata preparata con
cura. A Chisinau avevo già iniziato lo stesso Zaporozhan e Alexander
Vozianov, presidente della “National Academy of Medical Sciences”
dell’Ucraina. Una sera d’autunno, dopo una cerimonia in Loggia, siamo
partiti in auto per Odessa. Il cielo mostrava una luna più luminosa che mai.
Durante il viaggio, pensavo alle cose da fare in Ucraina. La luna mi
seguiva. Dopo una breve sosta in Transnistria per il controllo dei passaporti,
abbiamo ripreso il viaggio nella notte. Guardavo il paesaggio circostante
che sembrava sorridermi. Era un buon auspicio. Fui vinto dalla stanchezza e
mi addormentai. Mi svegliai alle porte di Odessa. La luna era scomparsa e il
cielo non era più limpido. All’improvviso, ci siamo ritrovati nel cuore di
Odessa, in un viale maestoso che rimembrava i boulevard di Parigi.
Eravamo in Primorsky boulevard, di fronte all’hotel Londonskaya che ci
aspettava. L’orologio segnava le tre del mattino. Quel momento, che
emanava mistero e magia, resterà sempre vivo nella mia memoria.
Eravamo nella città di Zaporozhan che si stava predisponendo per la
rinascita della Massoneria che, nei secoli precedenti, le aveva dato prestigio
e fama. Le dimore storiche di Tolstoi, Puskin a Gogol, che avevano lasciato
indelebili tracce della Massoneria nelle loro opere, sembrava che
aspettassero il nostro arrivo.
Il giorno dopo mi svegliai di buon’ora perché volevo, in solitudine,
scoprire quel magico luogo. Primorsky boulevard non era molto lungo. Si
affacciava sul Mar Nero e gli edifici che lo fiancheggiavano erano palazzi
storici di varie epoche con una moltitudine di stili architettonici. Al centro
del viale, si trovava una spettacolare scalinata che conduceva al porto. Più
tardi appresi che era la famosa scalinata “Potiomkin”, celebrata da
Eisenstein nel celebre film “La corazzata Potiomkin”. Avevo la sensazione
che stavo per iniziare un’avventura che avrebbe arricchito la mia vita.
Era mia abitudine, prima di iniziare il lavoro massonico in un paese
straniero, incontrare il Presidente dello Stato. Così avevo fatto in Moldova,
così avrei fatto in Ucraina. Nell’inverno del 1997, il Professor Vozianov a
Kiev mi presentò al Presidente Kuchma, al quale manifestai la mia
intenzione di ricostituire la Massoneria in Ucraina. Con entusiasmo
condivise il mio progetto.
Tutto ruotava intorno a Zaporozhan. Oltre a essere Rettore
dell’Università medica di Odessa, egli era anche Deputato al Parlamento
nazionale. In una conferenza pubblica, dichiarò la sua appartenenza alla
Massoneria. I personaggi più importanti della società ucraina manifestarono
il loro desiderio di farne parte.
La prima conseguenza fu la formazione e la consacrazione della Loggia
“Hiram” a Odessa il 7 febbraio 1998. L’evento fu ripreso dai più importanti
mezzi di comunicazione, nazionali e internazionali. La Loggia Hiram
poteva contare, tra i suoi membri, personaggi del mondo accademico,
artistico, politico, dello spettacolo, economico e delle professioni. Nominai
Venerabile della Loggia il professor Valeriy Zaporozhan.
Le Logge della Moldova e dell’Ucraina avevano adottato il Rituale
Emulation, che era stato tradotto in moldavo e russo. Come la Gran Loggia
Regolare d’Italia, esse operavano in conformità alle Costituzioni e ai
Regolamenti della Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Era già stato fatto il
primo passo per introdurre anche l’Arco Reale.
Per testimoniare l’evento, il 23 aprile 1998 l’Università medica di
Odessa mi conferì la laurea “Honoris Causa”, che è la sua più alta
onorificenza, e la Medaglia d’Oro. Durante la Cerimonia, che si svolse
secondo le antiche usanze, tenni, alla presenza del Senato accademico, una
prolusione sul tema: “La responsabilità della scienza”. Il giorno dopo feci
una lezione magistrale a oltre 1.000 studenti, nell’Aula magna
dell’Università sul tema: “La fondazione filosofica dell’uomo”.
La stessa onorificenza era stata già conferita a Christian Barnard,
famoso per aver effettuato il primo trapianto di cuore e al Presidente della
Georgetown University di Washington D.C.
Per la prima volta nella mia vita, dopo un incessante peregrinare,
avvertivo l’impulso, che nasceva spontaneo dalle radici del mio essere, di
trascorrere parte del mio tempo a Odessa. Vi erano luoghi, da me ritenuti
magici, dove avrei voluto dimorare: Primorsky boulevard e Palais Royal. Di
Primorsky boulevard conoscevo tutto. Ne avevo esplorato ogni ambito
recondito. Vivevo al Londonskaya hotel, dalle cui finestre, che si
affacciavano sul mare, vedevo il decorso delle stagioni. L’autunno, con la
varietà dei colori delle foglie che ineluttabilmente rinsecchivano e
cadevano, spinte dal vento fino a formare immagini oniriche. L’inverno,
con i suoi silenzi e le nevicate. Nel cielo, a volte, appariva un contrasto
forte di luci e ombre quasi a rievocare la creazione del mondo. Altre volte,
esprimeva una luminosità diffusa che preannunciava la caduta della neve.
Ci si rintanava in graziosi ristoranti alla ricerca del caldo e del buon cibo.
Alcune sere si andava al Teatro dell’Opera per farsi stupire da musiche
immortali. La primavera era uno scoppio di luce e di colori. Gli alberi
facevano sfoggio di fiori e gli uccelli cinguettavano. Il boulevard
cominciava a ripopolarsi e voci gioiose pervenivano nella mia stanza. Era il
tempo delle gite sul Danubio e nei villaggi dove le tradizioni popolari non si
erano mai perse. Fragole e melograni si trovavano abbondanti dovunque.
Riaprivano i ristoranti di pesce lungo le coste del mare. La gioia di vivere
sembrava l’imperativo categorico che inebriava tutti. Con l’aumento del
caldo, si avvicinava l’estate. Le strade e i negozi erano sempre più affollati.
Odessa stava per subire l’invasione turistica che puntualmente ogni anno si
ripeteva. Dalla Russia e dalle regioni limitrofe, circa tre milioni (la
popolazione di Odessa era di 800.000 abitanti) di turisti occupavano
qualsiasi posto disponibile e prendevano la città in ostaggio. In estate, per
me Odessa non esisteva.
Il mio desiderio di avere una residenza a Odessa si realizzò quando
Zaporozhan mi propose l’acquisto di un attico a Palais Royal. Si trattava
dell’ultimo piano di una casa antica che mostrava ancora i segni del regime
comunista. Era molto modesto ma si affacciava sul giardino e si trovava a
pochi metri dal Teatro dell’Opera. Lo acquistai e lo feci ristrutturare. Lo
arredai con mobili in stile locale che riecheggiava l’influenza turca.
Divenne la mia residenza per alcuni anni. Dalla mia finestra, vedevo una
fontana che aveva al centro la statua di una fanciulla, che si vestiva con i
colori delle stagioni. Contemplandola, sentivo il decorso del tempo.
Intanto Zaporozhan mi aveva introdotto nei luoghi dove risiedono le
persone che contano: professori, magistrati, politici, imprenditori,
professionisti. Accettavo con piacere i loro inviti. Mi sentivo sempre più
“odissito”.
Zaporozhan voleva che io vedessi con i miei occhi i luoghi famosi della
storia militare di quella regione. Un giorno, ospiti del Governatore, siamo
andati a Nikolayev, una città dove nel 1789 il Generale Governatore
Potiomkin (da cui prende il nome la corazzata celebrata nel film di
Eisenstein) decretò che, nel luogo in cui il fiume Ingul sfocia nel Mar Nero,
fosse costruito un cantiere navale chiamato Nikolayev (da San Nicola).
Intorno a questo cantiere, è stata costruita la città che porta lo stesso nome.
Nei secoli precedenti, soprattutto nella guerra contro i turchi, ha avuto
grande fama e splendore, ma ora era in uno stato totale di abbandono.
Nevicava da alcuni giorni e la neve era alta e soffice. Il capo del KGB, che
presidiava la zona, mi propose di visitarlo. Non aspettavo altro. Insieme con
Zaporozhan, siamo arrivati lungo il grande fiume dove stazionava una
gigantesca portaerei che giaceva immobile mentre la neve cadeva
abbondante. Percepivo il silenzio che regnava sulle cose circostanti. Faceva
molto freddo e il termometro segnava una temperatura di 25° sotto lo zero.
In quegli anni, ero giovane e sopportavo il freddo. Viaggiavo indossando un
cappotto leggero da cerimonia in puro cashmere. Non usavo ancora il
colbacco. Il capo del KGB mi diede un cappotto pesante e un berretto per
farmi riparare dal freddo e mi propose di salire sulla portaerei usando una
stretta scala di ferro congelata. Lui e Zaporozhan mi diedero assistenza per
evitare che scivolassi. L’arrampicata fu pericolosa ma quando arrivai in
cima ebbi davanti a me uno spettacolo che mi tolse il respiro. La
costruzione della portaerei era stata interrotta per mancanza di fondi. Quel
che restava era una spianata di diverse centinaia di metri su cui cadeva una
neve incessante. Era un’opera grandiosa e inquietante che destò in me
ammirazione e paura. Ritornammo in albergo e fummo accolti da un
caminetto scoppiettante e da piatti che mostravano la bravura dello chef. La
sauna “russa” concluse un giorno indimenticabile.
