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Xmas disaster
Di Emma Altieri
Novella di Natale
Pubblicato da Pubme © – Un cuore per capello
Prima edizione 2021
Ho finalmente trovato l’amore della mia vita ma, perché c’è sempre
un ma, non tutto è andato liscio come l’olio.
Sono diciotto anni che siamo sposati. Grande traguardo visti i tanti
casini che abbiamo incontrato sulla nostra strada, ma l’amore ha
continuato a guidarci.
Ho superato i quarant’anni da un po’ ma non lasciatevi ingannare,
combino ancora disastri di proporzioni cosmiche. Alla fine, sono
diventata una donna adulta e responsabile: sono una moglie e una
brava casalinga, quando non lavoro. Abbiamo comprato la nostra
prima casa e stipulato un mutuo che si estinguerà fra un triliardo di
anni.
Il mio capo era davanti a me con il braccio destro ingessato fino alla
spalla. Sorrideva mentre io cambiavo .
«Buongiorno Silvia, tutto bene oggi?»
«Sabato siamo andati con degli amici a fare una sciata e mi sono
fermato ai bordi della pista per rispondere al cellulare. Un ragazzo
con lo snowboard non mi ha visto e mi ha travolto, trascinandomi
con sé per un tratto. Ecco spiegato l’arcano.»
Mi sedetti sulla sedia davanti alla sua scrivania mentre lui prendeva
posto all’altro lato. Decisi di tornare professionale e presi le redini
della situazione.
«Come scusi?»
Restai stupita dalla nonchalance con cui dava per scontato che sarei
stata ben lieta di sostituirlo, poi, però, mi focalizzai sulle sue ultime
parole.
«Ciao tesoro.»
«Il capo è tornato con il braccio destro rotto quindi fra due giorni
devo partire per Londra al suo posto per il meeting di cui ti avevo
parlato tempo fa. Mi aveva proposto il biglietto aereo e albergo
anche per te se volevamo, ma mi pare ormai ovvio che non potrai
accompagnarmi.»
«Promesso.»
Tornammo entrambi al nostro lavoro mentre comunicavo al capo
l’impossibilità di Riccardo di venire con me e iniziavo a preparare
tutto quello che avrei dovuto portare per le riunioni.
Mi recai quindi al banco di cambio, uno dei tanti sulla corsia che
conduceva all’uscita dell’aeroporto e all’accesso alla metropolitana.
Mi fermai sulla strada principale e, visto che l’ora di pranzo era ormai
passata da un pezzo, decisi di affogare la mia disperazione in un
panino del Burger King che avevo visto passando per recarmi in
albergo.
La mia passione per il caffè mi tornò utile. “Caffè Nero” ero uno dei
pochi bar in cui si poteva trovare l’espresso in perfetto stile italiano,
quindi, ordinai il mio adorato caffè e mi misi comoda a uno dei
tavolini. L’arredamento era adorabile, con piccoli tavolini adornati da
piantine, librerie un po’ ovunque e poltrone e divani sparsi in giro.
Sembrava di essere a casa, ero già completamente conquistata.
Quel giorno iniziava il meeting quindi sarei stata per gran parte della
giornata chiusa in un’aula a studiare e a cercare di capire tutto quello
che mi veniva spiegato. Sperai solo di aver ormai avuto la mia dose
di sfiga e che tutto sarebbe andato liscio come l’olio.
Mentre sbraitavo in italiano, dimenticando del fatto che forse chi era
all’interno nemmeno capisse cosa stessi sproloquiando. Battei con
forza ripetutamente finché un colpo di tosse non mi fece bloccare sul
posto.
Mi voltai e mi ritrovai davanti un ragazzo alto, snello, con jeans e
maglioncino a V. Aveva un ciuffo di capelli non indifferente ma
addomesticato con maestria e una buona dose di lacca. Tratteneva
a stento una risata e la cosa mi irritò ancora di più.
«Mi dispiace, bello, anche se hai un bel faccino sei rimasto fuori pure
tu. Potresti provare a fare gli occhi dolci al portiere se lo vedi, magari
fai colpo. Con me non ha funzionato. Non si è vista anima viva, e io
sto quasi per buttare giù la porta. Porca miseria.»
Avvertii il mio volto andare a fuoco fino alle orecchie. La sua era una
pronuncia perfetta, non stentata come uno straniero che sa qualche
parola di italiano. La prima figuraccia della giornata era stata appena
servita su un piatto d’argento.
Si avvicinò al mio viso abbassando il tono di voce come per non farsi
sentire dalle altre persone, anche se lì c’eravamo solo noi due.
