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A Helena e Jeannine,
le mie nonne coraggiose e brillanti,
che mi sono state di enorme ispirazione
1
Leena
Basil Wallingham
Pro:
Contro:
– È tremendamente noioso
– Veste sempre di tweed
– Potrebbe tranquillamente essere un fascista
Signor Rogers
Pro:
– Ha solo 67 anni
– Ha tu i i capelli (incredibile)
– Danza come quei ballerini dei talent (ancora più incredibile)
– Educato con tu i, persino con Basil (e questa è la cosa più
incredibile di tu e)
Contro:
– Molto religioso. Molto, molto devoto. Non è che sarà una barba
a le o?
– Visita Hamleigh solo una volta al mese
– Non dà segni di interesse per nessuno che non sia Gesù
Do or Piotr Nowak
Pro:
Contro:
Arnold Macintyre
Pro:
Apro gli occhi alle sei e ventidue, ventidue minuti dopo la mia solita
sveglia, e sca o a sedere con un gemito. Penso che la ragione per cui
mi sono spaventata sia questo strano silenzio, l’assenza
dell’insopportabile, allegra suoneria della sveglia del mio telefono.
Mi ci vuole un po’ per ricordarmi che non sono in ritardo: non devo
svegliarmi e andare in ufficio. Anzi, non mi è concesso di andare in
ufficio.
Mi lascio ricadere sul cuscino e di nuovo vengo travolta dalla
paura e dalla vergogna. Ho dormito malissimo, rivivendo all’infinito
la presentazione, senza scendere mai so o la soglia del dormiveglia,
e poi, quando mi sono addormentata sul serio, ho sognato Carla, una
delle ultime sere che ho passato a casa di mamma, quando mi ero
infilata nel suo le o e l’avevo stre a a me, il suo fragile corpo
appiccicato al mio come quello di un bambino. Dopo un po’, mi
aveva spinto via con una gomitata. “Piantala di bagnare il cuscino”
mi aveva de o, ma poi mi aveva dato un bacio sulla guancia e mi
aveva spedita a preparare una cioccolata calda di mezzano e, e
avevamo chiacchierato per un po’, ridacchiando nel buio come se
fossimo tornate bambine.
Erano mesi che non sognavo Carla. Adesso che sono sveglia e
rivivo quel sogno, sento tanto la sua mancanza che eme o un grido
strozzato, “Dio”, ricordando le fi e stordenti di dolore che mi
mandavano al tappeto nei primi mesi, sentendone di nuovo
l’impa o per un istante lancinante e chiedendomi come abbia fa o a
sopravvivere a quel periodo.
Non va bene. Ho bisogno di muovermi, di farmi una corsa. Mi
rime erà in sesto. Mi infilo i leggings Lululemon che mi ha regalato
Ethan per il mio compleanno e una vecchia T-shirt, ed esco di casa.
p p
Corro per le strade di Shoreditch finché i ma oni scuri e i graffiti non
lasciano il posto ai magazzini riqualificati di Clerkenwell, ai bar e
ristoranti con la serranda abbassata di Upper Street, alla
lussureggiante ricchezza di Islington, finché non grondo sudore e
non riesco a pensare ad altro che al centimetro di marciapiede che ho
davanti agli occhi. Un passo, un altro passo, un altro passo.
Quando torno, in cucina c’è Martha, che cerca di infilare il suo
corpo molto incinta in uno di quegli assurdi sgabelli art déco che ha
scelto per l’appartamento. Ha i capelli castani raccolti in due codini;
Martha ha sempre l’aria giovane, per via della forma del viso, ma se
si aggiungono i codini non sembra nemmeno avere l’età legale per
aspe are un figlio.
Le porgo il braccio a cui appoggiarsi ma lei mi liquida con un
gesto.
«Molto gentile da parte tua» dice «ma sei un po’ troppo sudata
per toccare altre persone, mia cara.»
Mi asciugo il viso con l’orlo della maglie a e mi dirigo verso il
lavabo per bere un bicchier d’acqua. «Abbiamo bisogno di sedie
normali» le dico dandole la schiena.
«No, che non ne abbiamo bisogno. Queste sono perfe e» riba e
Martha, contorcendosi per cercare di infilare il posteriore sullo
sgabello.
La guardo esasperata.
Martha è una designer d’interni di lusso. È un lavoro
spumeggiante, sfiancante e irregolare; i suoi clienti sono un incubo
di perfezionismo, e non fanno che chiamarla a tu e le ore per lunghi
sfoghi sulla stoffa delle tende. Ma il vantaggio è che si becca degli
sconti sui mobili da collezionismo, e ha riempito casa con un
assortimento di ogge i di grande stile che non hanno affa o uno
scopo – come il vaso a forma di W sul davanzale, o la lampada di
ghisa che eme e solo un tenue bagliore – oppure si rifiutano di
espletare la funzione prevista: gli sgabelli del tavolo da colazione su
cui si fatica a sedersi, il tavolino dalla superficie convessa.
Eppure, sembrano renderla felice, e io sto così poco tempo in casa
che non mi danno un grande fastidio. Non avrei mai dovuto lasciare
che Martha mi convincesse ad affi are quell’appartamento con lei, in
q pp
realtà, ma la novità di vivere in una stampa d’epoca era troppo
alle ante quando ero appena arrivata a Londra. Ora è solo uno
spazio molto costoso in cui posso crollare sul le o, e non mi rendo
conto che quello che stiamo facendo, a quanto pare, è vivere in una
“mostra di arti applicate”. Quando Martha se ne andrà devo
convincere Fi a trasferirci insieme in un posto più ragionevole. A
parte la stravagante vecchia signora dei ga i che vive alla porta
accanto, tu i gli abitanti di questo edificio sembrano avere una barba
da hipster o una start-up: non sono sicura che Shoreditch sia il
quartiere che fa per me.
«Sei riuscita a parlare con Yaz ieri sera?» le chiedo, prendendomi
un altro bicchiere d’acqua.
Yaz è la ragazza di Martha, che al momento è in tournée teatrale
in America per sei mesi. La relazione tra Yaz e Martha mi provoca
alti livelli di stress per procura. Ogni de aglio sembra comportare
una logistica estremamente complessa. Sono sempre in zone con
fuso orario diverso, intente a mandarsi importanti documenti da una
parte all’altra dell’oceano e a prendere cruciali decisioni di vita
chiamandosi su WhatsApp con il segnale che va e viene. La
situazione a uale è un esempio eccellente del loro stile: Yaz tornerà
fra o o se imane, per prendere possesso di una villa (che ancora
deve essere comprata) e spostarvi la sua ragazza incinta prima della
nascita del piccolo, programmata di lì a qualche giorno. Al solo
pensarci mi viene da sudare di nuovo.
«Sì, Yaz sta bene» dice Martha, strofinandosi pigramente la
pancia. «Parla a mille all’ora di Čechov e partite di baseball. Sai, la
solita Yaz.» Il suo sorriso affe uoso si allarga in uno sbadiglio. «Però
sta diventando pelle e ossa. Avrebbe bisogno di fare un pasto
decente.»
Reprimo un sorriso. Martha non sarà ancora una madre, ma da
quando la conosco fa da mamma a chiunque sia a portata di mano.
Sfamare la gente è una delle sue forme preferite di aggressione
benevola. Continua anche a portare amiche del suo corso di Pilates a
casa per il tè, nell’evidente speranza che facciano un uomo onesto di
Fi , l’altro nostro coinquilino.
A proposito di Fi … controllo l’ora sul mio Fitbit. È al suo quarto
nuovo lavoro dell’anno; stavolta sarebbe davvero meglio che non
facesse tardi.
«Fi si è svegliato?» chiedo.
Neanche a farlo apposta, lui entra, alzando il colle o per me ersi
una crava a. Come al solito, la sua barba sembra tagliata con il
righello: è da tre anni che vivo con lui e ancora non capisco come
faccia a o enere quell’effe o. Fi ha sempre un’aria così
ingannevolmente composta. La sua vita è in uno stato di caos
permanente, ma i suoi calzini sono sempre stirati alla perfezione. (A
sua difesa, bisogna dire che sono sempre in vista – lui indossa
pantaloni troppo corti di qualche centimetro – e che sono più
interessanti della media dei calzini che porta la gente. Ne ha un paio
con un motivo di SpongeBob, un altro chiazzato come un quadro di
Van Gogh e il suo paio preferito sono i “calzini politici”, con “La
Brexit è una cazzata” scri o a orno alla caviglia.)
«Io sono sveglio. La questione è perché tu sei sveglia, cara la
nostra vacanziera» dice Fi , annodandosi la crava a so ile.
«Oh, Leena» dice Martha. «Scusami, mi ero completamente
dimenticata che stama ina non vai al lavoro.» Sbarra gli occhi in
segno di solidarietà. «Come ti senti?»
«Malissimo» confesso. «E sono arrabbiata con me stessa perché mi
sento malissimo, perché chi si sentirebbe malissimo se gli avessero
dato un congedo retribuito di due mesi? Ma continuo a rivivere
quella riunione, e mi viene solo voglia di rannicchiarmi in posizione
fetale.»
«La posizione fetale non è statica come si tende a pensare» dice
Martha, facendo una smorfia e accarezzandosi il lato della pancia.
«Comunque è normale, tesoro. Hai bisogno di riposare: è questo che
ti sta dicendo il tuo corpo. E devi perdonare te stessa. Hai solo fa o
un piccolo sbaglio.»
«Leena non ne aveva mai fa i prima» dice Fi , andando verso il
frullatore per farsi uno smoothie. «Dalle solo il tempo di rime ersi in
sesto.»
Lo guardo male. «Ne ho fa i di sbagli.»
«Ma per favore, Miss Perfezione. Ricordamene uno» dice Fi ,
strizzandomi l’occhio.
Martha nota la mia espressione irritata e fa per accarezzarmi il
braccio, poi ricorda quanto sono sudata e opta per una pacca sulla
spalla.
«Hai dei programmi per il fine se imana?» mi chiede.
«Vado a Hamleigh» dico, guardando il telefono. Aspe o un
messaggio da Ethan: ieri sera è dovuto restare al lavoro fino a tardi,
ma spero che stasera sia libero. Ho bisogno di uno dei suoi abbracci,
quei magnifici abbracci prolungati in cui nascondo il viso nel suo
collo e lui mi tiene stre a.
«Ah, sì?» dice Fi con un’espressione strana. «Torni al Nord per
vedere tua mamma… è questo di cui hai bisogno adesso?»
«Fi !» interviene Martha. «A me sembra un’o ima idea, Leena.
Vedere tua nonna ti farà sentire molto meglio, e non devi passare del
tempo con tua madre se non ti senti pronta. Viene anche Ethan?»
