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CHIARA VENTURELLI

Un fidanzato di troppo
A mio marito,
il vero Jack.
Copyright © 2018 Chiara Venturelli
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, luoghi, personaggi e avvenimenti citati
sono frutto dell’immaginazione.
Foto copertina: YakobchukOlena © licenza iStock
Prima edizione: marzo 2018
ASIN: B07BCY9J5L

Già pubblicati:
- Lezioni di seduzione (2016)
- Onde di velluto (2017)
Sommario
Prologo
1. Ritornare a casa
2. «Non sono gelosa.»
3. Il suo punto fermo
4. Accettare le conseguenze
5. Cicatrici
6. Coincidenze?
7. Sorpresa
8. L’intervista
9. Quella notte
10. Pettegolezzi
11. Domande
12. Il giorno del Ringraziamento
13. Triangoli
14. Quel bacio
15. Ex
16. Guai
17. Alchimia
18. In prima linea
19. La foto
20. Vacanza
21. Non solo amici
22. Viktor
23. Tra due fuochi
24. Il venerdì nero
25. Buonanotte
26. Il confronto
27. Confusa
28. William e Catherine
29. In riva al mare
30. Il test
31. Tempo scaduto
32. Lezioni di seduzione
33. Abitudine
34. Partenza
Epilogo
Bonus - Le telefonate
Nota finale
Prologo
Elizabeth

«Sarà un matrimonio da favola.»


Sorrisi alle parole della mia amica e guardai il mio riflesso nel lungo specchio.
Avevo scelto un semplice modello impero color avorio, senza altre decorazioni
al di fuori della spilla a cuore della bisnonna, appuntata al centro del corpetto.
«Ora che sono riuscita a…» Le parole di Jessica rimasero in sospeso, quando
bussarono alla porta. «Oh, per l’amor del cielo! Ero appena riuscita a mandare
via tutti, tua madre compresa, per lasciarti cinque minuti di tranquillità.» Si alzò
a fatica dalla poltroncina per dirigersi battagliera verso la porta, la mano posata
sul ventre rigonfio.
Nel vano apparve un mazzo enorme di fiori, sorretto dal marito di Jessica. «Mi
hanno detto di portarli alla sposa.»
Lei gli fece segno di posarli sul divanetto. «Non capisco perché li hai portati
qua, gli altri sono stati messi nella saletta con i regali.»
«C’è anche una lettera, nel centro» spiegò lui, con pazienza. Poi lo vidi
barcollare perché dalla porta rimasta aperta era entrata Rose e si era gettata sulle
gambe di suo padre.
Dietro la piccola spuntò, con qualche secondo di ritardo, mia sorella Kimberly
che spesso le faceva da babysitter.
Approfittai del trambusto per avvicinarmi ai fiori e aprire la busta. Come vidi
la firma in fondo, mi sentii gelare ma cercai di non far trapelare il mio stato
d’animo. «Posso avere qualche minuto?»
«D’accordo, tutti fuori» li istruì Jessica.
Mia sorella mi lanciò uno sguardo interrogativo e mi sforzai di sorriderle.
Rimasta sola, mi sedetti e lessi la lettera.

Perdonami per averne dubitato, ma non mi aspettavo l’invito. Avevo deciso


subito di accettare, purtroppo però non farò in tempo a tornare dal viaggio.
C’è una cosa che non ti ho mai raccontato e penso che sia arrivato il momento
di farlo. Una sera d’estate, diversi anni fa, stavo giocando a scacchi con tuo
padre quando lui mi ha sorpreso confidandomi che non sarebbe mai stato
davvero pronto a vederti sposata ma che sarebbe comunque stato il suo giorno
preferito, se lo fosse stato per te.
Mi dispiace non vederti bellissima e raggiante in questo momento per te
importantissimo.
Sarai sempre la mia Elizabeth, anche se oggi cambierai cognome.

«Stai piangendo?»
Non mi ero accorta del ritorno di Jessica. Dovevo aver riletto almeno dieci
volte quelle righe e poi ero rimasta a fissarle con la vista sempre più appannata.
«Va tutto bene, sono solo gli…» Mi stavo ricomponendo, asciugandomi le
lacrime, quando Jessica imprecò di fronte alla firma.
«Vado a chiamare rinforzi.» Sparì prima che potessi fermarla.
Sospirando, infilai la lettera nella mia valigia e mi sedetti per sistemare il
trucco.
Pochi minuti dopo, la porta si aprì di nuovo. «La suite della sposa dovrebbe
essere un regno di pace e qui c’è stato un via vai continuo. Non va affatto bene»
borbottò Jess, entrando.
«Jessica, ci lasci soli un minuto?»
Sorrisi al nuovo arrivato. Adoravo la mia migliore amica, che già di suo era
abbastanza rigida nelle sue convinzioni, e la gravidanza non la rendeva più
accomodante, tutt’altro.
«Vedi di riportarle il sorriso sulle labbra, conto su di te» lo istruì perentoria,
prima di chiudersi la porta alle spalle.
«Io davvero non vorrei essere nei panni di quel povero disgraziato. Da quando
è incinta…»
«Fa davvero paura, lo so» concordai, con un debole sorriso.
Si chinò di fronte a me e prese una mano tra le sue. Quel gesto mi riportò
improvvisamente indietro di anni. «Parliamo di cosa ti ha fatta piangere?»
Scossi la testa. «Appartiene tutto al passato. Comunque, mi sembra di averla
già vista questa scena.»
«Il tuo vestito da sposa è più bello di quello di Catherine. Sono passati otto
anni e ricordo ancora come ti stava, eri in ansia più di oggi.» Mi fece
l’occhiolino.
Scoppiai a ridere, sentendo sciogliersi la tensione. «Nessuna crisi di panico
stavolta, promesso.»
«Rimpianti? Ripensamenti? Vuoi scappare dal retro?» Il suo sorriso era
contagioso, come sempre.
«Sono pronta. Vai pure a controllare lo sposo.»
1. Ritornare a casa
Elizabeth
Quattro anni prima

Ritornare a casa era necessario ma doloroso. Mi faceva piacere rivedere mia


sorella, però tornavo davvero a respirare solo quando risalivo di nuovo
sull’aereo, la domenica sera.
La mia stanza era rimasta la stessa da quando mia madre l’aveva rinnovata,
secondo il suo discutibile gusto, per ospitare la sua inquietante collezione di
bambole di porcellana. La camera di mia sorella Kimberly, invece, recava i segni
del cambiamento, nei muri stranamente spogli. Nella parete delle scale erano
scomparse un paio di cornici, quelle che un tempo consideravo le più belle. La
poltrona di mio padre era rimasta al suo posto, con quel plaid consunto ma
intoccabile. La casa dei miei genitori sembrava ancora la stessa ma, ormai, era
cambiato tutto.
Nostra madre aveva tentato di rimproverarci, trovandoci a vegetare in pigiama
sul divano. Aveva presto rinunciato a farlo, perché le faceva piacere che la sua
prediletta figlia minore non uscisse.
«Quindi vai alla festa.» Kimberly si lasciò cadere sul mio letto, facendo
sobbalzare la valigia aperta.
«Devo passare almeno per gli auguri.»
Mia sorella sbuffò. «Lo vedrai anche al pranzo di domani.»
Spostai la valigia per sedermi accanto a lei. «Kimmy, starò via solo un paio di
ore.»
«Ho sedici anni e non mi devi fare da babysitter!» Scostò la frangia dalla
fronte, con stizza.
«Lo so, sono qua solo pochi giorni al mese» ammisi, con amarezza.
Kimberly distolse lo sguardo e iniziò a giocare con un filo scucito del
copriletto. «Magari potrei scegliere il tuo college e venire a vivere con te, se
sarai ancora vicina al campus.»
Negli ultimi anni, io e Kimberly avevamo finalmente iniziato a confidarci
l’una con l’altra, pur essendo spesso in disaccordo. I mesi che avevo trascorso a
casa, dopo la laurea, avevano reso il nostro rapporto ancora più stretto. Al punto
che avevo impiegato giorni a prendere la decisione di tornare al vecchio campus,
quando avevo ottenuto l’incarico di assistente del professore di Teorie della
comunicazione.
«Intanto puoi venire un paio di settimane come al solito, poi partiamo insieme
per il mare a inizio luglio, che ne dici?»
«Sarà divertente, con te e Jessica! Però mi mancherà Rick.»
Sorrisi, di fronte alla sua delusione. Rick era stato per tre anni il mio
coinquilino e Kimberly adorava venire a trovarci. «Guarda che passa spesso,
anche perché abitiamo nel suo vecchio appartamento, lo sai.»
«Potrebbe tornare a viverci anche lui, no?»
Sentii vibrare il mio telefono sul comodino e mi sporsi a prenderlo. «No, sua
madre ha una villa fuori città, dove si è rifugiata dopo il divorzio, e non è il caso
di lasciarla sola.»
Risposi al messaggio della mia amica che mi avvisava del suo probabile
ritardo. Lo avevo già immaginato, considerando la sua scarsa voglia di
partecipare.
«Vai con Jessica?» Kimberly, curiosa come sempre, stava sbirciando lo
schermo del telefono.
«Sì, passa a prendermi tra un’ora.»
Tornai alla valigia e scelsi un paio di pantaloni e una maglia che usavo per
andare al lavoro, comodi e dai colori neutri. Non avevo portato nulla adatto a
un’uscita di sabato sera, convinta che sarei rimasta chiusa in casa come le volte
precedenti.
«Ti presto qualcosa, non puoi uscire conciata così.» Kimberly saltò giù dal
letto, improvvisamente rianimata.
«Non abbiamo la stessa taglia!» mi lamentai inutilmente perché era già sparita
in camera sua.
Ritornò cinque minuti dopo, quando stavo per andare a farmi la doccia, e mi
mostrò una maglietta rossa molto scollata.
«Non voglio congelare, siamo solo a fine febbraio.»
Me la lanciò comunque addosso. «Almeno irriterai Martha.»
Controllai di nuovo la maglia. «Non sono sua fan nemmeno io, ma non
capisco perché questa dovrebbe infastidirla.»
«Perché attirerai l’attenzione di Daniel.»
«Sbaglio o sei tu quella che sbuffa quando Danny viene a trovarci?»
Kimberly alzò gli occhi al cielo. «Perché sei tornata solo due volte dal trasloco
e lui si è presentato alla nostra porta a tutte le ore.»
Mi bloccai prima di smentirla. Daniel aveva trascorso con me ogni momento
libero, negli ultimi mesi. Kimberly lo aveva accettato, anche se con fatica, poi
era tornata a mostrarsi insofferente dopo il mio trasferimento. Ero abituata a
vederlo spesso, anche se erano scaturite pesanti discussioni tra lui e la sua
ragazza: me ne ero accorta nonostante lui cercasse di non farmelo pesare.
«Comunque devi mettere la mia maglia, provala almeno.»
«Vado a fare la doccia e poi ti faccio vedere che nemmeno mi entra.»
Kimberly mi liquidò con noncuranza e io mi chiusi in bagno.
L’estate precedente, quando aveva raggiunto la mia stessa altezza, mia sorella
aveva setacciato il mio armadio alla ricerca di qualcosa di suo gusto ma io non
potevo fare lo stesso con il suo armadio. A ventitré anni appena compiuti, il mio
corpo era cambiato, soprattutto in quel lungo inverno fatto di serate trascorse sul
divano in compagnia di gelato e Netflix. In tutta onestà, aver preso peso era
proprio l’ultimo dei miei pensieri. Le mie priorità erano alzarmi la mattina e
costruire una base per il mio futuro, almeno quello professionale.
Tentare di infilare quella ridicola maglia inflisse comunque un discreto colpo
alla mia già precaria autostima. Perfino mia sorella evitò di fare commenti,
vedendo come mi stava.
Quando suonarono alla porta, scesi di corsa ad aprire, eravamo già in ritardo.
«Come ti sei vestita?» Jessica mi squadrò dalla testa ai piedi, perplessa.
Come riuscisse a incutere timore, con il suo metro e sessanta scarso e quei
capelli biondi da principessa Disney, era davvero un mistero. Ma ci riusciva
eccome.
«Io avevo un’alternativa» sbuffò Kimberly, raggiungendomi. «Ma Ellybeth ha
troppe tette e uscivano dalla scollatura!»
Jessica scoppiò a ridere, scuotendo il capo. «Coraggio. Prima arriviamo, prima
ce ne potremo andare. Per fortuna, d’ora in poi ci sarò io a sistemarti il
guardaroba.»
Finsi di assecondarla, mentre indossavo la giacca. «Kimmy, torno presto.
Mamma comunque dovrebbe rientrare a momenti da casa di Laura.» Chiusi la
porta.
In fondo al vialetto era parcheggiata l’auto del ragazzo della mia amica. Presa
dall’ultimo scrupolo, la fermai posandole una mano sul braccio. «Jess, posso
andare da sola alla festa. Tu e Matt di certo preferite rimanere da soli.»
«Infatti viene con noi. Hai detto che rimaniamo poco, no?»
Annuii, pur sentendomi comunque un po’ in colpa. Era stata lei a insistere per
accompagnarmi, quando Daniel si era premurato di invitarla, nonostante non
fosse tenuto a farlo. Eravamo amiche da tutta la vita, quasi sorelle, e c’eravamo
spesso ripromesse di andare a vivere insieme, dopo essere state lontane per anni.
Tra i progetti fatti da adolescenti e le scelte di vita da intraprendere dopo il
college c’era comunque una bella differenza.
Jessica stava, invece, per trasferirsi da me. Quando a gennaio mi aveva aiutata
a traslocare, aveva lasciato curriculum in giro per puro scrupolo. Con sorpresa,
aveva ottenuto uno stage nell’ufficio import/export di una grande
multinazionale, scarsamente retribuito ma che garantiva un’ottima occasione
formativa. Il suo fidanzato, da ormai quattro anni, non l’aveva presa molto bene.
Mi ero fatta l’idea che stesse per chiederle di andare a convivere e Jessica, ignara
dei segnali che io invece avevo colto, gli aveva annunciato di aver ottenuto il
posto. Poche settimane dopo eccola pronta a trasferirsi a diverse ore di volo da
lui. Conoscendola da tutta la vita, mi ero accorta di come rimanere a vivere a
casa dei genitori, durante il college, l’avesse resa insofferente. Aveva bisogno di
un po’ di autonomia e di fare qualche esperienza nuova, mentre aspettava che
Matt terminasse la specializzazione. Da veterana delle relazioni a distanza,
faticavo a nascondere la preoccupazione, pur mostrandomi ottimista e di
supporto.
«Ciao Matt.» Salii in auto.
«Liz, come stai?» Mi guardò dallo specchietto retrovisore. I suoi occhi chiari
erano ancora colmi di preoccupazione quando si rivolgeva a me, nonostante
fossero passati mesi.
Cominciavo a sentirmi un po’ soffocata dalle premure dei miei amici. Ero
rimasta in piedi anche se con il cuore in frantumi. Avevo sofferto, stavo ancora
soffrendo, però avevo ripreso in mano le redini della mia vita ed ero andata
avanti. Continuare a trattarmi con i guanti, come facevano Matt e soprattutto
Daniel, non mi aiutava per nulla. Jessica, quantomeno, era tornata a comportarsi
con naturalezza e a dirmi quello che pensava, pur evitando certi argomenti.
«Bene, grazie» risposi in automatico, come ero abituata a fare, nell’attesa che
diventasse vero.
«Quindi stasera Daniel festeggia il compleanno?» Matt avviò il motore.
«Sì, ma sarà una cosa tranquilla. Ha prenotato una saletta privata del locale.»
«Figuriamoci se la strega gli permetterà di festeggiare in modo sobrio.»
Jessica non si faceva mai problemi a manifestare la sua profonda antipatia per
Martha. «Giuro che se osa ancora lanciarti qualche frecciatina idiota, le rovescio
un drink in testa, anzi un’intera bottiglia.»
«Jess, non cominciare» la ammonii, perché non volevo discuterne ancora,
soprattutto non davanti a Matt.
«Smettila di sentirti in colpa e di credere che sia giusto che lei ti odi.»
«Così mi fai sembrare passiva, solo perché non faccio scenate!»
«Ragazze…» Matt ormai aveva assunto, volente o nolente, il ruolo di arbitro
nelle nostre discussioni.
«Anche tu mi hai dato ragione» si lamentò Jessica, sentendosi tradita.
Matt mi lanciò uno sguardo di scuse dal riflesso dello specchietto: potevo dire
addio all’ultimo appiglio di razionalità e neutralità se anche lui aveva deciso di
schierarsi.
La mia amica si girò, per guardarmi negli occhi. «Ti lasci maltrattare da
Martha senza nemmeno difenderti.»
«Danny ha discusso con lei troppo spesso e non voglio che continui a farlo,
per questo evito di riportargli ogni battuta spiacevole che lei mi rivolge»
sospirai, stanca di doverlo ripetere.
«Dico solo che se Daniel crede di essere nel giusto a passare così tanto tempo
con te, allora…»
Avrei dovuto apprezzare lo sforzo evidente di Jessica di mostrarsi diplomatica,
però ero ormai diventata troppo suscettibile. «Perché non dovrebbe? Siamo
amici e spesso c’è anche Kimberly con noi.»
«Amicizia che è rimasta congelata per diverso tempo, o sbaglio? Perché Jack
non…»
«Basta» la zittii.
«Come vuoi, Liz.» Jessica si girò, chiudendo il discorso.
Si preannunciava una serata davvero entusiasmante.
2. «Non sono gelosa.»
Elizabeth

Daniel mi accolse con un enorme sorriso. Salutò con cortesia i miei amici, poi
mi abbracciò stretta.
Era sempre stato molto affettuoso con me, fin da bambini, tanto che spesso il
nostro rapporto era stato frainteso. Tranne in quel breve periodo in cui eravamo
stati davvero una coppia, ma erano trascorsi così tanti anni da essere solo un
lontano ricordo.
C’erano confini che non avevo più intenzione di valicare da quella torrida
notte di agosto, però l’abbraccio di Daniel era diventato, nel frattempo, il mio
rifugio perfetto.
Quando confusione e gelosia avevano rotto il mio equilibrio, al primo anno di
college, avevo preso un autobus per raggiungere il suo campus. Quando quel
giorno terribile aveva messo sottosopra la mia famiglia, Daniel si era presentato
alla mia porta e mi ero gettata tra le sue braccia, piangendo tutte le mie lacrime.
Quando mi ero ritrovata in aeroporto, reduce dal viaggio che non avrei mai
voluto fare, lo avevo trovato ad aspettarmi, a braccia aperte.
In un attimo il tempo trascorso lontani diventava inutile, perché ritrovavo il
mio punto fermo. Negli ultimi sei mesi, anche se mi costava ammetterlo, avevo
però fatto troppo affidamento su di lui.
Era una delle ragioni per cui tornare al mio vecchio campus, molto lontano da
casa, mi era sembrata la scelta giusta. Dovevo imparare ad affrontare i momenti
di sconforto senza aspettarmi che lui corresse alla mia porta, con un barattolo di
gelato, pronto ad ascoltarmi o distrarmi.
«Auguri, Danny.» Presi un ultimo respiro per prepararmi a sciogliere
l’abbraccio. Eravamo nel bel mezzo della saletta e altri invitati reclamavano la
sua attenzione.
«Grazie di esserci, Lizzy» sussurrò, direttamente al mio orecchio, continuando
a tenermi stretta a lui. Il suo profumo era ormai così familiare e confortante da
farmi dimenticare che non eravamo soli.
Jessica si schiarì la voce e io tornai bruscamente alla realtà, dove un abbraccio
di saluto tra amici doveva essere più breve, soprattutto se ci si vedeva abbastanza
spesso.
«Elizabeth, sei già qui.» Il freddo saluto della nuova arrivata fece allontanare
Daniel da me.
«Ciao, Martha. Come stai?» Cercai di mostrarmi socievole perché eravamo
già partite con il piede sbagliato.
«Meravigliosamente! Ti trovo un po’ ingrassata. Dovresti averlo il tempo di
andare in palestra, no?» Ennesima frecciatina al mio lavoro, che non era degno
per lei di essere definito tale.
«Martha.» Daniel cercò di intervenire.
«Sono solo preoccupata per lei. Tesoro, hai proprio esagerato con tutti quei
gelati.» Non perdeva mai occasione di rinfacciargli il tempo trascorso con me.
«Guarda, è arrivato Steven.» La sospinse lontano da me, poi mimò a fior di
labbra, con espressione preoccupata: «Scusami».
Accennai un sorriso e seguii Jessica e Matt, alla ricerca di un tavolino. Daniel
aveva prenotato la sala sul retro del locale aperto da pochi mesi. Gli invitati
erano già una trentina, tra ex compagni di scuola e qualche collega dell’ufficio
marketing.
«Martha voleva davvero far servire champagne in questo posto?» Jessica
scosse la testa, indicando gli arredi rustici e i due tavoli da biliardo sul fondo.
«Daniel desiderava bere qualcosa con gli amici mentre Martha avrebbe
preferito una cena al ristorante francese, con pochi intimi.» Non avevo nascosto
il mio sollievo di fronte alla scelta finale, perché sedersi a tavola con lei era
sempre un supplizio.
«Ragazze, ciao!»
Impiegai qualche istante a riconoscere la nostra vecchia compagna di classe
Meg, erano anni che non la vedevo e aveva cambiato colore e taglio di capelli,
passando dai lunghi capelli castani a un corto caschetto color prugna. Aveva
accompagnato uno dei colleghi di Daniel, così Jessica la invitò a sedersi con noi,
con scarso entusiasmo, comunque maggiore del mio.
«Ci siamo stupiti tutti, quando Liz ha scelto un college così lontano da casa.
Ora però non è un po’ tardi per fare le coinquiline?» Fu la sua simpatica
riflessione dopo aver ascoltato le novità sul trasferimento.
«Paghiamo un affitto bassissimo, grazie all’amico di Liz» spiegò Jessica,
rubando un sorso della birra di Matt. Un piccolo gesto spontaneo, che ricordava
la loro intimità, frutto di anni di relazione vissuta a contatto quotidiano. Mi
auguravo davvero che la distanza, nemico subdolo e potente, non alimentasse
gelosia, risentimento e fraintendimenti.
«Amico, eh?» sogghignò Meg, che non aveva perso la sua nota propensione al
pettegolezzo.
«Io e Rick ci siamo conosciuti a un corso del primo anno, poi siamo diventati
coinquilini. Pochi mesi fa, ha lasciato vuoto l’appartamento per tornare da sua
madre, che non sta bene.»
«Se è così generoso, potresti mettere una buona parola per me, soprattutto se è
carino» ridacchiò la mia ex compagna di scuola, ricordandomi perché non
amassi uscire con lei. Faceva continuamente allusioni sul trovare un ragazzo
migliore di quello con cui stava, e purtroppo non era cambiata.
«Rick lo ha fatto solo per Liz. Vederli insieme ti fa pensare che si conoscano
da tutta la vita e non solo da qualche anno.»
Sgranai gli occhi, sorpresa dalle parole di Jessica. Finché non sentii una mano
sulla mia spalla e mi girai: Daniel era dietro di me e questo spiegava tutto.
«Posso parlarti un minuto?» domandò, senza traccia di sorrisi sulle sue labbra.
Mi venne spontaneo guardarmi attorno e lui si affrettò a rassicurarmi: «Martha
è sul retro, credo ci fossero problemi con la torta che ha insistito per ordinare.»
«Torno subito.» Evitai di guardare Jessica perché ero certa che la sua
espressione mi avrebbe condizionata. Non facevo nulla di male a scambiare due
parole con il festeggiato.
Daniel posò una mano sulla mia schiena e mi guidò fino alla porta ad accesso
riservato al personale. La aprì, incurante del cartello, e la richiuse alle nostre
spalle, sigillandoci in un claustrofobico ripostiglio. Incrociai le braccia per
difendermi dal brusco calo di temperatura, attenta a non finire addosso alla
vicina pila di scatoloni.
«Danny, che succede?» Non sembrava rilassato e felice come mi sarei
aspettata, dopotutto eravamo alla sua festa.
«C’è una cosa di cui ti volevo parlare da qualche giorno» iniziò, allungandosi
per prendere una mia mano tra le sue.
«Dimmi» sussurrai, sempre più perplessa.
«Si tratta del mio lavoro…»
«Ragazzi, scusate. Martha sta cercando Daniel.» Matt si affacciò sulla porta,
interrompendo il discorso.
Daniel lasciò la mia mano e sospirò. «Ne parliamo domani, va bene?»
«Come vuoi.» Lo guardai poco convinta, cercando di capire se fosse successo
qualcosa di grave, non riuscivo a spiegarmi la sua espressione tesa. Forse aveva
problemi in ufficio e voleva confidarsi.
Feci per seguire Daniel, ma Matt mi bloccò. «Elizabeth, aspetta.» Lo guardai
negli occhi e vidi la sua battaglia interiore: non avrebbe voluto dirmi quello che
stava per dire.
Chiuse la porta alle sue spalle, isolandoci dal chiacchiericcio del locale. «Sei
come una sorella per la mia Jess e come una cognata per me.» Rimasi in
silenzio, in attesa che arrivasse al punto. «Non mi ha spinto Jessica a parlarti,
perché so che è controproducente il modo che ha lei di affrontare la questione.
Però ha ragione, sai?»
«Matt…» Mi massaggiai una tempia con due dita, sentivo il principio
dell’ennesimo mal di testa, da stress e stanchezza.
«Credi che se Martha vi avesse trovati da soli, sarebbe finita bene?»
Riaprii gli occhi, sentendo montare la rabbia sopita. «Non stavamo facendo
niente di male. Fino a prova contraria, anche noi due siamo qui da soli e sei il
fidanzato della mia migliore amica.» Se non fossero stati tutti così pronti a
equivocare la mia amicizia con Daniel, forse avrei ammesso che il suo
comportamento, quella sera, stava lasciando un po’ perplessa anche me.
«Hai ragione, scusami. Però, Liz…» Si bloccò, guardandomi di nuovo con
preoccupazione. «Avrai notato che Daniel sta cercando di passare più tempo
possibile con te. Da solo con te.» Mi lasciò così, ancora più desiderosa di tornare
a casa, a pigiama e gelato.
Mi concessi ancora un minuto da sola per riflettere sulle parole di Matt. Si era
ormai fatto condizionare dalla sua ragazza, non c’era altra spiegazione, perché io
e Daniel eravamo solo amici e lui era fidanzato da due anni con Martha.
Uscii dal ripostiglio proprio mentre stavano portando la torta. Alcuni
intonarono uno stonatissimo “tanti auguri” e, a giudicare dalle voci, l’alcol
offerto dal festeggiato stava mietendo parecchie vittime.
«Grazie a tutti!» Daniel alzò il suo bicchiere per brindare e quando incontrò i
miei occhi, rimase a fissarmi per un lungo istante.
«Ora la mia sorpresa!» Martha passò al festeggiato una busta bianca,
interrompendo quello strano gioco di sguardi.
Il mio regalo era una felpa della sua squadra preferita di football ed era
rimasto a casa dei suoi genitori, in attesa del pranzo dell’indomani. Mi avvicinai
a Daniel che, aperto il biglietto, lo stava fissando con una smorfia che non
somigliava nemmeno vagamente a un sorriso.
«Partiamo domani per Parigi!» Martha sembrava imbarazzata per la tiepida
accoglienza riservata al viaggio regalato. Qualcuno applaudì, qualcuno fischiò e
un paio di ragazze si avvicinarono per congratularsi con lei della bellissima idea.
«I casi sono due: o qualcuno ha versato dell’olio di ricino nel bicchiere di
Daniel oppure non è così felice di questo viaggio romantico.» Jessica apparve al
mio fianco, pensierosa.
«Che dici, ce ne andiamo?»
La mia amica accettò la proposta con palese sollievo. Cercai di andare a
salutare Daniel e mi imbattei in Martha.
«Oh, Elizabeth, mi dispiace. Laura e Robert erano al corrente della partenza e
di certo prepareranno comunque qualcosa per te e tua madre.» Quella stessa
frase, pronunciata da chiunque altro, sarebbe suonata forse un po’
compassionevole ma comunque ammissibile. La strega – soprannome dato a
ragion veduta – riuscì a farla sembrare derisoria.
«Avevo già altri piani per domani, non preoccuparti» inventai su due piedi.
Sembrò credermi e ne rimase sorpresa, poi si riprese in fretta. «Comunque
Daniel è contentissimo, era tanto che diceva di volermi portare a Parigi. Potete
immaginare il motivo!»
Una risata mi fece sobbalzare. Jessica mi aveva raggiunta, assolvendo il suo
compito autoimposto di guardia del corpo
«Janice, non pensi di aver bevuto troppo?» Martha non nascose il suo evidente
fastidio.
«Se proprio devi fingere di non ricordare il mio nome, almeno inventane di
nuovi. Questo lo hai già usato a Natale.» Jessica le sorrise, a denti stretti.
«Quando io e Daniel saremo sposati, ci trasferiremo lontano e saranno Laura e
Robert a venirci a trovare. Finalmente ci potremo liberare dei pesi morti.»
Martha girò i tacchi, dopo aver perso la sua finta compostezza.
«All’inizio non sembrava così» osservai, ancora incredula di averla vista
esplodere.
«Per forza, Daniel era il suo cagnolino e non correva ancora in tuo aiuto,
trascurandola.»
«Credi davvero che lui le chiederà di sposarlo?» Ottenni un’occhiata
preoccupata da parte sua e mi affrettai a specificare: «Non sono gelosa».
Jessica sospirò e fece cenno a Matt di raggiungerci. «No, non credo proprio.
Daniel ha passato più tempo con te che con lei nei mesi scorsi. Comunque questa
sarà la prova del nove.»
Quando finalmente riuscii a salutare Daniel, mi strinse forte per un istante e
mi sussurrò: «Ti devo assolutamente parlare».
«Danny, hai un aereo da prendere.» Come se ci fosse stato bisogno di
ricordarlo.
«Al mio ritorno» sospirò, per nulla entusiasta all’idea dell’imminente
partenza.
«Il mio regalo è dai tuoi, pensavo lo avresti aperto domani al pranzo.
Altrimenti lo avrei portato stasera, mi spiace.»
«Dispiace anche a me, Lizzy.» Mi guardò dritto negli occhi e sembrò voler
dare alle sue parole più di un significato. O forse aveva bevuto un bicchiere di
troppo.
Rientrata a casa, trovai mia sorella in bagno, intenta a spalmare una strana
poltiglia sui capelli della sua amica.
Sollevai la scatola della tinta. «Ciocche verdi, Amber?»
«Io avevo scelto il blu» si lamentò lei.
«Lo avevamo già provato, meglio cambiare, no?» Kimberly si tolse i guanti, a
lavoro finito. Ero abituata a vederle combinare qualche disastro insieme, Amber
frequentava casa nostra da quando mia sorella aveva iniziato la terza elementare.
L’importante era rivedere in Kimberly quell’aria spensierata che ricordavo.
«Mamma?» osai domandare, adocchiando la porta chiusa in fondo al
corridoio.
«Emicrania anche stasera.»
Non era dato sapere quante di quelle emicranie fossero reali e quante fossero
scuse per chiudersi in camera. «Dopo pulisci il bagno, eh.»
Entrai in camera mia e gettai la borsa sul letto, il telefono sgusciò fuori e, tra
le notifiche, trovai un messaggio di Rick.

Divertita alla festa? Pensavo di portare un cactus ora che ci sarà anche Jessica.
Quando eri da sola, non mi fidavo.

La mia amicizia con Rick era nata durante il corso di teatro ed era
sopravvissuta perfino quando avevo ucciso il suo amato Miguel. Ero
un’assassina di cactus, come mi definiva ogni volta che lo facevo arrabbiare. Gli
avevo regalato un nuovo cactus, per sostituire quello che avevo annegato, per
sbaglio. Miguel The Second era volato giù dal terrazzo ma quella volta non era
stata colpa mia. Se non altro, era servito a convincere Rick a porre fine alle feste
movimentate a casa nostra.

Non toccherò mai più un cactus, lo sai. Comunque la festa è stata… non so
nemmeno definirla.

In risposta, mi telefonò. «Che ha fatto Daniel?»


«Perché dovrebbe essere colpa sua?» Mi accorsi di aver alzato la voce e sperai
che mia sorella non mi avesse sentita dal bagno.
«Perché la penso come Jack, c’è qualcosa di…»
«Rick, ti voglio bene ma stasera ti sto per mandare al diavolo.»
«Posso dire solo una cosa, Liz?» Il tono troppo serio avrebbe dovuto
insospettirmi, ma ero così stanca che acconsentii pur di terminare la chiamata.
«Non è Daniel la persona che vuoi al tuo fianco. Forse il passato non è
davvero…»
«Rick» lo bloccai, con durezza. «Daniel è mio amico. Fine della questione.
Domattina parte per Parigi con Martha, magari le chiederà perfino di sposarlo.»
Sospirò. «C’è una cosa che forse dovresti sapere.»
«Notte, Rick.» Terminai bruscamente la chiamata. Non ne volevo parlare, lo
sapeva benissimo però non sempre accettava la mia scelta.
Stavo per entrare in cucina alla ricerca del gelato, quando il fratello di Amber
passò a prenderla. Mi affacciai per salutare e notai qualcosa di insolito: mia
sorella era troppo silenziosa.
«Hai discusso con Amber?»
«No, perché?»
«Però sei troppo quieta…» Poi compresi. «Ti piace suo fratello!»
Sgranò gli occhi e arrossì un po’. «Ha sempre quell’aria tormentata da artista
incompreso, figuriamoci.»
«Se lo dici tu.» Rinunciai al gelato e iniziai a salire le scale, con Kimberly alle
calcagna.
«Comunque non dirlo a Jessica o mi darà il tormento.»
«Non oserei mai» sorrisi, entrando nella mia camera.
«Sei una terribile bugiarda!»
Rimanemmo in piedi al centro della stanza per un lungo istante, prima che le
domandassi: «Vuoi dormire con me?». Il suo viso si illuminò, poi fece solo un
breve cenno affermativo e sparì a prendere il pigiama.
Ci infilammo sotto le coperte e spensi la luce. «Hai avuto incubi nelle ultime
settimane?» Era una domanda da fare con il favore del buio.
Sospirò e rimase in silenzio per un attimo, prima di confidarsi. «Qualcuno. Se
chiudo gli occhi vedo ancora le luci lampeggianti dell’ambulanza riflesse sui
poster della mia stanza. Li ho tolti tutti, non riuscivo più a guardarli.»
Abbracciai forte mia sorella, gli occhi già pieni di lacrime. «Vuoi che torni a
vivere qua?»
«Sta già andando meglio, tranquilla.» Era cresciuta così in fretta la mia
sorellina, non era più una bambina però non era nemmeno abbastanza adulta per
cavarsela da sola. «Mi manca papà e mi manca perfino la mamma rompiscatole
di un tempo, non è più lei.»
«Lo so, Kimmy. Mamma si riprenderà, vedrai.»
Mi addormentai con gli occhi pieni di lacrime. Di dolore e di rabbia. Perché
nostro padre ci era stato strappato via, d’improvviso, da un infarto fulminante. E
tre mesi dopo, il mio cuore si era spezzato per la seconda volta, quando avevo
dolorosamente chiuso la mia storia con Jack, dopo anni di amore e sacrifici.
3. Il suo punto fermo
Jack

Era sabato sera ma non avevo alcuna intenzione di alzarmi dal letto e uscire. La
settimana era stata devastante, il lavoro mi aveva concesso solo poche ore di
sonno e non avevo nemmeno avuto il tempo di disfare le valigie.
Il ronzio del telefono spezzò la quiete. Aprii gli occhi: era calata la sera
avvolgendo la stanza nella penombra. La cosa positiva era non vedere il caos che
regnava. Allungai una mano tra le lenzuola, intenzionato a rifiutare la chiamata e
inoltrarla alla segreteria.
Quando vidi il nome sul display, però, mi rassegnai a rispondere. «Dimmi,
Luke.»
«Cos’è questo silenzio? Non sei fuori a festeggiare?» ridacchiò, prendendomi
in giro.
«Sono distrutto. Se non hai niente di importante da dire, chiudiamo qua.»
«Quanto affetto fraterno» si lamentò, poi aggiunse: «La prossima settimana ho
un incontro con un cliente poco distante da te, ci vediamo per bere qualcosa?».
«Ricordamelo il giorno prima e vediamo» borbottai, con scarso entusiasmo.
«Un’ora con tuo fratello non è una condanna al patibolo.»
Sbuffai, perché ero io l’attore ma mio fratello sapeva essere davvero
melodrammatico. «Devo vedere che orari avrò sul set.»
«Da quando non stai più con lei, sei sfuggente come ai vecchi tempi, se non
peggio.»
Strinsi con forza il telefono, per evitare di lanciarlo giù dal letto. Non avrei
avuto il tempo di andarne a comprare uno nuovo e mio fratello non valeva tanto
disturbo. «Se io e te ci parliamo, è solo merito suo.»
«Hai intenzione di cercarla ancora?»
«L’ho fatto per settimane! Nessuno vuole dirmi come contattarla» sbottai,
alzandomi a sedere nel letto.
«Hai provato a chiamare la sua famiglia?»
«Pensi che sia così idiota? L’ultima volta Kimberly mi ha…» Scossi il capo,
cercando di dimenticare quell’amara conversazione. L’avevo vista crescere, la
piccola Kimmy, come se fosse stata la mia sorellina. Sentirla così dura e
risentita, così disillusa e ferita, mi aveva dissuaso dal provare ancora. Non mi
avrebbe detto dove si era trasferita la sorella maggiore e continuare a chiamare
avrebbe solo infastidito lei e Margaret, che non si era ancora ripresa dalla morte
improvvisa del marito.
«Tanto con il tuo lavoro avrai l’imbarazzo della scelta.»
«Giusto. Perché io ho scelto di recitare solo per quello.» Era difficile
nascondere il risentimento quando avevo a che fare con lui. Negli ultimi anni,
avevamo recuperato un qualche genere di rapporto, anche se concordava con
nostro padre. O quantomeno non si era mai opposto alla sua visione del mondo,
permettendogli perfino di scegliergli con quali donne uscire, per mantenere la
giusta immagine di avvocato di successo.
«Jack, non fare il bambino. A me Elizabeth non dispiaceva. Le ho anche fatto
gli auguri…»
«Quest’anno?» Liz compiva gli anni a gennaio.
«Non ricordo, forse era lo scorso anno.»
«Se sei così convincente anche in aula, poveri i tuoi clienti.»
«Era rimasta la data nel calendario e la mia nuova segretaria le ha mandato un
biglietto di auguri all’indirizzo dei suoi.»
Non avevo mai preteso di capire mio fratello maggiore, eravamo troppo
diversi, però il suo comportamento era spesso assurdo. «E lei ti ha risposto?»
«Non fare una scenata di gelosia. Mi ha mandato un’e-mail per ringraziarmi.»
«E non ti è passato per la testa di inoltrarmi quel dannato indirizzo? Se scrivo
a quello vecchio, torna tutto indietro!»
«Credevo che non volesse risponderti, non che avesse addirittura cambiato
indirizzo e-mail.» Aveva anche la faccia tosta di suonare irritato, dopo avermelo
tenuto nascosto per settimane, sapendo che io non riuscivo a mettermi in
contatto con lei. «Sicuro di non averla tradita? Ti manca solo l’ordine restrittivo,
ti ha completamente cancellato dalla sua vita.»
«Non sono affari tuoi.» La sua opinione in merito era proprio l’ultima da
ascoltare.
«Va bene, cambiamo argomento.» Fu la sua proposta.
Rimanemmo però in silenzio, perché non avevamo nulla di cui parlare.
Certamente non di nostro padre, che non mi rivolgeva la parola da quando ero
partito per Londra, quasi quattro anni prima. Nemmeno della promettente
carriera di avvocato di mio fratello, a un passo dall’essere nominato socio dello
studio.
Dopo qualche secondo, Luke sospirò, rassegnato. «Ti chiamo la prossima
settimana.»
«Ok, ciao.» Mi lasciai andare all’indietro, tra i cuscini, ancora più stanco di
prima. Avere a che fare con lui era sembrato più semplice quando vivevo
oltreoceano.
Ero fiero di me, per essere riuscito a diplomarmi alla prestigiosa accademia di
arte drammatica, contando solo sulle mie forze e sul mio talento. Erano stati anni
pieni non solo di soddisfazioni, ma anche di complicazioni, sacrifici e rinunce.
Mentre la mia carriera beneficiava delle lunghe ore di studio e pratica sul palco,
dietro le quinte la mia vita sentimentale affondava lentamente.
Nessuno avrebbe scommesso su una relazione a quella distanza. Era folle fare
su e giù da un aereo, per vedersi pochi giorni al mese, quando andava bene.
L’errore più grande, però, era stato sottovalutare l’insofferenza che, nutrendosi di
delusioni e incomprensioni, aveva depositato strati di dubbi a ogni litigata, a
ogni assenza, a ogni mancanza. Fino all’ultima goccia che aveva fatto traboccare
tutto.
Quando ero tornato negli Stati Uniti per il provino, a gennaio, avevo tentato
per l’ultima volta di contattarla. Di fronte all’ennesimo buco nell’acqua, avevo
ricomposto i brandelli del mio orgoglio calpestato e avevo inscatolato la mia vita
londinese per trasferirmi definitivamente, con la speranza che dopo quel primo
ruolo ne sarebbero giunti altri.
Ritrovarmi su un volo di solo andata, dopo quasi quattro anni di pendolarismo
aereo, era una vittoria mutilata, senza aver più lei al mio fianco.
Ethan, il mio coinquilino fin dal primo anno, aveva avuto il coraggio di dirmi
ciò che nessuno aveva ancora osato fare, mentre mi accompagnava all’aereo.
«Non credi che forse sarebbe stato meglio se vi foste lasciati subito? Hai
aspettato per anni questo momento e ora non te lo stai godendo per nulla.»
«Abbiamo festeggiato quando ho ottenuto la parte» gli avevo fatto notare.
«Ti ho visto con Stella alla festa. L’hai fatta uscire all’alba per non farle fare la
camminata della vergogna davanti a noi o non ci è arrivata al tuo letto?»
«Lo sai che non mi piace sbandierare i cazzi miei come fai tu» avevo ribadito,
illudendomi di aver chiuso l’argomento.
«Non avrai ancora in testa Elizabeth, spero. Fossi in te, uscirei con
quell’attrice figa che ha fatto il provino con te. Ti aveva lasciato il suo numero.»
In quel momento mi era sembrata una pessima idea, volevo concentrarmi sulla
mia carriera e, dentro di me, non avevo perso del tutto la speranza di rivedere
Liz.
Mi faceva troppo incazzare, però, che avesse scritto per ringraziare mio
fratello degli auguri mandati per errore dalla segretaria e non avesse nemmeno
dato a me la possibilità di contattarla. Scorsi la rubrica e inoltrai una chiamata.
«Chi si sente!»
«Sono stato un po’ preso ultimamente. Che mi dici, tutto bene?» Cercai di non
far trapelare il mio nervosismo.
«Come mai mi hai chiamato di sabato sera?»
La possibilità di farla passare per una chiamata casuale si era appena infranta.
«Ho lasciato Londra, definitivamente.»
Silenzio, poi un cauto: «Ah, bentornato.»
«Non hai intenzione di dirle nulla, vero?»
«Ci proverò, lo sai.» Non era facile fidarsi.
«Ho passato tutte le fasi, dall’incredulità al dolore. Adesso sento solo rabbia,
perché è assurdo che non voglia nemmeno parlarmi.»
«Jack…»
«Lasciamo stare, ho già capito. Stammi bene.»
Non avevo avuto il coraggio di fare la domanda che più temevo: c’era ancora
lui nella sua vita?
Mi andava il sangue al cervello a ripensare a quel terribile momento. Ero
sveglio da trenta ore, in aereo era stato impossibile chiudere occhio; il taxi si era
fermato davanti al vialetto dei suoi genitori, qualcuno mi aveva aperto la porta
ma nemmeno avevo fatto caso a chi, perché ero corso al piano di sopra da lei.
Erano le nove di mattina, la luce del sole inondava il corridoio mentre aprivo
la porta della sua camera. Lei era ancora profondamente addormentata, e non era
sola. Il bastardo era sveglio: aveva sussultato un istante vedendo la porta aprirsi,
poi si era limitato a fissarmi in silenzio, la mano sinistra che giocava con i
capelli di lei. Quelle lunghe e morbide ciocche, che amavo accarezzare, erano
sparse sul torace nudo di lui.
Liz si stringeva al corpo di Daniel come se temesse di essere trasportata via
dalla corrente, mentre avrei dovuto essere io il suo punto fermo. Il peggio arrivò
quando lei aprì gli occhi e mi vide: si sedette, ancora annebbiata dal sonno e il
lenzuolo scivolò via dal suo corpo. Fu quello il momento più terribile, la prova
che rimanere ancora lontani aveva davvero ucciso la nostra storia. Il primo colpo
mortale, quello che non si sarebbe mai più rimarginato.
4. Accettare le conseguenze
Elizabeth

«Jess, hai visto le mie scarpe nere?» urlai per farmi sentire dalla mia coinquilina,
che era appena entrata in bagno.
La sua risposta giunse attutita ma mi sembrò di distinguere la parola “divano”.
Ero accucciata con il sedere in aria, tentando di raggiungere la scarpa finita
nell’angolo più remoto tra il divano e il muro, quando sentii la porta
dell’appartamento aprirsi.
«Trovarti in questa posizione batte perfino quando ti ho beccata a farti la
ceretta.»
Mi alzai e cercai di ritrovare un certo contegno, che persi subito dalla
sorpresa. «Mi hai davvero portato un cactus?»
«In realtà è un regalo per Jessica, tu ammiralo da lontano.» Rick posò il vaso
dove un tempo viveva la discendenza di Miguel. Poi entrò in cucina: era come
non aver mai smesso di vivere insieme. D’altronde quella era pur sempre casa
sua, anche se non ci abitava più.
«Mi versi il caffè? Devo uscire tra poco.» Barcollai su un tacco solo fino ad
appoggiarmi alla penisola, che divideva il salotto dalla cucina, per infilare la
seconda scarpa.
«Di solito non esci più tardi?» Si avventò subito sul barattolo dei biscotti,
come suo solito.
«C’è il ricevimento studenti e devo arrivare prima per aprire l’ufficio. Tu che
ci fai in giro a quest’ora?»
Rick viveva dall’inizio dell’autunno a un’ora di auto dalla zona del campus.
Sua madre aveva avuto un esaurimento nervoso dopo il divorzio, quando il padre
si era trasferito con la nuova e giovane compagna in California, dove viveva
comunque già la maggior parte del tempo per lavoro.
«Ho accompagnato mia madre dal suo terapista, le ha trovato posto prima del
normale orario. Sta avendo problemi con le medicine.»
«Mi dispiace molto.» Mi avvicinai e gli posai una mano sul braccio.
Mi fece un debole sorriso. «La passo a riprendere tra poco e so già che la
troverò di umore migliore. O è così bravo oppure penso che mia madre abbia un
debole per gli uomini più giovani.»
«Rick!»
«Dai, Liz. Magari aiuta il fatto che lui sia un bell’uomo, no?»
«Hai preso così tanti due di picche che hai deciso di cambiare terreno di
caccia?» Jessica apparve in cucina, in accappatoio.
«No, in verità sto vedendo un sacco di ragazze.»
«I colloqui per la governante? Non sono signore di una certa età?» Guardai
Rick addentare uno dei suoi biscotti preferiti, che avevo comprato perché ogni
tanto passava a trovarmi o a controllare che non fossi annegata
nell’autocommiserazione.
«Chi ha detto che devono essere per forza in menopausa? Anzi, più giovani e
piene di vita sono più terranno compagnia a mia madre, no?»
Ero abituata a non meravigliarmi più dei ragionamenti di Rick. La cosa
importante era che trovasse qualcuno per non lasciare sola sua madre. Aveva
dovuto rinunciare a sceneggiare una piccola produzione canadese per la tv
perché avrebbe dovuto trasferirsi là per qualche tempo. Non aveva mai avuto
intenzione di usare gli agganci a Hollywood dove lavorava suo padre, famoso
sceneggiatore di film d’azione.
«Io eviterei di portarmi a letto una dipendente» consigliò Jessica, rubandogli i
biscotti da sotto il naso. «Ho una collega in ufficio che potrei presentarti.»
«Jessica, lavori lì da una settimana» le feci notare.
«Appunto! Cinque pranzi insieme e mi ha raccontato la storia della sua vita.
Le serve un bravo ragazzo, per dimenticare una brutta storia chiusa da mesi.»
Rick si riprese i biscotti, addentandone due insieme. «Uhm.» Masticò.
«Rischio di ritrovarmi un ex fidanzato folle fuori dalla porta?»
«Sarebbe già un cambiamento, finora hai trovato direttamente delle pazze,
senza dover aspettare l’intervento degli ex.»
Jessica rise, credendo che la mia fosse una battuta. «Tu non li mangi? Sono
buonissimi.» Indicò i biscotti al triplo cioccolato.
Feci una smorfia. «Se voglio entrare ancora nei vestiti che ho appena
comprato, meglio di no.»
«Tutta colpa del gelato di Daniel» borbottò lei, aprendo il frigorifero.
«Che gusto ha il gelato di Daniel? Devo pensare male?»
«Ah ah, Rick, molto divertente» lo fulminai.
«Panna e cioccolato. Crede che Liz sia ancora alle elementari.» Jessica ignorò
il mio evidente fastidio.
Rick si ripulì la bocca dalle briciole, fingendo di riflettere. «Non penso, sai?
Da come la guardava quando è stato qui ad aiutare con il trasloco.»
«Soprattutto quando Liz si piegava e le si vedeva il reggiseno.»
Posai la tazza sul bancone, con troppa forza. Se non si ruppe fu solo per un
colpo di fortuna, era la mia preferita, con il Big Ben. Non avevo voluto privarmi
di ogni oggetto che conservava ricordi di Londra, alcuni giacevano inscatolati
nel garage dei miei genitori. Il rumore, se non altro, zittì quei due. Insieme erano
peggio di due comari al mercato.
«Come va con l’articolo?» Rick cambiò argomento, aveva capito l’antifona.
«Ne ho abbozzati tre, però non mi convincono.» Ero ormai sconsolata. Per
avere una possibilità di collaborare come freelance con Tv Guide, dopo aver
passato le prime selezioni, avrei dovuto scrivere un articolo e se fosse stato
giudicato pubblicabile, avrei ottenuto un piccolo spazio fisso ogni mese. Sarebbe
stato un primo passo verso la carriera da giornalista, che sembrava più lontana da
quando avevo dovuto rinunciare al Master, l’autunno precedente. Non ero
riuscita a presentarmi ai test di ingresso scritti, volendo rimanere accanto alla
mia famiglia nel periodo peggiore del lutto.
«Vuoi che chieda a mio padre se ha qualche indiscrezione da passarti?»
«Rick, no. So che non siete in buoni rapporti e non ti chiederei mai una cosa
del genere.»
«Ho altri contatti, magari provo a informarmi. Ti ci vorrebbe una bella
intervista sul set, una produzione ancora non pubblicizzata.»
Gli sorrisi, grata. «Vedi che faccio bene a tenere i tuoi biscotti preferiti in
dispensa?»
«Ti fai corrompere con poco» osservò Jessica. «Vado a vestirmi o faccio
tardi!»
Rick le fece un cenno di saluto, poi tornò serio. «Come va? E non mentirmi, ti
conosco troppo bene.»
Guardai l’orologio: avevo ancora tempo. «Bene. Avere qua Jessica mi tiene
sempre in movimento. Abbiamo passato le serate a sistemare gli scatoloni e ha
già conosciuto mezzo palazzo.»
«Magari potresti affrontare il discorso che hai lasciato in sospeso, a questo
punto.»
Mi allontanai di un passo. «Devo andare o faccio tardi.»
Rick scosse la testa ma non osò smascherare la mia bugia.

«Elizabeth, i prossimi cinque studenti in lista devono solo ritirare queste. Vado a
prendere un caffè, prima di incontrare il rettore.»
«Certo, professore.» Adocchiai le tesine: ero certa che fossero rimaste quelle
peggiori, con il maggior numero di correzioni. Avrei avuto a che fare con
studenti disperati o polemici, a seconda del carattere. Sospirai, mettendo da parte
i miei appunti. L’orario di ricevimento era quasi finito e avevo esaurito la lista di
cose da fare, perciò mi ero illusa di poter lavorare sull’articolo da inviare a Tv
Guide.
Dopo un’ora, erano rimaste solo due studentesse fuori dall’ufficio. Mi
affacciai per chiamarne una, perché erano troppo impegnate a chiacchierare.
«Me l’ha detto il ragazzo di mia sorella, l’hanno assunto come cameramen.
Stanno girando i primi film e sarà meglio di Netflix, credimi» stava dicendo la
biondina all’amica.
«Figurati. Saranno solo banali film per la tv, come quelli che guarda mia zia di
ottant’anni.»
«Ti dico di no! Hanno scelto attori giovani e belli e gireranno solo commedie
romantiche o sceneggiature tratte da romanzi rosa.»
Finalmente l’amica della ragazza entusiasta si accorse della mia presenza.
«Tocca a noi?»
Annuii e decisi di invitarle entrambe, per fare prima. Non aveva senso
dividerle per questione di privacy, avrebbero discusso dei loro risultati una volta
uscite.
La biondina accolse meglio dell’amica il brutto voto. «Possiamo rifarci con la
prossima tesina, alla fine del corso si farà una media, no?»
«Sì, certo. Vi consiglio di rifare anche questa e presentarle entrambe la
prossima volta. Il professore apprezza la buona volontà e ne tiene conto nella
media finale, lo so perché sono stata anch’io una sua studentessa.»
«Vuol dire giocarci le vacanze di primavera» si lamentò l’altra.
«Tanto saresti rimasta chiusa in casa a fare binge watching! Ti disintossichi un
po’ così vedrai che avrò ragione io su Romanceflix.»
A forza di sentire la biondina decantarne le lodi, mi ero incuriosita anch’io.
«Parlate di una nuova piattaforma on demand?»
In risposta ottenni solo silenzio e uno sguardo dubbioso. La seconda
studentessa era impegnata a controllare di nuovo la sua tesina ricca di segni
rossi.
«Gira voce che aprirà a fine anno, la conferenza stampa ancora non c’è stata.»
Stavo per risponderle che non avrei detto nulla a nessuno, poi mi bloccai.
Forse avevo trovato un argomento per l’articolo! Le sorrisi e sviai la
conversazione, con un briciolo di senso di colpa. «Se non avete altre domande,
potete riguardare le correzioni con calma nei prossimi giorni.»
Salutate le ragazze, chiusi l’ufficio e mi avviai a grandi passi fuori dal campus.
Rinunciai al pranzo, avevo progetti più importanti: chiamare subito Rick.
«La tua offerta è ancora valida?»
«Sì, possiamo fare una maratona Shield quando vuoi.»
Avrei dovuto essere più specifica, conoscendolo. «Intendevo l’offerta di
chiedere informazioni ai tuoi contatti.»
«Certo. Non ho ancora avuto tempo, pensavo di chiamare…»
Lo interruppi. «Ho sentito due ragazze parlare di una nuova piattaforma on
demand, Romanceflix. Puoi informarti su quella? Sembra che non siano ancora
trapelate informazioni al di fuori degli addetti ai lavori.»
«Liz…» Il tono tormentato di Rick mi sorprese.
«Sai che non metterei mai in difficoltà le tue fonti, vorrei solo poter fare
qualche domanda a qualcuno del cast. Sembra stiano già girando le prime
produzioni.»
Un sospiro. Lo avevo messo davvero così tanto in crisi? Stavo per dirgli di
non preoccuparsi, che avrei trovato un altro modo, quando mi rispose, con tono
particolarmente cauto: «D’accordo. Però, Liz, accetterai le conseguenze?».
«Certo.»
Avrei dovuto capire che non era da Rick essere così melodrammatico su un
argomento di quella portata. Le indiscrezioni nell’ambiente dello spettacolo
erano all’ordine del giorno, era solo questione di chi arrivava per primo agli
spoiler. Non stavamo parlando di casi di sicurezza nazionale, bensì del lancio di
un nuovo prodotto che avrebbe sicuramente beneficiato di un articolo su Tv
Guide. La mia immaginazione non era abbastanza sviluppata per prevedere gli
scherzi del destino.
5. Cicatrici
Jack

«Ehi, splendore, stamattina doppio correttore per le occhiaie?» La mia


coprotagonista mi affiancò, liberando i lunghissimi capelli biondi dal cappello.
«Non infierire. Avevo più resistenza a Londra. Troppe ore sul set e troppo
tardi la sera con voi sono un’accoppiata mortale.»
«Ti avevo consigliato di dormire nel giorno libero.» Mi seguì nel mio
camerino.
«A differenza tua, non me la cavo con un po’ di pilates in pausa pranzo. Mi
alzo alle sei per la palestra, tutti i giorni.»
«Non sono io quella che deve girare tutte quelle scene mezza nuda.» Sorrise,
strafottente.
«Perché se fanno togliere la maglia a me va bene, se la togli tu ci becchiamo la
censura.»
«Dai che oggi abbiamo una delle mie scene preferite!» esclamò, battendo le
mani.
«Credevo fosse quella dal parrucchiere.» Conoscevo la sua fissazione per i
capelli e non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione per prenderla in giro.
«Spiritoso. No, oggi giriamo il litigio e non vedo l’ora.»
Scoppiai a ridere. «Solo tu puoi preferire quella, sarà una delle più difficili.»
Si avvicinò alla porta, diretta al suo camerino, poi si girò e mi sorrise.
«Dobbiamo creare una bella tensione sessuale, mentre ci insultiamo. Ci vuole
alchimia, sei pronto?»
Sorrisi, ma fu più una smorfia. La cara vecchia alchimia che tanto aveva
stravolto la mia vita, anni prima. «Prontissimo. Ti maltratterò, spogliandoti con
gli occhi.» Le feci l’occhiolino e lei mi salutò con una risata.
C’era un bel clima sul set. Era una produzione a basso budget ed erano tutti
giovani e determinati. La coprotagonista era la stessa con la quale avevo fatto la
prova di lettura del copione al provino, al regista era piaciuto come avevamo
interagito ed eravamo stati scritturati insieme. L’interprete del terzo personaggio
principale era quello con più esperienza, venendo da anni di serie tv, e non aveva
socializzato molto con gli altri fuori dal set.
Io ero l’unico ad aver recitato solo in teatro e non davanti alla macchina da
presa, per fortuna sapevo mascherare bene i momenti di insicurezza. Il mio
fresco diploma all’accademia e la lettera di referenze scritta dall’ultimo regista
con cui avevo lavorato, noto anche a Broadway e non solo nel vecchio
continente, avevano aiutato parecchio. L’accento inglese, che imitavo con
naturalezza ed era perfetto per il mio personaggio, aveva fatto il resto.
I ritmi erano folli perché i set che stavamo usando dovevano essere convertiti
entro poche settimane per essere usati in un’altra produzione. Nessuno però se
ne lamentava, volevamo tutti ottenere un buon risultato.
Non avere una vita privata, avendo lasciato tutti gli amici a Londra, era una
benedizione. Era logico finire a trascorrere il poco tempo libero con le stesse
persone con le quali si lavorava durante il giorno, che fossero altri attori,
sceneggiatori, costumisti, segretarie di produzione. Eravamo solo alla terza
settimana e ci conoscevamo già abbastanza bene.
«Buongiorno! Eccomi, sono in ritardo?» Lilian entrò, trafelata, e abbandonò la
borsa sul divanetto.
«Sono appena arrivato anch’io.» Sorrisi. «Non ci sono nella prima scena in
programma, abbiamo tempo.»
«Per fortuna, guarda che faccia stanca che hai. Stasera ti spediamo a letto
presto, cara la mia star!»
«Così mi costringete ad aprire le scatole del trasloco. Non mi volete un po’ di
bene?»
«Con me la faccia da cucciolo non attacca. Non voglio perdere ore a
nascondere le occhiaie» mi minacciò con un pennello, appena estratto dalla
borsa.
«Donna senza cuore!» Mi sedetti alla postazione trucco.
«Ma smettila, devo trovare una sola donna sul set che non si sciolga quando le
sorridi.» Mi afferrò il mento e scrutò il mio viso, con sguardo clinico.
«Tranne te» borbottai.
«Perché credi che mi abbiano assegnata proprio a te?»
«Perché ti diverti a maltrattarmi?» ghignai, facendola sorridere.
«Lo sai che ti adoro e mi fai sempre divertire ma, a differenza delle mie
colleghe, non mi lascio distrarre dalle tue smorfie da seduttore.»
Scoppiai a ridere. «Vuol dire che sono calato bene nella parte, no?»
Lilian si girò per rovistare tra i mille prodotti alla ricerca di quello giusto.
Stava svitando il coperchio quando tornò in argomento. «A volte ho
l’impressione che tu ti sforzi di portare il tuo personaggio fuori dal set, per non
farti conoscere davvero.»
«Oppure potrei essere semplicemente così.»
Lei scosse la testa. «No. Lo vedo che, quando non ti senti osservato, perdi
quell’aria sempre scherzosa e provocatoria. Hai delle cicatrici da nascondere.»
Le bloccai la mano prima che iniziasse il lavoro sul mio volto. «Non le
abbiamo tutti? Tu le copri con il trucco, io con una battuta.»
«Ci sono cose difficili da nascondere, sai, Jack? E non parlo solo di quella che
hai sul petto e che mi costerà due ore di lavoro quando dovrai girare senza
maglia.»
«Forse parliamo della stessa cosa» sussurrai, più a me stesso che a lei.
«Cominciamo, dai. Se finisco presto riesco a passare a prendere mio figlio al
nido oggi senza mandarci mia madre.»
«Sei una brava mamma.»
Fece spallucce. «Ci provo. Sarà una vittoria se mio figlio sarà un uomo
migliore di suo padre.»
«Tranquilla, non diventiamo tutti come i nostri genitori.» Io ero totalmente
diverso da mio padre, per fortuna.

