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BIOETICA E BIODIRITTO – MARINA LALATTA

IL SILENZIO DELLA TORTURA – MARINA LALATTA

1. IL SILENZIO
La pratica della tortura è un sistema eccezionale di produzione di violenza pubblica. Essa ha varie
sfaccettature:

► SILENZIO COME OCCULTAMENTO.


Il silenzio della tortura si riferisce al silenzio come occultamente delle torture illegali nel mondo, alla
mistificazione di oscenità che accadono realmente e regolarmente. Esse vengono presentate il piu delle volte
come interrogatori severi ma eccezionali. L’ Italia appare come paradigma di questo silenzio, continuando a
reiterare piu volte il disconoscimento di legiferare in materia, e considera la tortura come una fattispecie penale.
a. Il 7 Aprile 2015 la Corte Europea per i diritti dell’uomo (Strasburgo) condanna l’Italia per le violenze
commesse dalla polizia in occasione del G8 di Genova ( 2 Luglio 2012).
b. Il 23 febbraio 2016 la Corte condanna l’Italia per aver abusato del segreto di stato e per aver rapito e
detenuto illegalmente l’ex Imam Abu Omar. Per grazia che i presidenti Napolitano e Mattarella hanno
accordato ai tre agenti della Cia, consegnando l’Imam a un paese come l’Egitto dove la violazione dei
diritti umani, e soprattutto l’utilizzo della tortura erano ben noti.
L’ introduzione del reato di tortura è doverosa poiché coerente con il testo costituzionale: dove si chiede
senza condizioni e distinguo il rispetto della persona umana. La tortura non è una violenza come un’altra, è la
distruzione deliberata della personalità e della dignità della vittima attraverso l’inflizione di gravi sofferenze
fisiche o psichiche, l’annientamento dell’Altro come persona.

► SILENZIO COME MENZOGNA


La seconda accezione di silenzio in materia di tortura è la negazione della verità, difatti la storia della tortura si
intreccia strettamente alla storia della menzogna pubblica, dall’ età moderna infatti la menzogna ha duplice
valenza:
a. Menzogna come occultamento della verità per convenienza, come arcani imperi o segreto di stato.
b. Menzogna come azione: in cui mentire significa incidere nella realtà, conferendo una certa direzione agli
eventi.
Derrida afferma che alla base dell’esigenza di mentire vi è la tortura come modalità peculiare e
riconducibile allo spessore creativo di chi mente. Di fatti il racconto migliore avrà piu opportunità di affermarsi e
ovviamente migliore non è inteso in senso morale. La Arendt distingue dagli arcani imperii la falsificazione
pubblicamente esibita, della verità di fatto.
La menzogna politica tradizionale riguardava:
- O dei veri segreti, dati che non erano mai stati resi pubblici
- O delle intenzioni che non possedevano lo stesso grado di attendibilità dei fatti compiuti.
Sono strategie di governo che non riconoscono il principio della trasparenza nell’ esercizio del potere e
prevedono anche la possibilità di non rendere disponibili fatti per il bene della comunità politica. Machiavelli di
fatti sosteneva la bontà della segretezza, arte propria del Principe che deve poter saper volgere le circostanze a
proprio vantaggio senza limiti moralmente definiti. Qui la menzogna è uno strumento tra gli altri a disposizione
del politico. Mentre al contrario la menzogna politica moderna si occupano efficacemente di cose che non sono
affatto dei segreti, ma sono conosciute da tutti.
Mentire come INVENZIONE PROGRAMMATICA di concetti e fatti allo scopo di creare una nuova realtà,
funzionale al proprio interesse o potere. Questo tipo puo condurre persino alla creazione di una società
totalitaria, di un mondo capovolto dove la menzogna passa alla storia e diventa verità, dove a vivere è la
contraddizione.

Orwell in 1984: vede la menzogna come un atto di consapevolezza di indurre inconsapevolezza, facendo
diventare inconsapevoli gli individui nell’atto di ipnosi appena attuato.

Arendt: vede la menzogna organizzata come azione che tende a distruggere ciò che ha deciso di negare.

La menzogna intesa come falsificazione della verità sui fatti ha dunque valenza riconducibile alla
legittimazione dell’ordine politico nel quale si realizza e diventa prassi. La verità di fatto è sempre connessa ad
altri, contenendo eventi e circostanze in cui sono coinvolti in molti. Essa esiste soltanto nella misura in cui se ne
parla anche se ciò accade in privato, informando il pensiero politico cosi come la verità razionale informa la
speculazione filosofica. La tortura dunque è vista in questo caso come una necessità a cui pochi riescono a
resistere, tanto che nessuna violenza esercitata dall’ uomo, eccetto quella usata nella tortura, puo eguagliare la
forza naturale con cui la necessità stessa ci costringe.
Come nella persecuzione delle streghe tra il 14 e 17 secolo in cui i processi per stregoneria potevano
essere visti in forma di conflitto sociale e culturale, per cui una classe dominante colta cercò di imporre la
propria visione del mondo al resto della popolazione pressoché analfabeta. Nel fare questo soppresse o
trasformò di fatti un intero complesso di credenze popolari, andando a colpire la classe piu debole, per lo piu
donne anziane, vedove, strane come capo espiatorio del panico sociale, alimento dall’ autorità politica per la
propria sicurezza. Un ‘autorità fomentatrice del senso di insicurezza sociale, volta a compensare l’insicurezza
istituzionale, incline a recuperare la propria sicurezza e stabilità alimentando il sentimento contrario del popolo.
La vicenda dei processi delle streghe è un fenomeno strettamente legato alla produzione sistematica ed
esponenziale della menzogna della società e dunque l’ uso politico e giudiziario dello strumento che per
eccellenza sa creare e alimentare ogni sorta di menzogna: la tortura. La tortura adesso diviene un mezzo
efficacissimo per inventare la realtà desiderata.

► SILENZIO COME DESERTO INTERIORE.


Il silenzio della tortura vuol dire anche annichilimento interiore, per cui Matthew Kramer sostiene che per
spiegare perché la tortura sia sbagliata, bisogna prima spiegare cosa sia la tortura. Questa viene spesso
identificata con l’ inflizione di gravi sofferenze fisiche o psichiche ai danni di un individuo ridotto in condizione di
privazione della libertà.
David Luban sostiene poi che la tortura è paragonabile a un totalitarismo in miniatura, poiché l’uso di
sofferenza e dolore è teso nella tortura a comunicare l’assoluto dominio del torturatore sulla assoluta impotenza
della vittima, non dando la possibilità di fare esperienze neurologiche di considerevole intensità.
Otto Doer Zegers, invece parla della tortura come un teatro totale, sottolineando la pervasività spazio-
temporale e mentale. Intuizione secondo la quale c’è qualcosa di moralmente specifico nella tortura, che la
distingue dagli altri tipi di violenza, poiché costringe le sue vittime in una posizione che le porta a scontrarsi con
se stesse, a fare esperienza contemporaneamente della propria impotenza e della propria complicità nella
violazione di se. La tortura calunnia il valore della dignità trattando il soggetto nelle sue mani come un mero
mezzo, ritorcendo la dignità umana contro sé stessa in modo offensivo, disintegrando le strutture di pensiero.

► SILENZIO NELL’AGUZZINO.
La tortura quindi sfalda ogni canale comunicativo sensoriale, intellettuale ed emotivo, creando il deserto
intorno alla vittima e pietrificando il torturatore che per divenire tale, attraversa un processo di estraneazione e
riconversione della propria morale e della propria personalità.
Roberto Escobar sostiene che per scacciare l’individualità della vittima occorre prima che si deformi quella
del persecutore. L’atto persecutorio è difatti sempre collettivo, ma i persecutori in quanto totalità risulteranno
sempre uno.
Il silenzio del torturatore quindi viene visto come ottusità non cognitiva, ma emotiva. La sua carenza di
discernimento e di disponibilità al giudizio e alla ponderazione, lo rendono capace di infliggere supplizi inumani.
È dunque il silenzio di un interiorità nella quale non si muovono pensieri, ne ricordi: i peggiori malfattori sono
coloro che non ricordano, e senza ricordi niente e nessuno puo trattenerli da ciò che fanno secondo la Arendt. Il
peggior male non è il male radicale, ma un male senza radici e ricordi, e su queste basi non ha limiti di sorta.

► SILENZIO NELLA SOCIETA’


La tortura inoltre è anche la frantumazione intenzionale della personalità e della dignità del torturato
attraverso l’inflizione di sofferenze atroci fisiche o psichiche, di cui l’isolamento è fondamentale. La tortura come
rottura di ogni legame sociale, come se la vittima si trovasse difronte a due alternative di morte. Se parla avrà un
abissale vergogna di sé, non riuscirà a trovare pace con se stessa, ma se non parla il prezzo è il silenzio, è il gelo e
la fissità dentro di se. La tortura è peggiore della morte stessa, con il supplizio aggiuntivo dell’essere gravati, di
doverne portare il fardello.
Nella tortura perdono tutti: il torturatore, la vittima, ma anche la società che ha accolto o non ha offerto
adeguata resistenza a un germe maligno che costituisce il principio certo della propria disintegrazione.

2. GIANO BIFRONTE
La tortura puo essere raffigurata come un GIANO BIFRONTE: come strumento giudiziario volto a garantire
la presunta certezza del diritto, ricercata attraverso la ricostruzione della verità processuale tramite la
confessione dei sospettati e dei testimoni. Dall’ intreccio del piano giudiziario con quello politico affiorano le
ragioni profende dell’utilizzo della tortura nei secoli, che soprattutto tra 400/500 diviene prassi in tutta Europa.
Come la legittimazione di Nicolo Machiavelli della tortura, sia nel Principe che nei Discorsi, per cui rimanda a una
spiegazione come strumento utile ai fini di scoprire la verità.

I giudizi estremi poi sono lo strumento necessario non tanto per dare giustizia quanto piu per tenere i
sudditi a bada in modo che non possano offendere il sovrano, parlando dunque di criterio di efficacia piu che
giustizia resa. La logica attuata è politica, per cui ha un primato sul diritto, in quanto l’efficacia politica dell’azione
su qualsivoglia principio di correttezza è connesso all’esercizio di un’attività giudiziaria.
Jean Bodin, in Demonomania degli stregoni nel 1580, difende la necessità della tortura nell’ interrogatorio
ad una donna sospettata di stregoneria, anche qualora possa risultare non affidabile l’accusa. Sostenendo che le
repubbliche si conservano anche grazie alla distribuzione di premi ai buoni e pene ai cattivi, soprattutto per i
delitti “contro l’autorità di Dio” come rappresenta la stregoneria all’ epoca. Bodin dunque accoglie come
legittima qualsivoglia pena che il giudice vuole infliggere contro i malefici, anche senza processo.

► LA LOTTA CONTRO LA TORTURA.


Vi fu un importante elaborazione dottrinale sulla tortura e sulla sua irrazionale iniquità a partire dal 500
fino al 700:
- 500
1) Nel 1522 Jean Luis Vives in un commento al “De Civitate Dei” di Agostino, riprende la netta
condanna agostiniana e rifiuta la tortura per la sua irragionevolezza tanto morale quanto
strumentale.

La tortura difatti è contraria all’ umanità ed è ritenuta inutile sotto il profilo giudiziario poiché la vittima
pur di porre fine ai tormenti è disposta a confessare anche ciò che non è realmente accaduto, a prescindere
dalle effettive responsabilità. Vives è d’accordo con il concetto per cui la pratica della tortura si origina da
tirannie disumane, per cui non vi è la necessità di replicare la discussione elencandone i pro e i contro, anche
perché tutto ciò che viene avallato contro la tortura è giusto, mentre le posizioni a suo favore risultano deboli.

2) Montaigne nel “Saggio Della coscienza”, afferma che la tortura rappresenta una pratica disumana
e inutile poiché si ritorce contro coloro che ne fanno l’utilizzo. Pone l’esempio della vespa che
pungendo nonostante faccia male ad altri ne fa soprattutto a sé stessa, poiché perde il
pungiglione e la sua forza naturale.

