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Jorge Luis Borges

Adolfo Bioy Casares

Racconti brevi e straordinari


A cura di Tommaso Scarano

Adelphi eBook
TITOLO ORIGINALE:

Cuentos breves y extraordinarios


 
 
Quest’opera è protetta
dalla legge sul diritto d’autore
È vietata ogni duplicazione,
anche parziale, non autorizzata
 
 
Le opere di Jorge Luis Borges escono
sotto la direzione di Tommaso Scarano
 
 
Prima edizione digitale 2020
 
 
© 1995 MARIA KODAMA
All rights reserved
© 1953 HEIRS OF ADOLFO BIOY CASARES
© 2020 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO
www.adelphi.it

ISBN 978-88-459-8245-3
RACCONTI BREVI E STRAORDINARI
NOTA PRELIMINARE

Uno dei molti piaceri che la letteratura può


offrire è il piacere della narrazione. Questo libro
intende proporre al lettore alcuni esempi di tale
genere, relativi ad avvenimenti sia immaginari
che storici. Abbiamo quindi interrogato testi di
nazioni e di epoche diverse, senza trascurare le
antiche e generose fonti orientali. L’aneddoto, la
parabola e il racconto trovano qui ospitalità, a
condizione che siano brevi.
In questi brani sta, osiamo ritenere,
l’essenziale di ciò che è narrazione; il resto è
episodio illustrativo, analisi psicologica, felice o
inopportuno ornamento verbale. Ci auguriamo,
lettore, che queste pagine divertano te come
hanno divertito noi.
 
J.L.B. e A.B.C.
Buenos Aires, 29 luglio 1953
1
LA SENTENZA

Quella notte, all’ora del Topo, l’imperatore


sognò di essere uscito dal suo palazzo e di
passeggiare nell’oscurità del giardino, sotto gli
alberi in fiore, quando qualcosa si inginocchiava
ai suoi piedi e gli chiedeva protezione.
L’imperatore gliela accordava. Il postulante
diceva di essere un drago e che gli astri gli
avevano rivelato che il giorno seguente, prima di
notte, Wei Ch’eng, ministro dell’imperatore, gli
avrebbe tagliato la testa. Nel sogno, l’imperatore
giurava di proteggerlo.
Al risveglio, l’imperatore chiese di Wei Ch’eng.
Gli dissero che non era a palazzo; l’imperatore lo
fece cercare e lo tenne occupato tutto il giorno
affinché non uccidesse il drago, e verso
l’imbrunire gli propose di giocare a scacchi. La
partita si protraeva, il ministro era stanco e si
addormentò.
Un boato scosse la terra. Poco dopo irruppero
due capitani che trascinavano un’immensa testa
di drago intrisa di sangue. La gettarono ai piedi
dell’imperatore e gridarono:
«È caduta dal cielo».
Wei Ch’eng, che si era svegliato, la guardò
perplesso e disse:
«Che strano, ho appena sognato di uccidere un
drago come questo».
 
Wu Ch’eng-en (1505-1580 ca)
2
IL REDENTORE SEGRETO

È noto che tutti gli orchi vivono a Ceylon e che


le loro vite stanno in un solo limone. Un cieco
taglia il limone con un coltello e tutti gli orchi
muoiono.
 
«Indian
Antiquary», I
(1872)
3
L’ANNIENTAMENTO DEGLI ORCHI

La vita di un’intera tribù di orchi può stare


racchiusa in due api. Un orco rivelò tuttavia il
segreto a una principessa prigioniera, la quale
fingeva di temere che lui non fosse immortale.
«Noi orchi non moriamo» disse l’orco per
tranquillizzarla. «Non siamo immortali, ma la
nostra morte dipende da un segreto che nessun
essere umano scoprirà. Te lo rivelerò perché tu
non soffra. Guarda questo lago: al centro, dove la
profondità è maggiore, c’è una colonna di
cristallo sulla cui sommità, sott’acqua, riposano
due api. Se un uomo riesce a immergersi e a
tornare a riva con le api e a liberarle, noi orchi
moriremo tutti. Ma chi mai potrà scoprire questo
segreto? Non affliggerti dunque: puoi
considerarmi immortale».
La principessa rivelò il segreto all’eroe. Questi
liberò le api e tutti gli orchi morirono, ciascuno
nel proprio palazzo.
 
Lal Behari Day,
Folk-Tales of
Bengal
(Londra, 1883)
4
UN GUASTAFESTE

Nella Vita di Apollonio, Filostrato racconta che


un giovane di venticinque anni, Menippo Licio,
mentre era in viaggio verso Corinto, incontrò una
bella donna che lo prese per mano e lo condusse
a casa sua; gli disse d’essere fenicia per nascita e
che se fosse rimasto con lei l’avrebbe vista
ballare e cantare, e avrebbero bevuto un vino
senza uguali e nessuno avrebbe disturbato il loro
amore. E gli disse anche che, essendo lei bella e
desiderabile, com’era lui, sarebbero vissuti e
morti insieme. Il giovane, che era un filosofo,
sapeva moderare le passioni ma non quella
dell’amore, e così rimase con la fenicia e alla fine
la sposò. Fra gli invitati alle nozze c’era
Apollonio di Tiana, che capì subito che la donna
era un serpente, una lamia, e che il suo palazzo e
i mobili non erano altro che illusione. Quando lei
si vide scoperta, pianse e pregò Apollonio di non
svelare il segreto. Apollonio parlò. Lei e il
palazzo svanirono.
 
Robert Burton,
The Anatomy of
Melancholy
(1621)
5
STORIA DI CECILIA

Ho sentito raccontare da Lucio Flacco, sommo


sacerdote di Marte, questa storia: Cecilia, moglie
di Metello, volendo cercare marito per la figlia di
sua sorella, si recò in un tempietto per ricevere,
secondo l’uso degli antichi, un presagio. La
ragazza stava in piedi e Cecilia era seduta. A
lungo non si udì parola. La nipote, stanca, disse
alla zia:
«Lascia che mi sieda un momento».
«Ma certo, cara,» rispose Cecilia «ti lascio il
mio posto».
Queste parole erano il presagio; infatti Cecilia
morì di lì a poco, e la nipote ne sposò il vedovo.
 
Cicerone,
De divinatione, I,
XLVI
6
L’INCONTRO

Ch’ien-niang era figlia di Chang Yi, funzionario


dell’Hunan. Aveva un cugino di nome Wang
Chou, un giovane intelligente e di bell’aspetto.
Erano cresciuti insieme, e dato che Chang Yi
voleva molto bene al ragazzo, disse che lo
avrebbe accettato come genero. Entrambi
udirono la promessa, e poiché lei era figlia unica
e loro stavano sempre insieme, l’amore crebbe di
giorno in giorno. Ormai non erano più bambini e
finirono per avere rapporti intimi.
Sfortunatamente, il padre fu il solo a non
accorgersene. Un giorno un giovane funzionario
gli chiese la mano della figlia. Il padre,
trascurando o dimenticando l’antica promessa,
acconsentì. Ch’ien-niang, straziata dall’amore e
dalla pietà filiale, fu sul punto di morire di dolore
e il giovane, spinto dal risentimento, decise di
lasciare il paese per non vedere l’amata andare
sposa a un altro. Escogitò un pretesto e informò
suo zio che si sarebbe trasferito nella capitale.
Questi, non riuscendo a dissuaderlo, gli offrì
denaro e doni e una festa d’addio. Durante la
festa Wang Chou, disperato, non fece che
almanaccare sul da farsi e alla fine risolse che
era meglio partire piuttosto che perseverare in
un amore senza speranza.
Un pomeriggio Wang Chou si imbarcò, e aveva
percorso solo poche miglia quando cadde la
notte. Disse al marinaio di ormeggiare perché
potessero riposare. Non riuscì a dormire e verso
mezzanotte udì dei passi che si avvicinavano. Si
alzò e chiese: «Chi è là, a quest’ora della notte?».
«Sono io, sono Ch’ien-niang» gli fu risposto.
Sorpreso e felice, la fece salire sulla barca. Lei
gli disse che aveva sperato di essere sua moglie,
che suo padre era stato ingiusto con lui e che lei
non riusciva a rassegnarsi alla separazione.
Aveva anche temuto che Wang Chou, solo e in
terre sconosciute, si sentisse spinto al suicidio.
Per questo aveva sfidato la riprovazione della
gente e la collera dei genitori e lo aveva
raggiunto, per seguirlo ovunque andasse.
Insieme, molto felici, proseguirono il viaggio fino
a Sze-chuan.
Trascorsero cinque anni di felicità e lei gli
dette due figli. Ma non arrivavano notizie dalla
famiglia e ogni giorno Ch’ien-niang pensava al
padre. Era l’unica nube sulla sua felicità. Non
sapeva se i genitori fossero ancora vivi e una
notte confessò a Wang Chou la sua angoscia;
essendo figlia unica si sentiva colpevole di una
grave empietà filiale.
«Hai un buon cuore di figlia e ti capisco»
rispose lui. «Sono trascorsi cinque anni e ormai
non saranno più in collera con noi. Torniamo a
casa». Ch’ien-niang si rallegrò e si prepararono
per ritornare con i bambini.
Quando la barca giunse alla città natale, Wang
Chou disse a Ch’ien-niang:
«Chissà in quale stato d’animo troveremo i tuoi
genitori. Lascia che vada a scoprirlo».
In vista della casa, sentì il cuore battergli forte.
Vide suo suocero, si inginocchiò, lo ossequiò e
chiese perdono. Chang Yi lo guardò stupito e gli
disse:
«Di cosa parli? Sono cinque anni che
Ch’ienniang è a letto in stato di incoscienza, e
non si è mai alzata».
«Non sto mentendo» disse Wang Chou. «Lei sta
bene e ci aspetta a bordo».
Chang Yi non sapeva cosa pensare e mandò
due fanciulle da Ch’ien-niang. La trovarono
seduta, ben abbigliata e contenta; mandò anche
parole affettuose ai genitori. Meravigliate, le
fanciulle tornarono da Chang Yi, che rimase
ancora più perplesso. Intanto, l’inferma aveva
udito le notizie e sembrava ormai libera dal suo
male e c’era luce nei suoi occhi. Si alzò dal letto
e si vestì allo specchio. Sorridente e senza
pronunciare parola, si diresse alla barca. Quella
che era a bordo stava dirigendosi verso casa e si
incontrarono sulla riva. Si abbracciarono e i due
corpi si confusero, e restò una sola Ch’ienniang,
giovane e bella come sempre. I genitori si
rallegrarono, ma ordinarono alla servitù di
serbare silenzio, per evitare commenti.
Per più di quarant’anni Wang Chou e
Ch’ienniang vissero insieme felici.
 
Racconto della
dinastia T’ang
(618-906 ca)
7
DIFFICILE DA ACCONTENTARE

Kardan si ammalò. Suo zio gli disse:


«Cosa vorresti mangiare?».
«La testa di due agnelli».
«Non esiste».
«Allora le due teste di un agnello».
«Non esistono».
«Allora non voglio niente».
 
Ibn ‘Abd Rabbih,
Kitāb al-’iqd al-
Farīd, tomo III
8
TRAME ANNOTATE DA NATHANIEL
HAWTHORNE

Un uomo, durante la veglia, pensa bene di


qualcuno e ne ha completa fiducia, ma lo
inquietano alcuni sogni nei quali l’amico si
comporta come un nemico mortale. Si scopre alla
fine che il carattere sognato era quello vero. La
spiegazione starebbe nella percezione istintiva
della verità.
In mezzo a una folla immaginare un uomo il cui
destino e la cui vita siano in potere di un altro,
come se i due fossero in un deserto.
Un uomo dalla forte volontà ordina a un altro,
che gli è psicologicamente sottomesso, di
eseguire una certa azione. Colui che ordina
muore e l’altro, fino alla fine dei suoi giorni,
continua a eseguire quell’azione.
Un uomo ricco lascia nel suo testamento la
casa a una coppia povera. I due vi si
trasferiscono; lì trovano un tenebroso domestico
che in base al testamento non possono mandar
via. Il domestico li tormenta: alla fine si scopre
che questi è l’uomo che ha lasciato loro la casa in
eredità.
Due persone aspettano in strada un
avvenimento e l’arrivo dei protagonisti principali.
L’avvenimento sta già verificandosi e i
protagonisti sono loro.
Che un uomo scriva un racconto e si accorga
che la storia si evolve diversamente dalle sue
intenzioni; che i personaggi non agiscano
secondo il suo volere; che accadano fatti che non
ha previsto e che si avvicini una catastrofe che
lui cerca, inutilmente, di eludere. Questo
racconto potrebbe prefigurare il suo stesso
destino e uno dei personaggi sarebbe lui.
 
Nathaniel
Hawthorne,
Note-Books (1868)
9
«DER TRAUM EIN LEBEN»

Il dialogo ebbe luogo ad Adrogué. Mio nipote


Miguel, che allora avrà avuto cinque o sei anni,
era seduto in terra e giocava con la gatta. Come
ogni mattina, gli chiesi:
«Cos’hai sognato stanotte?».
Rispose:
«Ho sognato che mi ero perso in un bosco e
che alla fine trovavo una casetta di legno. La
porta si apriva e ne uscivi tu».
Con immediata curiosità, mi chiese:
«Ma tu, che ci facevi in quella casetta?».
 
Francisco Acevedo,
Memorias de un
bibliotecario
(Burzaco, 1955)
10
IL SOGNO DI CHUANG TZU

Chuang Tzu sognò di essere una farfalla e al


risveglio non sapeva se era un uomo che aveva
sognato di essere una farfalla o una farfalla che
ora sognava di essere un uomo.
 
Herbert Allen
Giles,
Chuang Tzu (1889)
11
IL CERVO NASCOSTO

Un boscaiolo di Cheng si imbatté nei campi in


un cervo spaventato e lo uccise. Per evitare che
altri lo trovassero, lo sotterrò nel bosco e lo coprì
con foglie e rami. Poi dimenticò dove l’aveva
nascosto e si convinse che tutto fosse avvenuto
in sogno. E come se fosse un sogno, raccontò la
storia a tutti quelli che conosceva. Uno di questi
andò a cercare il cervo nascosto e lo trovò. Se lo
portò a casa e disse alla moglie:
«Un boscaiolo ha sognato di aver ucciso un
cervo e di aver dimenticato dove l’aveva
nascosto, e ora io l’ho trovato. Quell’uomo sì che
è un sognatore».
«Sarai stato tu a sognare di vedere un
boscaiolo che aveva ucciso un cervo. Credi
davvero che ci sia stato un boscaiolo?
Comunque, visto che il cervo è qui, il tuo sogno
dev’essere stato veritiero» disse la moglie.
«Anche supponendo che abbia trovato il cervo
grazie a un sogno,» rispose il marito «perché
preoccuparsi di scoprire chi di noi due abbia
sognato?».
Quella notte il boscaiolo tornò a casa
continuando a pensare al cervo, e sognò davvero,
e nel sogno sognò dove aveva nascosto il cervo e
sognò anche chi lo aveva trovato. All’alba andò a
casa dell’altro e vi trovò il cervo. Si misero a
discutere e si rivolsero al giudice perché
risolvesse la questione. Il giudice disse al
tagliaboschi:
«Tu hai ucciso realmente un cervo e hai
creduto che fosse un sogno. Poi hai realmente
sognato e hai creduto che fosse vero. L’altro ha
trovato il cervo e ora te lo contende, ma sua
moglie pensa che abbia sognato di aver trovato
un cervo ucciso da un altro. Quindi, nessuno ha
ucciso il cervo. Ma siccome il cervo è qui, la cosa
migliore è che ve lo dividiate».
Il caso venne a conoscenza del re di Cheng, e il
re di Cheng disse:
«Non starà quel giudice sognando di spartire
un cervo?».
 