Fu una giornata intensa sul set. La scena da girare era davvero importante e i
ciak si sprecarono. Ci tenevamo tutti che riuscisse al meglio.
Tornai a casa distrutto e l’ultima cosa che avrei voluto era trovare un
messaggio del genere.

Ho tentato ma non vuole nemmeno sentirne parlarne.

Ero così stanco e nervoso che quando, poco dopo, mi scrisse mio fratello per
ricordarmi che la sera successiva ci saremmo dovuti vedere per un aperitivo, gli
risposi che avrei girato in notturna, facendo saltare i nostri piani.
Sentii suonare il telefono e risposi senza guardare il display, immaginando che
fosse Luke che ci teneva a farmi una ramanzina sulla mia incapacità di
organizzarmi e sul mio egocentrismo. «Che c’è?»
«Jack, mi dispiace.» Non era Luke, ma la situazione non migliorava, era stato
il suo messaggio a rendermi insofferente.
«Lo immagino. Talmente dispiaciuto che sono mesi che prendi le sue parti!»
sfogai tutto il risentimento trattenuto.
«Sto cercando di mediare tra di voi, siete due insopportabili testardi.»
«Sarebbe stato sufficiente farmi avere il suo nuovo numero.» Volevo ancora
illudermi che mi avrebbe risposto.
«Se lo avessi fatto, avresti smesso subito di chiamarmi? Tanto non abbiamo
avuto altri argomenti di conversazione. Non ricordo nemmeno se ci siamo fatti
gli auguri a Natale.»
Colpito e affondato. Accecato da rabbia e risentimento, non mi ero reso conto
di aver solo preteso informazioni dagli altri senza interessarmi alla loro salute.
Erano tutti collegati a Liz, li vedevo come ostacoli che avevano accettato la sua
folle decisione e non come persone che avevano fatto parte della mia vita per
anni.
«Hai ragione. Sono stato egoista. Come vanno le cose?» Ammetterlo fu un
duro colpo per il mio forte orgoglio ma mi sentii meglio quando riattaccai, dopo
aver chiacchierato mezz’ora delle ultime novità.
La vita di tutti era andata avanti, anche la mia.
6. Coincidenze?
Elizabeth

Poco più di quarantotto ore dopo, stavo salendo su un taxi fuori dall’aeroporto,
diretta al set di Un fidanzato di troppo, produzione Romanceflix in corso.
Rick era stato di parola e mi aveva messa in contatto, tramite un amico di
famiglia, con una segretaria di produzione. Ero riuscita così ad avere un
colloquio telefonico con uno dei produttori e lo avevo convinto dell’alta
possibilità di guadagnare uno spazio sul numero di aprile di Tv Guide. Dovevo
aver usato qualche ricordo inconscio del corso di teatro fatto al college, perché
ero risultata così sicura di me e professionale da ottenere un’intervista all’attrice
protagonista, il giorno successivo.
Il biglietto aereo aveva dilapidato una buona parte dei miei risparmi ma
fortunatamente c’era ancora posto sul volo, non essendo una meta molto ambita.
La produzione aveva scelto un set al confine canadese per risparmiare.
Non avevo avuto nemmeno il tempo di fare check-in in albergo, quindi mi ero
accontentata di darmi una sistemata nel bagno del piccolo aeroporto. D’altronde
ero là per fare qualche domanda, non per partecipare a un casting.
Ricordando di non aver ancora avvisato Jessica di essere atterrata, presi il
telefono dalla borsa e trovai un messaggio di Daniel. Era rientrato da Parigi da
qualche giorno e non avevo osato chiedergli nulla immaginando che, se si fosse
fidanzato ufficialmente con Martha, me lo avrebbe detto.
Nel messaggio spiegava che sarebbe venuto a trovarmi a breve, perché aveva
grandi novità. Ecco, forse ci teneva a dirmelo di persona. Mi auguravo solo che
non avesse la malaugurata idea di chiedermi di fare parte delle damigelle della
sposa. Gli risposi brevemente che ero fuori città e che sarei rientrata venerdì
notte. Rimanere un paio di giorni da sola mi avrebbe permesso di lavorare
all’articolo e di allontanarmi dai pensieri.
C’erano momenti in cui ancora faticavo a percorrere il campus, dove
riaffioravano troppi ricordi di Jack, del periodo in cui avevamo frequentato il
corso di teatro e di quando tornava da Londra per rimanere qualche giorno con
me. Avevo rimesso la mia vita in carreggiata, tuttavia qualche giorno di
decompressione non mi avrebbe fatto male. Adoravo vivere con Jessica, così
entusiasta e pronta a socializzare. Era inutile, però, farle capire che non ero
pronta a uscire con qualcuno, lo sapeva benissimo, e nonostante questo cercava
di spingermi a interagire con ragazzi in qualsiasi contesto, anche alla cassa del
supermercato con il cestino pieno di gelato, biscotti e assorbenti.
Quell’intervista era capitata al momento giusto, non solo per l’articolo che
avrei dovuto inviare al più presto, ma anche per fare il punto della situazione con
me stessa. Al rientro avrei trovato Daniel con le sue novità. Sarei stata felice per
lui, in ogni caso, anche se dovevo ammettere che la parte più egoista di me era
triste all’idea che Martha lo avrebbe tenuto a massima distanza da me. Riaverlo
nella mia vita mi aveva aiutata davvero a tirare fuori la testa dalle coperte e
riprendere a vivere.
Arrivai sul set di Un fidanzato di troppo mezz’ora prima dell’appuntamento.
Un’assistente indaffarata mi fece accomodare nel camerino, avvisandomi che
Jennifer mi avrebbe raggiunta.
Dopo venti minuti, cominciai a soffrire di claustrofobia chiusa in quello spazio
ristretto e strapieno di vestiti e prodotti di make-up. Tentai di avventurarmi fuori
e quasi inciampai in un cavo nascosto nella penombra. Il set ricreava un
appartamento, ma era surreale vedere, al di fuori delle inquadrature, un
capannone pieno di impalcature, cavi, luci e telecamere.
«Ehi, non puoi stare qui.»
Sobbalzai sentendomi richiamare. «Stavo… sono qua per un’intervista e…»
tentai di giustificarmi con il fonico, che mi guardò con compassione.
«Qualcuno deve fare un’intervista?» urlò, sporgendosi verso il corridoio dei
camerini.
L’assistente tornò a prelevarmi, guardandomi con biasimo. Stupida giornalista
ficcanaso, stava sicuramente pensando.
«Tv Guide per te, Jennifer!» Fece segno di entrare nel camerino.
Tecnicamente non ero un’inviata ufficiale della rivista, ma evitai di
correggerla, ai piani alti sapevano già tutto.
«Vieni pure, siediti.» L’attrice, seduta su una poltroncina vicino allo specchio,
si girò per salutarmi: era la classica bellezza californiana, abbronzata e
sicuramente perfetta in bikini.
«Grazie.» Mi accomodai.
«Abbiamo dieci minuti, poi devono iniziare a truccarmi» aggiunse, con un
sorriso.
«Grazie ancora per il tempo che mi concedi, Jennifer.» Posai la borsa a terra e
avviai l’applicazione di registrazione nel telefono, prima di poggiarlo in bilico
tra una spazzola e una palette di correttori. Ero nervosa ma cercai di non farlo
trapelare. «Partiamo con una domanda sulla tua esperienza precedente: dove
lavoravi prima di approdare nel cast di Un fidanzato di troppo?»
«Ho recitato nella soap opera Medical center per due anni» spiegò, con
orgoglio.
Annuii, sorridendole. «E qui hai ottenuto il ruolo della protagonista, giusto?»
«Pensa che hanno scelto di chiamarla con il mio stesso nome» confidò,
raggiante. «Anche se io non sono una figlia di papà viziata» specificò.
«Comunque, nel film Jennifer viene spedita a trascorrere l’estate da una vecchia
zia a Londra.»
Sussultai al nome della città, ma cercai di non farlo notare.
«Poverina, aveva tutto il diritto di divertirsi un po’ ma finisce paparazzata e il
padre, che sta cercando di entrare in politica, ovviamente non ne è contento. Il
solito espediente.» Jennifer si bloccò e cambiò espressione. «Questo però non
scriverlo, non voglio criticare gli autori.»
«Tranquilla…» Accennai un sorriso. «Cosa succede quindi a Londra?» la
spronai, sentendo in bocca un sapore amaro per lo sforzo di pronunciare quel
nome.
«Jennifer ha un flirt estivo, che non può durare, lui oltretutto è un attore
spiantato e lei è ricca di famiglia e pure un po’ snob. Il film inizia con Jennifer
sull’aereo di ritorno, da sola, che ricorda alcuni momenti.»
«Ah, quindi non tratta di amore a distanza!»
Jennifer mi sorrise, fraintendendo il mio mal celato sollievo. «No, per fortuna.
Quello sarebbe troppo un cliché, non trovi?»
Mi schiarii la voce, a disagio.
«Comunque mi piace molto il mio personaggio» riprese. «Perché già all’inizio
si nota che vivere in modo più indipendente durante l’estate la spinge a
cambiare. Decide quindi di andare a vivere da sola, anche se il padre non la
prende bene.»
«Quindi ritieni che, anche se la protagonista proviene da un contesto sociale
elitario, molte ragazze potrebbero identificarsi in lei?» Non era male come plot,
mi aspettavo qualcosa di puramente romantico.
«Assolutamente. Poi c’è anche la parte romantica e non mancano gli
equivoci.»
«Il titolo del film fa pensare a un triangolo, o sbaglio?»
«Senza spoilerare, diciamo che non mi posso proprio lamentare!»
«Ti sei schierata in uno dei due team?» Cercai di istigare il lato da fangirl
nascosto in tutti noi, sicuramente anche le lettrici avrebbero apprezzato.
Jennifer rise. «Sai che non è facile? Credo che le spettatrici impazziranno.
Come fai a scegliere tra l’attore affascinante che solo a guardarlo gli strapperesti
i vestiti di dosso e con il quale hai una chimica pazzesca e il classico bravo
ragazzo, sempre disponibile e affettuoso, approvato dalla famiglia perché figlio
di amici?»
Destino, io e te dobbiamo proprio fare un discorso serio. Sorrisi a fatica e la
mia smorfia ottenne uno sguardo perplesso dall’attrice.
Non avrei mai guardato quel film, sarebbe stato come tornare indietro di anni
e ritrovarmi nella confusione totale, quando mi sentivo anche fuori dal palco
come Catherine in Lezioni di seduzione. Capitava a tutti di ritrovare similitudini
con la nostra vita in un film o in un libro, mi dissi. Bastava sapere distinguere
realtà e finzione.
Cercai di ritrovare un contegno. «Non sveliamo il finale, ovviamente. Su
questa nuova piattaforma cosa puoi dirci?»
Da come Jennifer ne parlò, entusiasta e determinata, Romanceflix sembrava
partita bene. Di certo avrei fatto l’abbonamento per vedere le altre produzioni.
«Jennifer, sei pronta?» L’arrivo della truccatrice segnò la fine del tempo a
nostra disposizione.
«Ultima domanda!» Controllai in fretta la mia scaletta. «A che pubblico pensi
sia indirizzato questo film?»
«Sicuramente a chi apprezza i bei ragazzi, c’è da rifarsi gli occhi! Sono stata
fortunata con il casting dei coprotagonisti, poi ammetto di avere un debole per
l’accento inglese» sospirò, poi fissò la porta del camerino rimasta aperta alle mie
spalle. «Parli del diavolo…»
Avrei avuto la fortuna di fare qualche domanda anche a un altro attore?
Jennifer ribaltò la fortuna in terrore, chiamando a gran voce un nome che, a
distanza di mesi, ancora riusciva a farmi battere il cuore a mille. Sentii dei passi
e chiusi gli occhi, cercando la forza di girarmi. Il nome era solo una beffarda
coincidenza, niente di più, mi autoconvinsi.
«Dimmi, Jen.»
Mi paralizzai, udii vagamente Jennifer presentarmi come giornalista di Tv
Guide e mi costrinsi a girarmi, con le orecchie che ronzavano e la testa che
girava.
«Liz?»
Se non altro, anche lui si dimostrò sorpreso. Io probabilmente avevo assunto
l’espressione atterrita della lepre di fronte ai cani da caccia.
7. Sorpresa
Jack

«Tempo scaduto, grazie Jennifer» sussurrò, con un filo di voce, poi sgusciò via
senza darmi il tempo di fermarla.
Qualche secondo per riprendermi dalla sorpresa e la raggiunsi nel corridoio.
«Dannazione, aspetta!» La bloccai per un gomito, a due passi dal set. «Fermati,
Liz!»
Si girò e arretrai di un passo. L’ultima volta che l’avevo vista aveva pianto di
risentimento e stanchezza. Le erano cresciuti i capelli, sembrava un po’ pallida,
ma era sempre la mia Liz.
«Sono qui solo per l’intervista a Jennifer.» Abbassò lo sguardo, a disagio.
«Non sapevi che ci lavoravo anch’io?» Ero incredulo, non poteva essere solo
una coincidenza!
Scosse il capo, confusa, poi sembrò illuminarsi. «Rick lo sapeva.»
«Ci ho parlato pochi giorni fa.» Quando mi ero deciso ad avere una
conversazione decente.
«Io… adesso devo andare.» Mosse un passo verso l’uscita, incapace di
guardarmi negli occhi. Aveva intenzione di scappare? Dalla porta accanto uscì
uno dei tecnici delle luci, ci guardò per un attimo e si diresse sul set.
«Possiamo vederci stasera?» Ci serviva un posto tranquillo per parlare con
calma.
Scosse il capo in segno negativo, senza neppure pensarci. Eravamo nella
stessa città, dopo anni, e si rifiutava perfino di parlarmi?
«Sei sparita da quattro mesi e nessuno ha voluto darmi il tuo nuovo numero o
dirmi dove ti eri trasferita!» Il mio tono esasperato la fece irrigidire, me ne
accorsi subito da come strinse la mano sulla tracolla della borsa.
«Non avevamo più nulla da dirci.»
«Stai scherzando? Siamo stati insieme tre anni e mezzo, Liz!»
«Davvero, Jack?» Incontrò finalmente il mio sguardo e vidi i suoi occhi
accendersi di risentimento. «Io direi che siamo stati lontani, non insieme.»
Schioccai la lingua. «Siamo a questo punto, quindi? A rinfacciarci le cose?»
«Non è questione di rinfacciare. Ne abbiamo già discusso e discusso
ancora…»
«E dovevamo arrivare a una dannata soluzione, stavo per tornare!» Si riaccese
la rabbia che avevo provato nello scoprire che mi aveva chiuso fuori dalla sua
vita.
«Jack, cinque minuti e iniziamo!» L’aiuto regista mi richiamò all’ordine.
Eravamo sul mio posto di lavoro, che apparentemente quel giorno era diventato
anche il suo, e non potevamo continuare a litigare in pubblico.
Presi un respiro, cercando di calmarmi. «Non scappare ancora.»
«Jack…» pregò e sembrò così stanca e confusa che avrei solo voluto stringerla
tra le mie braccia. «Devo pensarci.»
Non avrei dovuto aspettarmi di più, considerando che era scomparsa da mesi,
ma non riuscivo a rassegnarmi ad averla a un passo e sentirmi come se ci fosse
ancora un oceano a separarci. «Non credevo che sarebbe arrivato il giorno in cui
avrei rimpianto la distanza.» Pur vedendo la confusione che si dipinse sul suo
viso, continuai mentre avrei dovuto tacere. «Almeno quando ci vedevamo
sembravi felice. Adesso l’idea di fermarti a parlare con me sembra distruggerti.»
Scosse il capo, colpita.
«Sai dove trovarmi.» Mi girai, senza darle il tempo di aggiungere altro. Se lei
era ancora convinta dell’assurda idea del taglio netto, io avevo tutto il diritto di
ritrovare la mia dignità e non implorarla.
La cosa assurda era che ce l’avevamo quasi fatta: avevo concluso i tre anni
all’accademia e avevo finalmente ottenuto un ruolo da protagonista in uno
spettacolo importante. Anche Liz aveva finito gli studi, così le avevo chiesto di
venire a stare a Londra con me per qualche settimana. Sapevo di chiederle tanto,
suo padre era morto da poche settimane e avrebbe dovuto lasciare sua madre e
sua sorella da sole per mesi. Avevo pensato di rifiutare il ruolo, però Liz mi
aveva assicurato che la distanza, a quel punto, non avrebbe fatto la differenza.
Era stato quello l’errore: ignorare i segnali di cedimento causati dagli anni di
lontananza e non accorgermi che quell’ultimo viaggio avrebbe allargato la crepa,
oltre ogni possibile riparazione.
Riuscii a prendermi una pausa fuori dal set solo quando era ormai sera.
C’erano stati problemi con le luci, poi Jennifer aveva preteso di rifare il trucco
per apparire al meglio. Ero ormai stanco e deconcentrato, quando finalmente
riuscii a telefonare a Rick.
«Non so se ringraziarti o incazzarmi» esordii, senza dargli il tempo di
salutarmi.
In risposta ottenni solo silenzio, poi un sospiro.
«Ho passato settimane a cercarla come un disperato, cazzo!» Presi un respiro,
cercando di riprendere il controllo. «Siete tornati a essere coinquilini?»
«No, vive con Jessica.» Non aveva più motivo di nascondermi le cose, ormai.
«Jack, è andata così male?»
«Come vuoi che sia andata? Era sorpresa e ha tentato subito di scappare, la
cosa che le riesce meglio.»
«Non la voglio difendere, però sai che…»
Lo bloccai, perché ero ancora troppo suscettibile. «Certo che la difendi, è
quello che hai fatto per anni. Quando io ero dall’altra parte del mondo e tu a una
parete di distanza.» Il risentimento era difficile da accantonare, anche dopo mesi.
«Se te la vuoi giocare così, fai pure. Se ti fa sentire meglio.» Lo avevo offeso
ed era davvero difficile riuscire a scalfire il perenne buon umore di Rick.
«Sai qual è la cosa ridicola?» Mi massaggiai la fronte. «Avevo appena deciso
di andare avanti.»
«Jack, senti. In passato hai ascoltato i miei consigli e non te ne sei pentito,
no?»
Sbuffai, mi costava ammetterlo, soprattutto in quel momento.
Rick continuò, mi conosceva troppo bene per aspettarsi che rispondessi
davvero. «Se mi sono messo in mezzo, stavolta, è perché credo che sia la vostra
ultima occasione. Cerca di parlarle, sarà lì anche domani.»
«Mi meraviglio di te. Hai vissuto con lei anni e non hai ancora capito quanto
può essere testarda?»
«Lo so. Proprio perché c’ero ho visto cosa ha significato per lei la vostra
storia. Anche quando sembrava esasperata e le mancavi da toglierle il sonno, per
lei esistevi solo tu. Non può averti dimenticato così in fretta.»
Chiusi gli occhi, metabolizzando le parole di chi la conosceva quanto me e, mi
costava ammetterlo, per certi versi anche meglio di me.
«Sempre che non sia tu ad aver deciso di andare avanti e dimenticarla»
aggiunse.
Risi, ma era una risata nervosa. «Ci ho provato.»
«Posso capirlo. Però hai resistito anni a distanza, ora sei tornato. Lei è lì.»
Fanculo l’orgoglio. Per un istante rischiai di implorarlo o minacciarlo per
avere il nome dell’albergo. O chiamarli tutti e presentarmi da lei. Ma cosa avrei
ottenuto? Dovevo lasciarla metabolizzare e magari offrirle la giusta scusa per
rivedermi. «Ok, ho un piano. Ti chiedo solo una cosa.»
«Cosa?»
Non era la prima volta che glielo domandavo ma non era mai facile.
«Chiamala più tardi, mi è sembrata scossa dopo avermi visto.»
«Mi ha minacciato di tirarmi addosso il vaso con i cactus di mia madre, quello
che pesa una tonnellata.»
Scoppiai a ridere. Le minacce a base di violenze sui cactus avevano un sapore
nostalgico che mi riportava agli anni passati, alle videochiamate su Skype e ai
brevi soggiorni nell’appartamento di Rick e Liz. «Mi spieghi come hai fatto a
mandarla qua?»
Sospirò. «Non era premeditato, è stata lei a chiedermi notizie su Romanceflix
per un articolo che voleva scrivere.»
«E io te ne avevo parlato proprio negli stessi giorni. Lavora a Tv Guide,
quindi?»
«L’articolo che vuole scrivere potrebbe farle ottenere uno spazio fisso nel
giornale, è molto importante per lei.»
Mi irritò che lo avesse specificato, come se potessi farle perdere un’occasione
del genere. O forse la mia irritazione era un’eco della gelosia che avevo provato,
sotto la superficie, per anni. Rick le era stato vicino quando io non avevo potuto
farlo e, per quanta fiducia avessi cercato di avere in entrambi, ero arrivato a
invidiare la loro amicizia e quella complicità data dal vedersi ogni giorno.
«Devo tornare sul set» chiusi la conversazione, sbrigativo. Non ero ancora
convinto del tutto di doverlo ringraziare, perché la faccia che aveva fatto Liz non
faceva sperare in un futuro colloquio tranquillo.
«Ciao, Jack.»
Abbandonai il telefono nel caos del mio camerino. Liz si sarebbe messa le
mani nei capelli, mi aveva sempre accusato di non aver mai imparato a piegare i
vestiti. Era una perdita di tempo e sicuramente non l’attività che mi riusciva
meglio, però avevo finto per anni di essere totalmente incapace solo per farmi
sgridare da lei e vederla concentrata a spiegarmi come preparare la valigia. Non
vivendo la quotidianità della nostra relazione, perfino momenti così banali
diventavano importanti e solo nostri.
«Jack, le battute per domani!» Jennifer entrò, senza bussare, e mi lanciò il
copione.
Presi a sfogliare le pagine distrattamente e mi accorsi che era rimasta in piedi
a fissarmi. «Che c’è?»
«La giornalista che hai rincorso nel corridoio…» Incrociò le braccia, in attesa.
«La domanda quale sarebbe?» Infilai i fogli nel borsone.
«Non dirmi che era lei.» Sorrise, scuotendo la testa.
Finsi di non capire. «Lei chi?»
«La fidanzatina del college! Allora, com’è andata? Non dirmi che è capitata
qua per caso, sarebbe troppo assurdo.»
Rinunciai a fingermi occupato, la mia co-star non era tipo da mollare la presa,
lo avevo già capito in quelle settimane. «Sì e no, c’è lo zampino di un amico.»
«Quello che viveva con lei, immagino. Non credo sia stato l’ex che te la
voleva portare via.»
Rimpiansi di averle raccontato tutto, una sera, perciò evitai di darle ancora
corda e radunai le mie cose per uscire.
«Andiamo, ti offro da bere e mi racconti le novità.» Mi prese a braccetto.
«Devo prima passare da Roger.»
«Se vuoi farti dare i suoi dati dalla produzione, dubito che ci riuscirai.»
Le rivolsi un sorriso. «Ho altro in mente. Non mi sottovalutare.»
8. L’intervista
Elizabeth

Cercare un volo per rientrare prima era fuori discussione e potevo ormai dire
addio alla mia idea di dedicarmi con tranquillità all’articolo.
La telefonata a Rick fu breve ma molto intensa, non avevamo mai discusso in
modo così acceso. Mi sentivo tradita, nonostante lui mi avesse fatto notare che
ero stata io a chiedergli aiuto per andare su quel dannato set. Avrebbe soltanto
dovuto avvisarmi! Ci sarei andata ugualmente? Probabilmente no.
Rivedere Jack mi aveva destabilizzata, riaprendo vecchie ferite e facendo
riaffiorare ricordi sepolti a fatica. Quando era lui a raggiungermi per qualche
giorno, era spesso stanco dal volo e dal fuso orario e uscivamo poco
dall’appartamento, anche per evitare di incontrare suo padre. C’erano momenti
in cui lo vedevo adombrarsi, soprattutto se Rick faceva involontariamente una
battuta che riuscivo a comprendere solo io. Erano amici ma Jack era sempre un
po’ teso quando c’era anche Rick; paradossalmente lo vedevo più a suo agio a
casa dei miei genitori, nonostante la capacità di mia madre di fare discorsi
imbarazzanti.
A Londra, invece, Jack era nel suo elemento. Si era integrato così bene,
accento compreso, ed era così entusiasta che sembrava avere energie infinite. Mi
trascinava da una parte all’altra per farmi vedere ogni angolo che aveva
scoperto, ogni locale in cui era entrato, ogni persona che aveva conosciuto.
Voleva rendermi totalmente parte della sua vita, cercava di trascorrere più tempo
possibile da solo con me, senza rinunciare a farmi conoscere i suoi amici.
Cercava un contatto continuo con il mio corpo, in qualsiasi situazione, senza
quella possessività che si scatenava quando toccava il suolo americano, dove
appariva più evidente la mancanza di quotidianità nella nostra relazione. La
maggior parte delle volte lo comprendevo, perché mi ero ritrovata anch’io a
provare quel senso di frustrazione, nostalgia e gelosia che mi rendeva
insofferente e nervosa.
C’erano stati momenti, però, in cui la situazione era diventata quasi
insostenibile. Come quel giorno in cui aveva trovato Rick vagare in mutande in
cucina e, poco dopo, lo aveva visto lanciarmi in camera un reggiseno come
faceva sempre quando lo dimenticavo nel bagno comune. Jack era stato
scontroso e irrequieto per tutto il giorno, poi di notte era esploso.
«Jack, capisco che alcune cose possano darti fastidio. Nemmeno io sono stata
al settimo cielo quando avete ospitato quella ragazza spagnola che stava facendo
uno stage.»
«Liz, a Londra siamo tre ragazzi. Qui siete solo voi due.»
«Ed è come se vivessi con mio fratello!»
«Tu lo hai baciato l’anno scorso o lo hai dimenticato?»
La discussione aveva raggiunto un punto di non ritorno. «Stavamo recitando!
Proprio tu osi rinfacciarmi una cosa del genere? Nella tua carriera di attore
chissà quante altre donne bacerai.»
«Su un palco o un set, davanti a registi, scenografi, costumisti, altri attori. Tu
vivi da sola con Rick da mesi.»
Lo avevo guardato, incredula e ferita. Se veniva meno la fiducia, avevamo
chiuso. Senza quella era impossibile resistere a quella distanza. Mi ero alzata dal
letto e avevo aperto la porta della stanza con forza, ignorando il suo richiamo.
Ero entrata in camera di Rick senza bussare e avevo acceso la luce, svegliandolo
di soprassalto.
«Che è successo? Fuoco? Gas? I cactus?»
Jack mi aveva raggiunta e aveva posato una mano sul mio fianco. «Liz,
torniamo a letto.»
«Coraggio, Jack. Chiediglielo. Chiedi a Rick i dettagli. Se tengo gli occhi
aperti, che espressione ho, come sospiro, cosa mi fa venire prima. Vedi cosa ti
risponde.»
«Liz, cosa stai dicendo?» Rick si era messo seduto e si stava passando una
mano sugli occhi per svegliarsi.
«Jack è convinto che io venga a letto con te, d’altronde viviamo da soli.»
«Non ho detto questo!» Jack aveva cercato, inutilmente, di prendermi per
mano.
«Ho anticipato le ultime battute della discussione, perché era lì che stavamo
andando a parare, no?»
«Ragazzi, forse dovreste parlarne da soli.» Rick era ormai abbastanza sveglio
da sentirsi in imbarazzo.
«O forse Jack dovrebbe chiarirsi con te.» Me ne ero andata, lasciandoli
ammutoliti entrambi.
Quella notte Jack aveva dormito sul divano e solo prima della partenza del suo
aereo eravamo riusciti a lasciarci alle spalle la discussione.
Dicono che con il tempo riaffiorino solo i ricordi belli, forse non ne era ancora
trascorso a sufficienza perché ancora vivevo di amarezza e risentimento. Però, a
essere onesta, avrei dato qualsiasi cosa per mettere da parte per un secondo il
dolore, l’orgoglio e la razionalità per riabbracciare Jack ancora una volta e
risentirmi amata, protetta, compresa.
Jack era sempre riuscito a leggere nei miei occhi ciò che sentivo, gli bastava
uno sguardo, anche attraverso uno schermo di un pc a un oceano di distanza, per
capirmi. Era diventato bravo anche a interpretare le sfumature della mia voce,
nelle telefonate rubate a orari folli per uno dei due. A volte sdrammatizzava tutto
con una battuta o sussurrava una proposta indecente con voce roca e maliziosa.
A volte anche lui cedeva un po’ alla nostalgia e si metteva in discussione.
C’eravamo chiesti, sempre più spesso, se fosse giusto vivere una relazione in
quel modo. La risposta era stata sempre e solo una: c’era quel filo che ci univa.
Lui era la prima persona che cercavo se mi succedeva qualcosa di bello o di
brutto, era tra le sue braccia che avrei sempre voluto cercare rifugio e conforto.
Ma non era sempre stato possibile.
La telefonata arrivò quando stavo lottando con le lacrime traditrici e la
nostalgia. La produzione di Un fidanzato di troppo credeva che, intervistando
anche il protagonista maschile, l’articolo avrebbe avuto più possibilità di arrivare
su Tv Guide. C’era sicuramente lo zampino di Jack, ci avrei messo la mano sul
fuoco.
Accettai, non potevo fare altrimenti. Bastava essere professionale, mi ripetei,
durante la nottata insonne.
Avrei fatto poche domande e me ne sarei andata. Prima bugia.
Mi truccai con cura, per nascondere le occhiaie, non per altro. Seconda bugia.
Mi tremava la mano mentre preparavo la borsa: forse avevo solo esagerato con
la caffeina quel mattino. Terza bugia.
Arrivai sul set con il cuore a mille ma non era a causa di… Sì, lo era. Basta
bugie. Non erano state la professionalità e l’ambizione a vincere, bensì la
nostalgia e una buona dose di masochismo.
«Sono qui per l’intervista.» Sono qui per sentirmi morire, spaccata in due tra
l’istinto di sopravvivenza che mi urla di fuggire e il mio cuore che vorrebbe
battere ancora insieme al suo, in un lungo, forte e disperato abbraccio.
«L’ultimo camerino, a destra.»
Sentii su di me parecchi sguardi nel tragitto, dovevano avermi vista con Jack il
giorno prima.
Bussai alla porta, nervosa e preoccupata. Non sapevo cosa aspettarmi.
«Avanti.»
Chiusi gli occhi e presi un lungo respiro, prima di entrare.
Jack era a due passi dalla porta e, per un istante, fui davvero tentata di correre
tra le sue braccia.
«Sono qui per l’intervista» misi in chiaro, fingendo distacco.
«Grazie di non aver rinunciato, pur di evitarmi.»
Ignorai la sua provocazione e mi sedetti su una poltroncina. Fu come fare un
tuffo nel passato, quando la sua vicinanza fisica mi destabilizzava e non sapevo
mai cosa aspettarmi dal suo comportamento. Evitai di incrociare i suoi occhi
scuri che erano sempre stati in grado di scavarmi dentro, alla ricerca di verità che
non ero in grado di svelare a parole.
Mezzo campus gli moriva dietro al college, era sempre stato attraente ma, a
ventiquattro anni, era più uomo che ragazzo e io ero ancora pazza di lui.
Ricordavo bene la sensazione dei suoi abbracci, delle sue carezze, dei suoi baci.
La morbidezza dei suoi capelli tra le mie dita, il profumo della sua pelle, il calore
dei suoi sospiri sulla mia. La sua passione e la sua dolcezza. Le sue risate e il suo
ghigno strafottente. Avevo mentito a me stessa in quei mesi, la sua mancanza era
ancora così vivida da fare male.
Nel silenzio teso, cercai il telefono e l’agenda nella borsa. «Quando…» mi
schiarii la voce e afferrai la penna, con mano tremante. «Quando sei pronto,
faccio partire la registrazione.»
Jack si sedette di fronte a me, sul tavolino, le ginocchia che sfioravano le mie.
Il tessuto dei suoi jeans sfiorò le mie gambe. «Dobbiamo parlare.»
Alzai gli occhi e incontrai i suoi. Non aveva più senso evitare ancora quel
confronto, lo sapevo.
«Dopo tutto quello che abbiamo passato per rimanere insieme…» C’era
sofferenza nella sua voce, insieme all’onnipresente risentimento.
«Cosa era rimasto ormai da salvare nel nostro rapporto?» sussurrai, con
amarezza.
«Lo credi davvero?»
Feci l’errore di non distogliere lo sguardo e rimasi a fissare i suoi occhi scuri.
L’ultima volta che li avevo guardati erano annebbiati dall’alcol e dalla
confusione. Non avrei mai voluto conservare di lui proprio quell’immagine e
ritrovarmelo davanti era un desiderio esaudito e una maledizione allo stesso
tempo.
«Jack, non lo so.» Distolsi lo sguardo.
Sarebbe stato facile dimenticare tutto e gettarmi tra le sue braccia. Ero appena
riuscita a riprendere in mano la mia vita dopo averla vista sgretolarsi tra le mani.
Nel lutto, nella mancanza, nel silenzio. Senza mio padre, senza le chiacchiere di
mia madre che si era spenta, senza i sorrisi di mia sorella. Senza una direzione
per il mio futuro. Senza l’amore di Jack.
«Non possiamo cambiare il passato, Liz.»
No, non potevamo e soprattutto non avrei nemmeno saputo cosa cambiare. In
quale momento ci eravamo persi? Era stato un logoramento quotidiano o alcune
scelte avevano deciso per noi, pesando come macigni nella nostra relazione?
Cercai una distrazione nelle pagine della mia agenda. «La prima domanda…»
La sua mano coprì la mia, prima che attivassi la registrazione sul telefono.
Scossi la testa e scelsi di essere codarda. Dovevo fare quelle dannate inutili
domande e andarmene.
«Non ce la faccio a parlarne ancora. Ho sofferto troppo, Jack.»
Si alzò, allontanandosi da me di qualche passo. Era nervoso, lo capii dalle sue
spalle contratte. «Pensi che per me sia stato semplice?» mi accusò.
Discutere con lui era sempre stato devastante, perché viveva le emozioni con
la stessa intensità con la quale le portava sul palco. Rabbia accecante,
risentimento pungente, passione travolgente. Non ero più allenata a tenergli
testa.
«Ho bisogno di avere un punto fermo nella mia vita e devo trovarlo in me
stessa. Non posso appoggiarmi agli altri e ritrovarmi poi… sola.» Quante bugie
in una sola frase. Quante accuse nascoste. Quante prese in giro a me stessa.
Nei momenti peggiori, quando volevo crogiolarmi nel vittimismo e Jessica e
Rick non me lo permettevano, mi appoggiavo a Daniel che afferrava il timone,
mi proteggeva dal vento e dedicava il suo tempo a farmi ritrovare la rotta.
«Sei… stai vedendo qualcun altro?» Jack pronunciò ogni parola con immenso
sforzo, tra i denti.
Quasi mi venne da ridere, tanto era assurda la sua domanda. Mi morsi la
lingua e lo guardai. Davvero credeva che lo avrei dimenticato così in fretta?
Come faceva a non vedere che stavo in piedi a malapena?
«Sì.»
Jack rimase impietrito, almeno quanto me. Avevo risposto di getto, sopraffatta
dal risentimento. Oppure ero impazzita e volevo testare la sua reazione.
Qualcuno bussò alla porta e un cameramen fece capolino per un avviso. «Jack,
due minuti.»
«L’intervista!» ricordai.
Jack mi guardò per un attimo e pensai che se ne sarebbe andato senza salutare
né aggiungere alto. «Mandami le domande per e-mail.»
Annuii e mi alzai, le gambe mi reggevano a fatica. Feci due passi e mi girai
per salutarlo. Me lo trovai di fronte, così vicino che indietreggiai, finendo a
sbattere con la schiena contro la porta.
«So che mi ami ancora. Non puoi avermi dimenticato.»
Eccolo, il mio Jack: istintivo, passionale e arrogante. Non era cambiato e
quella consapevolezza mi fece più male che bene. Stargli lontana sarebbe stato
ancora più difficile.
Trattenni il respiro, incapace di replicare. Avvicinò il viso al mio, gli occhi
fissi sulle mie labbra.
Mi stava per baciare e, per quanto sbagliato, lo volevo baciare anch’io. Da
impazzire.
Sentii il suo respiro sfiorarmi il mento, il suo profumo avvolgermi, la sua mano
sfiorarmi un fianco. Chiusi gli occhi, sopraffatta. Ma la sua bocca non raggiunse
la mia, deviò fino al mio orecchio.
«Quando lui ti bacerà» sussurrò, mentre la sua mano carezzava il mio fianco.
Il suo tocco era così familiare da risvegliare ogni mio senso. Venni travolta dai
ricordi, dalla nostalgia, dal bisogno. Aveva ancora quel modo di toccarmi che era
delicato e allo stesso tempo fermo e possessivo. Per un istante dimenticai di non
essere più la sua ragazza.
«Quando si prenderà qualcosa che non merita, tu penserai a me. Saranno le
mie mani che sentirai su di te.» Mi mordicchiò piano un lobo e non riuscii a
trattenere un sospiro spezzato.
«Stai tremando, Liz. Mi vuoi ancora. Un amore come il nostro non si
dimentica.» Si allontanò d’improvviso e quasi crollai sul pavimento, senza la sua
mano che mi sosteneva per la vita.
«Jack» lo pregai. Di continuare. Di smettere. Di rimanere con me. Di
andarsene.
Bussarono di nuovo e sussultai, scostandomi prima che la aprissero.
«Siamo pronti, Jack!»
Mise la mano sulla maniglia senza più guardarmi. Senza i suoi occhi su di me
mi sentivo persa, immersa in una confusa nebbia.
Prima di uscire, però, si girò. «Sei sempre bellissima.» Il modo in cui lo disse,
con uno sguardo tormentato e vulnerabile, mi uccise. Mi guardò ancora negli
occhi, per un lungo istante. «Aspetto la tua e-mail, il mio indirizzo è sempre lo
stesso.»
Lo vidi allontanarsi nel corridoio e dovetti tornare a sedermi, per riprendere
lucidità. Jack aveva ragione, un amore come il nostro non si dimentica.
9. Quella notte
Elizabeth

Mi svegliai sentendo qualcuno bussare, la sveglia sul comodino segnava le sette.


Era troppo presto e io mi ero addormentata molto tardi. Il mio volo era atterrato
in ritardo ma all’aeroporto avevo trovato sia Rick che Jess ad attendermi,
riforniti di gelato e pazienza.
Mi misi seduta sul bordo del letto, sperando di aver sognato, però i colpi
ripresero. Nel tempo che impiegai per uscire dalla mia stanza, ero stata già
battuta da Rick che, senza curarsi di essere solo in boxer, aveva aperto al
visitatore mattutino.
«Danny?» Sgranai gli occhi, vedendolo in cucina.
Daniel fece un sorriso tirato. «Scusami per l’orario.»
«Ha portato solo due caffè» si lamentò Rick, ottenendo un’occhiata
ammonitrice da parte mia.
«Non mi aspettavo che Lizzy e Jessica avessero ospiti» ribatté l’altro.
Rick si passò una mano sul viso e sbadigliò. «Vado in bagno.» Scelta giusta,
per una volta. Daniel era infastidito e io ero ancora troppo insonnolita per
affrontare la solita tensione tra loro.
Rick si fermò e, inaspettatamente, mi sollevò il mento con due dita per
guardarmi dritto negli occhi. «Come stai?»
«Bene.» Sfuggii dal suo sguardo e dalla sua presa.
La notte prima avevo fatto tardi a parlare con lui e Jessica, però non ero
arrivata a nessuna decisione sulla questione Jack.
«Faccio finta di crederci» sussurrò, poi si chinò a darmi un bacio sulla fronte.
Dopo aver vissuto con lui per anni non ero in imbarazzo a vederlo in mutande
ma quelle manifestazioni di affetto, di fronte a Daniel, mi stavano mettendo a
disagio. Non potevo però arrabbiarmi perché sapevo che era davvero
preoccupato per me.
Quando finalmente Rick si chiuse in bagno, osai guardare Daniel.
«Ho interrotto qualcosa?» domandò, serio, guardando le mie gambe nude sotto
la t-shirt che indossavo come pigiama.
«Danny.»
Capì l’antifona e andò a sedersi sul divano, in silenzio.
«Non credevo che saresti arrivato così presto.» Lo seguii e, per sedermi,
spostai cuscino e coperta usati da Rick. Quando rivolsi l’attenzione di nuovo al
mio amico, aveva lo sguardo fisso sulle prove del letto improvvisato e un lieve
sorriso sul volto.
«Sono arrivato ieri, ho un appuntamento tra un paio d’ore.»
«Qui in città?»
Mi rivolse uno sguardo di scuse, così intenso che l’azzurro dei suoi occhi
sembrò scurirsi. «Era quello che volevo dirti la sera della mia festa.» Fece una
pausa a effetto. «Ho ottenuto il trasferimento alla filiale in centro e sto cercando
un appartamento.»
«Tu cosa?» Sobbalzai, incredula.
«Te ne volevo parlare alla festa, prima di avere la conferma, che è arrivata
mentre ero a Parigi. Stamattina vado a incontrare il mio nuovo capo.»
Scossi il capo, sopraffatta. «E Martha?»
«In verità…» Danny si massaggiò il collo. «Stiamo discutendo perché non era
molto favorevole al mio trasferimento.»
«Perché…» Non terminai la frase: mi aveva colta alla sprovvista ma temevo di
conoscerne già il motivo.
«Perché voglio starti vicino, Lizzy. Voglio esserci per te, come negli ultimi
mesi e anche di più. Voglio far parte della tua vita ogni giorno, non voglio saperti
qui da sola.»
«Ma io non sono sola, vivo con Jessica. E poi c’è Rick che…»
La smorfia di Daniel fu talmente eloquente da troncare la mia risposta.
«Torneremo a casa insieme dalle nostre famiglie, ogni mese, come stavi già
facendo.»
«Daniel, aspetta.» Mi alzai, troppo sconvolta per riuscire a rimanere ferma.
«Perché non me ne hai parlato prima di decidere?»
«Perché non me lo avresti permesso, lo sai!» alzò la voce, poi scosse il capo
quando se ne accorse. «Dopo quello che hai passato, non ho intenzione di
lasciarti sola. Sono qui per te.»
«Che succede?» Jessica comparve, con i capelli aggrovigliati e lo sguardo
minaccioso. Doveva averci sentito discutere. «Daniel, sei già tornato dalla fuga
romantica con Martha?»
Non fui l’unica a sussultare alle parole di Jessica, anche Danny incassò male
la battuta.
«Ormai che siamo tutti svegli, facciamo colazione?» Le rivolsi uno sguardo
significativo, sperando comprendesse che le avrei spiegato a tempo debito ma
che dovevo risolvere la questione da sola.
«Vado a buttare fuori Rick dal bagno.» Traduzione: “resterai sola con lui per
pochi istanti, poi arriverà qualcun altro a controllare”.
Non appena Jessica se ne andò, Daniel si alzò e prese le mie mani tra le sue.
«Ti chiamo più tardi, ok?»
Riuscii solo ad annuire, ancora sorpresa e sopraffatta.
Si sporse a lasciarmi un bacio sulla guancia. «A dopo, Lizzy.»
Lo guardai uscire, rimanendo immobile a fissare la porta finché non venni
raggiunta da Rick. «Ok, racconta tutto.»
«Daniel si trasferisce» sussurrai, ancora incredula.
«Dove?»
Mi voltai e lo guardai. La mia espressione fu sufficientemente eloquente.
«Che cavolo ha fatto?» Riapparve anche Jessica.
«Danny vuole starmi accanto, quindi ha chiesto il trasferimento nella filiale
qua vicino.»
«E la strega?»
«Ha solo detto che stanno discutendo.»
Rick scosse la testa ma non fece commenti, come invece mi sarei aspettata.
«Ci serve un caffè» concluse Jessica, avviandosi verso la cucina, prima di
bloccarsi. «Rick, ti pare il caso di aprire la porta di casa nostra in boxer… della
Marvel? Se proprio vuoi far pensare male, almeno vacci nudo o con un paio di
boxer di Calvin Klein! Ti devo proprio insegnare tutto.»
Rick scoppiò a ridere e io, involontariamente, sorrisi.
Una piccola parte di me era lusingata dal colpo di testa di Daniel, sarei stata
ipocrita a non ammetterlo. Non ero però convinta che averlo vicino ogni giorno
mi avrebbe fatto bene, soprattutto perché quella folle decisione aveva messo
davvero in crisi la sua relazione e non era ciò che avrei voluto per lui, né per la
nostra amicizia.

Chiacchierando al telefono con mia sorella, le raccontai delle critiche di Jessica


alla biancheria di Rick.
«A proposito… Ellybeth, perché non esci con Rick?»
Risi della sua proposta.
«Guarda che dico sul serio!»
«Kimmy, dai. Lo sai che voglio bene a Rick ma siamo sempre stati solo
amici.»
«E quella volta al terzo anno? Quando sono venuta a trovarti?» Mia sorella
aveva una memoria troppo buona.
«Ero semplicemente entrata in bagno a prendere la spazzola mentre Rick stava
uscendo dalla doccia.»
«E succedeva spesso?»
«Kimberly, io e Rick siamo stati coinquilini per tre anni. Ci sono stati
momenti imbarazzanti ma li abbiamo affrontati con una risata» spiegai, per la
milionesima volta.
«Prima o poi riuscirò a corrompere uno di voi due e sapere la verità.»
«Pensi che sarei stata capace di tradire Jack?» Mia sorella stava cercando di
distrarmi da argomenti peggiori, però ero più suscettibile da quando Jack aveva
creduto che io stessi frequentando qualcuno, come se dopo pochi mesi avessi già
accantonato una storia importante come la nostra.
«Non parlavo di tradimento! Giusto qualche momento in cui c’è stata po’ di
attrazione e l’avete soffocata ma…»
«Tu vedi troppi film d’amore» la liquidai.
«Dai! Tutte le donne finiscono preda della sindrome del migliore amico e ora
siete entrambi single da un po’. Potresti provare, sono o non sono la tua saggia
sorella minore che ha vinto anche un sacco di premi?»
Risi, felice che ciò che ci aveva tenute lontane in passato, a causa dell’estremo
entusiasmo di mia madre per i successi scolastici ed extra scolastici di Kimberly,
fosse invece diventato un argomento di cui scherzare.
«Com’è il detto? Tra i due litiganti, il terzo…»
«Ok, direi che è ora di chiudere questa telefonata perché sta degenerando.»
«Che noiosa che sei, Ellybeth. Se non fossi troppo giovane per lui, me lo
prenderei io Rick.»
«Non voglio nemmeno sentirle queste cose, è come se fosse nostro fratello.
Non ti piaceva Tom?»
Kimberly sbuffò. «Pensa che io e Amber ancora giochiamo con le Barbie. Non
si rende conto che ho sedici anni ormai!»
Era bello sentire Kimberly di nuovo così spumeggiante. «Ora devo fare la
spesa, è il mio turno. Ci sentiamo domani.»
«La prossima volta che Rick gira in mutande, puoi chiedere a Jessica se mi
manda una foto?» fu il suo saluto.
Quella sera Jessica aveva una cena con i colleghi e insistette per un’ora perché
uscissi con lei. Arrivò perfino a pensare di rinunciare per non lasciarmi sola. Poi
passò al piano B e fece una telefonata.
«I pop-corn per il microonde sono finiti?» domandò Rick, dopo aver trafficato
nella dispensa.
Salvai il documento nel pc e mi rassegnai a rinunciare a lavorare: con lui in
casa era impossibile.
«Dietro la scatola di muesli. Stasera mi sento buona e ti lascio la mia scorta.»
Jessica gli passò accanto, strizzandogli la guancia. «Siamo d’accordo?»
Rick annuì e Jessica si girò a soffiarmi un bacio prima di uscire.
«Quale sarebbe il vostro accordo, sentiamo.» Lo seguii in cucina, alla ricerca
dei popcorn.
«Non toccare la sua scorta segreta di cioccolato.»
Lo conoscevo troppo bene e sapevo che, quando sfuggiva il mio sguardo,
mentiva. «Tra poco andrò a letto e non devi farmi da babysitter, puoi uscire.»
«Non mi funziona bene Netflix a casa.» Accese il microonde, continuando a
rimanere di spalle.
«Strano, abbiamo lo stesso account e va benissimo. Puoi smetterla di inventare
scuse, non sei capace.»
Rick sbuffò e finalmente si girò. «Hai mandato le domande a Jack?»
«Vediamo se ho capito: Jessica ti ha chiamato perché non vuole lasciarmi sola
e tu hai pensato bene di approfittarne per controllare che io scriva a Jack.»
Il segnale acustico del microonde permise a Rick di temporeggiare. Recuperò i
popcorn e mi sorrise. «Vogliamo sprecarli? Niente super eroi, promesso!» Mi
regalò uno dei suoi sorrisi più abbaglianti.
Cedetti con facilità e andai a sedermi sul divano, mi sembrava di essere
tornata al college.
«Oggi ho chiamato Kimberly e lei è convinta che dovrei uscire con te.»
Rivelai, senza alcun imbarazzo.
Rick scoppiò a ridere. «Dovrei farla venire in città come mia sponsor.»
«Sono due mesi che perdi tempo a controllare come sto, anche di sabato sera.
Per forza non rimedi appuntamenti.»
Si girò verso di me, con un’espressione seria che poche volte gli avevo visto.
«Elizabeth, io non perdo tempo. Sono qui perché voglio esserci. E non per
farti da babysitter.»
Gli sorrisi, sentendo gli occhi inumidirsi. «Scegli tu, dai.» Gli passai il
telecomando. Era il mio modo di ringraziarlo e lui lo sapeva.
Guardammo un episodio di una nuova serie tv, senza commentare come
invece facevamo di solito. Mi si chiudevano gli occhi dalla stanchezza e dalle
poche ore di sonno, così mi accorsi a malapena della fine della puntata.
«Liz, posso chiederti una cosa?»
Sbadigliai. «Dimmi.»
«Riguardo a quello che ti ha detto Kimberly… Hai mai pensato che sarebbe
stato facile? In fondo andiamo d’accordo, abbiamo vissuto insieme per anni.»
«Noi due insieme?»
Annuì, serio come poche volte lo avevo visto.
«Ci ho pensato, una volta, ma…» Non trovavo le parole. Il mio affetto per
Rick era sempre rimasto innocente e fraterno, tranne forse una volta quando,
preda della nostalgia più disperata per la lontananza di Jack, mi ero chiesta se la
mia vita non sarebbe stata più semplice se fosse stato Rick il mio ragazzo. Era
stato un pensiero illogico e ingiusto, dettato dalla tristezza e dalla stanchezza.
«L’ho pensato anch’io quella notte» ammise.
Tutta colpa di quel periodo, alla fine del secondo anno, quando io e Jack non
riuscivamo a trovare un secondo per sentirci. Andavamo avanti a messaggi letti
in differita, mentre lui preparava uno spettacolo e io gli esami finali. Poi quella
fatidica notte mi ero presentata in camera di Rick, singhiozzante.
Tra le lacrime, gli avevo domandato: «Sto sbagliando a intestardirmi in questa
folle relazione a distanza?».
Mi aveva tenuta stretta per lunghi minuti poi aveva sciolto l’abbraccio e, alla
luce fioca dell’abat-jour, mi aveva guardata. Per un istante avevo creduto che mi
avrebbe baciata e io ero così emotivamente sfinita che forse quel bacio lo avrei
perfino ricambiato.
«L’amore non è mai logico né facile.» Mi aveva detto e me lo ripeté di nuovo,
a distanza di anni, seduto accanto a me. «E poi non riesco a farti apprezzare la
Marvel, sei un caso disperato» ruppe la tensione con una battuta delle sue, poi
fece partire il secondo episodio.