«Non credo… è alle prese con quel proge o di Swindon. La
consegna è giovedì prossimo: passa tu o il tempo in ufficio.»
A queste parole, Fi fa partire una sonora frullata. Non ha
bisogno di dire niente: so che pensa che io e Ethan non me iamo
abbastanza la coppia tra le nostre priorità. È vero che non ci vediamo
quanto vorremmo: anche se lavoriamo per la stessa società, ci
vengono sempre assegnati proge i diversi, di solito in diverse zone
industriali dimenticate da dio. Ma questa è una parte del motivo per
cui Ethan è così fantastico: capisce l’importanza del lavoro. Quando
Carla è morta e io faticavo a stare a galla, è stato lui a incoraggiarmi
a mantenere la concentrazione sul mio lavoro, a ricordarmi perché
mi piaceva tanto, a spingermi ad andare avanti perché non andassi a
fondo.
Solo che adesso non ho più nessun lavoro a tenermi in
movimento, non per le prossime o o se imane. Due mesi
interminabili si spalancano di fronte a me, desolati. Se penso a tu e
quelle ore di calma e silenzio e tempo per pensare, sento un vuoto
allo stomaco. Ho bisogno di uno scopo, un proge o, qualcosa. Se non
continuo a muovermi quelle acque si chiuderanno sopra la mia testa,
e il solo pensiero mi fa venire la pelle d’oca.
p p
Controllo l’ora sul telefono. Ethan ha più di un’ora e mezzo di
ritardo: probabile che sia stato interce ato da un collega mentre
stava uscendo dall’ufficio. Ho passato il pomeriggio a pulire
l’appartamento, e finito in tempo per il suo arrivo, ma adesso sono
passate altre due ore, durante le quali ho rivoltato i mobili e
spolverato le gambe delle sedie e fa o quelle pulizie maniacali per le
quali ti ritrovi su un documentario di Channel Four.
Quando finalmente sento la sua chiave nella toppa sguscio fuori
da so o il divano e mi spolvero la gigantesca felpa da pulizie
generali. È di Buffy: davanti c’è una grossa foto del suo viso, mentre
fa la sua migliore espressione assassina. (Molti dei miei vestiti che
non sono tailleur sono felpe oversize da nerd. Forse di questi tempi
non ho molto tempo per dedicarmi ai programmi cult, ma non
manco di dimostrare la mia fedeltà, e a dirla tu a è l’unico genere di
moda per cui mi sembra che valga la pena di spendere soldi.)
Ethan entra e rimane teatralmente a bocca aperta, ruotando sui
tacchi per contemplare la trasformazione. In effe i, è incredibile. Di
solito teniamo la casa abbastanza pulita, ma adesso scintilla.
«Dovevo sapere che non saresti riuscita ad affrontare una giornata
libera senza qualche tipo di a ività frenetica» dice, dandomi un
bacio. Profuma di colonia agli agrumi e ha il naso freddo per la
gelida pioggia di marzo. «Questo appartamento è uno splendore.
Hai voglia di sistemare anche il mio?»
Gli do uno schiaffe o sul braccio e lui ride, scostandosi i capelli
scuri dalla fronte con la sua cara eristica mossa sbilenca. Si china di
nuovo a baciarmi, e provo un moto di invidia sentendo com’è
euforico per il lavoro. Quella sensazione mi manca.
«Scusa il ritardo» dice, andando verso la cucina. «Li mi ha preso
da parte per rivedere le cifre della ricerca e sviluppo per la revisione
della Webster, e sai com’è, io di quelle cose non ci capisco mai niente.
Come sta andando, angelo mio?» conclude parlando da sopra la
spalla.
Mi sento stringere lo stomaco. “Come sta andando, angelo mio?”
Ethan me lo chiedeva al telefono ogni sera, quando Carla era quasi
alla fine; me lo chiedeva sulla porta di casa mia, comparendo proprio
quando avevo bisogno di lui, con una bo iglia di vino e un
q g g
abbraccio; lo chiedeva mentre arrancavo al funerale di Carla,
stringendogli la mano con tanta forza che devo avergli fa o male.
Senza di lui non ce l’avrei mai fa a a uscirne viva. Non so come si
faccia a essere abbastanza grati verso una persona che ti ha sostenuto
in uno dei momenti peggiori della tua vita.
«Sto… bene» dico.
Ethan torna nella stanza, i piedi scalzi che stonano con il completo
da ufficio. «Penso che sia una bella cosa» dice «questo momento di
pausa.»
«Davvero?» chiedo, sprofondando sul divano. Lui si siede vicino
a me, tirandomi le gambe sopra le sue.
«Certo. E comunque puoi tenerti allenata: se vuoi me ere lo
zampino nei miei proge i sei la benvenuta, lo sai, e potrei far sapere
a Rebecca quanto mi stai aiutando, così sarà consapevole che non
perdi la mano mentre sei via.»
Raddrizzo un po’ di più la schiena. «Davvero?»
«Ma certo.» Mi bacia. «Sai che sono dalla tua parte.»
Mi sposto per poterlo guardare bene: la sua bella bocca
espressiva, i capelli scuri che sembrano di seta, la manciata di
lentiggini sugli zigomi. È così bello, ed è qui, adesso, nel momento in
cui ho più bisogno di lui. Sono davvero fortunata ad aver trovato
quest’uomo.
Lui si china di lato per prendere la borsa del computer,
appoggiata vicino al bracciolo. «Vuoi dare un’occhiata con me alle
slide per domani? Per la Webster?»
Io esito, ma lui ha già aperto il computer, me l’ha posato sulle
gambe, così mi me o comoda e lo ascolto parlare, e mi rendo conto
che ha ragione: questo mi aiuta. Insieme a Ethan, sentendo la sua
voce profonda e sommessa parlare di fa urato e previsioni, mi sento
quasi me stessa.
4
Eileen
1. Benvenuto
2. Tè con bisco i
3. Do or Piotr: parcheggio davanti all’ambulatorio
4. Roland: stiamo ancora boico ando Julie’s? Rivedere il
provvedimento: non ci sono altri posti in cui comprare un buon
sandwich al bacon
5. Betsy: chiarimento sul fa o che la gonna pantalone sia o meno
“tornata di moda”
6. Bisco i, tè
7. Eileen: serata cineforum; provvedimento per bandire tu i i film
con Jack Nicholson, non li sopporto più, dovrà pur esserci
qualche altro signore capace di recitare
8. Basil: aggiornamento sulla Guerra agli Scoia oli
9. Reati da segnalare?
10. Bisco i, tè
11. Varie ed eventuali
Proge i
g
1) Portare a passeggio il cane di Jackson Greenwood mercoledì
alle se e del ma ino
2) Guidare il pulmino per il bingo il lunedì di Pasqua alle 17.
De agli a pag. 2
3) Partecipare agli incontri del Comitato di vigilanza ogni venerdì
alle 17. (Prendere appunti, altrimenti nessuno, la se imana
dopo, ricorderà di cosa abbiamo parlato. Prendere anche dei
bisco i in più se è il turno di Basil: lui porta sempre dei
pacche i scaduti che ha preso al negozio “tu o a una sterlina”, e
non vanno bene per inzupparli nel tè.)
4) Aiutare a organizzare la festa del calendimaggio. (Io sono la
presidente del comitato, ma è meglio chiedere aiuto a Betsy: a
lei piace gestire questo genere di eventi.)
5) Fare le pulizie di primavera in giardino. (Per favore, partire dal
capanno. È da qualche parte so o l’edera.)
Sono nel corridoio della casa di mia figlia e la stringo con troppa
forza. Al di sopra della sua spalla vedo il soggiorno; il le o di Carla
non c’è più, ma le sedie sono ancora disposte ad arco a orno allo
spazio in cui era collocato. La stanza non ha più ripreso il suo
vecchio asse o.
«Starò benissimo, non preoccuparti» mi dice Marian con
convinzione quando ci stacchiamo. «È un’idea meravigliosa. Ti
meriti una pausa, mamma.»
Ma sta di nuovo per me ersi a piangere. È troppo tempo che non
vedo quegli occhi nocciola asciu i; adesso ci sono delle chiazze nere
q g
so o, come piccoli lividi. È sempre stata così bella, la mia Marian: i
ragazzi la inseguivano per strada, le ragazze copiavano la sua
acconciatura, i genitori guardavano me e Wade chiedendosi dove
l’avessimo trovata. Ha la stessa carnagione dorata di Leena, e i suoi
capelli mossi sono screziati di miele, l’invidia di ogni parrucchiere.
Ma sul suo viso ci sono rughe nuove, che le piegano verso il basso gli
angoli della bocca, e a raverso i so ili leggings da yoga che indossa
vedo quanto è diventata scheletrica. Non voglio lasciarla per due
mesi. Cosa mi è venuto in mente?
«No, non ci pensare» dice Marian, scuotendo un dito nella mia
direzione. «Sto bene. Starò bene. E poi qui ci sarà Leena!» Mi rivolge
un sorriso furbo, e c’è un accenno della vecchia Marian, maliziosa e
impulsiva. «Pensavo che nemmeno tu saresti riuscita a convincere
Leena a venire quassù e ad alloggiare nel raggio di un chilometro
dalla sua orribile madre per due mesi.»
«Lei non pensa che tu sia una madre orribile. E poi l’idea è stata
sua!»
«Ah, sì?»
«Certo!» esclamo. «Ma in effe i penso che vi farà bene.»
Marian sorride, stavolta più debolmente. «È fantastico, mamma.
Sono certa che quando tornerai io e lei ci saremo rappacificate, e
tu o andrà meglio.»
Marian, sempre o imista, anche negli abissi della sofferenza. Le
stringo le braccia e la bacio sulla guancia. È questa la cosa giusta da
fare. Siamo impantanate, noi della famiglia Co on. Se vogliamo
andare da qualche parte, dobbiamo darci una mossa.
1) Brillantini
2) Lanterne
3) Potatura alberi – organizzare
4) Chioschi per mangiare
5) Trovare finanziatori
6) Ghirlande
7) Gabine i chimici
8) Cartelli
9) Parcheggio
10) Costumi per la sfilata
Venerdì pomeriggio, nel silenzio della casa, con Ant e Dec che mi
sgusciano tra i piedi, mi siedo al computer della nonna e mi collego
con il mio Dropbox. È tu o lì. “B&L Boutique Consulting. Strategia
tariffaria. Ricerche di mercato. Operazioni e logistica.” Non tocco
nulla, non ancora, rileggo solo tu o quanto. Dopo un po’ sono
talmente assorta che perdo la cognizione del tempo. Alle cinque c’è il
Comitato di vigilanza… parto come un razzo con la bici che ho
disso errato dal capanno-edera della nonna, e svoltando in Lower
Lane rischio di volare per terra.