«Mi sento una perfetta idiota. Perdonami per averti trattato in malo
modo, ma da quando sono atterrata ieri non c’è stato un solo
momento in cui sia filata per il verso giusto. Se avessi fatto tardi il
primo giorno di meeting avrei fatto bingo!»
Mi sorrise tranquillo, e io ricambiai. Mi porse la mano.
«Meno male, non credo che lui mi sarebbe stato così simpatico.»
Mi sentii a disagio per quella vicinanza così cercai di ritrarmi senza
dare troppo nell’occhio.
Nel frattempo, mi resi conto che il portiere del palazzo stava aprendo
le porte. Entrammo seguendo le indicazioni per la sala meeting e
prendemmo posto l’uno accanto all’altra, non troppo avanti e
nemmeno troppo indietro. Le postazioni avevano una sedia e una
specie di appoggio tipo tavolino. Sembrava un po’ di essere a
lezione in una facoltà universitaria.
Quando partì la prima frase, mi resi conto subito che c’era qualcosa
che non andava.
«Hej og velkommen til dette møde.»
Quando alzai gli occhi, mi resi conto che tutta la sala, compreso il
relatore, mi stava fissando. Mormorai un “sorry” e cercai di sparire
sotto il tavolino di fronte a me.
Non arrivò risposta da Rosario, così lo fissai mentre lui aveva occhi
solo per il lato B del cameriere. Mossi la mano davanti alla sua
faccia e sembrò risvegliarsi.
Lui scoppiò a ridere e poi indicò nella direzione in cui era sparito il
cameriere.
Stava per dire qualcosa quando squillò il mio telefono. Era Riccardo.
Adesso sì che ero nei guai. Sebbene non avesse mai avuto ragione
di essere geloso, Riccardo tendeva a prendere subito fuoco quando
sapeva che un rappresentante dell’altro sesso era in mia compagnia.
L’esperienza con Antonio, alla fine, non gli aveva insegnato poi
molto.
Silenzio.
Il suo tono gelido mi fece intuire che non aveva capito proprio nulla.
Non feci in tempo a rispondere che aveva già riattaccato. Sapevo
che dovevo lasciarlo sbollire, così decisi che lo avrei richiamato il
giorno dopo sperando che fosse disposto ad ascoltarmi. Odiavo che
mi tenesse il muso quando non potevamo vederci e, soprattutto, per
una cosa che non esisteva.
Non ebbi il tempo di finire il discorso che lui parlò per me,
prendendomi la mano sinistra fra le sue.
«Sei sposata. Pensi che la fede non si noti o credi che io sia
talmente rimbambito da non averla messa a fuoco?»
Mi sentii una stupida. Non ero ancora abituata alla fede e non tenevo
mai in conto che la gente potesse notarla.
«Scusami, è da pochi mesi e non ci sono abituata.»
«Tranquilla, non ti devi fare di questi problemi con me. Lo vedi quel
bel biondino laggiù?»
Indicò nella direzione del cameriere sexy che lo guardò facendogli
l’occhiolino.
«Ti lascio il numero del mio cellulare così per qualsiasi cosa puoi
contattarmi.»
Sai bene che ti amo e non hai motivo di essere geloso. Nel mio
mondo ci sei solo tu, dovresti saperlo ormai. Ti amo da impazzire.
«Ahia!»
«Ehi, Kill Bill, per fortuna hai la testa dura. Sembri tutta intera.»
Lui sorrise mentre io mettevo il broncio.
Guardai il mio piatto che sicuramente era cento volte meno invitante
di una bella pasta.
«Non mi fido molto del metodo di cottura degli inglesi. Non voglio
sembrare altezzosa, ma fuori dall’Italia è raro trovare una pasta cotta
in modo giusto.»
«Non voglio sapere nulla di ieri sera. Va bene. Una sera di queste,
se non sono troppo stanca, mi fai vedere questo locale.»
«Ciao, pulcino.»
«Uno schifo senza di te. Pensa che stamattina sono anche volata
per terra in mezzo alla neve.»
«Ha nevicato lì? Qui piove da giorni, non se ne può più. Il fiume sta
salendo di livello e hanno già dato l’allerta meteo. Se dovesse
passare gli argini ci toccherà fare gli straoridnari.»
Storsi il naso pensandolo da solo e sempre più stanco.
«Comunque, ora che sei più tranquillo, posso dirti di aver conosciuto
l’unico italiano del meeting, oltre a me. Si chiama Rosario, è un
geometra di Firenze, ha più o meno la mia età e la sera esce con
Maximilian.»
«Tu sei tutta pazza. Comunque salutamelo. Lo sai come sono fatto,
è più forte di me e non ti nascondo che ora mi sento più tranquillo.»