Liehtsé (300 a.C. ca)
12
I BRAHMANI E IL LEONE

In un villaggio vivevano quattro brahmani, che


erano amici. Tre di loro avevano raggiunto il
limite di quanto agli uomini è dato conoscere, ma
mancava loro il buonsenso. Il quarto aveva
buonsenso, ma disdegnava la dottrina. Un giorno
si dettero convegno. «A cosa serve avere qualità
se non viaggiamo,» dissero «se non otteniamo il
favore dei re, se non guadagniamo ricchezze?
Cominceremo col fare un viaggio». Percorso un
tratto, il più grande disse:
«Uno di noi, il quarto, è un sempliciotto che
possiede solo buonsenso. Senza dottrina, con il
solo buonsenso, nessuno ottiene il favore dei re.
Dunque non divideremo con lui i nostri guadagni.
Che se ne torni a casa».
Il secondo disse:
«Mio intelligente amico, manchi di sapienza.
Tornatene a casa».
Il terzo disse:
«Non è questo il modo di fare. Fin da bambini
abbiamo giocato insieme. Vieni, mio nobile
amico. Prenderai parte ai nostri guadagni».
Proseguirono il cammino e in un bosco
trovarono le ossa di un leone. Uno di loro disse:
«È una buona occasione per esercitare le
nostre conoscenze. Ecco un animale morto,
resuscitiamolo».
Il primo disse:
«So ricomporre lo scheletro».
Il secondo disse:
«Posso fornirgli la pelle, la carne e il sangue».
Il terzo disse:
«So dargli la vita».
Il primo sistemò la scheletro, il secondo gli
fornì la pelle, la carne e il sangue. Il terzo si
accingeva a infondergli la vita, quando l’uomo
assennato osservò:
«È un leone. Se lo resuscitate, ci ucciderà
tutti».
«Sei davvero un sempliciotto» disse l’altro.
«Non sarò certo io a vanificare l’opera della
sapienza».
«In questo caso,» rispose l’uomo assennato
«aspetta che mi arrampichi su quest’albero».
Una volta che l’ebbe fatto, gli altri
resuscitarono il leone, che si alzò e li uccise tutti
e tre. L’uomo assennato aspettò che il leone si
allontanasse, scese dall’albero e se ne tornò a
casa.
 
Pañcatantra (II secolo a.C.)
13
UN GOLEM

Se i giusti volessero creare un mondo,


potrebbero farlo. Combinando le lettere degli
ineffabili nomi di Dio, Rava riuscì a creare un
uomo e lo mandò da Rabbi Zeira. Questi gli
rivolse la parola; poiché l’uomo non rispondeva,
il rabbino gli disse: «Sei una creazione della
magia, torna alla tua polvere».
Due maestri erano soliti, ogni venerdì, studiare
il Sepher Yezirah e creare un vitello di tre anni,
che poi usavano per la cena.
 
Sanhedrin, 65, b
14
IL RITORNO DEL MAESTRO

Fin dai primi anni di vita, Migyur – era questo il


suo nome – aveva sentito che non era dove
avrebbe dovuto essere. Si sentiva estraneo nella
sua famiglia, estraneo nel suo paese. Quando
sognava, vedeva paesaggi che non erano di
Ngari: deserti di sabbia, tende circolari di feltro,
un monastero sulla montagna; durante la veglia,
quelle stesse immagini velavano o appannavano
la realtà.
A diciannove anni scappò, smanioso di trovare
la realtà corrispondente a quelle immagini. Fu
vagabondo, mendicante, operaio, a volte ladro.
Oggi è giunto in questa locanda, nei pressi della
frontiera.
Ha visto la casa, la stanca carovana mongolica,
i cammelli nell’atrio. Ha varcato il portone e si è
trovato di fronte al vecchio monaco che guida la
carovana. Si sono riconosciuti: il giovane
vagabondo ha visto sé stesso come un vecchio
lama e ha visto il monaco come era molti anni
prima, quando era stato suo discepolo; il monaco
ha riconosciuto nel ragazzo il maestro di un
tempo, ormai scomparso. Hanno ricordato il
pellegrinaggio fatto ai santuari del Tibet, il
ritorno al monastero sulla montagna. Hanno
parlato, evocato il passato, interrompendosi ogni
tanto per intercalare dettagli precisi.
Lo scopo del viaggio dei Mongoli era cercare
un nuovo capo per il convento. Sono vent’anni
che è morto quello antico e che invano
aspettavano la sua reincarnazione. Oggi l’hanno
trovato.
All’alba la carovana ha intrapreso il suo lento
viaggio di ritorno. Migyur torna ai deserti di
sabbia, alle tende circolari e al monastero della
sua precedente incarnazione.
 
Alexandra David-
Néel,
Mystiques et
magiciens du Tibet
(1929)
15
TIMORE DELLA COLLERA

In una delle sue guerre Alì atterrò un uomo e


gli si mise in ginocchio sopra il petto per
decapitarlo. L’uomo gli sputò in faccia. Alì si
rialzò e lo lasciò andare. Quando gli chiesero
perché lo avesse fatto, rispose:
«Mi ha sputato in faccia e ho temuto di
ucciderlo in stato di collera. Voglio uccidere i
nemici in stato di purezza davanti a Dio».
 
Ah’mad al-Qalyūbī,
Nawādir
16
ANDROMEDA

Il drago non era mai stato così in forma e in


salute come la mattina in cui Perseo lo uccise. Si
dice che Andromeda abbia poi commentato
quella circostanza con Perseo: Si era alzato
sereno, in ottimo stato d’animo, eccetera.
Quando lo raccontai a Ballard, lamentò che il
particolare non figurasse nei classici. Lo guardai
e gli dissi che anch’io ero i classici.
 
Samuel Butler,
Note-Books
17
IL SOGNO

Murray fece un sogno.


La psicologia vacilla quando prova a spiegare
le avventure del nostro io immateriale durante le
sue peregrinazioni nella regione del sogno,
«gemello della morte». Questo racconto non
intende fornire spiegazioni; si limiterà a
registrare il sogno di Murray.
Una delle fasi più enigmatiche di quella specie
di veglia del sonno è che avvenimenti che
sembrano durare mesi o anni accadono in minuti
o istanti.
Murray aspettava nella sua cella di condannato
a morte. Una lampada al soffitto del corridoio
illuminava il tavolo. Sopra un foglio di carta
bianca una formica correva da una parte all’altra
e Murray le sbarrava la strada con una busta.
L’esecuzione tramite sedia elettrica avrebbe
avuto luogo alle nove della sera. Murray sorrise
osservando l’agitazione del più saggio degli
insetti.
Nel padiglione c’erano sette condannati a
morte. Da quando Murray era lì, ne erano stati
portati via tre: uno, fuori di sé, aveva lottato
come un lupo in gabbia, un altro, non meno
esaltato, aveva offerto al cielo un’ipocrita
preghiera, il terzo, un codardo, era svenuto e
avevano dovuto legarlo a una tavola. Murray si
chiedeva come avrebbero reagito il suo cuore, le
sue gambe e la sua faccia: perché quella era la
sua sera. Pensò che dovevano essere quasi le
nove.
Sull’altro lato del corridoio, nella cella di
fronte, era rinchiuso Carpani, il siciliano che
aveva ucciso la fidanzata e i due agenti andati ad
arrestarlo. Spesso, da una cella all’altra, avevano
giocato a dama, gridando ciascuno la propria
mossa all’avversario invisibile.
Il tonante vocione di Carpani, di indistruttibile
qualità musicale, lo chiamò:
«Ehi, signor Murray, come si sente? Bene?».
«Benissimo, Carpani» rispose serenamente
Murray, lasciando che la formica passasse sulla
busta e depositandola delicatamente sul
pavimento di pietra.
«Così mi piace, signor Murray. Uomini come
noi devono saper morire da uomini. La settimana
prossima tocca a me. Così mi piace. E si ricordi,
signor Murray, che l’ultima partita a dama l’ho
vinta io. Chissà se giocheremo di nuovo
insieme».
La stoica battuta di Carpani, seguita da
un’assordante risata, incoraggiò Murray; ma
vero è che a Carpani restava ancora una
settimana di vita.
I detenuti sentirono il rumore secco dei
chiavistelli quando si aprì la porta in fondo al
corridoio. Tre uomini avanzarono fino alla cella
di Murray e la aprirono. Due erano guardie;
l’altro era Frank – no, così si chiamava prima,
ora era il reverendo Frank Winston, amico e
vicino di casa nei suoi anni di miseria.
«Ho ottenuto di sostituire il cappellano del
carcere» disse stringendo la mano di Murray.
Nella sinistra aveva una piccola bibbia socchiusa.
Murray sorrise appena e sistemò alcuni libri e
un portapenne sul tavolo. Avrebbe voluto parlare,
ma non sapeva cosa dire. I reclusi chiamavano
quel padiglione, lungo ventitré metri e largo
nove, la Strada del Limbo. Il guardiano addetto
alla Strada del Limbo, un uomo enorme, rude e
buono, estrasse dalla tasca una bottiglietta di
whisky e la offrì a Murray dicendo:
«È l’uso, sa. Tutti ne bevono per darsi coraggio.
Non c’è pericolo di prendere il vizio». Murray ne
bevve abbondantemente.
«Così mi piace» disse l’agente. «Un buon
calmante e tutto andrà bene».
Uscirono in corridoio e i condannati capirono.
La Strada del Limbo è un mondo fuori dal mondo
e quando manca uno dei sensi, un altro lo
supplisce. Tutti i condannati sapevano che erano
quasi le nove e che Murray sarebbe andato alla
sedia elettrica alle nove. C’è anche, nelle molte
Strade del Limbo, una gerarchia del crimine.
L’uomo che uccide apertamente, nella passione
della lotta, disprezza il topo umano, il ragno, il
serpente. Per questo, dei sette condannati, solo
tre gridarono il loro addio a Murray quando si
allontanò per il corridoio, tra i sorveglianti:
Carpani, Marvin, che durante un tentativo
d’evasione aveva ucciso una guardia, e il
rapinatore Bassett, costretto a uccidere perché
un controllore, su un treno, non aveva voluto
alzare le mani. Gli altri quattro rispettavano un
umile silenzio.
Murray si meravigliava di quanto si sentiva
sereno e quasi indifferente. Nella stanza delle
esecuzioni c’era una ventina di uomini, impiegati
del carcere, giornalisti e curiosi che…
 
A questo punto, nel bel mezzo di una frase, il
sogno fu interrotto dalla morte di O. Henry.
Conosciamo tuttavia il finale: Murray, accusato e
condannato per l’omicidio della sua amante,
affronta il destino con inspiegabile serenità. Lo
conducono alla sedia elettrica. Lo legano.
All’improvviso la stanza, gli spettatori, i
preparativi dell’esecuzione gli sembrano irreali.
Pensa di essere vittima di un errore spaventoso.
Perché l’hanno legato a quella sedia? Che cosa
ha fatto? Quale crimine ha commesso? Si sveglia:
accanto a sé vede la moglie e il figlio. Capisce
che l’omicidio, il processo, la condanna a morte,
la sedia elettrica sono un sogno. Ancora
tremante, bacia sua moglie in fronte. In quel
momento arriva la scarica elettrica. L’esecuzione
interrompe il sogno di Murray.
 
O. Henry
18
LA PROMESSA DEL RE

Tostig, fratello del re sassone d’Inghilterra,


Harold, figlio di Godwin, ambiva al potere e si
alleò con Harald Sigurdarson, re di Norvegia.
(Questi aveva militato a Costantinopoli e in
Africa; il nome del suo stendardo era Landöda,
Devastatore di Terre; fu anche un poeta famoso).
Con un esercito norvegese sbarcarono sulla
costa orientale e conquistarono il castello di
Jórvík (York). A sud di Jórvík li fronteggiò
l’esercito sassone. Venti cavalieri si avvicinarono
alle file dell’invasore; gli uomini, e anche i
cavalli, erano rivestiti di ferro. Uno dei cavalieri
gridò: «È qui il conte Tostig?».
«Non nego di essere qui» rispose il conte.
«Se davvero sei Tostig,» disse il cavaliere
«vengo a dirti che tuo fratello ti offre il suo
perdono, la sua amicizia e la terza parte del
regno».
«Se accetto,» disse Tostig «cosa darà il re a
Harald Sigurdarson?».
«Non si è dimenticato di lui» rispose il
cavaliere. «Gli darà sei piedi di terra inglese e,
giacché è così alto, un altro in più».
«Allora,» disse Tostig «di’ al tuo re che
combatteremo fino alla morte».
I cavalieri se ne andarono. Harald Sigurdarson
chiese, pensieroso:
«Chi era quel cavaliere che ha parlato così
bene?».
«Harold, figlio di Godwin».
Prima che tramontasse il sole di quella
giornata, l’esercito norvegese fu sconfitto.
Harald Sigurdarson morì nella battaglia, e così il
conte.
 
Heimskringla, X, 91
19
IL GIURAMENTO DEL PRIGIONIERO

Il Genio disse al pescatore che lo aveva liberato


dal boccale di rame giallo:
«Sono uno dei geni eretici e mi ribellai a
Salomone, figlio di Davide (che la pace sia con
entrambi). Fui sconfitto; Salomone, figlio di
Davide, mi ordinò di abbracciare la fede di Dio e
di obbedire ai suoi ordini. Rifiutai; il Re mi
rinchiuse in questo recipiente di rame e impresse
sul coperchio l’Altissimo Nome, e ordinò ai geni
sottomessi di gettarmi in mezzo al mare. Dissi in
cuor mio: “A colui che mi darà la libertà darò
inesauribili ricchezze”. Ma passò un secolo intero
e nessuno mi dette la libertà. Allora dissi in cuor
mio: “A colui che mi darà la libertà, rivelerò tutte
le arti magiche del mondo”. Ma passarono
quattrocento anni e io restavo in fondo al mare.
Dissi allora: “A colui che mi darà la libertà,
soddisferò tre desideri”. Ma passarono
novecento anni. Allora, disperato, giurai, per
l’Altissimo Nome: “A colui che mi darà la libertà,
darò la morte”. Preparati a morire, mio
salvatore».
 
Le mille e una notte, notte 3
20
«NOSCE TE IPSUM»

Il Mahdī accerchiava con le sue orde


Khartoum, difesa dal generale Gordon. Vi furono
nemici che passarono dalla parte della città
assediata. Gordon li riceveva uno per uno e
indicava loro uno specchio perché vi si
guardassero. Gli sembrava giusto che prima di
morire un uomo conoscesse il proprio volto.
 