L’Ucraina mi stava a poco a poco conquistando. Una delle più
fantastiche esperienza della mia vita stava avvicinandosi: la Crimea. La
Crimea è la penisola più grande del Mar Nero ed è collegata alla terraferma
dall’istmo di Perekop. Fu donata all’Ucraina da Krushev nel 1954.
Geograficamente, è un fazzoletto di terra dove coesistono diversi climi e
ambienti naturali, dalle foreste, alle steppe, alle dune del deserto.
Zaporozhan mi aveva presentato a Kiev un potente deputato del
Parlamento ucraino, che era nato e viveva in Crimea. Lo scopo era quello di
formare un Distretto della Gran Loggia Regolare d’Italia in quella regione.
Da Odessa, si può raggiungere agevolmente la Crimea in auto o in aereo. Si
preferì l’auto perché mi avrebbe consentito di ammirare i paesaggi naturali
che avremmo attraversato. La prima città importante che s’incontra è
Sebastopoli, entrata nella leggenda con la guerra di Crimea (1853-1856).
Esiste un museo a forma circolare dove si può rivivere le diverse fasi del
conflitto. E’ proprio a Sebastopoli che sarebbe stato costituito il Distretto
della Gran Loggia Regolare d’Italia. Importanti esponenti della vita sociale,
politica ed economica ne avrebbero fatto parte.
Da Sebastopoli, si sale verso le montagne circostanti che richiamano
vagamente i paesaggi dolomitici. La direzione di marcia porta verso oriente.
Non molto lontano vi è Yalta, città resa famosa dalla Conferenza che ebbe
per protagonisti Roosevelt, Churchill e Stalin, i vincitori della seconda
guerra mondiale. Fu in quella occasione che decisero di costituire
l’”Organizzazione delle Nazioni Unite”. Da sempre desideravo vedere Yalta
ma ne fui deluso perché risultava formata da enormi e anonimi alberghi in
stile russo, per ospitare le classi dirigenti dell’impero sovietico.
Da Yalta, che si affaccia sul Mar Nero, l’itinerario continua verso
Simferopol, la capitale della Crimea. Ci lasciamo alle spalle il mare e ci
inoltriamo verso l’interno. Simferopol, dal punto di vista architettonico, è
senza infamia e senza lode. Anche l’albergo dove abbiamo alloggiato,
considerato il migliore della città, era modesto.
Il viaggio cominciava ad essere noioso quando, all’improvviso, ci siamo
trovati alle porte di Sudak, una cittadina che mi avrebbe rivelato meraviglie.
Già in lontananza, si scorgeva su un’altura le mura di cinta di un castello
con torri e edifici austeri. Era la “Fortezza dei genovesi”, fondata dai
veneziani nel XII secolo e poi ricostruita dai genovesi tra il 1371 e il 1469.
Si erge su un’altura, da cui si ha una vista mozzafiato sul mare sottostante.
Era un luogo magico e pieno di misteri. C’era ancora la sala delle torture
dove riecheggiavano tremendi eventi di violenza. La Fortezza testimoniava
il potere delle nostre Repubbliche Marinare nel Medio Evo.
Qualche tempo dopo, il Ministro dell’ambiente, informato del mio
interesse per la caccia, mi propone di prendere in concessione per 99 anni
un vasto territorio in Sudak, dal mare alla montagna più alta, di 48.000
ettari, per farne una riserva di caccia. Al centro della riserva, in un luogo di
rara bellezza, sarebbe stato costruito un villaggio di dacie di gran lusso, con
ristoranti, centri di benessere e casinò. Non solo i cacciatori provenienti
dall’estero ma anche i ricchi e facoltosi russi ne sarebbero stati assidui
frequentatori. Avevo trovato l’imprenditore italiano che avrebbe investito
alcuni milioni di dollari, quando inizia a Kiev la “rivoluzione arancione”
che fa cadere una pietra tombale su questa e altre importanti iniziative. A
differenza di Simferopol, a Sudak c’era un albergo di gran lusso, con uno
stile architettonico che richiamava i fasti della civiltà turca. In
quell’atmosfera incantata, ho trascorso notti piacevoli e indimenticabili. Fu
allora che decisi di formare il Distretto della Gran Loggia Regolare d’Italia
non a Sebastopoli ma a Sudak, in un palazzo storico all’interno della
Fortezza dei genovesi.
Col passare del tempo, Odessa, Nikolayev e Sudak s’insinuavano
sempre più nei miei pensieri e nella radice delle mie emozioni. Cominciavo
a sentirli come luoghi dove avrei potuto trascorrere gli ultimi anni della mia
vita.
Zaporozhan, conoscendo il mio desiderio di dimorare in Primorsky
boulevard, m’informò che era in vendita un prestigioso appartamento che
era stato donato dal Municipio di Odessa a Volodymyr Filatov, per
ringraziarlo del contributo che aveva dato alla scienza medica. Filatov fu un
famoso oftalmologo ucraino, che scoprì una nuova terapia per riparare i
tessuti danneggiati dell’occhio, in particolare la cornea. Era un ampio
appartamento di 250 metri quadrati, con soffitti alti sei metri e una vista
impareggiabile sul Mar Nero. Si trovava al secondo piano di una palazzetto
in puro stile romanico edificato agli inizi dell’Ottocento. Durante il regime
sovietico fu occupato da sei nuclei familiari che vivevano ancora lì e ne
erano i proprietari. Vi erano stati numerosi tentativi di acquistarlo ma
fallirono poiché non si riusciva a trovare un accordo con tutti i proprietari.
Compresi che c’era una sola possibilità di superare questa difficoltà. Mi feci
trasferire dalla mia banca italiana 200.000 dollari e convocai tutti i
proprietari dal notaio che aveva già preparato i documenti per la vendita.
Quando ci furono tutti, aprii la valigetta piena di dollari e la mostrai loro.
La mia proposta fu quella di prendere subito o lasciare. La possibilità di
prendere quei dollari fu la mossa vincente. Poche ore dopo ero il nuovo
proprietario del prestigioso appartamento in Primorsky boulevard. Con il
progetto di un famoso architetto di Roma, cominciai a restaurarlo. Non vi
ho mai dimorato perché l’Ucraina, che stava scivolando verso una grave
crisi politica, economica e sociale, non era più quella che avevo conosciuto
e amata. L’ho venduta. Ma quando torno a Odessa e passeggio in Primorsky
boulevard, la vista di quella dimora fa nascere in me un senso di struggente
nostalgia. Vorrei tornare indietro nel tempo alla ricerca di momenti magici
ma la ruota della vita va sempre avanti.
Dopo un’incessante attività per fondare Logge e Distretti, tutto era
pronto per l’atto finale: la fondazione della Gran Loggia di Ucraina e della
Gran Loggia di Moldova.
Il 15 ottobre 1999, a Chisinou, in una solenne cerimonia cui
parteciparono gli Ufficiali della Gran Loggia Regolare d’Italia, il Gran
Maestro Giuliano di Bernardo, avendo accertato l’esistenza di sette Logge
(“Alleanza”, “Stella del Sud”, “Atlante”, “Sirius”, “Uniredinstvo”,
“Renastere” e “Millennium”), tutte regolarmente costituite e consacrate,
operanti nel Distretto della Moldova, con le formalità di rito, fonda la Gran
Loggia di Moldova e nomina Anatoli Coman suo Gran Maestro.
Due giorni dopo, il 17 ottobre 1999, a Odessa si ripete la stessa
cerimonia. Il Gran Maestro Giuliano Di Bernardo, avendo accertato
l’esistenza di sei Logge (“Hiram”, “Novoya Atlantida” (Nuova Atlantide),
“Kosmopolitan” (Cosmopolitan),” Zoloti Vorota” (Porte dorate), “Svet
Istiny” (Luce della Verità e “Obriy” (Orizzonte)), tutte regolarmente
costituite e consacrate, operanti nel distretto di Ucraina, con le formalità di
rito, fonda la Gran Loggia di Ucraina e nomina Valeriy Zaporozhan suo
Gran Maestro.
Le due nuove Gran Logge ricevettero le Costituzioni e i Regolamenti
della Gran Loggia Regolare d’Italia, che sono basati su quelli della Gran
Loggia Unita d’Inghilterra.
Tutte le Logge delle due nuove Gran Logge lavorano esclusivamente
con il Rituale Emulation, tradotto in russo e moldavo. Tutto era pronto per
l’introduzione dell’Arco Reale.
I Gran Maestri della Gran Loggia Regolare d’Italia, della Gran Loggia
di Ucraina e della Gran Loggia di Moldova formano “La Federazione delle
Gran Logge dell’Est Europeo”. Giuliano Di Bernardo ne è eletto Gran
Maestro. La prima decisione adottata è stata quella di fondare Gran Logge
in Armenia, Georgia e Azerbaigian.
Come da tradizione, feci compilare ai due nuovi Gran Maestri il modulo
mediante cui avrebbero chiesto il riconoscimento alla Gran Loggia Unita
d’Inghilterra, che inviai al Gran Segretario in Freemasons’s Hall. Poiché le
Gran Logge di Ucraina e di Moldova ne avevano adottato le Costituzioni e
il rituale Emulation tradotti nelle loro lingue, il riconoscimento sarebbe
stato una pura formalità. E’ quel che io pensavo ma mi sbagliavo.