Mi svegliai, sentendo la voce di Rick. La luce del bagno era accesa e lui stava
parlando con qualcuno.
Che ore erano? Era tornata Jessica? Mi stropicciai gli occhi e mi avvicinai. La
porta era socchiusa e Rick era di spalle, al telefono.
«Te l’ha detto lei che esce con qualcuno?»
Indietreggiai, per non farmi vedere. C’era sicuramente Jack all’altro capo del
telefono e la mia stupida bugia stava per essere smascherata.
«Sì, l’ho conosciuto.» Rick, con mia sorpresa, aveva deciso di reggermi il
gioco.
Sospirai di sollievo, ma non avrei dovuto perché la catena di equivoci si era
appena innestata.
10. Pettegolezzi
Jack

Ero arrivato a pensare che Liz avesse mentito solo per farmi ingelosire. O
meglio, lo avevo sperato fino alla telefonata con Rick.
Non poteva essere Daniel, in teoria fingeva di essere felicemente fidanzato.
Certo, in quei mesi poteva aver mollato Martha per buttarsi su Liz, come erano
anni che cercava di fare. Non gli entrava in testa di aver già sprecato la sua
occasione, pezzo di idiota.
Dopo anni passati a girarle attorno con la scusa del migliore amico, si era fatto
avanti poco prima di partire per il college. Liz, però, era più piccola di lui e
doveva ancora terminare la scuola superiore. Il genio aveva a malapena finito di
aprire gli scatoloni, al campus, che già si era giocato la carta del “restiamo
amici” per potersi divertire. A quel punto, lei lo aveva tagliato fuori dalla sua
vita.
Con dannato tempismo ce lo eravamo trovati tra le palle proprio quando io e
Liz stavamo fingendo di essere una coppia davanti ai suoi genitori, durante le
vacanze di primavera del primo anno. Avevo intuito subito che quel broccolo
avrebbe portato guai ma non sapevo ancora quanti.
Mi ero illuso di essermene liberato, ma la morte del padre di Elizabeth aveva
cambiato tutto. Indossando i panni del migliore amico devoto, riemerso dal
passato, aveva iniziato ad apparire a tutte le ore. Danny-caro era espansivo e
affettuoso. Sempre a cercare di abbracciarla, carezzarle i capelli, allungare le
mani. Una volta mi ero fermato a un passo dallo schiacciargliele nella porta, Liz
non avrebbe creduto a un incidente.
Avevo cercato di essere tollerante, molto più che in passato, in quel periodo di
lutto. E lui lo sapeva, dannazione. Riusciva sempre a irritarmi ma a fermarsi al
limite, si prendeva libertà ma in modo non troppo palese. Se lo avessi attaccato,
sarei passato io dalla parte del torto. Potevo solo sperare che Liz non si fosse
fatta fregare di nuovo da lui, in mia assenza.
Giovedì ci fu la conferenza stampa per annunciare l’arrivo di Romanceflix,
entro la fine dell’anno. Noi del cast la seguimmo in streaming dal set, non era
ancora il momento di svelare tutte le carte. Vennero solo svelati i titoli dei film in
produzione e si parlò a grandi linee di quanti contenuti avrebbero messo a
disposizione nel primo periodo. Entro un’ora, la produzione fu sommersa di e-
mail da giornalisti e blogger.
«Ma l’articolo su Tv Guide quando esce? Dobbiamo dargli l’esclusiva?»
Roger lo chiese direttamente a me. Eravamo una piccola grande famiglia sul set
e la voce era girata molto in fretta.
Avevano scoperto che la giornalista era la mia ex e si aspettavano che fossimo
rimasti in contatto. In realtà, era trascorsa quasi un’intera settimana e Liz non mi
aveva mandato le domande per l’intervista. I casi erano due: o aveva inviato
l’articolo solo con l’intervista a Jennifer, oppure stava temporeggiando.
Rinunciare sarebbe stato troppo perfino per il suo orgoglio.
«Possiamo mandare avanti prima il cast di Amore imprevisto?» La produzione
aveva appena terminato il casting e presto avrebbero iniziato a girare.
«Informati. Ho capito che vuoi fare bella figura con lei ed è un’occasione
anche per noi, perché Tv Guide è la rivista più letta del settore, però non
possiamo aspettare se non hanno intenzione di pubblicare l’articolo nel prossimo
numero.»
Mi limitai ad annuire, temendo di essermi cacciato in una situazione scomoda.
Ci stavo mettendo la faccia e Liz non si era più fatta viva.
«Intanto perché non reclutiamo qualche influencer?» propose Jennifer.
«Abbiamo ancora qualche mese tra produzione e post produzione e dobbiamo
tenere alto l’interesse.»
L’idea venne accolta con successo e iniziammo a citare nomi di blogger e
youtuber famosi.
«Ci vogliono delle ragazze, le beauty guru!»
«Ma anche qualche bel ragazzo, seguito da potenziali nostre spettatrici.»
L’unico a non intervenire era, come sempre, Deacon. Non avevo ancora capito
se per snobismo, essendo il più famoso nel cast, o solo per naturale riservatezza.
Jennifer lo aveva spesso invitato alle nostre cene ma lui aveva sempre declinato.
Non avevamo ancora scoperto nulla della sua vita privata, sapevamo solo che
tornava a casa ogni fine settimana possibile.
Ammiravo il suo talento, sul set si trasformava e riusciva a interpretare il
classico bravo ragazzo che spopola nelle commedie romantiche. Avendo visto la
serie tv in cui aveva recitato fino a pochi mesi prima, nei panni di un serial killer
sociopatico, non potevo che inchinarmi di fronte alla sua enorme versatilità.
«Tu conosci qualcuno, Deacon?» tentai di coinvolgerlo.
«Ho un’amica food blogger, posso chiederle se ha amici che possono
aiutarci.»
Mi venne in mente che avrei potuto coinvolgere Teo. Gli mandai subito un’e-
mail e rispose entro pochi minuti: non avevo idea di che ora fosse in Italia ma il
mio ex coinquilino di Londra aveva sempre avuto orari strani.

Ehi, mitico!
Conosco un paio di ragazzi con un buon seguito su YouTube, uno vive a New
York e l’altro a San Francisco e ha una fidanzata con cui spesso gira vlog.
Potrebbero essere adatti per sponsorizzare Romanceflix, li avviso e ti faccio
sapere.
Ethan mi aveva detto che avevi lasciato Londra ma non sapevo del nuovo
ingaggio, complimenti!
Liz come sta? L’hai vista?
Io ho il provino per una fiction, quella che da voi è una serie tv… più o meno.
Incrocia le dita per me! Intanto sto lavorando in un programma per bambini.
Chi l’avrebbe mai detto!
Se torni in Europa, fatti sentire!

«Ma è carino questo tuo amico italiano?» si informò Jennifer, mentre


aspettavamo la cena.
«Lo trovi su Instagram, non ricordo il nick. Aspetta.» Era così tanto che non
aprivo più l’app che ricordavo a malapena i dati per accedervi. Ritrovai una foto
fatta insieme a lui e cliccai sul suo profilo.
«Niente male! Volevo proprio farmi un viaggio in Italia a fine riprese, ho già
trovato chi può farmi da guida.» Jennifer si appropriò del mio telefono ma non
mi lamentai. Ero abituato a Liz, che usava sempre il mio quando mi raggiungeva
a Londra.
L’effetto nostalgia dopo averla rivista stava svanendo, inglobato dal
risentimento. Quando mi aveva raccontato di aver tagliato fuori Daniel dalla sua
vita, una volta chiusa la loro storia, le avevo dato ragione. Ora che ero coinvolto
in prima persona, invece, mi sembrava un comportamento assurdo da tenere.
Quel suo maledetto guscio diventava di amianto, se qualcuno la faceva soffrire.
«Sorridi, splendore!» Jennifer mi distolse dai pensieri, scattandoci un selfie
con il mio telefono.
«Cosa fai?» La guardai armeggiare con i filtri.
«Fidati di me, Jack. Ricomincia a usare Instagram.»
«Andresti davvero d’accordo con Teo.»
Ci raggiunsero gli altri e la conversazione virò subito al lavoro. «Jack, tu sei
libero lunedì. Giriamo solo scene con Jen e Deacon.» Non che avessi chissà
quali programmi, probabilmente doppio turno in palestra e una dormita.
«Vieni comunque a vederci, no? Che triangolo è se tu non sei presente?»
Jennifer sorrise, allungando le bacchette verso il vassoio di salmone.
«Potrei distrarti troppo, è palese che vincerò io.» Sfoderai al massimo
l’accento inglese, che solitamente non usavo fuori dal set.
«Chissà» ridacchiò lo sceneggiatore, che ancora non ci aveva consegnato le
scene finali. Conoscevamo solo la location: l’aeroporto. Non il modo migliore di
chiudere una commedia romantica, a mio parere, ma non ero io a decidere. Non
ero più sul palco a scegliere che finale improvvisare, come in Lezioni di
seduzione.
Gran parte del cast e della troupe, tranne i locali assunti sul posto, alloggiava
in un bed & breakfast fuori città, il più vicino possibile al set. Io avevo scelto di
affittare un appartamento in centro, perché non avevo un altro luogo dove
tornare, dopo aver lasciato Londra.
Quando accompagnai Jennifer in albergo, mi invitò a salire per fare due
chiacchiere.
«Jen, è quasi mezzanotte e alle sei e mezza Igor mi aspetta in palestra. Riesce
a farla aprire prima, quel sadico, perché suo cugino è il proprietario.»
«Non vuoi sapere cosa ho scoperto su Deacon?» Jennifer finse di esaminare la
manicure fatta quel mattino.
«Cinque minuti» acconsentii, seguendola.
La sua stanza era al terzo piano, accanto a quella del nostro collega. Grazie a
quella vicinanza, unita alla sua naturale esuberanza, era l’unica ad aver
instaurato un rapporto un po’ più stretto con lui.
Mi sedetti sul letto mentre lei si toglieva i tacchi e abbandonava la borsa sulla
cassettiera.
«Allora…» Saltò al centro del letto, con un sorriso. Sul set era una spina nel
fianco quanto a puntigliosità, ma fuori sembrava riacquistare la spensieratezza
da ventenne.
«Cosa hai combinato per farlo sbottonare?» ridacchiai, immaginando già il
racconto assurdo.
Jennifer fece un sorriso sornione. «Sono andata a bussare alla sua porta alle tre
di notte, con una scusa.»
Scossi la testa. «Vedi che ho fatto bene a cercare un appartamento, ti sopporto
già troppe ore al lavoro!»
«So che mi adori, tesoro» mi soffiò un bacio e poi rise.
Quando avevo smesso di prendere la vita con leggerezza? Forse quando avevo
dovuto scegliere lavori assurdi, come lo spogliarellista, per pagarmi gli studi che
desideravo fare. Perché mio padre non sopportava che umiliassi il nome di
famiglia rifiutandomi di diventare avvocato.
«Comunque ho beccato Deacon sveglio, e intendo proprio sveglio in tutti i
sensi. E con il portatile sul letto sfatto, ha chiuso lo schermo prima di farmi
accomodare.»
Scoppiai a ridere. «Sei tremenda, Jen!»
«Ha una relazione, ormai lo sappiamo. Devo solo capire chi è la fortunata… o
il fortunato.»
«Ti vedrei bene a lavorare per una rivista di gossip.»
«Non sfottere, presto ci finiremo anche noi. Bisogna cercare di gestire al
meglio la versione di noi stessi da dare in pasto ai giornalisti.» Si era fatta seria:
sulla carriera non scherzava come non lo facevo io.
«Viviamo sul set, non so cosa potrebbero mai trovare di interessante nella
nostra vita privata» le feci notare.
Jennifer si sdraiò su un fianco, rivolta verso di me. «Toglimi una curiosità:
come hai fatto?»
«A fare cosa?» Non ero ancora abituato ai suoi repentini cambi di argomento.
«A vivere una relazione a quella distanza, per anni.»
Sospirai. «Non è stato facile.»
«Immagino che avrete trascorso molte notti come Deacon, quindi se ti
chiederò mai in prestito il tuo portatile, ricordami per piacere di non toccarlo
senza guanti.»
Le lanciai un cuscino, ridendo della sua battuta. L’ultima cosa che volevo, in
quel momento, era ricordare ancora ciò che avevo vissuto con Liz. Soprattutto
perché era sparita, di nuovo.
Jennifer mi restituì il cuscino, perdendo l’aria giocosa. «Che intenzioni hai
ora, Jack?»
«Me ne vado a letto, è tardi.» Feci per alzarmi, ma mi bloccò per un polso.
«Te la vuoi riprendere? O volti pagina?»
Mi liberai dalla sua presa per massaggiarmi gli occhi, ormai esausto. «Non lo
so.»
«Da amica, ti consiglio di fare un ultimo tentativo per non avere rimpianti.»
Prima che potessi replicare, continuò: «Da donna, d’altro canto, penso che tu sia
stato fuori dalla piazza già troppo a lungo. Vogliamo sprecare così tutto quel
lavoro in palestra e quell’accento?».
«Jen, Jen…» Sorrisi, poi sfoderai la mia migliore interpretazione. «Chi
avrebbe mai detto che l’accento inglese fosse il tuo debole? Ognuno ha le sue
stranezze, darling.»
«Ti odio! Tienilo solo sul set oppure usalo per dirmi cose sconce, così è una
tortura.»
Mi sistemai sul letto, il cuscino dietro la schiena. «Già immagino la nostra
prima intervista, quando svelerò al mondo intero che basta l’accento inglese a
eccitarti, così riceverai milioni di proposte oscene da mezzo Regno Unito.»
«Sei uno stronzo. Ora, per farti perdonare, inizia a recitarmi Shakespeare
come ninna nanna.»

«Jack, svegliati.»
Aprii gli occhi e trovai Jennifer in accappatoio. «Che ore sono?»
«Le sei e mezza. Il tuo telefono sta vibrando sul comodino.»
«Igor mi farà a fettine» borbottai, mettendomi seduto.
«Ci penso io ad avvisarlo, vai a farti una doccia così ti svegli.»
Quando uscii dalla sua stanza, incontrai la segretaria di produzione in
corridoio. «Buongiorno, Jack.»
Ignorai il suo sorriso malizioso e le feci solo un cenno con il capo. Il set era un
covo di pettegoli, però era anche un microcosmo chiuso e nessuno avrebbe mai
fatto insinuazioni in pubblico. O almeno così speravo.
11. Domande
Elizabeth

«Alzati e risplendi!»
Nascosi la testa sotto il cuscino, ignorando Jessica.
«La colazione è pronta e hai un articolo da scrivere.» Strappò via le coperte
poi saltò giù dal letto per aprire la finestra.
Aprii un occhio e controllai l’ora. «Sono le sette ed è domenica, tu sei pazza!»
«Mi ringrazierai, a tempo debito. Ora alzati o torno con un secchio d’acqua.»
Arrivai in cucina, dove trovai Matt intento a masticare un pancake con gli
occhi mezzi chiusi.
«Non sono l’unica vittima della follia di Jess, vedo.»
Mi avvicinai al frigorifero sperando che un succo di frutta freddo avrebbe
messo in moto il mio povero cervello.
«La prossima volta vai a letto prima, invece di uscire a cena con Daniel» mi
sgridò quel terribile folletto biondo che era la mia coinquilina.
«Abbiamo preso una pizza e l’abbiamo mangiata sul pavimento del suo
appartamento, perché i mobili non sono ancora arrivati. Sarei rientrata anche
prima ma ho voluto lasciarvi un po’ soli, bel ringraziamento!»
Matt sorrise mimandomi un «grazie» poi trascinò Jessica a sedere sulle sue
gambe. «Non iniziate a discutere anche oggi, è domenica.»
«Abbiamo tante cose da fare, su, mangiate!» Jessica mi gettò un pancake nel
piatto, mentre mi sedevo.
«Quindi hai già programmato anche la mia giornata?» La mia vena polemica
era stata solo lievemente sopita dagli sbadigli.
«Tu devi finire l’articolo da mandare a Tv Guide, la scadenza è mercoledì.»
«Lo so» bofonchiai, versando lo sciroppo.
«Devi mandare l’e-mail a Jack, smettila di rimandare.»
«Jessica…» Posai la forchetta.
«No, Liz, ora mi ascolti! Ti ho lasciato fare a modo tuo per un’intera
settimana. Guai a nominare Jack, guai a chiudere la porta in faccia al tuo Danny,
guai a metterti fretta per l’articolo. Adesso basta, non ho intenzione di lasciarti
perdere l’occasione di ottenere quel posto.»
«Amore…» Matt tentò di intervenire.
Non potevo tacere di fronte al suo attacco. «Sai che ho passato tutta la
settimana a cercare idee per un altro articolo, non puoi accusarmi di non aver
fatto nulla!»
«Hai già l’intervista a Jennifer e hai visto il set. Ti basta mandare una
manciata di domande standard a Jack, per e-mail, e hai finito. Vuoi mettere da
parte l’orgoglio, per una volta?»
Le sue parole mi fecero infiammare, perché aveva ragione ma non volevo
accettarlo. «Abbi il coraggio di ammettere che sei irritata perché Daniel è
passato a trovarmi un paio di volte.»
«Un paio?» La mia amica si alzò: brutto segno quando non riusciva a stare
ferma. «Si è presentato qui tutti i giorni, tranne quando la strega è arrivata in
città. E guai a sapere cosa si sono detti, se l’ha lasciato o meno.»
«Perché non sono fatti nostri, Jess!»
Jessica finse di ridere, poi scosse la testa. «Ti voglio bene come se tu fossi mia
sorella e così come Kimberly ti dice le cose scomode, lo faccio anch’io. Tu non
gli hai chiesto nulla perché se Daniel ora è single, non potrai più negare che sia
qui per riconquistarti.»
Spinsi via il piatto, con lo stomaco ormai chiuso, e mi alzai. «Stai insinuando
che io non abbia la benché minima volontà personale e voce in capitolo? Che se
Daniel si gettasse ai miei piedi, lo accetterei pur di non stare sola?»
«Non ho detto questo.»
«Buona colazione, io ho finito.»
Tornai in camera e chiusi la porta. Mi ci poggiai contro di schiena e mi chiesi
se sarei riuscita a riprendere sonno, probabilmente no.
Odiavo litigare con Jessica, anche se immaginavo che sarebbe esplosa, dopo
essersi limitata, per l’intera settimana, a lanciarmi sguardi di disapprovazione.
Su una cosa aveva ragione: dovevo mandare quell’e-mail. Non era detto che
Jack avrebbe risposto, a quel punto, però non potevo permettere all’orgoglio di
bloccarmi.
Cercai di essere il più cortese, e forse anche il più fredda, possibile. Quando
cliccai su invio mi accorsi di aver impiegato un’ora a scrivere poche righe
introduttive e copiare le domande pronte da giorni.
La casa era silenziosa, Jessica e Matt dovevano essere usciti. La prospettiva di
una domenica da sola era soffocante, nemmeno l’idea di guardare qualcosa su
Netflix mi attirava. Mandai un messaggio a Rick ma non rispose: era uscito con
amici la sera prima e doveva aver fatto tardi. Anche la telefonata a casa durò
pochi minuti, mia madre stava per andare al brunch con le signore del circolo e
mia sorella aveva dormito dalla sua amica Amber dove sarebbe rimasta fino al
pomeriggio.
Ero abituata alla solitudine, però quella domenica mattina di sole e bel tempo,
con la primavera alle porte, mi crollarono addosso tutte le mancanze, tutti i
silenzi. Fu con quello stato d’animo che aprii la porta a Daniel e gli regalai un
sorriso di sollievo così grande che lo lasciai interdetto.
«Stavi uscendo?» domandò, salutandomi con un bacio sulla guancia.
«No, sono da sola e non avevo ancora deciso cosa fare oggi.» Mi scostai per
farlo entrare.
«Ti va di pranzare fuori?»
Accettare fu più immediato che respirare.
Dalla discussione con Jessica avevo ottenuto spunti di riflessione, come
sempre accadeva. Perciò, di fronte ai nostri ravioli di carne, mi decisi a fare la
fatidica domanda. «Come va con Martha?»
Daniel ingoiò il boccone, bevve un sorso di vino e posò la forchetta. «Ci
siamo presi una pausa.»
«Mi dispiace.» Non avevo mai avuto un bel rapporto con Martha ma era pur
sempre la sua ragazza da più di due anni. Non aggiunse altro e tornò a mangiare.
Fu solo a fine pranzo che nominò Jack, chiedendomi della fantomatica e-mail.
«L’ho mandata stamattina, non so se risponderà.»
«Lo farà. Non perderà l’occasione di contattarti.»
Fui io a lasciar cadere l’argomento, a quel punto. Con Daniel le cose andavano
bene, riuscivamo a parlare di tutto e a ridere insieme. Certo, succedeva solo se
evitavamo di nominare Martha o Jack. Non era normale, me ne accorgevo. Con
Rick non c’erano argomenti tabù, al massimo ero io che lo bloccavo se partiva in
quarta con il suo amore per la Marvel.
L’amicizia con Daniel però ne aveva passate tante, compreso il fatto che
eravamo stati una coppia per diversi mesi, molti anni prima. Era rientrato nella
mia vita nel momento sbagliato, quando avevo appena conosciuto Jack e i
rapporti tra loro due erano stati fin da subito tesi. Per questo, durante gli anni di
relazione con Jack, avevo limitato al minimo i contatti con Daniel e lui si era
adeguato, a fatica. Aveva smesso di cercarmi quando aveva conosciuto Martha,
salvo poi tornare al mio fianco quando ne avevo avuto più bisogno.
Non riuscivo a essere obiettiva quando Jessica e Rick facevano insinuazioni,
perché Danny aveva asciugato le mie lacrime, aveva addirittura portato
Kimberly dalle amiche quando dovevo occuparmi di mia madre, nelle giornate
peggiori. Se non fosse stato per lui e per Laura, mia madre non sarebbe più
uscita e io non avrei più lasciato casa per timore di lasciare lei e mia sorella da
sole. Mi ero trasferita perché le cose stavano andando meglio, mia madre aveva
ancora giorni meno buoni ma non rimaneva più chiusa nella sua stanza.
Dopo pranzo, approfittammo del sole per fare una lunga camminata al parco,
perdendoci nei ricordi di quando eravamo bambini. Era confortante avere un
vissuto comune di cui ridere insieme, mi aiutava a sorridere anche quando negli
aneddoti spuntava mio padre.
«La sera del ballo, Richard mi ha preso da parte per farmi il discorso.»
C’eravamo appena fermati vicino al piccolo laghetto artificiale, così mi girai
verso di lui, incredula. «Dimmi che stai scherzando!»
Daniel mi regalò un sorriso impertinente, che gli illuminò ancora di più gli
occhi chiari. «Era partito dicendo che si rendeva conto della tua crescita, ormai
eri una donna e io avrei dovuto trattarti con il massimo rispetto.»
«Dimmi che sei riuscito a mantenere un’espressione neutra.»
«Credo di essere diventato del colore dei cuscini del divano.» Fece una pausa.
«E ti ricordo che le nostre madri avevano da poco deciso di rinnovare i salotti
perché quell’anno andava di moda…»
«Il borgogna! Avevo dimenticato quell’incubo, per fortuna le stoffe sono
durate meno di un anno.»
Danny rise e mi posò un braccio sulle spalle. «Era un grande uomo, tuo padre.
Mi aveva quasi terrorizzato quella sera.»
«Ecco, quasi! Dopo il ballo, ti è passata la paura.»
«Eri troppo bella, avrei rischiato qualunque cosa» sussurrò, stringendomi tra le
sue braccia.
Ricambiai l’abbraccio e ne approfittai per nascondere la mia espressione nel
suo maglione. Il ricordo dolce della nostra prima volta mi metteva comunque un
po’ in imbarazzo. Mi staccai, senza osare guardarlo negli occhi, e finsi di
controllare il telefono. Ero quasi certa che non avrei trovato nulla e invece c’era
un messaggio di Rick.
«Scusa un secondo.» Mi allontanai di un passo per leggerlo, temendo che
contenesse le solite battute su Daniel.
«Tutto bene?» Dal tono preoccupato di Danny intuii la direzione dei suoi
pensieri: credeva fosse arrivata la risposta di Jack.
Gli sorrisi. «Rick deve essere in pieno dopo sbornia. Mi ha mandato un
messaggio in cui accenna al suo testamento.»
Daniel scosse la testa, con un mezzo sorriso. Tra lui e Rick non era nata una
grande simpatia, per usare un eufemismo.
«Il tuo amico ha forse qualcosa da farsi perdonare?» tornò in argomento,
mentre uscivamo dal parco diretti alla sua auto.
«No. Questa settimana non si è visto.» Ero quasi certa che volesse evitare
Daniel, anche se cominciavo a temere che quella non fosse l’unica ragione. Mi
sembrò di sentire Danny sussurrare un «meglio così» che si perse nel rumore del
motore che si avviava.
Mi riaccompagnò a casa e mi dispiaceva salutarlo senza invitarlo a salire, però
dovevo chiarire con Jessica e presentarmi con lui non sarebbe stata la soluzione
migliore.
La trovai con Matt sul divano, impegnati a guardare un film. Matt sarebbe
ripartito molto presto il mattino successivo quindi mi defilai in camera per
lasciarli soli.
Fu Jessica a venirmi a cercare, poco prima di cena, per invitarmi a mangiare
con loro.
«Non ho molta fame e volevo lasciarvi un po’ di privacy.»
«Non essere sciocca, sei sparita tutto il giorno e non ho intenzione di
spalmarmi nuda sul tavolo.»
Scoppiai a ridere. «Anche perché su quel tavolo poi ci devo mangiare
anch’io!»
Stavamo caricando la lavastoviglie, dopo cena, quando affrontai l’argomento.
«Jess, mi dispiace per stamattina.»
«Anche a me. Sai che ho reagito così perché ti voglio bene, vero?»
Annuii. «Ho mandato l’e-mail stamattina, Jack non ha ancora risposto.»
«Risponderà.» Sorrise, sporgendosi ad abbracciarmi.
Matt e Jessica andarono a letto presto, in previsione della levataccia per
l’aeroporto. Non sapendo che fare, mi misi a letto a leggere.
Quando bussarono alla porta, l’orologio segnava le dieci di sera. Era un orario
insolito anche per Rick, se passava cercava di capitare per cena, già che c’era.
Mi avvicinai alla porta, senza accendere la luce del salotto, e guardai dallo
spioncino, poi aprii.
«Rick, cosa…» Non terminai la frase perché non era da solo.
12. Il giorno del Ringraziamento
Elizabeth
Quattro mesi prima

«Liz, perdonami. Ancora due repliche e tra pochi giorni sarò a casa.»
«Jack, lo hai detto anche due settimane fa.»
«A settembre ti avevo chiesto di tornare con me a Londra.»
«Non volevo lasciare mia mamma e Kimmy, lo sai.» Non poteva
rinfacciarmelo!
«Vuoi davvero discutere anche oggi?» Sembrava stanco, mai quanto me. Di
dormire poco, di sentire mia sorella vagare la notte per casa insonne, di vedere
mia madre spenta, di non sapere bene cosa fare della mia vita dopo il college.
«No, non voglio.» Chiusi la chiamata senza salutare e senza tentare di
riconciliarci.
Mia madre non se l’era sentita di cucinare per la festa, perciò la sua amica
Laura ci aveva invitati a casa loro. Al nostro arrivo, l’atmosfera non era molto
gioiosa ma il mio amico ci accolse con un enorme sorriso e tanto entusiasmo.
«Lizzy, dai! Tua sorella ha scelto Monopoli. Illusa, non la lascerò mai
vincere.» Daniel aveva cercato di coinvolgermi quando mi ero isolata sulla
poltrona vicina alla finestra, ipnotizzata dalle gocce di pioggia che bagnavano il
vetro. In testa mille pensieri e tanta malinconia.
Mi alzai per raggiungerli e sentii suonare il mio telefono nella borsa,
abbandonata sul tavolino da caffè. Immaginai che fosse di nuovo Jack: avevo
ignorato per ore le sue chiamate ma era giunto il momento di parlargli.
«Pronto.»
«Liz, dannazione! Sono ore che ti chiamo!»
«Stavo festeggiando con la mia famiglia» mi limitai a replicare, gelida.
«Concedimi altri cinque giorni e giuro che torno a casa e ti consegno in
ostaggio il passaporto.»
«Jack…» Volevo davvero credere che finalmente saremmo stati vicini più di
qualche giorno al mese, salendo e scendendo da un aereo, ma ero così stanca.
«Amore, resisti. L’ultimo sacrificio. Te lo giuro.»
Chiusi gli occhi, pieni di lacrime. Cinque giorni mi sembravano troppi ed era
assurdo, dopo oltre tre anni.
«Ehi, piccola, ti sto aspettando!» Daniel apparve in salotto a richiamarmi, con
tono divertito e troppo squillante.
«Ancora lui?» La pazienza di Jack era finita da tempo, aveva sopportato la
ricomparsa di Daniel durante le prime settimane di lutto ma poi era diventato
sempre più insofferente nei suoi confronti.
«Laura ci ha invitate a pranzo.»
«Non è passato un solo fine settimana senza che sentissi la voce di quell’idiota
in sottofondo.»
«Jack, non ricominciare.» Ero sfinita.
«Lizzy, tutto bene?» Daniel si avvicinò e gli feci cenno di fare silenzio.
Troppo tardi.
«Avvisa Danny-caro che tra cinque giorni sono a casa e che può già andarsene
al diavolo. Ci sono io per te.» Odiavo sentirlo così velenoso, perché era il
preludio dell’ennesimo litigio.
«Davvero ci sei per me?» scoppiai. «Perché è il primo Ringraziamento da
quando è morto mio padre e mi hai lasciata sola. Sei ripartito nemmeno tre
settimane dopo il suo funerale e quando è morto…» mi si spezzò la voce perché
non volevo ricordare quel giorno, non ce la facevo.
«Liz, ora sei ingiusta! Ho mollato tutto e ho preso il primo aereo non appena
ho saputo. Se sono ritornato a Londra è perché non potevo rinunciare a questo
spettacolo, eri d’accordo con me.»
«Dio ce ne scampi! La tua carriera viene sempre prima di me.»
Sulla porta del salotto apparvero perfino mia madre e mia sorella, ad assistere
all’ennesima scenata al telefono.
«Dici sul serio? Ho fatto una vita praticamente monacale mentre tutti i miei
colleghi…»
«Ecco il punto. Mi vuoi rinfacciare di non aver potuto scopare in giro.» Vidi
mia madre sgranare gli occhi e Daniel che cercò di farla allontanare.
«Non ti sto rinfacciando nulla e tu stai davvero esagerando oggi. Ti chiedo
solo cinque giorni, non di più.»
«Lizzy.» Daniel mi chiamò a voce alta, con tono perentorio. E mi fece
imbestialire, perché non ero nemmeno libera di litigare con il mio ragazzo.
«Puoi uscire da lì o mandarlo al diavolo? Si deve sempre mettere in mezzo?»
Nemmeno Jack prese bene l’intromissione del mio amico, soprattutto in quel
momento così delicato.
«Passalo a me il grande attore che sa solo farti piangere.» Daniel tese la mano
verso il telefono, con sguardo determinato. Sapevo che il suo intento era quello
di proteggermi ma stavo avendo una conversazione privata e molto importante.
Mimai: «Danny, basta» e gli feci cenno di andarsene.
«Ti aspetto di sopra.» Daniel uscì, con le parole peggiori mai scelte.
«Hai intenzione di dormire di nuovo con lui?» mi accusò Jack, lapidario.
«Non ho intenzione di fare nulla e smettila di usare quel tono, come se mi
infilassi nel suo letto tutte le notti!»
«Solo quando ti ci ho trovata io.»
Quella fu la goccia finale, non ci vidi più. Aveva avuto il coraggio di
rinfacciarmi il momento in cui ero stata più vulnerabile in tutta la mia vita.
«Resta pure a Londra» lo liquidai, e spensi il telefono.
Volevo tornare a casa e rimanere da sola. Non volevo leggere il biasimo sul
viso di mia madre né la preoccupazione su quello di mia sorella che adorava
Jack. E non volevo rimanere con Daniel dopo il suo intervento non richiesto.
Purtroppo, però, l’unico modo di andarmene era farmi riaccompagnare proprio
da lui.
Riuscii a convincere Laura di avere un forte mal di testa e di aver bisogno di
un medicinale che loro non avevano in casa. Daniel sbuffò, pur decidendo di
assecondarmi. Non l’avevo mai visto così arrabbiato, anche se avrei dovuto
essere io quella irritata dal suo comportamento, non il contrario.
«Perché gli permetti di rovinare un giorno di festa anche a distanza?» sbottò
non appena salii sulla sua auto.
«Stanne fuori.»
«Elizabeth» iniziò e già l’uso del nome completo era un campanello d’allarme.
«Non credi di essere innamorata di un fantasma, ormai? Ti ha lasciata sola
quando avevi più bisogno, non è tornato nemmeno per le feste.»
«Non mi pare di aver visto Martha oggi» lo attaccai, punta nel vivo.
«Smettila. Sai benissimo che Martha è da sua cugina che ha appena partorito e
a Natale saremo insieme. Tu con chi sarai a Natale? In casa con Margaret che
non vuole uscire dal letto e Kimberly che cercherà di andare dalla sua amica per
non rimanere in casa?»
«Danny, smettila! Non hai il diritto di criticare la mia vita, fino alla scorsa
estate non ne facevi più nemmeno parte.»
Daniel accostò, anche se eravamo appena partiti, e si girò a guardarmi. «E chi
l’ha deciso, sentiamo.»
Mi massaggiai la fronte, il mal di testa mi stava per scoppiare sul serio.
«Possiamo evitare di rivangare cose successe anni fa?»
«No, è ora di parlarne. Ho evitato di farlo prima perché non era il momento.»
«Di cosa dovremmo parlare?»
«Del fatto che mi hai tagliato fuori dalla tua vita perché Jack era geloso. Del
fatto che a settembre mi ha preso da parte per intimarmi di starti lontano.»
«Cosa?»
Danny sbuffò. «Lo sai benissimo, dai.»
«Avevo smesso di risponderti perché la situazione si era fatta insostenibile.
Cercavi in tutti i modi di provocare Jack e non era un’amicizia sana la nostra.»
Cercò di intervenire ma lo bloccai perché non avevo finito. «Non sapevo che
Jack ti avesse parlato prima di ripartire, non ha mai digerito di avermi trovata
con te, quel mattino»
«Quindi va bene che lui mi minacci, folle di gelosia, perché io non ti ho
lasciata sola come invece ha fatto lui, per pensare solo alla sua dannata
carriera?»
«Non ha mai fatto scenate per quella notte, smettila di farlo passare per quello
che non è!»
Daniel scosse la testa, poi ripartì e rimase in silenzio fino all’arrivo a casa mia.
Non aveva, però, finito di vuotare il sacco. «Vorrei solo che ti fosse ben chiara
una cosa, Lizzy. Io non ho passato gli ultimi anni a escogitare piani per portarti
via da Jack, anche se lui lo pensa. Non ho nemmeno vissuto con te ogni giorno,
come ha fatto Rick. Sono solo tornato quando avevi bisogno e non ho pensato
neppure per un istante di fregarmene perché prima mi avevi tagliato fuori dalla
tua vita.»
Il leggero senso di colpa era rimasto sempre lì, sopito ma presente, da quando
avevo chiuso per la seconda volta la porta a Daniel e alla nostra passata amicizia.
La prima volta mi ero rifiutata di riprendere la vecchia strada, dopo essere stata
la sua ragazza per diversi mesi, mentre la seconda volta avevo consapevolmente
scelto Jack. Mi sporsi a lasciargli un bacio sulla guancia. «Lo so, Danny.»
«Riposati un po’, ti chiamo dopo.»
Annuii e scesi dalla sua auto. In realtà avevo ben altro in mente, dieci minuti
dopo prenotai un volo per Londra e chiamai un taxi. Preparai solo un cambio nel
bagaglio a mano e un biglietto per mia madre e mia sorella. Non avevo mai fatto
una follia del genere ma credevo che mi sarei pentita se non avessi cercato di
salvare la relazione con Jack. Purtroppo era già troppo tardi e non lo sapevo.
13. Triangoli
Jack

«Jack, non farmi pentire di essermi intromesso.» Rick non accennava a scendere,
dopo aver parcheggiato.
Aveva assecondato la mia folle idea e gliene ero grato, quindi non volevo
forzare la mano. Quando avevo ricevuto l’e-mail di Liz, avevo deciso che avrei
risposto alle domande di persona. Avevo chiesto a Rick di fare da intermediario
per l’incontro e lui mi aveva sorpreso confessando che Liz era tornata ad abitare
nel vecchio appartamento, insieme a Jessica.
Presentarmi alla sua porta non sembrava l’idea migliore del secolo ma Rick
non si era opposto ed era, anzi, passato a prendermi all’aeroporto.
«Non so nemmeno più perché lo sto facendo, mi sembrava solo assurdo non
parlarne di persona ora che siamo sullo stesso fuso orario.»
«Io tifo ancora per voi.» Rick non aveva voluto rivelare nessun particolare del
fantomatico tizio che Liz stava vedendo, però sembrava sicuro di trovarla da
sola, di domenica sera.
Lo lasciai andare per primo, sia perché era pur sempre casa sua, sia perché
temevo che vedendo me dallo spioncino, Liz non avrebbe nemmeno aperto la
porta. La sua reazione fu scontata: era confusa, non si aspettava la visita di Rick.
Ma nulla in confronto a quando posò lo sguardo su di me.
«Ti ho portato le risposte.» Pessima battuta d’esordio.
Liz si riscosse e si spostò per lasciarci entrare. Ci fece accomodare sul divano,
poi la vidi lanciare uno sguardo di fuoco a Rick.
«Vado un attimo a vestirmi.»
Rimasi interdetto. Usava una maglietta lunga come pigiama e si sentiva a
disagio, davanti a me? Avevamo passato più ore nudi che vestiti in passato. Era
davvero cambiato tutto.
«Io controllerei la scala antincendio sul retro.» Rick la pose come una battuta
o almeno sperai che lo fosse. Non sarebbe scappata pur di non parlarmi, non era
possibile.
Mi mossi prima ancora di pensarlo e in pochi passi raggiunsi la camera da
letto: la porta era socchiusa ma la luce era spenta. Liz doveva essere andata in
bagno, perciò decisi di entrare e aspettarla, così da poter parlare almeno un
minuto da soli. Dalla soglia, allungai la mano e accesi l’interruttore,
conoscendone bene la posizione: era stata anche la mia stanza per qualche tempo
e ogni volta che ero tornato a trovarla. Ma il letto non era vuoto: c’era un
ragazzo, mezzo nudo, che si lamentò e nascose la testa nel cuscino per sfuggire
la luce improvvisa.
Feci un passo avanti ma mi bloccai. Che diritto avevo di cedere all’istinto e
buttarlo fuori a calci? Strinsi i pugni e mi girai, prima di fare una cazzata. Posai
la fronte contro il muro del corridoio, accanto al poster degli Avengers lasciato
da Rick. Liz aveva davvero accolto il nuovo tizio nel nostro letto? Non riuscivo
a crederci! Come diavolo faceva a lasciarsi andare con lui, quando ogni
centimetro di quella stanza conservava ricordi della nostra storia? Mi aveva
cancellato così velocemente?
Dovevo andarmene subito da quell’appartamento, avevo assecondato l’idea
più folle del secolo presentandomi a sorpresa. In salotto, però, trovai Liz in
piedi, accanto a Rick. Si era solo infilata un paio di pantaloni della tuta ed era
tornata.
«Te le mando per e-mail. Scusa il disturbo.» Mi uscì più come un’accusa che
un saluto ma fremevo di rabbia e delusione.
«Ormai sei qui, aspetta.»
«Tu hai altro da fare.» Caricai la frase di tutto il sarcasmo che possedevo.
«Stavo leggendo» spiegò, confusa.
«Che succede?»
Mi girai e vidi Jessica apparire in pigiama. Alle sue spalle c’era qualcuno e
sperai non fosse Daniel: non avrei finto di essere civile con lui, nemmeno se ci
fosse stato un Golden Globe in palio.
«Jack, ehi! Che sorpresa!»
Sgranai gli occhi e mi ritrovai stretto nell’abbraccio di Matt. Ero finito nella
stanza di Jessica! Mascherai il sospiro di sollievo con un sorriso troppo
entusiasta.
Rimasi qualche minuto a farmi aggiornare da lui, eravamo diventati amici
uscendo spesso in quattro. Jessica mi guardava con diffidenza pur dimostrandosi
quantomeno cortese. Fu lei a ricordare al fidanzato della levataccia che li
attendeva, per andare all’aeroporto.
Quando rimanemmo di nuovo in tre, Rick trovò la scusa peggiore del mondo,
dicendo di aver dimenticato il telefono in auto, e se ne andò prima che potessimo
fargli notare di averglielo visto usare pochi minuti prima.
«Sei entrato per sbaglio in camera di Jessica, vero?» Liz mi smascherò subito.
«Credevo che fosse ancora la tua.»
Lei scosse il capo. «Troppi ricordi. Ho scelto la camera che era di Rick e
lasciato l’altra a Jess.»
Annuii e rimasi in silenzio, ormai la figura dell’idiota l’avevo fatta.
«Quando sei arrivato?» Mi fece cenno di andarmi a sedere sul divano e
approvai subito: forse da seduti sarebbe stato meno imbarazzante.
«Un’ora fa, è venuto Rick a prendermi.»
Fece un cenno di assenso, mentre, ci avrei scommesso, escludeva il nostro
amico dalla lista dei regali di Natale, tanto avrebbe avuto ancora molti mesi per
farsi perdonare.
«Ti posso invitare a colazione, domani? Riparto in serata e magari possiamo
lavorare all’articolo insieme.» Il mio invito la sorprese come se non avessimo
mai fatto colazione insieme. O forse, in realtà, non avevo mai avuto bisogno di
chiederlo, nemmeno all’inizio. Avevo vaghi ricordi di messaggi che le avevo
inviato ai tempi delle prove dello spettacolo, quando avevamo molto da lavorare
o da discutere e non volevo lasciarle vie di fuga.
«Va bene. In che albergo sei?»
Bella domanda. «Non ho avuto tempo di prenotare, vedo cosa trovo.»
La vidi combattere con se stessa, le mani strette sulle maniche della felpa che
aveva indossato poco prima. «Se vuoi, puoi rimanere. Il divano non è troppo
scomodo, credo.»
«Va benissimo, grazie. Avviso Rick.» Feci per prendere il telefono ma la vidi
sorridere.
«Starà già tornando a casa, lo conosco.»
«Già, lo conosci» mi uscì, un po’ troppo amaro.
Liz si alzò. «Ti prendo cuscino e coperta.»
Quando mi augurò la buonanotte e mi ritrovai da solo, in quella casa che
doveva sembrarmi familiare ma in cui invece mi sentivo a disagio, mi interrogai
per la prima volta sulla mia scelta. Sarei rientrato molto tardi lunedì notte e il
giorno dopo avrei dovuto essere sul set all’alba. Un viaggio deciso d’istinto solo
per vedere Liz poche ore e aiutarla con l’articolo. Perché lo stavo facendo? Per
senso di colpa o perché mi mancava e speravo di poter ricostruire qualcosa?
C’era stato così tanto gelo intorno a noi quella sera, così tanto imbarazzo.
Avevo forse frainteso quando sul set mi era sembrata ancora coinvolta? Quei
quattro mesi senza sentirci avevano prosciugato ciò che già la distanza aveva
logorato? Un bastardo fortunato aveva rubato il mio posto o avevo ancora
qualche speranza di ricostruire una relazione per la quale avevo sacrificato tanto
ma forse non abbastanza?
Mi svegliai mentre Jessica e Matt si stavano preparando per uscire. Matt si
raccomandò di farmi sentire, avevo smesso di chiamarlo perché non poteva
dirmi nulla di Liz. In fondo, non era nemmeno colpa sua se aveva rispettato la
scelta folle della migliore amica della sua ragazza. Avevo intenzione di rimanere
sveglio e aspettare che Liz si alzasse ma poi mi riappisolai.
Fu il rumore della porta che si chiudeva a svegliarmi di nuovo. Ci misi un
attimo a mettere a fuoco il salotto, con un timido sole quasi primaverile che
filtrava dalla finestra.
«Liz?»
«Per favore» la sentii sussurrare, poi comparve dal piccolo ingresso e alle sue
spalle c’era l’idiota.
«Non ti pagano abbastanza per permetterti un albergo?» fu il suo esordio.
Le aveva portato la colazione, Danny-caro. Forse con un lancio del cuscino
dalla giusta angolazione gli avrei fatto rovesciare il cartone con i bicchieri caldi
sulle palle.
Sorrisi e mi alzai, gettando di lato la coperta. Rimpiansi di essere rimasto
vestito, avrei potuto ripagarlo con la stessa moneta. «Non tutti ne approfittano
per infilarsi nei letti altrui.»
Incassò il colpo, poi sorrise. Era soddisfatto che ancora mi bruciasse averlo
trovato con lei.
«Basta.» Liz si mise fisicamente tra noi. «Danny, ci sentiamo dopo. Ok?»
Sorrisi, soddisfatto all’idea che lo stesse liquidando.
«Fammi capire, Lizzy. Si è presentato alla tua porta di notte, lo hai fatto
dormire qui e ancora non lo mandi via?»
«Daniel.» Lo prese per una mano e lo trascinò alla porta, abbassando la voce.
Dannazione, non riuscivo a sentirli! Mi avvicinai, con la scusa di andare in
cucina e mi fermai di fronte al frigorifero.
«Stasera, alle sette» propose l’idiota. «Cuciniamo qualcosa da me.»
Si era trasferito lì in città, assurdo! Aveva sfoderato l’artiglieria pesante per
convincerla a dargli un’altra possibilità e sembrava aver funzionato. Lo avevo
sottovalutato, mi costava ammetterlo.
Quando la porta si richiuse, attesi che Liz comparisse in cucina. Mi aspettavo
una discussione, come le decine che avevamo avuto negli ultimi mesi della
nostra storia, a causa della presenza soffocante di Daniel.
«Vado a prepararmi, così possiamo uscire. Il bagno è libero.»
Nessuna giustificazione, nessuna discussione infinita, nessun litigio. Non mi
doveva spiegazioni, d’altronde, perché non ero più il suo ragazzo. Daniel aveva
aspettato come un dannato condor e si era avventato sulla carcassa morente della
nostra relazione. Potevo davvero lasciarla in balia di quell’idiota approfittatore?
La trovai in cucina, pronta a uscire per la nostra colazione di lavoro. Mi fece
un sorriso stanco, quasi timido, e in quel momento capii di aver mentito a me
stesso. Come avrei fatto a togliermela dalla testa e rinunciare a lei? Potevo
ancora dimostrarle di essere l’uomo che meritava di avere al suo fianco? Non
sempre lo ero stato e mi costava ammetterlo. L’avevo amata più io di Daniel, di
quello ero certo. Perché mi bastava sapere di poter trascorrere l’ora successiva
insieme a lei per sentirmi un bastardo fortunato.
Fu surreale lavorare fianco a fianco, seduti al tavolino della caffetteria del
campus perché Liz avrebbe dovuto raggiungere, prima di pranzo, l’ufficio del
professore di cui era diventata assistente. I primi momenti furono risucchiati da
quell’alone di disagio che stavo ormai odiando.
Qualcosa cambiò quando mi offrii di ordinare per entrambi mentre sistemava
il portatile e apriva il documento di testo.
«Ricordi ancora cosa ordinavo, anche se sono passati parecchi mesi.» L’avevo
stupita ed era positivo, mi dissi.
«Non ho dimenticato nulla» rincarai la dose, sperando cogliesse il riferimento
ai ricordi belli.
Avevo risposto alle domande dell’intervista nelle bozze del cellulare, mentre
aspettavo di imbarcarmi sull’aereo. Le inoltrai il documento e controllammo
insieme se aggiungere qualcosa.
Lessi l’incipit e l’intervista a Jennifer. «La sua fissazione per l’accento
inglese.» Scoppiai a ridere.
«Ti sembra strano?»
«No, no. Non fa che ripeterlo e mi diverto a tormentarla.» Era bello concedersi
quei momenti di svago sul set, considerando che stavamo lavorando a ritmi
massacranti per condensare la produzione nel minor tempo possibile.
«Siete in buoni rapporti, quindi.» Lo disse senza guardarmi, concentrata sulla
tastiera del suo portatile. Che fosse gelosa?
Finsi di tossire per nascondere un sorriso. «A volte è troppo perfezionista e
guai a scompigliarle i capelli in una scena o ci tocca fare pausa parrucchiere, ma
lavora bene e si impegna. Non è nemmeno antipatica, come temevo.»
«Mi fa piacere.» Che bugiarda! Era irritata e si vedeva da come si muoveva a
disagio sulla sedia.
«Nel copione ci sono un paio di scene d’amore. Le gireremo tra pochi giorni.»
«Ah, bene.»
Davvero quella era la sua unica risposta? Era gelosa! «Magari puoi
aggiungerlo nell’introduzione. Mi stanno facendo morire in palestra tutti i giorni
in previsione di quelle scene.»
Bevve un sorso per mascherare la sua reazione. Troppo tardi, tesoro. «Sì, lo
aggiungo.»
La guardai battere i tasti mentre finivo il mio caffè. Potevo concedermi di
fissarla, come non mi succedeva da troppi mesi. Portava i capelli più lunghi
come al primo anno di college e la tentazione di avvicinarmi per passarci una
mano in mezzo era fortissima. Li ricordavo morbidi e lisci e soprattutto
ricordavo i suoi sospiri quando le massaggiavo la cute. Venivo spesso sfruttato
per farle lo shampoo, quando facevamo la doccia insieme. I miei pensieri presero
una direzione sconveniente e persi la sua domanda. «Come scusa?»
«Ti sei trovato a recitare in un nuovo triangolo. Non avevi detto che non ti
piacevano, ai tempi di Lezioni di seduzione?»
Mi sporsi in avanti, poggiando gli avambracci sul tavolino. Il mio polso sfiorò
il suo, vicino alla tastiera. «Che resti tra noi, è confidenziale.»
«Cosa?»
«Sei una giornalista, no? Mi devo appellare alla tua etica perché tu non scriva
il finale: credo proprio che vincerò io.» Aspettai che metabolizzasse il mio
discorso, poi aggiunsi. «Anche stavolta.» Lasciai il sottinteso vagare tra noi. Ero
certo che non avrebbe pensato solo al copione dello spettacolo e a come il mio
William aveva conquistato Catherine battendo l’altro pretendente.
«Se scritturano un personaggio con l’accento inglese è sempre lui a vincere.
Anche quando l’accento è finto.»
«Però so imitarlo bene, lo sai. Ingannavo anche i londinesi.»
«Sì, lo ricordo.» Mi regalò un sorriso, più dolce che amaro. Era comunque una
vittoria.
«Direi che abbiamo finito.» Salvò il documento e chiuse il portatile.
Purtroppo il nostro tempo era scaduto. La accompagnai fino al dipartimento di
comunicazione e arrivò il momento di salutarci.
«Jack» sospirò. «Grazie di avermi aiutata con l’articolo.»
«Tv Guide sceglierà te, vedrai.»
Il suo sorriso fu il ricordo perfetto da conservare, a conclusione di quella
strana colazione. Osai allungarmi verso di lei in un mezzo abbraccio di saluto.
Mi si spezzò il fiato quando mi strinse forte a sé. Il suo profumo, il suo calore, i
suoi capelli morbidi a sfiorarmi la guancia. La mia Liz.
«Grazie ancora» mormorò, staccandosi davvero troppo presto. «Per aver preso
un aereo solo per me.»
«Non era la prima volta. Avrei dovuto farlo più spesso, però» ammisi e la vidi
irrigidirsi. Era un argomento ancora troppo delicato.
«A che ora hai il volo?»
«Alle sette. Rick ha promesso di accompagnarmi.»
Annuì, senza aggiungere altro. D’altronde lei aveva appuntamento con Daniel
quella sera.
«Già che sono qui, magari passo a fare un saluto al nostro professore
preferito.»
Liz scoppiò a ridere. «Stanno mettendo in scena Lezioni di seduzione, sai?
Hanno riaperto il teatro del campus.»
«Sono curioso di vedere chi fa William, magari vado a terrorizzarlo un po’.»
Liz rise di nuovo. Dio, come era bella. Da quanto tempo non la vedevo ridere?
Dall’estate precedente, almeno.
«Già ti temono, so che il pazzo ha iniziato il corso raccontando la nostra
performance. Ti avevo raccontato che la classe che l’ha messo in scena l’anno
dopo il nostro ha rischiato l’esaurimento ed è stato un disastro.»
«Forse dovremmo presentarci insieme, gli originali William e Catherine.
Magari firmiamo qualche autografo» scherzai, nascondendo l’invito.
«Oggi non posso, c’è un’esercitazione scritta nel pomeriggio e devo
assistere.»
«Magari la prossima volta.»
Annuì e la considerai come un’altra vittoria: non mi stava tagliando fuori di
nuovo.
«Ciao, Liz» salutai e la vidi incerta per un istante. Voleva dirmi qualcosa?
«Grazie ancora, Jack. Ciao.» Si voltò e varcò l’ingresso della palazzina.
Liz aveva ragione: non sopportavo i triangoli, né sulla scena né nella vita. Ma
non sarei stato io il fidanzato di troppo, in nessuna delle due.
14. Quel bacio
Elizabeth

«Te l’ho già detto, non ha senso!» La voce di Jessica mi accolse al rientro a casa.
La mia amica stava discutendo con qualcuno, in camera da letto.
Dopo qualche secondo di silenzio, mentre posavo le chiavi sul tavolo, la sentii
continuare: «No, così sei ingiusto!». Era al telefono, quindi, e immaginai che
all’altro capo ci fosse Matt. Non era la prima volta che li sentivo litigare, però
Jessica sembrava davvero esasperata ed era difficile trovarla in quelle
condizioni.
Avevo del lavoro da fare per il professore, ma non volevo cedere al caffè
perché rischiavo di dormire di nuovo poco e male anche quella notte. In realtà
ero in ansia per la risposta di Tv Guide, anche se avevo inviato l’articolo solo tre
giorni prima.
Aprii il frigorifero e rubai uno yogurt di Jessica, per non cedere alla tentazione
del gelato. Daniel aveva ricominciato a portarmelo da qualche giorno, dopo aver
visto Jack nel mio appartamento. Aveva cercato di farmi parlare ma non era un
argomento che mi sentivo di condividere con lui.
Jessica piombò in cucina e andò diretta allo scomparto del freezer. «Tanto
Daniel ne porta sempre.»
Annuii e aspettai che si sedesse accanto a me, al tavolo, ma era troppo nervosa
e continuava a camminare avanti e indietro, affondando il cucchiaio nel
barattolo.
«Tutto bene?»
«Matt sta dando i numeri.» Come immaginavo aveva litigato con lui.
«Vuoi parlarne?»
Tentennò un attimo e si sedette. «Pretende che io torni a casa questo fine
settimana, per il novantesimo compleanno della bisnonna, con tutta la famiglia al
completo.»
«Ma lo hanno organizzato solo ora?» Infilai il cucchiaio nel barattolo del
gelato, era una tentazione troppo forte averlo di fronte agli occhi.
«No, sono due mesi che ne parla. Però ha scelto di raggiungermi a sorpresa la
settimana scorsa, per il nostro quarto anniversario, quindi credevo fosse ormai
implicito che non sarei andata. Ci siamo appena visti, se cominciamo a spendere
tutto in biglietti aerei…» Jessica si bloccò, rendendosi conto di aver appena
descritto gli anni della mia relazione con Jack. «Non so perché ci tiene così
tanto, rischieremmo di rimanere bloccati dai suoi parenti per tutto il tempo.»
Non mi sembrava il caso di condividere il mio sospetto, soprattutto in quel
momento. Conoscendo Matt, era possibile che volesse farle la proposta proprio
quel fine settimana, per poi annunciarlo a tutta la famiglia.
«Jess, se rinunciamo ad andare entrambe il prossimo mese, recuperiamo i
soldi per il tuo biglietto di sabato.»
«No! Tua sorella ha bisogno di vederti e devi controllare come sta Margaret.»
Jessica allontanò il gelato ed era un pessimo segno: era già arrivata alla fase
successiva post litigio.
«Magari troviamo un last minute, anche se rischi di arrivare direttamente
domenica.»
«Se lo è tenuto dentro per settimane, poi oggi è sbottato. Ha detto che ho fatto
una follia a trasferirmi, che avremmo potuto aspettare e cercare una sistemazione
diversa insieme.»
«Voleva andare a vivere con te?» Non sarebbe stato così strano, tutt’altro.
«Perché non me l’ha detto subito? Ha finto di appoggiarmi perché sapeva che
avevo bisogno di allontanarmi un po’ da casa e trovare nuovi stimoli.» Jessica
scosse la testa e chinò il capo.
Mi alzai per andare ad abbracciarla. «Stare lontani è difficile ma voi siete forti,
ed è solo temporaneo. Giusto?»
«Sì, però non so se resisteremo. Scusami, non dovrei dirlo proprio a te.»
La strinsi un po’ più forte, poi sciolsi l’abbraccio. «Jess, non sono una martire.
Non merito un premio per aver resistito tre anni a distanza. Nel tuo caso è ancora
più difficile perché tu e Matt vi siete visti ogni giorno per anni, io e Jack non
sapevamo davvero come fosse avere una routine di coppia e forse è meno
difficile se non sai davvero cosa stai perdendo.»
Jessica si asciugò gli occhi, impedendo alle lacrime di riaffiorare, poi annuì.
«Sai che facciamo? Stasera usciamo! Le colleghe mi hanno invitato per un
aperitivo in un locale vicino, possiamo arrivarci anche a piedi.»
«Jess, sono esausta. Ho dormito poco nelle ultime notti e…»
Mi fermò, mettendomi un dito davanti alla bocca. «I tuoi rapporti sociali non
possono limitarsi a vedere Daniel, vivere con me e litigare con Rick.»
«Non litigo così tanto con Rick.»
«Da quando è riapparso Jack, sì» mi fece notare, non a torto.
«Ma è lui che tira sempre fuori l’argomento! Ieri mi ha mandato una foto di
Jack sul set, è assurdo.»
Jessica sorrise, alzandosi per riporre il gelato nel freezer. «Forse perché Jack
sta pubblicando così tante foto solo per te?»
«Ma figurati. Tutti gli attori usano Instagram.»
«Quindi non hai notato che, negli ultimi giorni, Jennifer è in tutte le sue foto?»
Jessica incrociò le braccia, in attesa della mia risposta.
«Non seguo il suo profilo.»
«Bugiarda. Vai a prepararti, così usciamo. E guai se avvisi Daniel, una serata
libera da lui me la merito!»