Fergus Nicholson,
Antologia di
specchi
(Edimburgo, 1917)
21
UN CONGEDO

Parker non era morto il giorno successivo, 16


settembre, ma soffriva molto. La morfina non
calmava più il dolore; non riusciva a mangiare né
a bere. Non fu facile sistemarlo nella parte
posteriore della camionetta. La pallottola, che lo
aveva attraversato da parte a parte, gli aveva
lacerato lo stomaco. Per fortuna la strada era
abbastanza piana e le scosse erano sopportabili.
C’era una luce chiarissima e il sole era
abbagliante. Ora eravamo nel deserto, non privo
di qualche cespuglio o arbusto, ma l’acqua, per
l’uomo e il suo bestiame, era troppo lontana.
Sotto un arbusto vidi un’enorme iena che
continuava a girare su sé stessa, come fa un cane
prima di dormire; un’ora dopo vidi una coppia di
orici. Le pesanti bestie, grandi come torelli, dal
manto bianco come la neve e dalle grandi corna
ricurve, pascolavano tra i cespugli dall’odore
dolciastro. Fermammo la camionetta per
guardarli, perché nessuno di noi aveva mai visto
animali del genere, né li rivedemmo. Aiutammo
Parker ad alzarsi affinché anche lui potesse
vederli. Ci sembrò importante che prima di
morire li vedesse.
 
Vladimir Peniakoff,
Private Army
22
L’INTUITIVO

Dicono che nel cuore dell’Andalusia ci fosse


una scuola di medicina. Il maestro interrogava:
«Che mi dici di questo malato, Pepillo?».
«Secondo me» rispondeva il discepolo «ha una
cefalalgia tra petto e spalla, ed è bell’e
spacciato».
«E come fai a dirlo, spiritoso?».
«Maestro, mi viene dall’anima».
 
Alfonso Reyes,
El deslinde (1944)
23
VITE PARALLELE

Quando nacque Confucio, un unicorno percorse


la regione. Per forma e dimensione assomigliava
a un bue. La madre del Maestro legò un nastro al
corno dell’animale. Settantasette anni dopo
l’unicorno riapparve e lo uccisero; il nastro era
rotto. Confucio disse:
«L’unicorno è tornato, sono trascorsi gli anni; il
giorno della mia morte è vicino».
 
É.R. Huc, L’Empire
chinois
(1850)
24
COME HO TROVATO IL SUPERUOMO

Ai lettori di Bernard Shaw e di altri scrittori


moderni interesserà la notizia che il Superuomo
è stato trovato. Io l’ho trovato: vive a South
Croydon. La mia scoperta sarà una cruda
delusione per Mr. Shaw, che ha seguito una falsa
pista e lo sta cercando per Blackpool; e in quanto
alla speranza di Mr. Wells di produrlo, a base di
corpi gassosi, in un laboratorio privato, l’ho
sempre creduta destinata al fallimento. Affermo
che il Superuomo di Croydon è nato in modo
normale, anche se, ovviamente, egli non ha nulla
di normale.
I suoi genitori non sono indegni dell’essere
prodigioso che hanno dato al mondo. Il nome di
Lady Hypatia Smythe-Browne (oggi Lady Hypatia
Hagg) non sarà mai dimenticato nei quartieri
poveri, tanto assistiti dal suo benefico zelo. Il suo
costante grido «Salvate i bambini» fustigava la
crudele negligenza di quanti permettono al
bambino di possedere giocattoli di colore acceso,
perniciosi per la vista. Adduceva statistiche
irrefutabili che dimostravano che i bambini ai
quali non si proibisce lo spettacolo del viola e del
carminio tendono spesso alla miopia nell’estrema
vecchiaia; e alla sua infaticabile crociata si deve
se la piaga delle biglie è stata quasi spazzata via
dalle case popolari. Con gran dedizione, la
signora batteva le strade dall’alba al tramonto
togliendo i giocattoli ai bambini poveri, bontà
che le riempiva gli occhi di lacrime. La sua opera
fu interrotta in parte a causa del suo nuovo
interesse per la religione di Zoroastro, in parte
per una tremenda ombrellata. Gliela inferse una
dissoluta verduraia irlandese che rientrando da
un’orgia si imbatté, nella sua insalubre camera
da letto, in Lady Hypatia che staccava dalla
parete una oleografia volgare, la cui influenza,
per non dire altro, non poteva essere edificante.
La celta, analfabeta e alcolizzata, non solo
aggredì la sua benefattrice ma l’accusò di furto.
La mente, squisitamente equilibrata, di Lady
Hypatia soffrì un’eclissi temporanea, durante la
quale contrasse matrimonio col dottor Hagg.
Parlare del dottor Hagg è superfluo. Chi sia al
corrente anche solo vagamente di quegli audaci
esperimenti di Eugenetica Neo-individualista che
costituiscono la principale preoccupazione della
democrazia britannica, conosce senz’altro il suo
nome e lo avrà raccomandato più di una volta
alla protezione personale di un’Entità
impersonale. Fin dalla giovanissima età applicò
alla storia della religione la sua vasta e solida
cultura di ingegnere elettrico. Poco dopo era uno
dei nostri più illustri geologi, e conquistò quella
chiara visione dell’avvenire del socialismo che è
patrimonio dei geologi. All’inizio sembrò
avvertirsi un’incrinatura, sottile ma visibile, fra
le sue opinioni e quelle della sua aristocratica
moglie. Lei era dell’idea che si dovesse (per dirla
con il suo motto poderoso) proteggere i poveri da
sé stessi; lui sosteneva, con una nuova e potente
metafora, che nella lotta per la vita il trionfo
dovesse essere attribuito ai trionfatori. Entrambi,
tuttavia, finirono per avvertire che le rispettive
opinioni erano inequivocabilmente moderne, e in
questo luminoso aggettivo le loro anime
trovarono la pace.
Il risultato fu che l’unione dei due tipi più alti
della nostra cultura, la gran dama e l’uomo di
scienza autodidatta, fu benedetta dalla nascita
del Superuomo, dell’essere che tutti gli operai di
Battersea attendono giorno e notte.
Rintracciai senza grande difficoltà la casa del
dottor Hagg: è in una delle ultime strade di
Croydon, ed è schermata da una fila di pioppi. Vi
arrivai all’ora del crepuscolo ed è comprensibile
che mi sembrasse di avvertire un che di oscuro e
mostruoso nella indefinita mole di quella casa
che ospitava un essere più prodigioso di qualsiasi
altro essere umano. Fui ricevuto con squisita
cortesia da Lady Hypatia e dal marito, ma non
vidi subito il Superuomo, che ormai ha quindici
anni e vive da solo in una stanza appartata. Il
mio colloquio con i genitori non chiarì del tutto la
natura di quella misteriosa creatura. Lady
Hypatia, che ha un volto pallido e ansioso,
ostentava quei grigi e quelle mezze tinte con cui
ha rallegrato tanti poveri focolari di Hoxton. Non
parlava del frutto del suo ventre con la vanità
volgare di una madre umana. Presi una decisione
audace e chiesi se il Superuomo fosse bello.
«Crea il suo proprio canone, come lei sa»
rispose con un leggero sospiro. «Su quel piano è
più bello di Apollo. Dal nostro piano inferiore,
naturalmente…» e tornò a sospirare.
Sentii un terribile impulso e dissi, di botto: «È
peloso?».
Seguì un silenzio lungo e imbarazzante. Il
dottor Hagg disse con dolcezza:
«Su quel piano tutto è diverso: il suo non è…
ciò che noi chiameremmo pelo, anche se…».
«Non ti pare,» mormorò la moglie «non ti pare
che, per evitare discussioni, conviene chiamarlo
pelo, se uno si rivolge al grande pubblico?».
«Forse hai ragione» disse il dottore, dopo un
attimo. «Nel caso di un pelo come il suo,
conviene parlare per parabole».
«Ma cosa diavolo è» chiesi con una punta di
irritazione «se non è pelo? Sono piume?».
«Non sono piume, almeno secondo il nostro
concetto di piume» rispose Hagg, con una voce
terribile.
Mi alzai, impaziente.
«Comunque sia, posso vederlo?» domandai.
«Sono un giornalista e mi hanno portato qui
solo la curiosità e la vanità personale. Mi
piacerebbe dire che ho stretto la mano al
Superuomo».
Marito e moglie stavano anch’essi in piedi,
molto a disagio.
«Bene, lei capirà,» disse Lady Hypatia col suo
incantevole sorriso da gran dama «lei capirà che
parlare di mani… la sua struttura è talmente
diversa…».
Dimenticai ogni convenzione sociale. Mi
scagliai contro la porta della stanza dove ero
sicuro che l’incredibile creatura era rinchiusa.
Entrai: il locale era al buio. Sentii un triste e
debole gemito; alle mie spalle risuonò un doppio
grido:
«Che imprudenza!» esclamò il dottor Hagg,
mettendosi le mani nei capelli. «Lo ha esposto a
una corrente d’aria. Il Superuomo è morto!».
Quella sera, lasciando Croydon, vidi uomini a
lutto portare un feretro che non aveva forma
umana. Il vento gemeva sopra di noi agitando i
pioppi, che si inclinavano e oscillavano come
pennacchi di un funerale cosmico.
 
G.K. Chesterton
25
IL RISVEGLIO DEL RE

Agenti francesi in Canada, dopo la sconfitta,


nel 1763, dell’esercito del loro paese, sparsero la
voce fra gli indigeni che il re di Francia era
rimasto addormentato durante gli ultimi anni, ma
si era appena svegliato e le sue prime parole
erano state: «Bisogna cacciare immediatamente
gli inglesi insediatisi nel paese dei miei figli
rossi». La notizia si diffuse in tutto il continente e
fu una delle cause della famosa cospirazione di
Pontiac.
 
H. Desvignes
Doolittle,
Rambling Thoughts
on World History
(Niagara
Falls,1903)
26
MORTE DI UN CAPO

Sconfitte le lance di Cacharí dalle truppe


regolari, questi rimase senza vita sulla sponda
della laguna che oggi porta il suo nome. Gli
abitanti del luogo raccontano che per due giorni
e due notti il cacique, impazzito e moribondo,
aveva gridato, come per continuare la battaglia:
«È qui Cacharí, Cacharí, Cacharí».
 
León Rivera
Bocetos de un
asistente
(La Plata, 1894)
27
L’AVVISO

Durante una delle antiche guerre di Scozia, il


capo del clan dei Douglas cadde nelle mani del
nemico. Il giorno dopo gli portarono, nella torre
dove era rinchiuso, una testa di cinghiale su un
vassoio. Quando la vide, Douglas capì che la sua
sorte era segnata. Quella notte lo decapitarono.
 
George D. Brown,
Gleanings in
Caledonian byways
(Dunbar, 1901)
28
LA SPIEGAZIONE

L’implacabile scettico Wang Ch’ung negò la


stirpe della fenice. Affermò che come il serpente
si trasforma in pesce e il topo in tartaruga, così il
cervo, in epoche di pace e di tranquillità, si
trasforma in unicorno e l’oca in fenice. Attribuì
queste mutazioni al «liquido propizio» che,
2356 anni prima dell’èra cristiana, aveva fatto sì
che nel cortile dell’imperatore Yao crescesse un
prato di colore scarlatto.
 
Edwin Broster,
Addenda to a
History of
Freethinking
(Edimburgo, 1887)
29
UN MITO DI ALESSANDRO

Chi non ricorda la poesia di Robert Graves


nella quale si sogna che Alessandro Magno non
morì a Babilonia, ma che smarrì il suo esercito e
si addentrò nell’Asia? Dopo aver vagato per
quella geografia sconosciuta, si imbatté in un
esercito di uomini gialli e, poiché il suo mestiere
era la guerra, si arruolò nelle sue file.
Trascorsero così molti anni, e un giorno di paga
Alessandro osservò stupito una moneta d’oro che
gli avevano dato. Riconobbe l’effigie e pensò: ho
fatto coniare io questa moneta, per celebrare una
vittoria su Dario, quando ero Alessandro di
Macedonia.
 
Adrienne
Bordenave,
La modification du
Passé
ou la seule base de
la Tradition
(Pau, 1949)
30
LA FORZA DELLA FEDE

Quando le truppe del duca d’Orléans


assediarono Saragozza, il clero della città
convinse la popolazione che quelle truppe erano
illusioni dovute a un sortilegio.
 
Voltaire, Le siècle de Louis XIV
31
L’OPERA E IL POETA

Il poeta indù Tulsi Das cantò le gesta di


Hanuman e del suo esercito di scimmie. Anni
dopo un re lo imprigionò in una torre di pietra.
Nella cella si mise a meditare e dalla meditazione
sorsero Hanuman e il suo esercito di scimmie, e
conquistarono la città e irruppero nella torre e lo
liberarono.
 
R.F. Burton, Indica (1887)
32
EUGENETICA

Una dama di rango si innamorò con tale smania


di un certo signor Dod, predicatore puritano, che
pregò suo marito di lasciarli giacere insieme
perché procreassero un angelo o un santo; ma,
accordato il consenso, il parto fu normale.
 
Drummond,
Ben Ionsiana (1618
ca)
33
LA MENDICANTE DI NAPOLI

Quando vivevo a Napoli, alla porta del mio


palazzo c’era una mendicante alla quale gettavo
qualche moneta prima di salire in carrozza.
Sorpreso che non mi ringraziasse mai, un giorno
osservai la mendicante; allora vidi che ciò che
avevo scambiato per una mendicante era invece
una cassa di legno, dipinta di verde, che
conteneva terra rossa e qualche banana mezza
marcia.
 
Max Jacob,
Le cornet à dés
(1917)
34
«OMNE ADMIRARI»

Macedonio Fernández è a casa di Dabove. C’è


un cane sotto la tavola. Macedonio osserva:
«Com’è intelligente questo cane! Non scambia
la mia mano per un pezzo di carne. È davvero un
grande intellettuale!».
 
Estanislao
González,
Apuntes de un
vecino de Morón
(Morón, 1955)
35
OGNI UOMO È UN MONDO

Don Miguel de los Santos Álvarez ha motivi


personali per non credere alla ricchezza. Il
risultato delle sue riflessioni al riguardo è la
convinzione che da qualche parte venticinque
duros e alcuni diamanti vanno in giro per il
mondo di mano in mano. I primi, a quanto
afferma, li ha tenuti una volta nella propria. I
secondi li conosce solamente di vista, per ora.
Don Miguel è uno degli uomini più freddolosi
del Vecchio Continente. Nessuno può vantarsi di
averlo visto per strada, salvo che a luglio, senza
finanziera, cappotto, mantello, sciarpa e calosce.
Tuttavia, d’estate, fa i suoi bagni del bastone,
che consistono nel far preparare la tinozza con
acqua tiepida, mettersi in maniche di camicia e
introdurre nel liquido refrigerante la terza parte
inferiore del suo bastone abituale. L’impressione
di frescura che il legno assorbe dice che gli basta
per rabbrividire un attimo. Subito dopo si copre
adeguatamente ed esce dalla stanza con la
massima precauzione. (Chiamava questo
idroterapia).
 
Diccionario
Enciclopédico
Hiemo-americano,
XVIII, pp. 688-89
36
UN DIO ABBANDONA ALESSANDRIA

Assediato Antonio dalle truppe di Cesare, si


racconta che quella notte, l’ultima, quando la
città di Alessandria era in assoluto silenzio e
costernazione per il timore e la speranza di ciò
che sarebbe accaduto, si udirono in crescendo gli
accordati echi di molti strumenti e il chiasso di
una gran folla con canti e balli satirici, come se
passasse un’inquieta turba di Baccanti; che
quella folla sembrò dirigersi dal centro della città
verso la porta da cui si andava all’accampamento
nemico; e che una volta varcatala, svanì quel
tumulto felice, che era stato molto grande.
Coloro che danno significato a cose del genere
ritengono che fosse un segno indirizzato ad
Antonio, il segno che Bacco, quel Dio al quale
sempre ostentò di assomigliare e nel quale
particolarmente confidava, stesse
abbandonandolo.
 