Quella dei supplizi è un’invenzione pericolosa, e sembra che sia piuttosto un modo di mettere alla prova la
pazienza piu che la verità. È colui che li può sopportare, nasconde la verità come colui che non li può sopportare.
“Infatti, per quale ragione il dolore mi farà confessare quello che è, piuttosto che forzarmi a dire quello che non
è? È , al contrario, se colui che non ha commesso ciò di cui lo si accusa è abbastanza paziente per sopportare
quei tormenti, perché non lo sarà colui che l’ha commesso, dato che gli si sarà promessa una così bella
ricompensa come la vita? Penso che il fondamento di quella invenzione sia basato sulla considerazione dello
sforzo che fa la coscienza. Infatti, nel colpevole, sembra che essa l’aiuti nella tortura per fargli confessare la
propria colpa, e che lo indebolisca; e, d’altra parte, che essa dia forza all’innocente a sopportare la tortura. A dir
vero essa è un mezzo pieno di incertezza e di pericolo. Da ciò deriva che quello che il giudice ha messo alla
tortura per non farlo morire innocente, lo faccia morire innocente e torturato. Molto disumanamente tuttavia e
molto inutilmente, secondo me! Che colpa ha egli della vostra ignoranza? Non siete forse ingiusti voi che per
non ucciderlo senza ragione, gli fate peggio che ucciderlo?”
3) Tommaso Moro, sostiene il ripudio alla violenza nella sua rappresentazione immaginaria di
Utopia. Esperisce in prima persona quanto la tortura sia malevola, poiché i supplizi a cui venne
ripetutamente sottoposto lo costrinsero a rinnegare tutto, perfino il suo credo religioso.

“Essendo probabile, figlia mia teneramente amata, che ti giunga notizia del nuovo interrogatorio al quale
mi hanno sottoposto i membri del Consiglio, ritengo necessario inviarti una parola per informartene. E per non
dilungarmi, ti dirò subito che ho notato poca differenza fra questo e il precedente, giacché, a quanto sembra,
l’unico scopo di questi interrogatori è che io finisca per pronunciarmi in modo categorico in favore dell’una o
dell’altra tesi.”

- 600
1) Von Spee nel suo “Saggio Cautio criminalis”, presenta almeno sette argomenti contro la tortura,
riconducibili a una concezione giusnaturalistica del diritto e a una morale universalistica fondata
sulla retta ragione e compassione.

Difatti Hegel descrive questo scritto contro i processi alle streghe dove si impara a conoscere tutta
l’atrocità della giustizia criminale in questi casi. La tortura di cui l’applicazione doveva essere fatta una sola volta,
veniva perseguita fino ad ottenere una confessione, per cui ogni resistenza o cedimento fisico della vittima
veniva ricondotta alla volontà del diavolo che risiedeva in esso.
Von Spee riteneva che per quanti siano i roghi innalzati dai principi, non sarebbero stati mai abbastanza a
meno di non ardere ogni cosa. Sconvolgono le terre peggio che per una guerra, poiché non ha un risultato.
Sosteneva anche che se l’innocenza poteva rendere tenace la vittima, la colpevolezza rendeva ostinato ili
colpevole, le stesse forze di natura che sosterranno contro la tortura l’innocente, sosterranno anche il colpevole,
l’innocente però soccomberà prima.
Continua domandando al giudice quale lo scopo di torturare un imputato, se la tortura rappresenti la pena
per il delitto o se invece è un modo per arrivare alla verità? Ma la tortura come pena è di perse un contro diritto,
in quanto inaudita, inoltre se la si è utilizzata come strumento di verità, di fatto è perché nessuno dei giudici era
arrivato a una reale verità. Per lui la tortura comunemente usata era durissima e provocava dolori terribili. La
natura del dolore è tale che nella maggior parte dei casi per evitarlo si preferisce morire, quindi aumenta il
rischio che per sfuggire a questi supplizi, molte vittime confessino delitti che non hanno commesso o si
attribuiscano la responsabilità di un crimine qualunque, magari suggerito dai torturatori o inventato da loro
stesse.

Argomenti:
a. Eccezionalità dei delitti: per cui la particolarità dei delitti era un alibi per l’abuso della tortura,
fondata sulla sottointesa idea fallacea che la specificità del delitto giustificava la discrezionalità
nella comminazione della pena
b. Garanzia del diritto di difesa adeguata: dove la tortura strutturalmente viola il diritto di difesa
e della presunzione di innocenza. Il Principe è tenuto a stimolare l’impegno dei suoi sottoposti
perché venga evitata ogni possibilità di danno a innocenti.
c. Confutazione della dottrina del doppio effetto: nel caso della tortura il movente dell’azione ne
qualifica la moralità o meno. La sofferenza della tortura sarebbe per i sostenitori, l’effetto
secondario recessivo rispetto al vantaggio derivante.
d. Applicazione fallacia della tortura: per cui si dovrà evitare la guerra, dove spesso
innocenti e colpevoli muoiono della stessa morte? Mentre durante la guerra questo accade in
modo indiretto e senza infamia, con la tortura le vittime vengono eliminate secondo tutti i punti di
vista e direttamente con infamia, peggiore della morte stessa.
e. Dignità relazionale: Per Von Spee l’infamia procura allo Stato un male maggiore del bene
che si puo sperare di ricavare. In guerra si perde solo la vita e non l’onore, mentre con la tortura si
perdono entrambi in modo gravissimo, per cui intere famiglie vengono disonorate per sempre.
f. Inutilità della tortura come strumento di verità: molte vittime per sfuggire dunque alle
sofferenze della tortura, si attribuiscono la responsabilità del crimine che gli accusatori vogliono
accreditargli.
g. Immoralità: per cui nella tortura la sofferenza è gratuita, in cui le vittime innocenti
vengono sottoposte senza valida ragione.

- Stagione abolizionista del 700


Thomasius in Dissertazio de tortura, condanna in modo chiaro e incondizionato la tortura giudiziaria e
politica. Per cui anche lui esprime 4 argomenti contro di essa, avallando anche gli argomenti di Von Spee:
a. Diritto naturale secondo valida ragione: per cui la tortura è contro natura a prescindere da ogni altra
considerazione di opportunità o fittizia moderazione. Ne segue che le legittimazioni della tortura in
nome della storia e della consuetudine sono fallaci.
b. Carattere religioso: la lotta contro le streghe rende giusto l’utilizzo di tortura poiché considerate
antireligiose, ma né le Scritture ne la Morale Cristiana sono compatibili in se e per se con questo
strumento.
c. Presunzione di innocenza: l’utilizzo della tortura in sé non consente la presunzione di innocenza in
quanto, una vittima innocente sotto queste sofferenze, sarà costretta e indotta a dire cio di cui non è
responsabile
d. Inutilità: la tortura è inutile e paradossale per cui il giudice tramite di essa non acquisisce nulla con
certezza, compromettendo la verità del caso.

Il ruolo strettamente giudiziario della tortura è legato piu a un uso politico, inutile ed ingiusta perché viola
il diritto naturale, la morale cristiana, e il principio di presunzione di innocenza. Montesquieu affermava che vi
era l’impossibilità di un discorso giustificatorio protortura, il cui significato politico non nasconde il fatto che
sotto questo profilo potrebbe essere utile, ma lo respinge poiché viola appunto la natura dell’uomo.

CESARE BECCARIA DEI DELITTI E DELLE PENE.


Nel 1764 Cesare Beccaria scrive Dei delitti e delle pene, con cui nasce il garantismo penale: la condanna
giuridica e morale della tortura si fonda ora sul cambiamento radicale della visione del diritto. Il veto sulla
tortura corrisponde all’affermazione di un concetto democratico di diritto. Afferma che la giustizia umana, o sia
politica non essendo che una relazione fra l’azione e lo stato vario della società, puo variare a misura che diventa
necessaria o utile alla società quell’azione. Posto che i principi distinti come la giustizia divina, giustizia naturale,
giustizia umana vengano confusi non c’è speranza di ragionare bene nelle materie pubbliche. Lo stabilire i
rapporti del giusto e dell’ingiusto politico, cioè dell’utile o del danno della società, spetta al pubblicista.
Per Beccaria la tortura era:
1. La tortura è giudiziaria, impiegata a ottenere la confessione da parte del sospettato
2. Viene anche intesa quale mezzo di purificazione per la grave infamia commessa. Qui la tortura è
sempre giudiziaria, ma non strutturalmente processuale, bensì come adeguata alla retribuzione della
pena per un reato di massima gravità
3. Ha anche un fine politico della tortura che consiste nel suscitare il terrore degli altri uomini.

Utilizza 4 argomenti principali per delegittimare la tortura e bandirla da ogni sistema giuridico:
I) La presunzione di innocenza quale diritto soggettivo riconosciuto all’accusato non ancora
giudicato colpevole, cioè si è innocenti fino a prova contraria.
II) Riguarda l’inutilità della tortura: anche nel caso in cui il sospetto sia reo, è inutile per farlo
confessare e svia necessariamente le indagini, essendo una confessione così ottenuta
condizionata dalla sua natura estrema, non dalla sua maggiore o minore corrispondenza ai fatti
realmente accaduti. Sciascia afferma infatti che la confessione per tortura è frutto della paura, del
terrore e del dolore.
III) L’ irrazionalità intrinseca della tortura come mezzo giudiziario. Essa muove da un’equiparazione di
fatto tra reo e l’innocente, ai quali viene riservato il medesimo trattamento e ciò è irrazionale. L’
innocente è posto in peggiore condizione che il reo: il primo ha tutte le combinazioni contrarie
perché o confessa il delitto ed è condannato, oppure è dichiarato innocente ed ha sofferto una
pena debita, ma il reo ha un caso favorevole, cioè quando resiste alla tortura con fermezza e deve
essere assolto come innocente. In questo ha cambiato una pena maggiore in una minore.
IV) L’argomento che adduce per condannarla chiama in causa il principio di giustizia, poiché si tratta
di abuso di potere. Un altro ridicolo motivo della tortura è la purgazione dell’infamia, cioè un
uomo giudicato infame dalle leggi deve confermare la sua deposizione con lo slogamento delle
sue ossa. Assurdo perché l’infamia è un sentimento non soggetto ne alle leggi ne alla ragione, ma
all’ opinione comune. Con questo metodo si toglierà l’infamia dando l’ infamia.

SULLE LEGGI: le leggi sono le condizioni con le quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società,
stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall’ incertezza di conservarla.
Essi ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità. La somma di queste porzioni
di libertà sacrificate al bene di ciascuno forma la sovranità di una nazione, e il sovrano è il legittimo depositario
ed amministratore di quelle. Ma non basta il formare il deposito, bisogna anche difenderlo dalle private
usurpazioni di ciascun uomo in particolare, che cercano sempre di togliere dal deposito non solo la propria
porzione, ma usurparsi anche quella degli altri. Vi volevano dei motivi sensibili che bastassero a distogliere il
dispotico animo di ciascun uomo dal risommergere nell’antico caos le leggi della società. Questi motivi sono le
pene sensibili contro gli evasori delle leggi.
Inoltre le leggi che sono patti di uomini liberi non sono state per lo piu che lo strumento delle passioni di
alcuni pochi, o nate da una fortuna e passeggiera necessità: non già dettate da un freddo esaminatore della
natura umana, che in un sol punto concentrasse le azioni di una moltitudine di uomini, e le considerasse in
questo punto di vista la massima felicità divisa nel maggior numero. Fu dunque la necessita che costrinse gli
uomini a cedere parte della propria libertà: egli è dunque certo che ciascuno non ne vuol mettere nel pubblico
deposito che la minima porzione possibile, quella sola che basti a indurre gli altri a difenderlo. L’aggregato di
queste minime porzioni possibili forma il diritto di punire, ciò che è di piu è abuso e non è giustizia, è un fatto ma
non diritto. Osservate che la parola diritto non è contraddittoria alla parola forza, ma la prima è piuttosto una
modificazione della seconda, cioè quella piu utile ai piu. Per giustizia intendo il vincolo necessario per tenere
uniti gli interessi particolari, che senz’esso si scioglierebbero nell’antico stato di insociabilità. Tutte le pene che
oltrepassano la necessità di conservare la giustizia sono ingiuste di loro natura. Bisogna dunque guardare di non
attaccare alla parola giustizia l’idea di qualche cosa di reale, come di una forza fisica, o di un essere esistente. In
questo modo gli uomini concepiscono, che influisce sulla felicità di ciascuno, neanche la giustizia emanata da Dio
e che ha i suoi immediati rapporti con le pene e le ricompense della vita futura.
Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi siano chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia
condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno
le classi degli uomini che gli uomini stessi. Fate che gli uomini le temano e temano esse sole. Il timor delle leggi è
salutare, ma fatale e fecondo di delitti è quello di uomini a uomo. Gli uomini schiavi sono piu voluttuosi, piu
libertini, piu crudeli degli uomini liberi. Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. Un
altro mezzo di prevenire i delitti è di interessarsi al consenso dell’esecutore delle leggi piuttosto che
all’osservanza di esse alla corruzione. È anche quello di ricompensare la virtù. Finalmente il piu sicuro ma il piu
difficile mezzo per prevenire i delitti è anche quello di perfezionare l’educazione, ma non con il comando incerto
con cui si ottiene una simulata e momentanea ubbidienza.
L’ ufficio di un giudice non consiste in altro che di accertare un fatto. Chi sarà dunque legittimo a
interpretare le leggi? Il sovrano, cioè il depositario delle attuali volontà di tutti, o il giudice il cui ufficio è quello di
esaminare se un uomo ha fatto un’azione contraria alle leggi? Ad ogni delitto infatti si deve al giudice un
sillogismo perfetto: la maggiore deve essere la legge generale, la minore l’azione conforme o no alla legge e la
conseguenza la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la
porta all’ incertezza. Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice,
di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre,
dalle relazioni del giudice con l’offeso e da tutte quelle minime forze che cambiano le apparenze di ogni oggetto
nell’animo fluttuante dell’uomo.