Mentre Zaporozhan seguiva alla lettera le mie istruzioni, Anatoli Coman
scalpitava. Voleva subito i riconoscimenti per stabilire rapporti con le Gran
Logge estere. Di questa sua debolezza, approfittò il Gran Maestro della
Gran Loggia Unita di Germania Rainer Schicke, che aveva iniziato un
conflitto con la Gran Loggia Unita d’Inghilterra, poiché si opponeva al suo
progetto di fondare la Gran Loggia d’Europa da mettere sotto l’egida della
Germania. Propose a Coman di schierarsi dalla sua parte, rinunciando al
riconoscimento inglese. Coman lo fece e la sua Gran Loggia (che io avevo
fondato) ottenne il riconoscimento dalla Germania. Immediatamente, gli
tolsi il riconoscimento. Il nuovo Gran Segretario della Gran Loggia Unita
d’Inghilterra Jim Daniels, che aveva sostituito Michael Higham, non fu in
grado di gestire la situazione. Anatoli Coman qualche anno dopo fu
costretto alle dimissioni e scomparve dalla scena massonica.
Valeriy Zaporozhan, viceversa, mi seguiva con entusiasmo e fedeltà.
Egli era un uomo di grande levatura morale e intellettuale. Di fronte a lui,
Coman era un nano. Quando nel 2002 mi ritirai dalla Gran Loggia Regolare
d’Italia, egli si dimise dal rango di Gran Maestro della Gran Loggia di
Ucraina. La nostra amicizia è ancora oggi più viva che mai.
Le mie attività all’estero continuavano ad avere successo, ma la
situazione generale della Gran Loggia Regolare d’Italia degenerava, sia per
motivi interni sia per il deterioramento delle relazioni con la Gran Loggia
Unita d’Inghilterra.
La Gran Loggia di Venezia del 15 giugno del 1996, convocata per la
mia conferma al rango di Gran Maestro, aveva segnato l’apice dello
splendore della Massoneria che avevo fondato. Nella città lagunare, era
convenuto il gotha della Massoneria mondiale. Tutti mi acclamavano come
colui che aveva introdotto in Italia la vera e pura Massoneria inglese e stava
riportando la luce massonica nei paesi che si erano liberati della dittatura
comunista. Il massimo di potenza evocativa si raggiunse con la
“processione” delle cento gondole sul Canal Grande al calare della sera.
Alla testa della processione, vi era la gondola dorata del Gran Maestro che
ospitava il marchese Lord Northampton. Tutti indossavano i paramenti
massonici del loro rango. Un Apprendista serviva champagne in calici
pregiati. Con le ombre che cominciavano a calare e le prime luci che si
accendevano, arrivammo in uno storico palazzo per la cena di gala. Le
pareti affrescate dal Tiepolo e musiche immortali incisero nella mia
memoria immagini indelebili.
Dopo la mia rielezione, iniziò un lento declino che trovò l’apice nella
“Congiura dei professori” del 6 settembre 1997.
La fondazione di una nuova Massoneria era stata per me la straordinaria
occasione per introdurre in Italia la pura Massoneria inglese, con le sue
Costituzioni e il rituale Emulation. Nel Grande Oriente d’Italia, si rifiutava
il suo carattere religioso. Per questa ragione, molti fratelli di elevata cultura,
che nulla avevano a che fare con l’infiltrazione delle organizzazioni
criminali nelle Logge, avrebbero avuto enormi difficoltà a seguirmi nella
fondazione della Gran Loggia Regolare d’Italia. Neanche i fratelli della
“Zamboni-De Rolandis” l’avrebbero fatto. Preso atto di questa situazione,
ho accettato solo gli adepti delle Logge Emulation del Grande Oriente
d’Italia, perché a loro non avrei dovuto spiegare nulla.
Poiché volevo preservare l’alto livello qualitativo della neonata Gran
Loggia, accolsi con entusiasmo la proposta di entrare a farne parte dei
professori Renzo Dionigi e Vittorio Collesano. Poco tempo dopo, portarono
anche allievi e colleghi e feci formare loro una Loggia a Varese che
denominarono “Gerolamo Cardano”. Le riunioni si svolgevano in un
castello nell’immediato entroterra. Nominai Dionigi Gran Rappresentante
per l’Irlanda. A Collesano diedi un alto rango nell’Arco Reale.
Per alcuni anni, il loro comportamento è stato esemplare. Ritenevo
Dionigi il mio naturale successore e lo avevo comunicato ai vertici inglesi,
che avevano approvato la mia scelta. Già dopo la Gran Loggia di Venezia,
avevo però percepito qualcosa di strano nei suoi atteggiamenti. Avevo
riscontrato anche irregolarità amministrative da parte del Gran Segretario
Luigi Savina. In quel periodo, ero particolarmente impegnato nella rinascita
della Massoneria in Ucraina e in Moldova e mi trovavo spesso lontano da
Roma.
Ero a Odessa quando ricevetti una telefonata da Dionigi che
m’informava di aver avuto motivi seri e urgenti per convocare il “Consiglio
delle Proposte Generali”, di cui era Presidente. Mi disse anche che il
Consiglio si sarebbe svolto anche in mia assenza. Intuii che qualcosa di
grave stava accadendo. Ne parlai con Savina e gli chiesi di fare
accertamenti. Non ebbe alcun sentore delle vere ragioni della convocazione.
L’aereo da Odessa aveva portato ritardo e arrivai alla sede della Gran
Loggia Regolare d’Italia solo poco tempo prima che iniziasse la riunione.
Ero curioso di sapere che cosa stesse bollendo in pentola. Subito dopo
l’apertura della riunione, Dionigi assunse un atteggiamento austero e mi
disse: “io chiedo le tue dimissioni, come concordato con i Gran Segretari
d’Irlanda, di Scozia e d’Inghilterra”. Lo guardavo con curiosità, per nulla
intimorito. Era profondamente turbato. Evidentemente, si trovava a svolgere
un ruolo, quello del congiurato, che non gli era proprio. Gli chiesi di darmi
evidenza di quanto aveva affermato. Mi mostrò una lettera del Gran
Segretario d’Irlanda, Michael Walker, in cui si auspicava la mia
sostituzione. Si rifiutò di farmi fare una fotocopia della lettera ma
acconsentì di farmela trascrivere.
Walker ben sapeva che, con quella lettera, interveniva indebitamente
negli affari interni della Gran Loggia Regolare d’Italia, contravvenendo ai
Regolamenti Generali che la stessa Gran Loggia d’Irlanda aveva sottoscritta
con quelle dell’Inghilterra e della Scozia. Per questa ragione, aveva
raccomandato a Dionigi di mostrarmela ma di non darmela. Avrebbe
sempre potuto negare di averla scritta. E’ quel che Dionigi aveva cercato di
fare ma, di fronte alla mia autorevole richiesta di farmene trascrivere il
contenuto, non ha potuto dire di no. Non sapeva, il professore che, così
facendo, arrecava al Gran Segretario d’Irlanda infiniti affanni.
Quanto stava accadendo mi sembrava irreale. Com’era possibile che
Dionigi, che avevo portato ai vertici della Gran Loggia Regolare d’Italia e
che avevo designato come mio successore, con un atteggiamento irriverente
e arrogante, chiedesse le mie dimissioni? Com’era possibile che Michael
Walter, che era stato sempre al mio fianco nelle battaglie contro i nemici
della pura Massoneria, mi pugnalasse alle spalle? Anche se avesse avuto
prove infamanti contro di me, avrebbe dovuto parlarmene per verificare se
corrispondessero a verità. Ciò che vedevo, invece, era la mia perfetta
esecuzione organizzata nei minimi dettagli.
Preso atto della richiesta di dimissioni, chiesi a Dionigi di dirmi quali
erano le accuse contro di me. Eravamo giunti al cuore del problema.
Visibilmente imbarazzato, dichiarò che si trattava di irregolarità contabili.
Non osavo crederci. Nel Grande Oriente d’Italia si era tentato di
detronizzarmi accusandomi di irregolarità nel Bilancio. Nella mia Gran
Loggia, mi si accusava dello stesso misfatto. Questa fu la prima conferma
che la Gran loggia Regolare d’Italia si stesse trasformando per assumere le
caratteristiche tipiche del Grande Oriente d’Italia. Tutto ciò che avevo fatto
per dare all’Italia la Massoneria inglese cominciava a sciogliersi come neve
al sole.
Chiesi ai presenti di votare la proposta delle mie dimissioni. Più o meno
il Consiglio era spaccato a metà. A quel punto, imposi ai congiurati di
lasciare la sala delle riunioni, li accompagnai alla porta e dissi loro:
“domani voi sarete tutti fuori dalla Gran Loggia Regolare d’Italia”. Così è
stato.
Rimasto solo, cominciai a riflettere. Come prima cosa, avrei dovuto
informare Lord Northampton. Lo chiamai sul finire della sera. Cadde dalle
nuvole, non sapeva nulla della congiura che definì di una gravità inaudita. Il
giorno dopo ne avrebbe parlato col Gran Segretario e mi avrebbe
richiamato. Quando lo fece, mi disse che Higham era stato informato da
Walker ma lo aveva supplicato di non scrivere quella lettera. Per quel che lo
riguardava, lui non aveva nulla da eccepire sul Gran Maestro Di Bernardo.