Plutarco, Vite parallele
37
LA DISCEPOLA

La bella Hsi Shih aggrottò la fronte. Una


paesana bruttissima la vide e ne rimase
ammirata. Desiderò imitarla; con impegno si
mise di cattivo umore e aggrottò la fronte. Poi
uscì in strada. I ricchi si rinchiusero in casa e
non vollero uscire; i poveri presero figli e mogli
ed emigrarono altrove.
 
Herbert Allen
Giles,
Chuang Tzu (1889)
38
IL NONO SCHIAVO

Ibrahim, principe di Shirvan, baciò il gradino


più basso del trono del suo conquistatore. Le
offerte di seta, gioielli e cavalli consistevano
(secondo l’uso dei Tartari) in nove unità per
ciascun genere, ma uno spettatore osservò che
gli schiavi erano solo otto. «Il nono sono io»,
disse Ibrahim, e questa adulazione meritò il
sorriso di Tamerlano.
 
Gibbon,
Decline and Fall of
the
Roman Empire,
LXV
39
UN VINCITORE

Diversa compassione si vide in Imilcone, il


quale, pur avendo ottenuto in Sicilia grandi
vittorie, poiché in esse aveva perduto molti
uomini per malattie che avevano colpito
l’esercito, entrò a Cartagine, non trionfante, ma
vestito a lutto, e con una mantellina slacciata,
abbigliamento da schiavo, e giunto a casa, senza
rivolgere parola ad alcuno, si dette la morte.
 
Saavedra Fajardo,
Idea de un príncipe
político-cristiano
(1640), Empresa
XCVI
40
DELLA MODERAZIONE NEI MIRACOLI

Sembra che Bertrand Russell amasse ricordare


l’aneddoto di Anatole France a Lourdes; quando
France vide stampelle e occhiali ammucchiati
nella grotta, domandò:
«Ma come, niente gambe di legno?».
 
John Wisdom,
Multum y Parvo
(Philadelphia,
1929)
41
IL PERICOLOSO TAUMATURGO

Un chierico che non credeva nel mormonismo


fece visita a Joseph Smith, il profeta, e gli chiese
un miracolo. Smith gli rispose:
«Benissimo, signore. Lo faccio scegliere a lei.
Vuol diventare cieco o sordo? Preferisce la
paralisi o che le secchi una mano? Dica, e nel
nome di Gesù Cristo esaudirò il suo desiderio».
Il chierico balbettò che non era questo il
genere di miracolo che aveva chiesto.
«In tal caso, signore,» disse Smith «resterà
senza miracolo. Per convincere lei non recherò
danno ad altri».
 
M.R. Werner,
Brigham Young
(1925)
42
NON ESAGERIAMO

Il ming tang era un edificio magico che


assicurava potere sull’Universo, e aveva una sua
forma. Secondo i libri antichi doveva essere una
capanna, col tetto di paglia. L’imperatrice Wu
Hou non si rassegnò a tanta umiltà ed edificò un
ming tang enorme e sontuoso, che dispiacque al
cielo.
 
Arthur Waley, Li Po
43
IL CASTELLO

Giunse così a un immenso castello, sul cui


frontone era inciso: «Non appartengo a nessuno,
e appartengo a tutti; prima di entrare eri già qui,
qui resterai quando sarai uscito».
 
Diderot,
Jacques le fataliste
(1773)
44
LA STATUA

A Sais la statua della dea recava


quest’enigmatica iscrizione: «Sono tutto ciò che
è stato, tutto ciò che è, tutto ciò che sarà, e
nessun mortale (finora) ha sollevato il mio velo».
 
Plutarco,
Iside e Osiride, par.
9
45
L’AVVERTIMENTO

Nelle isole Canarie si ergeva l’enorme statua di


bronzo di un cavaliere che indicava con la spada
l’Occidente. Sul piedistallo era scritto: «Giratevi.
Non c’è niente alle mie spalle».
 
R.F. Burton,
1001 Nights, I, 141
46
LE FACOLTÀ DI VILLENA

Pochi anni dopo la morte del signore di Iniesta


cominciarono presto a impadronirsi del suo nome
gli alchimisti e altri illuminati o imbroglioni, e a
inventare libri apocrifi a suo nome o che si
supponevano appartenere alla sua famosa
biblioteca.
Uno di questi fu il Libro del Tesoro o del
Lucchetto, che a causa di una falsità ancor
maggiore si volle imputare alla gloriosa memoria
di Alfonso il Saggio.
Ma ancora più curiosa e significativa è, a
questo proposito, la lettera che si suppone scritta
a don Enrique de Villena dai venti saggi
cordovesi.
In così stupendo documento gli si attribuiscono
tra le altre facoltà meravigliose quella di
arrossare il sole con la pietra elitropia, divinare il
futuro per mezzo della chelonite, diventare
invisibile grazie all’erba andrómena, far tuonare
e piovere a proprio piacimento con la bacinella di
fil di ferro e congelare in forma sferica l’aria,
utilizzando a tal fine l’erba yelopia.
Nella risposta don Enrique racconta ai suoi
discepoli un sogno allegorico nel quale gli appare
Ermete Trismegisto, maestro universale delle
scienze, a cavallo di un pavone, che gli consegna
una penna, una tavola con figure geometriche, la
chiave del suo palazzo incantato e infine lo
scrigno delle quattro chiavi, dove era racchiuso il
grande mistero alchemico.
 
Menéndez y Pelayo,
Antología de poetas
líricos castellanos
47
L’OMBRA DELLE MOSSE

In uno dei racconti che compongono la serie


del Mabinogion, due re nemici giocano a scacchi
mentre in una vallata vicina i loro eserciti lottano
e si annientano. Giungono messaggeri con
notizie della battaglia; i re non paiono udirli e
chini sulla scacchiera d’argento muovono i pezzi
d’oro. Man mano appare evidente che le sorti del
combattimento seguono le sorti del gioco. Verso
sera uno dei re rovescia la scacchiera perché ha
subìto scacco matto, e poco dopo un cavaliere
insanguinato gli annuncia: «Il tuo esercito è in
fuga, hai perso il regno».
 
Edwin Morgan,
The Week-End
Companion to
Wales
and Cornwall
(Chester, 1929)
48
L’OMBRA DELLE MOSSE

Mentre i francesi assediavano la capitale del


Madagascar, nel 1895, i sacerdoti parteciparono
alla difesa giocando a fanorona,1 e la regina e il
popolo seguivano con più apprensione la partita,
che si giocava secondo il rito per assicurare la
vittoria, che non gli sforzi delle truppe.
 
 
Celestino
Palomeque,
Cabotaje en
Mozambique
(Porto Alegre, s.d.)
49
GLI OCCHI COLPEVOLI

Si narra che un uomo comprò una ragazza per


quattromila denari. Un giorno la guardò e
scoppiò a piangere. La ragazza gli chiese perché
piangesse; lui rispose:
«Hai gli occhi così belli che dimentico di
adorare Dio».
Rimasta sola, la ragazza si cavò gli occhi.
Quando la vide in quello stato, l’uomo, afflitto,
le disse:
«Perché ti sei deturpata così? Hai sminuito il
tuo valore».
Lei rispose:
«Non voglio che ci sia qualcosa in me che ti
distolga dall’adorare Dio».
Quella notte, l’uomo udì in sogno una voce che
gli diceva: «Tu credi che la ragazza abbia
sminuito il suo valore, ma per noi l’ha
accresciuto e te l’abbiamo presa». Al risveglio,
trovò quattromila denari sotto al cuscino. La
ragazza era morta.
 
 
Ah’mad ibn
Shirwānī,
Ḥadīqat al-afrāḥ
50
UNA NOSTALGIA

Mentre avanzava verso il patibolo, Li Su rivolse


queste parole al figlio:
«Ah, se fossimo a Shangts’ai a caccia di lepri
col nostro cane bianco!».
 
Arthur Waley,
Po Chü-I
51
IL PROFETA, L’UCCELLO E LA RETE

Narra una tradizione israelita che un profeta


passò accanto a una rete tesa: un uccello che era
lì accanto gli disse:
«Profeta del Signore, hai mai visto in vita tua
un uomo così sciocco come chi ha teso questa
rete per cacciare me, me che la vedo?».
Il profeta se ne andò. Al ritorno, trovò l’uccello
preso nella rete.
«Che strano,» esclamò «non eri tu che poco fa
dicevi così e così?».
«Profeta,» replicò l’uccello «quando arriva il
momento segnato non abbiamo occhi né
orecchie».
 
Abu Bakr al-
Tortuchi,
Sirāj al-Mulūk
52
I CERVI CELESTI

Il Tzu Puh Yü racconta che nella profondità


delle miniere vivono i cervi celesti. Questi
animali fantastici desiderano salire in superficie
e a tal fine cercano l’aiuto dei minatori.
Promettono di guidarli ai filoni di metalli
preziosi; quando l’espediente fallisce, i cervi li
tormentano, finché i minatori non li rendono
innocui murandoli nelle gallerie con dell’argilla.
A volte i cervi sono più numerosi dei minatori e
allora li torturano fino a farli morire.
I cervi che riescono ad emergere alla luce del
giorno si trasformano in un liquido fetido che
diffonde la pestilenza.
 
G. Willoughby-
Meade,
Chinese Ghouls
and Goblins
(1928)
53
IL CUOCO

Erano ghiotti quanto presuntuosi, il signore e


la signora. La prima volta che il cuoco, cappello
in mano, venne a chiedere:
«Mi permettano, il signore e la signora sono
soddisfatti?»
Gli risposero:
«Glielo faremo sapere tramite il
maggiordomo».
La seconda volta non risposero. La terza
pensarono di cacciarlo via, ma non si decisero a
farlo perché era un cuoco eccezionale. La quarta
volta (Dio mio, vivevano in periferia, erano
sempre soli, si annoiavano tanto!), la quarta volta
incominciarono:
«La salsa di capperi, formidabile; ma il canapè
di pernice, un po’ duro».
Finirono per parlare di sport, di politica, di
religione. Era quello che voleva il cuoco, che altri
non era che Fantômas.
 
Max Jacob,
Le cornet à dés
(1917)
54
POLEMISTI

Nella pulpería alcuni gauchos conversano di


argomenti di scrittura e fonetica. Albarracín, di
Santiago del Estero, non sa leggere né scrivere,
ma pensa che Cabrera non sia a conoscenza del
suo analfabetismo; asserisce che la parola trara2
non si può scrivere. Crisanto Cabrera, anch’egli
analfabeta, sostiene che tutto ciò che si dice si
può scrivere.
«Pago da bere a tutti» dice Albarracín «se mi
scrivi trara».
«Ci sto» risponde Cabrera. Tira fuori il coltello
e con la punta traccia uno scarabocchio sul
pavimento sterrato.
Alle sue spalle si affaccia il vecchio Álvarez,
guarda per terra e sentenzia:
«E certo: trara».
 
Luis L. Antuñano,
Cinquenta años en
Gorchs. Medio
siglo en campos de
Buenos Aires
(Olavarría, 1911)
55
PERPLESSITÀ DEL CODARDO

Scoppiò una rivolta nell’esercito. Un uomo del


Khorasan si precipitò alla sua cavalcatura per
sellarla ma, nell’agitazione, mise la cavezza alla
coda e disse al cavallo:
«Come ti si è ingrossata la testa, e come ti si è
allungata la criniera!».
 
Ah’mad Ibshīhī,
Mostatref
56
LA RESTITUZIONE DELLE CHIAVI

Quando le legioni romane occuparono


Gerusalemme, il sommo sacerdote, sapendo che
sarebbe morto di spada, volle restituire al
Signore le chiavi del santuario. Le scagliò al
cielo; la mano del Signore le raccolse. L’aveva già
profetizzato l’Apocalisse di Baruch.
 
Ta’anit della
Mishnah,
cap. XXIX
57
SEPOLCRI ADDESTRATI

In Ircania la plebe nutre cani pubblici, i grandi


e nobili cani domestici. Come sai, in quelle terre
vive una tra le migliori razze di cani. E questi
cani ciascuno li alleva secondo le proprie
possibilità, affinché dopo la morte ne venga
divorato. Credono che questa sia la migliore
sepoltura.
 
Cicerone,
Questioni
Tusculane, I
58
GLI OSSERVATORI

I granchi di terra, nell’isola di Trinidad, sono


un incubo. Vi spiano da ogni angolo e ogni sasso.
Con gli occhi morti e curiosi seguono i vostri
passi, e sembrano dire: «Se almeno tu cadessi, al
resto penseremmo noi». Sdraiarsi e dormire in
qualsiasi parte dell’isola sarebbe un suicidio… Se
siete in piedi, fermo, cercano di mordervi gli
stivali, guardandovi fisso tutto il tempo. Una
caratteristica di questi animali, capaci di far
impazzire un solitario, è che, siano essi pochi o
molti, vi guardano tutti… Sono gialli e rossi e,
dopo i ragni, pare che siano le creature più
abominevoli di questa terra di Dio.
 
Apsley Cherry-
Garrard,
The Worst Journey
in the World
59
IL SILENZIO DELLE SIRENE

Una dimostrazione di come risorse insufficienti


e persino puerili possano costituire comunque un
mezzo di salvezza:
Per difendersi dalle sirene, Ulisse si tappò le
orecchie con la cera e si fece incatenare
all’albero della nave. Qualcosa del genere, certo,
avrebbero potuto fare fin dai tempi remoti tutti i
viaggiatori, a parte quelli che le sirene riuscivano
a sedurre anche da lontano; ma si sapeva
ovunque che era impossibile che questo rimedio
funzionasse. Il canto delle sirene pervadeva ogni
cosa, e la passione dei sedotti avrebbe spezzato
lacci più forti di catene e alberi. Ulisse, anche se
forse ne era consapevole, non ci pensò. Confidò
pienamente nella sua manciata di cera, nel suo
mazzo di catene, e con gioia innocente, tutto
contento delle sue piccole astuzie, navigò
incontro alle sirene.
Ma le sirene dispongono di un’arma ancora più
terribile del loro canto. Il loro silenzio. Forse si
poteva concepire – anche se, certo, neanche
questo era accaduto – che qualcuno riuscisse a
salvarsi dal loro canto; ma nessuno, non v’è
dubbio, poteva salvarsi dal loro silenzio. Niente
di terreno potrebbe resistere alla sensazione di
averle vinte con le proprie forze,
all’incomparabile esaltazione conseguente.
In effetti, all’arrivo di Ulisse, le formidabili
cantatrici non cantarono, sia perché ritennero
che un tale avversario potesse essere affrontato
soltanto col silenzio, sia perché vedere quella
beatitudine sul volto di Ulisse, che non pensava
ad altro che a cera e catene, le rese dimentiche
di qualsiasi canto.
Ma Ulisse, per così dire, non sentì il loro
silenzio; credeva che cantassero, e che lui
soltanto fosse preservato dal sentirle. Vide in
primo luogo, fugacemente, le torsioni dei loro
colli, la respirazione affannosa, gli occhi colmi di
lacrime, la bocca socchiusa e credette che tutto
ciò facesse parte delle melodie che, non udite,
risuonavano e si perdevano intorno a lui. Ma
tutto questo rimbalzava appena sul suo sguardo
assorto; era come se le sirene scomparissero di
fronte alla sua determinazione, e proprio quando
era più vicino a loro, non sapeva più nulla della
loro presenza.
Loro invece – più belle che mai – si stiravano e
si contorcevano, allungavano gli artigli aperti
sopra lo scoglio e le orride chiome ondeggiavano
al vento, libere. Non miravano più a sedurre;
volevano solo catturare, finché fosse stato
possibile, il riflesso dei grandi occhi di Ulisse. Se
le sirene avessero coscienza, quella volta
sarebbero state distrutte. Ma resistettero, e solo
sfuggì loro Ulisse.
Del resto, la tradizione riferisce anche un
epilogo al riguardo. Ulisse, si racconta, fu così
volpe, così ricco di astuzie, che nemmeno la dea
del destino riuscì a penetrare il suo animo. Forse
– per quanto sia inconcepibile per la ragione
umana – si accorse davvero che le sirene
tacevano, e solo come scudo, per così dire,
oppose a loro e agli dèi tale finzione.
 