Solo mentre varco la soglia della sala mi rendo conto che non so di
preciso che cosa sia il Comitato di vigilanza. Stiamo forse…
comba endo il crimine? È un circolo di lo a alla criminalità?
Studio l’accozzaglia di persone riunite al centro della sala e decido
che o sono supereroi in incognito o questo non può in nessun modo
essere un circolo di lo a alla criminalità. C’è Roland, l’organizzatore
troppo insistente di squadre di ricerca; Betsy, che sfoggia una sciarpa
rosa confe o, un rosse o in tinta e una gonna pantalone; e il do or
Piotr, molto più corpulento di come lo ricordavo dalla mia infanzia,
ma ancora inequivocabilmente l’uomo che mi ha ricucito il ginocchio
quando avevo nove anni e che una volta ha estra o un pisello secco
dall’orecchio di Carla.
Poi c’è un uccellino di donna che sembra fa a di fiammiferi, un
uomo baffuto e strabico che riconosco come Basil lo sciovinista e una
giovane dall’aria insofferente con quello che sembra vomito di
neonato sulla manica.
«Oh, cielo» dice, seguendo il mio sguardo. «Avevo intenzione di
pulirlo.»
«Leena» dico, porgendole la mano.
«Kathleen» risponde lei. I colpi di sole avrebbero bisogno di una
rinfrescata e sul mento ha uno sbaffo di dentifricio: ha scri o in
fronte “mamma esausta”. Non posso evitare di chiedermi perché
mai si sia presa il disturbo di venire a questo incontro invece di, che
so, farsi un pisolino…
«Io sono Penelope» dice la signora-uccellino. Porge la mano come
farebbe un sovrano: dalla parte del dorso, come se dovessi baciarla.
Incerta sul da farsi, le do una scrollata.
Betsy rimane esterrefa a vedendomi. Il suo sorriso arriva troppo
tardi per essere sincero. «Ciao, Leena» dice. «Non ero sicura che
saresti venuta.»
«Ma certo!» dico. «Ho portato il cartello, per la porta.»
«C’è spazio per una persona in più?» dice una voce dalla soglia.
«Oh, quale onore!» gorgheggia Betsy. «Jackson, non pensavo che
saresti riuscito a venire.»
Alzo gli occhi e sento che sto arrossendo. Jackson entra con una
maglia da rugby e un vecchio berre o consumato. Ero in condizioni
così pietose l’ultima volta che mi ha visto; non appena mi ricordo
sudata e singhiozzante sulla sua soglia mi viene voglia di filarmela a
Londra con la coda tra le gambe. Cerco di incrociare il suo sguardo,
ma lui ha da fare: tu e le vecchie e sono gravitate nella sua
direzione, e adesso sfoggia una donna per braccio come Hugh
Hefner, solo con le età dei protagonisti scambiate. Basil gli piazza in
mano una tazza di tè. A me non l’hanno ancora offerto, noto a
disagio. Non è un buon segno, vero?
«Be’, ora che Leena è finalmente arrivata, vogliamo cominciare?»
chiede Betsy. Resisto all’impulso di puntualizzare che non sono stata
io l’ultima ad arrivare, ma Jackson… solo che sono tu i troppo
impegnati a passargli i bisco i per rendersene conto. «Prendete
posto, per favore!»
È difficile non trasalire quando gli anziani presenti si piazzano di
fronte alle loro sedie e – prima lentamente, poi acquistando velocità
– piegano le ginocchia più che possono finché non a errano in
qualche punto della seduta con un tonfo.
«Di solito quello è il posto di Jackson» dice Roland, proprio
mentre sto per sedermi.
«Ah» mi guardo a orno, con le gambe piegate. «Jackson, ti spiace
se…»
Jackson agita la sua manona affabile. «Ma figurati, accomodati
pure.»
«No» dice Roland severo, quando il mio sedere tocca la sedia.
«No, no, quello è il posto di Jackson.»
Jackson scoppia a ridere. «Roland, non è un problema.»
«Ma tu preferisci quel posto!» protesta Roland.
«Lo cedo a Leena.»
«Che uomo premuroso» dice Penelope a Betsy.
«Mmh. Ed è stato così calmo dopo l’incidente con il cane, no?»
risponde Betsy, giungendo le mani sulle ginocchia.
Stringo i denti e raddrizzo la schiena. «Ho un’idea. Perché non ci
scambiamo tu i di posto, tanto per vedere come cambia la nostra
prospe iva?» propongo. «Vi sorprenderebbe la differenza che fa.»
Tu i mi guardano senza capire, a parte Jackson, che sembra
sforzarsi strenuamente di non ridere.
«Io me ne sto seduto qui» dichiara Basil con convinzione. «Non
ho nessuna voglia di cambiare la mia prospe iva, grazie tante. Mi
piace qui e basta.»
«Ma…»
«Sai quanto è stato difficile sedersi su questa sedia, ragazza?»
chiede Roland.
«Ma posso aiutarvi a…»
«E poi questo posto è il più vicino al bagno dei signori» dice Basil.
«Già» dice Penelope, «e quando Basil deve assentarsi, deve
proprio assentarsi, mia cara, non c’è verso.»
«Va bene, d’accordo» cedo.
Sembrano compiaciuti. Hanno scongiurato il mio tentativo di fare
un semplice esercizio di gestione del cambiamento con i loro
vaneggiamenti sul controllo della vescica.
«Meglio che ti siedi qui, Jackson» dico, e mi avvio verso un’altra
sedia. Bisogna scegliere le proprie ba aglie; questa non mi sembra la
causa più importante per cui immolarmi.
p p p
«Davvero, non mi importa» dice Jackson con dolcezza.
«No, no» dico, con voce più aspra di quanto vorrei. «Goditi la tua
sedia preferita. A me va benissimo questa.»
Una volta che abbiamo iniziato, passo buona parte della riunione
a chiedermi quale sia l’argomento, sensazione che non mi è ignota –
direi che l’o anta per cento degli incontri con i clienti a cui partecipo
si svolge così – ma mi rende difficile partecipare alla discussione.
L’aspe o che più mi disorienta è la totale mancanza di accenni
alla criminalità. Per ora abbiamo parlato di: panini al bacon (Roland
ha scoperto che Mabel al n. 5 di Peewit Street ne prepara di
eccellenti, quindi è tornato a boico are Julie’s, che da quel che ho
capito è un caffè di Knargill), scoia oli (Basil è decisamente
contrario) e se le patate facciano ingrassare (io penso che piu osto
dovrebbero preoccuparsi dei panini al bacon). Poi tu i passano venti
minuti a lamentarsi di Firs Blandon, un paesino della zona che a
quanto pare ha creato subbuglio spostando la staccionata di un
contadino mezzo metro a sinistra per rifle ere quello che secondo
loro è il confine tra i due distre i. A questo punto perdo un po’ il filo
e mi dedico ai bisco i.
Guardo l’ordine del giorno. Manca solo un punto da discutere
prima di raggiungere “Reati da segnalare”, in cui, finalmente, si
parlerà un po’ di criminalità vera e propria.
«Ah, sì, questo era l’ultimo piccolo proge o di Eileen, no?» dice
Betsy. «Quindi te ne occuperai tu al suo posto, Leena?»
«Quale, scusa?» chiedo, a metà di quello che deve essere il mio
centesimo bisco o.
«Aiutare le persone sole e anziane di Knargill offrendo loro un
trasporto» legge Betsy. «Non so bene come avesse in mente di farlo,
ma…» Betsy mi guarda piena di aspe ativa.
Ci penso un a imo. Mi sembra abbastanza semplice.
«Quanti di voi hanno l’auto?» chiedo. «A parte Jackson, Piotr e
Kathleen, ovviamente, che non hanno tempo libero da dedicare…
mentre il resto di voi è in pensione, no? Potreste occuparvi di un
trasporto, diciamo, ogni due giorni?»
Tu i appaiono allarmati, a parte Jackson, che ha l’aria più
divertita che mai.
«Dove pensate che potremmo accompagnarli per queste
scampagnate? Leeds è troppo lontana» dico, guardando di nuovo
Betsy. «Forse Daredale?»
C’è un silenzio prolungato. Alla fine il do or Piotr ha
compassione di me.
«Ah, Leena, molte delle persone qui sono… Anche se per la
maggior parte possiedono delle auto» lo dice con un’aria di
imperce ibile rassegnazione «non sono tu i incoraggiati a guidare
fino a Daredale.»
«Non è per dire che non possiamo» dice Betsy. «Io la patente ce l’ho
ancora, sai.»
«E il do or Piotr non può proibirmi di guidare finché non sarò
ufficialmente rimbambita» dice Penelope, con fierezza.
«Ah, bene» dico. «Io comunque avevo in mente di procurarmi
un’auto per qualche tempo, visto che quella della nonna è…»
«Fuori uso?» interviene Betsy.
«Irrimediabilmente danneggiata?» dice Basil allo stesso tempo.
«Qualcuno di voi ha una macchina che sarebbe disposto a
prestarmi finché sono qui?»
Silenzio.
«Penelope!» dico con entusiasmo. Mi sembra l’alternativa
migliore. Gli uomini non si smuoveranno, e certo non avrò il minimo
sostegno da parte di Betsy. «Potrei prendere in prestito la tua
macchina di tanto in tanto?»
«Oh, ma io… io ancora, insomma…» Si interrompe, poi, senza
molta gentilezza: «Be’, direi di sì».
«Fantastico, grazie, Penelope!» dico. Aspe o che abbia distolto lo
sguardo prima di strizzare l’occhio al do or Piotr. Lui alza il pollice
in risposta.
Adesso, perlomeno, ho il do ore dalla mia parte. E
un’automobile.
«Dunque, questo è quanto!» dice Betsy, ba endo le mani.
«Andiamo avanti… il calendimaggio! So che questo non è un
incontro ufficiale del comitato, ma poiché tu i i membri sono
presenti, e ci sono alcune questioni urgenti che non possono
aspe are, forse potremmo accennare a un paio di cose e?»
p p p
Tu i annuiscono. Sono abbastanza sicura che il comitato del
calendimaggio sia composto dalle stesse identiche persone del
Comitato di vigilanza, quindi potrei far notare che due riunioni
separate non sono affa o necessarie. Ma, pensandoci bene, è meglio
di no.
«Tema! Immagino che tu i siamo soddisfa i della proposta di
Jackson: tropicale!»
«Tropicale?» chiedo, senza riuscire a tra enermi.
Betsy si gira di sca o per fulminarmi con lo sguardo. «Sì, Leena.
Tropicale. È perfe o per una festa primaverile piena di sole. Non ti
pare?»