Scrissi una lettera al Gran Segretario di Scozia, MacGibbon, il quale prese
le distanze da Walker. In breve tempo, il Gran Segretario d’Irlanda era
rimasto solo con la sua richiesta delle mie dimissioni. Quando incontrai
Higham a Istanbul, in occasione della Gran Loggia di Turchia, si scusò per
essere stato portato dentro una vicenda sgradevole che non si sarebbe mai
dovuto verificare. Mi chiese di perdonare i suoi amici Sandro Brocchi,
Matteo Pellizzi e Daniel Quinn che avevano sostenuto Dionigi. Se fossi
stato d’accordo, me li avrebbe portati personalmente a Roma per far
chiedere loro il mio perdono. Gli dissi che ci avrei pensato pur sapendo che
tra poco sarebbe stato costretto alle dimissioni. Usciva così di scena uno dei
più autorevoli e potenti Gran Segretari della Gran Loggia Unita
d’Inghilterra. Jim Daniels, che prenderà il suo posto, si rivelerà
incompetente e incapace di risolvere i gravi problemi che già bussavano alle
porte di Freemasons’ Hall.
Non riuscivo a comprendere l’accusa che mi era stata rivolta. Memore
del Grande Oriente d’Italia, nella fondazione della Gran Loggia Regolare
d’Italia, avevo voluto che sul Bilancio non esistesse il minimo dubbio.
Avevo, perciò, dato all’inglese “Ernst & Young” il compito di certificarlo
ogni anno. Poiché il Bilancio era stato certificato, non comprendevo da
dove venisse l’accusa. Non tardai a scoprirlo. Il Gran Segretario Luigi
Savina era affetto da “Aids” che gli stava attaccando il cervello. Molte delle
cose che faceva non avevano senso o giustificazione. Tra queste, l’uso
sconsiderato dei soldi della Gran Loggia Regolare d’Italia. Il Bilancio era
formalmente ineccepibile e per questo era stato certificato. Per quanto
riguardava gli ammanchi di cassa, Savina, nella sua qualità di Gran
Segretario, aveva fornito giustificazioni che erano apparse convincenti al
certificatore. Il Gran Tesoriere aveva scoperto tali ammanchi. Invece di
informare il Gran Maestro, come sarebbe stato suo dovere, ne aveva parlato
con Dionigi, dandogli così l’opportunità di preparare la congiura. Quando
ho scoperto gli ammanchi, sia pure a malincuore, ho chiesto a Savina di
dimettersi. Sapevo quanto tenesse a quella carica ma non potevo
lasciargliela. Poco tempo dopo, è stato ricoverato in clinica in stato di
incoscienza e alcuni giorni dopo è morto.
L’accusa di ammanchi era fondata e riguardava Savina. Quando Dionigi
e Collesano l’hanno saputo dal Gran Tesoriere, perché non sono venuti da
me per informarmi come sarebbe stato loro dovere? Dionigi, invece, è
andato in Irlanda per accusarmi di imbrogli e truffa ai danni della Gran
Loggia Regolare d’Italia. Né il Gran Tesoriere, né Dionigi e Walker hanno
fatto ciò che era un loro preciso dovere sancito dai Regolamenti Generali:
informare il Gran Maestro. Se non lo hanno fatto, è perché volevano
detronizzarmi. Ancora una volta vedevo riapparire lo spettro della congiura.
I professori avevano deciso che l’occasione era troppo ghiotta per
lasciarsela sfuggire. Dionigi, per sua ammissione, non avrebbe potuto fare il
Gran Maestro prima di sette anni, per impegni accademici (aspirava a fare il
Rettore dell’Università dell’Insubria). Avrebbe, perciò, proposto la nomina
di Vittorio Collesano, che si sarebbe dimesso al momento in cui egli
sarebbe stato disponibile. Vedevo già all’orizzonte profilarsi il “mercato
delle vacche”. Riconoscevo al professor Collesano grandi dote ma non
quella di governare la Gran Loggia Regolare d’Italia. La sua scelta,
pertanto, sarebbe stata un errore irrimediabile.
Dionigi, sopravvalutando se stesso e contando sull’assoluto sostegno del
Gran Segretario d’Irlanda ma ignorando le regole della Massoneria
universale, si era illuso di poter cambiare lo stato di cose negli alti ranghi
della Gran Loggia Regolare d’Italia. Si dice che non sia più in Massoneria,
dopo il suo ritorno al Grande Oriente d’Italia. A volte mi chiedo perché
l’abbia fatto e se abbia mai capito di aver distrutto l’unica e vera
Massoneria in Italia di cui sarebbe stato Gran Maestro.
La mia reazione alla congiura è stata immediata. Dopo aver consultato i
vertici inglesi, per i poteri a me conferiti dai Regolamenti dell’Ordine che
danno al Gran Maestro il diritto di espulsione, ho espulso i congiurati e ne
ho dato comunicazione in Italia e all’estero. La reazione degli espulsi è stata
quella di far dimettere i fratelli delle loro Logge, che accademicamente
dipendevano da loro. Poiché erano tutti professori universitari, il livello
qualitativo della Gran Loggia Regolare d’Italia si è notevolmente abbassato.
Dopo essere stato espulso da me, Dionigi fonda una Gran Loggia, la
“Gran Loggia dell’Unione degli Antichi, Liberi e Accettati Massoni”, di cui
Vittorio Collesano è Gran Maestro e ne chiede il riconoscimento alla Gran
Loggia d’Irlanda. E’ pura follia. I professori hanno perso la testa. La Gran
Loggia d’Irlanda, per riconoscere la loro Gran Loggia, deve ritirare il
riconoscimento alla Gran Loggia Regolare d’Italia. La probabilità che ciò
avvenga è simile a quella della quadratura del cerchio. I professori non
hanno ancora capito che il loro mentore, Michael Walker, per colpa loro, è
in grave difficoltà nei rapporti con l’Inghilterra e la Scozia a causa della sua
indebita ingerenza negli affari interni della Gran Loggia Regolare d’Italia.
Prima o poi, tuttavia, la ragione illumina le loro menti. Dopo aver capito
che non avranno mai il riconoscimento dell’Irlanda, sciolgono la Gran
Loggia e precipitano nell’oblio.
Di questa situazione hanno approfittato gli “sciacalli”, che mi hanno
dettato le condizioni per mantenere il loro sostegno. Si trattò di un assalto al
potere fatto in un modo indegno e indecoroso. Esemplare è il caso della
“Loggia degli Stewards” di Bergamo. Poiché non ho accettato i loro ricatti,
anche loro hanno lasciato la Gran Loggia Regolare d’Italia, determinando
un ulteriore depauperamento. La Gran Loggia Regolare d’Italia, alla fine
del secolo scorso, aveva perso molto della purezza e dello splendore delle
origini.
Al declino interno, fece eco il mutato atteggiamento della Gran Loggia
Unita d’Inghilterra, la quale, dopo un primo sostegno indiscutibile,
cominciò a manifestare segni d’insofferenza e critiche ingiustificate. Quali
sono le ragioni? Per comprenderle, è necessario fare un passo indietro e
ritornare alla fine degli anni novanta.
In quegli anni, cominciò a formarsi, negli alti ranghi della Gran Loggia
Unita d’Inghilterra, un gruppo di “riformatori”, cui avevano aderito Lord
Northampton e Gavin Purser, presidente del “Board of General Purposes”
(Consiglio delle Proposte Generali). Il loro scopo era quello di modificare i
rapporti fra Gran Maestro e Gran Segretario, a favore del primo. Il modello
cui essi si ispiravano era quello delle Gran Logge europee, in cui il Gran
Maestro detiene il potere decisionale mentre al Gran Segretario è
demandata la responsabilità dell’amministrazione.
Fin dalle origini, nella Massoneria inglese, il Gran Maestro ha avuto un
ruolo di rappresentanza, soprattutto quando egli era il re d’Inghilterra. Di
conseguenza, a governare la Massoneria è stato sempre il Gran Segretario.
Era lui, e solo lui, che decideva sugli affari interni e sui riconoscimenti. E’
vero che era assistito dal “Board of General Purposes”, ma in definitiva le
decisioni le prendeva lui.
I riformatori volevano che il Gran Maestro avesse gli stessi poteri dei
Gran Maestri delle Gran Logge europee. Per fare ciò, tuttavia, avrebbero
dovuto ridimensionare e indebolire il ruolo del Gran Segretario. A quel
tempo, era Gran Segretario Michael Higham, un uomo di grande prestigio e
carisma, profondo conoscitore delle realtà massoniche di tutto il mondo.
Era stato proprio lui a riconoscere le nuove Gran Logge in Italia e in Grecia.
Un uomo come lui non avrebbe mai accettato di ridimensionare il proprio
ruolo. Era necessario, pertanto, metterlo nelle condizioni di andarsene. La
via seguita fu quella di contestargli errori in alcune sue decisioni. Una di
queste riguardava proprio il riconoscimento dato alla Gran Loggia Regolare
d’Italia.
Quello che era un semplice strumento di lotta interna, tuttavia, produsse
conseguenze anche all’estero. Il Grande Oriente d’Italia cominciò a sperare
di poter riottenere il riconoscimento inglese.
Il clima era cambiato e io ne avvertivo i segni nei mutati atteggiamenti
di Lord Northampton. Quel rapporto di profonda e sincera amicizia, che ci
aveva uniti nella Fondazione svizzera “Dignity” e nell’ideazione e
costituzione della Gran Loggia Regolare d’Italia, cominciava ad avere crepe
e zone oscure. Si arrivò così all’autunno del 2001, in cui, nel nostro ultimo
incontro a Wynyates, egli mi informò che la Gran Loggia Unita
d’Inghilterra stava prendendo in considerazione la possibilità di ridare il
riconoscimento al Grande Oriente d’Italia. Mi resi allora conto che la mia
missione in Massoneria era giunta al termine.