«Ma dai! Credevo che Lezioni di seduzione fosse una leggenda del campus, nata
quando ormai mi ero laureata.» Sarah, una delle colleghe di Jessica, scosse la
testa incredula.
«Lo rimettono in scena di nuovo quest’anno, sarà la terza volta» spiegai,
giocando con il mio bicchiere senza più voglia di bere. Il discorso era nato per
caso e Jessica si era subito affrettata a rivelare i miei trascorsi sul palco.
«Ma sei quella che si è denudata?» Ecco, mancava giusto la battuta del collega
simpaticone!
«Io l’ho visto e non c’erano scene di nudo» intervenne Rachel.
«Il copione è cambiato per non rovinare l’effetto sorpresa. Catherine è
diventata una giovane vedova, rimasta per poco tempo sposata a un uomo molto
più anziano.»
«Ma le lezioni di seduzione in biblioteca c’erano anche nella prima versione?»
«Quella è la parte fissa del copione, insieme al triangolo con William e
George.»
«Ma davvero ti sei spogliata?» Sarah era la più incredula.
«Ma il tuo ragazzo come l’ha presa?» si inserì di nuovo Steve, sghignazzando.
«Bene, era sul palco con lei» rivelò Jessica.
«In realtà non era ancora il mio ragazzo.» Mi pentii subito di averlo rivelato,
perché dovetti raccontare del finale dello spettacolo, ottenendo sospiri estasiati
dalle altre ragazze.
«Ma ora non state più insieme?» Eccola la domanda che avrei voluto evitare.
«Jack è andato a studiare a Londra.» Evitai di raccontare altro, il trasferimento
oltreoceano venne accolto da cenni di comprensione. Chi mai avrebbe accettato
di portare avanti una relazione a quella distanza, soprattutto da così giovani e
conoscendosi solo da pochi mesi? Solo due pazzi come noi.
«Non hai nessuna foto di quando avete rappresentato Lezioni di seduzione?»
domandò Rachel, incuriosita dalle possibili differenze tra le due versioni.
«Da qualche parte nel pc.» Avevo ripulito il telefono da qualsiasi foto di Jack,
diverse settimane prima, per evitare di crogiolarmi in masochistici rimpianti.
«Ho visto che ne ha messa una Jack per il Throwback Thursday.» Jessica
aveva il telefono in mano e stava già aprendo Instagram; prima che potessi
fermarla, la foto stava già girando tra tutti i presenti.
«I costumi sono gli stessi di quando l’ho visto io» commentò Rachel, «ma voi
sembrate più credibili.»
«Scusa se te lo dico, ma quanto è figo il tuo ex!» Sarah stava scorrendo tutta la
sua galleria.
Avevo smesso di aprire Instagram l’estate precedente, l’ultima immagine che
avevo condiviso era un selfie con Jack e il Big Ben sullo sfondo. Quando Rick
mi aveva inoltrato un link, fingendo che potesse servirmi per l’articolo, avevo
ceduto alla tentazione di visitare il profilo di Jack: dopo mesi di inattività, aveva
iniziato a pubblicare una decina di foto al giorno, forse spinto dalla produzione.
Jessica aveva subito notato, però, l’assenza di hashtag e informazioni specifiche
che aiutassero la promozione. La presenza di Jennifer era, invece, una costante,
anche nelle foto fuori dal set.
«Ma questa non sei tu? Eri a Londra con lui l’estate scorsa.» Rachel bloccò il
dito di Sarah prima che scorresse oltre.
«Non sarete mica rimasti insieme tre anni a distanza?» ridacchiò Steve.
«Ma figurati! Tu non andresti a trovare un amico che vive a Londra?» Sarah
dava per scontato che la nostra relazione si fosse interrotta con la partenza ma
che fossimo rimasti amici. A nessuno di loro era venuto in mente che fossimo
rimasti insieme per anni, fino a pochi mesi prima. La nostra relazione, vista da
fuori, era sempre sembrata un atto di coraggio, o meglio di follia.
«Chi va a ordinare qualcos’altro da bere?» Jessica tentò di deviare
l’attenzione, senza successo. Le restituii uno sguardo amareggiato: mi aveva
messa lei in quel casino.
«Questo chi è?» Sarah girò lo schermo verso di noi, sedute di fronte.
«Si chiama Teo, è italiano ma è stato coinquilino di Jack a Londra.»
«Vado a ordinare un altro giro.» Steve aveva perso di interesse nella questione.
«Perché mi sembra di averlo già visto?» Rachel continuava a guardare la foto,
pensierosa.
«Fa video su YouTube, in inglese e in italiano. Forse hai visto un suo vlog da
Londra se cercavi qualcosa di simile.»
«Clicca sul suo nickname e vai a vedere il suo profilo» consigliò Jessica.
«Stare lontana dal tuo fidanzato comincia a dare frutti, vedo!» Sarah rise e vidi
la mia amica rabbuiarsi. Era decisamente l’argomento peggiore, aveva scelto di
uscire proprio per non pensarci.
«Ma questo tizio vive senza maglia?» Sarah si sporse a guardare lo schermo,
Rachel doveva essere passata al profilo di Teo.
«È diventato influencer sponsorizzando prodotti con i suoi addominali sullo
sfondo.» In realtà di persona era un ragazzo simpaticissimo e per nulla vanesio,
aveva semplicemente cercato un modo per farsi conoscere, con la speranza di
ottenere un ruolo in tv. Era stato lui a convincere Jack ad aprire un profilo
Instagram.
«Steve, vedi che tu non hai capito nulla. Ti serviva un po’ di palestra e un
profilo social, invece di farti otto ore di ufficio a rompere le scatole a noi!» Sarah
lo accolse con una battuta, che scatenò un finto battibecco.
Jessica riuscì a riprendersi il telefono e mi fece un sorriso tirato, di scuse.
Quando rincasammo, un’ora dopo, Rick ci stava aspettando seduto sulle scale.
«Potevi entrare, è casa tua» gli fece notare Jessica.
«Sono uscito di fretta e ho dimenticato le chiavi, comunque sono appena
arrivato e ti stavo giusto mandando un messaggio.»
«C’è qualcosa che non va?» Lo seguii sul divano, per sedermi e sfilarmi i
tacchi.
«La nuova governante» sospirò, stravaccandosi come al solito.
«Dopo settimane di colloqui pensavo fossi soddisfatto della scelta.»
Rick sbuffò, poi aprì gli occhi e si girò a guardarmi. «Il problema è che… è
successa una cosa.»
«Ci sei andato a letto?» Colta di sorpresa, usai un tono troppo forte e ci sentì
anche Jessica, che ci raggiunse.
«Se è il momento dei racconti piccanti, voglio partecipare anch’io.» Si sedette
accanto a me, spingendomi verso Rick.
«Siete tremende» si lamentò lui, poggiando il capo sulla mia spalla.
«Ti avevo detto di scegliere la signora con i dieci nipotini.» Jessica si sporse
oltre me per dare un pizzicotto alla guancia di Rick.
«Io vi voglio bene, ma mi state schiacciando» mi lamentai, spingendola al suo
posto.
«Mi sembra di essere finito nel sogno proibito di molti uomini, sul divano con
due ragazze che si tirano i capelli.»
«Rick, non fare l’idiota e racconta che è successo» lo esortai, con una lieve
gomitata nello sterno.
«Ma anche con Jack eri così violenta?» Si allontanò da me.
«Probabile. Dovevi sentire i rumori che provenivano dalla loro camera quando
siamo stati al mare tutti insieme» ridacchiò Jessica.
«Credo di averne sentiti di peggiori, una volta Liz…»
«Non eravamo d’accordo di non nominarlo?» sbuffai. Non che ci fossero mai
pienamente riusciti ma almeno si erano impegnati, nei mesi precedenti.
«Correggimi se sbaglio» iniziò Jess, alzando le gambe per sedersi con la
schiena contro il bracciolo del divano. Non potevo sfuggire al suo sguardo,
incastrata tra lei e Rick. «Non sei stata tu a farlo dormire su questo divano la
settimana scorsa? Credevo che il divieto di nominarlo fosse decaduto.»
«A proposito di questo…» Rick si schiarì la voce. «Magari potresti scrivergli
per fargli sapere che hai inviato l’articolo e stai ancora aspettando una risposta.»
«Possiamo tornare a quando Rick stava per confessare cosa ha combinato con
la governante?» Ero certa che Jessica mi avrebbe appoggiata, era sempre la
prima a prendere in giro le disavventure amorose di Rick.
«Possiamo annunciare, quindi, il passaggio dalla fase non nominare l’ex alla
fase stalking su Instagram?»
Traditrice di una migliore amica! «Sei tu quella che lo stalkera!»
Jessica fece un sorrisino, poi prima che potessi prevedere le sue intenzioni, si
alzò. La vidi frugare nella mia borsa e tentai di alzarmi per impedirle di prendere
il mio telefono. Rick, però, mi bloccò e caddi sul divano, in braccio a lui. «Ma tu
da che parte stai?» lo fulminai.
«Sono solo ansioso di vederti smascherata.»
Jessica si lasciò cadere al mio fianco, mostrando la schermata del mio
telefono. «Vedi anche tu, Rick, qual è stato l’ultimo profilo visitato da Liz?»
«Ho solo aperto il link che mi ha mandato lui!»
Rick scoppiò a ridere, facendo ondeggiare anche me, ancora mi teneva ferma
sulle sue gambe. «Te l’ho mandato per e-mail e l’hai aperto dal pc, sono sicuro.
Mi hai risposto di smetterla di importunarti perché stavi sistemando l’agenda on-
line del professore.»
Riuscii finalmente ad alzarmi, mi sistemai il vestito che era risalito un po’ e
cercai di acquistare un contegno. «Ho capito che questa è diventata la serata
bersagliamo-Liz per evitare di parlare dei veri problemi.» Vidi il sorriso di
Jessica spegnersi, mentre il suo pensiero tornava sicuramente alla litigata con
Matt; mi sentii subito in colpa ma, prima che potessi scusarmi, bussarono alla
porta.
«Rick, dimmi che hai ordinato da mangiare» lo pregò lei.
«Se ti va bene il gelato. Sicuramente è Danny-caro.»
Alzai gli occhi al cielo, terminata ormai la pazienza, e andai ad aprire. Era
Daniel ma non aveva portato altro gelato. Anzi, aveva una faccia distrutta. Lo
feci entrare, preoccupata. «Danny, che succede?»
«Una brutta giornata, ti disturbo?»
«No, certo che no.» Lo presi per mano e lo portai dritto in camera mia,
ignorando gli sguardi dei miei amici.
Daniel fece un cenno di saluto ma lo vidi perplesso, quando chiusi la porta alle
nostre spalle. Forse non era stata l’idea del secolo, mi resi conto, quando ricordai
di aver abbandonato vestiti sul letto e reggiseni sul cassettone. Ne avevo provati
tre prima di rendermi conto che erano diventati piccoli.
«Scusa il disordine, sono uscita con Jessica e le sue colleghe ed ero di fretta.»
Raccolsi il possibile e lo ammucchiai sulla sedia accanto all’armadio.
Daniel si sedette sul bordo del mio letto.
«Liz, noi ordiniamo cinese perché Rick muore di fame. Tu vuoi qualcosa?»
Jessica urlò dal corridoio.
«Il solito!» risposi, poi mi rivolsi a Danny. «Resti qui a cena?»
«Se non vi disturbo…» Di nuovo l’espressione da cane abbandonato in
autostrada.
Gli sorrisi e uscii per andare ad avvisare gli altri.
«Prendetemi il solito, doppia porzione, perché Daniel mangia con noi.»
«Quando pensi che una serata non possa peggiorare ancora» commentò Rick,
tra sé, ma a voce alta.
«Adesso basta!» alzai la voce, bloccando Jessica con il menu del cinese in
mano. Presi un respiro e mi sforzai di tenere un tono più basso, per non farmi
sentire da Daniel. «Abbiamo tutti pensieri e casini da risolvere. Possiamo
comunque mangiare qualcosa insieme senza scannarci? Se non altro, perché dite
di essere miei amici e spesso ognuno di voi tre fa a gara per esserlo più degli
altri due. Per una sera sforziamoci di essere civili, ok?»
Rick annuì, serio e Jessica sbuffò. «D’accordo, a patto che Daniel non inizi a
trovare ogni scusa per abbracciarti o starti addosso.»
«Jess, ma sei seria? Fino a un secondo fa ero in braccio a Rick, non è la stessa
cosa?» Con la coda dell’occhio vidi Rick farle cenno di tacere.
«Non credo che Rick voglia portarti a letto oppure sarebbe già successo ormai,
no?»
Scossi la testa, esasperata. «Stasera siete riusciti a fare diventare Daniel
l’unica persona con cui mi va di parlare, spero ne siate contenti.»
Li lasciai senza parole e tornai in camera. Daniel doveva essere uscito in
corridoio per origliare la discussione in atto, perché era seduto in un punto
diverso del letto.
«Mi dispiace se avevate altri piani…»
«Non ti preoccupare.» Mi sedetti accanto a lui «Stasera siamo tutti un po’
nervosi.»
«Vieni qui.»
Prima di rendermene conto, ero seduta sulle sue ginocchia, stretta nel suo
abbraccio con il suo viso sprofondato tra i miei capelli. Mi tornarono in mente le
parole di Jessica, ma allontanai il pensiero per non farmi condizionare dalle
assurde teorie della mia amica. Non c’era nulla di male, era successo anche con
Rick, per motivi diversi. Certo, Rick non mi aveva stretta al suo corpo, né mi
aveva accarezzato la schiena come stava facendo Daniel. Danny, però, era
sempre stato molto affettuoso e la nostra amicizia stava tornando quella di un
tempo, soprattutto da quando si era trasferito.
«Così va meglio, no?» sospirò, lasciandomi un bacio sul collo.

«Quando lui ti bacerà, quando si prenderà qualcosa che non merita, tu penserai
a me. Saranno le mie mani che sentirai su di te.»

Le parole di Jack affiorarono nei miei ricordi, con prepotenza. Era stato quel
bacio a provocarle perché la mia pelle era avida di contatto, di intimità ma
l’unica che ricordava era quella con Jack.
«Danny» sospirai, sentendomi girare la testa. Non avevo nemmeno finito il
mio bicchiere, prima, quindi non era l’alcol. Ero sopraffatta perché il mio corpo
si stava risvegliando e il mio cuore stava impazzendo. Dovevo ritrovare lucidità,
mi dissi.
«Non rimpiango di essermi trasferito, starti vicino è ciò che rende le mie
giornate migliori.»
Mi strinsi a lui, di riflesso e affondai il viso nella sua spalla. Scese una lacrima
che bagnò la sua camicia. Daniel era stato importante nella mia vita e stava
tornando a esserlo ma più lui si avvicinava, più io mi sentivo in balia della
corrente. Un po’ gettata a riva, dove tutto era caldo, negli abbracci di Daniel. Un
po’ al largo dove l’acqua fredda mi toglieva il respiro. Dove la mancanza di Jack
diventava sempre più una costante.
L’unica soluzione sarebbe stata imparare a nuotare bene da sola. Mi
ricomposi, staccandomi da lui. «Andiamo a mangiare qualcosa» sorrisi,
ignorando che la sua mano fosse scesa fino al limite della schiena.
Prima di farmi alzare, mi diede un bacio sulla fronte che scacciò l’ombra del
dubbio. Daniel era in crisi con Martha ma non si erano ancora definitivamente
lasciati.
La cena andò, tutto sommato, bene. Non eravamo il gruppo meglio assortito
ma fu abbastanza indolore.
Quello che non fu per nulla indolore fu cedere al masochismo e aprire il
profilo di Jack, prima di andare a dormire. Era a cena fuori, con Jennifer, che
nella foto gli scoccava un bacio sulla guancia, a un centimetro dalla bocca.
15. Ex
Jack

«Sei sicura, Jen?»


Jennifer mi strappò di mano il telefono, vedendomi indeciso. «Va bene la terza
foto, non si vede Manuel al tavolo e sembriamo da soli.»
Bevvi un sorso di birra, guardandola alla prese con i filtri Instagram. Non
aveva senso discuterne ancora, era meno faticoso lasciarla fare. «Non puoi
aprirti un tuo account invece di usare il mio?»
«A tempo debito» mi liquidò, con un sorriso soddisfatto.
«Quando deve uscire l’articolo su Tv Guide?» domandò il regista.
«Si saprà a giorni.» Sarei stato costretto a chiedere l’intervento di Rick, se Liz
si fosse ostinata a perseverare con i silenzi. Mi ero esposto con la produzione e,
ai piani alti, davano per scontato che avremmo iniziato a pubblicizzare Un
fidanzato di troppo con l’uscita dell’intervista. Stavo temporeggiando per dare a
Liz l’esclusiva e lei nemmeno si era degnata di farsi viva, dopo aver inviato
l’articolo.
«Voi due state già facendo impazzire il pubblico e ancora non vi hanno visto
recitare insieme» osservò Eloise, la costumista.
Jennifer mi restituì il telefono. «Perché Jack è bravo a recitare anche fuori dal
palco, soprattutto se vuole ottenere qualcosa.»
Vidi i volti confusi dei presenti e mi affrettai a cambiare discorso, non era il
momento di sbandierare i cazzi miei.
Solo alla fine della cena, controllai la foto che la mia coprotagonista aveva
pubblicato con la didascalia #bestpartnerever #fridaynight.
Ero di pessimo umore, così decisi di aver resistito troppo e mandai un
messaggio a Rick, che era ancora sveglio e rispose subito.

Sono sicuro che quando la redazione di Tv Guide avrà preso una decisione, Liz
ti contatterà.

Prima che potessi rispondere, arrivò un altro messaggio.

Anzi, non ne sono più tanto sicuro dopo aver visto la tua ultima foto.
Rick era in bilico tra l’aiutarmi e il tenere le parti di Liz, ma era anche l’unico
a potermi fornire informazioni.

Liz controlla le mie foto, sei sicuro?

La risposta tardava, così andai a farmi una doccia e mi misi a letto, poi
controllai i messaggi.

Ho scritto a Jessica che è andata in camera di Liz e l’ha trovata addormentata


con il telefono tra le coperte: sullo schermo c’era la tua ultima foto. Sei sicuro
di quello che stai facendo? Qualunque sia la tua decisione, dovresti rifletterci
meglio.

Quel lunedì mattina stavo ripassando il copione, mentre aspettavo che Jennifer
fosse pronta: era una giornata umida e si era fatta sistemare i capelli già due
volte. Aveva talento e perseveranza ma guai a non avere la perfetta acconciatura
mentre giravamo. D’altronde ognuno di noi ha le proprie fissazioni e debolezze e
lei aveva subito scoperto la mia.
Sentii vibrare il mio telefono, abbandonato sul divanetto del camerino. Mi
allungai a prenderlo e vidi una chiamata in arrivo da un numero sconosciuto.
Stavo per lasciare che venisse inoltrata alla segreteria telefonica, quando la
curiosità vinse.
«Pronto?»
«Jack, sono Liz.»
«Liz?»
«Rick ha detto che avevi ancora lo stesso numero e… scusami, ti disturbo? Sei
sul set?»
«Sono ancora nel camerino, non mi disturbi. Dimmi.» Non mi ero ancora
ripreso dalla sorpresa, considerando che pochi mesi prima aveva addirittura
cambiato numero perché non potessi più contattarla.
«Volevo dirti che a Tv Guide l’articolo è piaciuto, ho un appuntamento su
Skype tra poco con un loro redattore per lavorarci un po’, in vista della
pubblicazione.»
«Ero certo che ce l’avresti fatta!» Sorrisi.
«Grazie a te. Dopo la conferenza stampa per il lancio di Romanceflix,
immagino sarete stati invasi dalle richieste di interviste e…» Si bloccò, incerta.
«Ti avevo promesso l’esclusiva.»
«Grazie, davvero. Significa molto per me.»
«Liz, senti. Nel fine settimana devo vedermi con Luke. Gli ho dato buca e per
farmi perdonare gli ho promesso di tornare in città per andare a trovarlo.» Verità
e bugia insieme. Era vero che avevo dato buca a mio fratello ma non avevo
ancora promesso nulla, anzi l’idea era nata in quel preciso istante.
«Ah, bene. Magari ti offro una cena, mi sembra il minimo.»
Era ciò che speravo e non osai chiederle se ci sarebbe stato anche il broccolo.
Conoscendola, non lo avrebbe portato, perché odiava dover arbitrare le nostre
discussioni. «Un brindisi è d’obbligo. La pubblicazione dell’intervista sarà utile
a entrambi.» Non solo dal punto di vista lavorativo, in fondo avevamo ripreso a
parlarci grazie a quella, o meglio lei aveva smesso di evitarmi.
«Sì e mi fa davvero piacere. Sono…» si fermò. «Scusami un secondo, hanno
bussato alla porta.»
Dannazione, in quel momento mi sentii chiamare dal camerino accanto.
«Jack? Sono pronta!» Il tempismo di Jennifer. Mi ero distratto un attimo, captai
comunque quel maledetto nome: era arrivato l’idiota.
Chiusi la porta, cercando il silenzio per riuscire a origliare la conversazione:
Liz dimenticava sempre di escludere il microfono, per fortuna non era cambiata.
«…pausa pranzo, sono passato perché nel messaggio hai parlato di novità. Ti
ha risposto Tv Guide?» Che bisogno aveva Daniel di usare ancora quelle scuse
patetiche per presentarsi da lei? Se Liz fosse stata ancora la mia ragazza e
fossimo stati finalmente nella stessa città, avrei mollato tutto per festeggiare con
lei la notizia. Non ci sarebbe stato bisogno di spiegarle perché ero apparso alla
sua porta, la mia bocca sarebbe stata subito impegnata a fare altro.
Ripensandoci, era meglio che quel coglione continuasse a parlare e
giustificarsi piuttosto che… Chiusi gli occhi e strinsi il telefono. Non sopportavo
l’idea che la toccasse, non la meritava.
«Solo un minuto, Danny, finisco una telefonata e ti racconto tutto.» Seguì un
rumore di passi e una porta che si chiudeva. «Scusami, dicevamo?»
Cercai di riprendere il controllo, a fatica. «Devo andare sul set, mi hanno
chiamato.»
«Sì, certo. Volevo che tu fossi il primo a saperlo. Grazie ancora.»
Sorrisi. Se non altro mi aveva cercato prima di chiunque altro, come ai vecchi
tempi. «Posso salvare il tuo numero? Ti faccio sapere quando torno in città.»
«Certo! Ciao, Jack.»
«Ciao, Liz.»
Chiusi la chiamata e alzai lo sguardo. La porta del camerino era di nuovo
aperta e Jennifer mi aspettava, con le braccia incrociate, sulla soglia. «Era lei?»
«Mi ha chiamato per dirmi che l’intervista uscirà su Tv Guide.» Lasciai il
telefono nel caos e la raggiunsi.
«Sbaglio o aveva cambiato numero per non farsi contattare?» Jennifer aveva
una memoria troppo buona e io avevo trascorso troppe ore con lei nelle ultime
settimane.
«Ora ho quello nuovo.» La superai per andare sul set, ma mi bloccò.
«Sei sicuro di voler tornare con lei? La vostra storia a distanza era naufragata
e tu starai qui ancora mesi, potrebbero chiederci perfino un sequel.»
Sospirai, evitando il suo sguardo indagatore. «Ora sta uscendo con quell’idiota
del suo ex.»
«Non sei tu il suo ex?»
Stavo per risponderle, poi ci ripensai, di fronte al suo sorrisino impertinente.
Quando la mia relazione con Liz era scoppiata, avevo passato le canoniche
fasi: dolore, rimpianto e rabbia, poi avevo cercato di voltare pagina. Potevo
considerarla solo come la mia ex, quando tutti i tentativi di concentrarmi sulla
mia nuova carriera si erano infranti appena me l’ero ritrovata davanti? Come
facevo ad archiviarla come una storia chiusa? Avevamo scontato tre anni e
mezzo di Purgatorio, in attesa di poter vivere quotidianamente la nostra
relazione. Mi ero risvegliato da un sogno per trovarmi solo. Non avevo mai
considerato Londra come casa mia perché lì non c’era Liz e nemmeno
attraversare di nuovo l’oceano aveva posto fine alla mia inquietudine. Mancava
qualcosa, volevo illudermi di non sapere cosa fosse e invece lo sapevo. Lo aveva
già capito perfino Jennifer.

Finimmo tardi sul set, perciò decisi di non raggiungere il solito gruppo per cena:
ero stanco e dovevo fare una telefonata per cui occorrevano silenzio e
concentrazione. Mi preparai un discorso per rigirare la frittata e non far intuire a
Luke le mie reali intenzioni.
Non servì a nulla, perché mio fratello mi bloccò subito. «Non sono al tuo
servizio, Jack. Resterò qualche giorno da uno dei nostri clienti più importanti, ha
problemi di salute e non può muoversi.
«Devo comunque venire in città, posso usare casa tua?»
Seguì un lungo silenzio. «Niente donne e niente feste, ho una reputazione nel
palazzo.»
«Revoco subito gli inviti, tranquillo.» Non riuscii a evitare una risposta
caustica, mi ero trattenuto già a sufficienza.
«Fammi sapere quando arrivi, così avviso il portiere e ti darà lui le chiavi.»
«Grazie, Luke.»
«Un’ultima cosa: siccome sarai in città puoi portare tu i fiori sulla tomba di
nostra madre per l’anniversario.»
Passai una mano sul viso. Avevo scelto il periodo peggiore dell’anno per
tornare, non ci avevo riflettuto. «Va bene.»
Erano trascorsi anni dall’ultima volta che ero stato al cimitero, purtroppo
ricordavo ancora bene la lapide in marmo bianco con l’iscrizione scelta da mio
padre per perpetuare quella farsa di matrimonio. Si era intascato l’eredità della
moglie e recitava bene la parte del vedovo affranto che si lasciava consolare
dalle annoiate consorti dei suoi amici.
Non ero più così sicuro di voler tornare in città, a portare fiori sulla tomba di
mia madre ingoiando risentimento e dolore. Senza contare il rischio altissimo di
vedere Liz in compagnia di Daniel.
16. Guai
Elizabeth

Era da qualche giorno che sentivo mia sorella solo tramite brevi messaggi,
perciò decisi di chiamarla mentre aspettavo Jessica per cenare insieme.
«Ellybeth, mamma ha trovato una cosa.»
«Cosa?» Il suo tono di voce mi fece subito preoccupare.
«Papà aveva chiesto informazioni a un resort in Florida per il loro
anniversario, devono aver tenuto l’indirizzo e hanno mandato le nuove brochure
a casa.»
«Mamma come l’ha presa?»
«Stranamente… bene. Anzi, ha deciso che ci meritiamo una piccola vacanza
last minute.» Mia sorella non era l’unica a essere incredula.
«Tu e lei? Per quanti giorni?» Forse era una buona idea.
«Sei inclusa anche tu. La settimana prossima c’è la pausa di primavera, no?»
Mia madre e le mezze misure non erano mai andate d’accordo. Avevamo
passato mesi a convincerla anche solo ad andare da Laura e adesso voleva fare
un viaggio, deciso su due piedi.
«Passami mamma» sospirai.
«Non c’è, è corsa da Laura per parlarne anche a lei. Ha detto che c’era un
pacchetto spa per sole donne.»
«Dimmi che stai scherzando. Io, te, mamma e Laura?» Era troppo assurdo per
crederci.
«Il vero problema è Laura, non la sopporto più. La vedo tutti i giorni e non fa
che parlare di te e Daniel!»
Mi sedetti sul divano, spossata. «Detta così suona malissimo.»
«Sta facendo il lavaggio del cervello anche a mamma. Queste due finiranno a
organizzarvi il matrimonio a tua insaputa. Daniel ne sarebbe pure felice.»
«Kimmy, dai! Lui non c’entra nulla con le fissazioni di sua madre, oltretutto
ha ancora la ragazza.»
«Non esserne sicura, ho sentito Laura che si lamentava perché la madre di
Martha le ha tolto il saluto al club.»
Se ancora avessi avuto il minimo ripensamento sul trasferimento, in quel
momento si sarebbe dissolto. Allontanarmi da quelle follie era stato salutare. Mi
dispiaceva solo per mia sorella, anche se le viveva solo da spettatrice.
La salutai, senza raccontarle della cena con Jack. Non mi andava di
giustificarmi con mia sorella sedicenne che provava più rancore di me nei
confronti della rottura. Si era affezionata a lui, negli anni, e ancor più dopo il
funerale di nostro padre. Jack era riuscito a convincerla ad andare a scuola,
accompagnandola per diversi giorni. Era rimasto con noi solo per tre settimane
ma Kimberly si era così abituata a far affidamento su di lui da non perdonargli la
decisione di tornare a Londra.
Daniel aveva cercato di essere ancora più presente, peggiorando la situazione
perché lei lo aveva etichettato come un pallido surrogato di Jack.
Jessica aveva aiutato come poteva, cercando di mediare nelle litigate
furibonde: Kimberly aveva ricominciato a non voler andare a scuola e io non
avevo pazienza. A metà novembre, quasi due mesi dopo la partenza di Jack, la
situazione era ancora tesa ma il peggio era arrivato quando Kimberly aveva
scoperto che lui non sarebbe tornato nemmeno al Ringraziamento.
Provvidenziale fu l’arrivo di Rick, che mi aveva sentita disperata al telefono.
Sospettavo già che mia sorella si fosse presa una cotta per il mio amico, quando
era rimasta da noi qualche giorno prima della mia laurea. I sorrisi di Rick furono
la giusta medicina per farla tornare a essere vivace come un tempo. Era stato
bravo a bilanciare piccoli scherzi per farla ridere con momenti in cui la trattava
da adulta e la lasciava sfogare per ore. I primi due giorni Kimberly aveva chiesto
di continuo quando Rick se ne sarebbe andato e io me ne sarei tornata nella mia
stanza, che al momento avevo ceduto a lui. Poi si era abituata alla sua presenza e
lo aveva lasciato ripartire solo perché anche la madre di Rick aveva bisogno di
lui e la zia che la stava sorvegliando, in quei giorni, non poteva occuparsene per
più di una settimana.
Il lungo autunno, segnato da perdite e rimpianti, aveva cambiato
profondamente il rapporto tra me e mia sorella. Sbiadito quell’alone di
competitività fomentato da nostra madre, c’eravamo scoperte finalmente più
complici, amiche e non solo sorelle.
Le avrei raccontato della cena con Jack solo dopo averla vissuta. Non volevo
farmi condizionare da altri pareri non richiesti né rivangare brutti ricordi per lei.
Jessica era stata la meno loquace in merito, mi aveva solo chiesto: «sei
sicura?» e aveva accettato il mio cenno affermativo. Rick non faceva più testo
perché era sempre in bilico tra me e Jack e il piatto della bilancia stava giocando
a mio sfavore.
Daniel, invece, aveva attraversato ogni fase possibile come reazione alla mia
uscita con Jack.
Incredulità. «Come scusa? Perché esci con lui?»
Negazione. «No, Liz. Finirai a stare male di nuovo. Non ti merita.»
Risentimento. «Fai come vuoi, lo dico solo perché ci tengo a te.»
Follia. «Forse è meglio se ti accompagno. Non è il caso che tu vada da sola.»
Avevo resistito durante le prime tre fasi, poi ero scoppiata. «Danny, basta!
Sarò a cena in un ristorante pieno di gente e Jack non è uno sconosciuto. Cosa
temi che possa fare?»
«Proprio non saprei…» trasudava ironia da ogni poro. «Farti quel suo ghigno
da grande attore, portarti a letto e lasciarti da sola ad aspettare che si degni di
tornare a trovarti?»
«Pensi davvero che io abbia davvero così poca forza di carattere?» Ero
amareggiata nel profondo.
«No, Liz. Penso che tu sia ancora invaghita di lui e…»
«Stai scherzando? Jack è stato il mio primo amore, non solo una cotta.»
«Pensavo di essere stato io, il tuo primo amore.»
«Danny, per favore. Non mischiamo cose che non c’entrano, la nostra
relazione è un caso a parte.»
«Come vuoi, Liz. Torno in panchina ad aspettare che lui ti faccia piangere di
nuovo.» Se ne era andato sbattendo la porta, arrabbiato come poche volte lo
avevo visto.

«Liz, sei in bagno?» La voce di Rick arrivò attutita dal salotto, mentre finivo di
spalmarmi la maschera viso.
«Rick?» Strinsi la cintura dell’accappatoio e aprii la porta.
«Mi ha fatto entrare Jess, stava scendendo in lavanderia e… oh, non usi più
quella verde da moglie di Frankenstein.» Dopo anni di convivenza, non si
spaventava a vedermi in quelle condizioni.
«Ne ho ancora un po’ di quella, se la vuoi usare tu.»
«Neanche morto! Da quella volta che mi hai convinto a fare la ceretta non ti
lascio più avvicinare.» Indietreggiò di un passo, per precauzione.
«Guarda che era quella con cui uscivi che voleva gli uomini depilati, non è
colpa mia.»
Rick si massaggiò il petto, sul viso una smorfia di dolore al solo ricordo.
«Comunque ero passato per dirti che sto andando all’aeroporto.» Fece una pausa
significativa.
«Ok.» Mi girai e presi tempo sistemando i flaconi sul mobiletto del bagno.
«Vuoi venire con me?» Rick entrò nel piccolo bagno, teatro di tante passate
conversazioni a orari assurdi.
«Perché? Non credo che…»
Mi bloccò, allungando la mano per impedirmi di aprire il rubinetto. «So che
domani sera uscite a cena, ufficialmente, per festeggiare la pubblicazione
dell’articolo. Hai intenzione di fingere che lui non stia tornando solo per te?»
«Rick» sospirai e mi girai per fronteggiarlo. «Jack è qua per vedere suo
fratello.»
Scosse la testa e alzò le mani. «Va bene, come vuoi.»
Lo guardai allontanarsi, poi d’istinto lo seguii. «Sta da te o va in albergo?»
Maledetta curiosità.
Rick si girò, a un passo dalla porta. «A casa di Luke, ha un attico in centro.»
Annuii e gli feci un cenno di saluto. Ero un po’ in ansia per la cena ma l’idea
che Jack sarebbe stato in città l’intera giornata mi rendeva ancora più inquieta.
Forse era la forza dell’abitudine a non farmi accettare che lui fosse così vicino,
dopo anni, senza starmi accanto ogni secondo possibile.
Scacciai la nostalgia, convincendomi che Jack avrebbe scelto ancora la sua
carriera e io non avevo intenzione di cadere di nuovo nella spirale di una
relazione a distanza. Non era così che volevo vivere. Se avessi seguito l’istinto, e
il cuore, sarei corsa all’aeroporto, il luogo che più avevo amato e odiato negli
ultimi anni.

Mi svegliai prima dell’alba, dopo poche ore di sonno agitato. Rick non avrebbe
dovuto rivelarmi l’arrivo anticipato di Jack. Avevo finto indifferenza, sempre che
ci fossi davvero riuscita, ma non potevo mentire a me stessa.
Vagai per l’appartamento, inquieta, per due ore. Jessica non lavorava di sabato
quindi si sarebbe alzata più tardi e sarei stata davvero una pessima amica se
l’avessi svegliata alle sette di mattina.
Preparai il secondo caffè e controllai la posta elettronica. Non avevo nulla da
fare per il professore e avevo già inviato perfino qualche idea per il numero di
maggio al mio referente a Tv Guide, mentre ancora non era stato distribuito
nemmeno il numero di aprile.
Alle otto decisi di scrivere a Jack, in fondo non era così presto.
Mi aspettavo che non avrebbe risposto prima di un’altra ora, invece impiegò
solo pochi minuti.

Sto per uscire a fare colazione, ti andrebbe di raggiungermi?

Sì. No. Non era il caso. Però che male c’era, in fondo? Eravamo già d’accordo
per quella cena celebrativa dell’uscita dell’intervista, non era il caso di esagerare.
Però ero sveglia da ore, uscire mi avrebbe fatto bene.

Dove?

Uscii di casa dopo pochi minuti, lasciando un messaggio a Jess sul frigorifero,
senza specificare però la mia destinazione.
Impiegai mezz’ora a raggiungere il centro e nel tragitto valutai la mia scelta da
tutti i punti di vista, concludendo che fare due chiacchiere in una caffetteria
affollata non sarebbe stato preoccupante. Non avevo fatto i conti con Jack.
Mi aveva dato appuntamento di fronte al palazzo dove viveva suo fratello e il
quartiere era pieno di locali in cui poter fare colazione, c’era solo l’imbarazzo
della scelta.
Lo riconobbi anche se era di spalle: stava parlando con il portiere, che era in
pausa sigaretta. Jack, invece, non aveva mai fumato ed era una cosa che avevo
sempre apprezzato di lui, soprattutto quando lo baciavo o mi stringevo a lui.
Il portiere mi vide e fece un segno a Jack, che si girò. «Ciao, Liz.»
Mi aveva solo salutata e avevo già perso un battito: iniziavamo proprio bene.
Riuscii solo ad accennare un sorriso e un cenno con la mano, sentendomi
ridicola.
«Vieni, saliamo.» Mi prese per mano per farmi varcare la porta del palazzo.
«Jack, non andiamo a fare colazione?» domandai, confusa, di fronte
all’ascensore.
«Certo.» Mi regalò un sorriso che quasi sconfinava in uno dei suoi soliti
ghigni. Avrei dovuto intuire il suo piano, ma ritrovarmi nella stretta cabina, così
vicina a lui, attentò alla mia capacità logica.
Mi fece strada dentro l’attico di Luke e rimasi immobile, appena varcata la
porta.
Chi lo aveva arredato era un professionista, si intuiva dall’armonia dei
materiali e dei colori, con il predominio del grigio e del panna. Lo stile era
moderno e i punti luce erano stati posizionati con furbizia per farlo sembrare più
spazioso. Il problema era che non sembrava vissuto, era quasi asettico.
Mancavano soprammobili e foto, c’erano solo un paio di stampe nella parete
dietro il divano. Le notai quando mi avvicinai, titubante.
Jack mi aiutò a togliere la giacca, per poi posarla sul bracciolo del divano.
«Sembra uscito da una rivista di arredamento. Perfino il divano è scomodo.»
«Ma Luke ci vive davvero qui dentro?»
«Ci dorme. Il resto del tempo è fuori per lavoro, spesso anche nei fine
settimana.» Si allontanò dal salotto.
Lo seguii in cucina e vidi i sacchetti sulla penisola: aveva comprato la
colazione e tanti saluti alla caffetteria rumorosa e piena di gente. C’era un
silenzio quasi opprimente in quell’attico lontano dal traffico cittadino e,
soprattutto c’eravamo solo io e Jack.
«Ho preso sia muffin che ciambelle e il tuo cappuccino alla nocciola
preferito.»
«Credevo…» la voce mi uscì flebile. Ritentai: «Credevo avremmo fatto
colazione fuori».
Jack posò il sacchetto che stava controllando e mi guardò. «Tranquilla, come
vedi non ho cucinato io.» Il suo ragionamento suonava logico. Ero io che avevo
abbandonato il coraggio insieme alla giacca su quello scomodo divano.
Dovevo ancora veder sorgere il giorno in cui sarei stata indifferente alla
presenza di Jack al mio fianco. La cucina di Luke, in quel tripudio di acciaio e
mobili laccati bianchi, diventò claustrofobica quanto la mia stanza singola al
dormitorio, dove avevamo provato le battute, alla ricerca di un’alchimia che in
realtà esisteva già tra noi, fin dal primo istante. Il nostro folle professore aveva
creato una coppia all’apparenza male assortita ma aveva visto giusto: niente era
mai riuscito a farmi sentire viva quanto un singolo sguardo di Jack.
Quel mattino mi ero appena messa nei guai: lo leggevo nei suoi occhi scuri e
nel suo sorriso furbo.
17. Alchimia
Jack

Liz era a disagio, si capiva dalla sua postura. Se si era aspettata di fare colazione
in un luogo pubblico e pieno di gente, era di certo rimasta delusa ma non avevo
alcuna intenzione di fornirle scappatoie. Ero tornato quel fine settimana solo per
vederla, e lei voleva fingere di non averlo capito perché era più facile così.
Mangiucchiò in silenzio per un paio di minuti, bevve un sorso del suo
cappuccino e poi si schiarì la voce. «Come va con tuo fratello?»
Me l’ero cercata: lasciando che fosse lei a rompere il ghiaccio, aveva scelto
proprio l’argomento più delicato. «Al solito, abbiamo due visioni diverse di ogni
cosa, anche se cerchiamo di essere civili.»
«Significa tanto che tu sia venuto in città per passare un po’ di tempo con lui.
Non lo avevi mai fatto in passato, di tua iniziativa. Torna prima dal lavoro
oggi?»
Non volevo mentirle, così finsi di perdere la presa sul bicchiere del caffè e di
riprenderlo prima di fare disastri. Ne versai ben più di qualche goccia, tutto per
evitare di rispondere. Alzarmi per recuperare uno strofinaccio mi diede qualche
minuto per scappare dalla risposta e cambiare argomento. «Dopo devo passare
dal fioraio. Ti va di accompagnarmi, se hai tempo?»
Liz annuì, con espressione però dubbiosa. Non osò chiedermi il motivo, forse
immaginando che non avrei risposto nemmeno a quella domanda.
Asciugato il tavolo, tornai a sedermi per finire la colazione. Non stava
andando nel migliore dei modi ma speravo di rimediare una volta usciti.
L’appartamento asettico di mio fratello non creava l’atmosfera migliore per le
chiacchiere, soprattutto in un caso come il nostro.
Mi sembrava impossibile rimanere seduto accanto a lei, senza sfiorarla, senza
baciarla, senza stringerla a me. Anche quando non eravamo ancora una coppia,
cercavo sempre il modo di giustificare la vicinanza. Il colpo di genio era stato
proporle di impersonare il suo finto fidanzato durante le vacanze di primavera a
casa dei suoi, con la scusa di accrescere l’alchimia per il palco. Non avrebbe mai
accettato se non fosse stato per la presenza certa di quell’idiota di Daniel al
pranzo di anniversario dei suoi genitori, amici di famiglia.
Il problema ora era il guscio di Liz, che era diventato ancora più impenetrabile
del passato. Sapevo di non esserle indifferente, provava ancora qualcosa di forte
per me, pur avendo ceduto a riprendersi quel broccolo.
«Hai già in mente il prossimo articolo per Tv Guide?» spostai il discorso su un
piano neutrale.
«Ho diverse idee, che avevo scartato per il primo articolo, e ci sto lavorando
un po’ su.» Si ripulì la bocca dalla glassa della ciambella e io non riuscii a non
fissarle le labbra. Se ne accorse e si affrettò a coprirle bevendo. C’era sempre
stata attrazione tra noi, era innegabile, purtroppo non bastava a garantirci una
seconda possibilità.
«Rick mi ha mandato il link a qualche tua foto fatta sul set, pensava potessero
essere utili per l’articolo.» Liz evitò di guardarmi e potei quindi sorridere. La
bugia di Rick era talmente evidente che era difficile rimanere seri. «Sembra
esserci davvero un bel clima sul lavoro.»
«Mi trovo molto bene, sono tutti giovani e pieni di iniziativa. La maggior
parte del cast e anche diversi membri della troupe non sono del posto, quindi
finiamo a vederci anche fuori dal lavoro.» Rimarcai ciò che lei aveva
volutamente escluso, visionando il mio profilo Instagram.
Accennò un sorriso di circostanza. «Jack, volevo ringraziarti ancora» iniziò,
giocando con il bicchiere ormai vuoto. «Ho ottenuto il posto a Tv Guide grazie
all’intervista. Sei stato tu a convincere la produzione a darmi l’esclusiva, vero?»
«Te lo avevo promesso.» Avrei fatto carte false per non deluderla ancora.
«Grazie.» Allungò una mano a sfiorare la mia. Non feci in tempo a girare il
palmo per intrecciare le dita alle sue che l’aveva già tolta.
«Come stanno Margaret e Kimberly?» Sollevai un argomento delicato,
sperando che fosse ormai bendisposta.
«Meglio. Mia madre vuole addirittura andare qualche giorno in Florida per le
vacanze di primavera. Kimberly ha ripreso a uscire con Amber e credo si sia
presa una cotta per Tom, il fratello maggiore.»
«Non è ancora troppo giovane?» Mi rabbuiai. Ricordavo di aver visto il
fratello di Amber una volta, quando avevo accompagnato Kimberly dall’amica.
Liz rise e per un istante sembrò essere tutto come un tempo. «La piccola
Kimmy ha sedici anni, ormai. Tom va al college vicino a casa, il prossimo anno
andrà più lontano per la specializzazione, so che vuole fare il regista.» Prima che
potessi avanzare altre obiezioni, continuò: «Credo la consideri solo come
l’amica d’infanzia di Amber. Kimberly ha la tendenza a puntare ragazzi più
grandi che la vedono come una sorella».
«Ce ne sono altri?» Quante cose mi ero perso in quella manciata di mesi?
«Solo una cotta passeggera per Rick.»
Scelsi il momento peggiore per finire il mio caffè, quasi mi strozzai. «Rick?»
Tossii.
Liz sorrise. «Credo sia nato tutto quando è venuta per la mia laurea e poi lo
scorso autunno…» Avevamo toccato il tasto dolente, immaginavo che avrebbe
tagliato corto e invece continuò: «Quando sei partito, Kimberly ha ricominciato
a fare storie per andare a scuola e a chiudersi in camera. Non sapevo più come
fare e ho chiesto aiuto a Rick».
Una pugnalata nel petto mi avrebbe fatto meno male. Me ne ero andato e
avevo lasciato da sola non solo Liz, ma anche sua sorella che si era appoggiata a
me nelle prime settimane di lutto. Tutti i progressi fatti si erano cancellati con la
mia partenza. Avevo un milione di scuse sulla punta della lingua e non sapevo
come porle.
«Rick è rimasto da noi una settimana e Kimberly si è ripresa, contagiata dai
suoi sorrisi o forse lusingata dalle sue attenzioni. Per smuoverla dal suo torpore,
cercava di punzecchiarla ed è servito.»
Meglio Rick di Daniel, mi dissi. Non bastò a lenire il senso di colpa, la rabbia,
l’irritazione. Avevano avuto bisogno di me, entrambe, e io ero dall’altra parte
dell’oceano, ancora una volta. «Non… lo sapevo» sussurrai flebile, come un
idiota.
«Ti avevo detto che Rick era venuto a trovarci.» Aggrottò la fronte.
«Sì. Intendevo di Kimberly.»
«Mi ha vietato di dirtelo» ammise, con amarezza.
«Ora mi odia, non è vero?» Non poteva essere altrimenti, dopo la delusione
che le avevo dato.
Liz scosse la testa. «Non ti odia, è solo… risentita. Ho evitato di dirle che oggi
ti avrei incontrato, però.»
Mi alzai per gettare gli involucri vuoti della nostra colazione. Passai alle sue
spalle e non resistetti a sfiorarle i capelli: erano ancora così morbidi, adoravo
sentirli sparsi sul torace, come una coperta di seta sulla pelle. Mi sembrò di
vederla rabbrividire, prima di mascherare la sua reazione, alzandosi.
«Mi accompagni, allora? Mi servirebbe un consiglio su che fiori prendere.»
Ero arrivato a quel punto, pur di rimanere ancora con lei e migliorare una
mattinata che non era andata secondo i miei piani. Non mi aspettavo di finire a
rotolarci sul letto a tre piazze di mio fratello, anche se la speranza è sempre
l’ultima a morire. Speravo di ritrovare quella complicità che ci aveva legato,
quell’alchimia che aveva acceso la fiamma del nostro rapporto. Invece eravamo
finiti incagliati nei ricordi che avevano reso l’atmosfera carica di amarezza e
risentimento.
«Non sono molto esperta, per che occasioni ti servono?»
La freddezza della sua domanda poteva essere dovuta al residuo della
conversazione precedente oppure… a un sottofondo di gelosia? Non era il
momento di stuzzicarla, però. «Di solito se ne occupa Luke però quest’anno
sono in città, quindi andrò io a portare i fiori al cimitero per l’anniversario della
morte di nostra madre.»
«Jack…» Me la ritrovai addosso in un lampo. Fu un abbraccio dettato
dall’istinto e quando cercai di ricambiarlo, lo sciolse. «Vediamo di trovare
qualcosa di adatto.» Mi sorrise, gli occhi lievemente lucidi, prima di sparire alla
ricerca della sua giacca.

