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I Tredici Volti Del Piacere by Helena Vittoria
I Tredici Volti Del Piacere by Helena Vittoria
di
Helena Vittoria
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Simonelli electronic Book
INDICE
SENZA SCHEMI
CAVALCATA A SORPRESA
POTERE FELINO
AMORE GELOSO
INASPETTATA VISITA
…E FU SUBITO AMORE
RITRATTO A PELLE
LA QUERCIA SACRA
IL NOME DELL’AMANTE
FRESCA DI STAMPA
GALEOTTA BIBLIOTECA
COLOPHON
I TREDICI VOLTI DEL PIACERE
SENZA SCHEMI
1.
CAVALCATA A SORPRESA
Campagna romana, metà ottobre 1871
POTERE FELINO
Marlowe Park, Surrey, Inghilterra 1815
Lucas era stupito. Aveva avuto tantissime donne, ma nessuna gli aveva
mai fatto quell’effetto. Nessuna l’aveva mai fatto sentire completo come
Melody. Avevano finito di fare l’amore da un’oretta, poi entrambi si erano
addormentati soddisfatti.
Ora lui era sveglio e i suoi occhi azzurri si posarono sulla compagna.
Melody aveva un corpo stupendo, magro ma con le curve nei posti giusti.
Conosceva Melody da quando era una bambina pestifera che seguiva il
fratello e lui ovunque, con le trecce al vento mentre correva per
raggiungerli.
Tornato in Inghilterra da uno dei suoi viaggi diplomatici fatto per conto
del governo di Sua Maestà la regina Vittoria, Lucas era stato invitato a un
ricevimento in campagna, nella tenuta del suo migliore amico, il fratello di
Melody.
Erano passati cinque anni dall'ultima volta che aveva visto la ragazza.
L'aveva lasciata con le trecce per ritrovarla oramai donna, pronta per
debuttare e trovare marito. Infatti, quel ricevimento in campagna serviva
proprio per prepararla ad affrontare la buona società, una giungla spietata.
Nella settimana appena passata, Melody aveva civettato spudoratamente
con lui, ignorando gli improperi del fratello maggiore e della madre che, la
invitavano ad essere meno impudica e a tenere un contegno più appropriato.
Ma Melody era sempre stata una ribelle pronta ad ottenere quello che
voleva.
Lucas aveva cercato di trattarla come la bambina che era stata, ma con
quel décolleté ben sviluppato, era stato difficile.
Aveva provato veramente a rimanere indifferente nei confronti della
sorella del suo migliore amico, ma non ce l'aveva fatta. E quella notte ne era
stata testimone.
Lucas aveva voglia di passarle le dita tra quei lunghi capelli castani.
Aveva voglia di baciarle le labbra, il viso, per poi scendere alla gola,
svegliarla e ricominciare ad amarla.
Si passò le mani tra i corti capelli neri e alla fine si decise: si sporse su di
lei. Melody era girata su un fianco dandogli le spalle. Iniziò proprio da
quelle, baciandole le scapole, per poi risalire sulla nuca e, scansandole i
capelli, gliela baciò. La sentì rabbrividire, ma non si svegliò. Allora Lucas
iniziò a baciarle la spalla e a mordergliela e, sentendola gemere, con una
scia di baci, arrivò alla guancia sino al punto dove, quando sorrideva, le
compariva la fossetta che tanto gli piaceva.
Melody si girò verso di lui e aprì i suoi stupendi occhioni castani, dove
lui leggeva tutte le sue emozioni, e in quel momento esprimevano sorpresa.
A Melody le pareva di sognare. I baci di Lucas la destarono e all’inizio
non si ricordò cosa fosse successo. Poi tutto le tornò alla mente: aveva fatto
l’amore con lui, finalmente! E non era stato un sogno: il leggero fastidio in
mezzo alle gambe glielo confermava!
- Salve, bella addormentata - la salutò Lucas.
Quegli occhi azzurri la scrutavano e Melody aveva l’impressione che le
leggesse dentro.
- Salve – rispose, stiracchiandosi. – Che ore sono?
Lucas sentì una parte del suo corpo risvegliarsi mentre vedeva quei seni
invitanti alzarsi.
Vedendo che non le rispondeva, Melody portò lo sguardo su di lui e vide
che guardava il suo petto.
Si coprì immediatamente. Anche se avevano fatto l’amore, si sentiva
ancora timida sotto il suo sguardo.
- Perché ti copri? – le chiese, cercando di toglierle il lenzuolo.
- Meglio che me ne torni nella mia stanza, prima che i domestici si
sveglino - disse Melody e si alzò.
Lucas fu veloce nell’alzarsi e mettersi di fronte a lei. Melody era
rallentata dal lenzuolo che non voleva lasciare mentre lui non si vergognava
di starle davanti nudo ed eccitato.
Melody lo guardò con ammirazione e non sembrava intenzionata a
distogliere lo sguardo.
- Ti piace quello che vedi? – le chiese Lucas, con un sorriso malizioso.
Lei deglutì ma non distolse lo sguardo.
- Melody, è ancora notte fonda – continuò Lucas, intenzionato a farla
restare un altro po’. – Ci vorranno ancora un paio di ore prima che i
domestici si sveglino.
Si avvicinò un po’ di più e le tolse il lenzuolo dalle mani. Lei lo lasciò
fare, troppo intenta ad ammirarlo. Lucas era un bell’uomo: era grosso, ma
quello che aveva non era grasso, bensì muscoli. Era più alto di lei,
nonostante Melody fosse alta per essere una donna.
Lucas aveva il potere di farla sentire protetta e amata. Era sempre stato
così, fin da bambina. Ma non doveva illudersi. Melody non aveva
intenzione di sposarsi, ma voleva comunque conoscere la passione ed era
per questo motivo che gli aveva chiesto di darle lezioni di sesso, se così si
potevano chiamare, poche notti prima in biblioteca, quando si erano
incontrati per caso, entrambi con difficoltà a prendere sonno.
Lui all’inizio era stato molto titubante ma, dopo aver cercato di sedurlo
comparendo in camera sua in camicia da notte, era riuscita a convincerlo.
Lucas non sembrava pentito, né tantomeno lei.
Era stata una notte davvero speciale dove la fanciulla aveva imparato
molte cose, tra cui la passione.
- Non vorrei che mi vedessero – disse con poca convinzione.
Lucas le aveva tolto il lenzuolo e l’ammirò, eccitato.
- Non ti preoccupare – rispose con voce roca. – Tornerai in camera tua in
tempo.
Iniziò ad accarezzarle il capezzolo con l’indice e, vedendolo indurirsi, le
chiese: - Sei pronta per un’altra lezione? Oppure sei dolorante qui? – e le
portò l’altra mano tra le gambe, toccando il clitoride col pollice.
Melody trattenne il fiato, provando un piacere pari a quello di prima.
Sentì le ginocchia cedere e si appoggiò a Lucas. Lui la fece stendere sul
bordo del letto con le gambe che sporgevano fuori. Gliele prese e gliele
piegò, facendole poggiare i piedi sul bordo. Mise la testa tra le sue gambe e
la baciò nell’intimo, poi i baci lasciarono il posto alla lingua che salì tra le
profondità nascoste, mentre il pollice continuava il suo lavoro con il
clitoride.
Melody, all’intrusione della lingua, inarcò il bacino, portando la sua
femminilità più vicina alla bocca di Lucas. Lui la muoveva dentro e fuori,
come prima aveva fatto col suo membro e le leccava le labbra quando
usciva, per poi tornare dentro e muoverla senza fermarsi.
Melody non riusciva più a resistere: sentiva la tensione salire e con un
urlo raggiunse l’orgasmo.
Lucas allora si scansò e la guardò respirare a fatica. Anche lui aveva il
fiatone per quanto era eccitato.
- Questo è solo un altro dei tanti modi che esistono per provare piacere –
disse. – Vuoi scoprire gli altri?
Lei si alzò appoggiandosi sui gomiti e lo guardò.
- In quali altri modi si può provare piacere? – chiese, con la voce piena
di desiderio.
Lucas, a quella domanda, sentì il pene indurirsi di più. La fece mettere
seduta e le disse: - Io ho provato piacere dandolo a te. Vuoi provare anche
tu?
- Che devo fare? – gli chiese, entusiasta di conoscere tutte le facce della
passione.
- Ricambiando lo stesso piacere che ti ho dato – rispose. Se Melody si
sentì offesa per la richiesta del rapporto orale, non lo diede affatto a vedere.
Anzi, allungò il braccio verso il suo membro, lo afferrò e piano lo portò alle
labbra. Lucas trattenne il fiato e, quando lei chiuse la bocca racchiudendolo
nel suo calore umido, lo tirò fuori, stringendo i denti per non arrivare subito.
Voleva godere di quel momento il più a lungo possibile.
Melody non aveva mai pensato che il sesso comprendesse quello che
stava facendo, oppure quello che le aveva fatto lui prima. Pensava che si
limitasse all’uomo che penetrava la donna, come accadeva con gli animali.
E invece ora scopriva un nuovo mondo, il mondo della passione, del
desiderio, del piacere. Il membro di Lucas era liscio al tatto, ma anche duro
e aveva un sapore piacevole. Lo succhiò per assaggiarlo meglio ma,
sentendo che lui gemeva, si fermò e gli chiese: - Tutto bene?
Lui la guardò e annuì, quindi lei fece per continuare, ma lui la fermò.
- No, basta – disse.
- Perché? – chiese Melody, credendo di aver fatto qualcosa di sbagliato.
- Perché altrimenti non ti resisto e le tue lezioni finirebbero subito – le
rispose sorridendole e baciandola.
Lucas si allontanò e sparì nella stanza accanto, per poi tornare con una
boccetta in mano.
- Girati – le disse.
- Cos’è? – gli chiese, guardinga.
- Un olio – le rispose. – Serve a fare i massaggi … ed altro.
Era quel “altro” che non la convinceva, ma si stese sulla pancia,
appoggiando la testa sulle braccia congiunte. Lucas si mise sopra di lei a
cavalcioni e le versò alcune gocce sulla schiena.
- È freddo – si lamentò Melody. – Ma ha un buon odore.
Lucas non disse nulla e iniziò a massaggiarla: prima le spalle, poi le
scapole, che prima aveva baciato molto volentieri. Poi scese più giù, fino
all’osso sacro. Lo massaggiò con mani dolci ed esperte, facendola rilassare
sempre più. Però, quando lui le allargò il sedere con le mani e le mise
qualche goccia in mezzo, Melody si irrigidì, cercando di girarsi, ma Lucas
glielo impedì.
- Rilassati – le disse.
- Ma cosa vuoi fare?
- Farti conoscere un nuovo lato della passione – le rispose.
- Che nuovo lato?
Lui sospirò, rassegnato, capendo che, fino a quando non le avesse
spiegato cosa voleva farle, Melody non si sarebbe mai rilassata come lui
voleva. Quindi si spostò, mettendosi su un lato del letto, e Melody si girò.
- Hai mai sentito parlare di Sodoma e Gomorra ? – le chiese.
Melody fece no con la testa e Lucas gemette. Le cose teoriche non gli
erano mai piaciute: preferiva la pratica!
La fece mettere di fianco e le disse: - Erano città situate sulla riva destra
del fiume Giordano, vicino al Mar Morto che nella Genesi furono
paragonate al giardino dell’Eden. Gli abitanti erano gente dai facili costumi
e avevano piacere anche praticando sesso che oggi i benpensanti
definiscono "contro natura". In poche parole quando il mio membro invece
di entrare di qua – e le toccò la sua femminilità, - entra da quest'altro lato –
e spostò la mano, portandola in mezzo al sedere.
- E farà male? – chiese Melody.
Era un po’ impaurita e Lucas decise di dirle la verità.
- Forse un pochino, all’inizio, soprattutto se non si prepara bene
l’entrata. Ecco perché l’olio.
Lei rimase un po’ in silenzio, poi chiese: - Se ti chiederò di fermarti, lo
farai?
Lucas la guardò ad occhi spalancati dicendole: - Certo che sì! Non farei
mai una cosa che non ti da piacere.
Melody annuì e si rimise di nuovo a pancia in sotto. Non a tutte le donne
piaceva il sesso anale, Lucas lo sapeva benissimo. Molte sue amanti si
erano rifiutate per paura del dolore mentre, questa ragazza gli stava
concedendo tutta la sua fiducia.
Lucas tornò a cavalcioni su di lei e riprese a massaggiarle le spalle, per
farla rilassare e nel frattempo le sussurrava all’orecchio parole dolci.
Arrivato di nuovo al sedere, la sentì di nuovo irrigidirsi un poco e quindi
le sussurrò: - Shh, vedrai che ti piacerà, fidati di me, piccola.
Melody si rilassò di nuovo e allora lui le alzò il bacino, chiedendole di
piegare le ginocchia e si mise lui stesso in ginocchio. Lei lo fece e Lucas
iniziò a baciarle il sedere, prima una natica, poi l’altra. Si mise un po’ di
olio sulle mani e glielo passò sul buco posteriore, infilando poi un dito. La
sentì irrigidirsi di nuovo, ma non gli chiese di smettere.
Le aveva infilato il dito, pensava intanto Melody. Era fastidioso, ma era
un fastidio lieve. Lucas quella notte le aveva dato tanto, e sopportare un po’
per fargli piacere era accettabile. Sentì Lucas togliere il dito e far colare un
altro po’ di olio. Chissà quando, al posto del dito, infilerà il suo membro
che, ovviamente, era molto più grande!
Melody mosse il sedere: si sentiva un po’ a disagio in quella posizione.
Lucas si sporse a baciarla sul collo e a morderle il lobo dell’orecchio,
facendola rabbrividire dal piacere.
- Sei pronta? – le chiese. No, non lo era, ma disse di sì lo stesso. Lucas si
alzò, prese un po’ di olio e se lo passò sul pene turgido. Poi le portò una
mano davanti e le infilò l’indice nella vagina, facendola bagnare e intanto
col pollice le stuzzicò il clitoride.
Con l’altra mano, invece, portò il pene ben oliato all’entrata dell’ano e lo
fece entrare adagio, facendo dentro e fuori e per un po’.
Finora Melody lo trovava piacevole, anche grazie alle dita che stavano
giocando con la sua vagina e il clitoride.
Poi all’improvviso lo sentì entrare tutto e Melody si irrigidì dal dolore,
ma non gli chiese di smettere.
Lucas, capendo dal suo irrigidimento che provava dolore, si fermò,
aspettando la sua richiesta di smettere, ma quando vide che non arrivava,
iniziò a muoversi, facendo seguire al dito nella vagina lo stesso ritmo del
pene.
Melody non sentiva più tanto dolore, sostituito dal piacere provocato dal
dito che faceva dentro e fuori. Sentiva la tensione crescere, come prima
quando Lucas giocò con la lingua. Sentiva anche Lucas godere e questo
aumentò il suo piacere.
Lucas stava godendo tantissimo. Sentiva un’affinità speciale con quella
ragazza coraggiosa. Aveva tutte le intenzioni di farla godere, quindi
aumentò il ritmo delle dita sulla sua vagina, facendola urlare di gioia.
Melody raggiunse l’orgasmo e se non fosse stato per il braccio di Lucas
che la stringeva, sarebbe cascata sul letto.
Lucas aumentò anche il ritmo del pene e dopo un po’ raggiunse anche lui
il piacere, inondandola del suo seme.