Franz Kafka
60
LO SCHIAFFO

Alcune erano traditrici, come Hallgerđr la


Bella. Tre mariti ebbe, e di tutti causò la morte. Il
suo ultimo signore fu Gunnarr di Hliđarendi, il
più coraggioso e pacifico degli uomini. Una volta
lei si comportò in modo meschino e lui le diede
uno schiaffo. Lei non glielo perdonò. Anni dopo, il
nemico assediò la loro casa. Le porte erano
chiuse; la casa, silenziosa. Uno dei nemici si
arrampicò fino al davanzale di una finestra e
Gunnarr lo trapassò con la lancia.
«Gunnarr è in casa?» gli chiesero gli
assedianti. «Lui, non so; ma la sua lancia sì»
disse il ferito e morì con questa battuta sulle
labbra.
Gunnarr li tenne a bada con le frecce, ma alla
fine uno di loro gli tagliò la corda dell’arco.
«Intrecciami una corda con i tuoi capelli» disse
alla moglie Hallgerđr, che aveva lunghi capelli
biondi e lucenti.
«Ne va della tua vita?» chiese lei.
«Sì» rispose Gunnarr.
«Allora ricordo quello schiaffo e ti vedrò
morire».
Così Gunnarr morì, sconfitto da molti nemici, e
uccisero Sámr, il suo cane, ma non prima che
Sámr uccidesse uno di loro.
 
Andrew Lang,
Essays in Little
(1891)
61
IL DISEGNO DELL’ARAZZO

Ricordai il racconto di Henry James, Il disegno


dell’arazzo: è la storia di un uomo di lettere che
ha pubblicato molti romanzi e che apprende, con
una certa perplessità, che uno dei suoi lettori
non si è accorto che sono tutti variazione di uno
stesso tema e che li percorre un unico disegno,
simile al disegno di un arazzo orientale. Se non
mi inganno, il romanziere muore senza aver
svelato il segreto e la storia si conclude in un
modo molto delicato, lasciandoci con il lettore
che, ci si dà a intendere, si consacrerà a scoprire
quel ripetuto disegno, nascosto in molti volumi.
 
Arthur Machen,
The London
Adventure (1924)
62
IL GRAN TAMERLANO DI PERSIA

Di notte si mascherava da mercante e visitava i


bassifondi della città per ascoltare la voce del
popolo. Lui stesso tirava fuori l’argomento.
«E il Gran Tamerlano?» domandava. «Cosa
pensate del Gran Tamerlano?»
Immancabilmente si levava un coro di insulti,
maledizioni, proteste rabbiose. Il mercante si
sentiva contagiato dalla collera del popolo,
bruciava di indignazione, aggiungeva le proprie
offese.
La mattina seguente, nel suo palazzo, mentre
cercava di risolvere gli ardui problemi delle
guerre, le alleanze, i complotti dei nemici e il
deficit del bilancio, il Gran Tamerlano si infuriava
contro il popolo.
«Lo sa, questa gentaglia,» pensava «cosa vuol
dire guidare un impero? Crede che non abbia
altro da fare che occuparmi dei suoi minuscoli
interessi, dei suoi pettegolezzi da comari?».
Ma la notte successiva il mercante ritornava ad
ascoltare le piccole storie di soprusi, corruzione,
prepotenze, abusi della soldatesca e ingiustizie
dei funzionari, e di nuovo si infiammava di
indignazione.
Dopo un certo tempo il mercante ordì una
cospirazione contro il Gran Tamerlano: la sua
astuzia, il suo coraggio, la conoscenza dei segreti
del governo, il dominio dell’arte della guerra lo
fecero diventare non solo il capo della congiura,
ma anche il leader del popolo. Ma il Gran
Tamerlano, dal suo palazzo, gli mandava a monte
ogni progetto. Il gioco si protrasse per molti
mesi, finché il popolo pensò che il mercante fosse
in realtà una spia del Gran Tamerlano e lo uccise,
nell’ora stessa in cui i dignitari di corte,
sospettando che il Gran Tamerlano li tradisse, lo
assassinarono nel suo letto.
 
Marco Denevi,
Parque de
diversiones
(Buenos Aires,
1970)
63
STORIA DEI DUE RE E DEI DUE LABIRINTI

Narrano gli uomini degni di fede (ma Allah sa


di più) che nei primi giorni del tempo ci fu un re
delle isole di Babilonia che convocò i suoi
architetti e i suoi maghi e ordinò loro di costruire
un labirinto tanto perplesso e sottile che gli
uomini più prudenti non vi si avventuravano, e
coloro che vi entravano si perdevano. Quella
costruzione era uno scandalo, perché la
confusione e la meraviglia sono operazioni
proprie di Dio e non degli uomini. Trascorso del
tempo, venne alla sua corte un re degli arabi, e il
re di Babilonia (per prendersi gioco
dell’ingenuità del suo ospite) lo fece entrare nel
labirinto, dove questi vagò offeso e confuso fino
al declinare del giorno. Allora implorò il soccorso
divino e trovò la porta. Le sue labbra non
proferirono alcun lamento, ma disse al re di
Babilonia ch’egli in Arabia aveva un labirinto
migliore e che, a Dio piacendo, un giorno glielo
avrebbe mostrato. Poi tornò in Arabia, riunì i suoi
capitani e i suoi soldati e devastò i regni di
Babilonia con sorte così favorevole che ne demolì
i castelli, ne sgominò gli uomini e fece
prigioniero lo stesso re. Lo legò su un veloce
cammello e lo portò nel deserto. Viaggiarono per
tre giorni, e gli disse: «Oh, re del tempo e
sostanza e simbolo del secolo! A Babilonia volesti
perdermi in un labirinto di bronzo con molte
scale, porte e muri; ora l’Onnipotente ha creduto
giusto che ti mostrassi il mio, dove non ci sono
scale da salire, né porte da forzare, né faticosi
corridoi da percorrere, né muri che ti vietino il
passo».
Poi gli sciolse i lacci e lo abbandonò in mezzo al
deserto, dove morì di fame e di sete. La Gloria
sia con Colui che non muore.
 
R.F. Burton,
The Land of Midian
Revisited
(1879)
64
LA CONFESSIONE

Nella primavera del 1232, nei pressi di


Avignone, il cavaliere Gontran D’Orville uccise di
spada l’odiato conte Geoffroy, signore del luogo.
Immediatamente, confessò di aver vendicato
un’offesa, in quanto sua moglie lo tradiva con il
conte.
Lo condannarono a morire decapitato, e dieci
minuti prima dell’esecuzione gli permisero di
ricevere in cella sua moglie.
«Perché hai mentito?» gli chiese Giselle
D’Orville. «Perché mi copri di vergogna?».
«Perché sono un debole» le rispose Gontran.
«Così mi taglieranno la testa e basta. Se avessi
confessato di averlo ucciso perché era un
tiranno, mi avrebbero prima torturato».
 
Manuel Peyrou
65
ALTRA VERSIONE DEL «FAUSTO»

In quegli anni i fratelli Podestá percorrevano la


provincia di Buenos Aires mettendo in scena
opere gauchesche. In quasi tutti i villaggi, il
primo spettacolo era il Juan Moreira ma, giunti a
San Nicolás, ritennero di buon gusto annunciare
Hormiga Negra. Non serve ricordare che il suo
personaggio eponimo era stato in gioventù il più
famoso fuorilegge della zona.
Alla vigilia dello spettacolo, un tipo piuttosto
basso e in là con gli anni, vestito con decorosa
povertà, si presentò al tendone.
«Circola voce» disse «che domenica prossima
uno di voi si presenterà davanti alla gente e dirà
di essere Hormiga Negra. Vi avverto che non
ingannerete nessuno, perché Hormiga Negra
sono io e mi conoscono tutti».
I Podestá lo ascoltarono con quella deferenza
tutta loro e cercarono di fargli capire che l’opera
in questione costituiva l’omaggio più raffinato
alla sua figura leggendaria. Fu tutto inutile,
nonostante si fossero fatti mandare dall’albergo
dei bicchieri di gin. L’uomo, fermo nella sua
decisione, protestò che mai nessuno gli aveva
mancato di rispetto, e che se qualcuno fosse
saltato fuori dicendo di essere Hormiga Negra,
lui, vecchio com’era, gliel’avrebbe fatta vedere.
Bisognò arrendersi all’evidenza! La domenica,
all’ora annunciata, i fratelli Podestá mettevano in
scena Juan Moreira…
 
Fra Diavolo,
Vistazos críticos a
los orígenes
de nuestro teatro,
in «Caras y
Caretas», 1911
66
RITROVAMENTO DI UN TESORO

Mio fratello tornò a colpire, quasi indignato, il


muro rimbombante. Dette ancora un colpo che
sentii come un tuono sotterraneo. Improvvise
crepe si disegnarono sulla parete e subito, come
se il maglio avesse trovato un pietra di volta, si
staccarono blocchi di dimensioni diverse e di
fronte a noi comparve un buco, oscuro e
polveroso. All’inizio percepimmo solo qualcosa
come un’ombra nel buio, una zona più nera nelle
tenebre. Avido, mio fratello allargò il buco e
accostò una lampada. Allora lo vedemmo, era
fermo, rigido e pomposo. Potemmo distinguere,
per un istante, la sua opulenta veste di broccato,
il bagliore dei gioielli, il mazzetto di ossa della
mano intorno a un crocifisso dorato, il teschio
terroso sormontato da un’altissima mitra.
Divenne ancora più grande man mano che mio
fratello avvicinava la luce, e dopo,
vertiginosamente, silenziosa e polverizzata, la
figura del vescovo crollò. Ora le ossa erano
polvere, erano polvere la mitra e la cappa
magna. Pesanti, nefasti, eterni, i gioielli erano
nostri.
Oggi mi basti dire che il tesoro, che vendemmo
con pazienza e successo, era costituito da vari
anelli episcopali, otto magnifici ostensori adorni
di gioielli, pesanti pissidi, crocifissi, un astuccio
altoperuviano con vecchie monete e grandi
medaglie d’oro.
Dopo, nemmeno io so perché avemmo tanta
fretta di separarci. La storia successiva di mio
fratello la conosco perché lui stesso, seccato e
brusco, me l’ha raccontata poco tempo fa. Aveva
cominciato con cautela, stando attento alla sua
parte; poi, quasi senza volerlo, aveva moltiplicato
il denaro. Divenne ricchissimo, si sposò, ebbe dei
figli, diventò ancora più ricco, raggiunse il
culmine. E dopo, senza tregua, un po’ alla volta,
vide svanire la sua ricchezza e, a quanto intuii,
svanire anche il piacere che prima gli dava
accumularla. Finì per non avere un solo
centesimo. E così vive ora, indifferente.
Io, invece, cominciai a spendere la mia parte.
Non so se ho già detto che sono – o credevo di
essere – un pittore e che, al tempo in cui
scoprimmo la nicchia segreta, iniziavo a
disegnare nell’accademia della mia vecchia città.
È dunque comprensibile che abbia impiegato il
denaro ad alimentare la mia vocazione.
Intrapresi un lungo viaggio in Europa alla ricerca
di colui che avrebbe dovuto essere il mio
maestro. Andai da Parigi a Venezia, da Venezia a
Madrid. Qui mi fermai per più di due anni. E
incontrai il vero Maestro, e lavorai e trascorsi la
mia vita accanto a lui. E feci progressi.
Segretamente, perché il segreto era il suo
metodo, mi trasmise la sua arte. Imparai la sua
tecnica e la sua concezione della realtà. Vidi i
colori che lui vedeva, la mia mano si mosse col
suo polso. Il mio Maestro mi insegnò tutto ciò
che sapeva, e forse anche di più; alle volte giunsi
a pensare che le nozioni che mi inculcava,
prodigiosamente, le inventasse sul momento.
Tuttavia arrivò il giorno in cui considerò
concluso il mio apprendistato; dovetti, con
dolore, separarmi da lui.
Soltanto qualche mese dopo il mio ritorno,
durante una notte interminabile, cominciai a
sentire quell’oscura incertezza: forse non ero un
buon pittore. Avevo conosciuto, senza interesse,
altri pittori; avevo visto, sprezzante, altri quadri.
Ma ora, d’un tratto, il mio animo era pieno
d’inquietudine. Mortificato, oppresso da
un’intima sfiducia, decisi di esibire le mie opere
agli occhi di tutti. D’altra parte il mio Maestro,
quando ci separammo, mi aveva autorizzato. E
così, esposi i miei quadri. Il risultato fu che
alcuni giudicarono la mia pittura
incomprensibile; i più la trovarono triviale. Capii
subito che non valeva nulla, che non ero, nel
modo più assoluto, un artista. Naturalmente,
scrissi al mio Maestro, una volta, e poi un’altra;
non seppi più nulla di lui.
Allora, sconsolato, vagai per casa, giorno dopo
giorno, come un bambino o un prigioniero.
Percorrevo all’infinito gli ampi locali, i profondi
corridoi. Qualcuno della casa un giorno mi chiese
se volessi visitare la camera le cui pareti una
notte, per una storia narrata a caso, avevamo
sfondato. Sulla parete sepolcrale, al limite della
casa centenaria era appeso, per superstizione o
ingenuità, un ritratto che, come qualcuno
affermò, era quello del vescovo murato. Lo
avevano trovato, mi fu detto, poco dopo la mia
partenza.
Era notte quando tornai a vedere il quadro,
portando con me un lume. Ricordo di averlo
sollevato con attenzione davanti alla scabra
parete, e che il ritratto si illuminò in tutta la sua
grandezza. Fu come se si ripetesse la scena
perduta: vidi la stessa cappa dorata, la stessa
eretta mitra. Ma nel quadro tutto mi sembrava,
ironicamente, più reale. Guardai allora ciò che
non ricordavo, ciò che non conoscevo e solo
allora scoprii che il vescovo aveva il volto del mio
Maestro, che era il mio Maestro.
 
Marcial Tamayo
(Buenos Aires,
luglio 1953)
67
IL CIELO GUADAGNATO

Il giorno del Giudizio Universale Dio giudica


tutti gli uomini e ciascuno di loro.
Quando chiama Manuel Cruz, gli dice:
«Uomo di poca fede. Non hai creduto in me.
Per questo non entrerai in Paradiso».
«Oh, Signore,» risponde Cruz «è vero che la
mia fede non è stata molta. Non ho mai creduto
in Te, ma ti ho sempre immaginato».
Dopo averlo ascoltato, Dio risponde:
«Bene, figliolo, entrerai in cielo, ma non avrai
mai la certezza di trovarti lì».
 