Liz, purtroppo, non mostrò indecisione nella scelta dei fiori, così mezz’ora dopo
giunse il momento di salutarci. Mentre il fioraio preparava il mazzo, la ringraziai
e le diedi appuntamento per quella sera. Sembrò titubante per un attimo e temetti
che stesse per cancellare la cena, essendoci già incontrati a colazione.
«Andrai da solo al cimitero?» La sua domanda mi spiazzò.
«Sì, Luke è al lavoro.» Fuori città, oltretutto.
«Vuoi… no, niente.» Guardò fuori dalla porta del negozio, per evitare il mio
sguardo.
Le sfiorai una guancia in una lieve carezza. «Cosa?»
Mi guardò e allontanai la mano dalla sua pelle: troppa era la tentazione di
sostituirla con la mia bocca.
«Vuoi che venga con te? L’ultima volta che ci siamo andati, sembravi
distrutto.»
Ero tornato sulla tomba di mia madre quando avevo aiutato Liz a traslocare
dal dormitorio all’appartamento di Rick, all’inizio del secondo anno di college.
Lei si era offerta di accompagnarmi ed ero crollato tra le sue braccia: nella quiete
del cimitero, gli ultimi anni erano sembrati ancora più lunghi e dolorosi, senza
contare che mio padre aveva smesso di parlarmi del tutto, quando ero partito per
Londra pochi mesi prima. Stavo realizzando il mio sogno, però mi ero reso conto
di non avere una famiglia e mi ero sentito perso, come da bambino.
Tornarci tre anni e mezzo dopo sarebbe stata una grande prova e forse non
avrei dovuto accettare che mi accompagnasse, perché mi sarei sentito ancora
peggio dell’ultima volta.
«Non so se andrò subito o nel pomeriggio» inventai.
«Ormai hai preso i fiori, meglio portarli subito, no?»
«Già.»
«Andiamo, allora.» Intrecciò la mano alla mia, con una leggera titubanza.
Le sorrisi ma dovetti trattenermi dal parlare. Con te andrei ovunque, Liz.
Anche nel posto che riesce a far emergere le insicurezze che fingo di non avere.
18. In prima linea

Elizabeth

Jack rimase in silenzio per tutto il tragitto in taxi fino al cimitero e, una volta
scesi, cercò la mia mano per intrecciarla alla sua. Doveva essere davvero
nervoso, perciò sciolsi la stretta solo di fronte alla tomba, per permettergli di
sistemare i fiori.
«Preferisci rimanere un momento da solo?» domandai, vedendolo rialzarsi.
Si voltò, un lampo di terrore negli occhi, subito nascosto. «No, resta. Per
favore.»
Sarei rimasta a prescindere, perché abbandonare qualcuno sulla tomba della
propria madre rientrava nella lista “mai nella vita”; sentirglielo chiedere come
favore, con voce tormentata, mi incollò i piedi al suolo. Finsi di guardarmi
attorno, per mascherare il mio sconcerto. Il padre di Jack doveva aver speso
parecchio per quella posizione centrale, vicina al vialetto; la statua di pietra era
grande e forse troppo appariscente: il marmo lucido della lapide scintillava sotto
il sole già alto nel cielo.
«Il giorno del funerale, mio padre ha gettato una rosa sulla bara, ci ha lasciati
con una zia ed è risalito sulla sua auto per tornare in ufficio.»
Chiusi gli occhi, imprigionando una lacrima. «Ognuno vive il lutto in modo
diverso.»
Jack fece un suono che forse voleva essere una risata, strozzata sul nascere.
«Non credo che l’abbia mai amata. Forse nemmeno rispettata.»
Mi avvicinai e posai una mano sul suo braccio, in silenzio. Come potevo
ribattere? Avevo visto suo padre, in poche spiacevoli occasioni, e mi era parso
davvero incapace di provare sentimenti.
«Grazie di avermi accompagnato.» Si girò e i suoi occhi scuri, lucidi di
lacrime trattenute, mi fecero perdere ogni compostezza.
Lo abbracciai, come avevo fatto dal fioraio, stavolta senza tirarmi subito
indietro. Speravo di dargli conforto o forse lo cercavo anche per me stessa. Per
tutti i mesi di abbracci desiderati e mai arrivati. Avevo trovato la forza di andare
avanti, permettendo a Daniel di diventare il mio punto fermo. Le braccia di Jack
erano, però, insostituibili. Mi sfuggì un singhiozzo e lui mi strinse ancora più
forte.
«Non sono solo» sussurrò, o almeno mi sembrò di distinguere quelle parole,
tra i miei capelli.
«Cosa?»
«Niente.»
Era arrivato il momento di staccarmi e non ne avevo la forza. Che male poteva
fare qualche secondo in più? Qualche istante con le sue mani che carezzavano la
mia schiena, immergendosi nei miei capelli. Con il suo respiro caldo sul collo,
avvolta nel suo profumo ancora troppo familiare.
«Hai davvero fatto palestra» commentai, nel tentativo di sdrammatizzare.
Funzionò: sentii il suo torace scosso da una risata silenziosa. «Ho un personal
trainer che mi distrugge.»
Sciolsi finalmente l’abbraccio, con un mezzo sorriso, pronta a ribattere.
Eravamo così presi da noi, da quel momento, che non c’eravamo resi conto di
non essere più soli. «Sono davvero sorpreso di trovarti qua, proprio oggi.»
Prima che potessi girarmi per guardare in faccia l’uomo che avevo ben
riconosciuto dalla voce, Jack fece due passi e mi ritrovai quasi nascosta dal suo
corpo. «Potrei dire che ti trovo bene ma il tempo trascorso si nota, papà.»
L’uomo si spostò di lato per squadrarmi meglio. «Sei tornato davvero e sei
ancora con lei.» Il padre di Jack non aveva mai nascosto di non apprezzare che
Jack perdesse tempo con me, invece di cercare di instaurare anche nel privato
relazioni proficue per la carriera.
«Credevo che le mie scelte di vita avessero smesso da tempo di interessarti.»
Il tono di Jack era tra l’arrogante e l’indolente, ma la sua postura rigida tradiva il
suo nervosismo.
La risposta del padre fu una semplice smorfia, prima di rivolgere l’attenzione
alla tomba della defunta moglie. «Ti ha chiesto Luke di portare i fiori in sua
assenza?»
Non feci in tempo a processare l’informazione che Jack aveva gettato la
maschera di indifferenza e alzato i toni. «Quindi ti sei scomodato di persona? La
segretaria è malata o è già finita tra le ex amanti liquidate e ne stai cercando una
nuova?»
«Non essere volgare» lo redarguì suo padre, con sdegno. Poi si girò e fece
segno all’autista di avvicinarsi con il mazzo di fiori.
«Mamma odiava i fiori rossi» osservò Jack, storcendo il naso.
«Di sicuro li avrebbe apprezzati più di quella composizione campagnola che
c’è ora nel vaso.»
Ero quasi certa che Jack non avrebbe reagito allo stesso modo se fosse stato
lui a scegliere i fiori e non io. Avrebbe fatto una battuta per non lasciargli
l’ultima parola e se ne sarebbe andato.
Invece, fermò l’autista del padre che stava per scambiare i due mazzi. «Giù le
mani. Questa è la tomba di mia madre.»
L’uomo rimase congelato, poi si girò verso il suo datore di lavoro, in attesa di
istruzioni.
«Li riporterà Annabelle nel pomeriggio.» Non era una resa, semplicemente
suo padre voleva evitare di dare spettacolo: il senso del decoro era tutto. «Devo
ammettere di aver sbagliato la mia previsione.»
«Cosa?» Jack parve confuso quanto me da quella strana affermazione.
Gli occhi erano molto simili nel colore e nel taglio, però la somiglianza tra
padre e figlio si fermava lì, diventando anzi il termine maggiore di confronto: se
nello sguardo di Jack c’erano sempre calore e passione, quello di suo padre era
freddo e inespressivo.
«Ero convinto che tra voi non sarebbe durata dopo lo spettacolo, figuriamoci
dopo la partenza per l’Europa.» Jack rimase in silenzio, perché se avesse
sbandierato i tre anni e mezzo di relazione avrebbe anche dovuto ammettere che
poi era finita. «O forse avevo ragione? Non mi stai sbattendo in faccia il mio
errore.»
Non potevo lasciare che vincesse suo padre. D’altronde non sarebbe stata la
prima volta che fingevo di essere la ragazza di Jack, era già successo quasi
quattro anni prima e dalla mia avevo la pratica vissuta, a differenza del primo
tentativo. Mi feci avanti e intrecciai la mano in quella di Jack, che sussultò
lievemente per il contatto inaspettato. «Non poteva sbagliarsi di più» iniziai,
fermandomi per cercare un tono di voce più convincente. La sua espressione
sorpresa aiutò, non si aspettava che osassi rivolgermi a lui. «Ci sposiamo alla
fine dell’estate.» Forse l’avevo sparata un po’ grossa.
Jack si girò a guardarmi, gli occhi sgranati.
«Ho capito.» Suo padre abbassò lo sguardo sulla mia pancia. «Quando
nasce?»
«Non sono incinta!»
Il sorrisetto che fece avrebbe dovuto mettermi in guardia da ciò che mi
aspettava per essermi schierata in prima linea.
Jack intuì che stava per arrivare la stoccata finale e cercò di fermarla.
«Andiamo via.»
«Sai, figliolo» iniziò, compiaciuto come la volpe di fronte al pollaio, «se
davvero vuoi fare carriera come attore, devi valutare bene chi ti affiancherà sul
red carpet.»
«Basta così» sibilò Jack, stringendo forte la mia mano nella sua.
«La prima volta penseranno che Elizabeth sia incinta.» Mi guardò di nuovo. Si
ricordava il mio nome e aveva ben pensato di usarlo proprio in quel momento.
«Le successive?»
Finché ero io stessa a notare le conseguenze di gelati e sedentarietà era un
conto, sentirmi criticare dall’esterno non era per nulla piacevole.
«Credi davvero che ti lascerò mancare di rispetto alla mia fidanzata? Come tu
hai fatto con tua moglie per anni?» Jack alzò la voce, perdendo ogni freno.
Il sorrisetto strafottente svanì dal viso di suo padre. «Non hai idea di cosa
parli. Io e tua madre avevamo un accordo e non le ho mai fatto mancare nulla.»
«Non ti rivolgere mai più a Elizabeth in questo modo, non guardarla nemmeno
perché ogni tuo sguardo è un insulto e lei non lo merita.»
La minaccia di Jack lo soprese, solo per un attimo, poi tornò a guardare me.
«L’hai davvero ai tuoi piedi, eh? Devo aver sottovalutato le tue doti nascoste.»
Mi ritrovai la mano libera, perché Jack le aveva entrambe strette sui risvolti
della giacca di suo padre.
«Cos’hai intenzione di fare, figliolo?» Non sembrava più così sicuro di sé.
Mi riscossi dalla sorpresa, appena in tempo, e gli posai una mano sulla
schiena. «Jack, lascia stare.» Per un istante temetti che non mi avrebbe ascoltato,
poi lo sentii rilassarsi e lasciare la presa sul costoso tessuto del completo gessato.
Suo padre non aggiunse altro, sistemò la giacca e se ne andò.
«Mi dispiace, Liz.» Jack aveva il respiro accelerato e teneva gli occhi chiusi.
«Intromettermi ha peggiorato le cose, non avrei dovuto cedere alla sua…»
Aprì gli occhi e mi guardò. «Non è colpa tua. Hai preso le mie difese e lui ti
ha insultata. Avrei davvero dovuto picchiarlo.»
«No, perché tu non sei così. Ed è pur sempre tuo padre.»
Il viaggio di ritorno fu ancora più teso e silenzioso dell’andata. Jack era scuro
in viso e nervoso, continuava a battere la nocca dell’indice sul finestrino, come
se non vedesse l’ora di arrivare. Avevamo dato l’indirizzo del campus, dovevo
raggiungere l’ufficio del professore prima di pranzo.
«Per stasera…» iniziai, mentre il taxi rallentava, con l’intenzione di
accordarmi su dove vederci per la cena.
Jack annuì e mi sembrò una reazione strana. «Hai ragione.» Ragione su cosa?
Prima che potessi chiedere un chiarimento, mi precedette. «Mi hai già dedicato
tutta la mattinata, di certo stasera vorrai stare con… lui.»
«Con chi?» Di cosa stava parlando?
«Il giorno dell’intervista mi hai detto che stavi vedendo qualcuno. Non mi
aspettavo, però, che fosse proprio… Daniel.» Credeva che stessi uscendo con
Daniel, santo cielo! «Immagino eviterai di raccontargli di esserti spacciata per la
mia fidanzata. Ho fatto lo stesso quattro anni fa per fargli credere che tu fossi
impegnata, che ironia.»
Il taxista si era stancato delle chiacchiere e ci fece notare che eravamo arrivati.
Jack pagò prima che riuscissi ad aprire la borsa. Come potevo sistemare
quell’equivoco?
«Mi ha fatto piacere rivederti, Liz.»
«Anche a me.» Non sono fidanzata con Daniel. Non riuscii a dirgli la verità:
nessuno aveva preso il suo posto, nessuno avrebbe potuto farlo e di certo non
così presto.
Mi fece un sorriso che non arrivò agli occhi, l’incontro con suo padre lo aveva
avvolto in una comprensibile coltre di amarezza. Per quanto Jack si fosse sempre
dimostrato forte e sicuro di sé, suo padre riusciva a ferirlo ogni volta. Ero stata al
suo fianco quel mattino ma era stata una finzione e ora mi stava allontanando,
come meritavo.
Quando scesi dal taxi, temetti che quello sarebbe stato davvero il nostro
ultimo incontro.
19. La foto
Jack

«Che hai fatto da tuo fratello? Hai una faccia» mi salutò Manuel sul set, il lunedì
mattina.
«Non andiamo molto d’accordo» chiusi subito l’argomento. Avevo raccontato
che sarei stato a casa di mio fratello un paio di giorni per una questione di
famiglia. Solo Jennifer aveva intuito, a ragione, che il viaggio avesse anche a che
fare con Elizabeth e si era astenuta dal fare commenti.
«Jack, dai! Mi ci vorrà un secolo a prepararti oggi, vai a sederti e togli la
maglia.» Lilian, di corsa come ogni mattina, gettò la borsa sul tavolino e iniziò a
preparare i prodotti da spalmarmi. Ecco la vera tortura, peggiore perfino delle
sessioni estenuanti in palestra.
«Buongiorno!» Arrivò anche Jennifer, con il suo solito latte di soia in mano e
un sorriso contagioso.
«Sei proprio di buon umore, cara.» La truccatrice scosse la testa, divertita.
Tolsi la maglia e mi sedetti sotto lo sguardo attento di Jennifer. L’urletto di
vittoria della mia collega fece sobbalzare Lilian, che lasciò cadere un flacone.
«Cosa mi sono persa?»
Sospirai, teatralmente. «Jen ha creato un sondaggio sul mio profilo Instagram
e ha vinto la risposta su cui aveva scommesso anche lei. »
«Non ti lamentare, ho fatto aprire il centro estetico di domenica sera per farti
fare la ceretta più professionale, anche se si erano offerte tutte le ragazze della
produzione.»
Lilian scoppiò a ridere. «Cosa non farebbero per toccare gli addominali di
Jack.»
«Ecco perché oggi sono una donna fortunata.» Jen mi fece l’occhiolino e
scomparve nel suo camerino.
«Siete una bella coppia» commentò Lilian, mentre rovistava nella sua
immensa valigia del make-up.
«Come scusa?» Mi ero distratto a controllare il telefono: Liz non si era più
fatta viva dal sabato mattina, nemmeno un banale messaggio.
«Vi hanno visti all’albergo di Jen, comunque qui tifano tutti per voi, non solo
per la pubblicità.»
Stavo per ribattere ma Lilian mi intimò di stare fermo immobile mentre si
occupava del suo lavoro: avremmo girato la prima scena d’amore quel giorno.
Jennifer era elettrizzata ma già immaginavo che sarebbe stato un caos per le luci
e le inquadrature. Perché il suo seno doveva rimanere nascosto in qualche modo,
per non incappare nella censura, mentre io dovevo rimanere in mutande tutto il
tempo.
Ecco come doveva essersi sentita Liz sul palco, in Lezioni di seduzione.
Scacciai il ricordo: dovevo rimanere concentrato quel giorno e non pensare a lei.

Otto ore di lavoro per tre minuti di girato effettivo. Non potevo essere più
esausto. Anche Jennifer appariva stanca a cena e partecipava poco alle
chiacchiere degli altri.
«Guardatevi, sembrate distrutti. Cosa avete combinato davvero sotto le
lenzuola di scena?» Ennesima battuta di uno degli operatori.
«Fingere le scene di sesso è sempre difficile» si intromise Deacon, che non
commentava quasi mai e ancora più di rado partecipava alle nostre cene. Si era
unito a noi perché avevamo fatto tardi: era rimasto anche lui sul set per darci
suggerimenti utili e professionali, di cui gli ero stato immensamente grato.
«Ma siete più stanchi o più frustrati come dopo ore di preliminari?»
«Vado fuori a fumare, vieni con me?» L’invito di Deacon mi sorprese, mi alzai
in piedi prima ancora di rispondere, tutto pur di sfuggire ad altre battute stupide.
Fuori dal ristorante l’aria era pungente: pur essendo fine marzo, la primavera
era ancora lontana lì al nord. Lui si accese una sigaretta, in silenzio. Non
avevamo bisogno di fare conversazione, il silenzio era un sollievo.
«Non te la prendere, è sempre così quando si girano certe scene. Battute e
risatine come se fosse il massimo a cui ambire rimanere mezzi nudi con una
bella attrice spalmata addosso. Nessuno pensa che magari non è quello che tu
vorresti.» Soffiò il fumo lontano da me.
«Sarò onesto con te: oggi è stato terribile. Non credevo mi sarei mai sentito a
disagio sul set.»
Deacon accennò una mezza risata. «Credo sia stato difficile anche per
Jennifer, per motivi diversi dai tuoi.»
«Per una donna credo sia ancora più difficile.» Pensai alle paure di Liz,
quando si era spogliata sul palco. Mi era venuto istintivo cercare di coprirla il
più possibile alla visione del pubblico in sala, ma era passato tutto in un lampo.
Non c’erano stati eterni minuti fermi immobili a sistemare le luci e le
inquadrature, con gli occhi di venti persone addosso e Jennifer che cercava di
sdrammatizzare ma era meno spumeggiante del solito.
Deacon soffiò il fumo e scrollò la cenere, poi si girò a guardarmi. «Se accetti
un consiglio, non mischiare mai lavoro e vita privata.» Poi spense la sigaretta
ancora a metà e si avviò verso l’entrata del ristorante.
Al nostro ritorno, trovai Jennifer con il mio telefono in mano. Lo avevo
lasciato nella tasca della giacca e lei se ne era impadronita, come al solito. «Jen,
adesso basta.» Ero di cattivo umore quella sera e la sua invadenza mi punse nel
vivo.
«Hanno scattato alcune foto sul set, te ne ho caricata una su Instagram»
spiegò.
«Ok, però è davvero ora che inizi a usare il tuo account.»
«Non discutete, siamo in pubblico» ci sgridò Manuel.
Cenai in silenzio e me ne andai prima degli altri. Era passato più di un mese e
ancora non avevo aperto nessuno scatolone, era l’occasione giusta per fare un
po’ di ordine.
Si rivelò una pessima idea. Il destino si accanì e trovai subito le cose di Liz
che erano rimaste a Londra, perché non avevo avuto voglia di contrassegnare le
scatole prima di spedirle.
Stavo valutando se continuare, aprirmi una birra o andare direttamente a letto,
quando suonò il telefono.
«Dimmi, Rick.»
«Sei impazzito?» Non salutò nemmeno e non era da lui.
«Di cosa stai parlando?» Mi sedetti sul bordo del letto sfatto.
«Quella dannata foto, Jack!»
Impiegai un attimo a capire, poi allontanai il telefono dall’orecchio, inserii il
vivavoce e aprii Instagram per controllare l’ultimo caricamento fatto da Jennifer.
«Cazzo.»
«Quasi. Fosse stata su Facebook l’avrebbero già segnalata, non si capisce se
sei completamente nudo ma pare di sì.»
«Rick, sei serio? Fai lo sceneggiatore e conosci l’ambiente da sempre, è una
foto di scena.»
«E proprio quella dovevi mettere? Jennifer che ti bacia lo stomaco, tu a occhi
chiusi e bocca aperta. Se non fosse stato per i capelli biondi e lunghi si sarebbero
viste benissimo le sue tette e tu di certo avevi una visuale in prima linea.»
Persi la pazienza, perché non potevo in quel momento prendermela
direttamente con Jennifer e non sopportavo le critiche di Rick, dopo aver passato
una giornata stressante per girare proprio quelle maledette scene. «Mi spieghi
quale cazzo è il tuo problema? Sei diventato il mio manager?»
«No, sono tuo amico e stai facendo una cazzata.»
Lanciai il telefono sul letto e iniziai a spogliarmi per tenermi impegnato. «Non
sto girando un porno, nel film non si vedrà nulla.»
«Il problema non è certo il film ma la foto e soprattutto il commento che
l’accompagna. Non si capisce nemmeno se è scattata sul set o da una fotocamera
nascosta nell’armadio, che cavolo di filtri hai usato?»
«L’ha caricata Jennifer, sai che la maggior parte delle foto le ha messe lei sul
mio profilo.»
«Ora capisco.» Rick si fece silenzioso, tanto che recuperai il telefono per
controllare che fosse ancora in linea.
«Cosa?»
«Jennifer vuole marcare il territorio e tu la stai lasciando fare.»
Ero a un passo dal mandarlo al diavolo. «Non hai la minima idea di cosa stai
dicendo.»
«Stai spingendo Liz tra le braccia di Daniel.»
Era davvero il colmo! «Sono tornato in città solo per lei e da sabato non si è
più fatta viva, tra le braccia di quel coglione c’era già da tempo. Forse dalla
scorsa estate!» Stavo esagerando e lo sapevo: se fossi stato in me non avrei mai
accusato Liz di infedeltà, tantomeno parlandone con il suo migliore amico.
«Stai lasciando ancora che la gelosia ti accechi. Come quando credevi che io
andassi a letto con lei e la figura del coglione l’hai fatta tu.»
«Vaffanculo, Rick. Chiunque avrebbe avuto un minimo di paura, hai vissuto
con la mia ragazza, da soli, per tre anni! Non venire a farmi la morale e se ci
tieni a paragonarti a Daniel, divertitevi in tre la prossima volta.» Chiusi la
conversazione, con rabbia.
La perfetta fine di una giornata tremenda. Prima di andare a dormire,
controllai quella maledetta foto, che stava ottenendo un numero spropositato di
commenti. Poi spinto dal masochismo più disperato, cercai di visitare il profilo
di Liz, non riuscendo però a trovarlo. Cliccai sul suo nome in una mia foto in cui
lei era taggata ma nessun suo post era per me visibile: mi aveva bloccato.
20. Vacanza
Elizabeth

«Divertiti, tesoro.» Jessica mi abbracciò per salutarmi, prima di andare al lavoro.


Stavo aspettando il taxi per l’aeroporto, non avevo voluto chiedere un
passaggio a Rick perché si stava occupando di sua madre. Non c’era stato modo
di fargli confessare in che genere di situazione assurda si fosse cacciato con la
nuova e giovane governante e non avevo voluto insistere troppo perché temevo
che mi avrebbe chiesto di Jack.
Mi ero illusa di aver mantenuto bene le distanze. Le foto con Jennifer e
l’invito a cena cancellato, però, mi avevano ferita perché Jack aveva voltato
pagina. Era quello che volevo, mi ero detta, quando lo avevo allontanato dalla
mia vita per non soffrire ancora. Cosa avevo ottenuto? Ero tornata al punto di
partenza, struggendomi per la sua mancanza e morendo di gelosia a vederlo tra
le braccia di un’altra.
Quel breve viaggio, deciso da mia madre, era capitato al momento giusto. La
presenza di Laura non era molto gradita a Kimberly, quindi avevo cercato di
convincerla a vedere il lato positivo: la madre di Daniel avrebbe tenuto
compagnia alla nostra e io e mia sorella avremmo trascorso tempo insieme.
Il gigantesco resort affacciato sulla spiaggia e attrezzato di ogni comodità,
dalle piscine alla spa, prometteva relax e ampi spazi in cui rifugiarsi
all’occorrenza.
Sarei arrivata con qualche ora di ritardo rispetto alla mia famiglia, però non
avrebbe avuto senso prendere un aereo il giorno prima per tornare a casa e
partire poi insieme a loro.
Jessica sarebbe rimasta da sola, la situazione con Matt era molto tesa da
quando non era tornata a casa come lui si aspettava. Avevo cercato di farla
parlare, senza intromettermi troppo, finché lei mi aveva rassicurata, dicendo che
i momenti di crisi capitano a tutti e poi si superano. Ero fiduciosa perché non
avevo mai visto una coppia affiatata quanto i miei due amici, anche se temevo
che il suo minimizzare il problema fosse solo una facciata. D’altronde, non ero
la persona migliore per dare consigli su come mantenere rapporti a distanza.
Daniel era tornato di buon umore, soprattutto da quando aveva scoperto che
non ero andata a cena con Jack; forse la colazione gli era sembrava meno
problematica, unita al fatto che io non volessi parlarne né lo nominassi più da
giorni. Mi aveva salutato la sera prima, promettendomi che sarebbe venuto a
prendermi all’aeroporto al mio ritorno.
Contavo sul fatto che quei quattro giorni di riposo, fisico e mentale, mi
avrebbero restituito un po’ di chiarezza e il coraggio di affrontare con lui la
“questione Martha”. Erano solo in crisi o si erano lasciati? Non potevo più
nascondere la testa sotto la sabbia e non ammettere che il trasferimento di Daniel
fosse stato un gesto troppo eccessivo, se spinto solo dall’affetto per una cara
amica.
Tutto a tempo debito, prima dovevo riacquisire l’equilibrio che si era alterato
al ritorno di Jack. Volendo essere indulgente con me stessa, chi sarebbe rimasto
indifferente di fronte al suo più grande, forse unico, vero amore? Sarebbe stato
così facile lasciarsi andare e tornare tra le sue braccia e nel suo letto. Sarei
ricaduta nello stesso schema: lui a seguire la sua carriera e io ad arrancare per
costruirmene una o rinunciarci, pur di stargli vicino. La fine della nostra lunga e
sofferta relazione ci aveva lasciato un pesante bagaglio di recriminazioni e
delusioni.
Forse se Jack non fosse ripartito per Londra, dopo la morte di mio padre, le
cose sarebbero andate diversamente, o forse avrei dovuto seguirlo io. La triste
realtà dei fatti era che avevo amato tutto di lui, anche l’ambizione e il talento,
che non erano imbrigliabili. Era giusto che seguisse i suoi sogni, così come era
giusto che io scegliessi la mia strada.
Avevo tentato di dimenticare l’effetto Jack. Sul mio umore, sul mio corpo, sul
mio cuore. In poche ore in sua compagnia mi ero sentita di nuovo davvero viva,
mentre senza di lui sentivo e vedevo ogni cosa solo come spettatrice, protetta dal
guscio che avevo rialzato. Jack di quel guscio conosceva ogni crepa e ogni
anfratto. Gli bastava uno sguardo per abbassare le mie difese ed espormi al
mondo, ai suoi occhi scuri e profondi, al desiderio che la sua vicinanza
riaccendeva, al bisogno di averlo accanto, abbracciarlo e confidargli ogni cosa.
Di fronte a lui ero sempre nuda, in ogni senso.
Il viaggio in aereo fu devastante: mi scoppiò un forte mal di testa alla prima
turbolenza, schiacciata nel posto centrale, tra una signora logorroica e un
manager intento a scrivere sul suo portatile senza sosta. Ero partita per
allontanare i pensieri e invece li stavo portando con me.
Atterrata, andai a recuperare la valigia, poi mi trascinai alla ricerca della
navetta dell’hotel. Scrissi un messaggio a mia sorella per avvisarla e la trovai ad
attendermi alla reception.
«Ellybeth!» strillò, abbracciandomi.
«Piano, Kimmy. Sono stordita dal mal di testa.»
«Laura ha prenotato i fanghi per tutte, dicendo che ci avrebbero fatto bene.
Mamma mi ha sgridata perché mi sono offesa ma io non ho la cellulite!» Se
iniziava a lamentarsi fin dal primo secondo, non c’erano speranze.
«Dammi il tempo di sistemare la valigia e risolviamo.»
Nel tempo che mi occorse a rintracciare mia madre e la sua amica, intente a
giocare a carte su due lettini a bordo piscina, e convincerle a barattare la seduta
di fanghi di mia sorella con una manicure al centro estetico, il mio mal di testa
era diventato insostenibile. Mi rifugiai in camera e presi una compressa, con
l’intenzione di stendermi solo una mezz’oretta.
Kimberly venne a bussare alla mia porta quando era già ora di cena e mi
accorsi di aver dormito tutto il pomeriggio. Ero rimasta così intontita da faticare
a sostenere una conversazione a tavola ma venni graziata, il che mi fece capire di
aver proprio una brutta cera. Laura si assentò prima del dolce per rispondere al
telefono e ritornò al tavolo con un immenso sorriso.
Mia sorella mi diede un calcio sotto il tavolo e alla mia occhiata esausta, mi
sussurrò: «Scommetto che era Daniel al telefono». Perché Laura sorrideva? Non
avevo abbastanza forza né voglia di pensarci.
Al mio ennesimo sbadiglio, Kimberly mi spedì a letto presto, intimandomi di
riprendermi per non abbandonarla più da sola. Stavo sperimentando il vero
crollo fisico, dopo aver vissuto con i nervi tesi per settimane.
Mi svegliai presto, riposata e intenzionata a godermi pienamente i successivi
tre giorni nel resort. Assecondai mia sorella nel voler rimanere lontana da
mamma e Laura, dopo essermi assicurata dell’umore stabile di mia madre.
«Liz, prendi la frutta e lascia stare i pancakes. Inizia a fare un po’ di attenzione
alla linea.» Ero talmente stupita di vederla tornare alle sue critiche puntigliose
che sorrisi, invece di offendermi.
«Mamma, hai forse paura che Ellybeth resti single?» commentò Kimberly,
seduta accanto a me.
«Che sciocchezza, Kimberly. La nostra Lizzy non deve certo preoccuparsi di
queste cose.» Non seppi bene come interpretare l’intervento di Laura, quindi
accennai un sorriso di circostanza.
La giornata terminò troppo presto e si rivelò una delle più belle degli ultimi
mesi. Rimanere da sola con mia sorella, chiacchierare e scherzare insieme,
prendere il sole sulla spiaggia e fare un massaggio alla spa furono un toccasana
per il mio umore. Non ero così rilassata da tempo, forse da anni.
«C’è quel tizio con il costume blu che mi fissa, hai visto?» Kimberly si sedette
sul mio lettino a bordo piscina, schizzandomi d’acqua. Era appena tornata da una
nuotata mentre io sorseggiavo un aperitivo. Avremmo avuto giusto il tempo di
una doccia prima della cena ma oziare era troppo bello per affrettarmi a tornare
in camera.
«Kimmy, lascia perdere. Fa parte di quel gruppo di matricole.»
«E quindi? Non c’è tutta questa differenza di età.» Si girò a guardarli.
«Vanno al college, chissà in quale stato. Lascia perdere.» Ci mancava giusto
che mia sorella si prendesse una cotta per qualcuno che viveva lontano da lei.
«Vado a fare la doccia, ci vediamo a cena?»
Annuii e la vidi recuperare l’asciugamano e andarsene. Il ragazzo dal costume
blu non si perse un solo movimento e gli amici cominciarono a ridere, poi lo
buttarono in piscina. Mia sorella attirava parecchi sguardi, me ne ero accorta già
dall’estate precedente quando era stata mia ospite al campus.
Si era creata, nel tempo, un ideale di ragazzo ideale molto simile a come era
Jack. Al rispetto che dimostrava nei confronti miei e di tutta la nostra famiglia.
Era sempre educato e socievole ma anche abbastanza irriverente e dalla battuta
pronta. Non avevo idea se, dopo essere rimasta delusa dalla partenza di Jack,
l’idea di Kimberly fosse cambiata. Forse sì, a giudicare dalla cotta che si era
presa per Rick che, nel suo immaginario, rappresentava il prototipo del bravo
ragazzo affidabile.
Mentre terminavo il mio cocktail, telefonai proprio al mio amico.
«Se sei a bordo piscina, chiudiamo subito» mi salutò.
«Posso fingere di essere altrove, se preferisci.»
«Ti odio. Oggi ho dovuto accompagnare mia madre da sua sorella e sono
rimasto invischiato in una riunione di donne di mezza età. Sono tornato a casa
quasi convinto di dover acquistare anch’io una crema antirughe al collagene e un
gel per la secchezza vaginale.»
Tossii, sputacchiando un po’ della bevanda. Mai bere mentre si è al telefono
con Rick, avrei dovuto già saperlo. «C’è un gruppo di matricole alla loro prima
vacanza di primavera e mi sento vecchia, forse la crema antirughe possiamo
comprarla insieme.»
«Non dirmi che ti hanno puntata perché…»
Lo bloccai prima che dicesse qualcosa per cui lo avrei mandato a quel paese,
conoscendolo. «Uno ha puntato Kimberly e lei sembrava interessata.»
«Sono costretto a rubare una citazione: tienila lontano dai broccoli.»
Accennai una risata che si spense subito, perché Jack era pur sempre un tasto
dolente. «Farò il possibile. Puoi passare a controllare Jess domani? Sono un po’
preoccupata per la situazione con Matt.» Povero Rick, assunto ciclicamente
come babysitter per ragazze in crisi.
«Ci penso io, tu goditi la vacanza.»
«Mia madre ha iniziato a suggerirmi caldamente una dieta.» Posai il mio
bicchiere e raccolsi le mie cose per tornare in camera.
«La cara vecchia Margaret è tornata.»
«Già. E ti dirò che sono così felice di vederla in sé che me ne frego delle
critiche.»
«Stai bene così, non ci pensare. E poi ha ragione Jessica.»
«Riguardo a cosa?» Ero curiosa perché era più facile vederlo battibeccare con
Jess che darle ragione, tranne che su un argomento.
«Smetti di prendere il gelato di Daniel e non ti servirà nessuna dieta.» Come
volevasi dimostrare.
«Più continuate a dirlo più assume doppi sensi, te ne rendi conto?»
«Non credere che a lui dispiacerebbe.»

Arrivai a cena con qualche minuto di ritardo. In uno dei ristoranti del gigantesco
resort, adocchiai mia sorella. «Eccomi.» Notai subito un posto in più al tavolo.
«Abbiamo ospiti?»
«Una sorpresa.» Mia madre evitò di guardarmi e perfino di rimproverami del
ritardo.
Laura era intenta a ripiegare il tovagliolo quindi non incontrò il mio sguardo,
mentre Kimberly appariva poco interessata, forse immaginando che avremmo
cenato con qualche signora conosciuta alla spa durante i trattamenti.
Stavo per sedermi accanto a mia sorella, quando mia madre intervenne.
«Kimberly, vieni a sederti vicino a me.» Non c’era alcun motivo per cui mia
sorella avrebbe dovuto spostarsi sul lato corto del tavolo rettangolare, nel quinto
posto aggiunto, e lasciare il suo all’ospite atteso.
«Perché?» La domanda di Kimberly, specchio della mia, rimase senza
risposta.
«Perdonate il ritardo.» Una voce conosciuta mi fece sussultare dalla sorpresa.
Sentii la sua mano sfiorarmi la schiena e poi le sue labbra sfiorarmi la guancia.
«Ciao piccola.»
21. Non solo amici
Elizabeth

«Danny? Che ci fai qui?»


Mi fece un sorriso e scostò la sedia, per farmi sedere.
«Stavamo proprio per ordinare, tesoro!» Laura salutò il figlio con un enorme
sorriso e mia madre evitò sapientemente il mio sguardo. Sapeva anche lei che
sarebbe arrivato!
«Non doveva essere una vacanza tra donne?» Avrei voluto abbracciare mia
sorella per aver subito fatto la domanda scomoda.
«Daniel sta lavorando tanto, meritava un paio di giorni di riposo e sono sicura
che a Lizzy non dispiacerà affatto, ormai sono abituati a stare sempre insieme»
spiegò Laura, con tono condiscendente. «Ora ordiniamo?»
Daniel approfittò della distrazione degli altri commensali, quando arrivarono i
piatti, per sporgersi a sussurrarmi: «Non sei contenta di vedermi?».
«Sono confusa. Perché non mi hai detto che saresti arrivato?» Mi aveva scritto
un breve messaggio il giorno prima e non aveva rivelato nulla.
«Te lo spiego dopo cena.» Mi lasciò una carezza sulla coscia. Daniel era
sempre stato affettuoso, ma quella sera era tutto sorrisi, battute e carezze.
Mi scusai prima dell’arrivo dei dolci e mi rifugiai in bagno per telefonare a
Jessica. Fui fortunata e sfortunata insieme, perché stava cenando con Rick, che
aveva preso molto a cuore il suo compito di babysitteraggio. Sapevo che
avrebbero fatto fronte comune sull’argomento, però avevo bisogno urgente di un
parere. Parlai a velocità folle, tanto che spesso dovettero fermarmi per chiedere
spiegazioni.
«Cosa vuol dire che ti sfiora di continuo? Più del solito?» domandò Jessica.
«Se per solito intendi gli abbracci o i buffetti sulla guancia, sì» sospirai. Mi
girava la testa mentre cercavo di metabolizzare gli eventi. «Mi ha sfiorato di
continuo la schiena, ha giocato con una ciocca dei miei capelli, tenendo spesso il
braccio sulla mia sedia. Ha messo la mano sulla mia coscia ogni volta che si
sporgeva per sussurrarmi qualcosa. Sembrava…»
«Jack» terminò Rick, per me.
«Ha detto che mi spiegherà dopo cena perché è arrivato qui senza avvisarmi.»
«Ci siamo» sbuffò Jessica.
«Quel… broccolo! Ha aspettato che tu fossi lontana da noi per fare la sua
mossa» aggiunse Rick.
«Fermi un secondo.» Mi poggiai al lavandino con una mano, il telefono
all’orecchio e mi guardai allo specchio. «Sta per fare quello che credo, vero?»
«Sono mesi che te lo dico!»
«Jess, per favore. Adesso non ho bisogno di un “te l’avevo detto”, ho bisogno
di un consiglio.»
«Torna a casa» intervenne Rick.
«Ho ancora due giorni di vacanza e non ha senso scappare. Devo solo capire
come gestire questa cosa, sempre che davvero Danny…»
«Dici sul serio? Hai ancora dubbi?» Rick sembrava alterato. «Devi solo capire
se vuoi dargli un due di picche o no.»
«Non lo so! Non sono preparata. E poi Jack sta uscendo con Jennifer e…
Oddio, voglio tornare a casa» terminai con un lamento.
«Devi essere diretta nella risposta, Liz. Devi prendere una decisione.»
«Jess» gemetti, «perché è così complicato?»
«Perché è la vita a esserlo e devi scegliere se scappare o affrontare le
situazioni.» L’amarezza del suo tono mi fece capire che, al mio rientro, avrei
dovuto abbandonare il guanto di velluto e costringerla a parlarmi della sua
relazione con Matt.
«Ok, ora devo tornare o mi daranno per dispersa. Grazie a tutti e due.»
«Rick è sparito in cucina, forse è arrivato il fattorino con la cena.»
«Vorrei essere lì con voi» sospirai e mi resi conto di quanto assurdo fosse.
Avevo cenato con Daniel più volte che con i miei due amici negli ultimi giorni.
«Coraggio» mi dissi, una volta terminata la chiamata, prima di tornare a
tavola.
Avevo lo stomaco chiuso, perciò rifiutai il dolce, con grande soddisfazione di
mia madre. Rimpiansi la mia decisione quando notai che gli altri furono molto
veloci a terminare e arrivò l’ora di alzarci.
«Fai due passi con me, Lizzy?» La domanda di Daniel era scontata: mi limitai
ad annuire.
Arrivammo alla spiaggia privata, di fronte al resort e Daniel si bloccò a due
passi dalla risacca dell’oceano. «Io e Martha ci siamo lasciati. Definitivamente.»
«Mi… dispiace.» Non sapevo che altro dire, ormai lo avevo intuito.
Si girò e mi guardò dritto negli occhi, alla luce della luna quasi piena.
«Chiedimi perché, Lizzy.»
«Danny» lo pregai, con un lamento.
Prese la mia mano tra le sue e se la portò alle labbra per lasciarci un bacio.
«So che l’hai capito da diverso tempo, anche se fingevi il contrario.»
Scossi il capo, senza riuscire a parlare. Cosa avrei potuto dire? Che era stato
più comodo appoggiarmi a lui e prendere ciò di cui avevo bisogno senza fare
domande? Ero stata cieca e opportunista. Gli volevo bene, davvero bene, però
non cercavo una relazione.
«Non ti voglio mettere fretta, ti sto solo dicendo che non ho più intenzione di
dosarmi e trattenermi.» Lasciò libera la mia mano per posarmi la sua sulla
guancia. «Sono pazzo di te, Elizabeth. Non riesco a starti vicino senza
desiderarti tra le mie braccia.»
«Daniel…» Ero a corto di fiato, di parole, di pensieri. Vivevo solo di
emozioni, in un turbine confuso che mi lasciava stordita.
Sfiorò con il pollice le mie labbra. «Non mi aspetto che tu sia pronta. Ti sto
solo avvisando che farò il possibile perché tu lo sia presto. Sai già di poter
contare su di me nella tua vita.»
Chiusi gli occhi, annuendo appena. Sì, lo sapevo. C’era stato nei mesi
peggiori, avevo cercato il suo affetto, il suo conforto, la sua rassicurante
presenza. Mi ritrovai nel suo abbraccio e mi lasciai andare d’istinto. Danny era il
mio porto sicuro e mi ci aggrappai, ancora una volta, prima di essere trascinata
via dalla corrente dei miei stessi confusi pensieri.
«Tra noi funzionava. La tua prima volta è stata con me, ricordi?» sussurrò al
mio orecchio, carezzandomi la schiena. «Ora siamo adulti, Lizzy. E io non vedo
l’ora di avere di nuovo la fortuna di venerare il tuo corpo. Sei una donna
bellissima e vorrei sentirti tremare ora tra le mie braccia come la prima volta,
non per l’emozione ma per il piacere.»
Mi si bloccò il respiro. Ero sommersa dai ricordi, avvolta nel calore e nel
profumo di Daniel. Aveva indossato lo stesso dopobarba che usava un tempo,
anche la sera del ballo. Stava giocando sporco e lo aveva ammesso
candidamente. Voleva, a ogni costo, che io ricordassi quei momenti. Quando
avevo tentato di coprirmi per pudore, mentre mi aiutava a spogliarmi, lui mi
aveva sorriso e mi aveva detto che ero bellissima e che lui era il ragazzo più
fortunato del mondo. Era stato bello, mi ero sentita così amata in quel momento,
così come nei mesi successivi. Fino a quando…
Sciolsi l’abbraccio, allontanandomi. «Sono passati anni, siamo cambiati. E poi
tu hai rinunciato alla nostra relazione mentre eri al college, Daniel.»
Le mie parole lo colpirono. Si passò una mano tra i capelli corti. «Ero giovane
e spaventato. Credevo che non ce l’avremmo fatta e che ti avrei persa
completamente. Non avevo immaginato che mi avresti tagliato fuori dalla tua
vita, dopo la mia stupida decisione.»
Scossi il capo, con una smorfia. «Credevi davvero che saremmo tornati amici,
dopo aver trascorso mesi insieme?»
«E cosa abbiamo fatto in questi ultimi mesi, allora? Avremmo potuto farlo
anche all’epoca, poi tu mi avresti raggiunto al college e saremmo tornati
insieme, lo sai. Ti avrei proposto di sposarci subito dopo la laurea.»
Lo pensava davvero? «Quindi, l’errore è stato mio? Avrei dovuto tornare la
tua migliore amica mentre tu facevi le tue esperienze al college e poi avremmo
ripreso la nostra relazione, come se nulla fosse?»
Daniel sembrò ferito e rimase in silenzio per un lungo istante. «Non potrò mai
chiederti scusa a sufficienza per quell’errore. Non ti ho lasciata per divertirmi al
campus, sono uscito con una ragazza solo dopo mesi che ci eravamo lasciati»
sospirò, calciando la sabbia con la punta della scarpa. «Credevo che la distanza
avrebbe logorato il nostro rapporto, portandoci via quello che avevamo di bello e
affogandolo nel risentimento e nelle accuse.»
Colpita e affondata: era accaduto davvero a me e Jack. Non avrei potuto
ribattere e lo sapeva, così continuò: «Abbiamo avuto le nostre esperienze, e
siamo di nuovo qua, insieme. Non ho mai smesso di conservare il ricordo di
quella bimba con le trecce che cercavo di far sorridere e smettere di piangere». I
ricordi felici erano il mio punto debole, mi ci ero rifugiata troppo spesso.
«Daniel, ascoltami.» Mi girai e guardai il mare, cercando le parole. «Sei
appena uscito da una lunga relazione, anzi lo siamo entrambi.»
«Lizzy, dai, sei single da mesi!»
Non nella mia testa, né nel mio cuore. Ero sola, non single, c’era una grossa
differenza. Rimpiazzare Jack non era nei miei piani. «Ma tu no! Hai lasciato
Martha da cinque secondi e…»
Accennò una risata, amarissima. «Con Martha è andato tutto a rotoli da
quando ho iniziato a stare al tuo fianco ogni istante possibile.» Si accorse del
mio sguardo ostile e proseguì: «Non ti sto incolpando di nulla, sia chiaro. Sono
stato bene con Martha ma semplicemente non era quella giusta. Nessuna lo è mai
stata, tranne te, Lizzy».
«Io non so davvero cosa dire» ammisi, sconfitta.
«Nulla, tesoro. Non devi dire nulla.» Mi fece un lieve sorriso. «Ho pazienza,
ce l’ho da anni. Ho appena cambiato la mia vita per te, per dimostrarti che sei al
centro dei miei pensieri e sono pronto a corteggiarti come forse non ho mai fatto.
All’epoca mi era bastato chiederti di accompagnarmi al ballo.»
«Mi stai chiedendo il permesso?»
Scosse il capo. «No, ti sto solo dicendo che sarò al tuo fianco ancora come ho
fatto in questi mesi e come tu hai voluto che io facessi, ricordalo. Semplicemente
lo farò come un uomo che vuole conquistare la donna della sua vita, non come
l’amico d’infanzia.»
«Daniel, non sono pronta a una nuova relazione. Sono uscita distrutta dopo…»
Non potevo nominare Jack, non mentre lui si dichiarava come Jack aveva
sempre temuto e preannunciato.
«Dormiamoci su, domattina è un nuovo giorno e siamo in un posto
bellissimo.»
Già, un posto bellissimo. La vacanza perfetta che si stava trasformando in un
grande caos e ancora non avevo visto niente.

Dopo avermi accompagnato alla mia stanza e augurato la buonanotte con un


bacio sulla fronte, Daniel mi lasciò sola con i miei pensieri. Non richiamai i miei
amici e risposi al messaggio di mia sorella augurandole solo la buonanotte. Non
era il momento di chiedere consigli o sentire opinioni esterne: dovevo ragionare
da sola.
Con Daniel ero sempre stata bene, nonostante i periodi in cui lo avevo
allontanato dalla mia vita, ed erano comunque stati più numerosi gli anni di
amicizia. Avevamo mille ricordi condivisi, fin dall’infanzia. Era stato il mio
primo vero ragazzo anche se eravamo giovani, soprattutto io, ed era durata solo
pochi mesi. Nonostante la brutta rottura, non avevo mai pensato che al college
mi avesse tradita, avevo sempre avuto fiducia che si fosse fermato prima di farlo
o non mi avrebbe cercata nel cuore della notte per chiedermi di fare un passo
indietro e ripristinare la nostra amicizia.
Era vero che ero stata io a cercarlo al suo campus quando avevo trovato Jack
con Kristen nei camerini e poi nei mesi successivi lo avevo di nuovo allontanato,
per il quieto vivere della mia relazione a distanza che già era complicata da
gestire. Danny non aveva mai fatto mistero di trovare assurdo che volessi
impegnarmi rimanendo per mesi, forse anni, ai due lati dell’oceano. La sua
poteva essere la preoccupazione di un vecchio amico oppure semplice gelosia,
come credeva Jack.
Non avendolo mai del tutto perdonato dopo la nostra rottura, avevo finito per
non dare veramente una seconda occasione alla nostra vecchia amicizia. Tutto
era cambiato dopo la morte di mio padre quando Daniel, senza che lo chiedessi,
mi aveva dato prova del suo affetto e della sua capacità di non provare rancore
nonostante gli anni passati a crescere e vivere lontani. E cresciuti lo eravamo, lo
avevo scoperto proprio in quegli ultimi mesi: avevo di fronte un uomo e non più
un ragazzo, una persona con ideali e sogni ben definiti, non più solo abbozzati.
Dentro di lui, però, c’era sempre quel bambino che aveva promesso alla bimbetta
piangente di proteggerla sempre e così aveva fatto, quando ne aveva avuto
l’opportunità.
Il grosso problema era che non potevo scegliere io cosa gli altri dovessero
provare per me. Se fossi tornata indietro nel tempo, prima di conoscere Jack, la
dichiarazione di Daniel avrebbe smosso ogni mia difesa e probabilmente avrei
dato una seconda possibilità alla nostra storia. Se, d’altro canto, fossimo rimasti
solo amici fino alla mia partenza per il college e ci fossimo rivisti per un caffè,
forse sarebbe scattata quella stessa scintilla che ci aveva fatto baciare al ballo del
suo diploma.
C’erano mille scenari possibili e, forse Daniel aveva ragione, in molti di questi
non sarebbe stato così strano che fossimo stati insieme, addirittura conviventi o
sposati, in quel momento. Non avrei voluto allontanare Daniel, non di nuovo,
però non sapevo come affrontare la sua corte serrata. Non ne aveva mai avuto
bisogno, io lo adoravo e quando mi aveva baciata la prima volta ero caduta ai
suoi piedi.
Mi addormentai solo poco prima dell’alba e fu Daniel a svegliarmi, un paio di
ore dopo.
Gli aprii la porta in condizioni disastrose. «Non sono ancora pronta, stavo per
fare una doccia.» Mi morsi la lingua, temendo si sarebbe autoinvitato, forse
perché conoscevo solo il modo di Jack di provarci con me.
Lui invece si limitò a sorridermi. «Ti aspetto giù. Ho prenotato un’immersione
subacquea per me, te e Kimberly.»
Forse mi ero preoccupata inutilmente, sembrava tornato il solito Daniel e
avremmo trascorso la giornata insieme a mia sorella. Non sarebbe andata così
male, mi illusi.
22. Viktor
Jack

«Aspetta, Rick, non ho capito.»


Mi allontanai dal tavolo dei miei chiassosi colleghi. La cena del venerdì era
diventata una piccola festa e avevamo invaso quasi completamente la tavola
calda più vicina al set. Eravamo a buon punto con il lavoro e ci spettavano tre
giorni di pausa mentre sistemavano le nuove scenografie. Lo spazio era poco,
perché nel magazzino accanto avevano iniziato a girare Amore imprevisto, quindi
era necessario convertire l’appartamento di Jennifer in quello di Deacon, dove
erano in programma le nuove scene.
Uscii fuori. «Ripeti che non ho capito.»
«Daniel sta per fare la sua mossa.» Il suo discorso continuava a essere
incomprensibile.
«Di che diavolo parli?» Non era proprio il caso di farmi rovinare una
piacevole serata parlando di quell’idiota.
Rick sbuffò, come se fossi stato io a delirare. «Liz è andata in vacanza con
Margaret, Kimberly e Laura.»
«Ok, quindi?»
«Daniel stasera si è presentato a sorpresa» continuò.
«Rick, senti. Ho capito che secondo te la questione Instagram è stata un passo
falso e avevi ragione: Liz mi ha bloccato. Mi spieghi perché devi girare il
coltello nella piaga?»
«Perché è il momento! Rischi di perderla davvero!» si alterò.
«Adesso te ne preoccupi e prendi le mie parti, quando per mesi ti sei rifiutato
di aiutarmi a contattarla?» lo accusai, deciso a chiudere quella dannata telefonata
e tornare alla mia cena.
«Ti ripeto: devi fare qualcosa!»
«E cosa dovrei fare? Cercare di portarla via a chi ha lavorato anni per farlo e
alla fine c’è riuscito?» Mi bruciava l’orgoglio, e anche il cuore, però Liz aveva
rialzato quel dannato guscio ed ero stanco di lottare per abbatterlo.
«Allora proprio non mi ascolti: sono settimane che ti ripeto che non è come
sembra.»
«Si è perfino trasferito.» Mi prendeva per fesso?
«Non ho idea del perché ti abbia fatto credere di star uscendo con qualcuno.
Nel frattempo, Daniel si è trasferito e tu hai pensato che fosse lui il suo nuovo
ragazzo. Speravo ti avrebbe detto la verità, non stava a me smascherarla.»
«Aspetta.» Mi poggiai con la schiena al palazzo, vicino ai bidoni dei rifiuti.
«Mi stai dicendo che non sta con lui?»
«Non l’ha nemmeno sfiorata, che io sappia. Faceva il solito amicone e lei lo
teneva nella friend zone. Però stasera Liz ha chiamato Jessica per rivelarle
l’arrivo a sorpresa di Daniel.»
«Le corre dietro come sempre, perché pensi che ora…»
Rick mi interruppe. «Finalmente Liz ha capito le sue intenzioni e se lo ha
capito lei vuol dire che Daniel è diventato molto esplicito. Due minuti fa stava
raccontando che a tavola ogni scusa era buona per metterle la mano sulla
coscia.»
Imprecai.
«Quindi, che pensi di fare? La lasci in un resort da sola con lui, mentre crede
che tu vada a letto con Jennifer?»
«Manco morto. Se ha intenzioni di scegliere lui me lo deve dire in faccia.
Sempre che ci riesca.»

Avevo preso voli all’ultimo secondo e a qualsiasi orario, negli ultimi anni. Un
paio di volte ero tornato da Liz senza preavviso per farle una sorpresa, però
quello che avevo deciso di fare andava ben oltre. Era metà pomeriggio quando
raggiunsi il resort indicato da Rick, il problema fu convincere la signora alla
reception a dirmi il numero di stanza di Liz.
Nemmeno sapendole dire la data di nascita e il numero di previdenza sociale
di Liz riuscii a convincerla di voler fare una sorpresa alla mia fidanzata. Forse la
presi per sfinimento o forse fu l’intervento a mio supporto dell’anziana coppia di
clienti in attesa, riuscii almeno a farmi dire il numero del piano. Purtroppo quel
dannato albergo era gigantesco.
Vagai nel lungo corridoio per dieci minuti, poi ebbi l’illuminazione vedendo il
carrello delle pulizie abbandonato. Nascosi il bagaglio a mano dietro un vaso e
attinsi alle lunghe ore di studio sull’improvvisazione. Mi spogliai, rimanendo in
mutande, poi rubai un asciugamano dal carrello e me lo allacciai in vita. C’era
un ragazzo russo all’accademia e avevo imparato a grandi linee il suo accento.
Mi preparai e rimasi in attesa di veder uscire la donna delle pulizie dalla porta
aperta lì accanto. Erano in due, una molto giovane e una di mezza età, e non
reagirono bene a trovarmi mezzo nudo in corridoio.
«Scusa, mia fidanzata ancora piscina. Io non ricordare stanza, arrivato oggi da
Mosca per vedere lei.»
«Può tornare giù in piscina, no?» mi apostrofò la donna più anziana, con
sguardo diffidente.
«Anello per… matrimonio. Proposta, si dice? Devo prendere da valigia e
portare giù, sole sta scendendo. Tramonto romantico, da?»
La ragazza bionda, forse appena ventenne, mi rivolse uno sguardo sognante.
«Miriam, andiamo.» Purtroppo l’altra non si era convinta.
«Possiamo controllare sulla lista, se ci dice il nome. Non può essere un ladro,
dove avrebbe nascosto gli attrezzi?» La ragazza mi guardò dall’alto in basso,
soffermandosi per un lungo istante sull’unico attrezzo che potevo nascondere
dietro all’asciugamano, e non era di acciaio.
«Responsabilità tua» sbuffò la signora.
«Oh grazie, bella ragazza. Americane tutte simpatiche!» Forse stavo
apparendo davvero idiota ma speravo che servisse a farmi sembrare sprovveduto
e non malintenzionato. Le fornii il cognome di Liz e la ragazza controllò un paio
di fogli.
«512, in fondo al corridoio.»
In un eccesso di contentezza mi inginocchiai e le feci il baciamano, in ricordo
dei modi da gentiluomo del settecento di William. Rischiai di perdere
l’asciugamano, per fortuna lo afferrai in tempo.
La seguii e aspettai che usasse la scheda magnetica. «Grazie, grazie mille.»
«La tua ragazza è fortunata» sospirò, salutandomi.
Mi morsi la lingua per non risponderle che speravo davvero si sarebbe sentita
fortunata e non furiosa. Era tardo pomeriggio ma doveva essere in piscina o in
spiaggia, mi auguravo. La stanza infatti era vuota.
Attesi di veder scomparire il carrello delle pulizie nell’altro corridoio, poi
bloccai la porta con un posacenere in modo da non rimanere chiuso fuori e andai
a recuperare la mia valigia. Non avevo alcuna intenzione di andare a cercare Liz,
rischiavo di trovarla in compagnia di Danny-caro.
Un’ora dopo mi ero già stufato dei canali della tv via cavo e rischiavo di
addormentarmi, così decisi di fare una doccia.
Avevo appena chiuso l’acqua e stavo uscendo dal box, quando sentii la porta
aprirsi. Mi bloccai, facendo mente locale. Avevo messo la valigia nell’armadio e
avevo portato i vestiti con me, quindi Liz non avrebbe intuito la mia presenza
finché non fosse entrata in bagno o ne fossi uscito io.
«Ci vediamo giù per l’aperitivo.» L’idiota era entrato in camera con lei. La
tentazione di uscire nudo da lì era fortissima.
«Va bene, Danny. Grazie per oggi, anche Kimmy si è divertita tanto.» Almeno
non erano rimasti soli, mi consolai.
«Stasera però ti rapisco e ceniamo da soli.» Contaci, idiota.
«Ma ho già detto a Kimberly che…»
«Starà con le nostre madri, non è da sola. A dopo, tesoro.»
Liz non rispose e dovetti chiudere gli occhi e stringere i denti per non emettere
un suono. La stava baciando mentre io ero a due metri da loro? Danny-caro
aveva i minuti contati, poco ma sicuro.
Sentii chiudersi la porta della stanza e mi affrettai a passarmi l’asciugamano
addosso per raccogliere almeno le gocce. Stavo frizionando i capelli
velocemente, quando sentii una corrente d’aria e un urlo. Feci scivolare verso il
basso il telo che nascondeva la mia faccia e vidi Liz immobile, a occhi sgranati,
sulla soglia del bagno.
«Jack!» Emise un suono strozzato a metà tra sollievo e sorpresa.
«Ciao, Liz.» Sorrisi.
«Cosa… come…» boccheggiò. «Sei qui. E sei nudo!» Vidi il suo sguardo
scendere e risalire velocemente.
«Ti aspettavo e ne ho approfittato per fare una doccia, dopo il volo.»
Scosse il capo e si girò.
Infilai l’accappatoio bianco dell’albergo e la raggiunsi: era andata a sedersi sul
bordo del letto, le mani sulle tempie.
«Ti ho spaventata?» azzardai, vedendola ancora pallida.
Mi guardò, abbassando le mani. «Ho trovato un uomo nudo nella mia stanza
d’albergo, vedi tu.»
Mi trattenni dal ridere, non avrebbe apprezzato. «L’idea era aspettarti vestito, è
stata una fatalità.»
Fece uno strano sbuffo nasale.
«Non mi imbarazzo, tranquilla» ghignai, sedendomi accanto a lei. Sarei
rimasto nudo ma non era il momento giusto. Elizabeth aveva i capelli raccolti e
mezzi bagnati e indossava un copricostume blu semitrasparente. Brutto segno:
era stata in piscina o in spiaggia con il cretino.
«Jack, mi dici cosa ci fai qui?» domandò, confusa.
«Avevo una pausa sul set e ho pensato di passare a trovarti. Sarà divertente,
non credi?» Spudorato e paraculo, preferivo punzecchiarla che vederle in viso
quell’espressione vulnerabile e timorosa.
«Non so cosa dire.» Avrei preferito che la prendesse male, così sembrava
spaventata e non mi piaceva.
«Sei preoccupata che dia fastidio al tuo Danny?» Non riuscii a contenere il
sarcasmo.
«Non so come spiegarlo a mia madre e a Kimberly» evitò l’argomento ostico.
«Ci penso io, tranquilla. Dirò che mi sono autoinvitato, se è questo che ti
preoccupa.» Allungai una mano a sfiorarle un polso e lei si allontanò, alzandosi.
«In che stanza alloggi? E come hai fatto a entrare nella mia?»
«Ancora non ne ho presa una. Quanto all’altra domanda, meglio se non te lo
dico. Però sono soddisfatto della mia interpretazione di Viktor.»
«Il ragazzo che era all’accademia? Hai imitato di nuovo il suo accento?»
Scosse il capo, incredula.
«Ho lavorato un po’ di improvvisazione, per fortuna la cameriera più giovane
si è convinta. O forse ha aiutato il fatto che fossi praticamente nudo.»
Un lampo le passò nello sguardo, poi si ricompose. «Posso immaginare.
Quindi dove starai?»
Era il momento di testare la resistenza del suo guscio: battei la mano sul letto
matrimoniale su cui ero seduto.
«Dici sul serio?» Sgranò gli occhi.
«Che c’è? Danny-caro è geloso?»
«Cosa c’entra Daniel, noi non siamo…» Si voltò, una mano tra i capelli, a
sfogare la sua impazienza.
«Abbiamo dormito insieme anche prima di essere una coppia» le feci notare.
Tornò a guardarmi. «Appunto, prima! Adesso sarebbe…»
«So tenere le mani a posto, lo sai.» Mi allungai all’indietro nel letto,
poggiandomi sui gomiti.
Il suo sguardo seguì il mio movimento e la vidi arrossire. «Santo cielo! Puoi
chiudere quell’accappatoio?» Ecco la mia gattina combattiva! Tenere la cintura
lenta era stato un caso fortuito ma spaparanzarmi a gambe aperte un po’ meno.
Mi rimisi seduto, con tutta la calma del mondo e avvicinai i due lembi.
«Jack, ascolta. Non ti voglio mandare via dal resort, però devi trovare una
camera.» E lasciare che Daniel si infilasse nella sua? Manco morto.
«Mi vesto e scendo nella hall.» Se per qualche sventurata ipotesi non fossero
stati già al completo, mi sarei inventato qualcosa.
Mi alzai e mi avvicinai all’armadio dove avevo nascosto la valigia. Con la
coda dell’occhio vidi che Liz seguiva i miei movimenti. Aprii il trolley e cercai
una maglietta e un paio di jeans.
La sua mano bloccò la mia. «Lascia fare a me, mi sento male a vedere come
hai buttato tutto senza piegarlo.»
Avevo così fretta che non ci avevo fatto caso, non ero così imbranato come mi
piaceva fingere di essere quando stavo con lei. Il disordine faceva uscire il suo
lato ossessivo-compulsivo e diventava subito una maestrina che mi bacchettava.
Era terribilmente sexy. La osservai svuotare la valigia e ripiegare tutto con
velocità e precisione, lasciando sul letto un cambio da indossare.
«Non so come ho fatto senza di te in questi mesi» osservai, accorgendomi di
aver detto troppo, senza riflettere.
Liz si irrigidì e si allontanò. «Vado a fare la doccia.» Si chiuse in bagno e girò
la chiave nella toppa.
Un passo falso, una battuta fatta a cuor leggero ed ecco che aveva rialzato il
guscio. Non mi sarei arreso, eravamo solo al primo round.
23. Tra due fuochi
Elizabeth