SULLE PENE: ogni pena che non derivi dall’ assoluta necessità è tirannica, proposizione che si puo rendere
piu generale cosi ovvero, ogni atto di autorità di un uomo a uomo che non derivi dall’assoluta necessità è
tirannico. Ecco dunque sopra di che è fondato il diritto del sovrano di punire i delitti: sulla necessità di difendere
il deposito della salute pubblica delle usurpazioni particolari e tanto piu giuste sono le pene, quanto piu sacra e
inviolabile è la sicurezza e maggiore la libertà che il sovrano conserva ai sudditi. Montesquieu ha rapidamente
scorso di questa materia, me fortunato se potrò ottenere, com’esso i segreti ringraziamenti degli oscuri e pacifici
seguaci della ragione, e se potrò inspirare quel dolce fremito con cui le anime sensibili rispondo a chi sostiene gli
interessi dell’umanità.
Ma quali saranno le pene convenienti a questi delitti? La morte è una pena veramente utile e necessaria
per la sicurezza e pe buon della società? La tortura e i tormenti sono giusti, e ottengono il fine che si propongono
le leggi? Qual è la miglior maniera di prevenire i delitti? Le medesime pene sono ugualmente utili in tutti i tempi?
Qual’ influenza hanno sui i costumi? Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né
disfare un delitto già commesso. Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di
rimuovere gli altri dal farne uguali. Il piu grande freno dei delitti è la crudeltà delle pene, ma l’infallibilità di esse
e per conseguenza la vigilanza dei magistrati, e quella severità di giudice inesorabile, che, per essere un’utile
virtù, dev’essere accompagnata da una dolce legislazione.
La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di
un altro piu terribile, unito con la speranza dell’impunità. Perché una pena ottenga il suo effetto basta che il
male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto, e in questo eccesso di male dev’essere calcolata
l’infallibilità della pena e la perdita del bene che il delitto produrrebbe. Tutto il di piu è dunque superfluo e
perciò tirannico. Perché una pena sia giusta non deve avere che quei soli gradi d’intensione che bastano a
rimuovere gli uomini dai delitti.

SULL’ UTILITA’: i veri rapporti tra uomini e uomini sono rapporti di uguaglianza. La sola necessità ha fatto
nascere dall’ urto delle passioni e dalle opposizioni degli interessi l’idea dell’utilità comune, che è la base della
giustizia umana. Falsa idea di utilità è quella che antepone gli inconvenienti particolari all’ inconveniente
generale, è quella che comanda ai sentimenti invece di eccitargli, che dice alla logica: servi. È quella che sacrifica
mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che togliesse agli uomini il fuoco
perché incendia e l’acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere. La falsa idea di utilità è
quella che vorrebbe dare una moltitudine di esseri sensibili la simmetria e l’ordine che soffre la materia bruta e
inanimata, è anche quella che trascura i motivi presenti, che soli con costanza e con forza agisce sulla
moltitudine, se una forza d’ immaginazione, non ordinaria nell’ umanità, non supplisce con l’ingrandimento alla
lontananza dell’oggetto. Dunque, è quella che, sacrificando la cosa al nome, divide il bene pubblico dal bene di
tutti i particolari.
SUI DELITTI: La vera misura dei delitti è il danno della società. Non solamente è interesse comune che non
si commettano delitti, ma che siano piu rari a proporzione del male che arrecano alla società. Dunque, piu forti
debbono essere gli ostacoli che respingono gli uomini dai delitti a misura che contrari al bene pubblico, ed a
misura delle spinte che gli portano ai delitti. Dunque, vi deve essere una proporzione fra i delitti e le pene. È
meglio prevenire i delitti che punirli, questo è il fine principale d’ogni buona legislazione, che è l’arte di condurre
gli uomini al massimo di felicità o al minimo d’ infelicità possibile, per parlare secondo tutti i calcoli dei beni e dei
mali della vita.

SULLA LIBERTA’: La privazione della libertà essendo una pena, non puo precedere la sentenza se non
quando la necessità non lo richiede. Il carcere è dunque la semplice custodia d'un cittadino finché non sia
giudicato reo, e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile e deve
essere meno dura che si possa. Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l’uomo
cessi di essere persona e diventi cosa.

SULLA PENA DI MORTE: Quale puo essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili?
Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni
della privata libertà di ciascuno. Esse rappresentano la volontà generale, che è l’aggregato delle particolari. Chi è
mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della
libertà di ciascuno vi puo essere quello del massimo tra tutti i beni della vita? E se ciò fu fatto, come si accorda
un tal principio con l’altro, che l’uomo non è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare ad altri
questo diritto o alla società intera?
Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non puo, ma è una guerra
della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò
non essere la morte ne utile ne necessaria, avrò vinto la causa dell’ umanità. La morte di un cittadino non puo
credersi che per due motivi:
- Il primo quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza che interessi la
sicurezza della nazione. Quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella
forma di governo stabilita.
La morte di qualche cittadino diviene necessaria quando la nazione recupera o perde la sua libertà o nel
tempo d’anarchia, quando i disordini stessi tengono luogo di leggi. Ma durante tempi non sospetti tranquilli,
regno di leggi, in una forma di governo per la quale i voti della nazione siano riuniti, ben munita al di fuori e al di
dentro la forza e dalla opinione, forse è piu efficace della forza medesima.

- Il secondo motivo è dove il comando non è che presso il vero sovrano, e dove le ricchezze comprano
piaceri e non autorità, io non vedo necessità di distruggere un cittadino se non qualcuno per cui la
morte sarebbe il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commetterne altri.

In generale non è utile la pena di morte per l’esempio di atrocità che dà agli uomini. Mi sembra assurdo
che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne
commettono uno e per allontanare i cittadini dall’ assassinio, ordinano il pubblico di assistervi. Con la pena di
morte ogni esempio che si dà alla nazione suppone un delitto, nella pena di schiavitù perpetua un solo delitto da
moltissimi e durevoli esempi. Chi dice che la schiavitù perpetua è dolorosa quanto la morte, e perciò egualmente
crudele, io rispondo che sommando tutti i momenti infelici della schiavitù lo sarà forse anche di piu. Ma questi
sono stesi sopra tutta la vita e quella esercita tutta la sua forza in un momento: ed è questo il vantaggio della
pena di schiavitù che spaventa piu chi la vede che chi la soffre. La pena di morte diviene uno spettacolo per la
maggior parte un oggetto di compassione mista a sdegno per alcuni, ambedue sentimenti occupano piu l’animo
degli spettatori che non il salutare terrore che la legge pretende inspirare.
Non è l’intensione della pena che il maggior effetto sull’animo umano, ma l’ estensione di essa, perché la
nostra sensibilità è piu facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte ma
un passeggero movimento. Non è terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato ma il lungo e
stentato esempio di un uomo privo di libertà, che divenuto bestia di servigio, ricompensa con le sue fatiche
quella società che ha offesa, che è il freno piu forte contro i delitti.

SULLA TORTURA: Un uomo non puo chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società puo
coglierli la pubblica protezione. Quale è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la podestà ad un
giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente? O il delitto è certo o incerto: se
certo, non gli conviene altra pena che la stabilità delle leggi, ed inutili sono i tormenti, perché inutile è la
confessione del reo, se è incerto è non Devesi tormentare un innocente perché tale è secondo le leggi un uomo i
di cui delitti non sono provati. Ch’egli è un voler confondere tutti i rapporti l’esigere che un uomo sia nello stesso
tempo accusatore ed accusato, che il dolore divenga il crogiuolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda
nei muscoli e nelle fibre di un miserabile. Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di
condannare i deboli innocenti che i Romani, barbari anch’essi per piu d’ un titolo riserbavano ai soli schiavi,
vittime di una feroce e troppo lodata virtù.
Un altro ridicolo motivo della tortura è la purgazione dell’infamia cioè un uomo giudicato infame dalle
leggi deve confermare la sua deposizione con lo slogamento delle sue ossa. Quest’abuso non dovrebbe essere
tollerato nel 18sec l’infamia è un sentimento non soggetto a leggi né alla ragione, ma all’opinione comune. La
tortura medesima cagiona una reale infamia a chi ne è la vittima. Dunque, con questo metodo si toglierà
l’infamia dando l’infamia. La sola differenza che passa tra la tortura e le prove del fuoco e dell’acqua bollente
che l’esito della prima sembra dipendere dalla volontà del reo, e delle seconde da un fatto puramente fisico ed
estrinseco: ma questa differenza è solo apparente e non reale.
È così poco libero il dire la verità fra gli spasmi e gli strazi, quanto lo era allora l’impedire senza frode gli
effetti del fuoco e dell’acqua bollente. Ogni atto della nostra volontà è sempre proporzionato alla forza
dell’impressione sensibile, che ne è la sorgente, e la sensibilità di ogni uomo è limitata. Dunque, l’impressione
del dolore puo crescere a segno che, occupandola tutta, non lasci alcuna libertà al torturato che di scegliere la
strada piu corta per il momento presente, onde sottrarsi di pena. Allora la risposta del reo è cosi necessaria
come le impressioni del fuoco o dell’acqua, allora l’innocente sensibile si chiamerà reo, quando egli creda con
cio di far cessare il tormento. L’esito dunque della tortura è un affare di temperamento e di calcolo, che varia in
ciascun uomo in proporzione della robustezza e della sua sensibilità, tanto che con questo metodo un
matematico scioglierebbe meglio che un giudice questo problema: data la forza dei muscoli e la sensibilità delle
fibre d’ un innocente, trovare il grado di dolore che lo farà confessare reo di un dato delitto.
Le nostre leggi proscrivono le interrogazioni suggestive in un processo. Le interrogazioni secondo i
criminalisti devono per dir così inviluppare spiralmente il fatto, ma non andare giammai per dritta linea a quello.
I motivi di questo metodo sono o per non suggerire al reo una risposta che lo metta al coperto dell’accusa, o
forse perché sembra contro la natura stessa che un reo si accusi immediatamente da sé. Qualunque sia di questi
due motivi è rimarcabile la contraddizione delle leggi che unitamente a tale consuetudine autorizzano la tortura.
Quale interrogazione piu suggestiva del dolore?
- Il primo motivo si verifica nella tortura, perché il dolore suggerirà al robusto un’ostinata taciturnità
onde cambiare la maggior pena con la minore ed al debole suggerirà la confessione onde liberarsi dal
tormento presente piu efficacie per allora che non il dolore avvenire.
- Il secondo motivo è ad evidenza lo stesso, perché se una interrogazione speciale fa contro il diritto di
natura confessare reo, gli spasmi lo faranno molto piu facilmente.
Il robusto ed il coraggioso sarà assoluto, il fiacco ed il timido condannato in vigore di questo esatto
raziocinio: il giudice doveva trovarvi rei di un tal delitto, tu vigoroso hai saputo resistere al dolore, e pero ti
assolvo: tu debole vi hai ceduto e pero ti condanno. Sento che la confessione strappatavi fra i tormenti non
avrebbe alcuna forza, ma io vi tormenterò di nuovo se non confermerete ciò che avete confessato. Una strana
conseguenza che necessariamente deriva dall’ uso della tortura è che l’ innocente è posto in peggiore
condizione che il reo, poiché ambedue siano applicati al tormento ma mentre il primo ha tutte le combinazioni
contrarie, poiché o confessa il delitto ed è condannato o è dichiarato innocente ed ha sofferto una pena
indebita; ma il reo ha un caso favorevole per sé, cioè quando, resistendo alla tortura con fermezza, deve essere
assoluto come innocente, ha cambiato una pena maggiore in una minore. Dunque, l’innocente non puo che
perdere e il colpevole puo guadagnare.
Dissi la tortura per scoprire se il reo lo è di altri delitti fuori di quelli di cui è accusato, il che equivale a
questo raziocinio: Tu sei reo di un delitto, dunque è possibile che lo sii di cent’altri, questo dubbio mi pesa,
voglio accertarmene con il mio criterio di verità, le leggi ti tormentano perché sei reo perché puoi essere reo,
perché voglio che tu sia reo.