Poi la fece stendere bene sul letto, mettendosi accanto a lei. Si
addormentarono entrambi immediatamente e quando Melody si svegliò, il
mattino dopo, soddisfatta e riposata, si ritrovò nel suo letto.
Si guardò attorno, confusa, pensando di aver sognato ma, accanto al
cuscino, vide una rosa rossa e allora capì che era stato tutto reale: aveva
scoperto cosa fosse la passione e, cosa che la preoccupava, le piaceva
molto. Ma, la cosa che più temeva, era la convinzione che con un altro
uomo, non le sarebbe piaciuto affatto.
I TREDICI VOLTI DEL PIACERE
AMORE GELOSO
India, settembre 1823, città di Calcutta, provincia di Malabar
Era arrabbiato.
Anzi, dire arrabbiato era un eufemismo. Era furioso!
Marc spinse Louise nella carrozza, per poi salire dietro di lei. Non gli
importava se le aveva fatto male. Come si permetteva, Louise, di fare la
gatta morta con quel porco di un libertino di Lord Henry? Davanti a tutti,
poi!
Louise era la sua amante, l’unica donna che lo faceva sentire in pace con
sé stesso e con il mondo intero. L’unica donna che lo facesse sentire
completo. Ma, purtroppo, anche l’unica donna che non poteva sposare!
L'aveva incontrata in India, nel 1822, un anno prima. Lui era appena
arrivato, inviato in quel posto pieno di selvaggi dal padre, un visconte molto
influente a Londra.
Marc, a sentire il nobiluomo, stava infangando il nome di famiglia con le
sue bravate. Quindi, senza alcun preavviso, lo aveva imbarcato sulla prima
nave diretta nelle Indie e affidato allo zio, generale del British Army, inviato
a calmare i bollenti spiriti degli abitanti di quella colonia.
Aveva incontrato Louise in un afoso pomeriggio, mentre passeggiava
con la sua cameriera. La ragazza aveva ricevuto in eredità dal nonno
paterno, di stanza anche lui in India con lo zio di Marc, un'abitazione nella
città di Kerala. Louise, in disaccordo con la nuova moglie del padre, aveva
chiesto di raggiungere il nonno in quella terra lontana, quattro anni prima
che l'anziano uomo morisse, nel 1821, a causa della febbre.
Tra i due era scattata subito la scintilla e avevano iniziato una relazione,
di cui tutta la città ne era venuta a conoscenza. Anche suo zio, e quindi, di
conseguenza, anche il visconte. Ma da Londra non poteva fare nulla se non
richiamarlo a casa, cosa che non aveva la minima intenzione di fare.
Marc si passò la mano tra i folti capelli biondi, resistendo alla tentazione
di prenderla in braccio e marchiarla come sua. Avrebbe aspettato di arrivare
a casa, dove l’avrebbe trascinata in camera e le avrebbe fatto capire a chi
apparteneva. A lui!
Louise si sistemò una ciocca ramata sfuggita dall’acconciatura mentre
Marc la trascinava fuori dalla sontuosa dimora dove si svolgeva il
ricevimento, per poi spingerla in carrozza. Ma come si permetteva?
Lo vedeva che era furioso, ma anche la sua calma era rimasta al ballo.
- Ma che ti è preso? - gli domandò, puntando gli occhi verdi su di lui.
Marc, che non la guardava, spostò lo sguardo su di lei. I suoi occhi grigi
sprizzavano rabbia, ma non solo. Il sentimento che vi leggeva era anche un
altro: possessività!
Beh, aveva capito male quel Lord Antipatico che era il suo amante! Lei
non apparteneva a nessuno!
Lui non rispose, continuando a guardarla, allora Louise emise uno sbuffo
che, di signorile non aveva proprio nulla.
- Non mi hai dato nemmeno il tempo di salutare la nostra ospite! - gli
rinfacciò.
Marc non credeva alle proprie orecchie. Possibile che quella benedetta
ragazza non avesse capito il motivo della sua rabbia? Fece per aprire bocca,
ma in quel momento la carrozza si arrestò davanti alla dimora di Louise.
Non aspettò che il valletto aprisse la portiera, ma lo fece lui stesso. Poi
saltò giù e prese Louise in braccio, portandola dentro casa.
- Marc! - esclamò lei. - Cosa penserebbero i vicini se ti vedessero
portarmi in casa, di corsa, in braccio?
Marc fece un sorriso ironico e rispose: - Che ti so per scopare, mia cara
Lou!
Louise arrossì. Nonostante avessero una relazione da un anno, non si era
ancora abituata al suo linguaggio.
Poi vedeva che Marc era in collera e, non voleva essere presa mentre lui
fosse stato di quell’umore. Gli uomini possono diventare pericolosi quando
sono in collera.
- Non mi sembra sia il caso che stasera facciamo quel che vuoi, Marc... -
disse lei esitante mentre, il maggiordomo apriva la porta. - Non mi sembri
dell’umore adatto, anche se non capisco il perché tu ti sia infuriato.
Marc non rispose e iniziò a salire le scale che portavano alle stanze da
letto sotto lo sguardo impassibile del maggiordomo. Louise era sicura che
entro il giorno seguente, tutta la servitù avrebbe parlato di un furioso Lord
Marc che portava la sua amante di sopra.
Arrivati davanti alla porta della stanza padronale, Marc la aprì senza
posare Louise a terra, e la ragazza si domandò come avesse fatto. Poi la
richiuse con un calcio, si avvicinò al letto e ve la scaraventò sopra a peso
morto.
- Ahi! - esclamò lei. Il materasso era morbido, ma l’impatto fu comunque
una sorpresa.
- Vuoi sapere cosa mi è preso? - chiese Marc, andando a chiudere la
porta a chiave che poi si mise in tasca.
Si voltò verso di lei e, quello che vide lo fece eccitare. Louise stava
distesa sul letto appoggiata ai gomiti, con le gonne intrecciate alle gambe
che scoprivano le caviglie e i rossi capelli ribelli che avevano disertato
l’acconciatura. Con due falcate fu davanti a lei, la fece alzare e le strinse le
braccia per non darle nessuna possibilità di fuggire.
- Hai fatto la gatta morta con Lord Henry per tutta la sera! - disse Marc,
furioso. - E non negarlo!
Louise lo guardò esterrefatta. Lei che faceva la gatta morta con
qualcuno? Ma se fino a pochi mesi fa non sapeva nemmeno cosa fosse il
sesso!
- Beh, ti stai sbagliando, milord! - disse. - Prima di conoscere te, non
sapevo nemmeno come dare piacere ad un uomo!
Marc sapeva che, quando la loro relazione era iniziata, lei era innocente,
ma nell’arco di questi mesi tutta la sua passionalità era venuta fuori,
ammaliando molti uomini.
- Lord Henry è un libertino! - le disse. - E tu devi stare attenta, perché
quelli come lui non ci pensano su due volte a spingerti in una stanza buia e
scoparti!
- Beh, - contrattaccò lei. - Siete della stessa pasta, allora! Altrimenti mi
avresti sposato, a quest’ora!
Quel colpo andò a fondo, dato che Marc lasciò subito la presa sulle sue
braccia, facendola cascare all’indietro, sul letto.
Ripresosi, Marc si inchinò su di lei, come un avvoltoio sulla sua preda.
Fronte contro fronte le disse: - Anche se non siamo sposati, ricordati che tu
sei mia! - e la baciò, non con dolcezza, ma con rabbia che, pian piano,
sfociò nella passione pura.
Louise cercò di resistergli, ma dopo un po’ cedette. Marc interruppe il
bacio e si staccò da lei che, tremando, si alzò per raggiungere la toletta e
togliersi i gioielli, cercando di riprendere il controllo delle sue emozioni.
Anche Marc stava combattendo una battaglia simile con sé stesso. Gli ci
volle poco per riprendere fiato, quindi si girò verso di lei e la vide alle prese
col gancio della collana che non riusciva ad aprire. Si avvicinò per aiutarla e
notò che le tremavano le mani. Gliele scansò e le tolse la collana, per poi
passargliela. Allora lui le sussurrò all’orecchio: - Non voglio più vederti
flirtare con uomini come Lord Henry, Lou. Non sopporto che un altro uomo
ti possa accarezzare i seni come faccio io. Che possa giocare con i tuoi
capezzoli o con la fonte della tua giovinezza, gustandola, per poi portarti al
raggiungimento del piacere.
Louise trattenne il fiato a quelle parole. Adorava quando Marc metteva
in pratica tutto ciò, ma era ancora arrabbiata per il modo in cui l’aveva
trattata, quindi parlò senza riflettere.
- Che ti interessa se qualcun altro lo fa? Per te sono solo un corpo su cui
soddisfare le tue voglie! Che ti importa se anche altri lo usassero?
Capì immediatamente che doveva riflettere prima di dire quelle cose,
perché Marc le strinse di nuovo le braccia in una morsa ferrea.
Marc, sentendo quelle parole vide rosso. Non ci pensò due volte e, con la
forza la fece piegare sul tavolino della toletta con la testa che sfiorava lo
specchio.
- Non ti azzardare mai più - esclamò, scandendo bene le parole nel suo
orecchio. - A dire cose del genere - e le infilò una mano sotto le gonne. Non
portava i mutandoni e le dita di Marc trovarono la strada libera. - Solo le
mie dita possono entrare dentro di te - disse, e infilò un dito lì, facendola
gemere.
- Solo io posso farti godere - e ne infilò subito un altro.
- Solo io posso farti urlare di piacere - e col pollice le toccò il clitoride
facendola gemere.
Marc si rialzò, togliendo anche la mano da sotto le sue gonne. La fece
rialzare, la girò e le disse: - Solo io posso denudarti - e le strappò il corpetto
dell’abito, facendola sussultare.
Louise era indignata: quello era il suo vestito preferito! Ma non riusciva
a dire una parola, ammaliata dal suo sguardo pieno di passione e lussuria.
Le abbassò il vestito, strappandolo ancora quando non voleva scendere.
Poi le tolse il busto, tirando violentemente i lacci dalle asole e buttandolo
lontano, facendola rimanere in camiciola, calze e scarpe. La camiciola fece
la stessa fine del vestito, raggiungendo il busto a terra, lontano.
Poi Marc la prese in braccio e la portò sul letto, dove le tolse le scarpe e
le calze. Le aprì le gambe, abbassò il viso verso il suo basso ventre, la gustò
un attimo con la lingua e poi le disse: - Solo io posso fare questo facendoti
impazzire, tanto da chiedermi di più - e la leccò, prima sul clitoride, poi
sulle labbra, che allargò e infilò la lingua all'interno, facendola sussultare.
Louise strinse i pugni sulle lenzuola per trattenersi dall’accarezzargli i
biondi capelli. Marc si fermò e, soffiando sul suo fuoco, le disse: - Solo io
posso fare tutto questo, e altro ancora. Nessun altro. Perché tu sei mia, e mia
soltanto!
Vedendo che Louise non rispondeva, le pizzicò il clitoride tra pollice e
indice e le chiese: - Capito?!?
Louise annuì, non riuscendo a parlare, ma Marc non si accontentò di
quel cenno della testa e quindi le chiese di nuovo, stringendo di più il
clitoride, facendola urlare: - Hai capito, sì o no?
Louise cercò di trovare le parole e rispose: - Sì, ho capito.
Marc, ancora non compiaciuto, le domandò ancora: - Di chi sei, tu? -
allontanandosi da lei, aspettando la sua risposta.
- Ti prego, torna qui, vieni e prendimi - disse lei, in preda al desiderio.
Voleva il piacere, non le interessava altro, in quel momento.
Marc iniziò a spogliarsi pian piano, guardandola, aspettando una sua
risposta. Rimasto nudo, vedendo che lei ancora non le rispondeva, si
avvicinò di nuovo al letto e, passandole il pollice prima su un capezzolo,
poi sull’altro, le ripeté la domanda: - Di chi sei, tu, Lou? - e le strizzò il
capezzolo tra pollice e indice, come prima aveva fatto col clitoride. -
Rispondimi, maledizione!
Louise, capendo che il sentirsi dire che era sua era un bisogno per Marc,
come il bere e il mangiare, rispose: - Sono tua, Marc, solo tua.
- Sì, sei mia, Lou, non te lo dimenticare.
Le labbra di Marc andarono ai suoi seni, succhiandoli, affamato di lei,
mentre con la mano scendeva di nuovo tra le gambe, penetrandola con due
dita.
Louise si contorceva dal piacere, ma voleva ricambiare quelle attenzioni,
quindi portò una mano alla ricerca del suo membro, per poterlo accarezzare.
Marc, accorgendosi di ciò, smise di succhiare e chiese: - Cosa cerchi,
mia bella Lou? Stai cercando forse il mio maschietto? Cosa vorresti farci?
Toccarlo? Accarezzarlo? assaporarlo?
Louise infine lo trovò. Lo afferrò, accarezzandolo, stringendolo,
facendogli scappare un gemito di piacere.
Marc smise di stuzzicare con le dita il cuore della sua femminilità,
discostò la sua mano dalla sua virilità, si distese, la prese tra le braccia e la
fece distendere sopra di lui, con la testa rivolta verso il suo membro, in
modo che le potesse dargli piacere con la lingua, mentre lui faceva
altrettanto con lei.
Louise capì cosa le chiese, quindi abbassò la testa e iniziò col leccarlo,
poi lo assaggiò per intero, succhiandolo mentre lui, con la lingua entrava
dentro di lei provocandole immensa goduria.
Marc, capendo che se continuava così avrebbe esaurito la potenza
anzitempo, la fece distendere sul letto. Diede un ultimo colpo di lingua, si
inginocchiò tra le sue gambe larghe e, penetrandola pian piano le chiese: -
Ti piace quando uso la lingua, eh? Non lo negare. Se te lo facesse un altro
non ti piacerebbe. Perché sei mia! Solo mia! - e affondò tutto in lei con un
colpo solo, facendola sussultare.
- Senti come entro in te, nel tuo ventre umido? - le chiese, uscendo un
poco.
Louise protestò per quell’uscita ma, Marc l’accontentò subito
affondando dentro di lei con un colpo solo.
- La tua vagina non riceverà mai un altro cazzo così bene come accade
con il mio!
Marc riprese ad uscire facendo rimanere dentro solo il glande e le disse: -
Senti quanto è duro? - e lo mandò di nuovo dentro facendoglielo sentire
tutto.
- Ti piace, vero? - le chiese, uscendo e rientrando di nuovo. - Lo so che ti
piace, Lou.
Marc portò una mano tra i loro corpi uniti e prese ad accarezzarle il
clitoride con movimenti circolari del dito, facendole inarcare il bacino.
Vide che Louise stava per giungere all'orgasmo quindi, si fermò
scatenando i suoi gemiti di protesta.
Marc si alzò, fece alzare anche lei, la portò alla toletta, le fece
appoggiare le mani, le fece inclinare un po’ il busto e allargare le gambe, e
la penetrò di nuovo con una spinta forte e decisa, facendole balzare il seno
in avanti.
- Guarda lo specchio mia cara Lou - le disse. - Guarda come ci
completiamo io e te. Con nessun altro potrai sentirti così, con nessuno! - e
la penetrò sempre più forte e più veloce.
Louise guardò nello specchio e vide la propria faccia deformata dal
piacere, proprio come quella di Marc. Poi con lo sguardo scese verso il suo
seno vedendo che balzava in avanti ad ogni affondo, volendo, desiderando
che lui glielo toccasse.