Gabriel Cristián
Taboada
(Buenos Aires,
1972)
68
IL TORMENTO MAGGIORE

I demoni mi hanno raccontato che c’è un


inferno per i sentimentali e i pedanti. Lì sono
abbandonati in un palazzo interminabile, più
vuoto che pieno, e senza finestre. I dannati lo
percorrono come se cercassero qualcosa e
presto, si sa, cominciano a dire che il tormento
maggiore sta nell’essere privati della visione di
Dio, che il dolore morale è più acuto di quello
fisico, eccetera. Allora i demoni li scaraventano
nel mare di fuoco, dal quale nessuno li tirerà mai
fuori.
 
Il falso
Swedenborg,
Ensueños (1873)
69
TEOLOGIA

Come sapete, ho viaggiato molto. Questo mi ha


permesso di confermare l’idea che il viaggio sia
sempre più o meno illusorio, che non ci sia niente
di nuovo sotto il sole, che ogni cosa sia singolare
e comune al tempo stesso, eccetera, ma anche,
paradossalmente, che sia infondata la sfiducia di
imbattersi in sorprese e in novità: in realtà il
mondo è inesauribile. A conferma di quanto dico
basterà ch’io ricordi la singolare credenza di cui
venni a conoscenza in Asia Minore, fra un popolo
di pastori, che si coprono con pelli di pecora e
sono gli eredi dell’antico regno dei Magi. Quella
gente crede nel sogno: «Quando ti addormenti,»
mi spiegarono «a seconda delle azioni compiute
durante la giornata, vai in cielo o all’inferno». Se
qualcuno obiettasse: «Non ho mai visto
andarsene uomini addormentati; a quanto mi
consta, restano coricati finché qualcuno non li
sveglia», risponderebbero: «Il desiderio di non
credere in niente ti porta a scordarti delle tue
notti (chi non ha esperienza di sogni piacevoli e
di sogni spaventosi?) e a confondere il sogno con
la morte. Ciascuno è testimone che c’è un’altra
vita per il sognatore; per i morti la testimonianza
è un’altra: restano lì, e diventano polvere».
 
H. Garro, Tout lou
Mond,
Oloron-Saint-Marie
(1918)
70
LA CALAMITA

Parlavamo di libero arbitrio; Oscar Wilde


improvvisò questa parabola:
C’era una volta una calamita e nei paraggi
vivevano delle limature di ferro. Un giorno due
limature ebbero l’improvvisa idea di far visita
alla calamita e cominciarono a parlare di quanto
sarebbe stata piacevole quella visita. Altre
limature vicine sorpresero la conversazione e
furono pervase dal medesimo desiderio. Se ne
aggiunsero altre ancora e alla fine tutte le
limature cominciarono a discutere
dell’argomento e a poco a poco il vago desiderio
si trasformò in impulso. «Perché non andare
oggi?» dissero alcune, ma altre ritennero che
sarebbe stato meglio aspettare il giorno dopo.
Intanto, senza accorgersene, si erano avvicinate
alla calamita, che se ne stava indifferente, come
se non si accorgesse di nulla. Così, continuarono
a discutere avvicinandosi sempre più, e più
parlavano più forte era l’impulso, finché le più
impazienti dissero che ci sarebbero andate quel
giorno stesso, qualunque cosa avessero deciso le
altre. Si sentirono alcune dire che era loro
dovere andare a far visita alla calamita, e che
avrebbero dovuto farlo già da tempo. Parlando
parlando, senza rendersene conto, continuavano
ad avvicinarsi.
Alla fine prevalsero le impazienti e, in un
impulso irresistibile, l’intera comunità gridò:
«È inutile aspettare. Ci andremo oggi. Ci
andremo adesso. Ci andremo immediatamente».
La massa unanime si precipitò e rimase attaccata
su tutti i lati della calamita. La calamita sorrise,
perché le limature di ferro erano convinte che la
loro visita fosse volontaria.
 
Hesketh Pearson,
The Life of Oscar
Wilde
(1946), cap. XIII
71
LA RAZZA INESTINGUIBILE

In quella città tutto era perfetto e piccolo: le


case, i mobili, gli strumenti di lavoro, i negozi, i
giardini. Cercai di capire quale razza così evoluta
di pigmei l’abitasse. Un bambino con due
profonde occhiaie mi riferì quanto segue:
«Siamo noi che lavoriamo: i nostri genitori, un
po’ per egoismo, un po’ per farci contenti, hanno
instaurato questo modo di vivere economico e
gradevole. Mentre loro se ne stanno seduti a
casa, giocando a carte, suonando, leggendo o
chiacchierando, amando, odiando (perché sono
passionali), noi giochiamo a costruire, pulire,
fare lavori di falegnameria, mietere, vendere. I
nostri attrezzi sono proporzionati alle nostre
dimensioni. Eseguiamo i compiti quotidiani con
sorprendente facilità. Devo confessare che
all’inizio alcuni animali, specie quelli
ammaestrati, non ci rispettavano perché
sapevano che eravamo bambini. Ma a poco a
poco, con qualche trucco, siamo riusciti a farci
rispettare. I lavori che facciamo non sono
difficili, sono faticosi. A volte sudiamo come
cavalli lanciati in una corsa. A volte ci gettiamo a
terra e non abbiamo più voglia di giocare
(mangiamo erba o piccole zolle di terra, o ci
accontentiamo di leccare le mattonelle), ma
questo capriccio dura poco: “quanto un
temporale d’estate”, come dice mia cugina. È
chiaro che per i nostri genitori non ci sono
soltanto vantaggi. Anche per loro c’è qualche
inconveniente; per esempio, devono entrare in
casa chinandosi, quasi in ginocchio perché le
porte e le camere sono minuscole. La parola
“minuscolo” è sempre sulle loro labbra. La
quantità di cibo che ricevono, a quanto dicono le
mie zie, che sono golose, è ridottissima. Le
brocche e i bicchieri per l’acqua non li
soddisfano e forse questo spiega perché
ultimamente ci siano stati tanti furti di secchi e
roba del genere. I vestiti vanno stretti, perché le
nostre macchine non possono né potranno mai
farli di misure così grandi. La maggior parte di
loro, che non dispone di più letti, dorme
rannicchiata. Di notte tremano di freddo se non
si coprono con una enormità di coperte che,
come dice il mio povero padre, sembrano
piuttosto fazzoletti. Attualmente molti protestano
per le torte nuziali, che per discrezione nessuno
assaggia, per le parrucche, che non coprono
nemmeno la calvizie più modesta, per le gabbie,
nelle quali riescono a entrare solo i colibrì
imbalsamati. Penso che sia per dimostrare la sua
ostilità, che questa gente non partecipa quasi
mai alle nostre cerimonie né ai nostri spettacoli
teatrali o cinematografici. Devo ammettere che
non ci stanno nelle poltrone e che l’idea di
sedersi per terra in un luogo pubblico li fa
inorridire. Tuttavia, alcune persone di scarsa
statura e senza scrupoli (ce ne sono sempre di
più), occupano i nostri posti senza che ce ne
accorgiamo. Ci fidiamo, ma non siamo distratti.
Abbiamo impiegato molto a scoprire gli
impostori. Le persone grandi, quando sono
piccole, molto piccole, assomigliano a noi, si
intende, quando siamo stanchi: hanno rughe in
faccia, borse sotto gli occhi, parlano in modo
confuso, mescolando varie lingue. Un giorno mi
hanno scambiato per una di queste creature; non
amo ricordarlo. Adesso riusciamo a scoprire più
facilmente gli impostori. Stiamo in guardia, per
cacciarli dalla nostra cerchia. Siamo felici. Credo
che siamo felici.
«Certo, alcuni pensieri ci angosciano: corre
voce che, per colpa nostra, le persone non
raggiungano, da adulte, le misure normali, cioè,
le misure enormi che le caratterizzano. Alcuni
hanno la statura di un bambino di dieci anni,
altri, più fortunati, quella di un bambino di sette.
Vogliono essere bambini ma non sanno che non è
questione di mancanza di centimetri. Noi, invece,
stando alle statistiche, diminuiamo di statura
senza debilitarci, senza smettere di essere quello
che siamo, senza pretendere di ingannare
nessuno.
«Il che ci fa piacere, ma ci inquieta anche. Mio
fratello mi ha già detto che i suoi arnesi da
falegname gli pesano. Un’amica mi ha detto che
l’ago da ricamo le sembra grande quanto una
spada. Io stesso trovo una certa difficoltà nel
maneggiare l’ascia.
«A preoccuparci non è tanto il rischio che i
nostri genitori occupino il posto che ci hanno
concesso, cosa che non permetteremo mai,
giacché piuttosto che consegnargliele
romperemo le nostre macchine, distruggeremo le
centrali elettriche e gli impianti idrici; a
preoccuparci è la posterità, il futuro della razza.
«Per quanto, alcuni di noi affermano che più ci
rimpiccioliamo, nel corso del tempo, più intima e
umana diventa la nostra visione del mondo».
 
Silvina Ocampo
72
IL GESTO DELLA MORTE

Un giovane giardiniere persiano dice al suo


principe:
«Salvami! Stamattina ho incontrato la Morte.
Mi ha fatto un gesto di minaccia. Vorrei essere
per miracolo a Ispahan, stasera».
Il buon principe gli presta i suoi cavalli. Nel
pomeriggio, il principe incontra la Morte e le
chiede:
«Perché stamattina hai fatto un gesto di
minaccia al nostro giardiniere?».
«Non era un gesto di minaccia,» risponde la
Morte «ma un gesto di sorpresa. Perché lo
vedevo lontano da Ispahan stamattina e devo
prenderlo a Ispahan stasera».
 
Jean Cocteau, Le Grand Écart
73
FEDE, POCA FEDE E NESSUNA FEDE

In tempi lontani tre uomini partirono in


pellegrinaggio; uno era un sacerdote, un altro
una persona virtuosa e il terzo un vagabondo con
la sua ascia.
Lungo il cammino, il sacerdote parlò dei
fondamenti della fede.
«Vediamo le prove della nostra religione nelle
opere della natura» disse, e si batté il petto.
«Proprio così» disse la persona virtuosa.
«Il pavone ha una voce aspra,» disse il
sacerdote «come i nostri libri hanno sempre
testimoniato. Quanto è incoraggiante!» esclamò
come se piangesse. «Quanto è edificante!».
«Non ho bisogno di prove del genere» disse la
persona virtuosa.
«Dunque la sua fede non è razionale» disse il
sacerdote.
«Grande è la giustizia e vincerà» gridò la
persona virtuosa. «C’è lealtà nel mio cuore; siate
certi che c’è lealtà nella mente di Odino».
«Questi sono giochi di parole» replicò il
sacerdote. «In confronto al pavone, un sacco di
queste inezie sono nulla».
In quel momento passavano davanti a una
fattoria, e c’era un pavone appollaiato sul
recinto; l’uccello cantò e la sua voce era come
quella di un usignolo.
«E adesso cosa mi dice?» chiese la persona
virtuosa. «Eppure non mi tocca. Grande è la
verità e vincerà».
«Che il demonio si porti quel pavone» disse il
sacerdote, e per un paio di miglia camminò a
testa bassa.
Poi giunsero a un santuario, dove un fachiro
faceva miracoli.
«Ah,» disse il sacerdote «ecco i veri fondamenti
della fede. Il pavone era solo un ammennicolo.
Questa è la base della nostra religione».
E si batté il petto e gemette come se soffrisse
di coliche.
«Per me» disse la persona virtuosa «tutto
questo è insignificante quanto il pavone. Io credo
perché so che la giustizia è grande e vincerà.
Questo fachiro potrebbe continuare con i suoi
trucchi fino al giorno del Giudizio ma non mi
incanterebbe».
Udendo queste parole, il fachiro si adirò tanto
che gli tremò la mano e, nel bel mezzo di un
miracolo, gli caddero le carte dalla manica. «E
adesso cosa mi dice?» chiese la persona virtuosa.
«Eppure non mi tocca».
«Che il diavolo si porti quel fachiro» esclamò il
sacerdote. «Non vedo davvero a cosa serva
continuare questo pellegrinaggio».
«Coraggio!» esclamò la persona virtuosa.
«Grande è la giustizia e vincerà».
«Se lei è convinto che vincerà…» disse il
sacerdote.
«Le do la mia parola» disse la persona virtuosa.
Allora il sacerdote proseguì con migliore stato
d’animo.
Infine giunse uno di corsa e disse loro che tutto
era perduto; i poteri delle tenebre assediavano le
Dimore Celesti e Odino sarebbe morto e il male
avrebbe trionfato.
«Sono stato volgarmente ingannato» esclamò
la persona virtuosa.
«Ora tutto è perduto» disse il sacerdote.
«Saremo ancora in tempo per patteggiare col
diavolo?» disse la persona virtuosa.
«Speriamo» disse il sacerdote. «Comunque
proviamoci. Ma cosa sta facendo con la sua
ascia?» chiese al vagabondo.
«Morirò con Odino» rispose il vagabondo.
 
R.L. Stevenson,
Fables (1896)
74
IL MIRACOLO

Uno yogi voleva attraversare un fiume ma non


aveva il penny per pagare il traghetto, così
attraversò il fiume camminando sulle acque. Un
altro yogi, al quale avevano riferito il fatto, disse
che il miracolo non valeva più del penny del
traghetto.
 
W. Somerset
Maugham,
A Writer’s
Notebook (1949)
75
DUE COETERNI

Come è fama, Dio Padre non è precedente a


Dio Figlio.
Creato il Figlio, il Padre gli chiese:
«Sai come ho fatto per crearti?».
Il Figlio rispose:
«Mi hai imitato».
 
Johannes
Cambrencis,
Animadversiones
(Lichfield, 1709)
76
ENTRATA E USCITA

Si accingeva a dire: «Vengo da parte di Tal dei


Tali», ma vide un’espressione così poco
amichevole che, prima d’essere seduto, si rialzò,
si mise il cappello e disse, ormai di spalle:
«Me ne vado da parte di Tal dei Tali».
 
Jules Renard, Journal
77
TRIONFO SOCIALE

Il domestico mi porse soprabito e cappello e,


come in un alone d’intimo compiacimento, uscii
nella notte.
«Una deliziosa serata,» pensai «gente davvero
gradevole. Ciò che ho detto sulla finanza e la
filosofia li ha colpiti; e come hanno riso quando
ho imitato il grugnito del maiale». Ma, poco
dopo: «Dio mio, è orribile» mormorai. «Vorrei
esser morto».
 