«Ecco…»
Mi guardo a orno, poi guardo Jackson, che ha alzato
imperce ibilmente le sopracciglia, come per dire: “Prego, esprimi
pure il tuo parere”.
«Solo non sono sicura che esalti i nostri punti di forza. La gente
sarà a ra a da una pi oresca sagra paesana a cui può portare i
bambini. “Tropicale” mi fa pensare, non so… a una serata di
bisboccia a Clapham.»
La gente mi guarda senza capire.
«Puoi proporre un’alternativa, se vuoi, Leena» dice Betsy gelida.
Guardo di nuovo Jackson. È appoggiato allo schienale, le braccia
incrociate, e c’è qualcosa di così sbruffone in quella postura che il
mio piano di astenermi e conquistare il gruppo prima di proporre il
minimo cambiamento finisce dri o fuori dalla finestra.
«Che ne dite di “medievale”?» propongo, pensando al Trono di
spade, di cui sto riguardando tu e le puntate da quando sono
arrivata a Hamleigh. Ethan ha sempre riso di me perché registravo
su DVD i miei programmi preferiti, ma chi ride adesso che sono nella
terra dove la banda larga è sconosciuta? «Potremmo servire
idromele, e avere dei “bardi” che cantino storie da far ascoltare ai
bambini, e il Re e la Regina del calendimaggio potrebbero indossare
splendidi abiti con le maniche a sbuffo e ghirlande di fiori, come re
Artù e la regina Ginevra.» Non sono proprio sicura che re Artù
vivesse nel Medioevo, ma non è il momento di essere pignoli. «E poi
potremmo chiamare falconieri e giocolieri, e la musica potrebbe
essere suonata da arpe e liuti. Immagino ghirlande di fiori appese ai
lampioni, bancarelle piene di fru a fresca e dolciumi, falò, maiale
arrostito…»
«Mmh. Be’. Vogliamo me erlo ai voti?» dice Betsy. «Il programma
di Leena di riportarci tu i al Medioevo o l’idea di Jackson su cui ci
eravamo praticamente accordati tu i la scorsa se imana?»
Faccio una risata incredula. «La domanda è un po’ tendenziosa,
Betsy.»
«Alzate le mani per l’idea di Leena» dice Betsy, impassibile.
Tu i si guardano. Nessuno alza la mano.
«E ora per l’idea di Jackson» dice Betsy.
Tu e le mani si alzano.
«Ecco. Apprezziamo il tentativo, Leena» dice Betsy con un sorriso.
«Datemi un paio di se imane» dico. «Farò un brainstorming vero
e proprio, tirerò fuori qualche idea concreta, me erò insieme
qualcosa da farvi vedere. Rifacciamo la votazione al prossimo
incontro ufficiale del calendimaggio. In fondo, è corre o chiudere la
questione del calendimaggio a un incontro del Comitato di
vigilanza?»
Il sorriso di Betsy vacilla.
«Non ha tu i i torti» dice Roland. «Non sarebbe corre o.»
«Non sarebbe corre o» ripeto. «Esa o, Roland.»
«E va bene, allora. Due se imane» dice Betsy.
Lancio un’occhiata a Jackson. Questa non è una competizione,
chiaro, ma io al momento ho segnato un punto, e sarei felice che lo
avesse notato. Lui ricambia il mio sguardo, sempre spaparanzato
sulla sedia con le gambe spalancate come fanno sempre gli uomini in
metropolitana, con la stessa aria divertita e impassibile che ha
conservato per tu o l’incontro.
«È tu o, gente» dice Betsy. «E Leena, ricordati che la prossima
volta tocca a te portare i bisco i.»
«Certo. Nessun problema.»
«E quella è la tua sedia» dice Roland, con un cenno di
incoraggiamento. «Ricordati anche questo.»
«Grazie, Roland. Senza dubbio.»
«Ah, e… Leena?» dice Betsy. «Penso che tu ieri abbia dimenticato
di me ere fuori i bidoni di Eileen.»
Espiro lentamente dal naso.
Stanno solo cercando di aiutare. Credo.
«Grazie, Betsy» dico. «Buono a sapersi.»
C’è uno strusciare generale di sedie e scalpicciare di piedi quando
tu i si alzano e vanno verso la porta. Accanto a me, Kathleen si
sveglia di soprassalto.
«Merda.» Controlla l’orologio. «A che punto siamo? Abbiamo
fa o la guerra agli scoia oli?» Interce a la mia espressione
sconfortata. «Oh, no» dice. «Hanno vinto gli scoia oli?»
12
Eileen
Non può funzionare. Bisogna che chiami Leena e le dica che è stata
una cretinata pensare che ci potessimo scambiare le vite così, e poi
fare i bagagli. Potremmo berci una cioccolata calda e riderci su, per
poi tornare al posto, e alla persona, che ci appartengono.
Sono irremovibile su questa decisione finché Fi non entra nel
soggiorno.
«Santo guacamole» dice, fermandosi di bo o. «Eileen! Sei una
favola!»
«Io non ci vado» gli dico con convinzione, iniziando a slacciarmi
le scarpe. «È un’idiozia.»
«No, no, no!» Fi raccoglie le mie pantofole da so o il tavolino
prima che possa infilarle. «Non sprecherà quella piega da urlo in un
pomeriggio casalingo» dice, con un dito ammonitore. «Lei è uno
schianto, signora Co on, e deve incontrare quel Tod!»
Ieri sera ho raccontato a Fi del mio imminente appuntamento. O
meglio, stama ina: io mi ero svegliata per cominciare la giornata e
lui stava tornando da una serata in ci à. Sembrava piu osto
malmesso – in fondo erano le cinque del ma ino passate – così
avevo dato per scontato che non si sarebbe ricordato della nostra
conversazione, ma purtroppo la sua memoria è migliore del
previsto.
Mi agito a disagio sul divano: la mia gonna a pieghe più elegante
mi stringe dolorosamente sui fianchi. Sento formicolare la schiena.
«Sono troppo vecchia per queste cose» dico. «Non posso sopportare
queste…» Indico lo stomaco.
Fi fa un sorriso malizioso. «Farfalle?» chiede.
«Oh, che scemenze» dico, ma non riesco a trovare un’alternativa
migliore.
g
Lui viene a sedersi accanto a me sul divano. «Ora, Eileen, io non
la conosco molto bene, però conosco Leena, e la mia impressione è
che molte delle sue qualità vengano da lei. E Leena odia fallire.»
«Questo non è un fallimento!» protesto.
«Ha ragione» dice Fi , «deve provare per fallire. E lei non ci sta
nemmeno provando.»
Mi girano le scatole. «Ho capito dove vuoi andare a parare» gli
dico.
«Sta funzionando?»
«Certo, per la miseria. Ora passami quelle scarpe, per favore.»
Ciao, Leena! Volevo solo dirti che il progetto della Upgo va a gonfie vele
in tua assenza, in realtà sta andando sempre meglio, in caso fossi
preoccupata! Fammi sapere se passi da Londra prossimamente, Cx
Sono le dieci di sera. Sto baciando un uomo sui gradini di casa sua.
Porto degli stivali con il tacco alto. Le mani di Tod si insinuano so o
la mia giacca, e il pollice sfiora la cerniera dell’abito lungo di lino,
come se cercasse la strada per dopo.
Da quando ho incontrato Tod mi è sembrato di aver aperto una
porta su una parte di me stessa che avevo dimenticato. Ieri mi sono
trovata a ridacchiare per l’emozione. Non sono sicura di averlo fa o
nemmeno da giovane.
È piacevole. Davvero. Ma percepisco anche un fremito oscuro e
colpevole nella pancia. Sono stata così brava a lasciarmi Wade alle
spalle. Da quando ho cominciato a uscire con Tod, però, è diventato
più difficile non pensare a lui.
Penso che sia solo questione di rinunciare a un’abitudine. In
fondo, erano cinquant’anni che non baciavo un uomo che non fosse
mio marito. Le labbra di Tod sono così diverse; anche la forma della
testa, del collo, delle spalle sembra strana al ta o dopo tanti anni
passati a imparare a memoria i contorni del corpo di Wade. È come
provarsi i vestiti di qualcun altro. Strano e sconcertante, senza
dubbio… ma divertente.
Mi stacco rilu ante dal suo abbraccio.
«Ti va di venire su?» dice Tod.
«Non ancora.» Gli sorrido. «Siamo solo al terzo appuntamento.»
Queste erano le mie condizioni. Ho acce ato tu e le clausole di
Tod per questa nostra relazione, ma ho de o che non sarei andata a
le o con lui prima della quinta uscita. Volevo il tempo di decidere se
potevo fidarmi. Non mi spiace divertirmi un po’, ma non ho
intenzione di… come ha de o Fi ?… diventare il “gioca olo” di
qualcun altro. In fin dei conti il sesso per me significa qualcosa, e non
voglio condividerlo con un uomo che non mi piace tanto.
Si dà il caso, però, che Tod mi piaccia moltissimo. Tanto che la mia
regola sembra quasi…
Lui alza un sopracciglio. «Riconosco una donna che sta per cedere
quando la vedo» dice. Mi stampa un altro lungo bacio sulle labbra.
«Sali su un taxi prima che facciamo qualcosa di cui potremmo
pentirci, eh? Le regole sono regole.» Mi strizza l’occhio.
Santo cielo, quell’occhiolino!
Meglio che prenda un taxi.
«Oh, mio Dio.» Martha si porta le mani alla gola. «Questo posto. È la
gro a del tesoro. Ma quello è un Chesterfield autentico? Dietro la
poltrona?»
Inizia a scavalcare uno dei tanti tavolini di Letitia nell’ansia di
arrivare al divano; allungo una mano per aiutarla, ridendo.
«Con calma, tesoro. Ci servirà un aiuto per spostare tu a questa
roba.»
«E lei è davvero sicura che possiamo tenerla al piano di so o?»
chiede Martha a Letitia, con gli occhi spalancati.
Letitia fa spallucce. «Perché no? Finché non se ne va in giro per la
ci à, a me sta bene prestarla. Sopra u o se…» Ha un’esitazione. «Mi
piace l’idea di una zona di ritrovo. Potrebbe essere un bel modo per
conoscere gente.»
Mi soffermo a rifle ere, giocherellando con una delle ceste di
cianfrusaglie di Letitia. Devono esserci un sacco di persone come
Letitia in circolazione. Non riesco a immaginare che gli altri
condomini siano meglio di questo nel far socializzare le persone.
Dev’essere dura vivere soli in questa ci à, sopra u o per gli anziani.
«Pensi che il proprietario ci lascerebbe usare lo spazio per
qualcosa di… un po’… più ambizioso?» chiedo a Martha.
«Perché? Cos’ha in mente?»
«Non lo so ancora bene» dico. «Ma… Letitia, tu ce l’avresti
qualche tavolo da pranzo in più?»