La mia caparbia volontà d’introdurre in Italia la pura Massoneria inglese
a dispetto degli italiani, la mia rinuncia ai riconoscimenti europei e
americani, il mio rifiuto ad accogliere nella Gran Loggia Regolare d’Italia il
Rito Scozzese, la fondazione delle Gran Logge di Ucraina e Moldova sul
modello inglese si erano rivelati, alla fine, un fallimento totale. Sentivo
l’ostilità della Gran Loggia Unita d’Inghilterra dopo aver sacrificato tutto e
tutti sul suo altare. Ancora una volta la mia visione ideale di una società
umana basata sulla tolleranza, il rispetto e la dignità, che avevo pensato di
attuare dentro la Massoneria, si scontrava con uomini che si rivelavano
incapaci di comprenderla. Ancora un volta mi ritrovavo solo con la mia
delusione.
La mia esperienza massonica era conclusa in maniera definitiva. Di
conseguenza, mi sarei dimesso dalla Gran Loggia Regolare d’Italia e avrei
rinunciato ai privilegi che avevo acquisito in altre Massonerie. Questo non
significava la rinuncia alla Massoneria come concezione della vita e
dell’uomo. La mia credenza nei principi della Massoneria era più salda che
mai. La mia fiducia era venuta meno nei confronti di uomini che si
dichiaravano massoni. Non dall’ideale ma dal reale io stavo fuggendo. Mi
sentivo finalmente libero da ogni condizionamento storico e contingente.
Passarono pochi mesi e si compì il mio ritiro. Nella riunione di Gran
Loggia di primavera del 2002, passai il Supremo Maglietto al mio
successore e nel giugno dello stesso anno mi dimisi dalla Gran Loggia
Regolare d’Italia.
Si chiudeva un capitolo importante della mia vita. Prima di procedere
verso il futuro, tuttavia, sentivo impellente la volontà di dare un giudizio su
alcuni uomini che mi erano stati accanto e avevano condiviso la mia
visione. Uno di questi era Lord Northampton.
Mentre scrivevo Filosofia della Massoneria nel 1986, compresi che la
Gran Loggia Unita d’Inghilterra era la stella polare della Massoneria
mondiale, fin dalle sue origini del Settecento.
In occasione della prima riunione di Gran Loggia nel 1991, conobbi il
Marchese Lord Northampton, che rappresentava l’Inghilterra. Alla cena di
gala che seguì l’evento, trovai seduto accanto a me Pamela, sua moglie. Era
una donna affascinante. Parlammo della vita, della Massoneria e di
questioni personali. Nacque una sincera amicizia.
Nell’autunno successivo, mentre ero a Torino, ricevetti una sua
telefonata mediante cui m’invitava, anche a nome di Spenny (nomignolo di
Lord Spencer), nel loro Castello di Wynyates. Decidemmo che sarei andato
a trovarli in gennaio, dopo il loro ritorno da un periodo di vacanza.
Mi diedero le istruzioni per raggiungerli nella loro dimora e iniziò uno
dei periodi più interessanti della mia vita. Il castello era stato costruito nel
XV° secolo e presentava caratteristiche architettoniche diverse dalla
maggior parte dei castelli inglesi. Le pareti esterne erano formate da
mattoni di un rosso scuro su cui si arrampicavano cespugli di rose rosse e
bianche. Non era maestoso ma emanava romanticismo e mistero. Era
circondato da un parco secolare dove erano disseminati graziosi laghetti.
Non lontano, si ergeva una Cappella dalle forme assai strane. Quando la
visitai, Spenny mi disse che, secondo un’antica leggenda, aveva ospitato il
Santo Graal. Mi fu assegnata una camera destinata agli ospiti di riguardo.
Non era grande ma coinvolgeva emotivamente. Soprattutto il letto a
baldacchino, formato da possenti colonne di antica quercia. Di fronte, verso
la finestra, era un tavolino del XVII° secolo su cui era appoggiata una statua
del Buddha, circondata da lumini che emanavano fumo e odori sacri.
La giornata era vissuta secondo un rituale che si rinnovava sempre:
colazione rigorosamente all’inglese, un pranzo frugale, una cena che
chiamava a raccolta visioni mistiche e di freddo intelletto. Tra la colazione e
il pranzo, in una saletta attigua allo studio, si svolgevano le riflessioni sulla
Massoneria, la Fondazione Dignity e varia umanità. Dopo il pranzo era
d’obbligo l’ora del riposo. Ci si ritrovava sul calare della sera, per gustare
l’aperitivo che anticipava una cena ricca di gustose pietanze. A cena si
aggiungeva Lady Pamela. Eravamo sempre solo noi tre. Dopo, ci si
trasferiva in una sala austera dominata da un grande camino che emanava
luce e calore. Era il momento più importante e solenne di tutto il giorno.
Dopo esserci seduti su comode poltrone che sapevano d’antico, Spenny
scompariva per riemergere con una bottiglia di vino rosso francese
conservata nelle cantine da 70-80 anni. Il vino era versato in appositi
bicchieri e annusato. Quando si beveva, il palato era attraversato da un
fremito di piacere. E’ proprio in quel momento che la mente si apriva
completamente. Non più prudenza o ritegno ma solo verità. Eravamo uniti
nella verità e ciò ci esaltava. Il riposo notturno che seguiva era un pullulare
di visioni oniriche.
Nel castello, vi era una camera maestosa, detta dei re perché vi avevano
dormito Enrico VIII, Elisabetta I e Carlo I. Una leggenda diceva che chi vi
dorme non si sveglierà più. Spenny, sornione, mi chiese se volevo sfidare la
sorte. Lo feci ma la mattina fui svegliato dal maggiordomo che mi servì una
succulenta colazione di uova strapazzate e pancetta fritta.
Proprio in questo luogo magico si svolgevano incontri di alto livello,
come quelli che riguardavano la Fondazione svizzera Dignity o le vicende
della Massoneria. L’evento più eclatante fu la Celebrazione del 275° anno
della nascita della Massoneria a Londra il 24 giugno del 1717. Ancora oggi
sono orgoglioso di avervi partecipato. E’ stato indubbiamente l’evento
massonico più eclatante del secolo scorso, che ha visto la presenza di
14.000 delegati e 400 Gran Maestri provenienti da tutto il mondo. La
solenne cerimonia, presieduta dal Gran Maestro il Duca di Kent, si è svolta
sulla base del rituale Emulation, scandito con perfetta formalità. E’ proprio
a Wynyates che ci siamo ritrovati al termine della Cerimonia. L’euforia che
ancora brillava nei nostri occhi si fondeva con l’atmosfera magica della
dimora. Sul finire della sera, mentre la ragione cede il posto alla
meditazione, eravamo tutti consapevoli di aver partecipato a un evento
storico che sarebbe sempre rimasto vivo nella nostra memoria.
Lord Northampton aveva pienamente condiviso la mia decisione di
ritirarmi dal Grande Oriente d’Italia. Ne avevamo anche parlato nei nostri
incontri per la Fondazione Dignity. Lo tenevo sempre informato di ciò che
accadeva e ci prefiguravamo possibili scenari. Restava affascinato dal
freddo distacco con cui affrontavo gli eventi. Più volte mi diceva di essere
un leone.
Dopo la fondazione della Gran Loggia Regolare d’Italia, si prodigò per
favorire i miei rapporti con il Gran Segretario Higham. In seguito al ritiro
del loro riconoscimento al Grande Oriente d’Italia l’8 settembre del 1993,
mi fece capire che quella decisione, necessaria per consentire la nostra
richiesta del riconoscimento, era stata presa senza troppe difficoltà. Per
quanto riguardava il riconoscimento, tuttavia, non era in grado di dire
quando ci sarebbe stato dato. Probabilmente, avremmo dovuto attendere
anni. Questa prospettiva non mi piaceva perché ci avrebbe lasciato in un
limbo dove tutto poteva accadere. Ormai il dado era stato tratto e l’unica
cosa che avrei potuto fare sarebbe stata quella di andare avanti costi quel
che costi. A quel punto, mi rintanai nel mio studio e, in solitudine, giocai
tutte le carte per convincere Michael Higham a riconoscere la mia neonata
Gran Loggia. Sono stati mesi di grande tensione in cui gli eventi si
affastellavano e si contraddicevano, favorendo alternativamente la speranza
con la delusione. Ci stavamo avvicinando alla data fatidica dell’8 dicembre,
in cui la Comunicazione Trimestrale (è la denominazione della riunione
della Gran Loggia) avrebbe dovuto decidere a favore o contro il
riconoscimento. In quei giorni ero a Marsala in Sicilia. Verso sera, ricevetti
una telefonata da Higham, il quale mi informava che “non aveva brutte
notizie per me”. Ciò significava che, non volendo venir meno all’impegno
di non rivelare la decisione da poco adottata, egli ricorreva a
quell’espediente: non avere brutte notizie significava averne delle buone. In
questo modo, la tarda sera dell’8 dicembre ricevevo la tanto attesa notizia
sul riconoscimento. Era fatta. Lord Northampton fu il primo a congratularsi.
In quell’occasione, m’informò che aveva accettato con gioia e onore la sua
designazione a rappresentare la Gran Loggia Unita d’Inghilterra nella Gran
Loggia Regolare d’Italia.
Il riconoscimento inglese andava a coronare la Fondazione Dignity, che
sarebbe stata formalmente costituta poco più di un mese dopo, proprio in
Inghilterra nel Castello Ashby di Lord Northampton.