Logan Pearsall
Smith,
Trivia (1918)
78
IL TRENO

Il treno era quello di ogni giorno all’imbrunire,


ma procedeva lento, come se fosse sensibile al
paesaggio.
Stavo andando a comprare qualcosa per conto
di mia madre. Era dolce il momento, come se il
girare delle ruote fosse una carezza sui lisci
binari. Salii, e cominciai a cercare di afferrare il
ricordo più antico, il primo della mia vita. Il treno
andava così piano che ritrovai nella memoria un
odore materno: latte scaldato, alcol acceso.
Questo fino alla prima fermata, Haedo. Poi
ricordai i giochi dell’infanzia e mi avvicinavo già
all’adolescenza quando Ramos Mejía mi offrì una
strada ombrosa e romantica, con la sua
ragazzina pronta a fidanzarsi. Lì mi sposai, dopo
aver visitato e conosciuto i suoi genitori e il
patio, quasi andaluso. Stavamo uscendo dalla
chiesa, quando sentii la campanella; il treno
proseguiva. Mi congedai e poiché sono molto
agile lo raggiunsi. Arrivai a Ciudadela, dove i
miei sforzi volevano scavare un passato forse
impossibile da resuscitare nel ricordo.
Il capostazione, un mio amico, venne a dirmi
che mi aspettassi buone notizie giacché mia
moglie le preannunciava in un telegramma.
Stavo lottando per ritrovare un terrore infantile
(poiché ne ebbi) anteriore al ricordo del latte
scaldato e dell’alcol. Intanto arrivammo a
Liniers. Lì, durante la sosta così lunga che
attualmente ci offrono le Ferrovie Occidentali,
poté raggiungermi mia moglie, che aveva con sé
i gemelli vestiti alla buona. Scendemmo e in uno
degli sfavillanti negozi di Liniers li rifornimmo di
abiti standard ma eleganti, di buone cartelle per
la scuola e di libri. Poi raggiungemmo il nostro
stesso treno, rimasto a lungo fermo per aspettare
che un altro scaricasse latte. Mia moglie restò a
Liniers; io, in treno, mi compiacevo nel vedere i
miei figli così floridi e robusti, che parlavano di
calcio e facevano quelle battute che la gioventù
crede di inventare. Ma a Flores mi aspettava una
cosa inconcepibile: una sosta per uno scontro di
vagoni e un incidente al passaggio a livello. Il
capostazione di Liniers, che mi conosceva,
telegrafò a quello di Flores. C’erano cattive
notizie. Mia moglie era morta, e il corteo funebre
si stava muovendo per raggiungere il treno,
fermo in quest’ultima stazione. Scesi angosciato,
senza poter informare i miei figli, che avevo
mandato avanti perché scendessero a Caballito,
dov’era la scuola.
In compagnia di alcuni parenti e intimi
seppellimmo mia moglie nel cimitero di Flores;
una semplice croce di ferro denomina e indica il
luogo della sua invisibile prigionia. Tornati in
città, ritrovammo il treno che ci aveva
accompagnato in tante felici e funeste vicende.
Alla stazione di Plaza Once mi congedai dai
parenti di mia moglie e, pensando ai miei poveri
figli orfani e a lei defunta, mi diressi come un
sonnambulo alla Compagnia di assicurazioni
dove lavoravo. Non trovai il posto.
Chiesi agli anziani della zona e seppi che la
sede della Compagnia era stata demolita da
tempo. Al suo posto sorgeva un edificio di
venticinque piani. Mi dissero che era un
Ministero nel quale tutto era insicurezza, dagli
impieghi ai decreti. Entrai in un ascensore e
giunto al venticinquesimo piano, fuori di me,
cercai una finestra e mi buttai di sotto. Finii nel
fogliame di un albero dalla chioma rigogliosa,
con foglie e rami come di fico lanoso. La mia
carne, che stava per sfracellarsi, si disperse in
ricordi. Lo stormo di ricordi, insieme al mio
corpo, arrivò da mia madre. «Ti sei scordato la
commissione che ti avevo chiesto» disse mia
madre facendo un comico gesto minaccioso. «Hai
proprio un cervello di gallina!».
 
Santiago Dabove (1946)
79
PROVOCAZIONE PUNITA

Modjalaid racconta che Noè passò accanto a un


leone sdraiato e gli dette un calcio. Nel colpirlo
si fece male e per tutta la notte non riuscì a
dormire.
«Dio mio,» esclamò «il tuo cane mi ha fatto
male».
Dio gli inviò questa rivelazione: «Dio biasima
l’ingiustizia e sei stato tu a cominciare».
 
Ah’mad al-Qalyūbī,
Kitāb al-Nawādir
80
RACCONTO

Il re ordinò che Xios («Ti condanno a morire,


ma a morire come Xios e non come Colui che
sei») fosse condotto in un paese del tutto diverso.
Cambiato il suo nome, mutilate ad arte le sue
fattezze. Gli abitanti del paese obbligati a
creargli un passato, una famiglia, talenti molto
diversi dai suoi.
Se ricordava qualcosa della sua vita anteriore,
lo contraddicevano, gli davano del pazzo,
eccetera…
Gli avevano preparato una famiglia, moglie e
figli che si spacciavano per suoi.
Insomma, tutto gli diceva che era colui che non
era.
 
Paul Valéry,
Histoires brisées
(1950)
81
«PRESTIGIEUX, SANS DOUTE»

Il mascherato saliva la scala. I suoi passi


risuonavano nella notte: tic, tac, tic, tac.
 
Aguirre Acevedo,
Fantasmagorías
(1927)
82
L’UBIQUO

Partito dalla città di Śrāvastī, il Buddha dovette


attraversare una vasta pianura. Dai loro diversi
cieli, gli dèi gli lanciarono ombrellini per
proteggerlo dal sole. Per non essere sgarbato
verso i suoi benefattori, il Buddha cortesemente
si moltiplicò e ogni singolo dio vide un Buddha
camminare con il suo ombrellino.
 
M. Winternitz,
Indische Literatur
(1920)
83
L’UBIQUO

Una tradizione raccolta da sir William Jones


vuole che un dio dell’Indostan, afflitto dal
celibato, chiedesse a un altro dio di cedergli una
delle sue 14.516 mogli. Il marito acconsentì con
queste parole:
«Prenditi quella che trovi libera».
Il bisognoso perlustrò i 14.516 palazzi; in
ciascuno di essi la signora giaceva col signore.
Questi si era sdoppiato 14.516 volte, e ogni
moglie credeva di essere l’unica a godere dei
suoi favori.
 
Simao Pereyra, S.J.,
Cuarenta años en
el lecho del Ganges
(Goa, 1887)
84
LA DISTRAZIONE

Si narra:
Rabbi Elimelech stava cenando con i suoi
discepoli. Il servo gli portò un piatto di minestra.
Il Rabbi lo rovesciò e la minestra si sparse sulla
tavola. Il giovane Mendel, futuro Rabbi di
Rymanow, esclamò:
«Rabbi, cosa hai fatto? Ci manderanno tutti in
prigione».
Gli altri discepoli sorrisero e avrebbero anche
riso apertamente se la presenza del maestro non
li avesse trattenuti. Questi però non sorrise. Fece
un cenno affermativo col capo e disse a Mendel:
«Non temere, figlio mio».
Tempo dopo si venne a sapere che proprio in
quel giorno un editto contro gli ebrei dell’intero
paese era stato presentato all’imperatore, perché
lo firmasse. Più volte l’imperatore aveva preso la
penna, ma ogni volta qualcosa lo aveva
interrotto. Finalmente firmò. Allungò la mano
verso il polverino ma prese per sbaglio il
calamaio e lo rovesciò sul foglio. Allora lo
strappò e proibì che glielo portassero una
seconda volta.
 
Martin Buber
85
LA SETTA DEL LOTO BIANCO

C’era una volta un uomo che apparteneva alla


setta del Loto Bianco. Molti, desiderosi di
padroneggiare le arti tenebrose, lo
consideravano un maestro.
Un giorno il mago decise di partire. Allora mise
sulla porta una ciotola coperta da un’altra ciotola
e ordinò ai discepoli di custodirla. Disse loro di
non scoperchiarla e di non guardare cosa
conteneva.
Appena si fu allontanato, i discepoli sollevarono
il coperchio e videro che nella ciotola c’era acqua
pura e nell’acqua una barchetta di paglia, con
vele e alberatura. Stupiti, la spinsero col dito. La
barchetta si rovesciò. Subito la raddrizzarono e
coprirono di nuovo la ciotola.
Il mago ricomparve all’istante e disse:
«Perché mi avete disobbedito?».
I discepoli si alzarono e negarono.
Il mago affermò:
«La mia barca si è capovolta ai confini del Mar
Giallo. Come osate ingannarmi?».
Una sera accese in un angolo del cortile una
piccola candela. Ordinò ai discepoli di difenderla
dal vento. Era trascorsa la seconda notte di
veglia e il mago non aveva fatto ritorno. Stanchi
e assonnati, i discepoli si sdraiarono e si
addormentarono. La mattina dopo la candela era
spenta. La riaccesero.
Il mago ricomparve all’istante e disse:
«Perché mi avete disobbedito?».
I discepoli negarono:
«Davvero, non abbiamo dormito. Come poteva
spegnersi la fiamma?».
Il mago disse:
«Per quindici leghe ho vagato nell’oscurità dei
deserti tibetani e ora volete ingannarmi». Questo
intimorì i discepoli.
 
Richard Wilhelm,
Chinesische
Volksmärchen
(1924)
86
LA PROTEZIONE PER MEZZO DEL LIBRO

Il letterato Wu, di Ch’iang Ling, aveva insultato


il mago Chang Ch’i Shen. Certo che questi si
sarebbe vendicato, Wu trascorse la notte sveglio,
leggendo, alla luce della lampada, il sacro Libro
dei mutamenti. All’improvviso si sentì un colpo di
vento che avvolgeva tutta la casa, e sulla porta
apparve un guerriero che lo minacciò con la
lancia. Wu lo abbatté con il libro. Quando si
chinò per osservarlo, vide che era solo una figura
ritagliata nella carta. La conservò tra le pagine
del libro. Poco dopo entrarono due piccoli spiriti
maligni dalla faccia nera che brandivano asce.
Anche questi, una volta che Wu li ebbe abbattuti
col libro, risultarono essere figure di carta. Wu le
conservò come aveva fatto con la precedente. A
mezzanotte una donna bussò alla porta, fra
lacrime e lamenti.
«Sono la moglie di Chang» disse. «Mio marito e
i miei figli sono venuti ad attaccarla e lei li ha
rinchiusi nel suo libro. La supplico di rimetterli in
libertà».
«Né i suoi figli né suo marito sono nel mio
libro» rispose Wu. «Ho solo queste figure di
carta».
«In quelle figure ci sono le loro anime» disse la
donna. «Se entro l’alba non saranno tornate, i
loro corpi, che ora giacciono in casa, non
potranno rivivere».
«Maledetti maghi!» gridò Wu. «Che grazia
possono sperare? Non penso di metterli in
libertà. Per compassione le restituirò uno dei
suoi figli, ma non chieda di più».
Le dette una delle figure dalla faccia nera.
Il giorno successivo seppe che il mago e il figlio
maggiore erano morti quella notte.
 
G. Willoughby-
Meade,
Chinese Ghouls
and Goblins
(1928)
87
L’INCONTRO

Educati per odiare e distruggere Roma, i


fratelli Annibale e Asdrubale invasero l’Italia,
uno dal Sud e l’altro dal Nord. Per undici anni
non si incontrarono; il loro piano era rivedersi a
Roma il giorno della vittoria. Ma il console
Nerone sgominò Asdrubale sulle sponde del
Metauro. Ordinò che gli fosse tagliata la testa e
la fece scagliare nell’accampamento di Annibale.
Così Annibale seppe che Asdrubale era stato
sconfitto.
 
Louis Prolat,
La Tarif de
Marseille
(1869)
88
L’ACQUA DELL’ISOLA

Innanzitutto ci rifiutammo di berla,


supponendola contaminata. Non so come dare
un’idea precisa della sua natura, né posso farlo
senza usare molte parole. Sebbene scorresse
rapida per vari dislivelli, non appariva mai
limpida, a meno che non precipitasse in cascata.
Se il pendio era lieve, aveva la consistenza di una
densa soluzione di gomma arabica in acqua
comune. Questa, tuttavia, era la meno singolare
delle sue caratteristiche. Non era incolore, né
sempre dello stesso colore, perché scorrendo
offriva agli occhi tutte le sfumature della
porpora, come le tonalità di una seta cangiante.
La lasciammo riposare in un recipiente e
constatammo che l’intera massa del liquido era
separata in vene distinte, ciascuna di una
tonalità particolare, e che le vene non si
mescolavano. Se si faceva passare la lama di un
coltello attraverso una delle vene, l’acqua si
richiudeva subito, e una volta tolta la lama non
restava alcuna traccia. Al contrario, se la lama
veniva inserita con precisione tra una vena e
l’altra, si produceva una separazione perfetta
che non si ricomponeva subito.
 
Edgar Allan Poe,
The Narrative of A.
Gordon Pym
(1838)
89
PARADOSSO DI TRISTRAM SHANDY

Tristram Shandy, com’è noto, impiegò due anni


per raccontare i primi due giorni della sua vita e
lamentò che, di quel passo, il materiale si
sarebbe irrimediabilmente accumulato e che,
anno dopo anno, egli si sarebbe allontanato
sempre di più dalla conclusione della sua storia.
Io sostengo che se avesse vissuto in eterno e non
si fosse distolto dal lavoro, nessuna fase della sua
biografia sarebbe rimasta inedita. Avrebbe
narrato il centesimo giorno nel centesimo anno,
il millesimo giorno nel millesimo anno, e così di
seguito. Ogni giorno, prima o poi, sarebbe stato
narrato. Questa affermazione paradossale, ma
vera, si basa sul fatto che il numero dei giorni
dell’eternità non è maggiore del numero degli
anni.
 
Bertrand Russell,
Mysticism and
Logic (1917)
90
DEL RIGORE NELLA SCIENZA

… In quell’Impero, l’Arte della Cartografia


raggiunse tale Perfezione che la mappa di una
sola Provincia occupava un’intera Città, e la
mappa dell’Impero un’intera Provincia. Col
tempo, queste Mappe Smisurate non
soddisfecero più e i Collegi dei Cartografi
crearono una Mappa dell’Impero che aveva la
grandezza stessa dell’Impero e con esso
coincideva esattamente. Meno Dedite allo Studio
della Cartografia, le Generazioni Successive
capirono che quella immensa Mappa era Inutile e
non senza Empietà l’abbandonarono alle
Inclemenze del Sole e degli Inverni. Nei deserti
dell’Ovest restano ancora lacere Rovine della
Mappa, abitate da Animali e Mendicanti;
nell’intero Paese non vi sono altre reliquie delle
Discipline Geografiche.
 
Suárez Miranda,
Viajes de varones
prudentes,
libro IV, cap. XIV
(Lérida, 1658)
91
LO STUDIOSO

Fin dall’età di sei anni ho sentito l’impulso di


disegnare le forme delle cose. A circa cinquanta,
ho esposto una collezione di disegni; ma niente
di ciò che ho raffigurato prima dei settant’anni
mi soddisfa. Solo a settantatré anni son riuscito a
intuire, pur se approssimativamente, la vera
forma e natura degli uccelli, dei pesci e delle
piante. Perciò, a ottant’anni avrò fatto grandi
progressi; a novanta avrò penetrato l’essenza di
tutte le cose; a cento, sarò sicuramente asceso a
uno stato più alto, indescrivibile, e se arriverò a
centodieci anni tutto, ogni punto e ogni linea,
avrà vita. Invito quelli che vivranno quanto me a
verificare se mantengo queste promesse. Scritto
all’età di settantacinque anni da me, un tempo
chiamato Hokusai, e oggi Huakivo-Royi, il
vecchio impazzito per il disegno.3
 
Adler e Revon,
Japanische
Literatur
92
VICISSITUDINI DEL CONFORTO

Dev’essere accaduto millesettecento anni


prima del periodo classico, nel regno di Xia, che
si estendeva fino all’ansa del fiume Giallo. Il
popolo era orgoglioso della sua religione; si era
liberato della credenza, che giudicava rozza, nei
serpenti di mare, nei leoni, negli dèi, negli
stregoni, nel malocchio e non era caduto in un
incredulo materialismo. Avevano conservato un
unico articolo di fede; ma in merito a questo,
nessuno aveva dubbi. Nessuno dubitava che oltre
alla propria testa ogni uomo disponesse anche di
una congetturale; cioè (chi non lo sa?) di una
testa congetturale; e che oltre al proprio busto
disponesse di un busto congetturale, e così via
per le braccia, le gambe e altre parti del corpo,
per piccole che fossero. Di questo nessuno dubitò
finché non spuntò un eretico, che le cronache
portoghesi registrano come il letterato con una
sola faccia e le fonti gesuitiche come il letterato
senza faccia. Nella sua predicazione quest’uomo
incontrò difficoltà e ostacoli. Quando cercava di
spiegare che nessuno sciancato, approfittando
della gamba congetturale, faceva a meno delle
stampelle, gli rispondevano che tali casi di scarsa
fede erano, disgraziatamente, frequenti, ma che
non provavano alcunché contro la vera religione.
E in ogni caso, argomentavano con un leggero
cambio di tono, perché mai uno dovrebbe
privarsi di una credenza così poco onerosa e che
nei momenti tristi, che non mancano mai, può
confortarci e consolarci?
 