«Ne ho alcuni di riserva» dice. «In cantina.»
Martha sembra sul punto di svenire. «Riserva!» esclama. «C’è una
riserva!»
«Facci strada» dico a Letitia. «E mentre andiamo dobbiamo
trovare qualche aiutante. So chi fa al caso nostro.»
q
I tizi maleducati con i sandali che mi avevano guardato esasperati
si chiamano Rupert e Aurora, come ho scoperto (grazie alle pareti
so ilissime). Busso con decisione alla loro porta, affiancata da Letitia
e Martha.
Rupert viene ad aprire e sembra colto alla sprovvista. Con aria
assorta, si accarezza la pancia rotonda e si sistema i capelli dietro le
orecchie.
«Ah, salve» dice. «Temo di aver dimenticato il suo nome… Isla?»
«Eileen» lo correggo. «Eileen Co on. Lei è Martha, e lei Letitia. E
lei?»
«Rupert» risponde lui, tendendo la mano. È schizzata di pi ura.
La stringo, ma solo dopo un paio di secondi. Un conto è il buon
vicinato, un conto non avere spina dorsale.
«Senta, Eileen, volevo venire da lei per chiederle scusa» dice
Rupert, con aria mortificata. «La mia ragazza può essere un po’
scorbutica quando sta lavorando a una nuova opera… fa la scultrice.
La prima volta che l’abbiamo incontrata stava lo ando con una
statua in ferro molto difficile, non mangiava da quasi un giorno e… è
stata piu osto scortese. Mi dispiace davvero. E anche a lei.»
Il mio sorriso si fa un po’ meno altezzoso. «Be’, tu i possiamo
avere la luna storta quando abbiamo fame» dico, comprensiva. «E se
vuole farsi perdonare, abbiamo un lavoro per lei. Venga.»
«Che cosa?… Adesso?»
Mi giro di nuovo a guardarlo. «Ha da fare, eh?»
«No, no» si affre a a rispondere. «Mi me o le scarpe e sono tu o
vostro.»
OldCountryBoy dice: Forse potrei anche darti una mano. Sono bravo a
creare siti web: faceva parte del mio lavoro. Se sei interessata, posso
crearne uno per il vostro circolo!
EileenCotton79 dice: Fantastico! Sì, sono molto interessata. Al momento
stiamo aspettando il permesso da un altro residente, ma dovremmo
ottenerlo presto.
OldCountryBoy dice: Non vedo l’ora di partecipare!
Sbuffo.
EileenCotton79 dice: Be’, fai come vuoi, ma stai alla larga dal mio profilo!
Arnold1234 dice: Scusami, Eileen. Stavo solo cercando qualche idea per
il mio. Non sono molto bravo in questo genere di cose.
Mi viene da ridere.
Sto già digitando, con un sorriso. Questo sì che è pane per i miei
denti.
17
Leena
Rido.
Faccio una smorfia. L’ho fa o, devo amme erlo. Arnold era fuori
di sé, quante risate.
«Betsy, sono desolata» dico «ma penso che Hank sia nel tuo
giardino.»
Betsy mi guarda dallo spiraglio della porta. La casa non è affa o
come mi aspe avo. Mi sarei immaginata rose dappertu o e gradini
perfe amente lucidati, invece le grondaie sono incurvate e i
davanzali si stanno scrostando. Sembra un posto triste e trascurato.
«Hank? Il cane di Jackson? Come diavolo ha fa o a entrare nel
nostro giardino?»
Be’, l’ho preso in braccio, Jackson mi ha sollevato e io ho mollato
Hank da un’altezza potenzialmente pericolosa verso l’a erraggio
relativamente morbido di un grosso cespuglio.
«Proprio non lo so» dico, spalancando le braccia. «Quel cane
riesce a infilarsi dappertu o.»
Betsy si guarda alle spalle. Dio solo sa che cosa stia combinando
Hank nel suo giardino.
«Vado a prenderlo» dice, chiudendomi la porta in faccia.
Merda. Mi volto e faccio un fischio; dopo un lungo istante Jackson
appare al termine del viale o che conduce alla porta di Betsy.
«È andata a prenderlo!» sussurro.
Jackson mi liquida con un gesto. «Non ci riuscirà» dice, tranquillo.
«Aspe a e vedrai.»
Mi volto di nuovo verso l’ingresso della casa, ba endo il piede.
Dopo circa cinque minuti la porta si socchiude e Betsy fa capolino.
Sembra un po’ più scarmigliata di prima.
«Mi sa che devi venire a prendertelo» sussurra. Si guarda di
nuovo alle spalle. Sembra più vecchia, più ingobbita, ma forse è lo
scenario di quella casa malconcia. La moque e dell’ingresso è logora
e macchiata; il paralume è storto e ge a strane ombre sbilenche sulle
pareti beige.
«Betsy!» urla una burbera voce maschile da qualche punto della
casa.
Betsy sobbalza. Non un saltello normale, di quelli che fai quando
succede qualcosa che non ti aspe i. È più un trasalimento.
q p p
«Un a imo, caro!» risponde. «Un cane è appena entrato nel
giardino, ma sto risolvendo la cosa. Vieni» mi sussurra, facendomi
passare a sinistra, nel cucino o buio.
C’è una porta che si apre sul giardino; da lì vedo Hank che
scorrazza nelle aiuole. Mi sento un po’ in colpa. Il giardino è l’unica
parte di questo posto che sembra curata: le siepi sono ben potate e ci
sono dei vasi appesi a ogni palo della staccionata, ricolmi di viole e
edera verde chiaro.
«Come stai, Betsy?» chiedo, girandomi per guardarla meglio. Non
mi ero mai accorta di quanto fossero radi i suoi capelli, in mezzo ai
quali si intravede il bianco roseo del cuoio capelluto. Ha uno spesso
strato di fondotinta color pesca so o gli occhi, che si raccoglie nelle
rughe a orno alla bocca.
«Sto bene, grazie» dice Betsy, chiudendosi la porta della cucina
alle spalle. «Ora, se non ti spiace portare via quel cane dal mio
giardino…»
Guardo di nuovo fuori e faccio una smorfia: in questo momento il
cane sta scavando una buca in mezzo al prato di Betsy. Mi sa che
devo porre fine a tu o questo.
«Hank! Hank, qui!» chiamo, e poi – questa è la parte per cui
Jackson mi ha dato istruzioni molto severe – faccio frusciare il
sacche o di plastica di bocconcini che tengo in mano.
Hank alza la testa di sca o e sme e di scavare. Nel giro di mezzo
secondo, sta correndo a grandi balzi verso di me. Betsy caccia un
urlo, ma io sono preparata: lo afferro prima che possa cambiare idea,
e aggancio il guinzaglio al collare. Lui continua a saltare imperterrito
– dopo essersi accaparrato il bocconcino, naturalmente – e io ruoto
su me stessa per evitare di restare aggrovigliata nel guinzaglio.
Ora capisco che cosa intende Jackson, più o meno: Betsy non sta
bene, ma cosa posso fare per spingerla a dirlo? Forse il mio piano non
era così geniale. È molto difficile avere una conversazione intima con
qualcuno mentre stai cercando di impedire che un Labrador gli
lecchi la faccia.
«E sei sicura che vada tu o bene?» azzardo, mentre Hank sposta
l’a enzione da Betsy al bidone dei rifiuti.
«Va tu o a meraviglia, grazie, Leena» dice Betsy.
g g y
«Betsy, che diavolo sta succedendo?» urla una scontrosa voce
maschile.
Betsy si irrigidisce. Incrocia il mio sguardo, poi lo distoglie.
«Niente, caro» dice ad alta voce. «Fra un secondo sono da te.»
«C’è qualcuno là dentro? Hai fa o entrare qualcuno?» Una pausa,
poi, a voce bassa, come una minaccia: «Non hai fa o entrare
qualcuno, vero Betsy?».
«No!» dice Betsy, incrociando di nuovo di sfuggita il mio sguardo.
«Ci sono solo io, Cliff.»
Ho il cuore gola. Sono impietrita.
«Betsy» comincio, in un sussurro. Do uno stra one al guinzaglio
di Hank e gli intimo con la massima severità di me ersi seduto; per
miracolo, stavolta obbedisce. «Betsy, non dovrebbe parlarti con quel
tono. E tu dovresti poter invitare i tuoi amici. È casa tua oltre che
sua.»
Betsy a quel punto esce in giardino, guidandomi verso il
passaggio che va dall’ingresso alla parte sul retro. «Ti saluto, Leena»
dice con calma, aprendo il cancello.
«Betsy, ti prego, se c’è qualcosa che posso fare per aiutarti…»
«Betsy… sento delle voci, Betsy…» si sente Cliff mugugnare
dall’interno. Stavolta sobbalzo persino io.
Betsy mi guarda negli occhi. «Proprio tu parli di aver bisogno di
aiuto» sibila. «Risolvi i tuoi problemi prima di venire qui e
pretendere di risolvere i miei, signorina Co on.»
Si fa da parte. Hank stra ona il guinzaglio, fissando il cancello
aperto.
«Se cambi idea, chiamami.»
«Proprio non vuoi capire, eh? Fuori di qui.» Indica il cancello
come se stesse parlando con il cane.
«Ti meriti di meglio. E non è mai troppo tardi per avere la vita che
meriti, Betsy.»
Con queste parole, me ne vado. Il cancello si chiude silenzioso
dietro di me.
Detesto non poter fare niente per Betsy. Il giorno dopo, effe uo una
ricerca sui servizi locali che offrono sostegno alle donne coinvolte in
g
relazioni violente: non riesco a trovare niente di specifico per le
persone anziane, ma penso che ci siano alcune risorse che potrebbero
comunque esserle utili, e le stampo, portandomele nello zaino ogni
volta che giro per il paese, non si sa mai. Ma con il passare dei giorni
lei resta più gelida che mai, e ogni volta che cerco di parlarle mi
zi isce.
Non mi resta molto tempo da passare qui. Il prossimo weekend è
il calendimaggio, e dopo tornerò a Londra, e una se imana dopo al
lavoro. Nella mia casella trovo una e-mail di Rebecca che parla del
proge o che mi sarà assegnato quando tornerò in ufficio. Continuo
ad aprire il messaggio e a fissarlo a onita: mi sembra destinato a
qualcun altro.
Per il momento, mi concentro solo sul calendimaggio. I tasselli
finali della festa stanno andando al loro posto. Ho trovato la
porche a, ho capito come montare cinquecento lanterne sugli alberi
a orno al campo dove verrà acceso il falò principale, e ho trasportato
personalmente sei borse di gli er verde biodegradabile alla sala
comunale, in modo che possa essere sparso sul percorso della sfilata.