WILHEM VON HUMBOLT nel saggio Sui limiti dell’attività di Stato, scritto 1792 rivendica un sistema di
giustizia penale nel quale le pene devono ispirarsi al principio di massima mitezza possibile. Di qui porta avanti la
tesi per cui le grandi sofferenze fisiche fanno diminuire nello stesso momento anche il sentimento di vergogna
nel “sofferente” mentre nello “spettatore” quello del biasimo. Per cui il giudice deve applicare tutti i mezzi
legittimi per accettare la verità senza travalicare i limiti del diritto, non deve mai ledere neppure il reo accertato
nel godimento dei suoi diritti umani e civili.
Nell’anno successivo a seguito di questo scritto, scrive la Teoria della formazione dell’uomo sulla base
della Critica del giudizio kantiana, dove esprime la sua teoria di Building dove l’ uomo grazie alle sue opere
esibisce la molteplicità del mondo nella sua individualità e nell’ intero influsso su di essa esercitato dalla sua
epoca e dalla sua nazione. Per questa via si colgono non solo i modi molteplici in cui ogni materia puo essere
rielaborata, ma anche l’effetto che si origina dalla loro concentrazione. Da qui si ottengono due diverse ma
sempre reciprocamente interagenti conseguenze:
- Quelle delle variazioni che una qualche attività dello spirito via via nei suoi progressi ottiene.
- Quella delle variazioni che il carattere degli uomini nelle singole nazioni e nei diversi tempi assume nel
suo insieme attraverso le occupazioni che via via intraprende.
In queste due si manifestano inoltre le deviazioni tramite cui gli individui pieni di genio distolgono
all’improvviso questo andamento naturale altrimenti ininterrottamente progressivo, e fanno sbandare la
loro nazione o la loro epoca bruscamente in altre direzioni che aprono a nuove visioni.
Ma solo nella misura in cui si persegue questo passo dopo passo e alla fine si guarda l’insieme con cui ci si
rende conto di come la formazione dell’ uomo attraverso un procedere regolare raggiunga stabilità, senza per
questo decadere nell’ uniformità, con cui la natura del corpo senza mai produrre alcun che di nuovo, attraversa
sempre di nuovo le stesse trasformazioni.
Mentre nello scritto successivo Sullo spirito dell’umanità cerca di definire il carattere morale che dovrebbe
avere l’uomo nei confronti del mondo, lo spirito con cui dovrebbe affrontare sé stesso, gli altri e ciò che lo
circonda. Stabilendo nell’ introduzione 28 punti fondamentali:
1. All’ uomo al quale inerisce il bisogno di osservare nel suo pensiero e nel suo agire coerenza e unità.
Per cui possono bastare cose le quali hanno valore solo in relazione ad altre, ricercando il fine ultimo,
un criterio primario e assoluto legato in modo stretto e immediato con la sua natura interiore.
2. Finché nelle relazioni esterne dell’umanità molte cose restano fisse e stabili tutto richiede solo di
essere comparato, ed è immediatamente necessario porsi la domanda su quali pericoli minacciano il
benessere dell’uomo, ma poiché tutto è incerto e mutevole solo nella nostra interiorità vi è una via
d’uscita.
3. Tutto ciò che è mediato e condizionato puo soddisfare solo unilateralmente o il nostro intelletto o il
nostro sentire, solo per ciò che smuove il nostro essere interiore da vicino, si riscalda la nostra intera e
quindi migliore e vera natura umana.
4. L’ uomo deve ricercare qualcosa a cui come fine ultimo possa tutto subordinare e tutto ricondurre
come a criterio assoluto di giudizio e puo trovarlo solo in sé stesso.
5. La dignità dell’uomo puo essere ricercata e la questione da risolvere è qual è il criterio generale in
base al quale puo essere definito il valore delle cose per gli uomini e il valore degli uomini gli uni per
gli altri?
6. Deve essere generale poiché nessuno puo permettersi di plasmare nature diverse secondo un unico
modello esso non deve dare voce alla diversità degli individui.
7. Egli deve sulla base della possibilità di una cooperazione generale, rivolgere il suo sguardo a tutti alla
nobilitazione della specie umana. L’intelletto cerca la propria totalità nel mondo e non conosce se non
i limiti che sono a questo propri: la volontà trova i suoi nell’ individuo e non li travalica mai.
8. Se però essi non devono mai entrare in contraddizione tra loro allora tale problema deve essere
risolto in modo che i suoi propri avanzamenti verso il fine allo stesso tempo promuovano
l’approssimarvisi generale di tutti, diretto e immediato. La propria formazione deve far progredire
insieme a se stesso anche gli altri, se necessario anche senza e persino contro la volontà.
9. Cio che egli cerca, la morale da sola non puo realizzarlo e non puo essere quindi considerato quindi
come qualcosa di gia noto. Esso è connesso solo a una parte del nostro essere, solo all’ intenzione,
richiedendo anche la formazione Building, qui soprattutto qualcosa di cosi generale da abbracciare l’
intero essere umano in tutte le sue forze e in tutte le sue manifestazioni.
10. Esiste dunque uno stampo con il quale tutti i tratti riferibili all’ uomo sono plasmati poiché esso stesso
è lo stampo dell’ umanità e trovare questo stampo e rintracciarlo ovunque è nell’ occupazione che l’
uomo assume.
11. Al fine di tendere a questo obbiettivo l’ uomo puo intraprendere la via dell’ esperienza e la via della
ragione.
12. Cio che rende grande un uomo non conosce limiti di perfezionamento. Ci si forma all’ infinito, si tratta
dell’ energia della forza vivente ovvero la vita che cresce con la vita.
13. Essa non rende coloro su cui agisce uguali direttamente all’ individualità che la dove si trova porta con
se, non conferisce loro inoltre nessuna forma determinata, bensi stimola a rintracciare quella che è
loro maggiormente propria. Allora essa risveglia la loro forza vitale spirituale interiore e questa a sua
volta forma naturalmente in loro quei caratteri che soltanto per loro sono adeguati.
14. L’uomo agisce in generale o nella propria persona o nella propria opera.
15. In quanto l’ uomo allora nel suo ricercare il fine ultimo del suo tendere morale, compara gli individui
che esprimono per lui il miglior piu alto concetto dell’ umanità nella sua pienezza trova in tutti loro cio
che uguale nei suoi effetti si manifesta ugualmente e condiviso anche nella sua natura.
16. Dopo aver riconosciuto questo qualcosa che non si conosce nei suoi effetti generali egli devere
ricercarlo nel particolare e cio che intende come tale deve raffrontarlo con i tratti distintivi generali. Se
poi trova questa via qualcosa in cui in generale si veda allo stesso tempo svilupparsi il concetto dell’
umanità e determinarsi quello dell’ individuo e che poiché è capace di espandere il perfezionamento
di colui che lo possiede oltre ogni limite allo stesso tempo agisce sugli altri formando e fiorendo, tutte
cose che le accompagnano sempre allora è sicuro che cio che egli cercava lo ha trovato.
17. Il concetto di umanità non è nient’altro che la forza vivente dello spirito che la anima alla quale
corrisponde, nella quale si realizza attivo ed efficace
18. La ricerca dello spirito dell’umanità.

JEREMY BENTHAM in chiave utilitaristica afferma che ci sono due casi in cui la tortura puo essere
applicata:
1) Quando l’azione che deve compiere l’uomo è nell’ interesse pubblico, azione che con certezza è in suo
potere fare e se continua a soffrire pur non compiendo quell’azione questo certifica che non è
innocente
2) Quando ad un uomo viene chiesta un’azione che è in suo potere fare, ma se non compie l’azione ci
sono delle possibilità per cui soffra, ma dal momento che è nell’ interesse pubblico l’azione da
compiere il non farla risulterà un pericolo maggiore rispetto alla pena da scontare nel farla e
sicuramente una sofferenza maggiore rispetto ad un individuo innocente che soffre sotto tortura.
In generale si mostra a favore dell’abolizione della tortura, ma con delle eccezioni: per cui occorre
scegliere tra due possibili opzioni
- O la tortura
- Oppure una punizione peggiore della tortura stessa, come l’isolamento della prigionia o la mancanza
di cibo
Ma al fine di favorire l’interessa generale sarebbe giustificato per il filosofo il sacrificio dell’ interesse di un
singolo individuo.

PIETRO VERRI nel suo libro “Osservazioni sulla tortura”, racconta le vicende legate ai fatti succeduti
durante la pandemia di peste a Milano nel 1632, ovvero la storia della Colonna Infame, per cui molti innocenti
furono accusati e condannati prima a pene di tortura e poi al rogo, per l’ ignoranza, la paura e le superstizioni
che si diffusero in Europa con il dilagare di questo morbo. Descrive l’andamento delle indagini, gli interrogatori e
la rilevazione delle prove che resero protagonisti Il Piazza accusato di ungere i muri di Milano per diffondere la
peste, Il Mora che a seguito a l’estorsione di qualche verità dal Piazza, fu tirato in causa e anche egli condannato
a piu di una tortura per aver aiutato il primo a reperire questo famoso “unguento” e molti altri che a seguito
delle torture dei primi due furono tirati in ballo e torturati affinché uscisse fuori un colpevole e la verità sulle
cause della pandemia.
Descrivendo la storia della Colonna Infame Verri vuole portare alla luce le cause e le sue argomentazioni
contro la tortura, commentando le modalità e le vicende attorno al quale la vicenda si elabora. In particolare,
sono 5 le argomentazioni per cui la tortura dovrebbe essere abolita:
1. È inutile come mezzo per accertare la verità: poiché come visto negli interrogatori dei protagonisti
della vicenda, la tortura spinge a confessare ciò che viene chiesto di asserire. Poiché un innocente pur
di mettere fine alle pene sarà spinto ad asserire ciò di cui è accusato, mentre un colpevole resistendo
alle pene al massimo non dirà nulla o dirà qualcos’altro pur di scagionarsi e porre fine al dolore
inflitto.
2. È ingiusta come strumento del diritto penale: se già precedentemente non è accertamento di verità,
non potrà distinguere tra innocente e reo e dunque entrambi saranno messi comunque a tortura in
egual modo, quindi non garantisce la parità di pena in confronto con il delitto commesso o non.
Inoltre, è uno strumento ingiusto poiché è efficace solo in concomitanza del deterrente della morte, e
poiché viola la persona secondo tutti gli aspetti: psicologico, fisico, e umano.
3. È superflua e sovrabbondante oltre che ingiusta poiché utilizzata solo per il diletto del torturatore.
4. Dai fatti raccontati nella Colonna Infame, la tortura non dà la presunzione di innocenza poiché verrai
condannato ad essa sempre quando i giudici ti riterranno anche solo persona a conoscenza dei fatti.
5. Infine, è un atto contro natura, poiché si costringe l’individuo con la violenza corporea e mentale a
confessare tutto ciò che il giudice vuole che egli confessa.