Sembrò che Marc le leggesse nel pensiero perché staccò le mani dalla
sua vita portandone una al seno e una al pube, a stuzzicarle il clitoride.
Louise chiuse gli occhi ma, Marc le disse: - Guarda, non chiudere gli
occhi - e lei obbedì prontamente perché, nonostante quell’amplesso fosse
dettato dalla rabbia, l’affascinava. Quindi riportò lo sguardo sul suo seno,
con le dita di Marc che giocavano con i capezzoli, prima uno e poi l’altro,
stringendoli.
Poi lo sguardo scese al punto dove erano uniti e la vista di quel pene che
entrava e usciva la eccitò sempre più. Iniziò a dimenarsi col sedere, sempre
più vicina all’orgasmo, fino a quando non lo raggiunse, accovacciandosi
sulla toletta.
Allora Marc iniziò a spingere sempre più veloce, stringendole capezzolo
e clitoride e, con un’ultima spinta decisa, giunse anche lui al piacere
estremo.
Con le ultime forze la riportò sul letto, dove la depose con dolcezza, le si
mise accanto e coprì entrambi. L’abbracciò e respirò il suo dolce profumo,
mischiato all’odore del sesso.
L’aver fatto l’amore con lei l’aveva calmato, l’aveva svuotato di tutta la
rabbia che aveva e, ripensando a quella serata, Louise non aveva veramente
flirtato con Lord Henry. Era solo stata gentile con lui, come lo era stata con
molti altri uomini.
- Scusa - le disse, dopo un po’.
Louise alzò il viso e lo guardò, smarrita.
- Scusa per stasera, per averti trascinata via, per averti accusata di fare la
gatta morta, per...
Louise gli mise un dito sulle labbra e disse: - Accetto le scuse per come ti
sei comportato al ballo, per avermi accusato, ma non ti azzardare a scusarti
per come hai fatto l’amore con me.
- Perché? - chiese Marc. - Sono stato troppo rude.
- Mi è piaciuto - rispose Louise, arrossendo. - Ogni tanto è bello provare
cose nuove.
Quanto la amava! Marc lo capiva giorno dopo giorno e, decidendo di
mandare al diavolo tutti, le chiese: - Louise, mi vuoi sposare?
Lei lo guardò dubbiosa e, vedendolo serio, gli chiese a sua volta: - Ne sei
sicuro? In fondo sono solo una donna rovinata, che ha deciso di sfidare tutti
per la propria indipendenza. Che direbbe la buona società? Un conto è
prendermi come amante, un altro come moglie.
- Non mi importa della buona società, Lou - rispose. - Io ti amo e ho
capito che tu meriti di più, come lo meriteranno dei nostri futuri figli.
Quindi, dolce Lou, vuoi sposarmi?
Lei, commossa dal fatto che lui era pronto a snobbare, o a farsi snobbare,
dalla buona società, gli rispose: - Sì, lo voglio. Ti amo anche io, Marc!
Marc, felicissimo, la abbracciò più forte e le disse: - Non ti merito, ma
sono l’uomo più fortunato del mondo.
Louise sorrise ed entrambi si addormentarono non pensando alle
conseguenze del loro amore.
I TREDICI VOLTI DEL PIACERE
INASPETTATA VISITA
Venezia, giugno 2015
…E FU SUBITO AMORE
Castiglion della Pescaia, Grosseto, agosto 2013
Era un’afosa notte di mezz’agosto, era la notte delle stelle cadenti, era la
notte dei desideri inespressi e, Giorgia si trovava a passeggiare sul bordo
della piscina dell’albergo dove alloggiava con i suoi.
A sedici anni si considerava troppo grande per stare in vacanza con i
genitori, ma loro avevano insistito dicendole che la settimana successiva
avrebbe poi potuto partire con gli amici. E quindi Giorgia aveva ceduto. In
fondo amava i suoi genitori e non voleva dar loro alcun dispiacere.
E ora si trovava lì, ad ammirare le stelle in compagnia di una luna piena
e pallida che rischiarava il cielo con i suoi fiochi raggi.
Decise di sedersi a bordo piscina, si tolse le infradito e immerse i piedi
nell’acqua. Era calda e molto piacevole.
Si distese per scrutare meglio le stelle sperando di vederne una cadere. E
all’improvviso la vide per davvero.
Vorrei che un ragazzo mi amasse per quella che sono, e non perché i
miei genitori sono persone influenti, pensò chiudendo gli occhi mentre
esprimeva forte quel desiderio. E lo fece con piena convinzione perché
oramai credeva le fosse dovuto.
- Espresso il desiderio? – sentì chiedersi.
Giorgia si alzò di scatto e si girò verso quella voce che proveniva da un
giovane uomo arrivato il suo stesso giorno.
Il ragazzo, sulla trentina immaginò Giorgia, era alto, con corti capelli
biondi che brillavano sotto la luce della luna e gli occhi dello stesso verde
del boschetto adiacente all’albergo.
Da quel che rammentava Giorgia, era giunto insieme a un numeroso
gruppo di persone composto da giovani e anziani.
Ricordando che le aveva posto una domanda, Giorgia gli rispose: - Sì, e
tu?
Manuel guardò quella giovane ragazza che fino a pochi istanti prima era
assorta nei suoi pensieri, rilassata come se niente potesse distoglierla. Con i
piedi immersi nell’acqua, i lunghi capelli neri come la notte sparsi
tutt’intorno a sé e gli occhi rivolti al cielo alla ricerca di stelle cadenti. Fino
a quando poi l’aveva vista. La sua stella, e a quel punto li aveva spalancati
per la sorpresa e per la felicità poi, dopo un fulmineo sorriso, li aveva chiusi
un attimo giusto il tempo per esprimere l’agognato desiderio.
Manuel ancora non aveva capito di che colore fossero, perché non aveva
avuto l’occasione di ammirarli da vicino.
Quando era arrivato con la sua numerosa famiglia, riunitasi in
quell’albergo per festeggiare i cinquant’anni di matrimonio dei nonni
paterni, lei stava prendendo la chiave della stanza.
Era giunto in quell’hotel insieme ai propri genitori e dell’unica sorella di
suo padre con il marito e i suoi due figli, un maschio, Vittorio, e una
femmina, Sara, con rispettivi consorti e prole.
Lui era l’unico della famiglia a non essersi ancora impegnato anche se,
dai quindici anni in poi, aveva avuto innumerevoli avventure e storie
d'amore. E ora, a ventotto, si ritrovava ad invidiare i suoi cugini.
La ragazza lo guardava in attesa della risposta, con i piedi che
sguazzavano ancora nell’acqua.
Indossava dei jeans corti con una canottierina e una felpa a giubbino
aperta sopra.
Doveva essere un’adolescente, pensò Manuel. Era così giovane, così
innocente.
- Non ho bisogno di esprimere desideri – le rispose. – Lascio questo
privilegio ai romantici.
- E tu non lo sei? – gli chiese.
- Non più. – ribatté. Ed era vero... Lo era stato fino a cinque anni prima,
quando ebbe la più cocente delle delusioni d’amore: la sua fidanzata, che
avrebbe sposato da lì a un mese, la sua amata Martina, aveva deciso di
scappare con un uomo più ricco di lui.
Non che Manuel fosse povero, anzi… La sua era una famiglia di noti
medici e lui invece, giovane e promettente avvocato, capì troppo tardi che
quella donna l’aveva scelto solo per la sua posizione sociale.
- È un peccato che non sei più un romantico – gli replicò.
Giorgia guardava quel ragazzo, anzi quell’uomo, dispiaciuta per lui.
Come si faceva a vivere senza romanticismo? Ovviamente quelli erano
pensieri di un’adolescente, quale lei era, lo sapeva, ma non voleva diventare
una donna disillusa. Naturalmente sua madre le diceva sempre che un
giorno quei sogni adolescenziali, crescendo, sarebbero scomparsi e che
sarebbe diventata o una donna soddisfatta della propria vita, con una
famiglia e un lavoro che le piaceva, oppure una donna frustrata, cinica,
incapace di sognare ancora.
A sua madre era toccato il primo destino: i suoi genitori erano felici,
nonostante qualche volta litigassero.
- Posso unirmi a te? – le chiese l’uomo. – L’acqua sembra molto
invitante.
Giorgia gli indicò il posto accanto a sé, lui si tolse le scarpe da tennis e si
mise seduto sul bordo, immergendo anch’egli i piedi nell’acqua.
Indossava un paio di pantaloni neri lunghi fino al ginocchio e una polo
bianca, che brillava alla luce della luna.
Le braccia erano muscolose, senza un pelo, così come era muscoloso il
torace, messo in risalto dalla maglia stretta.
Le gambe, per niente esili come quelle dei suoi compagni di classe che
mettevano in mostra durante le ore di educazione fisica, avevano un fine
strato di peluria.
- Ah, che bello – sospirò lui.
Giorgia sentì un lungo brivido percorrerle la schiena, come se una mano
invisibile avesse iniziato ad accarezzargliela.
- Comunque, bella fanciulla, il mio nome è Manuel – e le porse la mano.
- Giorgia – rispose lei, stringendogliela.
Aveva una presa forte e calda, che le fece correre un altro brivido, lungo
il braccio questa volta.
Giorgia, pensò Manuel. Quel nome le si addiceva.
- E quanti anni hai, Giorgia? – le chiese.
- Lo sai che non si chiede l’età ad una ragazza? – rispose sorridendogli.
Giorgia aveva un bel sorriso, un sorriso che avrebbe potuto far cadere ai
suoi piedi parecchi uomini. Quel sorriso le arrivava agli occhi chiari, celesti
come l’acqua della piscina quando era baciata dal sole.
- Uhm – fece finta di pensarci su, Manuel. – Sì, avevo sentito una cosa
del genere, ma non seguo molto le regole – e le ricambiò il sorriso.
- Le regole bisogna seguirle – disse lei. – O almeno è ciò che ci ripetono
sempre i professori.
Quindi frequenta ancora la scuola…, pensò Manuel.
Lei dovette capire che con quella frase gli aveva svelato molti dubbi che
aveva, dato che arrossì.
- Che vi dicono i professori? – chiese Manuel per metterla un po’ a
disagio. Gli piaceva vederla impacciata, con le guance rosse, al chiaro di
luna.
- Beh… sì, i professori... – rispose lei, balbettando un pochino.
- Quindi sei una studentessa... – le disse. – Universitaria?
Manuel vide che Giorgia arrossiva ancora di più. L’aveva capito che non
era una studentessa universitaria, non dimostrava nemmeno diciassette anni.
- Ecco, no...però ora non scappare – gli rispose.
Manuel si stupì di quelle parole.
- Perché dovrei scappare, scusa? – le chiese. – Mi trovo bene a parlare
con te, qualsiasi sia la tua età.
- Oh, grazie. – Giorgia arrossì ancora di più, ma si rilassò. Quanto poteva
arrossire una persona, prima di prendere fuoco?, si domandò Manuel.
- Ebbene, ho sedici anni. E sono una liceale. A settembre inizierò il
quarto anno. Non sono poi così piccola, no? Almeno non tanto da farti
scappare, giusto?
Era adorabile, pensava Manuel. Sedici anni, che bella età!
- E tu, invece? – gli chiese.
- Ahimè, io sono più vecchiotto, già laureato in giurisprudenza da
qualche anno.
- Voglio sapere la tua età, non il tuo curriculum – disse Giorgia, ridendo.
Aveva una risata armoniosa, una di quelle che non si sarebbe mai
stancato di ascoltare.
- Uhm, era proprio questo che stavo facendo, vero?
Lei fece di sì con la testa e lo guardò con gli occhi che brillavano,
divertiti.
- Ventotto anni, povero me.
- Eh già, un povero vecchietto decrepito – lo canzonò, dandogli una
pacca sulla schiena.
Giorgia lo sentì irrigidirsi e quindi tolse la mano, sorpresa. Non le
sembrava il tipo che soffrisse al contatto umano. Si portò le mani in grembo
e abbassò lo sguardo, mortificata.
Manuel, appena Giorgia gli ebbe poggiato una mano sulla spalla, aveva
sentito una parte del suo corpo diventare dura, cosa che non gli era mai
successa con un solo tocco della mano di una ragazza, sulla spalla per
giunta. E quindi, di conseguenza, si era irrigidito, mortificandola.
Decise di rompere quel silenzio chiedendole da dove provenisse, anche
se dall’accento gli sembrava che fosse romana.
- Di dove sei? – le chiese, quindi, cogliendola di sorpresa.
- Oh, romana. Non si sente? Anche tu, se non erro.
Lui sorrise e le rispose: - Aho, a bella! – ed entrambi scoppiarono a
ridere, ritrovando la complicità di prima.
Però Manuel si sentiva ancora rigido, accaldato, tanto che si sarebbe
tuffato in piscina. Forse...
- Ti scandalizzeresti, se mi tuffassi in piscina? – le chiese.
Giorgia guardò Manuel, arrossendo di nuovo. Quello era sempre stato un
suo grandissimo difetto, arrossire per un nonnulla.
Manuel dovette notarlo, perché le disse: - Se ti scandalizzi, non mi tuffo.
- Oh no, non mi scandalizzo affatto.
Intanto si tiene i pantaloncini, pensò.
- Ok. – disse, alzandosi con un sorriso. Si tolse la polo, mettendo in
mostra il suo torace muscoloso, con poca peluria, come per le gambe.
A Giorgia venne voglia di accarezzarglielo, ma si trattenne, stringendosi
le mani in grembo.
Invece di tuffarsi, Manuel iniziò a togliersi anche i pantaloni.
Vabbè, rimarrà in mutande o boxer, no? Sarà come vedere un uomo
qualsiasi in costume, pensò allora Giorgia. Ma quello non era un uomo
comune, le faceva battere il cuore come nemmeno il suo unico ragazzo era
riuscito a fare. Ma in quel momento non voleva pensare a Luca,
quell’imbecille!
Tolti i pantaloni, Manuel rimase in mutande, che gli mettevano in risalto
gli intimi attributi, come li chiamava Luca. Solo che quelli di Manuel erano
molto più evoluti!
A quel punto lui si girò verso di lei, sorrise, le diede le spalle, si tolse
anche gli slip e si tuffò, lasciando Giorgia a bocca aperta. Aveva un sedere
bellissimo, almeno per quello che aveva intravisto prima che si tuffasse.
- Ah, è stupenda! – esclamò Manuel, salendo in superficie con la testa. -
Vuoi provare? – le chiese.
Giorgia fece di no con la testa, troppo stupita per parlare.
In fondo, prima di Manuel, aveva già visto un ragazzo nudo, o quasi:
senza maglietta e con i jeans e boxer abbassati, che la penetrava facendole
provare dolore, per poi abbandonarla il giorno dopo.
Giorgia scosse la testa per allontanare quei pensieri. Comunque non
c’era paragone tra un sedicenne mingherlino e un ventottenne in piena
forma, come era quell’uomo che stava nuotando verso di lei.
Manuel le si avvicinò, consapevole di averla imbarazzata e sconvolta.
- Tutto ok? – le chiese, mettendole le mani sulle cosce.
La vide arrossire, di nuovo. Ma quella ragazza arrossiva per tutto?
- Certo, perché?
Stava sulla difensiva, Manuel lo capiva. In fondo non si stava
comportando da bravo ragazzo.
- Sei arrossita...di nuovo – e le sorrise.
- Sì, lo so – rispose Giorgia. – È uno dei miei molti difetti.
- E quali sarebbero gli altri? Sono curioso – e lo era veramente.