(Si è poi scoperto che cos’erano i “brillantini” nella lista di cose da
fare che mi aveva consegnato Betsy. La mia obiezione che non fosse
un articolo molto medievale è stata liquidata con un secco: “Da noi si
usa così”.)
Non posso introme ermi e aiutare Betsy senza il suo consenso,
ma posso aiutarla a organizzare un proge o su ampia scala.
E c’è anche un’altra cosa che posso fare.
«Non potresti avere un’aria più fragile?» chiedo a Nicola,
lisciandole il cardigan e spazzandole via qualche pelucco dalle
spalle.
Lei mi lancia uno sguardo che mi riprome o di imitare la
prossima volta che vorrò sbudellare un collega maleducato.
«Più fragile di così non mi viene» dice Nicola. «Pensavo avessi
de o che mi portavi a Leeds a fare shopping. Perché mai dovrei
avere un’aria fragile?»
«Ma certo, andremo a fare shopping» dico. «Solo che prima
dobbiamo passare da qualche studio legale.»
«Cosa?»
«Ci vorrà un a imo! I nostri incontri sono programmati per
durare una ventina di minuti al massimo.»
Lei mi guarda in cagnesco. «Ma io cosa ci vengo a fare?»
«Sto cercando uno sponsor per la festa del calendimaggio. Ma sai,
io faccio tanto londinese rampante» dico, indicandomi. «Mentre tu
sei dolce, anziana e desterai la loro simpatia.»
«Io non sono nemmeno di Hamleigh! E dolce un paio di coglioni»
dice Nicola. «Se pensi che me ne starò seduta lì a lisciare qualche
avvocato senza scrupoli…»
«Puoi anche non dire niente» le spiego, scortandola verso la
macchina. «Forse è più prudente.»
Nicola brontola per tu o il tragi o verso Leeds, ma non appena
entriamo nella prima sala riunioni recita in modo così convincente la
parte dell’adorabile vecchie a barcollante che stento a tra enere le
risate. “Un evento così importante per il nostro umile paesino” dice
Nicola. “Aspe o il calendimaggio per tu o l’anno.” Loro se la
bevono. La Port & Morgan Solicitors acce a subito; gli altri dicono
che ci penseranno.
È bello tornare in una sala riunioni, in realtà. Ed è bello
sopra u o uscirne vi oriosa, piu osto che in preda
all’iperventilazione. Mando un rapido messaggio a Bee mentre ci
avviamo verso la macchina.
Pochi secondi dopo arriva la sua risposta:
«Penso sia la cosa più eccitante che abbia mai fa o, signora C» dice
Fi , e prontamente il furgone che ha chiesto in prestito a Sally
dell’interno 6 si spegne. «Oops. Un a imo. Sì, sì, dai che ripartiamo!
Non dica a nessuno quello che è successo quando racconterà la storia
del nostro piantonamento, okay?»
«Non racconterò proprio niente, Fi » dico, nella mia voce più
severa. «Questa è una missione segreta.»
Lui è deliziato. «Segreta! Missione! Oh, mi scusi, non mi sono reso
conto che era ancora in seconda. Oh, santo cielo.»
Abbiamo imboccato la strada principale ed è intasata. Fissiamo il
traffico che si estende davanti a noi mentre le persone a piedi fanno
lo slalom tra le macchine.
«Mi faccia controllare Google Maps» dice Fi , infilando la mano
nella tasca del bomber per prendere il telefono. «Okay. Dice che con
questo traffico ci me eremo quaranta minuti per raggiungere
l’ufficio della Selmount.»
La notizia mi smonta. Procediamo un centimetro alla volta. Il
traffico ha tolto ogni pathos a tu a la faccenda.
Alla fine raggiungiamo la nostra destinazione e Fi parcheggia –
dove è vietato – in modo che possiamo appostarci in un caffè di
fronte all’edificio della Selmount. Grazie a Bee, so che Ethan è in
riunione lì dentro. È una via sorprendentemente bru a, larga e
costeggiata da edifici anonimi, ognuno dei quali ha alcune finestre
sbarrate con le assi, come denti d’oro ossidato. Il lucente vetro grigio
degli uffici della Selmount sembra un po’ fuori luogo in quello
scenario.
Sorseggio il tè ed esamino le ciambelle che Fi ha insistito per
comprare. A quanto pare sono d’obbligo durante un
“appostamento”. Hanno l’aria molto unta: la mia ha già formato un
anello azzurrino sul tovagliolo.
«Eccolo!» dice Fi entusiasta, indicando in direzione dell’edificio.
Ha ragione: ecco Ethan, ventiqua rore in mano, che esce
dall’ufficio scuotendo i capelli scuri. È un bell’uomo, questo devo
riconoscerglielo.
«E adesso, signora C?»
«Adesso ci giochiamo la carta della povera vecchie a» dico.
«Prendi qualche tovagliolo, non voglio sprecare la ciambella. Sono
sicura che la ga a di Letitia se la mangerà. Quella bestiola mangia
tu o.»
Quando riesco a uscire dalla porta Ethan è quasi scomparso dietro
un angolo. Mi me o a camminare in fre a, quasi a correre; Fi
impiega qualche istante a raggiungermi.
«Santo cielo, è veloce per essere una signora anziana!» dice Fi ,
me endosi al passo. «Un a imo, se tagliamo di qui possiamo
interce arlo.»
Seguo Fi in un vicolo, largo appena per contenere due persone.
Puzza di urina e di qualcos’altro che impiego qualche secondo a
riconoscere: dev’essere marijuana.
j
«Eccolo!» strilla Fi , indicando Ethan dall’altra parte della strada.
«Oops, scusi, voce da missione segreta, me l’ero scordato.»
Ma è troppo tardi: Ethan sta guardando nella nostra direzione.
Dovrò sfru are la cosa a mio vantaggio.
«Ethan! Tesoro!» esclamo, facendomi strada in mezzo al flusso di
pedoni per a raversare la strada. Dietro di me Fi tra iene il respiro
e poi chiede scusa a qualcuno in motocicle a che è stato costre o a
scartare bruscamente. «Che fortuna incontrarti qui!»
«Buongiorno, Eileen» dice lui, dandomi un bacio sulla guancia.
«Sta bene?»
«Benissimo, grazie» rispondo. Sono quasi senza fiato; mi guardo
a orno, cercando un posto dove sedermi un a imo, ma ovviamente
non ci sono panchine in vista. «Anche se, a dire la verità, avrei tanto
bisogno di fare un salto in bagno» dico in tono confidenziale. «Non
sono sicura di poterla tra enere fino a casa! Alla mia età, sai, la
vescica non è più quella di una volta. È debole, sai. Molto, molto
debole.»
Ethan ha un’espressione simile a quella di Fi quando qualcuno
viene mutilato in uno di quei thriller di Martha.
«Il mio appartamento è proprio qui» dice Ethan, indicando
l’edificio in fondo alla strada. «Vuole salire da me e… usare i
servizi?»
«Oh, sei proprio un tesoro» dico. «Fammi strada.»
Nell’appartamento di Ethan trovo qua ro indizi.
1) Una ricevuta sul tavolo dell’ingresso per una cena in due, 248
sterline. Ora, so che Londra è costosa – i prezzi delle cose qui
sono criminali – ma sono comunque un sacco di soldi da
spendere per una semplice amica o collega.
2) Due spazzolini nel bagno, entrambi con le setole umide che
suggeriscono un uso recente. Perché mai Ethan dovrebbe usare
due spazzolini?
3) Insieme a un paio di confezioni di creme per capelli di Leena
che riconosco – tu e che prome ono di “eliminare il crespo” –
c’è un flaconcino di siero per la “protezione del colore”. Leena
non si è mai tinta i capelli. Certo, potrebbe essere di Ethan. Va
molto fiero di quei suoi riccioli scuri.
4) Niente cestino nel bagno. Questo di per sé non suggerisce un
adulterio, ma nella vita ho scoperto che quasi mai mi piace una
persona che non abbia il riguardo di me ere un cestino nel
bagno. Si tra a sempre di uomini, e quasi sempre di uomini di
cui non ci si può fidare.
EileenCotton79 dice: Grazie mille, Howard. Che cosa ti serve per partire?
Xx
Cara Nancy,
spero non ti dispiaccia se ti mando questo messaggio, ma sto fondando
un circolo per ultrasettantenni a Shoreditch, e mi chiedevo se potessi
essere interessata a partecipare alla nostra inaugurazione questo
weekend…
Passo ore a mandare messaggi. Su questa lista ci sono più di cento
persone. Sono molto felice che Fi mi abbia mostrato come fare
“copia e incolla”, altrimenti ci avrei messo tu a la giornata; in ogni
caso, mi fanno male gli occhi e ho il collo indolenzito dopo tanto
tempo passato al computer.
Comincio già a ricevere risposte. Alcune sono un po’ scortesi –
“Vai da un’altra parte a fare pubblicità! Non è questa la sede!” – e
alcuni uomini sembrano prendere il mio invito come un’opportunità
per cominciare a flirtare, cosa che non posso fare: al momento ho
cose più importanti di cui occuparmi, e comunque nessuno di loro è
all’altezza di Howard o Tod. Ma ci sono già alcune persone che
sembrano interessate al Silver Social Club. “Verrò molto volentieri”
dice Nancy Miller. “Ci saranno dei giochi da tavolo?” chiede
Margaret di Hoxton.
Letitia arriva proprio quando ho esaurito la pazienza per
rispondere ai messaggi. Dice che ha comprato una nuova tisana che
vuole farmi provare. La invito a berla con me – sospe o che fosse
questo il vero scopo della visita – e la aggiorno sul mio nuovo piano
per pubblicizzare il nostro circolo.
«Vorrei essere brava quanto te con quel coso.» Indica il computer.
«Oh, sono certa che potresti imparare!» dico. «Chiedi a Fi , ti
insegnerà lui.»
«È una brava persona, quel Fi » dice Letitia. «Ha trovato
qualcuno che venga a stare nella stanza di Martha? L’ultima volta
che l’ho sentito era un po’ nervoso al riguardo.»
Sorrido. Letitia si piazza nella zona comune almeno una volta al
giorno, a disporre vasi di fiori, a sprimacciare cuscini. Ormai quando
qualcuno passa si ferma sempre a fare due chiacchiere. Lunedì sera
ho visto Aurora e Sally là so o che giocavano a poker con lei.
«Stiamo testando i tavoli!» mi ha de o Aurora. E poi: «Ecco qua!
Full!» ha esclamato Sally, sba endo le carte sul tavolo e facendo
sobbalzare Letitia.
«Non ancora» le dico, prendendo un bisco o. «Penso che dovrà
me ere un annuncio su Internet.»
«Be’, chiunque sia, sarà fortunato a vivere qui.»