ABOLIZIONE DELLA TORTURA 1776 AUSTRIA:


Verso la fine del 700 molti paesi in Europa discutono sull’abolizione della tortura, in particolare in Austria
ci fu una controversia particolare per cui vediamo schiarato:
1) CONTRO: GABRIELE VERRI che suggerisce un uso temperato della tortura, convalidando il suo uso
tanto come mezzo di accertamento di verità nell’ interrogatorio, tanto come pena prevista per
determinati delitti. Giustifica questa tesi affermando che sia utile come deterrente e intimazione di
paura, per cui alla sua abolizione vi sarebbero due gravi inconvenienti:
- eliminerebbero il mezzo per cui risalire alla verità dei fatti e ai colpevoli dei delitti
- aumenterebbero i delitti, poiché la paura piu grande è stata eliminata.

2) PRO: JOSEF VON SONNENFELS che sostiene tre ragioni principali per cui la tortura possa e debba
essere abolita, rispondendo ai quesisti di quegli anni ovvero se la tortura debba essere eliminata del
tutto, se ci possono essere dei casi in cui essa non si possa evitare e infine a cosa puo essere sostituita
nel caso dell’abolizione:
- la sua inconsistenza probatoria,
- gli alti rischi di condannare innocenti,
- dal punto di vista politico in cui l’opinione pubblica percepisca un concreto senso di insicurezza nei
confronti del diritto e della possibilità di avere giustizia, portando ad un inevitabile instabilità politica e
giuridica.
Ciò nonostante queste tre ragioni validissime, ne esclude la piena abolizione, utilizzandola solo nei casi
di pena capitale, e nei delitti minori o negli interrogatori probatori sostituirla con la capacità
intellettuali e giuridiche del giudice, affinché possa ricostruire la verità dei fatti accaduti per via
razionale, argomentata e provata da concrete dimostrazioni e non arbitrariamente raccontata.

GAETANO FILANGIERI nel suo scritto Scienza della legislazione distingue due casi per cui si possa dare la
pena di tortura:
1. La tortura come mezzo per estorcere una confessione. In cui è illegittima poiché contraria alla legge di
natura che precede il patto sociale stesso. Un dovere che è contrario alla prima legge della natura puo
mai essere tale? Per tanto la prima legge di natura è infatti ciò che ci obbliga alla conservazione della
propria esistenza.
2. La tortura volta a reperire indicazioni su probabili complici. Argomento fallace perchè il mezzo con cui
si esegue è ingiusto, aggiungendo anche l’argomento secondo il quale in generale la tortura è un
mezzo per accertare la verità essa pero si trasforma nella prova di robustezza del corpo e non come
prova di verità.

In sintesi, potremmo dire sulla tortura che ha una doppia natura in quanto è un mezzo giudiziario ma
anche politico. Inoltre, essa è ritenuta ingiusta per i seguenti motivi:
1) Viola il principio di presunzione di innocenza
2) Implica il misconoscimento dei diritti fondamentali
3) È eccessiva e non puo essere moderata da norme giuridiche
4) Non puo essere giustificata dalla tradizione
5) È legata all’ infamia tra gli uomini
Inoltre, al prezzo della sicurezza pubblica si pretende di legittimare qualcosa che è una contraddizione in
se stessa perché democrazia e tortura non possono coesistere.

►IL SILENZIO DELLA TORTURA E DEI PREGIUDIZI

Brugger non definisce la tortura il male piu estremo, ma il suo intaccare la memoria, non è quindi tanto il
torturare quanto la sua omissione il problema. Per difendere la dignità umana di tanti individui occorre
sacrificare quella di pochi. Di qui Dershowitz sostiene una proposta pragmatica in cui la tortura dovrebbe essere
usata solo in casi estremi, sotto l’autorizzazione del giudice valutata in modo responsabile e pubblico; anche
Rainer Trap è dello stesso parere per lui il dovere morale di torturare è in nome della sicurezza, inteso come
liceità giuridica in nome di una qualche salvezza sempre sotto autorizzazione giudiziaria.
Luhmann sostiene la relativizzazione delle norme per cui non vi sono norme irrinunciabili nella nostra
società, compresa quella sulla tortura. Luban invece porta avanti il concetto della

TICKING BOMB: per cui nonostante la tortura non appartenga alla cultura liberare, essa costruisce una
cultura a sé. Di fatti si giudica una condotta d’azione come moralmente legittima o meno in base al fatto che la
somma di tutte le conseguenze che provoca sia favorevole o meno. L’utilità della tortura come strumento per
ottenere esisti positivi commisurati quindi ma come si è visto già da Agostino che riporta l’argomento nella Città
di Dio essa è irrazionale, inutile e intrinsecamente iniqua: la tortura è inutile per avere informazioni, semmai è
utile per il silenzio e la menzogna. Ma sul piano politico essa è stata considerata per anni molto utile come
strumento adatto a generare paura tra gli individui a vantaggio di dittatori che conservano il loro predominio con
il terrore. Come l’utilizzo della tortura da parte della Gestapo che non aiutava a stabilire la verità bensì a
costruire una solida comunità e cultura della violenza. Se infatti si afferma che è utile in senso politico, allora si
afferma qualcosa di vero simile ma non pertinente poiché nell’argomento della tortura politica la legislazione
suonerebbe piu o meno cosi:
“Di fronte ad un sospettato terrorista che presumibilmente conosce il luogo in cui sono nascoste tre
bombe atomiche, disposte da un complice, pronte ad esplodere, è legittimo torturare. Perché la tortura è lo
strumento utile non a ricavare l’informazione relativa al nascondiglio, tanto piu a mostrare la forza del potere
politico di Stato.”
L’argomento poi si modifica in modo significativo, ha una sua logica secondo la quale al terrorismo si
risponde urlando ancora piu forte, ma niente a che fare con l’estorsione di informazioni vitali alla risoluzione
della situazione di emergenza, ovvero ciò su cui si reggerebbe la forza persuasiva dell’argomento. Aggiungendo
anche che si comprende ancora meno il senso della costruzione di scenari apocalittici, poiché se è vero che la
sostanza del ragionamento è altra: ovvero se si tortura per ragioni esclusivamente politiche, lo scenario della tb
diventa solo un palese escamotage demagogico, che smaschera se stesso per la propria natura pretestuosa.

--- EFFETTI COLLATERALI


Le conseguenze relative all’ utilizzo della tortura in modo giustificato secondo Luhman sono:
1. Effetto catena per cui, se la tortura viene concessa la prima volta sarà concessa anche altre volte,
gradualmente grazie all’ambiguità e alla vaghezza dei criteri di valutazione.
2. Effetto del male minore per cui secondo la Arendt accettare qualcosa pensando che sia il male minore
è sbagliato poiché si tende a dimenticare che si tratta comunque di violenza. La Arendt a questo
proposito porta avanti la tesi per cui sarebbe preferibile condannare tutti gli atti di tortura politici e
non piuttosto che legittimare l’infrazione dei diritti fondamentali dando vita ad un altro effetto ovvero
la tortura si fa norma.
3. Effetto legge per cui nel corso degli anni per poter far passare gli atti di tortura come norma e
concederli in ambito politico in molti atti viene ridefinita come “abusi” o “interrogatorio severo”.
4. Effetto del trauma che subisce la vittima, che si qualifica per il suo essere stato determinato
volontariamente da altri a differenza di catastrofi naturali, per cui non vi è l’arbitrio dell’uomo. Difatti
la tortura è volta ad affermare e a far percepire la radicale asimmetria di un rapporto che
progressivamente giunge ad essere talmente distante da diventare un non-rapporto ovvero diviene
l’antitesi di ogni rapporto tra individui. La tortura è un sistema in grado di interrompere la
comunicazione e ogni possibilità di riconoscimento dell’altro, grazie alla fabbricazione di un
meccanismo che con un addestramento mirato che rende gli individui spietati carnefici, capaci di far
del male ad altri, senza provare alcun rimorso.

Secondo Sarte, le vittime subiscono un vero e proprio cambio di sistema di valori per cui, nonostante sia
costretto a parlare, avviene anche la riqualificazione di individuo come : sotto uomo. Di fatti vi è una possibilità
del recupero dei torturati, ed è concretamente legata al rispristino dei legami sociali frantumati, alla
ricostruzione del riconoscimento sociale distrutto con la violenza simbolica dei pubblici ufficiali. Una proposta di
rilegittimazione diviene la sconfessione da parte di uno Stato di diritto dello stesso concetto di diritto sul quale si
regge e del quale dovrebbe essere concretizzazione. L’accoglimento della tortura va insieme al rifiuto di
giudicare, la Arendt rinuncia al giudizio poiché la tortura diventa rischiosa quando è nella sfera politica, dove non
possiamo muoverci senza il giudizio.

► IL SILENZIO DEL TORTURATO


Una definizione ricorrente di tortura si attesta sull’ indicazione del tasso di ferocia che le sofferenze
arrecate esprimono. La convenzione contro la tortura afferma che per

“tortura si deve intendere ogni atto attraverso il quale gravi pene e sofferenze, sia fisiche che mentali,
siano inflitte intenzionalmente a una persona per ragioni quali l’ottenimento di informazioni, la punizione per un
atto che si sospetta abbia compiuto, l’ intimidazione o la coercizione oppure ogni altra ragione basta su una
discriminazione di qualunque tipo.”
Tuttavia, queste definizioni tendono a rilevare la crudeltà del supplizio invece che il potere di distruzione
che esso esercita sull’ identità della vittima. Il criterio decisivo per distinguere la tortura dai trattamenti crudeli,
disumani e degradanti non sia come suggerito tra i tanti dalla Corte Suprema dei diritti umani: l’intensità della
sofferenza inflitta ma piuttosto la condotta e la totale assenza di potere della vittima e come questa distinzione
sia legata alla libertà personale. Solo se si intende la tortura sotto questa luce è possibile sottrarla ad ogni rischio
di relativizzazione o di interpretazione sottoposta a valutazioni di proporzionalità rispetto alle circostanze.
Si vuole talvolta riservare alla tortura solo a certe condotte, estreme, di modo che altre e piu numerose
possano esserne esenti e dunque reputate legittime o quantomeno tollerabili. Dopo 11 Sett l’amministrazione di
George Bush con i giuristi Yoo e Bybee, danno una ridefinizione restrittiva di tortura:
“perché si tratti di tortura occorre che vi sia una specifica intenzione di infliggere dolore o sofferenze gravi,
l’inflazione di tale dolore deve essere l’obbiettivo preciso dell’ufficiale. Inoltre, per la sofferenza psicologica, essa
per essere definita tortura deve essere prolungata e conseguenziale a una delle 4 azioni:
1) Inflizione intenzionale o minaccia di dolore o sofferenze fisiche gravi
2) La somministrazione di sostanze che alternano i processi mentali e fisici, dosati al fine di distruggere i
sensi e la personalità dell’ individuo
3) Minaccia di morte
4) Minaccia delle tre sopra a cari o parenti, o comunque affetti stretti.”

► IL TRAUMA DELLA TORTURA

Il trauma della tortura costituisce un trauma specifico non simile ad altri. Trauma in questo senso indica
una sindrome o una malattia che si qualifica per il suo essere stata cagionata intenzionalmente da altri uomini,
come disturbo derivante da una violenza inferta intenzionalmente con lo scopo specifico di nuocere, annichilire,
dominare in modo irrevocabile. La parola incontra un limite costitutivo non riuscendo ad adeguarsi
nell’esprimere tali sofferenze inflitte e subite: ovvero un deficienza espressiva e cognitiva. Beneduce utilizza in
questo caso l’espressione nozione imbuto per descrivere il trauma e sottolineare come ignorarne l’archeologia
comporti notevoli pregiudizi per la cura delle vittime di violenze e torture.