Seguì un periodo di grande splendore. La Gran Loggia Regolare d’Italia
otteneva i più prestigiosi e ambiti riconoscimenti e in Italia chiaramente
appariva come la vera Massoneria che avrebbe superato le vecchie e logore
Obbedienze.
Come ho già narrato, Lord Northampton, dopo la Gran Loggia di
Venezia, cominciò a cambiare atteggiamento verso di me. Il “marchese
mistico”, come lo chiamavano, era sceso sulla terra e voleva diventare Pro
Gran Maestro per aspirare al supremo Maglietto. Non poteva più
permettersi di scegliere uomini e cose secondo le assonanze elettive.
Doveva scontrarsi con la brutalità del compromesso. Non poteva più
dichiarare ai quattro venti l’amicizia per Giuliano Di Bernardo, poiché il
Gran Maestro italiano aveva, all’interno della stessa Gran Loggia Unita
d’Inghilterra, oppositori che lo ostacolavano, come la Loggia “Italia”
(composta ma massoni italiani che vivevano a Londra), che era rimasta
fedele al Grande Oriente d’Italia e spingeva per il suo riconoscimento. Lord
Northampton aveva perso la purezza che fin lì l’aveva caratterizzato. E’
vero che la nomina di Pro Gran Maestro proviene dall’alto ma è importante
avere anche il consenso dal basso. Quando gli chiedevano di chiarire i suoi
rapporti con Giuliano Di Bernardo, il suo atteggiamento esprimeva
incertezza. Non dando una risposta chiara e precisa, faceva intendere che
stava prendendo le distanze da lui. Mi arrivavano gli echi delle sue
affermazioni nei miei confronti, da cui evincevo con tristezza che ormai i
nostri rapporti si stavano deteriorando. Così siamo arrivati al nostro ultimo
incontro a Wynyates nell’autunno del 2001. Da quel giorno non l’ho più
visto. Fu nominato Pro Gran Maestro e iniziò importanti riforme all’interno
della Gran Loggia Unita d’Inghilterra. Qualche anno dopo si è dimesso ed è
scomparso dalla scena massonica.
Il mio ritiro, definitivo e irrevocabile, dalla Massoneria italiana e
straniera non era solo motivato dalla delusione, ma aveva anche profonde
ragioni oggettive che riguardavano i limiti della Massoneria attuale per
comprendere le sfide che provengono dalla società globale.
Il primo limite è la sua sovranità territoriale circoscritta alla nazione.
Esistono, infatti, solo Gran Logge nazionali. Dove ci sono le
Confederazioni (come quella del Nord America), la sovranità rimane
esclusiva delle singole Gran Logge.
Questo modello è stato impeccabile dalle origini del Settecento fino a
cinquant’anni fa. Poi ha avuto inizio la trasformazione più radicale del
mondo in cui viviamo ad opera della scienza e delle sue applicazioni
tecnologiche. In pochi decenni, i segreti dell’universo e della vita sono stati
svelati. La fisica teorica ha scoperto il “mattone primordiale” della materia,
mentre la teoria dell’evoluzione ha individuato i meccanismi mediante cui
la natura crea le specie viventi. La natura è stata mandata in soffitto e
l’uomo si è sostituito a essa. Il volo nello spazio e la decifrazione del
genoma umano sono solo alcuni aspetti delle scoperte scientifiche del
nostro tempo. Da esse discendono rilevanti applicazioni tecnologiche, che
hanno profondamente cambiato la nostra esistenza quotidiana. Si pensi, per
esempio, alla possibilità di viaggiare su tutto il pianeta in tempi brevi, ai
cellulari che ci consentono di comunicare con gli altri ovunque essi siano,
alla televisione che ci informa in tempi reali di eventi che accadono in tutte
le regioni della pianeta.
Alle origini di tutto ciò vi è la “globalizzazione”. Molti vedono in essa
la causa di molti mali che affliggono oggi l’umanità e auspicano il ritorno al
passato. Non è così. Più la scienza va avanti con le sue scoperte, più la
globalizzazione diventa una realtà. Per eliminare la globalizzazione, si
dovrebbe arrestare la ricerca scientifica. E’ ciò possibile?
In un mondo sempre più globalizzato, la Massoneria tradizionale,
circoscritta al territorio nazionale, non ha più ragione di essere. Le sfide che
la società globale impone non possono più trovare soluzione all’interno dei
singoli Stati, ma richiedono una visione più ampia che coinvolge strategie
internazionali. Se la Massoneria vuole essere alla pari con i tempi e
partecipare al miglioramento dell’umanità, deve diventare internazionale.
Comprendo le difficoltà inerenti a tale trasformazione, ma non vi sono
alternative: o la Massoneria si rinnova o si estingue.
La Massoneria tradizionale è caratterizzata dalla mancanza di
universalità. Per essere veramente universale, la Massoneria non deve
escludere nessuno. La sua storia, però, mostra l’esclusione di importanti
componenti della società come le donne. E’ vero che, nei secoli scorsi, la
donna era intesa come “animale da riproduzione”, ma oggi, con la sua
emancipazione, essa è protagonista delle vicende sociali. Lo aveva già
capito Platone, quando affermava che non vedeva differenze nella natura
dell’uomo e della donna per quanto riguarda lo svolgimento delle attività
sociali. L’esclusione della donna dalla Massoneria significa oggi privarsi di
una componente essenziale nello svolgimento delle attività massoniche
nella società E’ così che si vogliono vincere le sfide della scienza?
Nella Massoneria, vi sono altre importanti esclusioni. La Massoneria
inglese, per esempio, dichiara che il massone deve avere una fede religiosa.
Ciò significa che gli atei ne sono esclusi. Per coerenza, si dovrebbe
escludere la maggior parte degli scienziati che non credono in una divinità.
D’altra parte, alcune Massonerie europee escludono coloro che hanno,
invece, una fede religiosa, dichiarando così il contrario della Massoneria
inglese. Vi sono, infine, altre Massonerie che ammettono le donne ma sono
considerate irregolari. La confusione regna sovrana. Per realizzare la vera
universalità, è necessario che le diverse Massonerie rivedano e modifichino
le loro dottrine. E’ ciò possibile?
Lo specifico della Massoneria è dato dal suo fondamento esoterico e
iniziatico. Ciò significa che essa si differenzia da tutte le altre concezioni
della vita e dell’uomo proprio perché ha prescelto e privilegiato tale
fondamento, come ho spiegato in Filosofia della Massoneria e della
tradizione iniziatica (Marsilio, 2016). Se tale specifico, che definisce la
natura della Massoneria, viene a mancare, la Massoneria non è più
Massoneria.
La Massoneria ha ancora il fondamento esoterico? Con questa domanda,
si entra nel cuore del problema. La mancanza di internazionalità e di
universalità riguarda aspetti della vita associativa della Massoneria che
possiamo definire “profani”. La Massoneria, tuttavia, non è soltanto una
società profana. Il fondamento esoterico ne è lo specifico. “Profano” ed
“esoterico” devono essere coniugati, dando però la priorità al secondo. Il
fondamento esoterico è ancora prioritario nella Massoneria odierna?
Le Massonerie oggi esistenti, da un punto di vista formale, agiscono nel
rispetto delle regole esoteriche: i massoni si riuniscono nel Tempio,
indossano grembiuli e gioielli, recitano rituali, iniziano, passano ed elevano
i candidati ai gradi superiori. All’apparenza, tutto sembra perfetto. Ma non
è così.
La verità è che tutto ciò è svuotato di ogni significato autenticamente
esoterico. La ritualità, in tutte le sue manifestazioni, è oggi espressione di
atti ripetitivi inconsapevoli: coloro i quali li compiono non ne conoscono il
significato. Nascono così profonde contraddizioni e anomalie. Si pensi, in
particolare, alla mia elezione alla Gran Maestranza del Grande Oriente
d’Italia. Il “ballottaggio” tra me e Tiberi è avvenuto all’interno del Tempio
consacrato. In quel luogo, tuttavia, si stavano consumando accordi di ogni
tipo per la conquista del potere. Tutto era profano. Perché allora farlo nella
sacralità del Tempio? Perché mescolarlo con la ritualità? La risposta è
semplice: perché nessuno dei presenti aveva compreso il fondamento
iniziatico della Massoneria. Come possono essere massoni? La verità è che
non lo sono.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la rinascita della Massoneria in Italia
è stata favorita da massoni degli Stati Uniti, i quali hanno importato la
concezione “democratica” della Massoneria e l’hanno imposta. Peggio di
così la Massoneria in Italia non poteva rinascere. Della gloriosa Massoneria
che esisteva prima, dalle origini all’avvento del fascismo, non resta ormai
più nulla. E’ proprio qui che nasce la “contro-iniziazione” della Massoneria,
la quale, negli anni successivi, si accentua e rende possibile la Loggia P2.
Il fondamento esoterico, specifico della Massoneria, trova espressione
nelle Cerimonie di Iniziazione, Passaggio ed Elevazione, che sono scandite
dal Rituale. Il Rituale, perciò, è essenziale nelle fasi del “perfezionamento”
del massone. Quale Rituale?
E’ subito da precisare che non esiste un Rituale unico, valido per tutte le
Massonerie del mondo. Si può dire che, fra i pochi Rituali importanti,
quello che assume maggior rilevanza è il Rituale Emulation, in uso nella
Gran Loggia Unita d’Inghilterra e nelle Massonerie da essa riconosciute.
Tale Rituale, tuttavia, è stato tratto dalla Bibbia. Si può dire, in definitiva,
che presenta le stesse caratteristiche religiose della Bibbia. Quindi, è un
rituale religioso, come giustamente sostengono i Padri della Chiesa
Cattolica.