- Sono impulsiva, istintiva – incominciò ad elencare lei. – Spesso penso
ad alta voce.
- Oh, interessante – disse Manuel, iniziando a giocherellare con il bordo
dei suoi pantaloncini. – E a cosa stai pensando, ora?
- Non te lo vengo di sicuro a dire a te! – gli rispose.
- E perché no? Magari perché sono pensieri sconvenienti? Erotici forse?
Vedendola arrossire di più, capì di aver indovinato. La faccenda si faceva
sempre più interessante.
- Certo che no! – rispose lei. – In fondo non sei il primo ragazzo che
vedo nudo.
Detto ciò, Giorgia si portò una mano alla bocca, ma le parole ormai le
erano uscite.
-Ah, no? – le chiese Manuel, prendendole la mano che aveva lasciato in
grembo. La tirò e la fece cadere in acqua.
Giorgia urlò per lo spavento o per la sorpresa e, tornando in superficie
con la testa, iniziò a tossire.
- Oh, oh, piano – le disse Manuel, dandole leggere pacche sulla schiena,
mentre lei si riprendeva, appoggiata al bordo della piscina.
- Passato? – le chiese, una volta che si fu calmata la tosse.
Giorgia fece di sì con la testa, poi si girò furibonda verso di lui tentando
di schiaffeggiarlo e apostrofandolo con termini che poco si addicevano a
una bella e signorile giovinetta.
Tentando di schivare i colpi e al contempo bloccarle le mani avide delle
sue guance, Manuel attraverso l’acqua vedeva la canottierina sotto la felpa
che le modellava perfettamente il seno. Dio santo, non aveva niente, sotto!
La bocca gli si seccò e il membro gli si indurì di nuovo.
Giorgia passato il momento d’ira dopo che lui ridendo le aveva chiesto
scusa, si tolse la felpa, posandola dove prima era seduta.
- Intanto ormai non mi serve più – disse seccata girandosi verso di lui.
Dio, ma lo sapeva che effetto faceva?
Vedendo che Manuel non parlava, Giorgia lo guardò in faccia e vide lo
stesso sguardo che aveva Luca quando la portò in camera sua, in intimità.
Solo che in quello di Manuel c’era qualcosa di più: l’esperienza!
Desiderio ed esperienza...che mix!
- Eh no, non ti serve più – disse Manuel, continuando a guardarle il
petto.
Giorgia se ne accorse e gli chiese irritata: - Cosa guardi? – e seguì il suo
sguardo.
Vide la canottierina che le si era appiccicata ai seni e i capezzoli turgidi
che si notavano.
Con un piccolo urlo, si coprì il seno con le braccia, rimproverandolo.
– Potevi avvertirmi! – gli disse.
- E perdermi lo spettacolo? – le sorrise. – Come mai non porti il
reggiseno?
- Mi da fastidio, in estate! Quando posso, evito di metterlo.
- Interessante – e le si avvicinò.
Manuel era eccitatissimo. Dio, ma che potere aveva quella ragazzina?
Era un uomo di ventotto anni, Cristo santo!
- Dato che hai visto altri maschi nudi, - le disse, iniziando a baciarle il
collo dopo averla intrappolata tra il bordo della piscina e il suo corpo. –
Altri maschi avranno visto il tuo.
- So-solo u-uno... – farfugliò Giorgia.
- Ah, solo uno? – le alitò sul collo, facendola rabbrividire. – E dimmi, ti
ha mai baciata qui? – e la baciò di nuovo in quel punto che a Giorgia faceva
venire i brividi.
- O qua? – e le baciò il lobo dell’orecchio, per poi morderlo e succhiarlo.
- No? – chiese lui, vedendo che Giorgia non rispondeva.
- E qua? – e scese a baciarle la gola, per poi passare più giù, dove lei
aveva ancora le braccia.
Gliele scansò vincendo la sua tenue e istintiva resistenza, la mise seduta
sul bordo della piscina, la raggiunse e, prendendola in braccio, la adagiò
sulla sdraio, dove poco prima aveva lasciato un paio di asciugamani in
previsione del tuffo che aveva intenzione di fare.
Iniziò subito a succhiarle un capezzolo attraverso la stoffa bagnata della
canottiera, facendole trattenere il fiato.
Oddio, ma cosa sta facendo?, pensava intanto Giorgia. Luca, quelle
cose, non le aveva mai fatte. Non le aveva mai fatto provare quelle
sensazioni così piacevoli, che la facevano bagnare tra le gambe.
- Neanche qua, ti ha baciata? – le chiese lui, alzando la testa dal suo
seno.
Giorgia fece di no con il capo, sperando che lui continuasse, ma Manuel
portò le mani sul bottone dei pantaloncini e glielo slacciò, per poi abbassare
la chiusura lampo.
Le mise una mano dentro gli slip, facendole battere forte il cuore.
- E qua, - le chiese, accarezzando la sua femminilità. – Ti ha mai
accarezzata, qua? Baciata?
Giorgia non si ricordava che Luca lo avesse fatto: l’unica cosa che si
ricordava era che le aveva alzato la gonna, tolto gli slip e penetrata.
Ebbe un brivido al solo ricordo e, vedendo che Manuel aspettava una
risposta, gli disse: - No.
- Oh beh, allora è stato un amante pessimo – le sussurrò, portando le
mani all’orlo della canottierina.
- Posso? – le chiese.
Giorgia alzò le braccia e Manuel gliela tolse, esponendo il suo bel seno
pieno alla luce lunare.
Giorgia si sentì un po’ esposta, quindi riportò le braccia a coprirsi il
petto, ma Manuel glielo impedì.
- No – le disse. – Non lo coprire. È bellissimo.
- Grazie – rispose Giorgia.
- Togliamo anche questi pantaloncini bagnati? – le chiese, afferrandoli
per la vita.
Giorgia fece di sì con la testa e Manuel glieli abbassò, chiedendole di
alzare un po’ il sedere.
Giorgia obbedì e anche i pantaloncini scomparvero, e rimase in slip.
Intanto portò lo sguardo sulla virilità di Manuel, grossa e pronta. Si
chiese se le avrebbe fatto male e lui dovette leggerle quella domanda in
volto, perché disse: - Non ti preoccupare, ti piacerà.
Giorgia gli sorrise e si fece togliere anche gli slip. Ora era nuda come lui,
esposta ai raggi della luna e al suo sguardo.
- Vuoi toccarmi? – le chiese Manuel.
- Dove?
- Dove vuoi – e le sorrise.
Timidamente, Giorgia gli portò le mani al collo, accarezzandoglielo pian
piano, per poi farle scendere sul petto dell’uomo, così diverso dal proprio.
Manuel gemette a quel tocco innocente. Di solito veniva toccato da
donne che avevano la sua stessa esperienza, ma il tocco della giovane
inesperta fu decisamente più bello.
Giorgia, incoraggiata da quel suono, continuò a farle scendere lungo il
ventre, con un tocco leggero, come quello di una farfalla.
- Va bene così? – gli chiese.
Manuel annuì, chiedendole di continuare, di essere più audace, se lo
avesse voluto, e le mani di Giorgia scesero fin sotto l’ombelico, fermandosi
a un soffio dal membro di Manuel.
Poi le sue mani scesero ancora di più fino ad accarezzarlo e poi
stringerlo. Era duro e liscio come una pietra levigata ma, a differenza di
essa, era caldo e vivo.
Giorgia si leccò le labbra secche: all’improvviso le venne voglia di
assaggiarlo.
- Che sapore ha? – gli chiese, curiosa.
- Provalo – la invitò lui, con voce roca. Dio, quella ragazza lo stava
estasiando.
Giorgia non se lo fece ripete due volte e con la lingua gli toccò il glande,
facendogli trattenere il respiro.
- Allora? – le chiese. – Che sapore ha?
- Non lo so ancora bene – e glielo assaporò tutto, impegnandosi a fondo
con tutta la bocca e facendolo urlare di piacere.
Giorgia capì, non sapeva come, che quello non fu un urlo di dolore e,
soddisfatta, continuò nell'opera.
Manuel aveva paura che sarebbe arrivato come un quindicenne se
Giorgia non avesse smesso subito, quindi le alzò la testa e le chiese: -
Assaggiato bene?
- Sì. È un misto tra dolce e salato. Mi piace – e fece per riabbassare la
testa, ma lui la fermò.
- Ora è il mio turno, di assaggiare – e la fece stendere sotto di sé.
Iniziò a baciarle le labbra, con tenerezza, per poi scendere alla gola,
succhiandole il collo.
Il respiro di Giorgia aumentò, facendo sollevare i seni con un ritmo
accelerato, portando tutta l’attenzione di Manuel su di loro.
Lui scese ancora con la bocca, passandole la lingua intorno a un
capezzolo. Giorgia gli infilò le dita tra i capelli corti e allargò le gambe,
come invitandolo a fare di più.
A Giorgia le piacque sentire l’aria fresca della notte che le accarezzava la
femminilità già bagnata, ma le piacque di più quando Manuel le posò una
mano sopra, accarezzandola, mentre con la lingua continuava a darle
piacere al capezzolo.
Giorgia inarcò i fianchi: voleva di più, ma Manuel non era ancora
propenso a concederglielo. Le succhiò il capezzolo tanto da farla urlare.
- Shh – le sussurrò sul seno umido. Giorgia si portò un pugno alla bocca
per soffocare altre urla di piacere. Manuel la stava facendo impazzire!
Lui passò a stuzzicarle l’altro capezzolo e le infilò un dito nella sua
intimità.
- Sei così stretta e calda – le disse.
Giorgia si contorse dal piacere. Ma ciò che provò in quel momento non
fu nulla rispetto alle sensazioni che percepì mentre Manuel, scendeva per
tutto il ventre con la lingua, per poi posarla là, dove prima aveva la mano.
- Dio santo – gemette Giorgia.
Non immaginava di poter provare tanto piacere.
- Dolce come il miele – disse Manuel, dopo un piccolo assaggio.
Le succhiò il clitoride e poi infilò la lingua nella cavità umida, mentre
Giorgia si sentiva innalzare al cielo per le sensazioni che provava. Non ce la
faceva più: dovette lasciarsi andare e sentì come se il suo corpo si
frantumasse in mille pezzettini. Pian piano tornò in sé e, aprendo gli occhi
che non seppe nemmeno di aver chiuso, vide Manuel di fronte a sé, che la
guardava, con il membro ancora duro e grosso e dietro di lui la volta celeste
a fargli da cornice.
- Che è successo? – gli chiese, con voce rauca.
- Hai raggiunto l’orgasmo, piccola – le rispose lui, baciandola. – Non ti
era mai successo?
Giorgia fece cenno di no e allora Manuel le disse: - Lo proverai di
nuovo, se me lo permetterai. E sarà ancora più bello di prima.
Giorgia annuì e lui le si mise di fronte, in ginocchio, allargandole ancora
di più le gambe e, pian piano, la penetrò. Stavolta Giorgia non sentì dolore,
ma solo piacere, un immenso piacere.
Manuel la prese per le braccia e la fece adagiare sulle sue ginocchia,
senza uscire dal suo corpo, mentre lei si aggrappava alle sue spalle, confusa.
- Non so che fare – gli confidò.
- Allora quell’altro era proprio un incapace – le sussurrò, baciandola. –
Fai ciò che ti senti.
E allora Giorgia iniziò a muoversi, prima goffa ed incerta ma, vedendo
che a lui piaceva quando lo faceva, acquistò sicurezza e i suoi movimenti
furono meno impacciati.
Manuel le strinse un seno, mentre succhiava l’altro e Giorgia aumentò
sempre di più il ritmo.
- Vieni per me, piccola – le sussurrò.
A quelle parole, Giorgia sentì di nuovo che l’orgasmo si avvicinava, per
poi raggiungerlo e accasciarsi su di lui.
Ma Manuel non aveva ancora finito: la fece distendere e la penetrò
velocemente, facendole raggiungere un altro orgasmo.
Catturò il suo urlo di piacere con un bacio, anche lui vicino alla vetta del
paradiso.
Dopo un’ultima spinta, uscì da quel corpo caldo e riversò il proprio seme
sul suo ventre, per poi stendersi accanto a lei, su quel misero lettino sdraio.
Dopo essersi ripreso, Manuel prese Giorgia in braccio e la portò a bordo
piscina, dove la ripulì.
Entrambi tornarono a distendersi sulla sdraio, coprendosi con gli
asciugamani, per poi crollare, sfiniti dal piacere.
All’alba Manuel si svegliò, solo e nudo, con l’asciugamano come unica
copertura. Giorgia e i suoi abiti erano scomparsi, ma lui era sicuro di non
essersela sognata.
A metà mattino ne ebbe la conferma, vedendola, dolce e serena, che
parlava con sua cugina, poco lontano da lui e Manuel era sicuro che quello
sarebbe stato solo l’inizio...
I TREDICI VOLTI DEL PIACERE
RITRATTO A PELLE
Roma, febbraio 2012
LA QUERCIA SACRA
Galles occidentale, 1255
Era notte fonda e nel Bosco di Ayr, nel sud del Galles, non si vedeva
nessuno, tranne una gatta nera, solitaria, che correva veloce.
Anche gli uccelli notturni tacevano, così come il vento che,
improvvisamente, era calato.
Non era un buon segno e la gatta si fermò in uno spiazzo illuminato dalla
luna, si guardò intorno, il suo istinto le sussurrava forte che qualcosa non
andava.
All’improvviso, sentendosi osservata, si girò verso una macchia più fitta
di alberi, con i baffi che le vibravano. Nemmeno quello era un buon segno,
e tantomeno lo erano quegli occhi azzurri che la fissavano, nel buio,
catturando il suo sguardo.
Ecco, lo sapeva, lui l’aveva trovata. Avrebbe riconosciuto quegli occhi
ovunque. L’aveva visti per mesi, che la osservavano, scrutavano, leggevano
dentro. E infatti non si sbagliava: gli occhi azzurri si avvicinarono
lentamente e, con loro, comparve un lupo dal folto manto bianco.
La gatta iniziò a soffiare, sapendo bene che non sarebbe servito a nulla.
Il lupo la guardò con occhi divenuti oramai azzurro ghiaccio, segno che
era arrabbiato.
La gatta indietreggiò, suo malgrado, mentre il lupo si avvicinava sempre
più, ad ogni passo minaccioso più che mai.
In un batter di ciglia, la belva scomparve e al suo posto la gatta dagli
occhi color miele si ritrovò davanti un uomo alto, con i lunghi capelli
bianchi legati da un nastro nero. Gli occhi color azzurro ghiaccio erano
impressi in un volto giovanile, molto bello, che aveva fatto innamorare
decine di fanciulle di Ayr. La bocca era carnosa, anche se in quel momento
era ridotta ad una linea sottile per l’irritazione. Per lui, inseguire quella gatta
era una questione di onore, non le avrebbe mai permesso di fuggire.
Il suo virile e muscoloso corpo era coperto da un gilet nero, che lasciava
gli avambracci scoperti, allacciato a metà, facendo intravedere una porzione
di quel possente torace, ricoperto da una leggera peluria bianca.
Le gambe erano fasciate da un paio di pantaloni di pelle di daino,
anch’essi neri, come neri erano gli stivali al ginocchio che calzava.
Quelle lunghe gambe fecero altri passi, costringendo la gatta ad arretrare
fino a una quercia. I peli della coda le si rizzarono e, girandosi, si accorse di
essere arretrata fino alla Quercia Sacra di Ayr, la quercia che dava la vita al
villaggio, o almeno era quello che credevano le persone come lei e come
lui.