«Letitia… Hai mai pensato di trasferirti in un’altra casa?»
p
Lei sembra inorridita. «Ma quale altra casa?»
«Non lontano. Qui. Nella stanza di Martha.»
Mi sembra un’idea eccellente.
«Oh, no» dice Letitia, nascondendosi dietro la tazza da tè. «Non
potrei lasciare il mio appartamento. Con tu e le mie cose deliziose! E
comunque, nessun giovane vorrebbe vivere con una vecchia ciaba a
come me.»
Spingo l’ultimo bisco o verso di lei. «Sciocchezze» le dico.
«Anche se capisco la preoccupazione per le tue cianfrusaglie. Voglio
dire…» mi affre o a correggermi, notando la sua espressione «… i
tuoi meravigliosi pezzi d’epoca.»
«Non potrei mai lasciare l’appartamento» dice Letitia, stavolta con
più convinzione, quindi non insisto. È un peccato, però: un po’ di
compagnia le farebbe bene, e non so come se la caverà quando non
sarò qui a stimolarla, anche se riusciremo a far funzionare
regolarmente il Silver Social Club.
Dopo che Letitia è uscita, stringo la tazza vuota tanto a lungo che
la porcellana diventa fredda. Non riesco a sme ere di pensare allo
scontrino sul tavolo di Ethan, allo spazzolino umido nel suo bagno.
So che tendo a saltare alla conclusione che un uomo sia infedele: è
piu osto ragionevole, date le circostanze, quindi non me lo
rimprovero. Ma ho bisogno di sapere se questo sta appannando il
mio giudizio.
Prendo il telefono e faccio il numero di Betsy.
«Ciao, cara!» dice lei. «Come sta il tuo affascinante a ore?» Il
modo in cui pronuncia la parola “a ore” lo fa sembrare ancora più
esotico.
Sorrido. «È meraviglioso come sempre. Posso chiederti un
consiglio, Betsy?»
«Certo.»
«Il ragazzo di Leena, Ethan. Devi averlo incontrato quando è stato
lì a trovarla.»
«In quelle rare occasioni, sì» risponde Betsy.
«Non è venuto nei fine se imana?»
«Un paio di volte. Penso che Jackson lo abbia spaventato.»
La cosa mi sorprende. «Jackson? Jackson Greenwood?»
p
«Il tuo Ethan non gli è andato particolarmente a genio.»
«Ho sempre saputo che Jackson è bravo a giudicare le persone»
dico, mestamente.
«Ahh, dunque Ethan non è nelle tue grazie?» chiede Betsy.
Le parlo di quello che ho scoperto visitando il suo appartamento.
Betsy risucchia l’aria tra i denti. È lo stesso rumore che fa quando tira
sul prezzo al mercato di Knargill.
«Potrebbe non significare niente» dice lei. «Non tu i gli uomini
sono come Wade.»
«Tanti sì, però.»
«Mmh, be’» dice Betsy.
Sto per chiederle di Cliff, ma lei ha ricominciato a parlare prima
che ne abbia la possibilità. Va sempre a finire così.
«Devo dire» osserva Betsy «che prima di sapere che la tua Leena
aveva un uomo, avrei de o che avesse un debole per Jackson.»
Questo sì che è interessante. «Che cosa te lo faceva pensare?»
«Ha passato metà del tempo a ba ibeccare con lui, l’altra metà a
tormentarsi i capelli quando lui è in circolazione. All’ultima riunione
per il calendimaggio non gli staccava quasi gli occhi di dosso. Oh, a
proposito del calendimaggio: sai che ha trovato uno sponsor?»
È davvero l’unica cosa al mondo che Betsy avrebbe potuto dire
per distrarmi da questa storia di Leena che fa gli occhi dolci a
Jackson. «Uno sponsor per il calendimaggio?»
«Un grosso studio legale. Molto esclusivo. Pagheranno
praticamente tu o, e lei ha ideato tu e queste a ività di raccolta
fondi, bancarelle per vendere torte, cacce al tesoro, lo erie.»
Sorrido. «È davvero intelligente, no?»
«Be’» dice Betsy, «senza dubbio è una che o iene risultati, devo
amme erlo.»
25
Leena
Rido di nuovo.
Rido, esasperata.
Sorrido.
Arnold1234 dice: E che mi dici del Silver Social Club? Come sta
andando?
Digito la risposta.
Ciao, Bee. Non preoccuparti. Che ne dici di domani alle 9? Magari se hai
tempo ci prendiamo l’ultimo caffè con muffin. Se non puoi, non è un
problema, naturalmente. Con affetto, Eileen xx
OldCountryBoy dice: Sono contento che 300 sterline ti vadano bene per
iniziare. Ti prometto che nel giro di una settimana ne avremo il doppio
in donazioni! xxx
EileenCotton79 dice: Ti darò l’assegno quando ci incontriamo. Spero di
vedere presto il nostro sito :)
Cara Eileen,
penso ti interessi sapere che oggi Betsy ha dato il benservito a Cliff.
Leena le ha trovato un posto sicuro in cui stare per un po’, da Nicola di
Knargill, e abbiamo fatto un discorsetto pacato a Cliff, il quale ha
promesso di andare a vivere con suo fratello a Sheffield entro il
prossimo fine settimana, in modo che Betsy possa finalmente avere la
casa tutta per sé.
Scusa se interrompo la tua inaugurazione. So che è un giorno
importante. Ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere saperlo.
Arnold.
E poi, d’impulso:
Ciao, Ceci. Ethan mi ha raccontato tutto. Come hai potuto farmi questo?
33
Leena
Rispondo subito.
Lui risponde.
Mi sento raggelare.
Io non ho mandato…
Leena, mi dispiace tanto. Non l’avevo programmato. Posso solo dirti che
è stata una specie di follia. Quando si tratta di Ethan, non riesco a
trattenermi.
«Che cosa hai fa o?» ruggisce Arnold dalla finestra della cucina.
Poso il libro, a enta a infilare il segnalibro nel punto giusto.
«Eileen Co on! Vieni subito qui!»
Ha le guance paonazze per la rabbia e gli occhiali un po’ storti; mi
viene lo strano desiderio di aprire la finestra e raddrizzarglieli.
«La siepe. Non c’è più.»
«Ah, la siepe tra il mio giardino e il tuo?» dico con nonchalance,
prendendo lo straccio vicino al lavabo e dando una strofinata al
ripiano della cucina. «Già. Ho chiesto al nipote di Basil di tagliarla.»
«Quando?» chiede Arnold. «Ieri c’era!»
«Stano e» dico. «Dice che lavora meglio alla luce della torcia.»
«Non dice niente del genere» riba e Arnold, con il naso
praticamente schiacciato contro il vetro. «Sei stata tu a dirgli di farlo
di no e così non me ne sarei accorto! Che cosa ti è venuto in mente,
Eileen? Non c’è più confine! Ora c’è solo… un unico grande
giardino!»
«E non è bello?» chiedo. Faccio l’indifferente e continuo a
strofinare tu e le superfici, ma non posso evitare di guardare di
so ecchi il suo viso paonazzo. «C’è molta più luce.»
«Perché l’hai fa o, di grazia?» chiede Arnold, esasperato. «Hai
lo ato con le unghie e con i denti per tenere quella siepe quando io
volevo sostituirla con una staccionata.»
«Sì, be’, le cose cambiano» dico, sciacquando lo straccio e
sorridendogli. «Ho deciso che visto che eri così rilu ante a venire a
trovarmi te l’avrei reso più facile.»
Arnold mi guarda in cagnesco a raverso il vetro. Siamo a non più
di mezzo metro di distanza; vedo quanto sono dilatate le pupille dei
suoi occhi nocciola.
«Santo cielo» dice, facendo un passo indietro. «L’hai fa o solo per
innervosirmi, vero?» Scoppia a ridere. «Sai, Eileen Co on, non sei
meglio di un ragazzino adolescente con una co arella. E quale sarà
la tua prossima mossa? Tirarmi i capelli?»
Ho un sussulto. «Prego?» Poi, visto che non riesco a resistere: «E
poi non vorrei certo rischiare di strapparti quel poco che ne resta».
«Sei fuori di testa!»
«Fuori di testa sarai tu. Vieni qui, mi dici che ti sono mancata, poi
te ne vai e non mi parli per giorni di fila? Che problema hai?»
«Che problema ho io?» Il suo fiato appanna il vetro. «Non sono io
che ho abba uto una siepe del tu o funzionale nel cuore della
no e!»
«Vuoi davvero sapere perché l’ho fa o, Arnold?»
«Sì. Davvero.»
Poso lo straccio umido. «Ho pensato che sarebbe stato
divertente.»
Lui socchiude gli occhi. «Divertente?»
«Sì. Io e te abbiamo passato decenni a litigare su cosa era di chi, di
chi fossero gli alberi che riparavano le aiuole di chissà chi, chi avesse
la responsabilità di potare quale cespuglio. Tu sei diventato sempre
più scorbutico e io sempre più irriverente. E sai di che cos’è che
abbiamo sempre parlato in realtà, Arnold? Abbiamo parlato di quello
che è successo la primissima volta che ci siamo incontrati.»
Arnold apre la bocca e poi la chiude.
«Non dirmi che te lo sei dimenticato. So che non è possibile.»
A eggia la bocca a un’espressione severa. «Non me lo sono
dimenticato.»
Arnold era sposato con Regina, la madre di Jackson. Una donna
strana, con le spalle grandi come se il suo decennio ideale fossero gli
anni O anta, i capelli ricci e i pugni quasi sempre stre i. E io ero
sposata con Wade.
«Non è successo niente» mi ricorda Arnold.
Ho le mani appoggiate sul piano di lavoro, ai due lati del lavello.
Arnold è incorniciato da un pannello di vetro, tagliato dalle spalle in
giù come un ritra o.
«No» dico. «È quello che mi sono sempre de a anch’io. Inutile
rimuginare. Certo non serve parlarne. Visto che non è successo
niente.»
«Giusto» dice Arnold.
«Solo che è successo, non è vero, Arnold?» Il mio cuore sta
ba endo un po’ troppo forte.
Arnold alza la mano per aggiustarsi il berre o, le mani avvizzite e
callose, gli occhiali ancora storti. “Di’ qualcosa” penso. “Dillo.”
Perché io, è vero, sono un ragazzino adolescente: in questo momento
mi vergogno da morire, ho il terrore che mi dica che ho visto
qualcosa che non c’era.
«Quasi» dice lui alla fine.
Chiudo gli occhi ed espiro.
Eravamo in questa cucina, non lontano dal punto in cui mi trovo
adesso. Lui aveva portato una torta di mele che aveva preparato
Regina, con la crema pasticcera in un piccolo bricco da tè; avevamo
parlato così a lungo nel corridoio che le braccia avevano iniziato a
farmi male a forza di reggere il pia o. Lui era stato così simpatico,
un uomo così premuroso, così interessante.