Il Rituale Emulation, inoltre, è in netto contrasto con la “Dichiarazione”,
emanata il 21 giugno 1985 dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra, intitolata
Massoneria e religione, in cui si afferma, senza alcun equivoco, che la
Massoneria non è una religione. Se la Massoneria non è una religione,
allora perché usa un rituale religioso? La risposta è semplice: nella Gran
Loggia Unita d’Inghilterra non vi sono filosofi.
Pur mantenendo ferma la concezione massonica dell’uomo, l’andare
oltre la Massoneria attuale significa rinnovarla secondo le linee qui
proposte. E’ esattamente ciò che io ho fatto con la fondazione
dell’”Accademia degli Illuminati” e dell’”Ordine Dignity”.
La visione di una società umana universale e armonica, che inutilmente
avevo cercato di attuare nel Grande Oriente d’Italia e nella Gran Loggia
Regolare d’Italia, era ancora lì, in attesa di entrare nella storia umana. Con
quali sembianze?
Cominciai a passare in rassegna le diverse società esoteriche che si
erano realizzate nel percorso millenario dell’umanità, per trovare il
“vestito” storico da dare alla mia concezione della vita e dell’uomo. La mia
attenzione fu attratta dall’Ordine degli Illuminati. Gli Illuminati
esprimevano la vera universalità poiché consideravano l’uomo per le sue
qualità innate, a prescindere dal sesso, colore della pelle, lingua, religione e
cultura. La decisione era presa: avrei ”risvegliato” gli Illuminati, in Italia e
nel mondo,. Ero legittimato a farlo, poiché ero stato Gran Maestro di una
Massoneria regolare che mi aveva conferito l’autorità iniziatica.
Quale nome dargli? Il termine “Ordine” mi lasciava perplesso a causa
dell’inflazione che ne era stata fatta. Dopo attenta analisi, scelsi il termine
“Accademia” anche per mettere in evidenza il carattere elitario degli
Illuminati. Allo stato attuale, tuttavia, privilegio il termine “Ordine”, che è
più appropriato.
L’Ordine degli Illuminati, nel risvegliare gli Illuminati di tutto il mondo,
dovrà tener conto delle difficoltà e dei limiti in cui incorre oggi la
Massoneria, almeno per evitarli. In primo luogo, dovrà ripristinare il
corretto rapporto tradizionale tra il fondamento iniziatico e il fondamento
profano. Se la degenerazione della Massoneria ha avuto, come principale
conseguenza, il rovesciamento della piramide profana, l’Ordine degli
Illuminati dovrà rovesciare la piramide rovesciata, rimettendola nella giusta
posizione. Da ciò segue che, anche nel fondamento profano, il potere dovrà
discendere dall’alto verso il basso.
Caratteristica comune dell’Ordine degli Illuminati e della Massoneria è
la conoscenza che i suoi adepti devono avere riguardo ai principi, la
dottrina, l’esoterismo, il simbolismo, la storia, i progetti. In Massoneria,
purtroppo, sono stati ammessi uomini che non avevano tale conoscenza.
Questa è un’altra importante ragione della sua degenerazione.
Gli Illuminati, in tutte le loro rigenerazioni, devono presentare
caratteristiche comuni.
La prima caratteristica è l’universalità. Sono Illuminati esseri umani che
hanno la luce nella loro coscienza, a prescindere da specificazioni come il
sesso, il colore della pelle, la religione, la lingua e la cultura. Sono loro, e
soltanto loro, che formeranno l’Ordine Internazionale degli Illuminati. Il
loro ambito di competenza sarà il mondo. I loro progetti riguarderanno il
pianeta Terra.
La seconda caratteristica è la saggezza. Gli Illuminati sono saggi,
poiché, seguendo la via del perfezionamento iniziatico, hanno raggiunto i
livelli più alti della conoscenza umana. Essi sono simili ai filosofi della
Repubblica di Platone, che governano il bene pubblico con saggezza e
giustizia.
La terza caratteristica è l’autorità. La conoscenza e la saggezza
conferiscono all’uomo l’autorità di governare. Coloro i quali esercitano tale
autorità devono essere carismatici e lungimiranti e devono avere il Progetto
per condurre l’umanità verso il Fine che le darà benessere e felicità
La quarta caratteristica è il potere. L’esercizio dell’autorità implica il
potere necessario per la realizzazione del Progetto. Solo il potere, esercitato
con saggezza, garantisce il successo alle imprese umane.
La quinta caratteristica è l’Uno Illuminato. Quando il processo di
globalizzazione sarà compiuto, si porrà il problema del governo
dell’umanità. Si dovrà scegliere, allora, tra le forme possibili di governo. In
particolare, tra il governo della maggioranza (democrazia) e il governo
dell’Uno. Nel presente, vi è la tendenza, favorita dall’Occidente, a
estendere la democrazia, ritenuta la miglior forma di governo, in tutte le
regioni del pianeta. Non mancano, tuttavia, degenerazioni e conseguenze
negative, che ragionevolmente fanno dubitare che nel futuro possa essere la
democrazia a governare il mondo. L’alternativa è la tirannia (o monarchia o
dittatura). La tirannia, tuttavia, evoca guerre mondiali disastrose che hanno
caratterizzato il XX° secolo, dovute a tiranni come Hitler e Stalin. A buon
ragione, l’umanità cerca di dimenticare quel periodo oscuro della sua storia.
Si può comprendere, perciò, la reazione negativa al governo dell’Uno. Per
guidare il futuro dell’umanità, tuttavia, bisogna ricercare, razionalmente e
non emotivamente, il miglior governo possibile. L’Uno, di cui qui si parla,
non è un’emulazione di Hitler o Stalin, ma l’espressione della Comunità
degli Illuminati che governa il mondo con saggezza. E’ proprio questa
Comunità che sceglierà al suo interno l’Uno che dovrà governare il mondo.
L’Uno riunirà in sé il massimo di conoscenza e saggezza che gli
indicheranno la via maestra per condurre l’umanità verso il benessere e la
felicità.
Con questa visione ho risvegliato gli Illuminati, prima in Italia e poi in
altri paesi. La registrazione dell’Atto costitutivo porta la data del 1° agosto
2002. La prima sede è stata a Roma, al numero 33 di Piazza di Spagna.
Il risveglio degli Illuminati ha una vasta eco in Italia e nel mondo
occidentale. Il Vaticano sembra esserne interessato. Mi viene proposto di
accogliere tra i suoi adepti monsignor Giorgio Eldarov, nato a Zorniza
(Bulgaria) il 27 febbraio 1926. Eldarov, uomo di acuto ingegno e profondo
conoscitore della natura umana, era stato incaricato da papa Giovanni Paolo
II di seguire la “pista bulgara” per il suo attentato in piazza San Pietro.
Come attento studioso, egli aveva scoperto notizie inedite sul periodo
trascorso da monsignor Roncalli in Bulgaria come Nunzio apostolico, prima
di diventare papa Giovanni XXIII. Dopo averlo conosciuto personalmente,
l’ho accolto con gioia negli Illuminati. Quando l’11 luglio 2002, presso lo
studio del notaio Giovanni Pocaterra in Roma, è stata legalmente formata
“L’Accademia degli Illuminati”, monsignor Eladrov era tra i Soci
Fondatori.
Nel 2006, ricevo tramite Eldarov l’invito a un incontro nella Segreteria
di Stato della Santa Sede. La mattina del 18 novembre, alle 10,20, ho
varcato Porta S. Anna e ho avuto accesso alla Citta del Vaticano. Sono stato
condotto in un salotto al quarto piano e mi è stato chiesto di attendere.
Mentre aspettavo riflettevo sulle vie inusitate della vita. Non avrei mai
pensato che un giorno mi sarei trovato nella Segreteria di Stato del Vaticano
a conversare con un prelato che ancora non conoscevo. Quando ero ancora
assorto in questi pensieri, si apre la porta e mi trovo di fronte un uomo
sorridente che si presenta come monsignor Pietro Parolin, Sotto-segretario
agli Esteri. Per un attimo, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo
compreso che tra di noi esisteva una profonda intesa sul modo di concepire
la vita e l’uomo. L’incontro si è protratto per circa un’ora. Quando ci siamo
lasciati, avevamo entrambi la certezza che avremmo operato per il
benessere morale e materiale dell’umanità. Nel 2009, è stato inviato da
Benedetto XVI in Venezuela come Nunzio apostolico. Qui è nato un
rapporto di amicizia con il cardinale Bergoglio, che lo ha voluto accanto a
sé come Segretario di Stato, dopo la sua elezione a pontefice col nome di
Francesco. La Chiesa Cattolica, come tutte le altre istituzioni secolari, deve
affrontare oggi immense difficoltà per riaffermare la sua dottrina teologica e
il proprio ruolo nella società. Io sono convinto che, se il cardinale Pietro
Parolin fosse eletto papa, avrebbe il carisma e le conoscenze necessarie per
ridare alla Chiesa cattolica l’antico splendore e un posto preminente nella
società globale del futuro.
L’Ordine degli Illuminati, nella sua storia secolare, ha ideato progetti
per il miglioramento materiale e morale dell’umanità. La realizzazione di
tali progetti ha richiesto il coinvolgimento di altri esseri umani che hanno la
conoscenza diretta e concreta degli innumerevoli livelli che compongono la
società. Sono loro che hanno le competenze necessarie per realizzare i
progetti concepiti dagli Illuminati. Denominerò “speculativi” gli Illuminati
che ideano progetti e “operativi” gli Illuminati che li realizzano nella
società.