Lo vidi riflettere.
«In effetti, non è la prima volta che vengo a Londra ma non ci sono
mai stato. Sono tante le statue che mi piacerebbe ammirare. Pensa
a come sarei bello in foto accanto a David Beckham.»
Scoppia a ridere davanti alla sua espressione estasiata.
Risi mentre immortalavo la scena con un video, che avrei usato per
ricattarlo a tempo debito.
Uscimmo stremati, dopo non so quante ore, ma felici come non mai.
Quando alzai gli occhi dalla riva, mi resi conto che, sulla riva
opposta, c’era il London Eye. Era tutto illuminato anche se ancora
non si vedeva bene perché non era scena al sera.
Capitolo 7
3 giorni a Natale - Quinto giorno di meeting
L’ultimo giorno di meeting lo passammo a ritirare tutte le dispense
che erano state spiegate nel corso dei giorni precedenti. Ci fornirono
molto materiale informatico, e misi tutto insieme al portatile. Al
ritorno in ufficio mi sarei preoccupata di predisporre i corsi di
aggiornamento per i nostri tecnici.
«Stavo pensando a una cosa.»
«Io sono un’assistente, tu sei il titolare di uno studio. Non ci sarà mai
modo di frequentarci, nemmeno per lavoro. Non sono io che
comando in studio.»
«Alle nove e mezza, e spero proprio che sia puntuale perché non ho
nessuna voglia di far aspettare Riccardo che sicuramente sarà
all’aeroporto a prendermi.»
Gli raccontai tutto e lui aspettò che mi fossi calmata prima di darmi la
buonanotte.
Presi sonno molto tardi e restai in un dormiveglia agitato per il resto
della nottata.
Capitolo 8
2 giorni a Natale – Ritorno a casa
Finalmente il giorno della partenza era arrivato. Quella sera, sarei
stata di nuovo fra le braccia di Riccardo. Eravamo rimasti d’accordo
che ci saremmo sentiti più tardi in modo da potergli confermare
l’orario del volo.
Con calma, raccolsi gli ultimi oggetti in giro per la stanza e controllai
ovunque per non dimenticare nulla. Chiusi la valigia, poi scesi a fare
colazione. Passai per la hall a ritirare le ricevute ed effettuare il
check-out. Una volta per strada, mi concessi di prendermela con
calma. Pranzai da McDonald e poi presi la metropolitana per
Heatrow. Sarei rimasta in aeroporto, in fondo era pieno di negozi
quindi il tempo sarebbe passato comunque velocemente.
Nel momento in cui dalle scale mobili arrivai alla zona dedicata al
duty free, e tutti gli altri negozi, restai imbambolata. Dovevo rendere
atto ai londinesi che avevano uno spiccato senso natalizio. Le
luminarie erano gigantesche e illuminate, coprivano gran parte della
superficie dei soffitti, delle pareti dei negozi e degli spazi comuni
dell’aeroporto.
Prima di tutto, mi recai da Starbucks a prendere un espresso anche
se non era quello di “Caffè Nero”. Mi divertii a guardare i tizi strani
che entravano nel ristorante di Gordon Ramsay e poi iniziai a girare
per le vetrine. C’erano davvero tutte le marche e articoli di vario
genere. Quando arrivai al finestrone che dava sulle piste, mi resi
conto che stava nevicando. Sperai che non fosse un problema per il
volo e controllai gli schermi giganti poco distanti dalla mia testa.
Erano le otto. Mancava un’ora e mezza al mio volo e, al momento,
sembrava che tutte le partenze fossero confermate.
Restai un po’ stranita quando sentii che il suo tono di voce non
sembrava poi così deluso, ma cercai di non farci molto caso.
«Ma quando mai! Sta nevicando come un disperato e non c’è modo
di partire al momento.»
«Ok. Baci.»
Optai per la sala vip perché non avevo voglia di lasciare l’aeroporto
e poi, una volta sistemata al caldo, in una poltrona abbastanza
comoda, cercai di parlare con Riccardo. Il suo cellulare risultava non
raggiungibile così decisi di lasciargli un messaggio vocale.
«Ma che cavolo di fine hai fatto? È da ieri sera che ti cerco! Si può
sapere dove sei?»
«Tu sei tutta la mia vita e io non posso stare senza di te. Mi manca
l’aria quando non ci sei.»
Continuavo a piangere mentre lui cercava di calmarmi. Erano
finalmente lacrime di gioia. Mi ero sentita così sola senza poterlo
sentire che ora il mio cuore stava scoppiando di gioia.
«Grazie per essere qui. Grazie per essere l’uomo meraviglioso che
sei e per aver scelto me.»
A presto,
Emma