Mi guardai allo specchio del bagno: ero stravolta. Il viso era arrossato non
soltanto per il sole preso in giornata e le mie pupille erano dilatate per effetto
della droga più potente per me: Jack.
Avevo urlato di paura trovando un uomo nudo nel bagno, poi mi ero
paralizzata sul posto. Quando dall’asciugamano era apparso un viso noto mi ero
sentita anche peggio, perché Jack era l’ultima persona che avrei immaginato di
trovare lì. C’era sicuramente lo zampino di Rick, in combutta con Jessica, che
era l’unica a conoscere il nome del resort.
Ero finita tra due fuochi, perché entrambi volevano giocarsi tutte le carte a
disposizione. Non c’era più alcuna cautela nei modi di Jack, era tornato quello di
un tempo. Daniel, dal canto suo, era stato sorridente e scherzoso per tutto il
giorno, usando però ogni scusa per stare a diretto contatto con me. I suoi
abbracci e le sue carezze erano tutto fuorché amichevoli, molto più simili a
quando eravamo stati una coppia, con una maggiore sicurezza di sé data dagli
anni di esperienza.
Scivolai sul pavimento, la schiena contro le fredde piastrelle. Come avrei
gestito entrambi, di fronte all’occhio critico di mia madre, al tentativo di Laura
di spingermi tra le braccia di suo figlio e al risentimento di mia sorella nei
confronti di Jack?
Dalla stanza sentii arrivare il suono della tv accesa, Jack non se ne era andato
e mi stava aspettando. Avevo appuntamento con Daniel entro un’ora, perciò
dovevo inventarmi qualcosa in fretta. Mi lavai e raccolsi i capelli umidi, poi
tornai in camera.
Jack era sdraiato nel centro del letto, la schiena contro i cuscini parzialmente
sollevati, e guardava una replica di una sit-com, a giudicare dalle risate registrate
del pubblico.
«Allora…» esordii. «Andiamo a cercarti una stanza?»
«Ho chiamato la reception mentre eri sotto la doccia. Prendere una stanza
singola per due notti ha una maggiorazione enorme sul listino e ho appena
comprato anche i due biglietti aerei…»
Sospirai, andando a sedermi sul bordo del letto. «Potrei farti cedere la stanza
di Kimberly e dormire io con lei.» Ci ripensai subito. «Però la sua singola
comunica con la doppia di mamma e Laura.»
Jack fece una smorfia e si mise seduto, finendo molto vicino a me. «Sarebbero
solo due notti, il letto è grande…» La sua vicinanza e il suo tono sussurrato non
stavano aiutando.
Mi alzai per mettere distanza tra noi e mi avvicinai allo specchio posizionato
sopra la cassettiera. Presi tempo sciogliendo i capelli per poi spazzolarli. Jack
apparve alle mie spalle e le sue mani si posarono sui miei fianchi. Ne avvertii
subito il calore attraverso la stoffa del vestitino leggero che avevo indossato.
Incrociai il suo sguardo nel riflesso dello specchio e fu la fine. I suoi occhi
scuri erano sempre stati la mia rovina, così espressivi da perdervisi dentro e io
stavo rischiando di nuovo di annegarci.
Poi la situazione peggiorò ancora, quando sussurrò: «Farò il bravo, Liz. A
meno che tu non voglia un po’ di coccole». Le sue mani scivolarono sul mio
ventre e trattenni il respiro. Era così vicino che le sue labbra accarezzavano il
mio orecchio a ogni parola. «Di qualsiasi tipo tu voglia. Per farti rilassare.» Il
movimento delle sue mani era lento, descriveva cerchi sempre più ampi, fin
quasi a sfiorare il seno da un lato e oltrepassare l’ombelico dall’altro.
«Jack» lo pregai, a corto di fiato.
«Posso stringerti a me tutta la notte o farmi usare come cuscino» continuò,
ignorando la mia preghiera. D’altronde non sapevo nemmeno io se chiedergli di
fermarsi o continuare.
«Posso accarezzarti e baciarti, se vuoi. Oppure lasciarti dormire senza
sfiorarti, anche se così rimarrò insonne a guardarti e desiderarti.»
Avevo il fiato corto, la gola secca, gli occhi lucidi e le guance arrossate. Il suo
torace sfiorava la mia schiena e non riuscii a resistere ad appoggiarmi a lui,
senza forze. Fu un grave errore, perché quel contatto completo mi diede la prova
della sua eccitazione e mi sfuggì un gemito.
Jack mi baciò il collo e sentii i miei occhi socchiudersi, sopraffatta dalle
emozioni. Da quanto non mi sentivo così? Da troppo tempo e resistergli era
difficile, non c’ero mai davvero riuscita. Fu solo quando la sua mano mi toccò
un seno che ripresi lucidità.
«Aspetta.» Mi liberai dal suo abbraccio e mi allontanai. «Non…» Avevo il
respiro accelerato e le gambe deboli. «Non possiamo, Jack.»
«Perché?» domandò, incrociando le braccia.
«Non complichiamo le cose. Se finiamo a letto insieme…» Feci una pausa
sentendo il mio cuore perdere un battito all’idea. «Non risolviamo nulla.»
«Vuoi prima liquidare Daniel, capisco. In fondo, è proprio da te essere così
corretta anche quando non è necessario.»
Sgranai gli occhi di fronte alla sua sicurezza, era tornato il Jack supponente e
arrogante di quando c’eravamo conosciuti al college. «Fammi capire, pensi che
sia tornato tutto come prima, per magia?»
«Non sto dicendo questo, Liz» disse con durezza. «Ora sono qui e non me ne
vado, a meno che tu non mi dica di farlo.» Alzò una mano per farmi segno di
aspettare. «Però ti avviso che me ne andrò solo se saprai dimostrarmi che con lui
sei felice, che per me non provi nulla e che vuoi che io vada avanti con la mia
vita senza di te.»
Scalare l’Everest a mani nude, iniziare la dieta il lunedì prima di Natale e
vincere il Pulitzer alla mia prima pubblicazione sarebbero state cose più semplici
da raggiungere. Il discorso di Jack era assurdo e faceva male in così tanti modi
che non sapevo nemmeno elencarli. «Mi sembra che tu sia già andato avanti.»
«Non era quello che volevi? Mi hai perfino negato ogni possibilità di
chiamarti, cambiando numero.»
No, gli avevo negato la possibilità di ferirmi ancora e non ero andata davvero
avanti, avevo solo ricomposto i pezzi in cui mi ero frantumata. «Le nostre
telefonate erano piene solo di discussioni e di promesse infrante.»
«Ora sono qui e possiamo parlare di persona, o hai così fretta di trovarmi una
sistemazione perché aspetti Daniel nel tuo letto, anche stanotte?»
Diventai livida di fronte alle sue insinuazioni. In parte era colpa mia perché
non avevo mai corretto l’equivoco e lui credeva che uscissi con Daniel, però non
poteva credere che sarei finita a letto con un altro dopo pochi mesi. «E tu da
quale letto sei uscito prima di arrivare qui?» Non avrei mai dimenticato quella
maledetta foto nel letto con Jennifer.
Scoppiò a ridere. «Sei davvero gelosa di una foto di scena?»
«L’hai pubblicata per farmi del male e adesso ridi di me?» lo accusai,
piantando l’indice sul suo petto.
Approfittò della vicinanza per posarmi una mano sul fianco. «Non ho nulla da
nascondere, è stata Jen a pubblicarla, per ottenere proprio questa reazione.»
«Quindi siete davvero insieme o è solo pubblicità?» Ero sempre più confusa e
arrabbiata.
«Tu stai uscendo con Daniel?» Rigirò la domanda.
Sospirai e scossi la testa. «Vedi, non riusciamo a comunicare. Solo litigi e
recriminazioni.»
Si allontanò di un passo, squadrandomi pensieroso. «Sei gelosa di Jennifer. Io
non ho problemi ad ammettere che vorrei staccare le palle a Daniel da quella
volta che l’ho trovato nel tuo letto.»
Sempre lì finivamo, non ci potevo credere! «Adesso basta, Jack. Non
rivangare ancora quella dannata notte per ferirmi. Non voglio più sentirti fare
queste allusioni, sono offensive! Come te lo devo dire che non ti ho tradito?» La
mia improvvisa sfuriata lo sorprese e rimase in silenzio, colpito.
Ripresi il controllo, abbassando il tono. Mi avvicinai al letto per sedermi,
prima di continuare. «Mio padre era appena morto, ero così sotto shock che per
ore non ho nemmeno pianto mentre facevo forza a mia madre e abbracciavo mia
sorella.»
«Liz.» Venne a sedersi vicino a me, dispiaciuto.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani, che giocavano con un filo tirato del
copriletto. «Sono andata a dormire dopo aver ricevuto il tuo messaggio
dall’aeroporto» ricordai, mesta. «Lì al buio della mia stanza sono esplosa in
singhiozzi, credo di aver sfiorato un attacco di panico.» La mano di Jack mi
sfiorò le dita e lasciai che la intrecciasse alla mia. «Daniel si era fermato a
dormire sul divano e doveva essere in bagno quando mi ha sentita.»
Jack sospirò e la sua mano strinse più forte la mia. Avrebbe voluto esserci lui,
lo sapevo.
«Mi ha lasciata piangere per così tanto tempo da inzuppargli la maglietta, per
questo deve averla tolta.» Volevo chiarire ogni punto oscuro di quella notte,
anche quelli di cui non avevamo mai parlato. «Poi sono crollata sfinita ed è
rimasto lì con me.»
«Io vi ho trovati così, la mattina dopo» sussurrò.
Alzai lo sguardo a incrociare il suo. «Non ero nuda, lo hai visto. Non avrei
mai fatto nulla con lui, tantomeno nella notte peggiore della mia vita.»
«Sai cosa mi ha distrutto?»
Scossi la testa in segno negativo, ricordavo solo di essermi svegliata al suono
della voce di Jack e di essermi gettata tra le sue braccia, incurante di tutto.
«Avevi la mia maglia, quella dei Muse. La indossavi solo quando sentivi
troppo la mia mancanza perché ormai era così rovinata da rischiare di sciogliersi
al lavaggio successivo.» Non lo ricordavo, però era probabile che lo avessi fatto
senza pensarci. «Avevi bisogno di me e io non c’ero. Ecco cosa mi ha distrutto,
più di tutto il resto. Quella notte si è creata una crepa nel tuo cuore e Daniel l’ha
tamponata, diventando sempre più importante per te.» Era strano sentirlo parlare
con tale serietà, senza critiche o accuse velate.
«Jack, non dare la colpa a Daniel. Tu sei tornato a Londra.»
Non disse nulla, ritrasse la mano lasciandomi vuota senza il suo calore. Poi si
alzò e si avvicinò al balcone. «Non mi perdonerai mai di aver seguito la mia
carriera sacrificando la nostra storia.»
«Non è questione di perdonarti, ho bisogno di costruire la mia vita senza
sentirmi sempre in attesa di un tuo ritorno, di coordinare fusi orari per le
telefonate, di prenotare viaggi aerei e…»
Si girò verso di me, rianimato. «Ora sono qui, però. Siamo solo a poche ore di
distanza e tra poche settimane avrò finito di girare.»
«Non è così semplice.» Avevo una dannata paura di soffrire di nuovo, il mio
guscio era appena tornato forte abbastanza da permettermi di riprendere in mano
le redini del mio futuro.
Jack fece un sorriso strano, quasi una smorfia. «Devo combattere sia sul set
che nella vita con un fidanzato di troppo.»
Stavo per rispondere che non era così, che io e Daniel non avevamo una storia,
quando qualcuno bussò alla porta. Mi alzai dal letto, pregando che la tv ancora
accesa avesse coperto la nostra conversazione. «Arrivo, un secondo» presi
tempo, facendo segno a Jack di andare in bagno.
Non parve per nulla intenzionato, così dovetti trascinarcelo per mano.
«Ricordati che da qui sento tutto» mi ammonì mentre gli chiudevo la porta in
faccia.
Aprii la porta, con il cuore in gola, cercando di dissimulare il mio nervosismo.
«Cos’è questa storia che vai a cena da sola con Daniel?» Era Kimberly, ma
non potei sospirare di sollievo perché tenerla sulla porta era escluso. La lasciai
entrare e mi preparai al peggio. La valigia di Jack era nell’angolo e le sue scarpe
vicine al letto.
«In verità, i piani per stasera sono un po’ confusi…» iniziai a prepararla.
Mia sorella si sedette sul letto e notò subito un paio di scarpe che non erano
certo mie. La vidi guardarsi attorno e trovare subito la valigia estranea. «Daniel
dorme con te?»
«No! Certo che no. Come ti viene in mente?» Ero così nervosa che la mia
voce suonò stridula.
«Ma allora…» Sgranò gli occhi. «È arrivato Rick?»
Prima che potessi spiegarle la situazione, la porta del bagno si aprì e comparve
Jack. «Ciao, Kimmy.»
«Come…?» Kimberly guardò me e di nuovo Jack, poi tornò a rivolgersi a me.
«Siete tornati insieme e non me lo hai detto?»
«Non è come pensi.» Scossi il capo, temendo che sarebbe stato difficile
spiegarle ciò che nemmeno io avevo capito.
«Sono tornato da Londra da qualche settimana e ho pensato di fare una
sorpresa a tua sorella, abbiamo un po’ di cose di cui parlare» le spiegò Jack.
Kimberly scelse di ignorarlo e si rivolse a me. «Fai come vuoi, se vuoi
riprendertelo, però non portarlo a casa da noi.» Uscì senza aggiungere altro e
vidi riflesso negli occhi di Jack il mio stesso dispiacere.
«Non l’ha presa molto bene, magari provo a parlarle dopo» propose.
«Conosco mia sorella e mi gioco quello che vuoi che ora è corsa da Daniel,
sperando che ti prenda a calci come lei non si è disturbata a fare.»
Jack schioccò la lingua e si avvicinò. «Sta a te, Liz. Vuoi che me ne vada per
non farti litigare con lui?»
«Non lo so, Jack. Non ci capisco più nulla» ammisi, sedendomi sul letto.
Forse se avessi chiuso gli occhi e mi fossi addormentata, al risveglio avrei
scoperto che la mia vacanza era ancora un’oasi di relax senza intromissioni
esterne.
Bussarono di nuovo alla porta, stavolta con maggior vigore: avevo indovinato.
Feci segno a Jack di aprire, tanto ormai la bomba sarebbe esplosa. Lui sorrise e
si stampò in viso un’espressione indolente e scocciata: stava per andare in scena,
lo conoscevo bene.
Qualche secondo di silenzio per metabolizzare la sorpresa, poi Daniel scansò
Jack ed entrò. «Che diavolo ci fa lui qua?» domandò, fuori di sé.
Jack chiuse la porta, ostentando tranquillità. «Le ho fatto una sorpresa. Vero,
miciotta?»
«Non sto parlando con te!» ruggì Daniel, poi si rivolse di nuovo a me. «Lizzy,
mi spieghi per cortesia?»
Ero rimasta in silenzio a guardare la scena come se non mi riguardasse. Non
sarei stata in grado di disinnescare quei due, lo sapevo già. Mi alzai dal letto e
sistemai il vestito, poi mi schiarii la voce. «A quanto pare, entrambi siete qua per
dimostrarmi qualcosa.»
«E cosa avrebbe lui da dimostrarti? Che è bravo a portarti a letto e poi lasciarti
sola?» Daniel indicò Jack che se ne stava a braccia incrociate, fingendo distacco.
«Hai deciso che quattro anni a fingerti il suo migliore amico erano
sufficienti?» lo schernì Jack.
Daniel scosse la testa. «Ancora con questa storia! Ti fa solo comodo crederlo
per non sentirti la merda che sei stato ad averla abbandonata per la tua carriera.»
Jack calò la maschera di indolenza e si irrigidì, avanzando di un passo verso
Daniel. Erano a meno di mezzo metro di distanza, non sarei più riuscita a
mettermi in mezzo fisicamente senza venire schiacciata. «Meglio lasciarla per
scoparti le matricole e aspettarti che lei ti riprenda quando ti stanchi, come hai
fatto tu?»
Daniel fece una smorfia di disgusto. «Non sai niente di noi, niente. Hai solo
cercato di convincerla ad allontanarmi e non ci sei riuscito.»
Jack finse di ridergli in faccia. «Non cantare vittoria solo perché ti sei cibato
come un cazzo di condor di una relazione in crisi.»
«Vi rendete conto che sono qui e vi sento?» Ripresi sufficiente lucidità per
intervenire. Mi guardarono entrambi e rimasero in silenzio. «Voglio solo che vi
sia chiaro che non siete a un duello e io non sono un premio. Non voglio una
relazione, voglio solo tranquillità.» Li vidi pronti a intervenire, ma li bloccai
alzando una mano. «Ora vado da mia sorella, perché devo parlarle. Se pensate di
fare i cavernicoli e rompervi la faccia e i mobili, vi avviso che le spese andranno
sulla carta di credito di mia madre e lei vi farà a fette entrambi.»
Mi avvicinai alla porta e Jack mi bloccò, sfiorandomi un gomito. «Aspetta,
non andartene.»
Déjà-vu: mi sembrò di tornare indietro di mesi, a quel terribile venerdì.
«Non sto andando all’aeroporto stavolta, parleremo quando la smetterete di
fare a gara a chi mi ha ferita di meno.»
24. Il venerdì nero
Jack
Quattro mesi prima

«Ero convinto che Londra fosse tutta vita e ti ritrovo qua a vegetare sul divano.»
Teo si sedette accanto a me, dandomi una leggera gomitata.
Ero rientrato dalle prove da pochi minuti ed ero esausto, lo spettacolo sarebbe
andato in scena per l’ultima volta quel fine settimana. Avevo già il biglietto
aereo prenotato per il martedì, mi ero riservato un solo giorno per impacchettare
le mie cose da spedire.
«Sono troppo stanco, non mi fermo da mesi. E poi non me ne frega un cazzo
di uscire.»
«Credevo che passare a trovarvi qualche giorno sarebbe stata una figata.
Invece tu sei intrattabile, Ethan è chiuso in camera a studiare e i gemelli sono in
tour con il nuovo spettacolo.»
Sbuffai, alzando i piedi sul tavolino da caffè per mettermi più comodo. Tre
anni e mezzo e non avevamo mai cambiato quell’orribile divano, sarebbe stato la
prima cosa a non mancarmi di Londra. «Non ti lamentare. Hai trovato dove
dormire all’ultimo momento, senza andare in albergo.»
«Sì, però è un mortorio! A quest’ora a Milano sarei stato a fare l’aperitivo sui
Navigli. Tu non festeggi, oltretutto? Oggi a casa tua è il giorno del
Ringraziamento.»
Mi massaggiai la fronte, sentendo arrivare il mal di testa. «Se ti porto a bere
qualcosa e scatti una delle tue foto leggendarie per Instagram, poi mi lasci
andare a dormire?»
«Aggiudicato!»
Non ero dell’umore per uscire, però Teo sapeva essere una spina nel fianco
quando ci si metteva e il rischio che intuisse la causa del mio malumore era alto.
Non mi andava di raccontare i fatti miei, soprattutto perché erano passate poche
ore dalla discussione con Liz. Era già capitato in passato, anche se non con toni
così accesi di risentimento. Per fortuna sarei rientrato dopo pochi giorni.
La mia idea era portare Teo al pub, berci qualcosa e poi rientrare presto. Non
avevo fatto i conti con la sua capacità di socializzare anche con i muri e con
l’arrivo di Ethan. Mi stavo per defilare verso le dieci e mezza, quando gli altri
decisero di rientrare nel nostro appartamento, portando anche un paio di amici e
una mezza dozzina di ragazze. Non appena Teo accendeva la fotocamera per
girare i suoi vlog da caricare su YouTube, era automatico che venisse
accerchiato.
«Che hai stasera?» Ethan mi raggiunse in cucina mentre il salotto era già un
caos.
«Ho litigato con Liz.»
Il mio amico annuì e poi si avvicinò alla dispensa. «Qui serve il whisky del
nonno.»
Quando c’erano ospiti, non lasciava mai uscire dalla dispensa una delle
bottiglie della distilleria di famiglia. Dovevo avergli fatto davvero pena, magari
un goccetto non mi avrebbe fatto male. Il bicchiere che mi versò era un po’ più
pieno di quanto mi sarei aspettato, considerando che avevo già bevuto due birre
e avevo saltato la cena. Era il caso di andarmene dritto a letto.
«Aspetta, Jack! Devi aiutarmi.» Teo mi trascinò sul divano e accese la sua
videocamera. «Ho avuto un’idea fantastica: un’intervista doppia tra te che sei
americano e vivi a Londra da anni e Melanie che è nata qui ed è appena rientrata
dopo aver studiato a Yale.»
Teo era sempre così entusiasta e simpatico che finiva a convincere anche i più
riluttanti, perciò l’intervista fu tutto sommato divertente.
Il problema arrivò quando ci chiese di pazientare qualche minuto, il tempo di
caricarla sul suo pc e controllare che fosse tutto in ordine. Melanie raggiunse le
sue amiche in terrazza e io rimasi sul divano, sentendo scendere l’euforia e salire
la sonnolenza. Non avevo la minima idea di quanti gradi avesse il whisky del
nonno di Ethan, di certo non pochi.
Qualcuno mi scosse con forza e aprii gli occhi. Vedevo un po’ annebbiato,
però avevano spento quella dannata musica.
«Jack, alzati.» Teo era serio, mi sarei allarmato per quella stranezza, se fossi
stato lucido.
Qualcuno mi aveva aperto la camicia, riabbottonandola storta, o forse ero stato
io perché sentivo caldo per l’alcol ingerito.
«Jack» parlò a voce bassa, ma riconobbi subito la sua voce, nel silenzio che
era calato.
«Liz?» Avevo la bocca impastata e mi alzai a fatica.
«Sei ubriaco?» Teo finalmente si scostò e Liz apparve davanti a me. Aveva il
viso stanco, doveva essere appena arrivata dall’aeroporto e per lei era come se
fosse già mattina, considerando il fuso orario.
Non mi aveva detto nulla! La sorpresa mi fece sorridere. «Sei qui.»
Dovevo aver assunto un’espressione ebete perché lei scosse la testa. «Avete
festeggiato il Ringraziamento, per caso?»
Fu Ethan a intervenire, vedendomi un po’ in difficoltà. «No, abbiamo solo
invitato qualche amico.»
La reazione di Liz non fu delle migliori. Si guardò in giro e dovette registrare
la quantità di bottiglie e bicchieri sparsi e il caos che regnava da tutta la
settimana. «Non volevo interrompervi.»
Si girò e recuperò il trolley per dirigersi verso la mia stanza.
La seguii, dopo aver preso una pacca sulla spalla da Teo. «Vai e chiarite, mi
sembra un po’ provata dal viaggio.»
Entrai nella mia stanza e chiusi la porta. Liz era seduta sul letto sfatto e mi
guardava. «Quanto hai bevuto?»
«Ethan…» Mi massaggiai gli occhi. «Mi ha offerto il whisky di suo nonno.»
«Qui è così tutte le sere? Oggi è solo giovedì, domani hai lo spettacolo.»
Il suo tono mi irritò e il mal di testa era diventato ormai lancinante. «Teo è
tornato a trovarci e sai come fa, socializza molto.»
«Non solo lui, vedo.» Indicò con il mento la mia camicia.
«Credo di aver avuto caldo prima di crollare sul divano» spiegai, andando a
sedermi accanto a lei. Era surreale averla lì e non averla ancora baciata,
soprattutto perché non ci vedevamo da due mesi. «Liz, mi dispiace per quello
che è successo oggi. O era ieri, che ore sono?»
«È passata da poco la mezzanotte, è venerdì.»
Mi passai una mano sul viso e notai una traccia rossastra sulla punta delle dita.
«Mi faccio una doccia così mi riprendo e torno da te, va bene?»
Liz bloccò la mia mano, esaminando il rossore e poi girò il mio mento verso di
lei. «Perché hai del rossetto sulla guancia?»
«Il video di Teo.» A chiusura dell’intervista ci aveva chiesto un saluto finale e
Melanie mi aveva stampato un bacio sulla guancia, lasciandomi tracce del suo
rossetto.
«Fammi capire bene.» Si alzò, mettendo distanza tra noi. «Mi hai fatto una
scenata perché ero a casa di amici di famiglia, con mia madre e mia sorella. E tu
trascorri le serate così?»
«Liz, dai. Io non volevo uscire né invitare gente.»
«E io non volevo rimanere da sola nel primo Ringraziamento senza mio
padre!» Le si ruppe la voce, era sull’orlo delle lacrime.
«Vieni qui, amore.» Allungai la mano, ma non si avvicinò.
«Hai dimenticato la telefonata?»
«No» sospirai. «Lo so, abbiamo dato il peggio.»
«Non ce la faccio più, Jack.» I suoi occhi erano sempre più colmi di lacrime
trattenute.
«Ce l’abbiamo già fatta, Liz. Martedì ripartiamo insieme.» Sorrisi, alzandomi
per avvicinarmi.
«E poi?» Mi bloccò, mentre la prima lacrima scendeva fino al mento.
«Ne dobbiamo parlare adesso? Siamo esausti e io ho bevuto troppo.»
«Fatti una doccia, ti aspetto a letto.»
Dieci minuti dopo mi infilai al buio nel letto, cercando il corpo di Liz. Mi
strinsi a lei e sospirai, di sollievo. «Ti amo.»
La sentii piangere e accesi la luce. «Che c’è?»
Si mise seduta. «Ho sbagliato» singhiozzò.
Mi gelai, temendo di sentire qualcosa di tremendo. Soprattutto se riguardava
anche Daniel. «Di cosa parli?» Il mio tono duro le fece trattenere il fiato.
«Avrei dovuto chiederti di non partire. Io…» Un altro singhiozzo.
«Cosa vuoi dirmi?» incalzai, sedendomi a mia volta.
«Questi mesi sono stati un inferno, Jack. Non ho voluto fartelo pesare, ma
avevo bisogno di te.»
«C’era Daniel, no?» mi sfuggì, d’istinto, e me ne pentii quando la vidi
irrigidirsi.
«Stai pensando che sia andata a letto con lui.»
Non fui abbastanza reattivo a mentire per il quieto vivere.
Si liberò delle coperte e si alzò, il viso stravolto dalle lacrime e gli occhi rossi
dal pianto e dalla stanchezza. Venni distratto solo qualche secondo dal suo corpo,
era solo in mutande e reggiseno, non aveva nemmeno aperto il suo bagaglio a
mano per cercare il pigiama.
«Tu riesci a pensare solo a quello. Che Daniel mi porti a letto, che io ti
tradisca. Ti rendi conto che mio padre è morto sul colpo tre mesi fa, che mia
sorella ha problemi a scuola e che mia madre è sotto antidepressivi? Secondo te
io posso aver voglia di fare sesso con chi sta cercando di aiutare la mia
famiglia?»
«Liz, aspetta.»
«No! Non ce la faccio più! Da quando sei partito hai fatto scenate di gelosia,
hai avuto orari folli, abbiamo passato anche quarantotto ore senza sentirci.»
Erano state settimane intense. «Hai ragione, scusami. Però era il mio primo
spettacolo da protagonista, ho girato tutti i teatri di Londra e dintorni.» Era
assurdo che dovessi spiegarle ancora quell’enorme opportunità.
«Le ultime tre date, in replica, aggiunte all’ultimo. Nemmeno a quelle hai
rinunciato. Hai un sostituto, i critici ti hanno già visto e recensito il mese
scorso.» Si asciugò le lacrime con rabbia, le tremava la mano. Era distrutta,
sembrava così stanca e così sofferente, però continuava a lottare.
«Amore, ascoltami. Ne riparliamo domattina, ora non siamo lucidi.»
«Torna a casa con me, domani.»
Mi lasciai andare nel letto, non c’era speranza di farla ragionare. «Quattro
giorni e ripartiamo insieme. Puoi aiutarmi a fare gli scatoloni, ancora non ho
iniziato.»
«Domani, Jack.» Suonò come un folle ultimatum.
Non avevo più la forza di discutere. «Vieni a dormire, dai.»
Mi guardò per un lungo istante e non l’avevo mai vista così: non sembrava
nemmeno la mia Liz. Poi si riscosse, spense la luce e tornò sotto le coperte.
«Alla luce del sole sembrerà tutto migliore, te lo assicuro» sussurrai,
prendendola tra le braccia.
Mi addormentai quasi subito, ma venni svegliato da Liz che tornava in
camera, doveva essere andata in bagno. «Che ore sono?»
«Non è nemmeno l’alba.» Tornò a letto.
L’effetto dell’alcol era svanito e mi resi finalmente conto di che bastardo
fortunato ero. Mi aveva fatto una sorpresa bellissima e ora era nel mio letto.
«Già che siamo svegli…» Le slacciai il reggiseno e iniziai a baciarle la schiena
nuda, mentre era sdraiata sul fianco.
Si girò di scatto e si avventò sulla mia bocca, fu un bacio inaspettato e
disperato. Stavamo sfogando la tensione e la nostalgia.
A volte ci prendevamo tutto il tempo del mondo, anche quello che non
avevamo, per fare l’amore; altre volte, come quella notte, vinceva la passione
che assumeva le sembianze di un rapporto veloce, arrabbiato e intenso da
lasciare senza fiato.
Era come se non fossimo mai vicini abbastanza, nemmeno con i corpi sudati e
incastrati. Si aggrappò forte alle mie spalle, con le unghie. Recitò parole
sconnesse, preghiere e gemiti. Con me, Liz si lasciava sempre andare, ma quella
volta fu ancora più intenso. Mi sentii davvero a casa solo dentro di lei, quando
mi strinse forte al suo seno, come se non volesse lasciarmi andare mai più.
«Quanto mi sei mancata.» La baciai, mentre ancora eravamo scossi
dall’orgasmo.
«Torna a casa con me, Jack. Ho bisogno di te, come l’aria. Ti amo così tanto,
ma non voglio più soffrire così. Non voglio più litigare ogni giorno.»
«Ora andrà meglio» promisi, baciandole le palpebre, il naso, le guance, le
labbra schiuse.
«Ho bisogno di un segno. Stavolta scegli me. Credo in te e nel tuo talento,
però ora ho un bisogno disperato di essere egoista.»
«Liz, certo che scelgo te. Non essere irrazionale, ci godiamo Londra per
qualche giorno insieme e poi torniamo a casa.»
Non disse più nulla.
Ci riaddormentammo e al mio risveglio il letto era vuoto e freddo. La sua
valigia era sparita.
«Ethan!» urlai, correndo in salotto.
Teo stava sistemando il caos della festa improvvisata. «Che succede?»
«Hai visto Liz?» chiesi, con il cuore in gola. Non poteva essere partita, forse
la valigia era sotto il letto e non avevo controllato. Magari era uscita a comprare
la colazione.
Tornai in camera e la setacciai.
Ethan apparve sulla soglia con sguardo funereo. «C’era questo biglietto in
bagno, per te.»
Lo aprii, pur non volendo farlo, perché avevo già intuito il contenuto.

Non voglio più sentirmi seconda al tuo grande amore, la recitazione. Speravo tu
avessi capito la mia sofferenza, dopo tutti gli anni passati ad aspettare il tuo
ritorno. Hai fatto una scelta e io ho fatto la mia. Per quanto possa valere, ti
auguro il meglio, perché lo meriti e perché l’amore vince sui ricordi dolorosi. Ti
chiedo solo di lasciami trovare la mia strada e non cercarmi.

Pazza, testarda, irragionevole Liz. L’amore della mia vita aveva sofferto
troppo in quei mesi e non me ne ero accorto. Avrei rimediato, mi illusi.
25. Buonanotte
Elizabeth

Kimberly mi ascoltò rimanendo in silenzio tutto il tempo, cosa inusuale per lei.
Avevo temuto che non mi avrebbe fatto entrare nella sua stanza, invece si era
limitata a guardarmi e scuotere la testa, poi aveva lasciato la porta aperta e si era
seduta a gambe incrociate al centro del letto.
«Quindi chi scegli?» domandò alla fine.
«Non ho intenzione di fare nessuna scelta.» Mi alzai per andare alla
portafinestra e guardare il tramonto. «Se non quella di credere in me stessa.
Perché non posso e non voglio più fare affidamento sugli altri. Ho aspettato che
Jack tornasse, mi sono appoggiata a Daniel nel lutto. In questo momento voglio
amici a camminare con me, non stampelle a cui appoggiarmi per non faticare.»
Mia sorella mi raggiunse per abbracciarmi. «Sono fiera di te. E comunque…
c’è sempre Rick, no?»
Scoppiai a ridere, mentre ricambiavo l’abbraccio. «Non potrei mai avere una
storia con lui. Poi so che hai una cotta per lui, anche se è un po’ grande.»
Kimberly sciolse l’abbraccio. «Non ho una cotta! Però non ci sarebbe questa
gran differenza di età.»
Le sorrisi. «Mentalmente no, hai ragione. Rick certe volte sembra rimasto al
liceo, soprattutto quando parla della sua collezione di action figures.»
Avrei giurato di averla vista arrossire, mentre si affrettava a cambiare
argomento.
«Credi che i tuoi due pretendenti si siano uccisi? O forse hanno scoperto che il
loro odio era in realtà altro e…»
«Non dirlo nemmeno per scherzo! Mancherebbe solo questo agli scherzi del
destino, già a volte mi sembra di essere vittima di una penna sadica, per le cose
che mi sono successe.»
«Intendi lo spettacolo teatrale con spogliarello, il fatto di esserti innamorata di
Jack come Catherine di William, la ricomparsa del tuo ex oppure la partenza di
Jack?»
Guardai mia sorella e scoppiammo a ridere entrambe. «Tutte? E non parliamo
del fatto che mi ritrovo con due papabili fidanzati, uno di troppo senza volerne
nessuno.»
«Ora il problema è come gestirli da stasera a lunedì mattina.»
«Speravo avessi tu qualche idea brillante.» Congiunsi le mani in preghiera.
Non riuscimmo a trovare una soluzione perché, pochi minuti dopo, nostra
madre bussò alla porta comunicante.
«Lizzy, che fai qui?»
«Due chiacchiere con Kimmy?» uscì come una domanda.
«Daniel dov’è?» Apparve Laura alle sue spalle.
«Con Jack.» Kimberly lo disse con ostentata tranquillità.
«Cosa?» Mia mamma sembrava confusa e Laura aveva gli occhi sgranati.
«Jack aveva qualche giorno di pausa dal set e mi ha fatto una sorpresa.»
«Tu e Jack…» Mia madre scosse il capo per riprendersi. «Siete tornati
insieme?»
«Daniel si è appena proposto!» squittì Laura, indignata.
«Piuttosto, mi aiutate a evitare che si ammazzino, se non lo hanno già fatto?»
«Si sono incontrati?»
«Mamma, ecco, diciamo che potrei averli lasciati da soli in camera mia…»
«Elizabeth! Andiamo subito.» Chi l’avesse vista in quel momento non avrebbe
mai immaginato la crisi dei mesi precedenti: era tornata la Margaret inflessibile e
autoritaria.
Mi precedette verso la mia stanza, poi si fece passare la scheda per aprirla.
Jack era seduto sul letto, da solo, e la camera sembrava ancora in buone
condizioni.
Si alzò, vedendoci sulla porta. «Margaret!»
«Vedo che sei tornato, Jack.» La freddezza di mia madre sembrò colpirlo.
Alle mie spalle, Kimberly chiuse la porta, dopo aver fatto entrare anche Laura.
«Sì, definitivamente.» Mi guardò, mentre lo diceva.
«Maggie, non avrai intenzione di dare la tua benedizione a questa cosa»
sussurrò la sua amica, con un tono però udibile da tutti.
«Elizabeth è adulta e farà la sua scelta» decretò mia madre, ferrea. «Però non
voglio vedere scenate a tavola stasera. Mi sono spiegata?» Guardò prima Jack e
poi me, aspettando i nostri cenni di conferma, prima di andarsene.
Laura uscì indignata dalla stanza, seguita da mia sorella che si stava
trattenendo dal ridere.
Rimasti da soli, Jack sospirò. «Ho il sospetto di essere uscito dalle sue grazie.»
Sorrisi, non trattenendomi. «Mi dispiace… solo un po’. Non avrei mai pensato
che mi sarebbero mancate le sue strigliate.»
«Sono felice che sia tornata in sé.»
Il discorso cadde a un punto morto, poi dovetti fare la domanda: «Daniel è
ancora tutto intero?».
«Se n’è andato quasi subito, non aveva ragione di parlarmi se non c’era
pubblico.» Non si sarebbe mai fatto mancare l’ennesima frecciatina, si era quasi
trattenuto per i suoi standard.
«Sei sicuro di voler partecipare? Ci aspetta la cena più imbarazzante e
improbabile di sempre.»
Sorrise con quel ghigno che ben conoscevo e che faceva presagire il peggio.
«Jack» lo pregai.
«Tranquilla, miciotta. Stasera sarò impeccabile, vedrai.»

Fu un totale disastro, peggiore perfino di quel pranzo di famiglia con le mie due
cugine che si erano passate lo stesso uomo e una parlava del divorzio mentre
l’altra raccontava dei preparativi del matrimonio.
Purtroppo Kimberly non aveva fatto in tempo a sedersi accanto a me, come da
accordi. Così mi ero ritrovata, nel lato corto del tavolo rettangolare, tra Jack e
Daniel, che sedevano uno di fronte all’altro. Mia sorella era finita accanto a Jack,
mia madre all’altro capotavola e Laura di fianco a suo figlio. Già alle ordinazioni
iniziò lo spettacolo.
«Lizzy, ci dividiamo una frittura di pesce come ieri?» Daniel si sporse verso di
me, mostrandomi il menu, anche se ne avevo uno aperto davanti.
«Non ti facevano impressione le cose molli un tempo?» La battuta di Jack
gelò i presenti. «O adesso apprezzi il polpo?»
«Credo prenderò il salmone» decretai, chiudendo il menu con uno scatto
secco.
«Ecco la classe da attore, un vero gentiluomo» bofonchiò Daniel.
«Hai detto qualcosa?» Jack sorrise, con strafottenza.
«Kimmy, racconta a mamma della nostra immersione di stamattina!»
intervenni.
Al quinto tentativo di bloccare i rimbecchi tra quei due, ero ormai esausta.
Non riuscivo nemmeno a mangiare.
«Quindi, Jack» iniziò Daniel, ripiegando il tovagliolo con cura, «hai
abbandonato il teatro per la tv perché ti pagano di più?»
«Non si recita solo per gli zeri sul contratto, non è un lavoro d’ufficio.»
«No, infatti. Troppo noioso mettere su radici ed essere vicino ai tuoi cari, no?»
Kimberly, dall’altro lato del tavolo, rimase con la forchetta sospesa.
L’argomento lontananza di Jack era un tasto dolente anche per lei.
Jack incassò il colpo, l’unico segno di impazienza era un leggero tamburellare
dell’indice sul bordo del tavolo. «Quindi tu consigli di cambiare città come scusa
per mollare la fidanzata?»
Il riferimento a Martha fu palese e Laura lasciò cadere il coltello nel piatto.
«Non intrometterti in cose che non ti riguardano» sibilò Daniel.
«Sto seguendo il tuo esempio, tu lo hai sempre fatto.»
Mi alzai, abbandonai il tovagliolo sul tavolo e mi rivolsi a loro. «Godetevi la
cena.»
«Lizzy!» Non ascoltai il richiamo di mia madre e proseguii dritta verso le
porte finestre del ristorante.
Mi sedetti su un lettino vuoto a bordo piscina e tolsi i tacchi.
«Li ho fermati entrambi» mi avvisò Kimberly, apparendo dal buio. «Stavano
per rincorrerti.»
«Mi sembra di essere un gioco conteso tra due bambini.» Feci una smorfia.
«Jack è andato nella hall, Daniel sta calmando Laura che rischiava un infarto
ormai. Credo pensasse di vedervi fidanzati entro la fine della vacanza.»
«Se vado in camera, sono codarda? Non ce la faccio più stasera.»
«Però domani stai con me e mandi al diavolo quei due.»
«Affare fatto.» Per fortuna c’era mia sorella.
Sperai che Jack fosse andato a cercarsi un’altra sistemazione, non lo avrei mai
fatto dormire con me.
Un’ora dopo, ero in pigiama e mi stavo infilando sotto le coperte quando
bussarono alla porta. Ignorai, fingendo di essere rimasta ancora in piscina.
«Liz, aprimi solo un secondo.» Era Jack.
Sbuffando, andai ad aprire: testardo com’era, avrebbe continuato a bussare per
mezz’ora.
Mi mostrò una chiave magnetica. «Sono all’ultimo piano, stanza 830.»
«Ok» Feci per chiudere, bloccò la porta.
«Aspetta. Hai ordinato qualcosa?»
Scossi il capo. «Non ho fame, buonanotte.»
Fermò di nuovo la porta con la mano, rischiando di essere schiacciato. «Posso
offrirti almeno un dolce? Chiamo il servizio in camera e lo addebito sulla mia.»
«Jack, sto bene così. Voglio solo dormire.»
«Fai colazione con me domattina?» insistette ancora.
«Sai, eri meno esasperante al college, quando formulavi solo richieste e non
domande. Non riesco a…» Mi ritrovai la sua mano sulla nuca.
«Il bacio della buonanotte.» Mi sorprese, posando le labbra sulle mie.
Si staccò dopo pochi secondi, lasciandomi confusa. Avevo a malapena
registrato ciò che era avvenuto che era tutto finito. Mi leccai il labbro inferiore
d’istinto, perché il sapore di Jack mi era mancato troppo e non avevo avuto il
tempo di riviverlo.
Fece uno strano verso sofferto, come se avesse appena perso una battaglia, poi
mi ritrovai l’altra sua mano sul mio fianco e la bocca di nuovo sulla mia.
Ero così provata da quella giornata che zittii la ragione e mi lasciai rapire dal
bacio. Fu un’esplosione, di calore, brividi e gemiti. Come la prima volta che
c’eravamo baciati, per provare la scena tra Catherine e William, e l’alchimia era
divampata tra noi portandoci sul letto.
Fu quel ricordo a farmi bloccare, un attimo prima di sentire il materasso
contro le mie gambe. Ero indietreggiata dalla porta, stretta a lui, che mi stava
sospingendo per farmi sdraiare. Con riluttanza, abbandonai quelle labbra che
avevo sentito per anni su ogni centimetro della mia pelle e i suoi capelli in cui
avevo appena tuffato le mani, dopo essermi alzata sulle punte dei piedi per far
aderire i nostri corpi.
«Jack» sospirai, riprendendo fiato.
«Dio, quanto mi sei mancata.» Mi baciò il collo e ripersi lucidità. Le sue mani
stavano accarezzando il mio corpo come se non credesse che io fossi reale, con
movimenti frammentati e un leggero tremore.
Socchiusi gli occhi e vidi la porta ancora spalancata alle nostre spalle. «La
porta!»
Si staccò da me e si sporse a chiuderla, facendola sbattere.
«Amore mio.»
Lo bloccai prima che mi riprendesse tra le braccia. «Fermati.»
«Mi vuoi anche tu» mi fece notare, senza arroganza.
«Sì. No! Non risolviamo nulla se finiamo a letto insieme stanotte.»
Alzò le mani in segno di resa e fece un passo indietro. Aveva i capelli
scompigliati dalle mie dita, gli occhi lucidi di eccitazione, il respiro accelerato
e… rialzai subito lo sguardo dai suoi pantaloni. Non potevo biasimarlo, ero in
condizioni peggiori delle sue.
«Domattina, colazione insieme. Promettimelo.» Sembrava faticare a fare un
discorso complesso e anch’io mi limitai ad annuire.
Mi salutò con un sorriso e se ne andò alla porta. «Fai bei sogni, Liz. Io
sicuramente ne farò.»
Capii subito a che genere di sogni stesse alludendo e le probabilità di farli
erano decisamente alte.
«Notte, Jack.»
Crollai sul letto, non appena chiuse la porta.
Come facevo a resistergli se ero ancora pazza di lui? Sarebbe stato così facile
lasciarsi trasportare e riaverlo tra le mie braccia. E poi? Avremmo ricominciato
un’altra dolorosa storia a distanza con lui in giro per i set e io ad aspettarlo?
Prima di dormire controllai il telefono, perché Jessica era stata stranamente
silenziosa in quei giorni; mi ripromisi di chiamarla il giorno dopo e farle sputare
il rospo. Trovai un messaggio di Daniel.

Lui parte in vantaggio perché siete stati una coppia per anni. Forse non ricordi
bene i mesi passati insieme a me, ero stato cauto nella transizione da amico a
ragazzo. Stavolta no. Sarò sempre il tuo migliore amico, Lizzy, sono nato per
esserlo, però posso dimostrarti di essere anche il compagno giusto per te. Di
saperti amare e rispettare e soprattutto metterti al primo posto. Permettimi di
farti capire davvero quello che provo per te, da tutta la vita. Sogni d’oro, amore
mio.
26. Il confronto
Jack

«Come sta andando?» La voce di Rick giunse dal vivavoce del telefono, posato
accanto al lavandino.
Mi ero svegliato presto per farmi la barba e presentarmi in condizioni decenti
a colazione.
«Avevi ragione sul broccolo: ha proprio dichiarato guerra, stavolta è palese.»
«E Liz vi ha mandati entrambi al diavolo.»
Rischiai di tagliarmi con il rasoio per la smorfia che feci. «Certe volte mi
sembra che tu la conosca meglio di me.»
Il mio amico sbuffò. «Solo perché sono anni che vedo come si comporta con
voi e lo faccio da persona esterna ai fatti e più obiettiva.»
Sciacquai la lametta. «Quindi, con lui come ti è sembrata?»
«Amichevole. Però, Jack…»
Il suo silenzio mi allarmò e mi bloccai, per evitare di tagliarmi. «Però?»
«Liz non l’ha ammesso, però io e Jessica concordiamo sul fatto che il
trasferimento di Daniel sia stata una mossa vincente per lui.»
«Perché ha fatto quello che io non ho fatto. Ha finto di scegliere lei, magari il
trasferimento gli ha perfino fatto aumentare lo stipendio. Però intanto sembra un
martire e questo mi fa incazzare!»
«Jack, non è detto che…»
Lo interruppi. «Questo coglione ha mollato la fidanzata dopo due anni perché
aspettava il momento giusto per riprendersi la mia Liz. Ti sembra il tipo d’uomo
che lei merita?»
«Non mi è mai piaciuto e lo sai, ti ho sempre aiutato a tenerlo lontano. Però,
devi stare attento perché sta giocando con onestà e questo è un punto a suo
favore.»
«Mi prendi in giro? Onestà?»
«Le voglio bene come se fosse mia sorella e ho stima di lei, ma qualche mese
fa era davvero distrutta e se Daniel avesse giocato sporco, l’avrebbe convinta.
Ora te li ritroveresti lì nello stesso letto.»
Pessimo momento per ricominciare a radermi, vidi la goccia di sangue fare
capolino sul mento. «Mi è bastato vederli insieme una volta, in un dannato letto,
e ancora ho gli incubi.»
Salutai Rick per finire di farmi la barba senza ulteriori incidenti.
Non resistevo più ad aspettare, perciò andai a bussare alla sua stanza. Non
aprì, forse era già scesa a fare colazione.
Varcai le doppie porte della grande sala panoramica sul mare e imprecai. Ero
stato battuto sul tempo da Daniel che si era appena seduto a un tavolino, di
fronte a lei. Strinsi i pugni e cercai di concentrarmi per non fare un passo falso,
nella vita vera era più difficile che su un palcoscenico.
Presi un piattino dal buffet, ci gettai sopra qualche pancake e mi diressi verso
di loro a grandi passi. Erano pochi i tavoli occupati a quell’ora della domenica
mattina. Chissà se era stato fortunato lui o se si erano accordati sull’orario.
«Siamo tutti mattinieri, vedo» esordii, afferrando una sedia dal tavolino
accanto per piazzarmi in mezzo.
«Jack.» Fu il saluto preoccupato di Liz. Temeva che iniziassi a litigare con
Danny-caro.
«Hai dormito bene, amore?» Le feci un sorriso adorante, che la lasciò
sorpresa.
«Qualcuno ti ha invitato?» si lamentò Daniel, irritato.
Lo ignorai, compiaciuto di averlo già infastidito. «Io benissimo, dopo il tuo
bacio della buonanotte.»
Il rumore della forchetta caduta sul piatto zittì la conversazione della coppia
nel tavolo vicino.
«Sei davvero incredibile» mi apostrofò Daniel.
Mi girai a guardarlo con un sorriso strafottente in viso. «Un complimento
arrivato da te. Sono emozionato come se fosse la notte degli Oscar.»
«Ma smettila! Pensi di poter arrivare qui con i tuoi modi da attorucolo e di
trattare Elizabeth come se fosse il tuo giochino?»
«Daniel» lo riprese Liz. Gongolai, ma durò poco. «E Jack! Voglio solo fare
colazione in pace. Se non siete capaci di comportarvi da adulti, potete anche
alzarvi e andare a mangiare altrove.»
«Lizzy, stavo solo cercando di difenderti dalle sue insinuazioni, come se…»
Daniel credeva che mi fossi inventato il bacio, illuso. Ottimo comunque che mi
stesse sottovalutando.
«So che avevi le migliori intenzioni, Danny. E Jack…» sospirò. «Sono
contenta che tu abbia dormito bene. Però adesso smettetela di fare i galli nel
pollaio perché mi state esasperando, dico davvero.»
Calò il silenzio per due lunghi minuti. Poi Liz si alzò. «Vado a svegliare
Kimmy, le ho promesso che sarei andata con lei in piscina.»
Se ne andò prima che potessimo dire altro, presi alla sprovvista dalla sua
sparizione.
Daniel allontanò il piatto della colazione e incrociò le braccia. «Parliamoci
chiaro.»
«Certo, non vedevo l’ora, Danny-caro.» Masticai un pezzo di pancake senza
reale fame, solo per fingermi a mio agio.
«Hai pensato solo alla tua carriera per anni, lasciando Elizabeth da sola
perfino nel momento peggiore. Se davvero l’hai amata, lasciala in pace. Merita
qualcuno che la metta al primo posto.»
Scossi la testa e schioccai la lingua. «Qualcuno come te? Il suo grande amico
d’infanzia che se l’è portata a letto e poi ha cambiato idea, togliendole quel poco
di fiducia che aveva negli esseri umani?»
«Eravamo due ragazzini, chissà quante cazzate hai fatto anche tu a quell’età.»
«Strano, avevo quasi la tua età quando ho scelto di impegnarmi lo stesso con
lei, a una distanza molto superiore alla vostra.»
Daniel rise. «E tu lo chiami impegnarti? L’hai relegata ad aspettarti per anni,
privandola di ogni esperienza del college. E poi quando ha avuto bisogno di te,
hai comunque scelto la tua dannata carriera.»
«Tu invece sembri ricordarti di lei solo quando la vedi impegnata. Quando
pensavi che fosse la mia ragazza al pranzo dei tuoi genitori…»
Mi bloccò. «Sai benissimo come reagisce Elizabeth quando si sente ferita. Mi
aveva tagliato fuori dalla sua vita e non mi permetteva di contattarla. Ha fatto lo
stesso anche con te.»
Rimasi in silenzio perché ero finito in un vicolo cieco, non potevo ribattere a
quello.
«Sei tornato da Londra, bene. Ma poi? Hai intenzione di riconquistarla e
volartene di nuovo in un altro Stato per girare il prossimo film?»
Mi irritai davvero: come si azzardava quell’idiota? «Credi che basti trasferirsi
nella stessa città e prenderla per sfinimento per farla innamorare di te?»
«Chi ti dice che non ci sia già riuscito?» mi provocò.
Non ci sarei cascato. «So benissimo che per lei sei ancora solo il suo vecchio
amico.»
«E come fai a dirlo? Non eri qui l’altra notte quando mi sono dichiarato.»
Voleva solo provocarmi, era evidente. Però sentivo già la gelosia pulsare e
l’ombra del dubbio incrinò leggermente la mia espressione di finta noia. «Se così
fosse, non mi avrebbe baciato ieri sera» tentai di suonare tranquillo.
Sussultò leggermente, unico indizio del suo disagio. «Non dimenticare che ha
perso con me la verginità.»
Giocava sporco. Riuscii, a stento, a contenere il fastidio e la voglia di
prenderlo a pugni. Poggiai i gomiti sul tavolo, per avvicinarmi e abbassare la
voce. «Però sono passati anni, è diventata donna. Sa essere spudorata, fantasiosa,
insaziabile e…»
Daniel batté il pugno sul tavolo e rovesciò un bicchiere quasi vuoto di succo
d’arancia. Nessuno dei due se ne curò.
«Questa è la dimostrazione di quanto la rispetti» mi accusò.
«Le starei mancando di rispetto a dire che è meravigliosa a letto?»
«Non sottovalutare la curiosità femminile. Proprio ieri le ho ricordato che ciò
che ha provato con me era solo l’inizio, eravamo molto giovani e c’è ancora
tanto da sperimentare.»
Dannato idiota, quasi lo preferivo quando faceva le moine da finto amicone.
«Se te la vuoi giocare così.»
Mi alzai, scostando indietro la sedia. «La storia tra me e Liz ha superato le
peggiori difficoltà perché lei mi ha amato come non ha mai amato nessuno prima
e sono certo che mi ami ancora.»
«Eri certo. Mesi fa. Poi l’hai ferita ed è rimasta sola.» Si alzò anche lui.
Eravamo quasi alti uguali, forse era un paio di centimetri più di me, difficile
dirlo con quel mezzo metro a separarci.
«Non credere che mi porterai a dire quelle cazzate del tipo “basta che sia
felice lei” perché tu non la meriti.»
«Vedremo, Jack. Intanto io l’ho messa al primo posto e faccio parte della sua
vita, tu sei solo qui di passaggio.»
Se ne andò, impedendomi di avere l’ultima parola. Non mi aveva intimorito,
anzi, mi aveva reso ancora più determinato a lottare per lei.

Non era il momento di essere pressante, capivo quando Liz era vicina al punto di
rottura. Perciò mi limitai a raggiungerla in piscina solo un’ora dopo e mi rivolsi
direttamente a sua sorella.
«L’ultima volta ero ancora capace di batterti, vuoi la rivincita?» Indicai la
piscina ancora vuota, alludendo alle nostre storiche gare estive.
Kimberly si tolse gli occhiali da sole e mi fissò, in silenzio. Stava decidendo
se rivolgermi o meno la parola, però non si sarebbe mai tirata indietro di fronte a
una sfida.
«Ti sei allenato?» domandò, socchiudendo gli occhi.
«In piscina? No.» Mi avevano massacrato in palestra, dettagli.
«Quattro vasche, do io il via» decise, avvicinandosi al bordo.
Mi tolsi in fretta la maglietta, lanciandola alle mie spalle.
«Jack!» Sentii il rimprovero di Liz e sorrisi.
Se l’avessi lasciata vincere, se ne sarebbe accorta e si sarebbe arrabbiata
ancora di più. Arrivò diversi secondi dopo di me, con il fiato corto.
«Bugiardo! Ti sei allenato eccome!» mi accusò, schizzandomi mentre si
sedeva sul bordo della piscina.
«Sei stata brava.»
«Se cercavi il perdono, hai sbagliato strategia.»
«Lasciarti vincere per ottenerlo sarebbe stato un insulto alla tua intelligenza.»
Diedi una bracciata all’indietro, galleggiando a pelo dell’acqua. La vidi sgranare
gli occhi e mi sistemai di nuovo sotto, troppo tardi.
Si tuffò e mi raggiunse. «Fammi vedere quel tatuaggio!»
«Parla piano» la pregai.
«Quando l’hai fatto? Mia sorella lo sa?» Continuava a guardare attentamente
il mio torace, sfruttando la limpidezza dell’acqua.
«Lo scorso autunno e no, non lo sa. E non credo che sia il…»
«Ellybeth!» urlò, nuotando lontano da me.
La seguii, agguantandola per fermarla. La sollevai di peso, facendola ricadere
in acqua con un tonfo, per guadagnare tempo.
«Che combinate voi due?» Liz si era avvicinata al bordo della piscina e ci
guardava perplessa.
Kimberly rideva, divertita per il tuffo che le avevo fatto fare. Scoppiai a ridere
anch’io, di fronte alla sua ilarità.
«Io ti consiglio di fare un tuffo, sorellona.» Continuò a ridere, mentre usciva
dall’acqua.
«Magari dopo, sono contenta che vi siate divertiti.» Sembrava ancora
perplessa.
Ero rimasto vicino al bordo, il corpo nascosto nell’acqua. Kimberly strizzò via
l’acqua in eccesso dalla coda di capelli e si piegò a sussurrare qualcosa
all’orecchio di sua sorella. Seguii lo scambio con curiosità e un po’ d’ansia: Liz
sgranò gli occhi, si guardò alle spalle e poi venne a sedersi sul bordo, accanto a
dove ero io.
«Vieni a fare il bagno?» La invitai.
«Kimmy ha detto che stanno arrivando mamma e Laura e che mi conviene
fuggire finché sono in tempo.» Davvero le aveva detto solo quello?
«Laura sta ancora cercando di buttarti tra le braccia del figlio?» domandai, con
finta leggerezza.
Liz non rispose, si lasciò scivolare dentro l’acqua e diede qualche bracciata
verso il centro. La seguii, tenendomi a debita distanza. Inutile rimandare ancora,
l’avrebbe visto presto e comunque era nei piani che lo vedesse, fin dalla sua
origine. Poi le cose erano andate diversamente.
«Ti ha detto altro Kimberly?» la interrogai. Si girò verso di me, perplessa.
«Devo farti vedere una cosa.» Le indicai l’altro lato della piscina.
Mi seguì e la aiutai a entrare e sedersi in una delle piccole vasche
idromassaggio, sempre attento a rimanere alle sue spalle. Poi mi sedetti di fronte
a lei, sul bordo, in modo che lo scoprisse da sola.
Sussultò e scosse la testa come se faticasse a crederci. Si alzò in piedi e mi
raggiunse, rimanendo in piedi nella vasca, con l’acqua che le arrivava ai fianchi.
«Quando?» domandò.
«Pochi giorni prima del Ringraziamento.» Non aggiunsi altro, era un giorno
che mai avremmo dimenticato.
«Doveva essere una sorpresa o…» Non sapeva nemmeno lei cosa dire, era
evidente.
«Non lo so, stavamo litigando sempre di più e sapevo che eri rimasta male
perché non sarei rientrato per la festa. Così ho agito d’impulso e…»
«Ti sei tatuato Liz sul cuore. Mi era sembrato di vedere qualcosa ieri, però ero
troppo distratta dalla sorpresa di trovarti in bagno.»
«Avresti dovuto vederlo in un altro contesto.» Allungai una mano per prendere
la sua. Mi lasciò fare e osai di più, attirandola in braccio.
«Jack!» sussultò, sorpresa.
Posai le mani sui suoi fianchi e le sussurrai all’orecchio. «Volevo farti capire
che per me sei indelebile. E poi ti avrei proposto di…»
Un tonfo, schizzi d’acqua e una presenza sgradita nella vasca: era arrivato
l’idiota.
Con mio disappunto, la vidi scivolare via dalle mie gambe e sedersi tra me e
lui, per dividerci. O perché in realtà non aveva ancora scelto?
«Fate i bravi, per favore.» Liz indicò con un cenno del capo i lettini, ben
visibili. Insieme a lui erano arrivate anche Margaret e la cara mammina Cupido.
Daniel si accorse quasi subito del mio tatuaggio, lo vidi dalla sua espressione
quasi costipata. Scosse la testa, fingendo di ignorarlo per non darmi
soddisfazione.
«Programmi per oggi?» domandai, allargando le braccia sul bordo per
ostentare tranquillità. Mai dare al broccolo la soddisfazione di vedermi irritato
dalla sua interruzione.
«Ho prenotato un massaggio di coppia alla spa per mezzogiorno.»
Gli risi in faccia. «Per te e mammina?»
«Per me e Lizzy.» Mi fulminò.
«Io e Kimberly abbiamo deciso di andare a pranzo nella città vicina e fare un
po’ di shopping.»
«Vada per lo shopping!» Mi autoinvitai, sorridendole.
«Sarà divertente.» Daniel mi lanciò uno sguardo di sfida.
27. Confusa
Elizabeth

«Cosa mi sto perdendo a non essere partita con te!»