Per evitare fraintendimenti, ho riunito gli Illuminati operativi in un
Ordine che ho denominato “Dignity”, il cui scopo è la difesa della dignità
dell’uomo. Come qui appare evidente, ho ripreso la visione che sottende
alla “Fondazione Dignity” in Svizzera di cui ho già narrato.
Dignity è un Ordine esoterico internazionale che si può rappresentare
come una piramide al cui vertice è il Gran Maestro. Fondatore e Gran
Maestro di “Dignity” è Giuliano Di Bernardo.
Scopo istituzionale dell’Ordine è la difesa della dignità umana, ossia
della condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dalle sue qualità
intrinseche e dalla sua stessa natura. La nozione di “dignità”, perciò,
inerisce all’uomo in quanto tale ed esprime una caratteristica universale,
che si ritrova in tutti gli uomini, senza distinzione di sesso, età, colore della
pelle, religione, lingua e cultura. Essa, quindi, è un elemento costitutivo
dell’uomo, nel senso che, se l’uomo perde la propria dignità, allora non è
più uomo.
Proprio perché la dignità è un dato insopprimibile dell’uomo in quanto
espressione della sua natura, essa si ritrova in tutte le concezioni dell’uomo,
da quelle religiose a quelle laiche. Tuttavia, nel mondo in cui viviamo, la
dignità è disprezzata e umiliata. Molti uomini e donne sono costretti a
vivere senza dignità. E’ per questa ragione che l’umanità sta perdendo i
valori ideali che l’hanno sempre sorretta. Anche la fede in dio si sta
spegnendo e l’umanità sembra perdersi nelle nebbie del materialismo e
dell’utilitarismo. Poiché la nozione di “dignità” è universale, la sua portata
è illimitata.
Un Ordine che si propone la difesa della dignità dell’uomo deve
scegliere gli ambiti che sono primari, considerando le particolari condizioni
storiche e contingenti in cui versa l’umanità. Nel mondo in cui viviamo, la
difesa della dignità umana significa, principalmente, la difesa delle
minoranze etniche, della donna, dei deboli e dei perseguitati.
Dopo una fase di preparazione, l’Ordine Dignity è nato a Trento il 6
giugno 2011, con la registrazione dell’Associazione “Dignity. Ordine per la
difesa della dignità dell’uomo”.
Poiché Dignity è un Ordine internazionale, ho costituito in Austria, in
conformità alla legge austriaca, l’Associazione Internazionale di Dignity,
registrata il 4 luglio 2012, con sede legale a Vienna. Il suo compito è quello
di governare gli Ordini nazionali. Dignity è nato in Italia e si sta
diffondendo in altri paesi del mondo.
Con gli Ordini degli Illuminati e di Dignity, sto procedendo verso il
futuro. La mia esperienza massonica appartiene ormai al passato. Se mi
volgo indietro, per dare un ultimo sguardo, vedo le rovine di una delle più
nobili società che, per alcuni secoli, ha guidato il destino dei popoli. Per
quanto riguarda l’Italia, vedo Gran Maestri che modificano le Costituzioni
per farsi rieleggere. Altri che provano, per fortuna inutilmente, a farsi
eleggere a vita. Come nel mondo profano, essi non vogliono lasciare il
Trono di Re Salomone per mantenere i privilegi materiali. Sono proprio
loro che guidano la contro-iniziazione nella Massoneria. Che tristezza!
Vedo anche, in tutte le Massonerie, uomini degni che hanno la
conoscenza esoterica ma sono disorientati. Per loro, e solo per loro, la porta
dei miei Ordini è sempre aperta.
Vi ho narrato la mia vita in Massoneria. E’ stata una narrazione
completa? Non del tutto. Vi sono ancora segreti in un cassetto della mia
memoria che aprirò quando riterrò che vi siano le condizioni opportune per
farlo.
Guardo ora la mia vita con distacco anche se il mio impegno è ancora
attivo. Rivedo gli anni della mia adolescenza in cui il disagio esistenziale
avrebbe potuto annichilirmi. Ma in silenzio, con una fede incrollabile nel
mio intelletto, ho reagito alle avversità della vita. La filosofia mi aveva
insegnato come conoscere me stesso ed esercitare la volontà. Quante volte,
tuttavia, di notte contemplando le stelle, ho dubitato di me stesso e della
possibilità di pervenire al futuro già delineato nei miei sogni.
Sono partito da una visione ideale della Massoneria. Vi è sempre uno
scarto tra l’ideale e il reale. Quanto è stato grande questo scarto nelle mie
esperienze massoniche? Ho avuto momenti di gloria in cui mi sembrava di
toccare il cielo. Le decisioni razionali e il coinvolgimento emotivo
procedevano di pari passi. La mia vita massonica è stata scandita da questi
momenti irripetibili. A questa purezza, tuttavia, corrispondeva a volte una
vita quotidiana dove si materializzavano le ombre più oscure della natura
umana.
Lo scarto tra l’ideale e il reale segue la variabilità della storia umana: a
volte è grande, altre volte è piccolo. Agli esordi della mia vita massonica, lo
scarto è stato minimo, in gran parte dovuto al presunto anti-comunismo e
alla mancanza di una visione unitaria della Massoneria, che Gamberini
aveva individuato e cercato di porvi rimedio. E’ con la Gran Maestranza di
Salvini che lo scarto si approfondisce e genera la P2 di Gelli. Armando
Corona avrebbe dovuto riportare il Grande Oriente d’Italia nell’alveo della
tradizione iniziatica ma, con la costituzione di Logge coperte e il traffico di
armi, ha allontanato sempre di più il reale massonico dalla sua controparte
ideale, con la conseguenza che sono iniziate le infiltrazioni delle
organizzazioni criminali. La Massoneria oggi non è più Massoneria e si
assiste alla contro-iniziazione.
Fin dalla mia adolescenza, ho visto nella libertà di pensiero il valore più
alto della vita umana. Per intenderla correttamente, è necessario distinguere,
tra i numerosi significati di “libertà”, quello che la costituisce: “l’uomo è
uomo se, e solo se, è libero. Se l’uomo non fosse libero, allora non sarebbe
più uomo”. Noi possiamo incatenare un uomo a una roccia e privarlo di
tutte le libertà materiali, ma non possiamo impedirgli di pensare la libertà
concependo mondi in cui egli si sente libero. Se volessimo privarlo anche
della possibilità di pensare la libertà, allora dovremmo ucciderlo. Sull’altare
della libertà di pensiero, uomini illuminati hanno sacrificato le miserie della
vita.
Io vi ho sacrificato il mercimonio dei compromessi, rinunciando ai
riconoscimenti delle Gran Logge estere, dimettendomi dal Supremo
Consiglio di Rito Scozzese, dal Grande Oriente d’Italia e dalla Gran Loggia
Regolare d’Italia, respingendo i privilegi materiali che Gelli mi offriva. Se
avessi, viceversa, sacrificato la libertà di pensiero, forse oggi sarei un uomo
ricco e potente. Con questo non voglio dire che non sono interessato al
potere. Sono profondamente convinto che solo il potere consente di
realizzare le più importanti imprese umane. Ma il potere di cui io parlo è
quello morale, che è la fonte originaria di tutte le forme di potere. E’
incondizionato e prescinde dalla contingenza della storia. Per averlo e
mantenerlo, tuttavia, è necessario non contaminarlo. E’ dalla sua
contaminazione che hanno origine le false concezioni della vita.
L’uomo sceglie consapevolmente la propria concezione della vita e la fa
assurgere a guida della sua condotta pratica. Anche in questo la Massoneria
si differenzia dalle altre concezioni della vita, come quelle religiose. Nelle
antropologie religiose, l’uomo non sceglie. Si diventa cristiano non
scegliendo ma ricevendo il battesimo. Allo stesso modo, l’uomo non nasce
massone ma lo diventa con l’iniziazione. La differenza tra cristiano e
massone sta proprio nella consapevolezza della scelta, che esiste in
Massoneria ma non nel cristianesimo. In entrambi i casi, tuttavia, si
acquisisce una dimensione che non si aveva prima e che esisterà per tutta la
vita. Il cristiano, divenuto adulto, potrà rifiutare il cristianesimo ma, proprio
in virtù del battesimo, può accedere sempre alla grazia divina. Anche il
massone può rifiutare la Massoneria ma sarà sempre un massone.
Consapevolmente e liberamente, al compimento del 21° anno, ho
ricevuto l’iniziazione massonica. Anche se ora mi sono allontanato dalla
Massoneria, intesa come società di uomini e non come antropologia
filosofica, io sono e sarò massone fino alla fine dei miei giorni.
Non posso esimermi da un giudizio conclusivo: se io potessi tornare
indietro nel tempo, rifarei la stessa scelta a favore della Massoneria?
Nonostante lo scarto sempre più abissale tra l’ideale e il reale massonico, la
mia risposta è senza alcun dubbio positiva. La Massoneria ha scandito la
mia vita e mi ha dato felicità.
Nel futuro dell’umanità, quando esisterà una sola società su tutto il
pianeta, vi sarà ancora la Massoneria? Come risulta dall’indagine da me
svolta nel volume Il futuro di Homo sapiens, l’antropologia che guiderà
l’umanità sarà fondata su una filosofia pratica, concernente l’uomo, la sua
natura e i suoi fini. La Massoneria, come è pensata e attuata oggi, non vi
sarà. Dalle sue ceneri, nascerà l’araba fenice di una nuova società esoterica.
Ma questa è un’altra storia.

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