Io e Wade avevamo appena comprato Clearwater Co age. La casa
era arredata appena, e cadeva a pezzi. Io e Arnold eravamo entrati in
cucina – ricordo che mi ero spanciata dal ridere, tanto che quasi mi
girava la testa – e io avevo aperto il nuovo frigo per me erci la
crema, e quando lo avevo richiuso lui era molto vicino, a pochi passi
da dove sono io ora. Eravamo rimasti così. Il cuore mi ba eva forte
anche allora. Era da così tanto che non mi sentivo così che pensavo
che la cosa fosse uscita per sempre dal mio repertorio, come riuscire
a toccarmi le dita dei piedi quando mi piego.
Non era successo niente.
Ma era quasi successo. E a me era bastato per cercare di tenere
Arnold il più lontano possibile dalla casa. Perché avevo fa o un
giuramento. A quanto pare, per Wade non significava nulla, ma per
me sì.
«Ci abbiamo preso il vizio, eh?» dice Arnold, quando riapro gli
occhi. Ha un vago sorriso. «Siamo diventati proprio bravi a odiarci a
vicenda.»
Faccio un respiro profondo. «Arnold» dico, «non ti va di entrare?»
Alla fine, non è un bacio rubato tra nuovi vicini. È un bacio lento,
prolungato tra due vecchi amici che, a quanto pare, si sono resi conto
solo adesso che è quello che sono sempre stati.
È una sensazione straordinaria, circondare con le braccia le spalle
di Arnold, premere la guancia contro la pelle calda del suo collo.
Inalare l’odore di erba tagliata e sapone dei suoi capelli e del suo
colle o. È strano e meraviglioso. Familiare e nuovo.
Dopo, quando mi formicolano le labbra, ci sediamo fianco a fianco
sul divano e guardiamo la siepe, o quel che ne resta. Arnold sta
sorridendo. Sembra rigenerato, quasi tornato in vita: tiene la schiena
molto dri a, e la mano che non stringe la mia giocherella irrequieta
in grembo.
«Porca miseria» dice, «pensa solo a cosa diranno Betsy e gli altri.»
Si gira verso di me e sorride, un ghigno sfacciato, malizioso, che lo fa
assomigliare a un bambino.
g
«Non dirai una parola» gli intimo con severità, alzando un dito
ammonitore. «Nemmeno una parola, Arnold.»
Afferra il dito tanto in fre a da farmi sobbalzare.
«Questo tono di voce con me non funzionerà più» dice,
portandosi la mia mano alle labbra per un bacio che non gli
impedisce di continuare a sorridere. «Ora so che cosa mi stai dicendo
in realtà quando mi sgridi.»
«Non sempre» protesto. «A volte te lo meriti proprio. Tipo con il
coniglio.»
«Per l’ultima volta!» ride Arnold. «Non ho avvelenato il tuo
dannato coniglio.»
«E allora com’è morto?» chiedo, confusa.
«Eileen, è stato se e anni fa. Immagino che sia troppo tardi per
un’inchiesta.»
«Maledizione. Odio i misteri irrisolti.»
«Pensavi davvero che fossi stato io?»
«A essere sincera, non ho mai pensato che potesse essere andata
in nessun altro modo.»
Lui aggro a la fronte. «Mi giudichi così male?»
Gli accarezzo il dorso della mano con il pollice, tracciando delle
linee tra i segni che l’età gli ha lasciato sulla pelle.
«Forse lo volevo» dico. «Era più facile se eri un mostro.» Alzo gli
occhi. «E tu sei stato molto bravo a fare quella parte.»
«Be’, anche tu eri da Oscar nei panni della vecchia arpia» dice.
Mi chino in avanti per baciarlo. È dolce e caldo e le sue labbra
sanno di tè senza zucchero. Non sapevo nemmeno che lo prendesse
così, fino a oggi.
37
Leena
Sto andando alla festa. Ma prima devo fare una piccola deviazione
per andare a prendere qualcuno.
Negli ultimi due mesi ho scoperto molte cose sorprendenti su
Arnold. Dorme con un pigiama di seta viola che sembra appartenere
a un conte vi oriano. Diventa intra abile se passa troppo tempo
senza mangiare, e poi mi dà un bacio ogni volta che glielo ricordo. E
gli piace leggere Charles Dickens e Wilkie Collins, ma non aveva mai
le o Agatha Christie finché non ha iniziato a dedicarsi alla mia lista
di libri preferiti sul sito di incontri online. Quando me lo ha
confessato, è stato così adorabile che l’ho portato subito a le o.
Ma il fa o più interessante di tu i è che Arnold Macintyre è una
miniera di pe egolezzi su Hamleigh. Come risultato di una delle sue
soffiate più intriganti, adesso sono sulla soglia di Jackson
Greenwood, vestita nella mia tenuta da londinese: stivali di pelle,
gonna pantalone verde bo iglia e un morbido maglione color crema
che Tod mi aveva comprato come regalo di addio.
«Ciao, Eileen» dice Jackson venendo ad aprire. Non sembra
particolarmente sorpreso di vedermi alla sua porta così in ghingheri,
ma in fondo, ora che ci penso, non sono certa di aver mai visto
Jackson sorpreso per niente.
«Posso entrare?» dico. È un po’ sfrontato, ma non ho molto
tempo.
Lui si fa da parte. «Ma certo. Gradisci un tè?»
«Sì, grazie.» Vado verso il suo soggiorno, che a sorpresa è molto
ordinato e ben arredato. Il tavolino di legno è una nuova aggiunta
dall’ultima volta che sono stata qui; c’è sopra un libro aperto,
intitolato Pensieri lenti e veloci. Dietro un cancelle o, Hank scodinzola
entusiasta nel giardino d’inverno. Gli do una gra ata alle orecchie,
a enta a non lasciarlo avvicinare al mio bel maglione.
«La e, uno zucchero» dice Jackson, posando la tazza su un
so obicchiere mentre vado verso il divano. Non avrei mai pensato
che Jackson fosse il tipo da so obicchieri, devo dire. Sfioro il legno
del tavolino e rifle o su quanto poco sappiamo dei nostri vicini,
anche quando siamo delle ficcanaso in piena regola.
«Ethan è fuori gioco» dico, una volta seduta.
Jackson, che si sta dirigendo verso la poltrona, si blocca a metà
strada. Solo un’esitazione momentanea, ma abbastanza da far
scivolare un goccio di tè lungo il fianco della tazza, sul tappeto so o
il tavolino.
Si siede. «Ah» dice.
«Aveva una storia con l’assistente del capo di Leena.»
Le sue mani si contraggono nervosamente. Stavolta il tè gli si
versa sulle ginocchia: impreca tra sé, alzandosi per andare a
prendere uno straccio in cucina. Aspe o, guardandogli la schiena,
assorta.
«Leena lo ha scoperto?» chiede infine dalla cucina, sempre senza
guardarmi.
«L’ho scoperto io. L’ho informata. Lei lo ha mollato subito.»
Guardo il tè. «L’adulterio è una delle cose che non è disposta a
tollerare.»
A quel punto lui mi guarda, un’occhiata comprensiva. Io faccio
finta di niente. Non sono qui per parlare di me e Wade.
«Sto andando a Londra, a una festa, e ci sarà anche lei. Ho
pensato che forse avresti voglia di venire.»
«Io?»
«Già.»
Poi Jackson sospira. «Arnold te l’ha de o» dice.
«Già. Ho dovuto estorcerglielo con la forza, quindi non
prendertela con lui.»
«Figurati. Tanto metà del paese sa cosa provo per lei. Ma…
andare a Londra?» chiede Jackson, gra andosi la testa. «Non sarà
eccessivo?»
«Dipende. Ci sono cose che non le hai de o?»
p
«In realtà…» Si siede di nuovo, con quelle manone giganti avvolte
a orno alla tazza finché non vedo solo il ricciolo del vapore che sale
dal tè. «Gliel’ho de o alla festa del calendimaggio. Quello che
provavo.»
«Ah, sì?» Questo Arnold non me l’aveva de o. «E lei che cos’ha
de o?»
«Ha de o che non mi vede in quel modo.»
Mmh. Non è questo che mi ha raccontato Betsy, e dell’occhio di
Betsy mi fido quando si tra a di a razioni sul nascere. Le voci
diffuse da lei non sono quasi mai sbagliate.
«Dopo mi sono vergognato» dice Jackson. «Lei ha… aveva un
ragazzo.»
«Sì, okay» dico sbrigativamente. «Di questo non dobbiamo più
preoccuparci, ce ne siamo liberati.» Gli do una pacca sul braccio. «Se
lei non ti vede in quel modo, allora devi cambiare il modo in cui ti
vede. Vieni a Londra. Vestiti elegante. Hai presente quando, nei film,
la ragazza si me e in gran tiro per una festa e scende le scale al
rallentatore senza gli occhiali e con i capelli raccolti e un pezzo di
gamba scoperta e l’uomo è ai piedi delle scale, a bocca aperta, come
se non riuscisse a credere di non averla mai vista così?»
«Ovvio. Quindi?» chiede Jackson.
«Tu devi essere quella ragazza. Su. Ce l’hai un completo?»
«Un completo? Io… C’è quello che ho indossato al funerale di
Davey.»
«Non hai qualcosa di meno… funereo?»
«No. Ho dei bei pantaloni e una camicia.»
«Andranno bene. E lavati i capelli, c’è mezzo albero lì in mezzo.»
Porta una mano alla testa, tirando fuori il ramoscello di un
qualche sempreverde. «Oh» dice.
«Fai la doccia, vestiti e partiamo. Possiamo andare alla stazione di
Daredale con la tua auto?»
«Sì, certo, ma…» Deglutisce. «È una buona idea?»
«È un’o ima idea» gli dico convinta. «Adesso da i una mossa.»
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Copertina
L’immagine
Il libro
L’autrice
Frontespizio
O o se imane per cambiare vita
1. Leena
2. Eileen
3. Leena
4. Eileen
5. Leena
6. Eileen
7. Leena
8. Eileen
9. Leena
10. Eileen
11. Leena
12. Eileen
13. Leena
14. Eileen
15. Leena
16. Eileen
17. Leena
18. Eileen
19. Leena
20. Eileen
21. Leena
22. Eileen
23. Leena
24. Eileen
25. Leena
26. Eileen
27. Leena
28. Eileen
29. Leena
30. Eileen
31. Leena
32. Eileen
33. Leena
34. Eileen
35. Leena
36. Eileen
37. Leena
38. Eileen
39. Leena
Epilogo. Eileen
Ringraziamenti
Copyright