Riportò lo sguardo sull’uomo e vide che non si era mosso. Le labbra non
erano più ridotte ad una sottile linea, ma sorridevano.
- Suvvia, Megan, non vorrai arrampicarti sulla Quercia Sacra pur di
scappare da me – disse l’uomo con un tono di voce dolce. I suoi occhi, da
azzurro ghiaccio, erano diventati del colore del cielo in estate, segno che
l’irritazione e la rabbia provati prima erano scomparsi. Forse perché sapeva,
come lo sapeva la gatta, che ce l’aveva in pugno, ormai.
- Non puoi sfuggirmi, Megan – rincarò la dose l’uomo. – Allora perché
non ne parliamo?
Gli occhi del felino si socchiusero, sospettosi, ben sapendo che l’unico a
parlare sarebbe stato lui, mentre a lei sarebbe toccato ascoltare in silenzio.
Stanca di quel despotismo, la gatta era scappata dal Castello del Principe
Lucien del Regno di Kilmarnack, che si trovava appollaiato su di una
scogliera, dove sovrastava il Villaggio di Ayr, per poi finire nel bosco
incantato, da dove traevano tutta la loro magia. E non aveva nessuna
intenzione di tornare in quel maniero alle condizioni di quel principe che
adorava comandarla. Lei lo amava, ma non era sicura che lui provasse gli
stessi sentimenti.
Quindi decise di tentare il tutto per tutto e, spiccando un salto, oltrepassò
il principe, lasciandogli un graffio sulla guancia sinistra. Almeno così
avrebbe capito che lei rispondeva solo a sé stessa.
Ma non aveva fatto i conti con i suoi poteri, già normalmente potenti e,
in quel luogo, vicino alla Quercia Sacra, ancor di più amplificati.
Lucien si girò con occhi di nuovo azzurro ghiaccio, verso quella gatta
nera e, prima che lei toccasse terra, con uno schiocco di dita le imprigionò
le zampe anteriori e posteriori con delle corde comparse dal nulla, facendola
ricadere malamente.
La gatta nera a quel punto si trasformò istantaneamente in una splendida
donna, con mani e piedi legati.
I folti capelli neri come una notte senza luna le caddero sugli occhi color
ambra, occhi da gatta. Con una scrollata della testa cercò di farli ricadere
indietro, ma ci riuscì solo in parte.
Lucien le si avvicinò e, con una carezza, glieli sistemò dietro un
orecchio. Lo sguardo della donna era ostile e, se i poteri di Lucien non
fossero stati più forti dei suoi, si sarebbe già ritrovato incenerito. Ma Megan
non era stupida: sapeva che qualsiasi magia avesse usato contro di lui, le si
sarebbe ritorta contro.
Lo sguardo di Lucien continuò ad esplorare il suo viso: dagli occhi scese
al naso, piccolo e perfetto, da vera aristocratica quale era, una contessina
del Regno di Kilmarnack, scelta da lui come sua sposa. Le labbra erano
piene e rosse, dolci da baciare, questo Lucien lo sapeva perfettamente. Le
aveva assaggiate tantissime volte, in quei mesi, ma non ne aveva mai avuto
abbastanza, anche se si era mostrata sempre fredda e passiva.
Il suo corpo perfetto, che conosceva a menadito, era fasciato in un abito
da contadinella marrone, che le arrivava fino alle caviglie. I piedi, invece,
erano nudi.
Lucien scosse la testa e le disse: - Megan, mia adorata, questo
abbigliamento non ti rende giustizia. Sei la Principessa del Regno di
Kilmarnack. Meriteresti di vestire in abiti di seta e raso.
Detto ciò, alzandosi, scoccò le dita e l’abito da contadina si trasformò in
uno di seta azzurro, come gli occhi di Lucien in quel momento. La rabbia
derivata dalla sua fuga prima e dal graffio poi, era scomparsa guardandola.
La scollatura quadrata lasciava poco alla fantasia, esponendo buona parte
del generoso seno ai suoi occhi famelici.
Il vitino di vespa la fasciava perfettamente, per poi allargarsi e lasciar
spazio alle ampie gonne che le coprivano le gambe snelle.
Al collo portava una collana con un ciondolo di zaffiri, abbinata agli
orecchini e al bracciale. All’anulare sinistro la sua fede nuziale, anch’essa
corredata di un piccolo zaffiro blu intenso, la pietra della casata di Lucien.
I piedi nudi erano stati rivestiti da un paio di scarpe da ballo azzurre.
Pure le corde, infine, si erano trasformate, e ora era legata con della seta e
non più con una ruvida fune.
- Oh, ora va meglio – decretò Lucien, battendo le mani. – Ma c’è ancora
qualcosa che non va.
Megan lo guardò furiosa e rispose: - Sì, hai proprio ragione. Sono ancora
legata!
Lucien fece di no con la testa, ignorando il suo tono pieno di astio, anche
se non se lo aspettava. In quei mesi era stata la più docile delle donne e,
quando si accorse che era fuggita, lo stupore l'aveva invaso, insieme all’ira.
E se ci ripensava, tutta la sua rabbia tornava in superficie.
Megan lo capì dallo sguardo, che era diventato freddo. Quindi iniziò a
indietreggiare trascinando il sedere e i piedi a terra.
Lucien se ne accorse e la immobilizzò con uno schiocco di dita.
- No, Megan, così rovinerai il vestito.
- All'inferno, Lucien, tu e il vestito!
Megan aveva paura di aver esagerato, ma Lucien scoppiò a ridere,
facendo scomparire il gelo dagli occhi.
Era stupita: in quei mesi era stata docile per non farlo arrabbiare, come le
aveva ordinato il Conte, suo padre, ma non era servito a molto. Ora, invece,
che era stata sfacciata e si era ribellata, lui rideva!
Lucien smise di ridere e si accorse dello sguardo confuso della fanciulla.
Si avvicinò e le toccò i capelli sciolti. Ecco cosa non andava! Non aveva
una pettinatura adatta, ma lui amava quei capelli ribelli.
- Perché quello sguardo confuso, mia dolce Megan? – le chiese,
portandosi una ciocca sul viso. Profumava di rose e di bosco, profumava di
Megan.
- Hai riso – gli rispose. – In questi mesi non lo hai mai fatto. Eri
sempre... – si interruppe un attimo e poi concluse: - Burbero.
- E ti ho spaventata? – le chiese, accarezzandole la guancia.
Lei fece di sì con la testa. Gli occhi di Lucien divennero di un azzurro
cupo: era dispiaciuto di averla impaurita, ma lei non era quella che si
aspettava, alla fine. Credeva di aver scelto una sposa che gli sapesse tener
testa, il suo istinto da lupo glielo diceva, ma lei si era dimostrata sempre
remissiva.
Ma non prima, quando lo aveva praticamente mandato al diavolo.
- Com’è la vera Megan? – le chiese, accarezzandole il labbro inferiore
col pollice. – Non la fanciulla docile che ho visto in questi mesi, vero?
Megan fece di no con la testa e Lucien gioì, sicuro che il suo istinto non
lo aveva ingannato.
- Devi essere passione pura, Megan!
Lucien si alzò e con un ennesimo schioppo di dita i legacci di seta
scomparvero.
La ragazza si alzò, pronta alla fuga se avesse capito che voleva farle del
male. Ma non sembrava fosse quella la sua intenzione.
- Ti leggo nella mente, Megan – le disse, con tono dolce. – Lo vedo dai
tuoi occhi che vorresti scappare, ma non farlo.
Lucien le si avvicinò e le disse: - Mostrami la vera Megan. Sono stufo di
possederti, mentre tu rimani passiva. Voglio vedere la tua vera natura.
Megan non sapeva che dire. Lucien era l’unico uomo che avesse
conosciuto intimamente e con lui aveva sempre represso i suoi istinti felini.
Lucien si allontanò, i suoi occhi azzurro vivo potevano significare solo
una cosa: la sua mente era entrata in azione.
Megan continuava a chiedersi quali fossero le sue intenzioni. Lui la fissò
e gli occhi divennero color zaffiro, lo sguardo della passione.
Oddio, voleva fare l’amore là, vicino alla Quercia Sacra?
Lucien fece schioccare le dita e Megan si ritrovò ad indossare un negligé
azzurro, che non nascondeva quasi nulla.
I capezzoli erano visibili sotto la sottile stoffa dell’indumento, così come
era visibile il triangolino di peli.
Con un urlo, Megan cercò di ripararsi con una coperta che materializzò
dal nulla, ma Lucien glielo impedì, facendola a sua volta scomparire.
Le si avvicinò e le disse: - Lasciami il piacere di spogliarti, Megan.
- Sono già mezza nuda, Lucien, se per caso non te ne fossi ancora
accorto!
Lucien sorrise e continuò: - Sì, Megan, me ne sono accorto. Niente più
camicie da notte caste, da ora in poi.
Iniziò a toccarle con lussuria un capezzolo da sopra il sottile velo di
stoffa, che si indurì subito. Lucien lo leccò, bagnando l’indumento e Megan
gemette.
Dopo la prima notte di nozze avevano avuto rapporti veloci, senza
preliminari. Non che quella notte ve ne fossero stati tanti, il minimo per
prepararla all’invasione carnale di Lucien.
- Che... che intenzioni hai, Lucien? – chiese Megan, con fatica.
Lui alzò lo sguardo da quel bellissimo seno pieno, e lo portò sul viso. La
passione e il desiderio, trasparivano dai suoi occhi. Era stupenda.
- Amarti, ovviamente – rispose Lucien.
- Ma non possiamo, sotto la Quercia Sacra – obiettò lei.
- Certo che possiamo, mia dolce Megan – disse Lucien, accarezzandole
con il pollice un capezzolo eretto, facendole sfuggire un gemito.
Pian piano lui le tolse il negligé, lasciandola nuda davanti ai propri
occhi.
Il suo pene, già duro da quando la fanciulla aveva abbandonato le
sembianze di gatta, si indurì ancora di più.
- Lucien, io non so se sia il caso – ribatté Megan, imbarazzata nel
trovarsi nuda davanti a lui, ancora tutto vestito, indietreggiando.
- Io credo di sì, Megan – la contraddisse lui. – È ora che mi fai vedere il
tuo vero essere. È ora che ci amiamo veramente.
Detto ciò, iniziò a slacciarsi il gilet e se lo tolse, rimanendo a torso nudo.
- Avvicinati, Megan – le ordinò, rimanendo fermo. Ma i suoi occhi erano
più che eloquenti: le dicevano, le promettevano, che non si sarebbe pentita
se gli avesse dato ascolto.
Quindi Megan seguì il richiamo di quegli occhi e, timidamente, gli si
avvicinò.
Lucien non la sfiorò nemmeno, non fece nulla, se non dirle: - Toccami,
Megan. Voglio sentire le tue mani sulla mia pelle.
Megan iniziò ad accarezzargli timidamente il torace. Passò i pollici sui
suoi capezzoli, come lui aveva fatto prima con lei, e si accorse che
tratteneva il respiro. Allora scese con le mani, fino al ventre piatto, con una
carezza lieve come un alito di vento.
Lucien continuava a non fare nulla, se non guardarla, attendendo la sua
prossima mossa. Che arrivò poco dopo.
Le mani di Megan scesero sull’allacciatura dei pantaloni di Lucien, ma
là si fermarono, incerte.
- Hai paura, mia dolce Megan? – la stuzzicò Lucien, con una luce
maliziosa negli occhi azzurri. – Pensavo che fossi una micia temeraria.
Lei non rispose, ma lo scrutò con il suo sguardo felino, che lo faceva
impazzire dal desiderio. Però decise di portare pazienza, e attendere.
- Allora? – la spronò. – Che vuoi fare?
Megan rispose aprendogli l’allacciatura dei pantaloni, facendo uscir fuori
il suo consistente membro oramai eretto, pronto per possederla.
Per un momento la ragazza smise di respirare per l’effetto che le faceva.
Lucien continuava a guardarla, affascinato dalle emozioni che le leggeva
negli occhi.
La bocca di Megan andò a posarsi su un capezzolo di Lucien, con gesti
meccanici, così come era accaduto poco prima quando la sua mano aveva
afferrato il membro.
Megan iniziò a leccare, mordicchiare e succhiare prima un capezzolo,
poi l’altro, ogni momento sempre più sicura di sé. E anche la mano lo
divenne mentre accarezzare la virilità di Lucien, che si induriva sempre
più.
Lucien, già senza fiato, si sentì perduto nel momento in cui la bocca di
Megan lasciò i suoi capezzoli per intraprendere una lenta marcia verso il
pene.
La fanciulla si mise in ginocchio e gli diede tantissimo piacere con la
bocca, aiutandosi con le mani. Iniziò a succhiarlo e leccarlo, mentre con la
mano gli accarezzava i testicoli.
- Dio, Megan! – urlò Lucien, accarezzandoli i capelli. Sentiva di stare
per esplodere ma non poteva permetterselo, quindi staccò la ragazza da sé,
dicendo: - Ora mi diverto io.
Megan lo guardò confusa, pensando di aver fatto qualcosa di sbagliato,
ma lui la rassicurò inginocchiandosi accanto a lei e baciandola con
passione.
Iniziò a succhiarle i capezzoli, mentre una mano andava a cercare il
clitoride, quel piccolo bottoncino che, ne era sicuro, l’avrebbe fatta urlare di
piacere. E infatti non si sbagliava: Megan emise prima un gemito di goduria
poi, ad una pressione maggiore sul clitoride, urlò, in preda ad emozioni mai
provate.
Lucien la fece alzare, anche se Megan non era sicura di riuscire a
reggersi sulle gambe, e con la bocca andò al cuore della sua femminilità,
infilandole la lingua all’interno.
In preda all’orgasmo, Megan si appoggiò alle spalle del marito. Stava per
crollare in ginocchio, quando lui si alzò e la sospinse verso la Quercia
Sacra, facendocela appoggiare.
Stava per possederla contro quell’albero, Megan lo sapeva, ma, arrivata a
quel punto, non le interessava più tanto.
Lucien la prese in braccio, dicendole: - Avvinghia le tue gambe intorno a
me.
Megan obbedì e Lucien la penetrò con una possente spinta. In quel
momento la Quercia Sacra si accese, illuminandosi, ma nessuno dei due ci
fece poi tanto caso, immersi nella passione com’erano.
Lucien spingeva sempre di più, ma non voleva arrivare al capolinea
senza prima aver fatto godere Megan fino in fondo, quindi mise una mano
tra i loro corpi e premette un dito sul clitoride.
Megan singhiozzava dal piacere, vedendo la meta dell’oblio sempre più
vicina, sapendo che tra un po’ sarebbe esplosa in mille pezzi, per poi
ricomporsi tra le braccia di Lucien.
- Sì, vieni, mia dolce Megan – le sussurrò lui, sulle labbra. E Megan
venne, subito seguita dal compagno.
In quel momento la luce emanata dalla Quercia Sacra si intensificò,
illuminando il bosco a giorno.
Lucien e Megan crollarono a terra, sfiniti ma appagati e felici.
- Guarda la Quercia Sacra – disse Megan, col fiatone, fissando l’albero
sacro che sprigionava la forte luce.
Lucien sorrise. Sapeva cosa significava ciò: ogni qual volta che un
Principe del Regno di Kilmarnack concepiva un erede con la donna del suo
cuore, la Quercia Sacra si risvegliava, illuminando il bosco e tutto il
Villaggio di Ayr con una luce magica, che annunciava l’arrivo del nascituro
dopo nove mesi.