- compromissione della socievolezza


La tortura genera un’implosione nella rete relazionale del soggetto che viene colpito: dal 1945 ad oggi
tutte le ricerche fatte sulla personalità degli autori di violenze collettive mostrano un assenza di psicopatologia,
una grande capacità di adattamento e di ubbidire. Bisogna essere capaci di disumanizzare la vittima, il che
presuppone la disumanizzazione anteriore del persecutore. La capacità empatica di chi tortura deve essere
distrutta, come l’identità personale poiché per pormi nei panni dell’Altro devo avere un Io strutturato e
vagamente integro.

- La distruzione dell’ identità


Il carnefice vuole consapevolmente arrecare dolore estremo all’essere umano che ha difronte a sé, e che è
sotto il suo potere. Il suo reale obbiettivo è lo spopolamento della vittima ovvero la distruzione o
l’indebolimento della struttura psichica, tramite la distruzione del corpo. La tortura difatti non fa parlare quanto
piu riduce al silenzio annichilito della personalità identità umana.
Una situazione esemplare è quella riportata da Murat in cui scrive che sentiva le grida e le urla di altri
mentre lui insieme ad altri in cella aspettavano il loro turno. La cosa piu tremenda e peggiore della tortura,
potremmo anche dire che era parte integrante di quest’ultima era proprio l’attesa del supplizio. Augurandosi
che capitasse ad altri, il sollievo quando questo accadeva creava in sé un conflitto morale, la sollecitazione del
senso di colpa e il disprezzo di se stesso per pensare una cosa del genere.
Alla fine i torturatori si comportavano amichevolmente, favorendo l’identificazione con l’aggressore, per
cui la sofferenza fisica e l’alternanza programmata di violenze indicibili e di momenti di comprensione, in questo
stato di isolamento e incertezza, creava nel torturato uno stato di profonda regressione nel quale l’unica
soluzione è il rapporto di simbiosi con l’ambiente persecutorio. Il torturato cosi perde la capacità di odiare i
propri aguzzini e giunge ad identificarsi con loro.
Anche assistere creava degli scompensi per cui le vittime si rendevano complici inermi della tortura stessa,
per cui molti alla domanda “cosa ti hanno fatto?” spesso reagivano o con una risata, o con parole confuse
apparentemente sconnesse oppure con il silenzio. Queste risposte sono la prova che l’atto di tortura ha
funzionato poiché ha posto a tacere, ha creato un vuoto tale nelle vittime per cui non si puo né dire niente né
tanto meno si ricorda qualcosa di rilevante. Ogni relazione con l’Altro è compromessa, grazie al rapporto
terapeutico con altre vittime di tortura è comune il ripetere la frase “essere nella mani di”.

Una buona definizione di tortura quindi è quella di Marcel Vinar sostenendo che la tortura è ogni
comportamento intenzionale, qualunque siano i metodi utilizzati, che ha il fine di distruggere il credo e
convinzioni della vittima per privarla della struttura identificativa che la definisce come persona.

- Il deserto della tortura


Infine, spiegare la dignità in termini di fiducia significa avanzare un’idea di umanità che implica una
dimensione e un destino relazionale. Per essere aguzzini occorre essere addestrati duramente, si sceglie di
entrare in un programma di formazione esclusivo e se ne esce trasformati. Questo percorso presenta le stesse
dinamiche di distruzione dell’identità che poi verranno messe in pratica dalla tortura stessa.

►IL SILENZIO DEL TORTURATORE

Il mutismo della violenza che subentra quando cessa di agire è l’animalità che bestializza l’uomo, di questo
ne è il simbolo il torturatore. Come possono mai, un uomo e una donna apparire disumanizzati agli occhi d’un
altro uomo o di un’altra donna? È troppo chiuso alla vita, apparentemente morto, il persecutore affinché riesca
anche a sentire il lamento della propria vittima, questo è il silenzio che li rappresenta.
Il manuale di tortura al mondo piu famoso è il Kubark Counterintelligence Interrogation del 1963, di cui la
versione aggiornata viene chiamata Human Resource Exploitation Traning Manual, scritta intorno agli anni 80
del 900, ed utilizzata dalla School of Americas. Questa scuola chiusa nel 2000 dalla Clinton appunto per atti di
tortura contro i diritti umani, viene oggi sostituita dalla Accademia militare Western Hemispere Institute for
Security Cooperation.

- La tortura in Francia
L’attività di addestramento paramilitare della tortura si ha in Francia presso l’Ecole Superior De Guerre de
Paris, che ha avuto un ruolo decisivo negli anni 50. La teoria della guerra rivoluzionaria è di quella nuova forma
assunta dalla guerra durante la 2GM, per contrastare le forze sovversive di indipendenza e decolonizzazione.
Questa nuova dottrina mirava per lo piu al controllo della mente e del corpo dei nemici, strumento di tormento
raffinato sotto il profilo psicologico, che piu avanti verrà definita tortura bianca, poiché non lascia segni evidenti
sul corpo.

- La tortura in Grecia.
In Grecia durante il regime dei Colonnelli, 1967-1974, gli “allievi”. Essi venivano innanzitutto isolati e
strappati al loro contesto relazionale e familiare per quattro mesi, nonché trasferiti in una sede segreta dove
erano sottoposti ad addestramenti non riferibili ad alcuno. Ogni sistema di valori precedente la convocazione
doveva essere cancellato perché lasciasse campo libero al nuovo codice etico della Scuola di istruzione della
polizia militare (KESA). Indicato loro un nemico interiore, loro lo torturano con rabbia sfogando l’odio che
provavano per gli istruttori, duri e inflessibili, e trasferendo tutte le umiliazioni subite sulla persona che è in quel
momento nelle loro mani. Nel mondo civile, percependosi come al di là del mondo comune, al di là dei limiti,
violano tutti i divieti e i codici sociali. A quel punto l’iniziazione è compiuta.

Nello studio di Gibson e Haritos-Fatouros c’è una schematizzazione del processo di addestramento.

1) La selezione per trovare le prospettive migliori: persone normali, sane, con le caratteristiche fisiche,
intellettuali, e talvolta politiche, necessarie per il raggiungimento dell’obiettivo.

2) Le tecniche per incrementale il vincolo con queste prospettive: riti di iniziazione per isolare le persone
dalla società e introdurle in un nuovo ordine sociale basato su regole e valori diversi; attitudini elitarie e
linguaggio di gruppo che enfatizzi le differenze tra il gruppo e il resto della società. Anche la creazione di
soprannomi.

3) Le tecniche per ridurre lo sforzo nell’obbedire, secondo la tradizionale tecnica “bastone e carota”.

Supplizi made in Italy

Figura chiave del cosiddetto professor De Tormentis, attivo negli anni Settant, con le sue squadre speciali
che chiamavano “I vendicatori della notte”. Sequestro del generale NATO Dozier, 1981. Da un paio di interviste si
evince il carattere sistematico della tortura di Stato, pure in Italia e la sua pianificazione tramite un mirato
apprendistato all’orrore.

Questione del G8, i manifestanti trattenuti in stato di fermo presso la caserma. I pubblici ufficiali e gli
infermieri lì in servizio davano il benvenuto alle tante persone in stato di fermo rievocando Auschwitz e il
nazismo, per poi sottoporre donne e uomini a violenze fisiche e psichiche anche a sfondo sessuale. In quel luogo
trova conferma una delle più inquietanti inclinazioni umane: entro un sistema in cui vi è il debole e il forte, le
donne e gli uomini forti abusano dei deboli nel modo più devastante.

6. SUL REATO DI TORTURA. IL SILENZIO DELLA SOCIETA'.

Se ci si avvale degli stessi mezzi che vengono impiegati dagli aggressori e dai terroristi, la differenza
fondamentale con loro viene meno!

La rilegalizzazione è da respingere senza condizioni. Se dichiariamo che la tortura è legale, assumiamo che
torturare è socialmente accettabile. Per rendere giustizia occorre dimostrare socialmente che le torture sono
refrattarie al contesto civile e democratico. Questo è il requisito negativo di ogni ipotizzabile recupero del
torturato e quindi di ogni possibile ritorno della giustizia. Il requisito positivo è duplice:

1) la ricostruzione e la pubblica denuncia delle verità delle torture per contesti politici macrocriminali

2) il riconoscimento del reato di tortura.

Allora come mai questa resistenza? Tra gli argomenti troviamo quello secondo il quale non vi sarebbe
bisogno di introdurre, nella nostra democrazia, il reato di tortura. Quasi a suggerire che nel nostro paese non si
torturi o che la tortura sia riconducibile ad altre fattispecie di reati penali già esistenti.

PERSECUTORI E VITTIME FRANCOISE SIRONI


1. TORTURARE PER COSTRINGERE A PARLARE O PER RIDURRE AL SILENZIO?
Il paradosso della tortura di fatti è proprio questo: da un lato si utilizzano gli strumenti di tortura per
costringere i rei o le vittime a parlare a confessare delle verità la maggior parte delle volte menzognere,
dall’altro invece si riduce al silenzio la vittima poiché il trauma è talmente violento che le impediscono di
raccontare e liberarsi dello stesso. I racconti sulla tortura ci vengono tramandati soprattutto dalle sedute di
psicoterapia delle vittime, o da loro scritti autobiografici, oppure dai racconti dati alle Associazioni contro la
tortura, questi tre tipi di fonti hanno in comune la loro natura traumatica e la loro forma debilitante nella vittima
del racconto.
Il trauma della tortura è insediato talmente nella psiche umana, che essa risiede nelle sue zone grigie,
dove è difficile andarla a riprendere fino a quando, l’idea del torturatore e del trauma mantiene il suo potere
sulla vittima. Spesso le vittime cercano di dimenticarla per ritrovare una qualche forma di umanità e salvarsi da
un circolo infinito di sofferenza.

1975 –> Le Nazioni Unite firmano la dichiarazione dei diritti umani contro la tortura.
DEFINIZIONE: “Per tortura di intende ogni atto mediante il quale siano inflitti, intenzionalmente a un
individuo, gravi dolori o sofferenze, sia fisici che psichici, allo scopo di ottenere informazioni o confessioni e di
punirla per un atto commesso o essendo sospettato di aver commesso, per intimidirlo o sottoposto a coercizione
un altro.”
Da questa definizione si notano tre carenze principali:
- La mancata evidenza delle sofferenze croniche conseguenti alla tortura, ovvero patologie anche
cliniche.
- La mancata considerazione del terrore che irradia su un’intera popolazione
- Prende in considerazione solo la tortura di Stato e non quella di piccoli gruppi sovversivi che ricorrono
alla tortura per accrescere il proprio potere attraverso: massacri, stupri e violenza fisica.

La ratifica di tortura è stata attuata dalla maggioranza degli stati, ma concretamente non è dimostrabile
del tutto, infatti dalla Commissione Onu di Strasburgo ben 53 Stati violano ad oggi lo statuto dei diritti umani.
Infatti, i Paesi che fanno utilizzo della tortura come quelli che hanno sottoscritto la dichiarazione lasciano traccia
posta a controllo dalle Assemblee Generali incaricate di vigilare sull’applicazione delle convenzioni pro i diritti
umani.
- Vi sono paesi che la utilizzano in maniera sistematica come la Turchia, l’ Egitto o il Kashmir Indiano
- Altri in cui la tortura viene tollerata o indotta dal potere totalitario attraverso gruppi paramilitari
incaricati di liquidare gli oppositori o di costringere a torturare altri innocenti.

Per Vinar la tortura è un comportamento intenzionale volta a distruggere il credo e la struttura


identificativa che definisce un individuo. Attuata soprattutto dal potere totalitario che vuole imporre la
sottomissione totale del popolo e dei governanti, attraverso azioni violente si devitalizzano e si disattivano
coloro che sono ritenuti un pericolo per l’ordine costituito.

AMBIENTE: la tortura si insidia soprattutto in società culturalmente regredite o che subiscono un


impoverimento culturale, viene imposta quando vi è un modello culturale unico. Con la tortura infatti si cerca di
sottomettere il popolo cosi da ottenere il consenso unanime, instaurando un ordine binario: una scissione tra
cultura interiorizzata e cultura imposta che regola il funzionamento dei gruppi e del popolo sottomesso.