Ero salita in camera a prepararmi per la fantomatica uscita e ne avevo
approfittato per telefonare alla mia amica. Avevo intenzione di farla parlare di
Matt e dei problemi che stavano avendo, però mi aveva subito sommersa di
domande.
«Jess, non credo che arriveremo tutti interi al volo di domattina. Questa
giornata promette molto male» sospirai, mentre spazzolavo i capelli.
«Però sembra esilarante… vista da fuori» ridacchiò, poi tornò seria. «Come
pensi di gestirli?»
«Ho chiesto aiuto a Kimberly, per tenerli separati il più possibile.»
«Fammi indovinare: ti sei tenuta Danny.»
Rovesciai il beauty case per cercare il mascara. «Non saremo da soli e poi…»
«Hai più paura di stare con Jack.»
«Non è paura» riflettei, fissando lo schermo del telefono in vivavoce. «Il
problema è che lui riesce a farmi perdere il controllo, ci è sempre riuscito.»
«Io comunque starei attenta anche a Daniel. Ricordo che eri pazza di lui ed è
bravo a fare il fidanzatino, poi sicuramente sfodererà ogni arma.»
«Ne parli come se fosse una guerra all’ultimo sangue.» Riposi il rossetto senza
usarlo, non perché immaginassi di baciare qualcuno. Stavamo andando a pranzo
e si sarebbe rovinato, mi dissi.
«Tra quei due? Certo che lo è! Si odiano dalla prima volta che si sono visti,
figurati dopo tutti questi anni.»
Cercai di nuovo di cambiare argomento. «Come sta andando il tuo fine
settimana da sola?»
«Sola? Rick appare a tutte le ore. Ieri sera l’ho minacciato, che se non mi
avesse lasciata dormire fino a tardi, gli avrei fatto la ceretta.»
Scoppiai a ridere. «La sua paura peggiore.»
«Ridi poco, sei tu che lo hai insignito del titolo di babysitter.»
«Come se tu non lo avessi fatto con me.»
Ero pronta per uscire, anche se stavo valutando di nascondermi in camera e
fingere un malore.
«Ora siamo pari, Liz. Però mi devi raccontare tutto di questa giornata con i
tuoi due fidanzati.»
«Jess, dai! Così sembro finita nel copione del film che sta girando Jack.»
«Amica mia, la tua vita sembra sempre uscita da una commedia romantica. A
partire dalla tua storia con Daniel, l’eterno migliore amico. Non parliamo poi
dell’arrivo di Jack e di Lezioni di seduzione. Non mi stupisco più di nulla,
ormai.»
«Hanno sempre il lieto fine, però. Lo avrò anch’io?» sussurrai, più a me stessa
che a lei.
«Bisogna crearselo, quello.» Era strano sentire Jessica così seria.
«Tesoro, quando ti decidi a parlarmi di cosa sta succedendo davvero con
Matt?» Ero sempre più preoccupata.
«Al tuo ritorno, domani. Adesso non voglio parlarne, è finito anche il gelato.
Quasi mi manca Daniel, devo dire.»
Risi, capendo il suo bisogno di sdrammatizzare. Poi bussarono alla porta.
«Un attimo» avvisai, poi tolsi il vivavoce e avvicinai il telefono all’orecchio.
«Tu prega che sia Kimberly e che gli altri due mi stiano davvero aspettando di
sotto o la giornata inizia già male.»
«Figurati, è ovvio che uno dei due stia già contravvenendo alle regole. Io
punto su Jack.»
«Ti farò sapere. A domani, Jess. Ti voglio bene e non uccidere Rick, per
favore.»
«Tranquilla, al massimo lo costringo a mettermi lo smalto alla mano sinistra,
almeno si rende utile.»
Chiusi la chiamata e mi avvicinai alla porta: Jessica perse la scommessa.
«Danny, non dovevamo vederci di sotto?»
Entrò e chiuse la porta alle sue spalle, mentre io recuperavo la borsa. «Volevo
parlarti un minuto.»
«Dimmi.» Avevo il cuore in gola. Non ero abituata a quella versione di
Daniel, non lo ero più da troppi anni.
Mi prese per mano per condurmi vicino al letto e si sedette. Restai in piedi,
rigida.
«Non ti fidi di me, Lizzy?» Mi rivolse uno sguardo ferito che mi prese allo
stomaco. Così mi convinsi a sedermi qualche secondo. Mi sorprese di nuovo,
facendomi scivolare in braccio a lui e non al suo fianco.
«Danny.» Sussultai.
«Non è la prima volta che ti abbraccio, tesoro. Rilassati» sospirò,
carezzandomi i fianchi.
Deglutii. «Non era così, noi non…»
«Ti avevo avvisata che non mi sarei più trattenuto. Questo non vuol dire che io
non sia più il tuo Danny, sarò sempre anche il tuo amico.» Mi lasciò un bacio
dietro l’orecchio, scatenandomi un involontario brivido. «Ma voglio che tu
sappia che mi fai impazzire, Lizzy. Stringerti al mio corpo mi toglie il fiato.» Mi
cinse la vita con un braccio.
Chiusi gli occhi, deglutii e mi preparai ad alzarmi e spiegargli che…
«Ricordi quella volta al mare? Sulla spiaggia, di notte.»
«Danny…» Mi uscì un lamento, ancora a occhi chiusi.
Approfittò della mia distrazione per scostarmi i capelli da un lato e baciarmi il
collo. Era un errore, però non riuscivo a sentirmi davvero a disagio. Il suo
profumo, il suo calore, la sua voce mi erano familiari, erano stati il mio porto
sicuro a lungo.
«Quella notte abbiamo fatto l’amore alla luce della luna. Ricordi cosa mi hai
detto?»
Era stato uno di quei momenti impossibili da cancellare. L’ultima notte alla
casa al mare, prima della partenza di Daniel per il college. Eravamo sgattaiolati
in spiaggia, per stare un po’ da soli, e avevo versato qualche lacrima tra le sue
braccia, già preda della nostalgia dopo un’intera estate trascorsa in simbiosi. Era
stata una notte d’amore dolce e disperato, fino alle prime luci dell’alba. Perfino i
ricordi, dopo oltre sei anni, erano ancora vividi da togliere il fiato.
Come quello che mi stavano togliendo, nel presente, le mani di Daniel sul mio
ventre. Quando sfiorò un mio seno con un pollice, aprii gli occhi, di scatto. Ero
disorientata, in tutti i sensi. Tra passato e presente, con l’incognita del futuro e di
una scelta che non avrei voluto compiere.
«Mi hai detto che non avresti più voluto nessun altro ragazzo su di te, dentro
di te. Che ero stato il primo e sarei stato l’ultimo.»
«Daniel.» Avevo la bocca secca. Potevo immaginare la sua espressione mentre
mi lasciava un altro bacio sul collo.
«Lo so» continuò, «eravamo giovani, però io sono ancora lo stesso, solo più
maturo e disposto a seguirti ovunque, pur di stare al tuo fianco. Non commetterò
mai più l’errore di lasciarti.»
Mi girava la testa, sentivo caldo per il suo abbraccio, ero sopraffatta dalle sue
parole sussurrate e dai ricordi. Non potevo negare quanto Daniel fosse stato
importante per me, forse non lo avevo amato di un amore consapevole e maturo,
però con lui mi ero lasciata andare per la prima volta nella mia vita, avevo avuto
piena fiducia, sia nel corpo che nel cuore.
«Non voglio una risposta ora. So aspettare, ti aspetto da anni, amore.»
Sollevata di non dover fare nessuna scelta, mi illusi di poter riacquistare il
controllo del mio corpo e della mia mente. La sua mano, però, si chiuse sul mio
seno. Mi strinse al suo corpo, con l’altro braccio, la mia schiena contro il suo
torace, il suo viso immerso tra i miei capelli. Avvolta da un calore che non
provavo da mesi, mentre il mio corpo si risvegliava dal gelo, non solo fisico, di
un lunghissimo inverno, mi concessi un sospiro che forse era quasi un gemito di
piacere.
«Ci conosciamo da tutta la vita, ora siamo adulti e ci sono cose che possiamo
esplorare meglio insieme, l’uno dell’altra.»
Non riuscivo a formulare un pensiero coerente con la vista offuscata, la pelle
ipersensibile, il respiro accelerato. Faticavo a distinguere le sensazioni che
provavo dai ricordi: era sempre Daniel, però non mi aveva mai toccata così, in
passato.
«Sento che mi desideri, Lizzy» incalzò, facendo scendere una mano. Il suo
indice sfiorò la mia coscia, provocandomi la pelle d’oca e facendo risalire l’orlo
del mio vestitino in un fruscio. «Sei sempre stata bellissima e ora sei
irresistibile.» Con il palmo della mano sfiorò il mio ginocchio e risalì
lentamente, deviando verso l’interno.
«Daniel…» Non riuscii a dare una forma alla preghiera. Volevo davvero che si
fermasse e mantenesse il suo ruolo di amico? Non lo avrebbe più accettato, mi
aveva avvisata. D’altronde, non riuscivo a immaginare di allontanarlo dalla mia
vita. Quanto sarebbe stato più semplice se fossimo stati ancora su quella
spiaggia, giovani e innamorati. Quando il futuro era pieno di speranza, nessuna
scelta difficile e nessun lutto a togliermi il sonno. Solo il calore di carezze,
sospiri e sussurri a colmare ogni vuoto.
In quel momento, bussarono alla porta e il suono giunse ovattato. Non mi
rendevo più nemmeno conto di dove fossi, in che luogo e soprattutto in che
tempo. Guardai in basso e vidi una mano di Daniel tra le mie gambe e l’altra sul
mio seno.
Mi alzai, barcollante su gambe instabili. Bussarono di nuovo e il rumore
sembrò un ronzio nelle mie orecchie. Feci i pochi passi che mi separavano dalla
porta, convinta che avrei avuto così il tempo di riprendere il controllo. Di fronte
a me, sulla soglia, c’era Jack e il suo sorriso si spense nel vedermi.
«Stavo per scendere» sussurrai, confusa.
«Pronti per uscire!» esclamò Daniel, comparendo alle mie spalle, con la mia
borsa in mano. Mi precedette fuori e lo vidi urtare la spalla di Jack, che era
rimasto pietrificato.
«Che diavolo ha fatto?»
«Stavamo per scendere» ripetei, chiudendo la porta per evitare di guardarlo.
«Liz, sei rossa in viso, hai il vestito storto e i capelli spettinati.» Si stava
trattenendo a stento.
«Jack, scendiamo» lo pregai. Non riuscivo nemmeno io a dare un senso ai
minuti precedenti.
«Ti ha baciata? Ha voluto pareggiare per il mio commento di stamattina?»
Non demordeva.
Scossi la testa, in segno negativo.
Jack sospirò e guardò verso la fine del corridoio. Daniel era appena entrato in
ascensore e le porte si stavano per richiudere. Aveva un sorriso soddisfatto che
mi colpì e scatenò la gelosia di Jack. «Quel coglione ti ha toccata. Ti ha messo le
mani addosso!» Strinse i pugni, inspirando dal naso.
Mi sistemai il vestito, cercando la mia dignità dispersa.
«Più mi forzate la mano con questa rivalità, più penso che l’unica scelta
sensata sia rimanere da sola» sentenziai, allontanandomi.

Prendemmo una delle navette del resort per arrivare in città. Jack si sedette
accanto all’autista, lasciando noi tre da soli. Kimberly mi lanciò sguardi
perplessi tutto il tempo, mentre Daniel parlava di argomenti banali pur di non
rimanere in silenzio.
Riuscii solo a pregare mia sorella, in un sussurro, mentre scendevamo dalla
navetta: «Kimmy, segui Jack, per favore».
Dovette accorgersi del mio tono inquieto, perché si limitò ad annuire senza
fare domande. La vidi raggiungerlo, qualche passo avanti, e rimasi accanto a
Daniel. Avevamo prenotato in un ristorante sulla via principale, a cinque minuti
a piedi.
«Tutto bene, Lizzy?»
«Danny, non lo so. Quello che è successo prima…» sospirai. «Non riesco
a…»
Mise un braccio attorno alle mie spalle. «Rallento, promesso. Non volevo
sconvolgerti.»
Approfittai di un cestino da evitare sul marciapiedi per allontanare il suo
braccio. «Non mi piace questa gara che avete scatenato, non sono un premio.»
Rimase in silenzio, colpito. «Perdonami. Non era mia intenzione.» Si
massaggiò gli occhi, prendendo un respiro. «Ho totale rispetto di te, credimi.
Volevo solo che tu fossi a conoscenza di ciò che provo, senza margini di
fraintendimento.»
«Credo che non ce ne siano.»
«Ti sei sentita a disagio?» Si bloccò in mezzo alla strada, preoccupato.
Scossi la testa. Mi ero sentita confusa, non infastidita. Era difficile accettare la
realtà dei fatti: provavo ancora qualcosa per Daniel, sia a livello fisico che
sentimentale.
Daniel annuì, sollevato e mi fece una lieve carezza sul viso. «Andiamo a
pranzo, tesoro.»
Lo seguii, con un peso sul cuore.
Jack non mi aveva più rivolto la parola, come se lo avessi appena tradito. Se
fossimo stati ancora una coppia avrebbe fatto una scenata degna del
palcoscenico e, non stando così le cose, si era chiuso in un mutismo rabbioso.
Stavo male per come aveva reagito Jack e stavo male perché non volevo
allontanare Daniel. Non volevo scegliere, non ero pronta a una relazione con
nessuno dei due, perché ero uscita logorata da entrambe quelle passate. Ero
pronta per una seconda occasione, però volevo darla prima di tutto a me stessa,
imparare a fidarmi di più degli altri, passo dopo passo, imparare a vivere senza
rifugiarmi nel mio guscio. Avevo un disperato bisogno di amore, da dare e da
ricevere, prima però dovevo amare la mia vita, le mie scelte e la mia forza di
volontà.

Il pranzo fu una noiosa e lenta agonia. Jack non aprì bocca se non per ordinare e
mangiare. Kimberly mi lanciava calcetti sotto il tavolo. Daniel lanciava occhiate
guardinghe a Jack, aspettando una sua mossa, e nel frattempo teneva banco con
forzata ilarità, all’insegna del revival del passato. Se sperava di ottenere una
reazione dal quarto muto commensale, si sbagliava.
Eravamo al dolce quando Jack si alzò e sparì per qualche minuto, poi tornò
per avvisare che il conto era saldato e ci avrebbe atteso fuori.
Daniel parve stizzito di essere stato battuto sul tempo nell’offrire il pranzo; lo
lasciai borbottare e annunciai di aver bisogno del bagno.
Passai accanto alla porta, Jack era fuori e incrociai il suo sguardo attraverso la
vetrata: sembrava amareggiato e deluso. Svoltai rapida nei meandri del
ristorante, ansiosa di avere due minuti di solitudine per affrontare quel bruciante
senso di colpa.
Non riuscii a chiudere la porta del bagno perché qualcuno la bloccò da fuori e
sgusciò dentro.
«Jack!» Indietreggiai sorpresa, mentre chiudeva a chiave.
Si girò verso di me e il suo sguardo mi ammutolì. I suoi occhi promettevano
tempesta. «Dove?»
«Di che parli?» Scossi la testa, confusa.
Prese un respiro, strinse e allentò i pugni. «Dove ti ha toccata?»
«Jack» lo pregai, con tono esausto. «Non fare scenate, ti prego. Noi non siamo
più…»
«Non sto facendo scenate» chiarì, con durezza.
«Il tuo sguardo è…» Non sapevo come definirlo: furioso, irritato, deluso? Mi
spezzava il respiro e il cuore. «Esci, mi serve il bagno.»
Mi girai, intenzionata ad aprire il rubinetto, però non riuscii a rinfrescarmi il
viso perché le sue mani si posarono sui miei fianchi facendomi sussultare.
Alzai lo sguardo e vidi il suo viso riflesso nello specchio. Chinò il capo verso
il mio orecchio e sfiorò con le labbra il lobo, poi iniziò una dolce e insieme
terribile tortura. Le sue parole, in un lento e continuo sussurro, riportarono alla
memoria ogni suo tocco, ogni suo bacio, descrivendo con perizia di dettagli e
senza alcun ritegno tutto ciò che mi aveva fatto e un paio di cose nuove che
sarebbe stato felice di testare, per il mio piacere.
Quando tacque e si allontanò di un passo, togliendo le mani dai miei fianchi,
dovetti poggiarmi al lavandino per non perdere l’equilibrio.
«Ricorda come ti senti ora, Liz, se mai avrai ancora voglia di permettergli di
avvicinarsi.»
Mi voltai, in tempo per vederlo aprire la porta.
Prima di uscire mi guardò un’ultima volta e nei suoi occhi scuri rividi il mio
Jack appassionato e… innamorato?
«Non ti ho nemmeno sfiorata e sei già senza fiato. Ricordalo, miciotta.»
28. William e Catherine
Jack

Avevo resistito tutto il pranzo senza conficcare una forchetta nella mano di
Daniel, meritavo un premio. Anni di studio e pratica mi avevano insegnato ad
avere molta pazienza. Stavo recitando: mi ero trasformato in una statua di
marmo, per nascondere la lava che sentivo scorrere nelle vene.
L’idiota l’aveva toccata, era accaduto ciò che per giorni avevo creduto fosse
già successo. Proprio quando mi ero illuso di essere arrivato in tempo per
contenere i danni, mi ero trovato di fronte a inequivocabili prove del contrario.
Liz aveva aperto la porta della sua stanza con il viso arrossato, gli occhi
annebbiati, la scollatura del vestito tutta storta e l’orlo mezzo sollevato. Aveva i
capelli spettinati e un segno rosso sul collo. Preso alla sprovvista, ero rimasto
immobile mentre il coglione se ne andava, con quel sorriso soddisfatto.
Stavo per fare una scenata epica, poi mi ero reso conto di non averne alcun
diritto e la rabbia si era trasformata in dolore, delusione e risentimento. Perché
lei glielo aveva permesso, proprio quando io ero a due passi e stavo cercando di
rimettere insieme i brandelli della nostra relazione. Era il suo modo di vendicarsi
perché ero stato lontano per anni? Oppure credeva davvero che fossi andato a
letto con Jennifer?
Dopo il pranzo mi presi una piccola soddisfazione, anche se non fu facile. Ero
diviso tra il bisogno di stringerla a me e la cieca gelosia. Aveva commesso un
errore, la mia Liz, dimenticando che ero in grado di renderla un ammasso di
carne languida ed eccitata senza neppure sfiorarla.
Nel primo negozio, mentre Daniel tentava di metterle i tentacoli addosso con
le più ignobili scuse, non resistetti più. «Esco a fare una telefonata.»
Inoltrai la chiamata, poggiato di schiena contro il muro del palazzo. «Devi
distrarmi.» Non le lasciai nemmeno il tempo di rispondere.
«Senti, splendore, se sei così annoiato…»
«Se mi arrestano per aver spaccato la faccia a quel verme, come farai sul set?»
Sentii rumore di passi, la musica di sottofondo che svaniva e una porta che si
chiudeva. «Li hai trovati a letto insieme?»
«Quasi. Posso almeno spaccargli un dente? Ha avuto anche il coraggio di
sogghignare soddisfatto.»
«Sei riuscito a resistere e non diventare un uomo delle caverne?» Dal tono
sembrava incredula.
«Ancora per poco, la prossima volta che la sfiora, non credo riuscirò a
trattenermi.»
«Siete tornati insieme? Mi sono persa qualcosa?»
«No, Liz sembra… confusa.» Feci una smorfia disgustata.
Jennifer scoppiò a ridere. «Ti prego, devo vederlo questo Daniel. Se riesce a
metterle dubbi deve essere davvero notevole, considerando che il rivale sei tu.»
Sbuffai. «È un coglione. Ha quell’aria da finto bravo ragazzo, cocco di
mamma.»
«Quindi devi combattere anche nella realtà con un personaggio come il nostro
Deacon, è surreale! Mi pento di non aver preso il volo con te, mi sto perdendo il
meglio.»
«Non funziona farla ingelosire, come credevi. Rischio di farla chiudere ancora
di più nel guscio. Mi ha accusato di aver pubblicato le foto solo per ferirla.»
«Allora falla ridere, tesoro. Falla divertire. Scommetto che ora hai un muso
lungo inavvicinabile.»
«Faccio già tanto a trattenermi dal rompere il naso a quell’idiota e comunque
lei gli ha permesso di…» Presi un respiro, non riuscivo nemmeno a dirlo, mi
andava il sangue al cervello solo al pensiero.
«Sei andato lì proprio per riprendertela, no? Devi ricordarle a cosa sta
rinunciando, come era tra di voi quando le cose andavano bene.»
Jennifer aveva ragione, l’avevo chiamata solo per distrarmi, invece si stava
rivelando una buona consigliera.
«Erano mesi che andava male, sempre per colpa dell’intromissione di…»
«Jack, abbiamo capito che lui tira acqua al suo mulino. Però adesso non sei
più in un altro continente. Fatti avanti o rinuncia. Se sei andato fin lì solo per
farti prendere in giro…»
«Certo che no! Per chi mi hai preso?» Mi indignai.
«Bene, allora hai ancora mezza giornata. Domani sera mi racconti come è
andata e non alzare le mani. Le dita gonfie non vanno d’accordo con la
telecamera e non mi sfigurare questo Daniel.»
«Se te lo vuoi venire a prendere…»
Jennifer rise. «Ora sei tu che mi hai scambiata per qualcun’altra. Io non corro
dietro agli uomini, tesoro.»
«Mai dire mai. Io ero convinto che non mi sarei mai innamorato così giovane
e invece…»
«Donna fortunata, la tua Elizabeth. Ora però vai a darle una svegliata.»
Seguire il consiglio di Jennifer non sembrava così facile, con Daniel tra i
piedi. L’unica speranza era ottenere l’aiuto di Kimberly che, però, non mi aveva
ancora perdonato.
«Su, spara.» Mi avvicinai proprio a lei. «Quale penitenza devo fare per farmi
perdonare?»
Mi guardò, socchiudendo gli occhi. «Ci devo riflettere. Cosa ti serve?»
«Porta via Daniel, almeno venti minuti.» Non osavo chiedere di più, già così
temevo la lista di richieste di Kimberly; era furba ed era giovane, due cose da
non sottovalutare.
Si voltò a guardarlo, inclinò il capo e sospirò. «Va bene. Vedi solo di non farla
stare male.» Le sue parole furono un colpo al cuore, perché ancora non si fidava
di me e la strada sarebbe stata ancora lunga per farmi perdonare. Però, d’altro
canto, era bello vederla così protettiva nei confronti di sua sorella.
«Danny!» alzò la voce, attirando l’attenzione dell’idiota.
«Dimmi, Kimmy.» Il bravo ragazzo non avrebbe mai osato liquidare la
sorellina della sua bella, contavo proprio su quello.
«Mi è sembrato di veder passare mamma con Laura, devo raggiungerla perché
non ho preso abbastanza soldi e…»
«Te li presto io, tranquilla.» Alzai gli occhi al cielo, fingendomi interessato a
una maglietta con le palme.
«Se non me li autorizza, poi mi fa restituire gli acquisti. Sai come è fatta
mamma, no? Dai, non sente mai il telefono, quando lo ha in borsa.»
Il coglione sospirò, guardò Liz per un attimo e poi me, più distante. Distolsi lo
sguardo per non farmi beccare a sogghignare. «Andiamo.» Vittoria!
La porta del negozio si era appena richiusa, quando Liz apparve al mio fianco.
«Cosa le hai promesso?»
Non sembrava arrabbiata, buon segno.
Mi girai, con un sospiro teatrale. «Deve ancora decidere.»
Trattenne una risata. «Ti sei cacciato in un guaio, lo sai che Kimberly ne
approfitterà.»
«Devo scontare un po’ di cose» ammisi. Prima che la conversazione prendesse
una brutta piega, afferrai la mano di Liz. «Vieni con me.»
«Jack» si lamentò, senza però sciogliere la stretta.
«Volevi comprare qualcosa?» Non aveva nulla in mano da provare. Fece
segno di no, così continuai verso l’uscita.
«Dove andiamo?» Emanava curiosità e divertimento mal celati dietro una finta
irritazione.
«Ricordi quella volta a Notting Hill?» Controllai il traffico prima di
attraversare la strada.
Si fermò, a un passo dalla porta di una gioielleria. «Non credo di essere ancora
in grado di recitare.»
«Improvvisare è divertente, sei sempre stata brava.» Le sorrisi e la sospinsi
verso l’interno del negozio.
La proprietaria ci accolse con un sorriso, mi avvicinai al banco mentre Liz
rimaneva in disparte, fingendosi interessata a una vetrina di orologi.
Incrociai lo sguardo della ragazza che stava aiutando una coppia di signori
giapponesi accanto alla vetrina dei portafoto. Mi trattenni dal sogghignare:
avevamo un pubblico, sarebbe stato divertente.
«Vorrei fare un regalo alla mia fidanzata.» Sorrisi alla signora dietro il
bancone.
«Qualcosa in particolare? Una collana, un bracciale?»
«Liz, vieni qui?» Pensava di sfuggirmi, illusa.
Si accostò, titubante, e la signora si sforzò di non sembrare confusa dallo
scarso entusiasmo di Elizabeth.
«Mi sembra un’ottima idea far scegliere direttamente lei.» Si riprese subito,
forte di anni di esperienza alla vendita.
«Oh no!» Non dovetti nemmeno fingermi divertito, lo ero davvero. Poggiai un
braccio sulle spalle di Liz e le scoccai un bacio sulla guancia. «Liz è qui per
farmi da consigliera.»
Rimase immobile e mi trattenni dal ridere. Alle nostre spalle la porta si aprì
per far entrare altri clienti. Stavo rischiando grosso, mettendola in imbarazzo, e
ancora non si era decisa a giocare.
«Posso proporre una bella collana con…»
«Un anello» intervenne Liz, sorprendendomi.
«Un anello è sempre un bel regalo.» Stavamo mettendo in crisi la povera
commerciante.
Liz si girò verso di me. «Se la vuoi riconquistare devi fare un passo
importante.»
Stava parlando di noi due o stava seguendo uno script improvvisato? «Quando
parli di anello, intendi…»
Si rivolse di nuovo alla signora. «Vogliamo vedere gli anelli di fidanzamento.»
In mezzo minuto ci presentò davanti una quarantina di scelte, alcune
sembravano troppo costose e immaginai che, per vendicarsi di quel teatrino, Liz
avrebbe indicato una di quelle.
La donna della coppia appena entrata si sporse a guardarli, molto interessata.
L’uomo sembrava già preoccupato. Nel frattempo, la giovane commessa stava
sistemando gli acquisti dei due giapponesi.
«Questo.» Liz ne indicò uno con tre piccoli brillanti al centro, in sottile oro
bianco. Sembrava proprio di suo gusto, conoscendola.
«Provalo.»
Sussultò alla mia proposta e scosse il capo. «Non va bene indossare l’anello di
un’altra. Giusto?»
La gioielliera, interpellata, si affrettò a rimanere neutrale. «Possiamo
tranquillamente farlo stringere in mezza giornata, se sarà necessario.»
«Avete la stessa corporatura tu e… Catherine. Provalo.»
Liz mi rivolse uno sguardo intenso, fare il nome del suo alter ego sul palco ai
tempi di Lezioni di seduzione era stata una mossa azzardata.
«D’accordo.»
Mi mossi appena in tempo, prima che potesse toccare l’anello. Lo sfilai dal
supporto e le presi la mano sinistra. Nel negozio era calato uno strano silenzio e
si udì distintamente il sospiro spezzato di Liz. Infilai l’anello nel suo anulare,
con il cuore in gola. Mi resi conto che avrei voluto che quella fosse la nostra
vita, non una stupida idea per farla divertire.
«Perfetto.» Avevo la voce roca, troppo scosso per continuare a recitare.
Liz mi guardò, gli occhi lucidi e confusi.
«No, non va bene.» Parlai prima di riordinare i pensieri. Mi affrettai a
continuare. «Non va bene per Catherine.»
«Ci sono tantissimi altri modelli» propose la signora, di fretta, per salvare la
situazione.
Scossi la testa. «Il problema non è l’anello ma la ragazza. Non voglio
Catherine.»
Liz si sfilò l’anello come se fosse diventato incandescente e lo lasciò sul
banco.
Era ora di far uscire un po’ di William, la prima volta aveva funzionato. Mi
piegai su un ginocchio e di nuovo tutti nel negozio rimasero in silenzio,
compresi i nuovi acquirenti appena entrati.
«Che fai?» Era sorpresa, ancora una volta, come nel finale improvvisato al
college.
«Scegli me. Sono innamorato di te da quattro anni.» La mia dichiarazione era
vera e lo capì anche lei, però non dovevo forzare la mano e tornai al piano
originario. «So che stai per sposarti con lui e che ti avevo promesso di essere il
tuo testimone.»
Qualcuno, probabilmente l’altra commessa, lasciò cadere qualcosa che
tintinnò. Con la coda dell’occhio vidi una cliente portarsi la mano alla bocca
sorpresa. Il copione di Un fidanzato di troppo mi aveva ormai abituato ai grandi
gesti e ai triangoli amorosi.
Liz si era ripresa da quel momento di confusione e commozione. Vidi un
angolo della sua bocca alzarsi in un mezzo sorriso. Se non avessi visto quel
luccichio divertito nei suoi occhi, avrei rischiato un infarto.
«Sono incinta.»
Mi rialzai, un po’ provato. «Sei sicura che sia lui il padre?»
«Certo!» Suonò oltraggiata. Anche le altre clienti del negozio emisero un
gemito di disapprovazione.
«E la notte di capodanno, allora? La festa a…»
Scosse la testa, allontanandosi di un passo. «Eravamo da te, avevo bevuto un
po’ troppo e tu non avresti permesso che…» Si fermò, sovrappensiero. «Mi hai
mandata in camera tua, per evitare che qualcuno si approfittasse di me, hai detto.
Mi sono svegliata nel tuo letto…» Un lampo di sorpresa le attraversò il viso.
Amore mio, un’attrice mancata, ecco cos’era. «Nuda!» Forse esagerò ma se la
bevvero tutti.
«Io… ho bisogno di…» Fece un cenno verso la porta e uscì di fretta.
La proprietaria si schiarì la voce, la commessa tornò a rivolgersi alla coppia di
turisti per salutarli. Tutti fecero finta di non aver appena assistito alla scena con
occhi e orecchie avide.
«Lo prendo.» Indicai l’anello.
Non osò fare domande, si affrettò a riporlo in una scatolina. Strisciai la carta
di credito temendo venisse rifiutata ma fui fortunato: probabilmente non superai
il limite per pochi dollari. Con il conto in rosso, un anello in tasca e il cuore
impazzito, raggiunsi Liz.
Si era allontanata dal negozio e osservava una vetrina di un negozio di
arredamento. Forse avevo esagerato, dannazione.
«Liz?» Le toccai una spalla e la sentii sussultare. L’avevo fatta piangere?
Si girò e aveva le lacrime… dalle risate! «Non credevo che improvvisare…»
Continuò a ridere. «Avevo dimenticato quanto fosse terrificante e allo stesso
tempo meraviglioso.»
Daniel arrivò di corsa, attraversando la strada purtroppo sgombra, mentre Liz
si asciugava una lacrima. «Che è successo? Stai piangendo?» Il prode cavaliere,
sempre a preoccuparsi che io le facessi del male. Dannato idiota.
«No, stavo ridendo» spiegò lei, rivolgendomi un sorriso. «Abbiamo provato
un vecchio esercizio di recitazione.»
L’irritazione di Daniel era così palese che non riuscii a trattenermi dal
rivolgergli lo stesso suo sorrisetto soddisfatto di quel mattino. Sperai che Liz non
lo notasse, la nostra rivalità la esasperava.
«Non abbiamo trovato mamma» intervenne Kimberly, a sciogliere la tensione.
«Già, penso che non fosse lei quella che hai visto.» Daniel non calava la
maschera buonista nemmeno quando sapeva di essere stato preso in giro.
«Torniamo al negozio?» Kimberly lo trascinò via e sperai che le sue richieste
di penitenza non fossero tutte materiali, avevo speso tutto per un anello di
fidanzamento che non sapevo nemmeno se avrei mai potuto usare.
«C’è ancora un po’ di Catherine in me» sussurrò Liz, aspettando che passasse
l’automobile in arrivo. Avrebbe fatto in tempo ad attraversare, invece si era
fermata per rimanere da sola con me.
«Credo che là dentro tu sia stata più Liz che Catherine.» La guardai di
sottecchi.
«E tu? Che personaggio eri?»
Colsi una sfumatura ansiosa nella sua domanda e piegai il capo verso il suo
orecchio. «Sono sempre stato solo Jack, con te. Il tuo Jack.»
Attraversai la strada ormai sgombra e, giunto dalla parte opposta, mi girai: Liz
era rimasta immobile e mi guardava.
29. In riva al mare
Daniel

Avevo cercato di non crearmi troppe aspettative su quella vacanza, per non
rimanere deluso. Non mi aspettavo che si buttasse tra le mie braccia perché non
era pronta, era evidente. Il problema era stato l’arrivo a sorpresa di Jack. Non
avevo mai sottovalutato l’ascendente che era in grado di esercitare su Elizabeth,
d’altronde era un attore.
Farle dimenticare una storia di quasi quattro anni, anche se vissuta con
sofferenza a grande distanza, sarebbe stato difficile. Però non avevo intenzione
di rinunciare a lei, ripetere due volte lo stesso errore era fuori discussione, lo
avrei rimpianto tutta la vita.
Il pomeriggio di shopping fu un palese insuccesso: dopo quei pochi minuti da
sola con Jack, Lizzy aveva assunto un’espressione distratta e l’avevo colta
spesso a sorridere a lui.
In programma c’era una cena tutti insieme e, considerato il disastro di quella
precedente, Elizabeth fu molto categorica: «Il primo di voi due che fa una battuta
o un’insinuazione, finisce in piscina. Vestito».
Avevamo entrambi da perderci a farla infuriare, quindi diventammo due
agnellini.
La maggior parte della conversazione fu gestita da mia madre e da Margaret,
con qualche intervento di Kimberly sugli acquisti del pomeriggio e brevi cenni
di assenso di Lizzy. Quella stupida gara tra me e Jack si era trasformata nel gioco
del silenzio.
Il bello arrivò dopo cena, quando nessuno di noi due aveva intenzione di
andare via per primo né sopportava l’idea di rimanere lì in tre.
«C’è la vendita della Tupperware nel salone, andiamo.» Mia madre cercò di
smuovere Margaret, che continuava a guardare me e Jack, preoccupata.
Alla fine, sospirò e si rivolse alla figlia minore: «Vieni, tesoro».
Era tutto nelle mani di Lizzy, era lei a dover scegliere come trascorrere
l’ultima sera, se da sola o con uno di noi.
Kimberly si fermò a sussurrare qualcosa a Jack, quella loro ritrovata
complicità stava diventando preoccupante. Prima di raggiungere le nostre madri,
si fermò anche da me ad augurarmi: «In bocca al lupo».
Eravamo rimasti in tre, nei tavolini vicino alla piscina dove avevamo mangiato
il dolce.
«Dunque» iniziò Elizabeth, guardandoci entrambi per un breve istante. «Vorrei
parlarvi da soli, qualche minuto. Jack…» Trattenni il respiro. «Vorrei fare due
passi con Daniel, sulla spiaggia. Ci aspetti nell’atrio? Vorrei salutarti prima del
volo di domani.»
Mi costò ammetterlo, però Jack incassò bene la richiesta, annuì e si alzò. Era
anche vero che il tono di voce di Lizzy non era stato molto rivelatorio, né in un
senso né nell’altro.
«Andiamo?»
La seguii, rimanendo in silenzio fino alla spiaggia. Ci allontanammo dalle
coppie che avevano avuto la stessa idea.
«Danny.» Si fermò, in un punto abbastanza isolato e tranquillo. La luce della
luna, il rumore delle onde: c’era tutto il potenziale per un momento
indimenticabile. «Ho reagito male, in passato. Ero ferita e delusa per come era
finita la nostra storia.» Scosse il capo. «Tagliare i ponti non è stato comunque
giusto. Avrei dovuto dare più valore alla nostra amicizia.»
«Non è colpa tua, Lizzy. L’errore è stato mio.» Me ne ero pentito due secondi
dopo, quando mi ero accorto di averle spezzato il cuore. Non era stata mia
intenzione chiudere con lei, avevo solo pensato che mettere in stand-by per
qualche mese la nostra relazione, ritornando amici, ci avrebbe fatto soffrire meno
la distanza. «Non ti ho lasciata per andare a letto con altre.»
Annuì, poi si strinse le braccia al petto, rabbrividendo per un soffio di vento.
«Vieni qui, fa più fresco stasera.» La strinsi in un abbraccio.
«Non è il momento giusto, Danny. Abbiamo appena vissuto due lunghe
relazioni.»
«Aspettiamo, allora. Vediamoci come amici.»
Sciolse l’abbraccio e mi guardò, confusa. «Hai detto che non ti saresti più
trattenuto.»
«Non affretterò più la tua scelta, ma voglio che tu ti senta sempre amata,
apprezzata e soprattutto mai sola, lontana da casa.»
«Danny» sussurrò, con voce rotta.
Le posai un dito sulle labbra. «Sono stato stupido a mettermi in gara contro di
lui. Sei solo tu che devi decidere, pensando al tuo futuro e alla tua felicità. Io
posso solo dirti che ci sono e che ti amo.» Le sfuggì un singhiozzo e le carezzai
una guancia per rassicurarla. «Comunque andrà, essere nella tua vita è stato un
privilegio. Devo ringraziare quei bambini terribili che ti prendevano in giro,
perché mi hanno permesso di diventare il tuo Danny, pronto a difenderti.»
Si aggrappò a me in un abbraccio soffocante e quasi disperato.
«Lo devo prendere come un addio?»
«Non mi fare questa domanda stanotte, per favore.»
«Domani torniamo a casa insieme?»
La sentii rilassarsi e annuire contro il mio petto. Sciolsi l’abbraccio e le posai
entrambe le mani sulle guance.
«Danny?» Aveva intuito le mie intenzioni.
«Dimmi che non vuoi e mi allontanerò. Però un giorno potresti chiederti come
sarebbe stato. Io e te, in riva al mare di notte come nei nostri ricordi più belli.»
Sorrise.
Sarai sempre il mio primo amore, Elizabeth, comunque andrà.
30. Il test
Elizabeth

«Eccoti!» Jessica si fiondò ad abbracciarmi, appena rientrata dal lavoro lunedì


sera.
Ero atterrata poche ore prima e avevo avuto giusto il tempo di disfare la
valigia e controllare le e-mail.
«Mi sei mancata, non ero già più abituata a non vederti.» Ricambiai
l’abbraccio.
«Racconta, su! Serve il gelato?»
«Serve un intero ordine dal cinese. Prendi tutto.»
Di fronte a una cena per sei, da consumare solo in due, iniziai a raccontarle
punto per punto tutto quello che era successo in quella breve vacanza. Jessica
fece sporadici commenti e mangiucchiò a malapena, forse rapita dal racconto o
forse, come temevo, troppo stressata perfino per mangiare.
«Quindi, in conclusione?»
«Ho deciso che non voglio una relazione ora, non riuscirei a gestirla. Entrambi
sono riusciti a smuovermi e confondermi e proprio questo mi ha fatto capire che
non sono pronta, sono ancora troppo vulnerabile e volubile.»
Jessica annuì, pensierosa. «Capisco.»
«Tocca a te, sputa il rospo. Non ho intenzione di concederti altro tempo. Mi
appello al giuramento.»
Sgranò gli occhi, incredula. «Non l’hai mai fatto.»
«C’è sempre una prima volta.» Incrociai le braccia, per sembrare più
determinata ed evitare la distrazione dell’involtino nel piatto.
«Mi stai davvero dicendo che se non ti racconto perché sono in crisi,
aggiungendo altre preoccupazioni al casino sentimentale che stai vivendo, lo
considererai un grave affronto alla nostra amicizia?»
«Esatto. Sono pronta a rompere i braccialetti del giuramento, virtualmente
perché non ho idea di dove sia finito il mio, li abbiamo fatti alle elementari.»
«Ho chiesto una pausa a Matt.»
«Cosa?»
«Ma ho una settimana di ritardo.»
Troppo sconvolta per commentare, presi il bicchiere con mano tremante.
Bevvi un sorso poi lo posai sul tavolo. «Ok, hai comprato un test?»
«Stavo aspettando che… non lo so! Non so cosa fare, Liz.»
Mi alzai e andai ad abbracciarla, poi proposi di sederci sul divano dove
scoppiò in lacrime. Riuscii a capire solo metà del racconto vaneggiante delle
ultime discussioni avute con Matt, si erano rinfacciati cose così vecchie da
essere cadute in prescrizione. La distanza faceva danni, lo sapevo bene.
«Ami ancora Matt?» domandai, alla fine, dopo averle passato l’ennesimo
fazzoletto.
«Certo» rispose, senza alcun tentennamento.
«La pausa era solo per dimostrargli che hai bisogno di meno pressioni e più
supporto in questa avventura?» Un altro cenno affermativo. «Vai da lui, domani.
Prendi un permesso dal lavoro e corri da lui.»
Mi guardò come se avessi parlato in un’altra lingua. «Hai sempre detto che le
improvvisate erano il modo migliore di rovinare una storia.»
«Se parti con l’idea di metterlo alle strette, sì. Devi andare e pensare solo che
lo ami e che potete risolvere tutto. Però prima facciamo un test.»
«Vuoi che provi a dire a te quello che vorrei dirgli per…»
«Jess, un test di gravidanza! Dobbiamo prima sapere se sei incinta, non
credi?»
Scoppiò a ridere, ancora con il viso bagnato di lacrime e poi ricominciò a
piangere. «Ho paura. Voglio un figlio da Matt, anzi ne vorrei almeno tre. Però ho
paura che ora che siamo così in crisi diventerebbe il capro espiatorio delle scelte
fatte di fretta.»
«Un passo alla volta, ok?»
Matt avrebbe voluto chiederle di convivere o addirittura di sposarsi ed era
frustrato di dover attendere la fine della specializzazione, ne ero certa. Vederli
insieme faceva credere nell’amore: Matt avrebbe vinto la gravità se fosse stato
necessario, solo per poterla guardare. Per questo mi ero esposta così tanto a
consigliarle di correre da lui, la distanza non avrebbe vinto anche su di loro.
Ricacciai indietro le lacrime, non era il momento di pensare ai miei ricordi e ai
miei rimpianti, c’era Jessica al primo posto.
«Ho la nausea, magari è solo lo stress. Però tutto quel cibo dove lo
mettiamo?» Indicò il tavolo.
«Chiamo Rick e ci pensa lui a finire tutto. O preferisci di no? Non vorrei
lasciarti sola mentre cerco una farmacia aperta.»
«Liz, posso andarci io.»
«No, tu ora prenoti il volo per domani.»
Annuì, con un piccolo sorriso speranzoso.
Andai a recuperare il telefono dalla scrivania e ignorai le notifiche Instagram,
non era proprio il momento di vedere l’ennesima foto sul set di Jack con la
bellissima Jennifer. Scacciai il pensiero, per non distrarmi.
«Sei tornata?» Rick rispose, con voce un po’ rotta.
«Abbiamo ordinato cinese, tanto cinese.»
«Stasera non…»
«Ho bisogno di aiuto, non voglio lasciare Jess da sola e devo andare in
farmacia.»
«Stai male?» si allarmò subito.
«No, tranquillo. Giuro che non ti chiederò altri favori.»
«Ok, dammi il tempo di vestirmi e arrivare.»
«Vestirti? Eri già a dormire alle… Rick! Non avrai risposto al telefono
mentre…»
Sentii scorrere l’acqua del rubinetto del bagno. «Non fare domande se non
vuoi conoscerne davvero la risposta.»
«Fai con calma.»

Due ore dopo, richiusi la porta dell’appartamento e ci poggiai la schiena.


Dovevo metabolizzare quello che era appena successo prima di raggiungere
Jessica e Rick.
Avevo incontrato Daniel appena uscita di casa, era passato a salutarmi e aveva
avuto il tempismo peggiore. Ovviamente si era offerto di accompagnarmi in
farmacia, dopo essersi assicurato che stessi bene. Per fortuna mi aveva attesa in
auto, forse notando il mio disagio.
«Liz?» Jessica mi chiamò e dovetti raggiungerla in cucina.
«Che hai fatto? Hai una faccia.» Che fosse lei a dirlo a me, dopo tutte le
lacrime che aveva versato, era surreale.
«Ho incontrato Daniel di sotto e mi ha accompagnata lui.»
«Oh…» Jessica comprese subito.
«Che ha fatto stavolta?» Rick stava ancora dando fondo alle scorte del cinese.
Guardai Jessica, poi mi sedetti. «Mi è suonato il telefono, mentre stavamo
tornando. Era Jack.» Rick si portò una mano alla fronte, già temendo il peggio.
«Non ho risposto, non era proprio il caso stasera. Nel rimettere il telefono nella
borsa, però, ho dimenticato di chiuderla e quando l’ho presa per scendere, il test
è scivolato fuori.»
«Daniel ha visto la scatola» concluse Jessica.
«Sì, però ha finto di non aver visto.»
«Bene, dai.» Rick non aveva compreso il problema di fondo.
«Crede che tu sia andata a letto con Jack.» Jessica invece sì.
«Non ho voluto chiarire, perché non mi sembrava giusto rivelargli i fatti tuoi.»
«Liz, non c’è problema. Chiamalo e spiegagli, non voglio metterti in
difficoltà.»
«Stasera no. Se mi chiederà qualcosa, risponderò. Non vedo perché dovrei
giustificarmi.» A voler essere onesta, per un breve momento mi ero sentita quasi
sollevata, perché l’equivoco avrebbe reso le cose più semplici.
Nel volo di ritorno, Daniel aveva mantenuto le distanze, però non ero certa
che la passeggiata sulla spiaggia lo avesse scoraggiato. Soprattutto il finale.
I miei amici non avevano fatto domande, quel viaggio aveva messo tutte le
carte in tavola ormai, perciò da insistenti consiglieri si erano trasformati in
silenziosi ascoltatori. La scelta era mia e non volevano condizionarmi.
«Rick, avevi appetito, eh?» dirottai la conversazione.
«Quando sono stanco mangio di più.»
«Che hai fatto per essere così stanco?» Jessica non sapeva nulla della
telefonata, però comprese subito la mia espressione. «Colpa della governante?»
«Della sua amica Erica.»
«Rick!» ci sfuggì all’unisono.
Jessica fu la prima a iniziare la ramanzina. «Non sei andato a letto solo con la
governante giovane e bella, che hai appena assunto per tua madre, ma anche con
la sua amica!»
Aprì bocca per cercare di difendersi, però era impossibile fermare Jess quando
partiva per la tangente.
«Lei lo ha scoperto, vero? Per forza, abita lì. Ha urlato?»
Rick fece un mezzo sorriso. «Abbastanza.»
La suoneria del mio telefono interruppe la conversazione. Aprii la borsa e vidi
il nome sul display, una nuova chiamata di Jack. «Vado di là.»
Mi allontanai di qualche passo e risposi.
«Ciao, Liz. Ti disturbo?»
«No, no. Stavo cenando con Rick e Jessica. Sei ancora sul set?»
«Sono rientrato ora, volevo darti la buonanotte.»
L’urlo di Jessica mi spaventò. «Scusa un attimo.» Lasciai il telefono sul
divano e corsi in cucina. La mia amica sembrava sconvolta.
«Stai male?»
Jess scosse la testa, ancora a bocca spalancata. «Rick…»
«Jessica» la ammonì lui.
«Mi dite cosa sta succedendo?»
«Nulla, torna pure al telefono.»
Alzai gli occhi al cielo: quei due insieme erano ingestibili. Mi girai per
allontanarmi, mentre Jessica diceva: «Giuro che non ti prenderò mai più in giro.
Ti meriti il bollino da dispensatore extra».
Ripresi il telefono. «Eccomi, scusa.»
«Tutto bene?»
«Le solite discussioni tra Jessica e Rick, preferisco non indagare.»
«Almeno ti fanno compagnia.» Avrei giurato di leggere il sottinteso “almeno
non è Daniel”.
Fu una telefonata strana, breve e di circostanza.
Quando lo avevo salutato al resort, la notte precedente, Jack temeva volessi
sparire di nuovo e cambiare numero. Era nervoso perché ero appena stata a
passeggiare con Daniel, perciò avevo ignorato il suo tono brusco e gli avevo
risposto che mi avrebbe fatto piacere sentirlo, se anche lui era d’accordo. Aveva
semplicemente annuito poi c’era stato un abbraccio un po’ sofferto come ultimo
saluto e mi ero allontanata prima che cercasse di baciarmi.
Quella notte, nel buio della mia stanza, mi interrogai sulla mia decisione. Non
correvo più il rischio di avere un fidanzato di troppo. Avevo scelto il Team Liz,
illudendomi che amare di più me stessa mi avrebbe fatta sentire più forte e
indipendente. In realtà mi sentivo sola, per paura di soffrire di nuovo avevo
rialzato il guscio e chiuso fuori i due uomini che avevano dimostrato di amarmi e
che io avevo amato.

«Liz!» Jessica spalancò la porta della mia stanza, facendomi svegliare di


soprassalto.
«Cosa? Che è successo?» Mi sedetti, intontita dalle poche ore di sonno. La
sveglia segnava le sei di mattina.
La mia amica accese la luce, costringendomi a chiudere gli occhi, infastidita.
«Dovevo svegliarti, scusa.»
«Hai fatto il test da sola?» Ero improvvisamente lucidissima.
«No, mi è venuto il ciclo.» Si sedette accanto a me, con un tonfo.
Mi gettai tra i cuscini, con un sospiro di sollievo. «A che ora arriva il taxi per
l’aeroporto?»
«Alle otto, ti lascio dormire.» Fece per alzarsi, ma la trattenni per un polso.
«Resta, facciamo due chiacchiere.»
Jessica si distese accanto a me. «Non avevo del tutto paura, sai? Una piccola
parte di me è dispiaciuta di non essere incinta. Credi che sia folle?»
«No. Raccontalo a Matt, però. Digli tutto e vedrai che vi chiarirete.» Le strinsi
forte la mano e ricambiò la stretta.
«Sai, Liz, sapevo già che per te non era stato facile. Ora che sono lontana da
Matt solo da poche settimane mi chiedo davvero come tu sia riuscita a reggere
oltre tre anni. Sei la mia eroina.»
«O una masochista. Guarda come sono ridotta ora. Senza contare che li ho
fatti scappare entrambi.»
Jessica si girò di lato e mi guardò. «Se hanno rinunciato così presto,
soprattutto il tuo Jack, vuol dire che davvero non ti meritano. Ti ha chiamata
anche stasera, no?»
«Sì, però è stata una telefonata strana, come se fossimo… amici? Io non sono
mai stata sua amica, fin da subito o discutevamo o ci saltavamo addosso.»
«Certo che abbiamo una vita sentimentale incasinata per essere così giovani.
Non ai livelli di Rick, devo dire.»
«A proposito! Cosa ti ha detto in cucina? Sembravi sotto shock.»
Jessica scoppiò a ridere. «Meglio che non te lo dica. Ci hai vissuto insieme per
tre anni e non vorrei farti avere rimpianti.»
Le diedi una leggera gomitata. «Ora sembri Kimberly.»
«Tua sorella è giovane, però ha già buon gusto. Tra qualche anno sarà lei a
farci racconti sconvolgenti.»
Mi sedetti e la guardai con determinazione. «Ora mi dici cosa ti ha raccontato
Rick o morirò di curiosità.»
A mia difesa posso dire che la mia reazione fu più composta di quella avuta da
Jessica in cucina.
31. Tempo scaduto
Jack

«Hai parlato con Elizabeth ieri notte» decretò Jennifer, con un sorriso furbo.
«Da cosa lo deduci?» Mi sedetti per permettere a Lilian di ritoccare il finto
livido sul mio zigomo. Io e Deacon avevamo fatto ore di prove per rendere la
scazzottata il più verosimile possibile, lavorare con lui era sempre stimolante e
appagante. Aveva solo tre anni più di me, ma molta più esperienza sul set e un
grande talento.
«Da come sorridevi stamattina. Quando vi vedrete di nuovo?»
Sospirai, prendendomi un pizzicotto dalla truccatrice perché non ero stato
fermo. «Non voglio forzarla» spiegai, cercando di muovere il meno possibile i
muscoli del viso.
Lilian allontanò le mani e mi guardò. Pensai che stesse controllando il suo
operato, invece intervenne nella conversazione. «Fammi capire se mi sono persa
qualcosa. Sei tornato da quell’improvvisata che le hai fatto in Florida da quanto?
Un mese?»
«Sei settimane.» Non ne tenevo traccia, sia chiaro. Conoscevo bene il
calendario, perché mancavano ormai pochi giorni alla fine delle riprese.
«E in questo periodo quanto spesso vi siete sentiti?» Lilian ripose il pennello
tra quelli da lavare.
Jennifer fece uno strano verso, a metà tra una risata e uno sbuffo. «Tutti i
giorni, sicuramente, almeno per messaggi. Poi chissà che genere di telefonate ci
sono state, considerando il sorriso che…»
«Jen, piantala, dai. Ormai hai raccontato i fatti miei a tutti.»
«Siete la storia nella storia, vogliamo tutti sapere come finirà» rincarò Lilian.
«Preoccupiamoci piuttosto del finale, anzi dei finali, da girare.» Il regista
aveva deciso di provarli entrambi, in uno avrei vinto io e nell’altro Deacon. Poi
avrebbero scelto il migliore e la cosa mi metteva ansia perché il mio rivale,
nonché stimato collega, era davvero bravo. Non sarebbero stati sufficienti il mio
finto accento inglese e le scene senza maglietta a far vincere il mio personaggio.
«Io sceglierei te.» Jennifer mi fece l’occhiolino. «L’ho detto anche alla tua
Liz.»
«Non ricordarmelo.» Scossi la testa.
«Parlate della videochiamata della settimana scorsa?» La voce si era sparsa in
fretta, anche se eravamo solo in tre, nel mio appartamento, con la sola
compagnia dei cartoni della pizza. Stavamo studiando il copione di una scena
importante, quando mi aveva chiamato Liz, così le avevo presentato Deacon e
purtroppo anche la pettegola del cast.
«Sei un rompiscatole. Ho cercato di farle capire che non ero una rivale e…»
«Ti ricordo che sei stata tu a postare quelle foto ambigue nel mio profilo
Instagram, dicendo che la gelosia l’avrebbe smossa.»
«All’inizio ha funzionato, no?» Incrociò le braccia, sbuffando.
«Si era fidanzata con un altro?» intervenne perfino la costumista, ormai la mia
vita privata era di dominio pubblico.
«Solo un ex che però ha dato del filo da torcere al nostro Jack, riesci a
immaginarlo?» ridacchiò quell’infame di Jennifer, che ancora mi chiedeva foto
dell’idiota.
«Ma hai vinto tu, no? Io faccio il tifo per il tuo personaggio anche nel film.»
Sorrise Lilian.
«Diciamo che Liz non cerca una relazione in questo momento.» Ancora
dovevo digerire la sua decisione ed erano passate settimane da quando me lo
aveva detto nella hall del resort, prima di salutarmi.
«Però vi sentite ancora? E l’altro che fine ha fatto?»
«Spero sia andato a farsi un viaggetto nel deserto con i cactus.» Guardai
sorpreso Eloise che si affrettò ad aggiungere: «Jennifer ha detto che l’altro tizio
ci provava con Elizabeth anche quando lei stava con te.»
«Jennifer dovrebbe trovarsi un altro hobby o finirà per trovarsi nei guai» la
minacciai, con il sorriso.
«Tesoro, ti sto facendo un favore. La vita di un attore è pubblica e tu
diventerai famoso.» Come facevo ad arrabbiarmi davvero con lei? La
videochiamata con Liz era stata imbarazzante e Jennifer non si era trattenuta dal
fare battute di ogni tipo. Stavo per strozzarla, poi aveva salutato Liz,
raccomandandole di non farmi scappare. Deacon si era limitato a un sorriso
riservato.
«Quando avete finito di spettegolare, possiamo continuare a lavorare?» Il
regista ci richiamò all’ordine.
«Speriamo di essere presi tutti nella prossima produzione. Ho sentito che a
fine luglio iniziano a girarne uno ambientato a un ricevimento di nozze.» Eloise
controllò per l’ultima volta l’abito indossato da Jennifer.
«Io voglio fare il provino per la cugina della protagonista, una vera Bridezilla,
sarà divertentissimo!» Solo Jen poteva entusiasmarsi per quel ruolo.
«Jack, riprovi con il protagonista?»
Scossi la testa. «Troppo bravo ragazzo. Cercavo qualcosa di diverso.»
«Non starai ancora aspettando che Liz si decida?» mi stuzzicò Jennifer.
«Non lo so. Credo farò solo un ultimo tentativo.»
Ci avvicinammo al set, mentre sistemavano le luci per le riprese.
«Vi ho sentiti parlare, sembrate sempre in bilico tra il flirt più palese e la
nostalgia. Dovete vedervi di nuovo, non credo riuscirete a non saltarvi addosso.»
Forse aveva ragione Jennifer. Però il problema tra me e Liz non era mai stato la
mancanza di attrazione, che era stata palese fin dai primi istanti, anche quando
entrambi volevamo ignorarla.
A fine giornata, dopo averci rimuginato a lungo, decisi di scriverle.