Erano mesi che Lucien aspettava di vederla quella luce o sentire gli
abitanti parlarne. E finalmente era accaduto.
- Perché sorridi, Lucien? – gli chiese Megan, confusa.
- Perché ti amo, mia dolce Megan – le rispose lui. – E so che tu ami me.
- Davvero? Ne sei proprio sicuro? – lo stuzzicò lei, sapendo bene che lo
amava: l’aveva amato sin dal primo giorno.
- Certo – ribatté Lucien. – Altrimenti la Quercia Sacra non brillerebbe
così, annunciando a tutto il Villaggio il nostro amore e che tra nove mesi
esso darà i suoi frutti.
Lucien la baciò, dimostrandole tutto il proprio amore, mentre pian piano
la luce emanata dalla Quercia Sacra affievoliva.
Dieci mesi dopo
Lucien entrò nella nursery del castello, dove la sua bella principessa
stava allattando la piccola Gwen sulla poltrona.
- Salve – la salutò.
Megan gli sorrise, allungando una mano verso di lui. Lucien la prese e si
sedette sul bracciolo della poltrona, accarezzando i capelli neri della sua
bambina nata da un mese, con l’altra mano. Era uguale a sua madre e,
probabilmente, ne avrebbe posseduto anche i poteri.
Megan, avendo finito di allattare Gwen, lasciò la mano di Lucien, si alzò
e posò delicatamente la piccola nella culla rosa, con un gatto nero vicino a
vegliarla.
Poi passò alla seconda culla, azzurra questa volta, dove Evan, il
primogenito dai capelli bianchi come il papà, riposava con il pancino pieno,
vegliato da un lupo bianco.
- Sei felice, mia dolce Megan? – le chiese Lucien, abbracciandola da
dietro.
- Certo, mio principe – rispose lei, appoggiandosi al suo ampio e forte
petto.
Un mese prima aveva partorito due bei gemelli, prima Evan poi, con
gran sorpresa di tutti, tranne della partoriente, era venuta fuori anche Gwen.
- Tu? – gli chiese.
- Certo – rispose lui, baciandole i capelli. – Ma sai cosa mi renderebbe
più felice?
Megan fece no con la testa e allora Lucien glielo sussurrò in un orecchio.
- Far brillare di nuovo la Quercia Sacra.
Megan si girò e, sussurrandogli nell’orecchio a sua volta, chiese: - La
nostra camera o la Quercia Sacra?
Lucien rise piano, per non svegliare i bambini e, prendendola in braccio,
si diresse verso il Bosco di Ayr.
I TREDICI VOLTI DEL PIACERE
IL NOME DELL’AMANTE
Roma, inizio estate 2014 – quartiere Olgiata
FRESCA DI STAMPA
Roma, 25 ottobre 1896. Le due del mattino
Era tutta la notte che lavoravo sull’articolo delle nozze del figlio di
Umberto I, Re d’Italia e della regina Margherita, Vittorio Emanuele, con
Elena Petrovic-Niegos, principessa del Montenegro, tenutasi il giorno prima
nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Era stata una cerimonia senza
fasti, con l’assenza della madre della sposa e della benedizione della Santa
Sede, dal momento che a seguito dell’occupazione di Roma avvenuta un
quarto di secolo prima e la conseguente scomunica lanciata dal pontefice
Pio IX, i rapporti tra quest’ultima e Casa Savoia erano completamente
interrotti.
Il mio caporedattore mi scelse come inviata. O meglio, glielo chiesi io,
così da avere una scusa per rimanere al giornale fino a tardi, ma non fino a
quell’ora, quando mancava poco alla stampa del quotidiano. Ormai, però,
quello che era fatto, era fatto. Mio marito nemmeno si sarebbe accorto della
mia assenza, troppo impegnato con la “sua” politica.
Prima che io finissi di sistemare l’articolo, nel piccolo studio entrò
Andrea Saveri, il mio caporedattore.
- Ancora qui, Vittoria? – mi chiese, con voce preoccupata. – Se sapevo
che eri intenzionata a lavorare fino a tardi su questo pezzo, ti avrei detto di
no. Tuo marito sarà in pensiero.
- Figurati! – esclamai. Mariano in pensiero? Sì, come no! Sarebbe stato
più preoccupato della scomparsa di un suo prezioso documento, che di
quella della moglie.
- Dai, non dire così. A quest’ora può essere che stia camminando avanti e
indietro per il suo studio, preoccupato per te.
- Se mai stesse camminando avanti e indietro per il suo studio, - risposi,
con indifferenza. – Sarebbe per una proposta di legge scritta male.
- Non essere così cinica – mi disse lui, sorridendomi sia con le labbra che
con quei bellissimi occhi verdi che aveva.
- Non sono cinica, ma realista.
Andrea, che fino a quel momento era rimasto sulla porta, si avvicinò alla
scrivania dove ero seduta, sovrastandomi con tutto il suo metro e
ottantacinque di altezza. I capelli biondi, notai, erano tutti spettinati, come
se ci avesse passato decine e decine di volte le mani, in quel momento
macchiate d’inchiostro. A quanto pareva anche lui era rimasto in redazione
fino a tardi per finire un articolo, probabilmente sul Presidente del
Consiglio, il marchese di Rudinì, dato che era la politica il settore che
prediligeva.
Visto che i rapporti con mio marito non erano idilliaci, mai lo erano stati
e tantomeno lo sarebbero stati in futuro, decisi di cambiare argomento.
- Tu come mai sei ancora qui? – gli chiesi. Con il tempo, tre anni per la
precisione, da quando mio marito Mariano capì che non gli avrei mai dato
un figlio ed acconsentì a chiedere al direttore di quel quotidiano di
assumermi come giornalista – scrivere era sempre stata la mia passione –, io
e Andrea avevamo stretto una grande amicizia, nonostante lui fosse il mio
caporedattore.
Essendo una delle poche donne in quella redazione, Andrea mi prese da
subito sotto la propria ala protettrice, come richiestogli esplicitamente dal
direttore. “Perché di Andrea Saveri ci si può fidare”, diceva sempre il
grande capo. Ed era vero!
- Ero tutto preso dall’articolo su Rudinì che stavo scrivendo – mi spiegò,
passandosi la mano tra i capelli.
Finii gli ultimi aggiustamenti al mio pezzo e mi alzai dalla sedia, per non
sentirmi troppo piccola, con lui in piedi, accanto.
- Articolo finito! – gli dissi, consegnandoglielo. – Pronto per essere
stampato.
Mentre Andrea leggeva con attenzione, mi tolsi gli occhiali, che portavo
solo per leggere e scrivere, un po’ nervosa.
Quando ebbe finito, alzò gli occhi, mi guardò, mi sorrise ed esclamò: -
Perfetto, come sempre! Chi lo legge, viene catapultato nella cerimonia. Io
non ci sono venuto, ma mi sembra di avervi partecipato, leggendo ciò! – ed
innalzò i fogli dell’articolo a mo’ di gesto di vittoria.
Mi rilassai visibilmente e Andrea scoppiò a ridere.
- Vittoria, davvero, non capisco perché tu ti preoccupi tanto, ogni volta!
Tuo marito dovrebbe essere fiero di te.
In quel momento mi uscì un suono simile ad uno sbuffo.
Andrea mi diede un buffetto sul naso e, scherzando, mi disse: - Questi
non sono versi adatti ad una gentildonna, figlia e moglie di un politico.
- Preferirei essere figlia e moglie di un fabbro, che di un politico!
Detto ciò, feci per avvicinarmi all’attaccapanni per prendere il cappotto.
- Vittoria, dove vuoi andare, a quest’ora? – mi chiese Andrea,
bloccandomi la strada.
- A casa, ovvio. Anche se non sono felice di essere sposata con un uomo
che non si preoccuperebbe se scomparissi, vorrei riposarmi prima di tornare
qui – e cercai di sorpassarlo.
- Non te ne andrai da sola! Immagino che Mariano non ti abbia mandato
una carrozza – ribatté Andrea, prendendomi per le braccia, delicatamente.
- Immagini bene, ma so cavarmela da sola.
- Sei troppo indipendente, Vittoria.
- Se non fossi stata indipendente, Andrea, a quest’ora mi ritroverei a
casa, nel mio letto solitario, aspettando il nuovo giorno per farmi incolpare
da mio marito per il fatto di non essere riuscita a dargli un erede!
- Ma potrebbe non essere colpa tua, Vittoria!
La questione di non avere avuto figli faceva ancora male, dopo tanti
anni. Però il fatto che Andrea cercasse sempre di consolarmi, era
commovente.
- No, Vittoria, non piangere – mi disse, asciugandomi una lacrima che
non mi accorsi di aver versato. – I tuoi occhioni sono belli asciutti e
sorridenti – e mi baciò una guancia, dove una seconda lacrima scese, come
se avesse vita propria.
Le labbra di Andrea scesero fino al mento, baciandolo e mordendolo,
facendomi sussultare, ma non dal dolore, bensì da una piccola scarica di
piacere. Poi me lo leccò, come a lenire il morsetto dato pochi secondi
prima.
Passò all’altra guancia, baciandomela. Sbalordita, gli chiesi: - Cosa stai
facendo, Andrea?
Lui smise di baciarmi, mi guardò e disse: - Meriti un po’ di felicità,
Vittoria.
Andrea era un bell’uomo con quegli occhi verdi e i capelli biondi, il naso
perfetto, la fronte ampia e la mascella squadrata. Anche nel fisico non era
affatto male: alto, con il panciotto nero e la camicia bianca che, ne ero
sicura, nascondevano un fisico atletico. In quel momento era con le
maniche rialzate, che mettevano in mostra gli avambracci, ricoperti da una
lieve peluria bionda. Le gambe erano fasciate in un paio di pantaloni di
camoscio nero, come le scarpe. Sì, era un bell’uomo, ma era anche mio
amico.
Vedendo che non dicevo niente, Andrea riprese: - Vittoria, lui non ti
merita.
- È pur sempre mio marito, Andrea.
Lui mi accarezzò lievemente una guancia, per poi portare le dita sulle
mie labbra. Forse sarà stata l’ora tarda, ma fu come se un incantesimo fosse
sceso in quella stanza, e così socchiusi le labbra.
Andrea tolse le dita e le sostituì con la bocca, baciandomi. All’inizio fu
un bacio dolce, ma nel momento in cui gli succhiai il labbro inferiore,
divenne pieno di passione. Lui mi spinse facendomi indietreggiare fino alla
scrivania.
- Se vuoi che mi fermi, - mi disse, interrompendo il bacio. – Dillo subito,
perché poi sarà troppo tardi!
Per tutta risposta iniziai a slacciargli il panciotto e glielo tolsi, per poi
dedicarmi alla camicia. Tolta anche quella, gli accarezzai la gola, scendendo
fino al petto, dove mi soffermai sui capezzoli. Mi abbassai e con dolcezza
glieli baciai, per poi morderli e leccarli, come lui aveva fatto prima con il
mio mento.
Nella mia mente, in un angolino nascosto, sapevo che ciò che stavo
facendo era profondamente sbagliato ma, come aveva detto solo pochi
minuti prima Andrea, meritavo di essere felice. E se per esserlo dovevo
infrangere qualche regola di quella vita monotona che facevo con un marito
che avevo deluso, pazienza.
- Vittoria – lo sentii sussurrare, con voce roca. Ciò che gli stavo facendo,
a quanto mi parve di capire, gli piacque e ne fui soddisfatta.
Ma non era finita lì: con la lingua scesi lungo il suo torace, anch’esso,
come le braccia, coperto da una lieve peluria bionda, fino ad arrivare
all’ombelico, dove mi fermai a giocarellare un po’. La mia lingua lo prese
d’assalto, girandoci attorno prima, affondandoci dentro poi.
Inizia a sbottonargli i pantaloni ma, slacciato il primo bottone, Andrea mi
fermò, facendomi alzare. Si scansò, andò a chiudere a chiave la porta, anche
se a quell’ora tarda era raro che ci fosse qualcuno al giornale, e poi tornò da
me.
- Vieni qui, Vittoria.
Iniziò ad aprire i bottoni di madreperla di uno dei vestiti che usavo per
lavorare, allacciati sul davanti. Aperto il corpino, mi liberò le braccia dalla
stoffa e mi tirò giù il vestito, lasciandomi in camiciola, calze, rette dalla
giarrettiera, e scarpe.
Mi sentii a disagio: con Mariano l’avevamo sempre fatto sul letto, con la
luce spenta e con la camicia da notte alzata, a scoprirmi le cosce. Invece in
quel momento, non solo stavamo lontano da una camera da letto, ma la luce
era accesa ed Andrea sembrava che avesse tutta l’aria di farmi restare nuda.
Iniziò ad accarezzarmi il seno sopra la camiciola – non portavo mai il
corsetto quando dovevo lavorare – facendomi provare un brivido di piacere.
I miei seni non erano grossi come quelli delle cortigiane che si trovavano
nei migliori bordelli del Corso o in qualsiasi via malfamata di Roma, ma
sembrava che Andrea li stesse venerando. Mi stava facendo sentire bella
con quello sguardo pieno di desiderio fisso su di me.
Alla fine, non so come, sparì anche la camiciola, lasciandomi con solo le
calze rette dalle giarrettiere, e le scarpe.
Imbarazzata a rimanere così esposta di fronte al suo sguardo che mi
bruciava, decisi di agire, così continuai quello che stavo facendo prima che
lui mi fermasse: slacciargli i pantaloni. Ma, appena poggiai due dita sul
secondo bottone, lui mi interruppe di nuovo e si scansò.
- Voglio guardarti – mi disse, in risposta al mio sguardo sorpreso per
quella piccola ritirata.
- Toccati – mi disse, in tono di comando.
- Co…cosa? – chiesi io, perplessa e imbarazzata.
- Toccati, Vittoria. Toccati come vorresti essere toccata da un uomo. Da
me.
Quelle parole mi provocarono una stretta allo stomaco, ma non per la
paura, bensì dal piacere.
- Guidami – gli chiesi, stupendo me stessa per prima.
Anche Andrea parve sorpreso, ma poi la sua espressione divenne
compiaciuta.
- Toccati i seni – mi ordinò.
- Come?
Quel momento di passione si era trasformato in un gioco di seduzione,
guidato da lui, ma il ruolo della provocatrice, alla fine, era il mio.
- Metti le mani sotto la coppa dei tuoi seni – mi ordinò ed io,
timidamente, eseguii. – Poi con i pollici toccati i capezzoli. – La sua voce
diventò roca. – Quei bei capezzoli eretti, pronti per le mie labbra.
Con un gemito me li toccai con i pollici, prima lentamente,
delicatamente, poi al suo: - Premi i pollici sui capezzoli – li schiacciai.
- Ora strizzati i capezzoli con pollici e indici.
Dio, quell’uomo mi stava stregando e, in balia della sua voce, obbedii.
Iniziai a gemere più forte, ma quelle sensazioni non erano abbastanza per
raggiungere una vetta a me sconosciuta.
- Che devo fare? – gli chiesi, in preda ai brividi di piacere, consapevole
dello sguardo di Andrea su di me.
- Spiegati meglio, Vittoria – mi sussurrò lui all’orecchio. Si era
avvicinato senza che io me ne accorgessi, presa com’ero dalle sensazioni
che stavo provando.