Devereux scopre che ogni società produce delle patologie psicologiche tipiche dovute allo stile di vita
denominate “disordini tipo”. Il carattere principale di questi disordini consiste nel fatto che la logica e la
struttura sono strettamente legate alla logica e la struttura della società in cui compaiono.

Sironi analizza il fatto di come il totalitarismo agisca sia sul singolo individuo che sulla società, privandola
di concrete reti sociali, modifica i loro codici di accesso alla realtà. Infatti, i poliziotti emissari dello stato e militari
procedono all’ instaurazione della norma stabilita e diventano gli stessi creatori della sicurezza interna degli
individui, difensori di un codice ossessivo totale, che tramite la tortura ottengono informazioni che
contribuiscono alla costruzione di un edificio totalitario riducendo ad un linguaggio unico la popolazione.
La tortura è uno strumento per far tacere quindi, il cui ruolo fondamentale è stabilito nella perdita del
segreto, isolando il prigioniero dal gruppo. Il segreto mette le vittime e i torturatori allo stesso piano di silenzio, e
dunque li distingue dagli altri essere umani: difatti la tortura mette in continua discussione l’appartenenza alla
specie umana. La vittima in questo caso è considerata un non-umano. Hemeury afferma che una volta che si è
entrato a far parte del circolo della tortura non ci si sente piu a casa in nessun luogo.
2. Metodi
I metodi raccontati da Sironi sono venuti a noi attraverso le testimonianze delle vittime durante le sedute
di psicoterapia:
- DOLORE: elemento onnipresente dato da: scariche elettriche, colpi e in alcuni casi unghie strappate.

- PRIVAZIONI: soprattutto le privazioni dei beni di prima necessità come acqua, cibo, cure e in alcuni
casi sostituendoli con la costrizione all’ assunzione di cibi e liquidi non adatti. Anche la privazione della
libertà è un metodo di tortura tramite l’isolamento o attraverso mezzi di contenzione dolorosi, oppure
tramite l’offuscamento della vista: le conseguenze a tutte queste privazioni sono la generazione di
allucinazioni e perdita di punti di riferimento temporali, comportano in oltre nelle vittime la volontà di
parlare pur di mettere fine a questi strazi.

- TERRORE: La vittima viene fatto assistere a simulazioni di esecuzioni, sottoposto a minacce di morte
per sé e per i suoi, gli aguzzini spesso per incutere ancora piu timore tentano di assassinare la vittima
stessa in modo da ottenere ciò che vogliono. Tutto ciò suscita rabbia, angoscia e agonia per i detenuti
a loro vicini. Sironi infatti sostiene che spesso le vittime assistendo a atti di tortura sperano che il loro
turno arrivi il prima possibile, per cui sperano di trovare la loro liberazione nella morte.

- VIOLAZIONE DEI TABU CULTURALI E DISUMANIZZAZIONE: Il paradosso della tortura infatti è proprio
questo la sua imprevedibilità e il suo codice ossessivo portano alla vittima il suo pensiero
disumanizzante ovvero il pensarsi animale e non piu un individuo. Accentuato questo pensiero con la
trasgressione dei tabu sessuali: spesso le vittime vengono stuprate e costrette a stuprare a loro volta
poiché gli altri e se stessi valgono solo in quanto pezzi di carne. Questo tipo di tabu e trasgressione
vengono allo scoperto solo tramite l’aiuto terapeutico.

- DISTURBO DEI RIFERIMENTI SENSORIALI: Questi sono metodi in cui vengono meno i riferimenti
sensoriali soprattutto gli stimoli dal mondo esterno, vengono chiamati anche torture bianche. La
tortura bianca è un tipo di tortura psicologica che non lascia segni evidenti sul corpo, le conseguenze
sono diverse come la perdita di memoria, psicosi, disorientamento spaziale e temporale infatti se
protratte nel tempo i codici di accesso alla realtà vengono totalmente ribaltati.
- SCELTA IMPOSSIBILE: Le vittime sotto tortura vengono poste ad un bivio, ad una scelta: ovvero
tra il dire ciò che i torturatori vogliono mettendo fine al supplizio o continuare a soffrire pur sapendo di
star dicendo la verità. In alcuni casi la scelta che viene posta è anche una prova di forza etica e morale
tra la propria vita e la vita d’altri.

- CODICE OSSESSIVO COME SISTEMA: Il mondo della tortura è un sistema binario che si divide tra
padroni, torturatori che detengono il potere politico e le vittime che oppongo resistenza a regole e
sistemi di detenzioni assurdi e inumani.

- MESSAGGI PARADOSSALI: La tortura mette difronte alla vittima sempre una non-alternativa
poiché tramite i messaggi paradossali dei propri aguzzini ovvero la dimostrazione di questi ultimi di
bontà avviene una vera e propria decostruzione dell’identità. In alcuni casi la vittima è portata anche ad
identificare il proprio aguzzino come il proprio salvatore attraverso promesse e ricompense per la
parziale sottomissione, detta anche sindrome di Stoccolma.

Una delle conseguenze piu gravi della tortura bianca è infatti la devianza, nella vittima il trauma della
tortura è talmente incisivo, che avviene una rottura della propria psiche e sottoponendola a ricovero forzato
psichiatrico non si fa che aumentare il proprio trauma.

- RIDURRE LA PERSONA ALL’ UNIVERSALE: La tortura forma nella vittima un ‘identità universale
attraverso marcature psicologiche e corporali, causando vere e proprie trasformazioni. La tortura
agisce attraverso la messa in funzione di operatori che mirano attraverso le lesioni del corpo o
specifici linguaggi, a modificare la modalità di pensiero. Attraverso il marchio del corpo si modifica la
sostanza psichica che viene considerata come oggetto: gli aguzzini attraverso parole attive/agenti
potenziano l’effetto distruttivo dei loro metodi fisici, rafforzando l’appartenenza: es come nelle
persecuzioni di una specifica etnia/religione, per cui il sangue versato definisce il gruppo perseguitato
e gli restituisce la vitalità in uno specifico momento storico.

- AGENTI DI TRASFORMAZIONE: La tortura applica queste trasformazioni psiche morali, etiche e


culturali, attraverso delle parole agenti come
 INVERSIONE: dando alle sostanze interne un carattere extraterreno attraverso le marcature del
corpo si costringe alla confessione; dando invece alle sostanze esterne un carattere intraterreno
tramite l’inoculazione di sostanze esterne al corpo.
Confondendo la logicità della realtà umana si genera un’effrazione psicologica che comporta a
effetti evidenti nelle vittime come il ritenere giusto gli atti indicibili dell’aguzzino.
 ORIDNE BINARIO: il mondo della tortura ha una logicità duale per cui c’è il pulito l’aguzzino e lo
sporco la vittima marcata sul corpo, e mezzo per percepire questo tipo di logicità.
 RIDONDANZA: L’effrazione psichica creta dalla corrispondenza tra marcatore corporale e
psicologico crea il pensiero disumanizzante per il quale la vittima non percepisce piu la sua
singolarità in quanto individuo, ma si sente parte di un gruppo di animali.
 VIOLAZIONE DEI TABU CULTURALI: attraverso la rottura con gli universi di riferimento abituali,
come la profanazione di un rituale religioso iniziatico o utilizzare in un'altra maniera un simbolo
della propria cultura. Infatti, la tortura oltre ad estorcere informazioni mira a ridurre al vuoto la
propria cultura e dunque identità, attraverso le privazioni dei legami affettivi e relazionali, con il
singolo mira a colpire il gruppo di appartenenza. La tortura attacca la parte collettiva dell’individuo
scardinando l’articolazione tra individuale e collettivo, gruppi minoritari che non aderiscono alle
idee della maggioranza. Viene attuata quando le leggi repressive e discriminatorie non servono
per eliminare posizioni diverse, rende l’ uomo ciò che vorrebbe la scienza ovvero un essere
universale, spogliato di ciò che lo differenzia.

Attraverso l’analisi delle modificazioni presenti nella tortura si rende visibile la sua tecnica di inoculazione
di intenzionalità di un gruppo attraverso l’interfaccia dei torturatori in un altro gruppo quello delle vittime,
lasciando effetti e conseguenze ben profonde e visibili.

3. CLINICA DELLA DISTRUZIONE


La tortura attua quella che viene definita da Sironi la clinica della distruzione, attraverso l’esempio di una
donna divenuta aggressiva tutta d’un tratto. Ciò che si vive nella tortura è la propria estraniazione al mondo,
creata dal dolore e dai disturbi psichici comuni in molte vittime di tortura. La sofferenza peggiore sta nel
percepire il proprio cambiamento nei confronti di sé stessi e del mondo esterno, le vittime infatti spesso cercano
qualcuno in grado di capire questo grado di sofferenza. L’ origine esterna di questa percezione viene chiamato
spesso in causa dal soggetto stesso, attraverso l’aggressività nei confronti di chi li sta cercando di aiutare e la
dimostrazione di disinteresse al mondo della tortura.
4. L’INFLUENZA DEL TORTURATORE
Vi sono due tipi di trauma:
a. Situazioni in cui non vi sono strumenti sufficienti a controllare le spinte pulsionali
b. La deliberata distruzione dell’individuo attraverso la rottura di eventi psichici e universali di riferimento.
Qui si colloca la tortura come atto deliberato a provocare la distruzione dell’ individuo e dunque un
trauma.
Affrontare la tortura anche dal punto di vista dell’aguzzino permette di sfiorare ciò che in psicopatologia
viene chiamato transfer e controtransfert, che sono processi attivamente indotti dalla tortura. Dando
importanza alle parole agenti dell’aguzzino queste durante la tortura hanno un forte impatto nella mente della
vittima, in cui verranno riprodotte in modo continuo, anche dopo la fine di questa.
Il panico e la rabbia con cui le vittime cercano di ricordare i propri aguzzini, le rendono incapaci di
comunicare il dolore inflitto, li inibiscono a tal punto da far si che questi atti e le “persone” che li riproducono
restino indicibili. C’è da dire che nonostante il trauma tende a far dimenticare gli eventi subiti, gli aguzzini
influiscono anche a distanza di tempo sulla vittima, il ricordo ritorna alla mente in vari momenti della giornata e
inaspettatamente.
Nella terapia psicoanalitica l’influenza del torturatore non è presa in sé stessa ma in relazione al transfer e
contro transfer, ovvero mentre il primo è un meccanismo che si verifica tra paziente e terapeuta in cui avviene
un processo di trasposizioni inconsapevole con il quale la vittima proietta sul proprio terapeuta delle
rappresentazioni e delle aspettative legate alla tortura in questo caso. È uno spostamento di schemi sentimentali
ed emozionali, un meccanismo inconscio di adattamento all’ambiente che avviene in ogni relazione
interpersonale significativa, e non solo con il terapeuta. Il controtransfert è invece la risposta al transfert in cui il
terapeuta potrà comprendere meglio il mondo interiore del paziente. Quindi nella terapia non sono solo le
proiezioni del paziente a essere utilizzate come strumento clinico ma anche la risonanza emotiva a esse
dell’analista stesso.
Dunque l’intervento del terapeuta all’ interno del rapporto tra vittima e aguzzino, diventa fondamentale
per decostruire le strutture psichiche create dalla tortura, si riscontrano sintomi come :
- Apatia, nostalgia, affaticamento
- Disturbi della memoria, concentrazione e incapacità di pensiero proprio
- Disturbi del sonno, incubi
- Problemi psicosomatici, ipertensione, vertigini, nausee
- Cambiamento della personalità, autosvalutazione, incapacità di proiettarsi al futuro.
Il vissuto traumatico inoltre si divide in ulteriori due gruppi:
a. Disturbi che fanno rumore: agitazione, esplosione
b. Altri sintomi caratterizzati dal silenzio, dalla tristezza, dalla perdita o assenza di movimento, bisogno di
isolarsi.
La vittima traumatizzata ha due parti in continua lotta, una che vorrebbe urlare il proprio dolore e avere
giustizia per sé, l’altra costretta al silenzio, impaurita dalle ripercussioni che potrebbe avere, anche se l’evento
traumatico è passato. Ciò è rivelato dai pazienti solo se dopo anni di sedute psicoanalitiche e dopo aver stabilito
un rapporto con il terapeuta. I piu evidenti segni di effrazione psicologica:
- Soprassalti, tremiti e paure incontrollate
- Cefalee, disturbi cutanei, ulcere
- Sensazione di esclusione, insicurezza, estraneità
- Senso di colpa
- Timore di esporsi

La teoria della tortura di Sironi, ha origine dal trauma, è presente nei sintomi che rivelano l’influenza ed
intenzionalità del torturatore. Attraverso gli eccessi di rabbia vi è un’espulsione del torturatore interiorizzato.