Che programmi hai per il fine settimana?

Torno a casa, non vedo mamma e Kimmy dalla vacanza. Perché me lo chiedi?

Ignorai la sua domanda, cambiando argomento. In realtà stavo impazzendo


perché non sapevo se anche Daniel sarebbe tornato a casa in quei giorni. Non
avrebbe dovuto fare alcuna differenza, considerando che si era trasferito proprio
per starle vicino, però lei si era lasciata sfuggire che si erano visti di rado nelle
ultime settimane e avrei preferito continuassero così.
Non potevo domandarlo, sia per una questione di orgoglio sia per evitare
l’argomento peggiore, così telefonai a Rick, sperando che si lasciasse sfuggire
qualcosa, anche se era diventato troppo neutrale e non si schierava più in nessun
senso.
«Rispondimi solo sì o no» esordii.
«Se vuoi darmi il numero della tua coprotagonista, sì.»
«Lascia perdere, lei vorrebbe quello del cog… di Daniel» mi corressi, per
evitare di calcare troppo la mano.
Rick scoppiò a ridere. «Sai che il prossimo fine settimana va in scena Lezioni
di seduzione?»
«Ah sì? Mi piacerebbe vedere cosa hanno combinato. Tu ci vai?»
«Penso di sì. Liz non vuole, ancora si vergogna del suo spogliarello di quattro
anni fa.»
Un’idea si formò nella mia mente, ricordando una battuta che c’eravamo
scambiati mesi prima. «E questo fine settimana che fai, invece?» Cercai di
suonare vago.
«Esco con qualche amico. Liz e Jess tornano a casa.» Non mi rivelò però
quello che desideravo sapere.
Chiacchierammo ancora qualche minuto e lo salutai. Passai al piano B e
chiamai Kimberly.
«Non ho ancora deciso» rispose, alludendo alla sua lista di favori da
riscuotere.
«I biglietti per il concerto di agosto cosa sono?»
«Quelli valgono come regalo di Natale dello scorso anno.»
In realtà, quelle finte trattative mi stavano permettendo di parlarle e
guadagnarmi, passo dopo passo, di nuovo la sua fiducia e speravo anche il suo
affetto. Era come una sorellina per me e mi dispiaceva averla ferita e delusa nel
momento peggiore.
«Potrei trovare anche un pass per il backstage»
«In cambio di cosa?» Pragmatica come sempre.
«Sai se torna anche Daniel insieme a Liz questo fine settimana?»
Sbuffò. «Sì e siamo invitati tutti al pranzo della domenica da Laura.»
Maledizione, ci mancava solo l’intervento della signora Cupido, ero certo che
non si fosse ancora rassegnata a perdere Liz come futura nuora. «Puoi tenerlo
d’occhio?» osai, non sapendo come l’avrebbe presa.
«Che intenzioni hai con mia sorella?»
«Sto cercando di lasciarle il suo spazio, come mi ha chiesto.» Per quanto mi
fossi sforzato di capirla, mi sembrava di stare sprecando altro tempo. Altre
settimane senza poter stare insieme.
«Hai intenzione di allontanarti ancora nei prossimi mesi?»
«Questa è una domanda che dovrebbe farmi lei.» Invece si guardava bene dal
chiedermi alcunché, perfino quando la aggiornavo sulle riprese quasi terminate
di Un fidanzato di troppo.
«Non tifo per Daniel, non credo sia la persona giusta per Ellybeth. Però, devo
dire che si è impegnato, questo sì.» Prima che potessi intervenire, continuò: «Ti
farò sapere se li vedrò in atteggiamenti intimi, altro non posso fare».
Fu così che trascorsi un intero fine settimana di agonia, rodendomi di gelosia.
Non perché non avessi fiducia in Liz, quello che aveva detto a me doveva averlo
detto anche a Daniel, nella loro passeggiata al chiaro di luna. Quando era
riapparsa mi era sembrata un po’ stravolta e avevo davvero temuto che fosse
successo qualcosa tra loro. Avevo dovuto accantonare il dubbio perché non
sarebbe servito a nulla, arrivati a quel punto.
Molto utile era stato il consiglio di Teo, che mi aveva chiamato su Skype
pochi giorni dopo il mio rientro dalla Florida, per darmi i contatti dei suoi amici
influencer da contattare in vista della promozione di Un fidanzato di troppo. Mi
ero sfogato con lui, raccontandogli ogni cosa.
«Un po’ capisco il punto di vista di Elizabeth. In fondo, sia con te che con
l’altro ha vissuto storie molto intense. O sbaglio?»
«Da quando in qua sei diventato così profondo?» avevo scherzato, per
mascherare il vero impatto della sua riflessione.
«Sono successe un po’ di cose in questi mesi.» Dal suo tono esasperato già si
prevedevano racconti assurdi, tipici del suo stile di vita.
«Ancora? Ero rimasto alla pioggia di gossip sul tuo fidanzamento e la presunta
gravidanza della tua nuova fiamma.»
«Hai presente quando sei costretto a fingere di essere qualcuno, poi quel ruolo
ti piace così tanto che vorresti non fosse una bugia?»
La risata era uscita spontanea ma amara. «Molto bene, Teo. Direi che siamo
messi entrambi male.»
«Quasi rimpiango i tempi in cui tutto passava con una birra al pub sotto casa, a
Londra.»
«Per te, forse. Io ho firmato per una vita complicata nel momento stesso in cui
ho deciso di far reagire la timida compagna di corso che doveva recitare al mio
fianco. Dovevo insegnarle a fingere di farsi sedurre dal mio personaggio e
invece…»
«Ti sei innamorato come un cretino. Riderei di te, se non fossi un cretino
anch’io.»
Arrivai a domenica sera stremato e di cattivo umore. Il messaggio di Kimberly
mi fece temere il peggio, finché non lessi il contenuto.

Devo dire che sembrava il vecchio Daniel, solo affettuoso e mia sorella non si è
lamentata.

Non avevo più pazienza di aspettare, non volevo più starle lontano.
32. Lezioni di seduzione
Elizabeth

Rischiavo di fare tardi alla cena con i colleghi di Jessica per l’assurda richiesta
del professore. Anzi di due professori, perché la colpa era, neanche a dirlo, di
quel pazzo esaurito del corso di recitazione.
Ogni tanto lo avevo incontrato di sfuggita al campus senza averci più avuto
molto a che fare; quella sera avrei dovuto raggiungerlo a teatro, proprio mentre
stava per andare in scena la nuova versione di Lezioni di seduzione.
Il guaio era stato la rottura di un oggetto di scena, la riproduzione di una
vecchia lampada a olio. Il caso voleva che il professore di Teorie della
Comunicazione, assente per un convegno, ne possedesse una simile nel suo
ufficio, di cui io avevo le chiavi. Purtroppo avevo fatto l’errore di leggere l’e-
mail e quindi era stata inviata in automatico la conferma di lettura. Non avrei
potuto sottrarmi, a quel punto, avrei fatto una pessima figura e, in fondo, si
sarebbe trattato di perdere al massimo un’ora tra una cosa e l’altra.
Jessica sbuffò e poi risolse con praticità la questione: «Fai una veloce sosta al
campus e poi ci raggiungi al ristorante. Ti tengo il posto e ordino anche per te, se
fai tardi».
Ero rientrata nel tardo pomeriggio dal pranzo con Daniel, non ci vedevamo da
un paio di settimane pur vivendo nella stessa città, così avevamo deciso di
approfittare del suo primo pomeriggio libero dal lavoro. Giunta a casa, ero
rimasta sdraiata a guardare il soffitto e pensare, oscillando tra sorrisi nostalgici,
dubbi, sensi di colpa e varie interpretazioni giuste o sbagliate di certe sue frasi.
Daniel era bravo nel ruolo di amico, lo era sempre stato, però eravamo
consapevoli entrambi di non poter ricostruire qualcosa che era uscito ormai dai
ranghi. Non volevo rinunciare a lui e anche lui sembrava della stessa idea, però il
rischio di fraintendimenti era direttamente proporzionale al numero di ore che
trascorrevamo insieme. Soprattutto finché io avevo ancora affissa in fronte
l’etichetta auto-insignita di single per scelta.
Mentre cercavo le chiavi dell’ufficio nella borsa, vidi il telefono lampeggiare
per una notifica. Era un messaggio di Daniel.

Sono stato benissimo oggi, non facciamo passare più tanti giorni, ok? So che ho
avuto molto lavoro e non era facile trovare il tempo, dopo che avevi escluso le
serate come momenti per vedersi.

D’accordo, Danny. Ci vediamo presto, promesso.

Recuperai la lampada, imbustandola alla bell’e meglio e richiusi a chiave la


porta. L’ultimo messaggio di Daniel, però, mi lasciò vagare pensierosa nel
campus, fino al teatro.

Quando ti abbraccio mi sento sempre a casa. Sarai sempre il mio rifugio, Lizzy.

L’ingresso principale era ancora chiuso, così entrai dal retro. Nella penombra del
corridoio, dietro il palco, vidi una figura di spalle. «Scusami, sai dove posso
trovare il professor…» Non riuscii a terminare la frase perché il ragazzo nel
frattempo si era girato.
«Ciao, Liz.» Jack non sembrava minimamente sorpreso di vedermi.
Stavo sognando? No, conoscendolo, non aveva resistito a controllare il nuovo
William.
«Che ci fai qui?»
«Non potevo perdermi la prima, lo avevo promesso.»
«Io devo solo consegnare una…»
«Lampada, lo so.» Qualcuno poteva averlo avvisato del mio arrivo, però
conoscevo troppo bene Jack e il suo ghigno che stava facendo capolino.
«Non serviva, vero? Sei stato tu a farmi contattare per farmi venire qui.» La
sua espressione bastò per darmi la conferma.
Mi avvicinai e sorrise, illudendosi. Gli consegnai semplicemente la busta con
la lampada e mi girai. «Mi aspettano a cena.»
«Liz, aspetta!»
Presi un lungo respiro e mi voltai. «Jack, non siamo a questo punto. Non è il
momento di giocare.»
«E a che punto siamo, allora? Perché io non lo riesco a capire.» Sembrò
risentirsi.
«Te l’ho detto, adesso non…»
«Sono passati quasi due mesi e ci siamo sentiti ogni giorno, ma guai a proporti
di rivederci. Io non voglio andare avanti così.» Aveva finito la pazienza.
Sentii un peso sul cuore perché l’idea di perderlo di nuovo mi faceva male. Se
non altro, non mi ero lasciata coinvolgere del tutto, mi illusi. «Va bene, Jack.
Non ti ho chiesto di aspettarmi.»
«Stai scherzando? Abbiamo vissuto quattro anni aspettandoci, Liz! Non mi far
passare per quello che si è stufato, mi sembra solo assurdo che ora che sono qui
non possiamo tentare almeno di ricostruire la nostra relazione.»
«E come vorresti farlo?» Mi tremava un po’ la voce e sperai che non arrivasse
nessuno ad assistere al nostro ultimo confronto.
«Vivendoci, uscendo insieme, addormentandoci insieme. Tutto quello che non
siamo riusciti a fare se non per pochi giorni al mese.»
«Non siamo più in due continenti diversi, però non siamo neppure vicini.»
«Tra una settimana avrò finito di girare Un fidanzato di troppo. Sono arrivato
questa mattina per parlare con il professore, gli serviva un assistente per il corso
estivo nella città vicina.»
«Jack.» Sgranai gli occhi, incredula.
«Non prenderò nessuna decisione senza conoscere la tua opinione. Posso
passare l’estate a un’ora da qua e vederti anche tutti i giorni, oppure posso
lasciarti in pace. Non ho intenzione di rinunciare alla mia carriera e sto cercando
un buon copione per cui fare il provino però, in quel caso, decideremmo insieme
in base alle esigenze di entrambi e ora sei tu la mia priorità.» Non riuscii a
replicare, c’era troppo da metabolizzare. «Pensaci. Stasera resto a vedere lo
spettacolo, se vuoi sederti in platea c’è posto anche per te.»
«Avrei un impegno.» Non ero così sicura di andarmene, però.
«Come posso rimediare al mio errore se non mi permetti di provarci?» Bella
domanda, tenerlo a distanza di sicurezza era sembrato più semplice per il mio
povero cuore. «Se ti avessi chiesto di vederci questo fine settimana, mi avresti
detto di no. Ho forzato gli eventi perché mi mancavi troppo per starti ancora
lontano. Ora però la decisione è tua, io sono pronto a tornare da te e recuperare
tutto il tempo perduto.»
Immobile, frastornata, spaventata e commossa. Dentro di me era in atto una
battaglia di tali proporzioni che non mi restava nemmeno la forza di parlare. Si
avvicinò e posò una mano sulla mia guancia, con una tale delicatezza che mi
portò a chiudere gli occhi e abbandonarmi al suo tocco.
«Ho il volo domattina per tornare sul set.»
Riaprii gli occhi, spaventata di dover decidere delle nostre vite in una
manciata di ore.
«Non te l’ho dimostrato abbastanza, ma ti ho amata ogni giorno, quando eri
tra le mie braccia come quando eri lontana un oceano intero.» Mi lasciò un bacio
lievissimo sulle labbra, un impercettibile sfioramento.
«Jack…»
«Mi trovi in platea, se prendi una decisione.» Si allontanò, lasciandomi senza
fiato. Prima di girare l’angolo del corridoio, si fermò e mi rivolse un ultimo
sguardo. «Mi hai cambiato la vita, Liz. Anche se tu decidessi di non volerci
riprovare, resteresti sempre il mio grande amore e il più grande rimpianto.»
Avevo gli occhi pieni di lacrime e sperai non li avesse notati nella fioca luce
d’emergenza. «Ti amo anch’io, Jack» sussurrai, quando ormai aveva già svoltato
l’angolo.
Mi sedetti sul pavimento, le gambe mi tremavano e il mondo girava. Avrei
lasciato che la paura di soffrire mi impedisse di scoprire come sarebbe stato
vivere davvero una relazione con Jack? O avevo più paura di scoprire che
funzionavamo meglio a distanza che vicini? Il nostro amore era stato forte ad
aver resistito anni o era stato solo un’illusione perché in realtà non avevamo
vissuto la quotidianità?
Avevo solo un modo per scoprirlo.

Erano passati solo pochi minuti, però trovai Jack sul palco a spiegare qualcosa
agli attori, sotto l’occhio attento del professore. Fu impossibile riuscire ad
avvicinarlo, così mi ritrovai a scrivere a Jessica per avvisarla che non sarei
riuscita ad andare e a Rick dicendogli che mi avrebbe trovata già in platea, in
condizioni precarie.
Scambiai qualche parola con Agatha, che era diventata la responsabile del
teatro dopo la ristrutturazione. Si accorse che non ero molto in me e propose di
vederci a pranzo al campus un giorno. Era stata spesso a casa nostra quando
usciva con Rick, poi tra loro era finita e io e lei c’eravamo incontrate di rado
negli anni successivi.
Il pubblico si stava accomodando, perciò andai a sedermi nei posti riservati
agli ospiti.
Rick comparve al mio fianco un minuto dopo. «Che è successo?»
Lo tirai per la manica della giacca, facendolo sedere, per potergli parlare
sottovoce. «Non riesco a spiegarti tutto ora, devo parlare con Jack stasera.»
Lo sentii sussultare dalla sorpresa, nemmeno lui era a conoscenza della
presenza di Jack.
«Abbiamo riunito il vecchio cast» osservò, proprio lui, sedendosi accanto a
Rick.
Non ci fu modo di fare cambio posto, men che meno di trascinarlo via, perché
lo spettacolo stava iniziando. Fu un’agonia contare i minuti alla fine, smaniosa di
poter parlare da sola con Jack.
Il copione era simile al nostro, anche se Catherine era una vedova e non una
giovane fanciulla. Le lezioni di seduzione in biblioteca dovevano essere quindi
più piccanti, ma il nuovo William non aveva nemmeno un terzo del fascino che
Jack aveva saputo dare al personaggio quattro anni prima. Arrivò l’atto finale,
improvvisato come da tradizione, e Catherine, a sorpresa, scelse George.
Sentii Rick ridacchiare. «Di fronte a un William così terribile, mi pareva fin
troppo facile parteggiare per George e non lo dico per lealtà al mio vecchio
ruolo.»
Il professore apparve sul palco quando calò il sipario, non sembrava
pienamente soddisfatto, poi si illuminò in un sorriso diabolico dei suoi. «Siete
fortunati, cari spettatori, perché questa sera abbiamo tra noi il cast originale della
mia commedia! Perché non mi raggiungete, ragazzi?»
Jack si alzò, e Rick lo seguì. Io non avevo alcuna intenzione di salire di nuovo
sul palco a ricordare a tutti che anch’io mi ero spogliata, anche se di me si era
visto meno che della Catherine nuova versione.
«Elizabeth, non ci raggiungi? Forse la conoscete, lavora qui al campus
come…»
«Arrivo!» Scattai, con un suono stridulo, per evitare che raccontasse a tutti
dove trovarmi.
«Eccellente.» Il pazzo aveva ritrovato il sorriso, mentre ci accoglieva sul
palco. «Che ne dite di una performance straordinaria? Diamo al pubblico due
finali?» Dalla platea si alzò un mormorio e la luce del riflettore venne puntata su
noi tre.
«Jack» lo chiamai, a denti stretti, atterrita. Cercai di convincermi di essere
finita in un classico incubo: mi sarei svegliata e ci avrei riso su. Jack si fece
passare il microfono dal professore e io feci un passo indietro andando a sbattere
contro Rick, che era rimasto in silenzio, incuriosito.
«Quattro anni fa, la prima Catherine…» Jack mi indicò. «Ha accettato la
proposta di matrimonio di William.» Indicò se stesso, con un ghigno. Risate in
platea. «Però poi, è andata a vivere con George.» Indicò Rick che sorrise,
scuotendo la testa. Dal pubblico si levò un mormorio stupito. «Forse è il caso
che rinfreschiamo la memoria a Catherine, che dite?»
Stava diventando un talk show e il pubblico era rapito dai modi di Jack. Lo ero
anch’io, pur volendolo strozzare per la situazione in cui ci stava cacciando. Me
lo ritrovai di fronte e allungò la mano verso la mia.
«Mia signora.»
«Jack» sussurrai, incredula.
Prese la mia mano e si inginocchiò. «Ormai mi conosci e sai che amo un po’
troppo la teatralità.» In me si stavano scontrando emozione e imbarazzo, in pari
quantità. Lo avrei baciato e poi picchiato. «L’alchimia tra noi era troppa per
rimanere sul palco e siamo passati dalla finzione alla realtà, poi la vita vera si è
rivelata più complessa di un elaborato copione. Tornando indietro faresti la
stessa scelta?» Non mi lasciò il tempo di rispondere. «Perché George, alla fine, ti
è stato più vicino di me in questi anni.» Era tornato al piano della finzione, però
non c’era traccia di William in lui.
Il pubblico rise e Rick fece un inchino.
«Ho sempre odiato i triangoli, sono molto geloso e mi piace vivere tutto
intensamente, incluso l’amore.» La mia mano tremò stretta nella sua. «Non ti
farò un’altra proposta di matrimonio, quella era per Catherine. Stasera ti chiedo
solamente: vuoi uscire a cena con me stasera e magari a colazione domattina?»
Scoppiai a ridere, con gli occhi lucidi, e anche tra il pubblico qualcuno
ridacchiava. «Solo se a colazione possiamo parlare di dove andremo a vivere
quest’estate.»
Balzò in piedi e scoccò un bacio sulla mia bocca, mentre ancora sorrideva.
«Ho beccato l’anno sfortunato, per essere George» sdrammatizzò Rick,
distogliendo l’attenzione del pubblico da noi due.
Il professore ridacchiava, contento di quel fuori programma che gli aveva fatto
dimenticare la mediocrità della rappresentazione di quella sera. Il problema era
che nessun William poteva competere con l’originale, che, cercando di
conquistare Catherine, aveva conquistato anche me.
Riuscimmo a defilarci mentre i tendoni si riaprivano per mostrare il povero
cast dimenticato.
Attraversando il campus a piedi, ci limitammo a fare commenti sulla
rappresentazione. Fu solo nell’appartamento silenzioso che arrivò il momento di
affrontare la conversazione.
«Quindi era un sì? Comincio a capire quando ti sentivi confusa tra Jack e
William.»
Risi, sedendomi sul divano. «Colpa tua, non riesci a evitare gesti plateali.»
«Sono un attore» spiegò, con il sorriso.
«Non solo.»
Si fece serio. «No, non solo. Sono prima di tutto il tuo Jack e non ho
intenzione di lasciarti più da sola.»
«Sai essere molto insistente e…» Lanciai un urletto perché mi prese in
braccio, diretto verso la camera da letto. «Cosa stai facendo? »
«Ti ricordavo più perspicace, miciotta.» Mi gettò sul materasso.
«Non dovevamo andare a cena?» Arretrai nel letto, con i gomiti, fino ai
cuscini.
«Dopo.»
«Jack…»
Mi zittì con un bacio, prima di sussurrarmi: «Fai l’amore con me, Liz».
33. Abitudine
Elizabeth

Avevo preso la brutta abitudine di svegliarmi in piena notte. A volte a causa di


un incubo, a volte per colpa di banali rumori che turbavano il mio sonno troppo
leggero. Mi ritrovavo così a fissare il soffitto come se fosse già mattina e mi
riaddormentavo solo poco prima del suono della sveglia, quando ero costretta a
trascinarmi sotto la doccia, maledicendo l’insonnia.
Quando aprii gli occhi, quella notte, avevo dormito solo un paio d’ore. In
circostanze normali avrei sfoderato la mia solita lista di rimedi: camomilla,
musica, lettura di un saggio, fino al tentativo estremo di trovare qualcuno sveglio
tra Jessica e Rick per fare due chiacchiere.
La mano di Jack era posata sul mio ventre nudo e i suoi capelli sfioravano il
mio collo al ritmo del suo respiro. Avevamo sempre avuto così poco tempo da
trascorrere insieme da preferire rimanere svegli a oltranza finché non vinceva la
stanchezza estrema e crollavamo addormentati senza curarci di rimanere
abbracciati. Mi svegliavo spesso con una mano di Jack sul seno, era il suo
buongiorno, ma quella notte era rimasto vicino a me come se avesse timore di
lasciarmi andare.
Presi un lungo e lento respiro, muovendomi il meno possibile per non
svegliarlo. Volevo metabolizzare quello che era successo solo poche ore prima,
perché nel silenzio e nel buio della notte, tutto rischiava di confondersi nelle
ombre di un sogno.
Ripercorsi con la mente ciò che ci eravamo detti, le promesse fatte, i baci e le
carezze, le risate e i sospiri. Senza rendermene conto, iniziai a piangere, in
silenzio.
«Liz?» I deboli sussulti avevano svegliato Jack. Alzò una mano verso il mio
viso e trovò le guance bagnate. «Che è successo?»
«Niente. Torna pure a dormire, non volevo svegliarti.» Avevo la voce roca e il
respiro spezzato.
Jack si sedette e accese la luce dell’abat-jour, perché si sarebbero estinte prima
le zanzare della sua testardaggine. Mi rivolse uno sguardo assonnato, con una
mano a massaggiarsi il collo indolenzito per aver dormito sulla mia spalla. «Sto
aspettando, su.»
Sbuffai e mi sedetti a mia volta, coprendomi con il lenzuolo. «A volte soffro di
insonnia, mi sveglio e fatico a riprendere sonno, così mi metto a pensare.»
«Stavi piangendo.» Si passò una mano sul viso e tra i capelli, sempre più
spettinati.
«Non per qualcosa che è successo, è solo che…» Non sapevo come spiegarmi,
nel bel mezzo della notte, mentre lui mi guardava confuso.
«Liz, ascoltami.» Allungò una mano per prendere la mia. «Non ti posso
promettere che d’ora in poi sarà tutto semplice, come per magia.»
«Lo so!» Mi tappai la bocca e abbassai la voce, avevo rischiato di farmi
sentire perfino da Jessica. «Ti ho detto che non è successo niente perché davvero
è così. Non ho ripensamenti, né dubbi. Mi sono svegliata accanto a te e mi sono
resa conto che non ero abituata a farlo ed è stato strano perché…»
«Perché non abbiamo mai avuto il lusso di svegliarci insieme senza l’ansia del
conto alla rovescia prima della prossima partenza.» Aveva capito benissimo,
annuii e gli sorrisi.
«Vieni qui.» Si distese di nuovo e mi invitò tra le sue braccia.
Mi strinsi a lui, baciandogli il torace nudo e respirando il suo profumo
familiare che credevo di aver ormai dimenticato. Erano passati mesi, ma
nemmeno gli anni avrebbero potuto far sbiadire il ricordo di Jack, perché era
impresso su di me in ogni strato, dalla pelle che sembrava recare ancora le
impronte delle sue dita, fino al cuore che batteva più forte solo in sua presenza.
Spense la luce e l’oscurità ci avvolse, nel silenzio rotto solo dai nostri sospiri,
finché Jack non iniziò a raccontare. «Quando tornavo a trovarti, molto spesso
faticavo a prendere sonno per colpa del fuso orario così mi trovavo a pensare
mentre tu dormivi accanto a me.»
«Non mi lasciavi mai dormire molto.» Sorrisi, ricordando i suoi assalti
notturni.
«Perché dopo un po’ non resistevo più e preferivo importunarti davvero che
rimanere a fissarti dormire» ridacchiò. Poi tornò serio, mentre la sua mano
giocava distrattamente con una ciocca dei miei capelli, un gesto che quasi
sempre compiva senza nemmeno rendersene conto. «Eravamo alla casa al mare
dei tuoi, quella volta, prima che ci raggiungessero insieme a tua sorella per
festeggiare il quattro luglio.»
«Dopo gli esami del terzo anno» sussurrai, pianissimo, per timore di
interrompere il suo racconto.
«Sono rimasto solo tre giorni, non potevo assentarmi di più da Londra. Ero
nervoso e avevamo discusso quella sera, perché non ti avevo dato nessuna
spiegazione se non la stanchezza. Mentre tu dormivi mi sono chiesto il motivo e
ho trovato una risposta.»
«Quale?»
«Non volevo ripartire, o meglio non volevo lasciarti lì. Ero nervoso, perché se
avessi puntato i piedi per tenerti a Londra con me tutta l’estate, avresti dovuto
rinunciare a stare con la tua famiglia e i tuoi amici.»
«Ti ho raggiunto tre settimane dopo, o sbaglio?» Certi ricordi tendevano a
confondersi da un anno all’altro.
«Sì. Il punto è che mi sfuggiva il vero problema. Perché avevo questi momenti
di rabbia e di nostalgia tremenda e continuavo a volerti portare via con me. Non
ero ancora arrivato a pensare di poter rinunciare io a qualcosa, perché tu valevi
di più.»
«Jack, non possiamo cambiare il passato. Anch’io avrei potuto seguirti e
studiare in Europa, però non volevo rinunciare alla mia famiglia, al mio piano di
studi già stabilito. Ci conoscevamo da così poco quando sei partito e poi ci
siamo visti solo pochi giorni al mese, sarebbe stato irresponsabile che uno dei
due rinunciasse a tutto per l’altro.»
Mi lasciò un bacio tra i capelli, in risposta. «Se fossi rientrato qui prima di
rendermi conto delle vere priorità della mia vita, sarei stato divorato dalla rabbia
e dal rancore fino a rovinare tutto. Non ero pronto ad amarti come meriti,
purtroppo dovevo rimanere senza di te per accorgermi che ci tengo alla mia
carriera, ma amo te molto di più.»
«Se piango, mi chiedi di nuovo se è successo qualcosa?» Sdrammatizzai,
commossa e con gli occhi lucidi.
«Ho un’idea migliore, miciotta.» Il lenzuolo volò in alto, esponendo la mia
pelle nuda all’aria fresca della notte, solo per pochi istanti. Poi il corpo di Jack
coprì il mio.
«Penso di aver capito la tua…» Non riuscii a terminare la frase perché mi
ritrovai i suoi capelli tra le cosce. Ecco cosa avrei voluto diventasse un’abitudine
quotidiana: l’impetuosità di Jack nell’amare ogni parte di me.
Gli bastarono forse due minuti per portarmi al limite, e si bloccò prima che
urlassi troppo forte, non ero in condizione di trattenermi. Si stese sul mio corpo,
per tornare a baciarmi e ridacchiò sulla mia bocca quando gemetti di frustrazione
per il contatto tra i nostri bacini.
«So ancora farti perdere la testa.»
«Spaccone.»
«Sempre impaziente, eh?» Mi impedì di arpionargli i fianchi con le mie
gambe.
«Dai, Jack…» sbuffai, il viso sepolto nel suo collo.
«Stavolta deve durare di più, ho una lunga lista di cose che morivo dalla
voglia di farti.»
Gemetti e gli mordicchiai una spalla. «Sei tremendo e giochi sporco perché sai
benissimo come farmi impazzire in due secondi.»
«Dovevo solo controllare che non fosse cambiato nulla.»
«Mi prendi in giro? Ti sei sempre vantato della nostra alchimia.»
Lasciò una scia di baci dal mio collo fino al mio seno dove si fermò a lungo,
prima di riprendere il discorso che ormai avevo dimenticato. «Qualcosa è
cambiato, però. Mi sembrano più grosse.»
Scoppiai a ridere, solo lui era in grado di farmi ridere perfino tra i gemiti.
«Stavo proprio aspettando che te ne accorgessi.»
«Amore, me ne ero accorto da settimane. Devo recuperare il tempo perso.»
«Prima o poi smetterai di esserne ossessionato e diventerà un’abitudine.»
«Ossessionato da cosa? Dalle tue tette o da te?» Mi rese molto difficile
rispondere perché aveva ripreso a dedicarsi alla venerazione del mio seno.
«Jack…» mi lamentai, cercando di sollevargli il viso per baciarlo.
«Che miciotta impaziente, voglio solo farti le coccole.»
«Queste non sono coccole, ho bisogno di… Lo sai!»
Lo sentii ridacchiare sul mio collo mentre la sua mano scendeva a sfiorarmi il
ventre. «Ho un ruolo da riaffermare, ieri sera è stato troppo veloce.» Attese la
mia replica, torturandomi ancora con carezze che non arrivavano mai fin dove
avrei voluto.
«Jack, sei sempre stato e sempre sarai il mio unico dispensatore di orgasmi. Va
bene così?»
Rise e scoppiai a ridere anch’io, ed era così naturale. Forse non avevamo
vissuto la quotidianità nella nostra relazione ma non c’erano dubbi sul nostro
affiatamento.
«Mi era mancata da morire la tua risata.» Mi baciò con passione e non riuscì
più nemmeno lui a trattenersi, perché non ero l’unica ad avere bisogno di sentire
i nostri corpi di nuovo uniti.
Non sarebbe diventato tutto più semplice dall’oggi al domani, però non avevo
intenzione di lasciare che risentimento e orgoglio guidassero ancora la mia vita.
Io e Jack avevamo scelto di diventare una coppia nel momento peggiore, lo
avevano ripetuto tutti nel corso degli anni.
A volte i risultati più inaspettati arrivano dalle circostanze più folli, come non
fuggire da un corso sbagliato che mette a dura prova la tua timidezza, come
portarsi a casa un finto fidanzato e desiderare che diventi vero. Come scegliere
di impegnarsi a un oceano di distanza perché nessun altro potrebbe farti battere il
cuore come lui, che vive con passione, ama con trasporto, tocca con reverenza
ogni parte di te.
Ci sono cose a cui non mi abituerò mai, perché le vivrò ogni volta con la
stessa emozione. Come il «ti amo» di Jack, sussurrato a un passo dall’orgasmo,
con quel tono roco, intenso e meravigliato, come se non riuscisse a credere di
potermi amare ogni volta di più.
34. Partenza
Jack

Suonò la sveglia e allungai la mano alla ricerca del telefono, facendo cadere una
spazzola dal comodino: decisamente non era la mia stanza.
Mi girai e vidi Liz ancora a occhi chiusi, i capelli scuri sparsi sul cuscino. Da
quanto tempo non mi svegliavo accanto a lei?
«Buongiorno, amore.» Le diedi un bacio sulla spalla nuda, cercando di
scostare il lenzuolo.
Si lamentò, prima di aprire gli occhi. «Jack?» Anche lei stava prendendo
cognizione della realtà. Erano passati così tanti mesi che l’idea di essere di
nuovo insieme sembrava quasi un sogno. Mi sorrise e la strinsi a me, respirando
il suo profumo.
«Devo prepararmi» ammisi, a malincuore.
Sospirò e si mise seduta, il lenzuolo stretto al corpo. Lo strattonai per scoprirla
e mi guardò male. «Ho capito, ora mi alzo.»
«Sono presidente onorario dell’ALT.»
«Di cosa?»
«Associazione per la Liberazione delle Tette» ghignai.
Scoppiò a ridere, ricadendo tra i cuscini. Mi era mancata da morire in quei
mesi ma le sue risate erano sparite da molto più tempo. Finalmente era tornata la
mia Liz.
Feci sparire il lenzuolo, gettandolo giù dal letto. Volevo vederla alla luce del
sole, però lei era di altro avviso, perché cercò di coprirsi con un cuscino.
«Liz, che fai?»
«C’è troppa luce e io… ho preso peso in questi mesi.» Evitò il mio sguardo.
«Aspetta, ferma. Chiariamo subito questa assurda paranoia, perché non la
voglio più sentire.» Le sollevai il mento con un dito perché mi guardasse negli
occhi. «Mi spieghi in quale esatto momento stanotte ti ho dato l’impressione di
non essere pazzo di te?»
«Jack, dammi tregua. Non sono più abituata e mi sento un po’ a disagio con il
mio corpo.»
Sbuffai e mi allontanai da lei. «Non posso perdere il volo o ti farei passare
all’istante quest’idea.»
«Tu hai passato gli ultimi mesi in palestra, io davanti a Netflix.»
«Per me sei bellissima, non stavo scherzando quando ti ho tolto il reggiseno e
sono quasi…»
«Dici così solo perché mi sono cresciute anche le tette, però…» Si zittì perché
mi ero chinato a lasciarle un bacio sul ventre, su quelle forme morbide e
paradisiache di cui lei si stava ingiustamente lamentando.
«Comunque se vuoi bruciare calorie, ci penso io.» Scesi ancora un po’
lasciandole una scia di baci fino all’inguine.
«Jack, hai il volo» ricordò, con un gemito.
«Dannazione.» Odiavo essere interrotto. Avevo avuto solo poche ore per
perdermi nel suo corpo e non erano state che un assaggio. «Andiamo a fare la
doccia, dai.»
«Insieme? Ma c’è Jessica in casa e…»
«Jessica avrà già capito che stanotte non eri da sola, a meno che tu non abbia
acquistato qualche giochino in questi mesi e…»
Mi diede una pacca sulla spalla. «Piantala e andiamo in bagno. Tu e la tua
fissazione per le docce.»
«Non ti sei mai lamentata.» Infilai i boxer e le lanciai la mia camicia, per
evitare di imbatterci nudi nella sua amica.
«Dobbiamo trovare un appartamento con una doccia molto spaziosa e magari
una vasca, doppia.»
Risi, poi la bloccai prima che aprisse la porta. «Tra una settimana, non un
giorno di più, sarò qui e andremo a cercarlo. Te lo prometto.»
«Mi fido di te.» Non avrebbe potuto dire parole migliori, perché il mio timore
era stato proprio quello, non riuscire più a riguadagnare la sua fiducia.
Jessica comparve in cucina mentre bevevamo un caffè, in attesa del taxi per
l’aeroporto. «Bene, bene. Quindi?» Incrociò le braccia e ci fissò.
«Jess, dobbiamo parlare di una cosa» iniziò Elizabeth. «Matt ti raggiungerà tra
un mese, però io e Jack…»
«Quindi ti sei deciso, eh? E me la porti subito via.» Non riuscivo a capire il
suo stato d’animo, aveva usato un tono troppo neutro.
«Jessica, mi dispiace.» Liz chinò il capo e venne travolta, a sorpresa,
dall’abbraccio dell’amica.
«Sono felice per voi. Poi anch’io avevo già accorciato il nostro periodo da sole
di qualche mese da quando Matt si è offerto di raggiungermi, finiti i corsi.»
«Rimaniamo comunque in città, voglio terminare il mio incarico al campus e
Jack lavorerà qui vicino fino al prossimo autunno. Quindi ci vedremo tutti i
giorni.» Liz la rassicurò, sciogliendo l’abbraccio.
«Lo so, tranquilla. Mi sembra giusto che abbiate i vostri spazi, soprattutto la
notte.» Vidi le spalle di Liz irrigidirsi e Jessica sorridere maliziosa. «Io ti voglio
bene come se fossi mia sorella, però non vorrei dover comprare i tappi per
dormire. Tendi a essere un tantino rumorosa.»
Scoppiai a ridere mentre Liz annaspava imbarazzata.
«Io l’ho avvisata che tende a urlare.»
Liz si girò e mi fulminò. «Jack, taci. O racconto a Jessica di stanotte.»
Mi zittii all’istante, in fondo non era così divertente sbandierare la nostra
intimità, soprattutto dopo tutti quei mesi di distanza e astinenza.

Salutarci fu durissimo, non riuscivo a smettere di baciarla.


«Jack, devi andare.» Mi strinse in un abbraccio soffocante, ma non mi
lamentai.
«Ti amo. Lo sai, vero?» Le baciai il collo, riempiendomi i polmoni del suo
profumo.
«Anch’io ti amo.»
Mi staccai, a malincuore. «Fai la brava, miciotta, e…»
«Terrò lontani i broccoli, lo so.»
«I broccoli li terrò d’occhio io, d’ora in poi.»
«Non so se vederla come una minaccia o una promessa.»
«Una promessa, Liz. Farò altri sbagli, mi costa ammetterlo, però non questo.
Mi hai aspettato per anni, ora voglio dimostrarti che ne è valsa la pena.»
«Non l’ho mai messo in dubbio, Jack. Sei sicuro che non vuoi che ti
accompagni all’aeroporto?»
Aprii la portiera del taxi. «Più che sicuro. Non ti lascerò salutarmi prima di un
volo finché non potrai aspettare il mio ritorno a casa nostra.»
«Chiamami quando arrivi.»
Le diedi un ultimo bacio e salii sul taxi.
Ero in fila per l’imbarco quando, prendendo il passaporto dalla tasca interna,
trovai un foglietto: la ricevuta di quel costosissimo anello di fidanzamento,
comprato d’impulso. Sarebbe stato logico riportarlo indietro, per questo avevo
conservato la ricevuta in un posto sicuro.
Immaginarmi sposato era folle quasi come immaginarmi avvocato. Però ogni
convinzione vacillava di fronte al desiderio di vivere con Liz e renderla felice.
Non avrei mai amato nessuna quanto lei e mi ero perfino tatuato il suo nome,
proprio io che ero sempre stato contrario per evitare di dover passare ore al
trucco prima di andare in scena.
Quando le avevo visto l’anello al dito e avevo letto l’emozione sul suo viso,
avevo deciso che l’avrei acquistato a tutti i costi, non avrei permesso che finisse
all’anulare di un’altra donna.
Dal punto di vista economico, con la prospettiva di cercare casa insieme,
sarebbe stato sensato riprendermi quelle migliaia di dollari e rimpolpare il conto
in banca quasi in rosso.
Fissai di nuovo la ricevuta, poi l’accartocciai nel palmo della mano e la gettai
nel cestino.
Non c’era nulla di logico nelle scelte che avevo fatto per stare con lei. A ogni
passo compiuto avevo scommesso sulla forza del nostro amore ed ero pronto a
farlo ancora: prima o poi mi sarei inginocchiato davanti a Liz e le avrei fatto la
mia vera proposta di matrimonio, con quell’anello. Nessun palco, niente
spettatori né improvvisazioni. Solo Liz e Jack.
Epilogo
Rick
4 anni dopo

Chiusi alle mie spalle la porta della suite della sposa. Elizabeth era parsa un po’
scossa, niente di drammatico come aveva temuto Jessica, vedendo la lettera di
Daniel.
«Rick, caro! C’è un problema con il catering: non hanno considerato i
problemi di Ethel con i crostacei.» Margaret era abbastanza nevrotica, c’era da
capirla essendo la madre della sposa in un matrimonio anticipato di mesi rispetto
alla data prevista.
«Me ne occupo io.» Sorrisi e la vidi tranquillizzarsi.
«Elizabeth è pronta?»
La bloccai prima che mettesse la mano sulla porta. «Ho sentito che Matt stava
cercando un nastro di raso per Rose, purtroppo ne ha perso uno dai capelli.»
«Ne ho altri in borsa, vado subito!» Scomparve per il corridoio da cui stava
arrivando Kimberly.
«Sono due giorni che mia madre ti tratta come se tu fossi il wedding planner,
complimenti per la pazienza.»
Mi presi un istante per guardarla. «Tu sei pronta?»
Alzò un sopracciglio. «Ti sembro forse in pigiama?»
Decisamente no. Indossava un lungo abito blu sorretto da spalline sottili e i
capelli erano sistemati in un’elaborata acconciatura che le lasciava collo e spalle
scoperte.
«Intendevo: ti manca qualcosa o possiamo scendere?»
«Ho lasciato la borsa nella stanza di Rose, però non mi serve.» Si voltò,
dandomi la visuale perfetta della sua intera schiena nuda.
«Non ti…» Schiarii la voce. «Non ti serve uno scialle?» Camminai al suo
fianco, con i tacchi era alta quasi quanto me.
«Non siamo all’aperto.» Non aveva colto il problema di fondo.
«Si nota che non indossi il reggiseno.» Abbassai la voce.
Kimberly chiamò l’ascensore e mi fissò. «Se non ti conoscessi direi che sei
appena arrossito.»
«Figurati.» Le porte si aprirono ed entrammo nella stretta cabina.
«Ti dispiace non essere venuto accompagnato o hai in mente di fare
conquiste?»
Non avevo speranze di evitare la domanda, eravamo al terzo piano e
l’ascensore era lentissimo. Maledetto albergo pittoresco sull’isola. «E a te
dispiace?» Non specificai cosa, mi limitai a ripassarle la palla.
«Con Tom la situazione è particolare, non mi sembrava il caso di invitarlo al
matrimonio di mia sorella.»
«Puoi trovare di meglio» sbuffai, irritato.
«Se resto ad aspettare il principe azzurro, divento vecchia.»
Un leggero scossone indicò che eravamo arrivati al pianoterra. «Kimmy, sei
ancora troppo giovane per…»
«Sono al college, anche se per te non sono mai uscita dal liceo.» Uscì stizzita
dall’ascensore, finendo quasi addosso a Matt.
«Che è successo?» domandò, sorpreso.
Mi passai una mano sul viso. «Il solito discorso: mi accusa di considerarla una
ragazzina.»
Matt fece un sorrisetto strano. «Vai tu a recuperare lo sposo?»
Annuii e andai a bussare alla porta della saletta.
«Avanti.»
Trovai Jack vestito che sfogliava un copione. «Rick! Questo lo devi leggere,
potrebbe essere quello giusto su cui lavorare insieme.» Avevamo avuto due
carriere separate, lui come attore e io come sceneggiatore, negli ultimi quattro
anni, però ci eravamo ripromessi di trovare un progetto comune.
Sbirciai il titolo. «L’ho già letto, era tra quelli che mi hai mandato la settimana
scorsa e mi sembra buono.»
Posò il plico di fogli e si sistemò la cravatta davanti allo specchio. «Il
protagonista è più giovane, però dovrebbero comunque truccarmi per simulare la
cicatrice sul viso e…»
Lo bloccai. «Non ti ci vedo. Non è il personaggio giusto per te e non è
questione di età.»
Si voltò, incredulo. «E quindi?»
«Il ruolo dello zio John sarebbe perfetto per te.»
Corrugò la fronte per un istante poi la sua espressione si modificò in un
ghigno. «Hai ragione. Fa battute spiritose, è un po’ arrogante e un gran playboy.
Mi piace.»
Scoppiai a ridere. «Ora però basta parlare di lavoro.»
«L’hai vista?» chiese, con evidente emozione negli occhi.
«Sono passato ora perché Jessica mi aveva chiamato.»
«Liz stava male?» Si allarmò subito.
«Sta bene, mi ha mandato a controllare te. Ripensamenti?»
Scoppiò a ridere, come se fossi pazzo. Mai quanto lo era stato lui a dilapidare
il conto in banca per comprarle un anello di fidanzamento quando nemmeno
erano ancora tornati insieme, dopo la crisi.
«Se ci pensi è la seconda volta che la vedremo in abito da sposa» scherzò,
ricordando Lezioni di seduzione.
«Stavolta io sono uno dei tuoi testimoni e non il rivale.»
«Mi costa ammetterlo, però in certe situazioni la gelosia mi ha aiutato ad
aprire gli occhi.»

Jack era un attore di talento e in quegli anni aveva già ricoperto i ruoli più
disparati, dando prova di ulteriore crescita professionale. In nessun film, però, lo
avevo visto così coinvolto come durante la cerimonia di nozze. Erano stati
invitati solo amici intimi e parenti, raccolti nella serra affacciata sull’oceano.
Liz percorse da sola il corto tappeto bianco per raggiungere Jack, che la
aspettava accanto all’officiante. Si erano offerti in tanti di accompagnarla e lei
aveva rifiutato, perché il posto doveva rimanere vuoto per ricordare suo padre.
Jack sembrò visibilmente commosso quando, nello sporgersi a baciare la
sposa, le sfiorò il ventre con una lieve carezza.
Andai a congratularmi con gli sposi ed ero ancora lì vicino quando Luke, il
fratello di Jack, prese in disparte Elizabeth.
«Mi dispiace per l’assenza di nostro padre. Non ha apprezzato l’anticipo della
data e la cerimonia furtiva.»
«Non è furtiva, è semplicemente intima e raccolta!»
«Non voleva alimentare, con il suo benestare, i pettegolezzi su un matrimonio
riparatore.»
Mi avvicinai ancora per intervenire, se necessario. Jack era stato trattenuto da
Margaret in pieno delirio euforico.
«Riparatore? Avevamo fissato la data già dallo scorso anno, non sono pochi
mesi di anticipo a fare la differenza. E chi l’ha avvisato?» Si portò istintivamente
la mano al ventre. Su consiglio di Luke, avevano raccontato al padre di aver
anticipato le nozze per motivi di lavoro di Jack.
«Dovresti scegliere un ginecologo che non vada a giocare a golf al circolo. Mi
dispiace.» Luke sembrava veramente dispiaciuto, però non potevo lasciare Liz
ancora in balia di quelle assurdità.
«Vieni, andiamo a fare le foto.»
Si lasciò condurre verso la vetrata. «Non dirlo a Jack, non voglio scenate.»
«Cosa non deve dirmi?» Troppo tardi.
«Che Kimberly è senza reggiseno.» Mi pentii subito di essermi immischiato,
anche se con le migliore intenzioni, perché purtroppo la diretta interessata mi
sentì.
«Rick, adesso stai veramente esagerando!» Mi prese per un braccio e mi
strattonò verso l’uscita.
«Dobbiamo fare le foto, non iniziate di nuovo a litigare.» Liz mi rivolse uno
sguardo di scuse, come ringraziamento per essermi immolato.
Kimberly, però, era sul piede di guerra e si fermò solo una volta raggiunto il
corridoio. «Fatti passare questi schizzi iperprotettivi perché bastano quelli di
Jack e lui almeno è mio cognato.»
«Dai Kimmy, ho detto una cazzata per evitare che Jack si infuriasse con suo
fratello. Non mi interessa se vai in giro mezza nuda.» Ero partito tanto bene, poi
avevo rovinato tutto.
«So molto bene che non ti interessa, grazie tante.» Era risentita, anche più del
solito.
«Da quanto ci conosciamo, ormai? Sette anni? Ti sembra strano che mi
preoccupi per te?»
Mi puntò l’indice contro la spalla. «Non sono la tua sorellina.»
«Chi l’ha mai detto? Ora sei tu che esageri.» Abbassai la voce, vedendo alle
sue spalle lo sguardo perplesso della cugina.
«Perché non hai invitato una di quelle che ti porti a letto? Almeno non avresti
avuto tempo per rompere le scatole a me.»
La guardai, non sapendo se mandarla al diavolo o riderle in faccia. «Potrei
dire lo stesso di te.»
«Sai che c’è? Avrei dovuto invitare Tom, almeno avrei sfruttato a dovere
l’assenza del reggiseno.» Socchiuse gli occhi, fulminandomi.
«Ragazzi, venite a fare le foto?» Matt apparve con la piccola Rose al seguito.
La bimba corse da Kimberly, che si stampò in viso un sorriso e la prese per
mano.
Le guardai rientrare e sospirai.
«Non vorrei dirtelo, però non so quanto bene ti faccia continuare a considerare
quella di Kimberly una semplice cotta adolescenziale per te. Perché ormai è una
giovane donna.»
«Lo so, Matt. Credimi, me ne sono accorto.»
«Dai andiamo a fare le foto, Liz sembra davvero stanca e stiamo cercando di
fare in fretta.»
«Jack non fa che sfiorarle la pancia e chiederle se sta bene. Se già era pazzo di
lei, ora che sta per diventare padre sembra davvero incontenibile.»
«Dai, il prossimo a fare follie per amore sarai tu» ridacchiò Matt,
precedendomi all’interno.
Risi insieme a lui, poi incrociai lo sguardo di fuoco di Kimberly e la risata si
spense. Sarebbe stato tutto più semplice se l’avessi davvero considerata ancora
come la ragazzina che veniva a trovare Liz quando eravamo coinquilini al
college
L’amore, si sa, non è mai logico né facile.
Bonus - Le telefonate
Quattro mesi prima delle nozze

- Liz, stai uscendo?


- No, Jess, scusami. Possiamo rimandare? Temo di aver preso un virus e non
è il caso che ti faccia ammalare.
- Tranquilla, tesoro. Tanto resti da tua madre fino al Ringraziamento, giusto?
- Sì. Jack mi raggiunge appena ha finito la lettura del copione con il cast.
- Prendiamo appuntamento all’atelier per la prossima settimana, anche se
c’è ancora tempo.
- Dillo a mia madre, che è già in ansia per luglio.
- Ci penso io a Margaret, almeno fino a che non dovrò partorire. Sto già
istruendo Rick, farà da damigella supplente per qualche settimana.
- Sei la migliore. Ci sentiamo stasera, mi metto a letto perché sono davvero
uno straccio.
- Riguardati, Liz. Un bacio.

- Dimmi, Ellybeth.
- Kimmy, mi serve un favore. Puoi passare tu in tintoria?
- Non vai più in centro con Jess?
- No, non mi sento bene.
- Ok, ci passo io. Se ti stai ammalando, segregati in camera con i bacilli. Ho
un impegno sabato.
- Che sorellina premurosa.
- Non rompere, Ellybeth, tanto tra qualche giorno torna Jack e ti vizia lui.

- Pronto.
- Elizabeth, sono qua con la farmacista. Prima di darmi la medicina però mi
ha chiesto una cosa.
- Mamma, sai che non ho allergie.
- Sei incinta?
- No! Certo che non…Oh.
- Liz, sono le sei di mattina!
- Rick, per favore: ho bisogno di distrarmi tre minuti.
- Tu sei pazza, sono andato a dormire tre ore fa. Se è ansia prematrimoniale,
chiama Jessica, è lei la damigella d’onore.
- Jess ha le nausee mattutine e Rose si sveglia spesso di notte, non la posso
disturbare.
- Tua sorella? Vai a svegliare lei.
- Non è tornata stanotte.
- Cosa?
- Rimaneva a dormire da Amber
- Amber che studia a Parigi?
- Ogni tanto torna a casa. Comunque non è una bambina, può rimanere a
dormire fuori.
- Però…
- Rick, devo salutarti. Grazie, ti voglio bene!
- Mai diventare amico di una donna: aveva ragione mio cugino.

- Amore, buongiorno. Già sveglia?


- Jack, non possiamo sposarci a luglio.
- Liz, che è successo? Se è solo ansia, mancano ancora mesi per i preparativi
e…
- A luglio starò partorendo.
- Cosa? Stai dicendo che sei… che siamo incinti?
- Io volevo dirtelo di persona, ma sono qui con il test in mano e non ce la
facevo ad aspettare. Poi dobbiamo spostare la data e…
- Liz, respira. Una cosa alla volta. Possiamo anticipare di… tre mesi?
- No, a fine aprile partorirà Jessica e non posso sposarmi senza la mia
migliore amica.
- Febbraio, allora?
- Jack, no. Farà troppo freddo e abbiamo scelto una location all’aperto!
- La cambiamo. Febbraio è perfetto, saranno otto anni.
- Da quando ci siamo conosciuti al corso?
- Io contavo dalla prima volta che ti ho baciata e toccato le tette.
- Jack!
- Torno stasera, sto prenotando un volo.
- Aspetta, stai lavorando.
- No, devo correre da te. Sei incinta di mio figlio!
- Nostra figlia. Sarà una bimba. Me… me lo… sento.
- Liz, stai piangendo?
- Saranno gli ormoni, però, sto guardando il mio anello e ho ripensato a
quando me l’hai dato lo scorso anno e adesso… sono… commossa.
- Ti amo e tra poche ore sarò lì.
- Jack, davvero va bene se anticipiamo le nozze? Sempre che a mia madre
non venga un infarto.
- Scherzi? Ti avrei già sposata da anni.
- Sbaglio o eri tu quello che non credeva nel matrimonio?
- Prima di conoscerti. Poi ho cambiato idea al punto da comprarti l’anello
quando ancora non eravamo tornati insieme. Non dimenticherò mai la tua
espressione quando hai aperto la scatolina e hai visto che l’anello era
proprio quello. Non ero certo che lo avresti ricordato dopo tre anni.
- In realtà, credevo fosse solo un modello molto simile finché non hai fatto
quella battuta sul negozio e sulla nostra improvvisazione. Forse siamo
entrambi pazzi.
- Forse, miciotta. Il bello è proprio questo.
Nota finale
Cara lettrice/caro lettore,
quando pubblicavo su efp aggiungevo sempre una nota finale per avere un
dialogo il più possibile diretto con chi seguiva la storia. Voglio tornare alle belle
abitudini, di cui conservo gelosamente il ricordo. Ti ringrazio di avermi dato
fiducia e spero che la conclusione della storia d’amore tra Jack e Liz sia stata per
te emozionante.
Se ti va di farmi sapere la tua opinione mi trovi, con il nick fallsofarc, su
Instagram, Facebook, Twitter, efp e Wattpad. Se ti va di conoscermi meglio e
chiacchierare con me, ti aspetto nel gruppo Facebook “L’amore al tempo dei
Dispensatori”. Se ci sei già, il mio ringraziamento è doppio perché senza il
supporto quotidiano del gruppo, scrivere questo sequel sarebbe stato ancora più
difficile.
Alle mie amiche, beta-reader e colleghe mando un ringraziamento e un
abbraccio speciale per avermi ascoltata, letta e consigliata anche in questo nuovo
viaggio.

Chiara

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