- Che devo fare…per raggiungere…non so nemmeno io cosa…come…
una vetta…- cercai di spiegarmi, tra un gemito e l’altro.
- Tu vuoi raggiungere l’orgasmo, vero Vittoria?
Quelle parole, sussurrate con tono suadente, mi fecero gemere ancora di
più. Annuii , impossibilitata a parlare, ma lui non accontentò.
- Vuoi raggiungere l’orgasmo, Vittoria? Dimmelo!
La sua voce aveva il potere di eccitarmi ancora di più e, con fatica,
risposi: - Sì, Andrea.
- Devi solo toccarti, Vittoria – mi alitò nell’orecchio.
- Lo sto facendo – gli risposi, guardandolo negli occhi.
- Toccati più a fondo.
Si mise dietro di me e mi guidò la mano destra verso l’inguine, sopra il
Monte di Venere.
- Qui, toccati qui, Vittoria – e mi portò la mano ancora più in basso, fino
alle labbra della mia femminilità.
- Andrea, io… - Ero imbarazzata, nonostante l’eccitazione. Nemmeno
Mariano mi aveva mai toccata là, nella parte più intima del mio essere.
- Non ti vergognare, Vittoria – sussurrò Andrea, dandomi un bacio sul
collo. – Non c’è niente di sbagliato, nel toccarsi la propria femminilità.
Arrossii a quelle parole, ma nel frattempo mi diedero il coraggio di
osare. Quindi iniziai ad accarezzarmi. Ero bagnata, come non lo ero mai
stata in vita mia, e feci su e giù con un dito, ma non mi bastava.
Andrea, in qualche modo, lo capì e sostituì la mia mano con la sua.
- Toccati i capezzoli, mentre io mi occupo della parte più dolce del tuo
corpo.
Le mie mani, quindi, tornarono sui seni, mentre un suo dito mi penetrò,
facendomi sussultare e bagnare ancora di più. Subito dopo un secondo dito
lo raggiunse e, insieme, imitarono l’atto dell’amore, uscendo ed entrando di
nuovo, in profondità.
Dio, che sensazioni! Ero sicura di stare per esplodere, cosa che accadde
appena il pollice di Andrea andò a toccarmi il clitoride, premendolo. E fu
allora che urlai di piacere.
L’orgasmo arrivò con potenza, con i muscoli interni della vagina che
stringevano quelle due dita nel mio corpo.
Quando anche l’ultima scintilla di orgasmo scomparve, mi appoggiai
completamente al torace di Andrea. Lui tolse le dita e mi abbracciò,
accarezzandomi sempre là, dove ero sempre più bagnata.
Appena ripresomi un po’, con il respiro tornato normale, mi scansai dal
suo corpo e mi girai a fronteggiarlo.
- Ora posso slacciarti i pantaloni? – gli chiesi, con uno sguardo
sbarazzino.
- Accomodati – mi rispose lui, appoggiandosi alla scrivania e allargando
braccia e gambe.
Mi avvicinai e gli sbottonai i pantaloni, facendo saettare fuori l’erezione.
Glieli abbassai e mi inginocchiai all’altezza di quel fallo eretto e maestoso
come fosse un sovrano.
Iniziai ad accarezzarlo, delicatamente, per paura di fargli male, ma lui
mise una mano intorno alla mia, stringendo.
Allora capii cosa dovevo fare: strinsi delicatamente e incominciai a
strofinarlo. Sembrava che gli piacesse, dato che gemeva, ma senza una sola
nota di dolore.
Guardandolo, mi venne voglia di assaggiarlo e quindi avvicinai con la
bocca.
- Sì, Vittoria – gemette lui. – Continua così!!! Succhia il tutto ti prego – e
intanto mi accarezzava i capelli, ormai scompigliati a causa della passione.
Lo accontentai dandogli immenso piacere con la mia generosa bocca. Lo
assaporai completamente e usai molto la lingua, lambendogli tutto il pene.
Una mano andò ai testicoli, accarezzandoli. Gli piacque anche quello,
dato che mi chiese di continuare. E io continuai. Fino a quando lui non mi
scansò da sé.
- Se continui così, tesoro, - mi disse, con il fiatone. – Finirà tutto subito.
La tua lingua e le tue labbra sono sublimi. Un paradiso.
Quindi voleva che la smettessi con la bocca. Ma avevo altre frecce nel
mio arco!
Portai il mio seno all’altezza del suo membro e iniziai a strusciargli i
capezzoli sulla cappella.
- Dio, Vittoria! – esclamò. – Vuoi farmi impazzire?
Io sorrisi e gli misi il pene tra i miei due seni, nonostante non fossero
troppo grandi. Stringendomeli, iniziai a fare su e giù, con la sua potenza
incastrata lì in mezzo.
- Ora basta! – mi disse, scansandomi del tutto. Mi fece rialzare,
prendendomi in braccio, e mi depositò sulla scrivania, allargandomi le
gambe.
Si inchinò là, davanti alla mia vagina e la sua bocca, in un secondo, fu
sulle mie labbra intime.
- È bellissima, sai? – mi alitò sopra quella fessura bagnata di desiderio.
Subito dopo me la baciò. La lingua entrò fin dentro di me, come prima
avevano fatto le sue dita, e in poco tempo raggiunsi un secondo orgasmo,
più potente del primo.
Mi accasciai sulla scrivania, ma lui non aveva finito. Si rialzò in piedi,
mi allargò ancora di più le cosce e, con una possente spinta, penetrò in me.
Dio, che paradiso! Mi sentivo a casa, anche se tutt’ora non so spiegarne
il motivo.
Iniziò a muoversi con azioni decise, facendomi sobbalzare tutto il corpo.
Non era un amplesso dolce, romantico, ma quasi brutale e pieno di
passione.
- Ti ho desiderata fin dal primo giorno che ti ho vista – mi disse, tra una
spinta e l’altra. – Ma tu eri già impegnata. Ma ora sei mia. Mia!
Sbagliava, non ero sua. Dopo quella notte, sarei tornata comunque da
mio marito che, ogni tanto, ancora visitava il mio letto. Ma quello non era il
momento di pensarci, dato che la mia attenzione era tutta incentrata nel
piacere che stavo provando, sentendo un terzo orgasmo avvicinarsi.
- Sì, Vittoria, vieni per me. Solo per me – mi disse Andrea, accorgendosi
probabilmente che ero vicina alla meta. E io lo accontentai. Venni. Solo per
lui.
Dopo un’ultima spinta, venne anche lui. Sentii il suo seme caldo
scivolare nel mio corpo bagnato, mescolandosi con i miei umori.
Andrea si scansò e crollò a terra, stremato, ma soddisfatto. Glielo
leggevo in faccia. I suoi occhi brillavano di soddisfazione, ma non solo.
Non volli soffermarmi su ciò che esprimevano i suoi occhi e, alzandomi
dalla scrivania, ricominciai a vestirmi, in silenzio.
Andrea si alzò dal pavimento, avendo ripreso fiato, e si alzò i pantaloni,
allacciandoseli.
- Tutto a posto, Vittoria? – mi chiese, avvicinandosi a me e
allacciandomi i bottoni del vestito, con mani esperte. Potevo farlo anche da
sola, dato che erano sul davanti, ma le mani mi tremavano troppo.
Solo in quel momento capii quello che avevo fatto veramente: avevo
tradito mio marito! Mariano non avrebbe mai dovuto saperlo.
Finito che ebbe di allacciarmi il vestito, Andrea fece un passo indietro e
mi guardò.
- Non hai risposto alla mia domanda, tesoro. È tutto a posto?
Mi accarezzò una guancia. Non ebbi la forza di scansare quella mano che
mi aveva fatto provare emozioni così forti.
Capii di essere nei guai, perché amavo Andrea Saveri. Amavo il mio
caporedattore. Amavo il mio migliore amico. Ma ero sposata con un uomo
che odiavo!
- Sì – risposi, per tranquillizzarlo. – Tutto bene, Andrea. Vorrei solo
tornare a casa. Sono stanca.
- Sì, capisco. Ti accompagno.
- No, non ce n’è bisogno. Prenderò una vettura di piazza.
- Fatti almeno accompagnare alla vettura, per favore – mi disse,
infilandosi la camicia. – La notte è pericolosa, lo sai.
E chi lo poteva sapere meglio di una persona che scriveva su un giornale
tutte le cose brutte che accadevano in quella grande città?
Accettai di farmi accompagnare alla vettura di piazza. Arrivati davanti
alla carrozza, gli accarezzai una guancia.
- Grazie, Andrea – gli dissi.
- Grazie a te, Vittoria.
Salii sulla carrozza, guardandolo un’ultima volta mentre lui chiudeva lo
sportello.
Arrivata a casa, presi una decisione che mi spezzò il cuore.
Il giorno dopo dissi a Mariano che non volevo più tornare al giornale,
che mi ero stufata di quell’impiego, di volermi impegnare a dargli un erede,
di voler continuare a provarci, fino a quando non sarebbe arrivato.
Mariano mi sorrise, come non mi aveva mai sorriso in tutti gli anni di
matrimonio. Probabilmente, con quella dichiarazione, l’avevo reso felice.
Quella sera venne nel mio letto, dove facemmo l’amore con dolcezza,
cosa mai accaduta.
Nove mesi dopo, nacquero Ettore e Giulia, due bellissimi gemelli che,
per fortuna, assomigliarono a me e non al loro padre…
I TREDICI VOLTI DEL PIACERE
Era stata condotta in uno degli appartamenti più belli e lussuosi che
avesse mai visto. Se non fosse stata preoccupata per il suo destino, Dalia
avrebbe apprezzato di più tutto quello sfarzo.
Dopo essersi lavata con l’aiuto di due serve nella sala da bagno della
Domus del patrizio romano a cui era stata venduta come schiava, fu
accompagnata in quel sontuoso appartamento, all'ultimo piano della grande
abitazione. Era suddiviso in due stanze. Un salottino con cuscini sparsi
attorno a un tavolino, su cui erano appoggiati un cesto di frutta, una brocca
di vino e due bicchieri; tende di seta alle finestre, mosse dalla brezza estiva
che entrava e le pareti affrescate con scene di preliminari, dove l'uomo e la
donna si eccitavano a vicenda, e Dalia si sentì arrossire soltanto a vederle.
Poi decise di vedere anche la seconda camera e, non appena ne ebbe
varcata la soglia, rimase a bocca aperta: c'era un letto immenso che la
occupava quasi completamente, con veli trasparenti che partivano dal
soffitto e lo racchiudevano, trasformandolo in un luogo più intimo del
dovuto, dove scambiarsi le più spinte effusioni d'amore. Alle finestre ancora
tende di seta, stavolta di un bel color pesca, come le coperte sull’ampio
letto. Ma la cosa che più la sconvolse, furono gli affreschi sul muro: non
solo l'uomo e la donna si davano piacere a vicenda, ma l'uomo possedeva la
donna; scene dirette, inequivocabili in cui il pene entrava nella vagina, altre
in cui la donna era sull'uomo, ma tutti gli affreschi, sia quelli del salottino
che quelli della stanza, avevano un elemento in comune: sul viso dei
protagonisti era presente un'espressione di piacere estremo.
Dalia non sapeva come la donna potesse provare piacere a fare quelle
cose: lei, con il suo defunto marito, non lo aveva mai provato. Sentendosi a
disagio in quel luogo, tornò nel salottino, anche se lì non era che si sentisse
tanto di più a suo agio.
Mentre nella camera da letto il colore predominante era la pesca, nel
salottino prevaleva invece il verde, che aveva il potere di calmarla.
Po ad un tratto la grande porta dell'appartamento fatta di quercia e
finemente decorata, si aprì, ed entrò un uomo che indossava una toga di
fattura pregiata, più alto di lei di almeno mezzo metro, capelli neri tagliati
alla moda dell'epoca e un paio di occhi scuri che le trasmettevano strane
sensazioni: il padrone di casa, il suo padrone!
Antonio Aurelio entrò nell'appartamento che riservava alle sue amanti,
quasi sempre schiave comprate al mercato, che poi liberava una volta
stancatosi di loro, e rimase come paralizzato. Nemmeno badò alla guardia
che richiudeva la porta dietro di lui.
Quando si accorse di desiderare un'altra amante, si recò al mercato degli
schiavi, insieme alla propria scorta e, appena vide quella ragazza incatenata
sulla pedana, decise di volerla ad ogni costo. Quindi sborsò cinquanta
denari, una cifra considerevole per l’epoca e se l’accaparrò. E quello che
vedeva ora davanti ai suoi occhi lo convinceva ancor di più che erano stati
soldi ben spesi: quella ragazza sporca, con i vestiti laceri e i capelli tutti
arruffati, ora gli si presentava lavata, pettinata e ben vestita. Certo, era
ancora malnutrita, ma Antonio Aurelio avrebbe rimediato anche a quello.
- Come ti chiami? - le chiese.
Dalia saltò al suono della voce del suo padrone: non sapeva cosa
aspettarsi da lui, tanto meno quella domanda, fatta con il tono di un uomo
abituato a comandare, ma anche con una piccola nota di dolcezza. Di sicuro
non se l'era aspettato.
- Dalia, signore - rispose, prima che lui si innervosisse e quella piccola
nota inaspettata scomparisse.
- Ti si addice - le disse Antonio. Dalia aveva la pelle scurita dal sole e dei
lunghi capelli neri che aveva ordinato alle serve di lasciare sciolti. Se prima
erano sporchi, ora brillavano alla luce del sole. Non vedeva l'ora di perdersi
in quel manto scuro.
Gli occhi verdi lo scrutavano guardinghi, e Antonio non se ne stupì:
quella ragazza ispanica era stata catturata e poi venduta come schiava e non
sapeva cosa aspettarsi da lui.
- Il mio nome è Antonio Aurelio, Dalia.
Dalia inchinò la testa con fare regale, come se fosse nata e cresciuta in
una famiglia patrizia di Roma. Ma Antonio sapeva che veniva da terre
lontane.
Il corpo della ragazza lo attirava inesorabilmente. Era bassa, ma ben
proporzionata.
La veste che aveva fatto preparare per lei, di fine seta azzurra, le copriva
a malapena il prosperoso seno che gli faceva formicolare le mani dalla
voglia di toccarlo.
Dalia si accorse dello sguardo di Antonio sul suo petto e, in un momento
di imbarazzo, si coprì la profonda scollatura con le braccia. Non era stata
d'accordo ad indossare quella veste, ma le serve avevano detto che era un
ordine del padrone.
Antonio si stupì di quell'attimo di pudore e gli sorse un dubbio.
- Sei vergine, Dalia? - le chiese, facendola arrossire.
- Sono stata sposata, signore - rispose lei, abbassando lo sguardo.
Antonio sospettava che non le erano piaciute molto le attenzioni del
marito.
Dalia abbassò le braccia e aspettò una mossa di Antonio. E intanto lo
studiava.
Aveva un fisico atletico, non dell'idea di patrizio romano che si era fatta:
basso, grasso e dispotico. Antonio non sembrava dispotico, e di sicuro non
era né basso né grasso. Anche se, come Dalia aveva imparato con il suo
defunto marito, le apparenze ingannavano.
- E tuo marito? - Se anche il marito fosse stato venduto come schiavo,
Antonio decise che l'avrebbe trovato, se Dalia voleva riunirsi a lui.