5. LE MANIFESTAZIONI DEL TRAUMA


In genere i terapeuti considerano in modo secondario gli effetti psicofisici della tortura, inizialmente per
individuare il trauma si analizza l’identificazione con l’aggressore che spesso viene spiegato tramite il difficile
rapporto con l’Altro oppure con un estrema aggressività ( reputata da Sironi un’analisi frettolosa, poiché sia la
vittima che il carnefice sono influenzati dal trauma della tortura.) Sironi afferma che si tratta di una psicologia
dell’atto secondo cui il trauma della tortura e i suoi meccanismi persistono in forma attiva nei soggetti
inconsciamente.
A questo proposito vi sono dei contenuti psichici legati al trauma della tortura come oggetti inerti o
meccanici che si legano al ricordo del trauma. Sironi afferma che la capacità evocativa di un ricordo traumatico si
puo individuare nel momento stesso del racconto. Il trauma si trasmette per violazione o effrazione della sfera
individuale della vittima da cui ne uscirà inesorabilmente cambiata e costretta per trovar sollievo a trasmetterla
a sua volta. Questo circolo vizioso per Sironi puo essere fermato attraverso l’identificazione attiva
dell’aggressore nella psiche della vittima.

a. TEORIA DELL’ANGOSCIA
Freud afferma che l’angoscia è un concetto intermedio che spiega i conflitti intrapsichici internamente ed
esternamente ha una funzione di paraccettazione, il limite di questo concetto è la spiegazione dell’effrazione e
dell’altro agli occhi dell’individuo. Sironi sulla base di ciò distingue l’angoscia difronte al pericolo e quella
automatica. La tortura aprendo la visione al concetto di effrazione in cui il soggetto resta aperto al trauma per
anni dopo l’episodio di tortura: c’è sempre qualcosa che puo riportarlo al trauma. Il trauma fa si che si abbia un
meccanismo di ricordo che rivive attraverso elementi rimasti inconsce ma sempre attivi. La tortura è la
realizzazione del terrore attuata da un altro deliberatamente, che modifica e influenza l’individuo, difatti il
pensiero della vittima è legato allo schema di pensiero del suo aguzzino. La vittima non riesce a filtrare il
pensiero dell’altro dunque o viene rifiutato oppure viene accettato e fatto proprio – annientamento del
soggetto.

b. ATTACCO DEL PENSIERO E ACCESSO ALLO STATO DI MODIFICA DELLA COSCIENZA.


Il trauma vero e proprio è nel pensiero non nelle azioni con il mondo esterno, infatti la terapia per le
vittime di tortura è puramente intellettuale e non comportamentale, poiché sono state colpite le strutture del
pensiero. L’effrazione prodotta da un altro deliberatamente comporta l’impossibilità di avere le relazioni con il
mondo e l’ impossibilità di distinguere gli spazi logici. Sironi sostiene che le vittime non sono in preda
all’angoscia ma del terrore, essa agisce solo sulla paura di pensare e sulla capacità di concentrazione: fenomeni
come mal di testa, difficoltà di concentrazione ecc.. possono essere talmente incisivi che possono essere
patognomonici della tortura.
Le vittime dopo la rievocazione di episodi di tortura, si lamentano di rivivere immagini e incubi, sentono di
aver lottato ancora una volta contro l’aggressore anche se nel sonno. Di prima mattina riscontrano aggressività e
apatia, sentono di essere un’altra persona.
- Stato di agitazione psicomotoria e siderazione
- Crisi comiziali
- Riviviscenze di tipo allucinatorio
- Stato modificato di coscienza

c. TRAUMA, PSICOSI E CULTURA


Ad oggi ci si riferisce al trauma della tortura con concetti come psico trauma e disordine da stress post
traumatico, ovvero con una concezione lineare e non ciclico del disturbo. Il trauma è legato ad una condizione di
malattia, mentre gli psicopatologi la associano ad una patologia con sofferenza intrapsichica. La psicopatologia
infatti non considera l’effrazione ma guarda solo le conseguenze del vissuto e quindi del trauma. Secondo Sironi
la psicopatologia non considera l’altro agente deliberatamente sulla vittima, ed è proprio questo il punto debola
della loro teoria del trauma.

6. LA FABBRICAZIONE DEI TORTURATORI


Gli studiosi sostengono che torturatori si diventa in tre modi:
a. Perversione
b. Carenza affettiva o educativa
c. Traumatizzato a sua volta
Non considerando il fatto che non tutti diventano torturatori, ma come è possibile che un gruppo di
individui si trasformano in aguzzini? La questione della fabbricazione dell’individuo svolge un ruolo
fondamentale, in cui l’individuo non è mai separato dal contesto familiare, dal villaggio e da appartenenze
iniziatiche e di gruppo. In etnopsichiatria si tengono in considerazione i terzi coinvolti e per questo si puo parlare
di fabbricazione del torturatore.
Sironi ha compreso nel suo studio che torturatori si diventa o con un’esperienza pregressa violenta di
deculturazione o con un’iniziazione specifica che utilizza tecniche traumatiche. Prende in considerazione l’effetto
dello sdoppiamento di personalità, il modo in cui viene formato un individuo e la logica traumatica che vi è alla
base. Una caratteristica della tortura che in esso si propaga e persiste nel torturatore è proprio il trauma che
rimane attivo in entrambi i soggetti di tortura, e che nella vittima lascia un continuo sentimento di malessere. La
ripetizione della storia, il racconto del ricordo del trauma rimane vivido nell’individuo/vittima e produce sempre
lo stesso effetto anche a distanza di tempo.
Si individuano tanti elementi legati all’ iniziazione traumatica, tant’è che chi ne fa le veci deve essere stato
sottoposto alle stesse logiche, dove avviene una rottura tra fatti psichici e universali di riferimento:
a. Iniziazione pedagogica
b. Iniziazione tramite prova
Infatti, in alcuni corpi di polizia formare significa duplicare, in cui si plasmano le menti dei futuri aguzzini. Sironi
ha portato un esempio lampante dove due torturatori spiegano precisamente tutte le tappe del loro
addestramento e di quello che poi sarà il loro schema di tortura:
 Preliminari in cui si valorizza l’identità del soggetto, evidenziando i loro ideali di identità vera e
assoluta. Tramite prove di resistenza e di forza si instaura in loro l’idea di essere portatori
dell’unica verità assoluta e valida: orgoglio, durezza ed obbedienza.
 Decostruzione dell’identità culturale: attraverso il terrore e l’imprevedibilità delle azioni si
cancellano i punti di riferimento abituali dei novizi, viene rotto qualsiasi legame con la realtà e la
vita precedente all’accademia. Con la negazione ostentata e deliberata legata all’ identità
culturale, si distrugge il credo del soggetto facendo si che diventi un universale uguale ad altri. Il
soggetto diventa nulla difronte a se e agli altri e non ha piu alcun legame con i suoi affetti e
familiari.
 Affiliazione ad un nuovo gruppo: legato al segreto. Il soggetto viene messo nuovamente alla
prova e gli viene enfatizzato valori come forza, resistenza e coraggio; attraverso il lavoro
valorizzano i concetti di fierezza, bellezza ed eccellenza.
 Consacrazione pubblica e affiliazione: in cui viene presentata la loro identità universale come
definitiva, viene cambiato radicalmente un uomo dalla sua fase iniziale.
 Caduta e fine: i soggetti si comportano come veterani di guerre lontane e perdute, non riescono
piu ad adattarsi alla realtà quotidiana. Cercheranno in continuazione di arruolarsi in corpi
paramilitari dove i soggetti possono trovare il mondo per cui sono stati formati.
Processo di deculturazione dove avviene un cambiamento dell’universali di riferimento, in cui i soggetti si
trasformano in combattenti.

7. TORTURATORI E VITTIME
La formazione dei torturatori o paramilitari evidenzia numerose analogie con i metodi e gli schemi che
vengono utilizzati in atti di tortura:
- Incomunicabilità dell’esperienza dove la tortura impone il silenzio e l’iniziazione è segreta. Vittime e
torturatori sono accomunati dal silenzio del trauma causato da altri deliberatamente e resterà tale per
il resto dell’umanità.
- Alternanza delle fasi in cui iniziazioni militari attraverso le prove si svolgono in fasi distinte ed
articolate logicamente, allo stesso modo durante la tortura ci sono molteplici fasi alla cui base vi è un
codice binario di potere. Una delle conseguenze piu lampati di questi tipi di procedure sono la
confusione mentale dei soggetti data dai paradossi delle metodologie che subiscono.
- Organizzazione deliberata di un trauma intellettuale tramite la decostruzione dell’identità, in cui
avviene una divisione del pensiero: nei soggetti la ricerca di senso viene bloccata dal trauma dei
metodi subiti organizzati appositamente per bloccare il pensiero individuale. Devono obbedire senza
capire il senso dell’ordine ricevuto senza la possibilità di esprimere un proprio pensiero a riguardo.
- Trasmissione traumatica della decostruzione identificativa: in cui vi costruiscono le basi per un futuro
torturatore/ vittima perenne. All’interno degli episodi di tortura in questa fase si stabilisce anche un
rapporto/ legame particolare con il proprio aguzzino in alcuni casi fino ad arrivare a sviluppare una
vera e propria sindrome nelle vittime “sindrome di Stoccolma”, in cui il proprio carnefice viene visto
come buono e l’unico in grado di salvare.

In entrambi i casi sia dell’addestramento militare che di episodi di tortura sono dei mondi paradossali in
cui convivono una cosa e il suo contrario, mondo utilizzato spesso a vantaggio dei torturatori per creare ancora
piu confusione e spaesamento nella vittima. Si tratta di vera e propria fabbricazione del metodo di tortura.
Sironi inoltre porta un esempio a prova del fatto che in alcuni casi i metodi psicologici o chiamati anche
metodi di cura mentale vengono utilizzati come strumento di tortura per interrogatori e coercizione della vittima
politica.

8. Il TRATTAMENTO: PORTARE A TERMINE LA TRASFORMAZIONE

 UNA TERAPIA ATTRAVERSO L’ATTACCO AL COLPEVOLE


Per curare dal trauma della tortura è necessaria una terapia psicoterapeutica, in cui si dovrà affrontare
anche l’ idea del torturatore insita nella vittima. Partendo dal presupposto che spesso le vittime di tortura sono
soggetti totalmente isolate dalla realtà si analizzano gli effetti del trauma come angoscia di morte, colpa del
sopravvissuto o identificazione con l’aggressore, viene soggettivizzata la colpa del paziente. Ma secondo Sironi
questo approccio psicoterapeutico è sbagliato, lui infatti è dell’idea che bisognerebbe soggettivizzare
l’esperienza di non integrazione di elementi parassiti legati alla maniera in cui il paziente è stato pensato e
manipolato dal suo carnefice, dunque bisognerebbe occuparsi degli effetti di influenza.
Con l’etnopsichiatria poi c’è la possibilità di mettere in discussione nella tortura concezioni teoriche e
tecniche di causa-effetto, e non di conflitti individuali. Sironi individua anche due elementi alle basi della violenza
psichica e l’estrazione di principio vitale:
a. Identificazione inconscia con la teoria del persecutore
b. Incomprensibilità di questa da parte del paziente

Difatti il terapeuta concepisce l’intervento sulla base del conflitto intrapsichico, grazie al quale si possono
vedere i segni di deculturazione, e la fabbricazione di un identità altra rispetto a quella naturale e grazie a cui le
vittime/ pazienti sono aperti sempre a nuovi traumi.

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