Non sapeva perché, ma quella ragazza gli ispirava un senso di
protezione. Voleva renderla felice. Lui, Antonio Aurelio Fulcinia, uno degli
uomini più potenti di Roma, rischiava di essere messo in ginocchio da una
schiava che aveva comprato per il proprio piacere sessuale. Forse era una
strega.
- E' morto, signore.
Antonio lasciò andare il fiato che non si era accorto di trattenere: gli
dispiaceva per l'uomo ma era felice perché così poteva instaurare più
facilmente un rapporto con Dalia.
- Chiamami Antonio, signore è troppo formale - le disse. Voleva sentire il
proprio nome uscire da quelle labbra piene e rosse.
- Sei il mio padrone, signore, e ogni tuo desiderio dovrei esaudirlo.
- Se un mio desiderio ti dovesse mettere a disagio, non lo esaudire. Non
verrai frustata per questo, bellissima Dalia.
Nel frattempo Antonio le si era avvicinato e le sfiorò una guancia con
una carezza, trasmettendole uno strano brivido lungo la schiena, che si
intensificò quando quella mano scese lungo la gola, e poi sulla curva
scoperta del seno.
Il respiro di Dalia divenne affannoso, come se avesse corso per tutta
Roma senza fermarsi.
- Ti dava piacere tuo marito, Dalia? - le chiese di punto in bianco
Antonio.
- Ci provava, signore...Antonio - si corresse subito.
Il membro sotto la toga scattò nel sentire pronunciare il proprio nome da
Dalia. La ragazza se ne accorse e si allontanò di scatto.
- Non devi avere paura di me - la rassicurò lui.
- Non ho paura. Sono solo...sorpresa.
- Di cosa? - chiese Antonio, confuso e poi vide dove puntava lo sguardo
della ragazza.
- Sorpresa della mia eccitazione? - le chiese e quando lei annuì le
domandò: - Perché? Sei una bella donna.
- Mio marito...non si eccitava facilmente - confessò lei.
- Quello era un problema di tuo marito, Dalia. Al mercato ho visto
sguardi ardenti di desiderio tra gli uomini, quando sei salita sulla pedana - le
spiegò.
Antonio si riavvicinò lentamente, per non spaventarla e le pose un’altra
domanda: - Sai perché sei stata comprata al mercato degli schiavi e perché
ora sei qui?
- Per darti piacere, Antonio - rispose Dalia, rimanendo ferma al proprio
posto e lasciando che lui si avvicinasse, permettendogli pure di toccarla, se
avesse voluto.
- E sai come potresti darmi piacere, Dalia?
La ragazza arrossì, pensando a lei che faceva ad Antonio le stesse cose
che le donne raffigurate sulle pareti facevano agli uomini. Con suo marito
non aveva mai fatto niente di tutto ciò.
- Non sono sicura di riuscire a darti piacere, Antonio. Non saprei che
fare.
Antonio le accarezzò una guancia e le disse: - Potresti darmi piacere
iniziando a rilassarti, Dalia. Qui dentro non accadrà niente che non vorrai.
L'uomo le prese la mano e la portò ai cuscini sparsi a terra, facendola
sedere, per poi raggiungerla subito, e mettendosi alle sue spalle.
Dalia si irrigidì ancora di più e Antonio le sussurrò all'orecchio: -
Rilassati, bellissima Dalia. Ti voglio solo massaggiare - e iniziò a
frizionarle le spalle.
Dalia pian piano si rilassò, sorpresa dal comportamento gentile e
premuroso di Antonio. Ma si sentiva fortunata: poteva capitarle un padrone
con la frusta, che la violentava e poi la rilegava in un tugurio. "Chi ti dice
che Antonio poi non lo farà?", si chiese preoccupata.
Antonio la sentì rilassarsi, ma dopo un po' si accorse che si irrigidiva di
nuovo. Cercò quindi di calmarla rassicurandola sul suo futuro: non le
avrebbe mai fatto del male e che poteva sentirsi libera di esprimere tutti i
dubbi che aveva.
- Che mi accadrà una volta che ti sarai stancato di me? - gli chiese,
mentre lui scendeva a massaggiarle l'osso sacro, procurandole un altro
brivido lungo tutta la schiena che il vestito lasciava scoperta.
- Sarai libera - le rispose, serenamente. - Le schiave che ho comprato per
il mio piacere le ho liberate quando mi sono stancato di loro e hanno potuto
scegliere se restare come serve o tornare dalle loro famiglie. Molte hanno
scelto di vivere qui, anche se non entrano più nel mio letto.
Dalia gli credette e si rilassò nuovamente. Antonio finì il massaggio e le
si mise davanti.
- Va meglio? - le chiese.
Dalia fece di sì con la testa e guardò altrove. Era più rilassata, ma ancora
a disagio, soprattutto mentre sentiva gli occhi dell'uomo su di sé.
Decise di rompere il silenzio e gli chiese: - Cosa posso fare per te,
Antonio?
Antonio allungò la mano verso il tavolo e prese la ciotola con la frutta.
Dentro vi si trovavano uva, fichi secchi e more.
- Farti sfamare, Dalia. Voglio che ti rimetti in forze - e le porse un chicco
d'uva. Dalia fece per prenderlo, ma lui scansò la mano, dicendole: - Fatti
imboccare. Mi piacerebbe molto.
Dalia allora aprì la bocca e Antonio le mise il chicco d'uva dentro. La
ragazza lo gustò con piacere: era tanto che non mangiava qualcosa di così
buono e fresco. Antonio fece per darle un secondo chicco, quando si sentì
bussare alla porta. Allora il patrizio si alzò, posando la ciotola sul tavolino,
e andò ad aprire.
Dalia vide una cameriera che gli consegnava due ciotole e poi la porta fu
subito richiusa dalla guardia.
- Fragole e miele. Le avevo ordinate prima di salire da te.
Antonio abbassò le due ciotole e Dalia vide che in una c'erano le fragole,
mentre nell'altra il miele.
Antonio si accorse che alla ragazza avevano iniziato a brillare gli occhi:
chissà da quanto tempo non mangiava cibi così prelibati.
Pose le due ciotole sul tavolino, prese una fragola e la intinse nel miele
per poi portarla alla bocca di Dalia. Lei la aprì immediatamente e, mentre
mordeva il frutto, un po' di miele le colò sul mento.
Fece per pulirsi, ma Antonio la fermò. Posò la fragola morsicata e le
leccò il miele dal mento, dolcemente.
- Ottimo - disse, baciandola sulle labbra.
Dalia non sapeva che fare. Conosceva il motivo per cui si trovava lì, ma
il marito non l'aveva mai baciata così, facendola rabbrividire di piacere.
Quando Antonio le aprì la bocca con la lingua, Dalia rispose al bacio,
andandogli incontro con la propria e mettendogli le mani dietro la nuca.
Lui interruppe il bacio e, con voce roca, le ordinò: - Spogliati.
Dalia lo fece: si abbassò la veste e il suo magnifico seno comparve
davanti agli occhi dell'uomo. Antonio non aveva mai visto niente di così
bello e allungò la mano per accarezzare uno di quei piccoli capezzoli eretti
che svettavano su un paio di areole rosa e grandi.
- Antonio - gemette Dalia a quel tocco.
- Stenditi, Dalia.
Lei lo fece e lui le tolse del tutto la veste, lasciandola nuda.
Prese la ciotola del miele e ne fece colare un po' sul seno di lei. Ripose la
ciotola sul tavolo e si chinò su quella meraviglia, succhiando e mordendo
quei capezzoli resi più dolci dal nettare.
Dalia trattenne il fiato, si sentì in preda a delle strane sensazioni e voleva
di più. Allungò una mano ad accarezzargli i capelli e Antonio aumentò il
ritmo delle leccate sul suo seno.
La lingua di Antonio lasciò i seni e scese sul ventre, seguendo la scia di
miele che era colata lungo il suo corpo.
La assaggiò a fondo, gustandola appieno, fino ad arrivare all'ombelico.
Là si fermò e alzò lo sguardo per guardarla: era bellissima, eccitata, con le
guance soffuse di rosso, tanto da lasciarlo senza fiato. Il suo pene si fece
sentire di più, come a ricordargli che voleva essere soddisfatto, ma doveva
attendere.
Dalia aprì gli occhi e lo guardò, confusa sul perché si fosse fermato. La
propria parte intima chiedeva di essere toccata e soddisfatta. Ma la mano di
Antonio si trovava sul suo ventre e da lì sembrava non volersi muovere.
Si mosse a disagio, sperando che lui capisse, mentre la guardava con
desiderio.
- E' tutto questo che posso fare per te, Antonio? - gli chiese.
A quelle parole, il membro di Antonio sobbalzò, ma lui cercò di tenerlo
ancora a bada.
- Cosa vorresti fare per me, Dalia?
- Ciò che mi chiedi - gli rispose lei, con voce rauca.
Allora Antonio si alzò e si tolse la toga, rimanendo nudo di fronte a lei,
con il pene che svettava fiero, reclamando le attenzioni della donna che
aveva di fronte. Attenzioni che arrivarono subito.
Con timidezza e insicurezza, Dalia si mise seduta sulle ginocchia e
allungò una mano verso il membro, lo afferrò e iniziò ad accarezzarlo. Era
duro, ma vellutato e molto caldo. Le piaceva.
Antonio gemette e, quando lei avvicinò le labbra al pene, temette di non
resistere per molto.
Dalia lo assaggiò, salato e dolce allo stesso tempo, poi le venne un'idea.
Allungò la mano a prendere la ciotola del miele e gli chiese: - Posso?
Antonio trattenne il fiato, chiedendosi cosa avesse in mente la ragazza,
ma decise di assecondarla, stringendo i denti per non venire come un
ragazzino alle prime armi.
- Fai come vuoi - le rispose, allargando le braccia.
Dalia intinse un dito nella ciotola e se lo portò alla bocca, facendolo
gemere dal desiderio.
- Buono...- disse lei, succhiando il dito. Poi lo immerse di nuovo nella
ciotola, ma questa volta lo direzionò verso il membro. Lo passò sulla
cappella, poi lo leccò.
Antonio mise le mani sulla testa di Dalia e, quando la ragazza ricoprì
metà membro di miele per poi leccarlo a cominciare da lì, Antonio le strinse
i capelli, mentre veniva trascinato in un vortice di piacere.
Non ce la fece a resistere per molto: quel piacere era troppo intenso,
troppo tutto! Quindi Dalia assaporò il gusto del suo seme insieme al sapore
del miele.
- Scusa, Dalia - gemette lui, cadendo in ginocchio sui cuscini una volta
che lei ebbe staccato la bocca dal membro soddisfatto ormai.
- Non mi devi chiedere scusa, Antonio - rispose Dalia, cercando di
ricoprirsi. - E' per questo che mi hai comprato al mercato, no?
- Ferma - le ordinò Antonio, riprendendo fiato. - Non ti ricoprire. Non
abbiamo ancora finito.
Dalia abbandonò la veste che aveva recuperato e lo guardò. - Ma tu hai
raggiunto il piacere - gli fece notare, confusa.
- Ma tu no - le spiegò lui. - E io non lascio mai una donna insoddisfatta.
Il seno di Dalia, pieno e sodo, lo tentava ancora. Antonio allungò una
mano per accarezzarlo. Riusciva a ricoprirlo tutto a malapena, grazie alle
sue grosse mani.
Con il pollice le stuzzicò il capezzolo e Dalia trattenne il fiato. Antonio
aveva ragione: non avevano ancora finito.
La fece stendere di nuovo e la mano libera scese verso il ventre della
donna, per poi annidarsi tra le pieghe della sua femminilità.
Dalia si irrigidì, sorpresa, nonostante prima avesse desiderato quel tocco:
suo marito non aveva mai fatto niente di ciò che Antonio le aveva fatto in
quell'ultima ora. A lui bastava solo raggiungere l'orgasmo.
- Rilassati, Dalia - le sussurrò all'orecchio. - Non ti farò del male - e le
mordicchiò il lobo, facendola rabbrividire.
Dalia si rilassò e Antonio scese con il viso all'altezza della mano che si
trovava tra le sue cosce, seguito dall'altra mano.
Le allargò le grandi labbra della sua femminilità e la osservò. Dalia si
sentì a disagio, esposta, fino a quando lui disse: - Sei tutta da assaggiare.
La lingua di Antonio guizzò vorace nella sua vagina, trasmettendole
sensazioni forti, eccitanti, uniche.
Antonio sentì il proprio pene risvegliarsi grazie a quell'intima
esplorazione. Dalia era già calda, bagnata, pronta per lui, ma volle aspettare
a penetrarla: prima voleva vezzeggiarla, adorarla, assaggiarla più che poté.
Dalia sentì il piacere salire, la tensione accumularsi in tutto il proprio
corpo, tensione che esplose quando il pollice di Antonio andò a dedicarsi al
clitoride.
Raggiunse l'orgasmo e dopo un po' si rilassò, respirando a fatica.
Antonio si staccò da lei, in bocca il dolce sapore del suo nettare.
- Hai un così bel seno - le disse, distendendosi accanto a lei sui cuscini
ed accarezzandoglielo.
Dalia arrossì e rispose: - E' troppo grande.
- Non direi - le assicurò Antonio, baciandoglielo.
Dalia guardò gli affreschi che all'inizio l'avevano intimidita e turbata, e
uno in particolare le fece venire un'idea. Si mise in ginocchio e lo invitò a
fare lo stesso. Lo fece mettere in piedi e, sempre in ginocchio, si mise
davanti a lui.
- Che vuoi fare, Dalia? - le chiese.
- Darti di nuovo piacere, Antonio - gli rispose lei con voce suadente.
Gli afferrò il membro, di nuovo duro e pronto, e se lo posizionò tra i due
seni, imprigionandolo.
Iniziò a muoversi su e giù con il busto, trascinando il pene con sé e
dando immenso piacere al padrone.
Le mani di Antonio tornarono tra i capelli di Dalia, ormai scarmigliati, e
si godé le magnifiche sensazioni che gli stava facendo provare.
Quando capì di non poter resistere ancora per molto e volendola
possedere fino nell'anima, si staccò da lei e la fece stendere, non tanto
dolcemente, ma in quel momento non se ne preoccupò, tanto meno lo fece
Dalia.
Le allargò le gambe e, mettendosi in ginocchio tra le sue cosce, la
penetrò con slancio, facendola urlare di piacere.
Iniziò a muoversi, continuando a tenere le gambe di Dalia tra le proprie
mani.
Dalia sentì di nuovo quella tensione crescere, sempre di più.
Antonio portò una mano tra le gambe della donna e, come aveva fatto
prima, le stuzzicò il clitoride, strofinandolo tra pollice e indice.
A quel punto Dalia raggiunse nuovamente l'orgasmo, mentre Antonio
continuava a spingere sempre più velocemente, arrivando a propria volta
alla vetta del piacere.
Antonio si staccò da Dalia per non caderle addosso e pesarle, e si stese al
suo fianco, cercando di riprendere fiato.
La fece accoccolare addosso a sé e Dalia si addormentò
immediatamente. Prima che cadesse anche lui in un sonno profondo dovuto
al sopraggiungere dell'orgasmo, Antonio la prese in braccio, la portò nella
camera affianco e l'adagiò sul letto, coprendola. Poi si mise al suo fianco,
dove si addormentò, soddisfatto e contento, immaginando ciò che avrebbe
potuto fare a Dalia con quell'ottimo vino che non avevano ancora gustato.
I TREDICI VOLTI DEL PIACERE
GALEOTTA BIBLIOTECA
Harvard, Massachussetts – fine settembre, 2011