T.M. Chang,
A Grove of Leisure
(Shanghai, 1882)
93
LA VERITÀ SU SANCIO PANZA

Sancio Panza – che peraltro non se ne è mai


vantato – durante le ore del crepuscolo e della
notte, nel corso degli anni e con l’aiuto di una
quantità di romanzi picareschi e di cavalleria,
riuscì ad allontanare a tal punto da sé il suo
demone – cui diede in seguito il nome di don
Chisciotte – che questi, privo di controllo, compì
le gesta più stravaganti. Tali gesta, tuttavia, in
mancanza di un oggetto predestinato, che
sarebbe dovuto essere per l’appunto Sancio
Panza, non fecero danno a nessuno. Sancio
Panza, da uomo libero, animato forse da un senso
di responsabilità, accompagnò don Chisciotte
nelle sue avventure, e ne ricavò, fino alla fine dei
suoi giorni, un grande e utile divertimento.
 
Franz Kafka
94
UN DOPPIO DI MAOMETTO

Poiché nella mente dei musulmani le idee di


Maometto e di religione sono indissolubilmente
unite, il Signore ha ordinato che in Cielo essi
siano sempre guidati da uno spirito che
impersona Maometto. Questo delegato non è
sempre lo stesso. Una volta ricoprì tale incarico
un cittadino della Sassonia, che in vita era stato
fatto prigioniero dagli algerini e si era convertito
all’Islam. Essendo stato cristiano, parlò loro di
Gesù dicendo che non era il figlio di Giuseppe,
ma il figlio di Dio. Fu opportuno sostituirlo. La
condizione di questo Maometto rappresentativo è
segnalata da una torcia, visibile solo ai
musulmani.
Il vero Maometto, che redasse il Corano, non è
più visibile ai suoi adepti. Mi hanno detto che in
principio li guidava, ma che poi volle dominarli e
venne esiliato nel Sud. Una comunità di
musulmani fu istigata dai demoni a riconoscere
Maometto come Dio. Per sedare i disordini,
Maometto venne tirato fuori dall’inferno ed
esibito. Fu in quell’occasione che lo vidi.
Assomigliava agli spiriti corporei che non hanno
percezione interiore, e aveva la faccia molto
scura. Riuscì ad articolare le parole: «Sono il
vostro Maometto» e subito sprofondò.
 
Emanuel
Swedenborg,
Vera Christiana
Religio (1771)
95
LA SALVEZZA

Questa è una storia di tempi e regni trascorsi.


Lo scultore passeggiava insieme al tiranno nei
giardini del palazzo. Dopo il labirinto per gli
stranieri illustri, in fondo al viale dei filosofi
decapitati, lo scultore presentò la sua ultima
opera: una naiade che era una fontana. Mentre
abbondava in spiegazioni tecniche e godeva
dell’ebbrezza del trionfo, l’artista notò sul bel
volto del suo protettore un’ombra minacciosa. Ne
capì la causa. «Com’è possibile che un essere
così infimo» stava certamente pensando il
tiranno «sia capace di ciò di cui io, pastore di
popoli, sono incapace?». In quel momento un
uccello che beveva alla fontana si levò in volo
allegramente, e allo scultore venne l’idea che lo
avrebbe salvato. «Per quanto umili siano,» disse
indicando l’uccello «bisogna riconoscere che
volano meglio di noi».
 
Adolfo Bioy Casares
96
NELL’INSONNIA

L’uomo va a letto presto. Non riesce a prender


sonno. Si rigira, com’è naturale, nel letto. Si
aggroviglia nelle lenzuola. Accende una
sigaretta. Legge un po’. Spegne di nuovo la luce.
Ma non riesce a dormire. Alle tre del mattino si
alza. Sveglia l’amico accanto e gli dice che non
riesce a dormire. Gli chiede consiglio. L’amico gli
suggerisce di fare quattro passi per stancarsi un
po’, di bersi una tazza di tiglio e di spegnere la
luce. Fa tutto questo, ma non riesce a dormire. Si
alza di nuovo. Questa volta ricorre al medico.
Come di solito avviene, il medico parla molto ma
l’uomo non si addormenta. Alle sei del mattino
carica una pistola e si fa saltare le cervella.
L’uomo è morto, ma non è riuscito ad
addormentarsi. L’insonnia è una cosa molto
persistente.
 
Virgilio Piñera (1946)
97
DISTRARSI

Per spaventare la selvaggina, un cacciatore


diede fuoco a un bosco. All’improvviso vide un
uomo venir fuori da una roccia.
L’uomo attraversò tranquillamente il fuoco. Il
cacciatore lo rincorse.
«Mi dica, come fa a passare attraverso la
roccia?».
«La roccia? Cosa intende dire?».
«L’ho vista anche passare attraverso il fuoco».
«Fuoco? Cosa significa fuoco?».
Quel perfetto taoista, completamente estasiato,
non percepiva differenze tra le cose.
 
Henri Michaux,
Un barbare en Asie
98
L’INDIFFERENTE

… come l’andaluso al quale domandavano se


fosse Gómez o Martínez, e rispondeva: «Fa lo
stesso; il problema è ingannare il tempo».
 
Pío Baroja,
Memorias, I (1952)
99
LA TENTAZIONE

Prima di essere libraio, lo sceicco Ah’mad non


aveva altra occupazione che partecipare alle
cerimonie religiose chiamate zikrs, che
consistono nella ripetizione corale dei nomi e
degli attributi di Dio. A quel tempo apparteneva
all’ordine dei dervisci sadiyeh, famosi per
divorare serpenti vivi, e pare che sia stato un
divoratore di serpenti, ma che non si limitasse a
squisitezze di così facile digestione. Una notte,
durante una riunione di dervisci di quell’ordine,
alla presenza del suo sceicco, Ah’mad fu colto da
un delirio religioso, prese il paralume di vetro
che schermava un candelabro posato al suolo e
ne mangiò un pezzo considerevole. Lo sceicco e
gli altri dervisci, guardandolo sorpresi, lo
rimproverarono di aver infranto le regole
dell’ordine, giacché mangiare vetro non era tra i
miracoli loro permessi, e lo espulsero all’istante.
Entrò allora nell’ordine degli ahmediyeh e dato
che nemmeno questi mangiavano vetro, decise di
non farlo più. Tuttavia, di lì a poco, durante una
riunione, fu colto nuovamente da un delirio e
precipitatosi sul lampadario, prese uno dei
lumini di vetro e ne mangiò una metà, ingoiando
anche l’olio e l’acqua che conteneva. Lo
condussero al cospetto dello sceicco perché
questi lo giudicasse ma, poiché giurò che non
avrebbe mai più mangiato vetro, né lo
castigarono né lo espulsero. Nonostante il
giuramento, non tardò a cedere alla tentazione e
mangiò una lampada. Un altro derviscio volle
imitarlo ma un grosso pezzo di vetro gli rimase
incastrato tra il palato e la lingua, e ad Ah’mad
costò molta fatica estrarglielo.
 
Edward William
Lane,
Manners and
Customs
of the Modern
Egyptians (1836)
100
UN RETROSPETTIVO

Quando ci fu il Diluvio fecero costruire un’arca


di Noè affinché gli animali non affogassero.
 
Clemente Sosa,
Informe sobre la
conducción de
hacienda en pie en
balsas entre
Villa Constitución y
Campana
(Campana, 1913)
101
L’ACCUSATO

Si narra:
A Vienna l’imperatore emise un editto che
avrebbe peggiorato la condizione già miserabile
degli ebrei di Galizia. A quel tempo un uomo
serio e studioso di nome Feiwel viveva nella
Scuola di Rabbi Elimelech. Una notte si alzò,
entrò nella camera del Rabbi e gli disse:
«Maestro, voglio intentare una causa contro
Dio».
Mentre lo diceva le sue stesse parole lo
atterrivano.
«Bene, ma di notte la corte non tiene sedute».
Il giorno dopo giunsero a Lisensk due maestri,
Israel di Kosnitz e Jaakob Jizchak di Lublino e si
fermarono in casa di Rabbi Elimelech. Dopo
pranzo, questi chiamò l’uomo che gli aveva
parlato e gli disse:
«Esponici dunque la tua causa».
«Ora non ho la forza per farlo» balbettò Feiwel.
«Io ti do la forza» disse il Rabbi.
Feiwel cominciò a parlare:
«Perché ci tengono in schiavitù in questo
impero? Non dice forse Dio, nella Torah: “I figli
di Israele sono i miei servi”. Ci ha mandato in
terra straniera, ma deve lasciarci in libertà
perché possiamo servirlo».
Rabbi Elimelech rispose:
«Ora, come vuole la legge, il querelante e il
querelato devono lasciare il tribunale per non
condizionare i giudici. Esci dunque, Rabbi
Feiwel. A te, Signore del mondo, non possiamo
chiedere di uscire, perché la tua gloria riempie la
terra e senza la tua presenza non potremmo
vivere un solo momento. Ma non lasceremo
nemmeno, Signore, che ci condizioni».
I tre deliberarono in silenzio e con gli occhi
chiusi. All’imbrunire chiamarono Feiwel e gli
comunicarono la sentenza: la sua causa era
giusta. In quell’ora stessa l’imperatore annullò
l’editto.
 
Martin Buber
102
LO SPETTATORE

DON GIOVANNI E quel funerale che passa?


STATUA È il tuo.
DON GIOVANNI Io morto!
STATUA Ti ha ucciso il capitano
 sulla porta di casa tua.
José Zorrilla,
Don Juan Tenorio
(1844)
103
PERICOLI DELL’ECCESSO DI DEVOZIONE

Un giorno in cui Abu Nonas era in visita da un


amico, il tetto cominciò a scricchiolare.
«Cos’è?» chiese.
«Non temere, è il tetto che loda il Signore».
Non appena ebbe udite queste parole, Abu
Nonas uscì da quella casa.
«Dove vai?» gli chiese l’amico.
«Temo che il suo fervore aumenti» rispose Abu
Nonas «e che si prosterni con me dentro».
 
Nozhat el Djallas
104
FINALE PER UN RACCONTO FANTASTICO

«Che strano!» disse la ragazza, avanzando con


cautela. «Che porta pesante!».
Così dicendo la toccò e quella si chiuse di
colpo, rumorosamente.
«Dio mio!» disse l’uomo. «Mi sembra che non
abbia la maniglia all’interno. Allora, ci ha chiusi
dentro tutti e due!».
«Tutti e due no. Uno soltanto» disse la ragazza.
Passò attraverso la porta e scomparve.
 
I.A. Ireland,
Visitations (1919)
105
QUATTRO RIFLESSIONI

Leopardi irrompono nel tempio e bevono fino


all’ultima goccia i calici sacrificali: questo si
ripete molte volte; alla fine ce lo si aspetta ed
entra a far parte della cerimonia.
I corvi affermano che basterebbe un solo corvo
a distruggere i cieli. Indubbiamente è così, ma
questo non dimostra nulla contro i cieli, poiché i
cieli significano appunto impossibilità dei corvi.
I cani da caccia stanno giocando nel cortile, ma
la lepre non la scamperà, per quanto
velocemente stia già fuggendo nel bosco.
Fecero loro scegliere se essere re o messaggeri
del re. Da quei bambini che erano, tutti scelsero
di essere messaggeri. E così ora ci sono molti
messaggeri, si affannano per il mondo e, poiché
non ci sono più re, si gridano l’un l’altro i loro
insensati e antiquati messaggi. Con sollievo
porrebbero fine alle loro vite miserabili, ma non
osano, per via del giuramento prestato.
 
Franz Kafka,
Considerazioni sul
peccato,
il dolore, la
speranza e la vera
via
(1917-1919)
106
STORIA DI VOLPI

Wang vide due volpi ritte sulle zampe posteriori


e poggiate contro un albero. Una aveva un foglio
di carta in mano e ridevano come se
scherzassero tra loro.
Cercò di spaventarle, ma restarono immobili,
allora sparò contro quella che aveva il foglio. La
ferì a un occhio e le prese il foglio. Nella locanda,
narrò la sua avventura agli altri ospiti. Mentre
stava parlando entrò un signore con un occhio
ferito. Ascoltò attento il racconto di Wang e gli
chiese di mostrargli il foglio. Wang stava per
mostrarglielo, quando il locandiere notò che il
nuovo arrivato aveva la coda. «È una volpe!»
esclamò, e all’istante il signore si trasformò in
volpe e scappò.
Le volpi tentarono ripetutamente di recuperare
il foglio, che era coperto di caratteri indecifrabili,
ma non ci riuscirono. Wang decise di tornare a
casa. Lungo il cammino incontrò la sua famiglia
che si recava alla capitale. Tutti affermarono che
era stato lui a ordinare quel viaggio, e sua madre
gli mostrò la lettera con cui le chiedeva di
vendere le proprietà e raggiungerlo nella
capitale. Wang esaminò la lettera e vide che era
un foglio bianco. Anche se ormai non avevano più
un tetto sopra la testa, Wang ordinò: «Torniamo».
Un giorno spuntò un fratello minore che tutti
avevano dato per morto. Chiese delle disgrazie
della famiglia e Wang gli raccontò tutta la storia.
«Ah,» disse il fratello quando Wang arrivò alla
sua avventura con le volpi «è questa l’origine di
ogni male». Wang mostrò il documento. Suo
fratello glielo strappò di mano e lo nascose in
fretta. «Finalmente ho recuperato quello che
cercavo» esclamò e, trasformandosi in volpe, se
ne andò via.
 
Niu Chiao,
Ling kuai lu (IX
secolo)
107
NON SI SA MAI

Rædwald, re dei Sassoni dell’Est, era stato


ammesso, nel Kent, al sacramento della fede
cristiana. Tornato però nel suo regno si lasciò
sedurre dalla moglie e da certi maestri
abominevoli che lo sviarono dalla sincerità della
sua fede. E così, nello stesso tempio, eresse un
altare dedicato a Cristo e un altro, più piccolo,
sul quale offriva vittime ai demoni.4
 
Beda il Venerabile,
Storia ecclesiastica
del popolo inglese,
II, XV
108
ODINO

Si narra che alla corte di Olaf Tryggvason, che


si era convertito alla nuova fede, una notte
giunse un vecchio avvolto in un mantello scuro e
con la tesa del cappello calata sugli occhi. Il re
gli chiese cosa sapesse fare; lo straniero rispose
che sapeva suonare l’arpa e raccontare storie.
Suonò all’arpa antiche melodie, parlò di Guđrún
e di Gunnarr e alla fine narrò la nascita di Odino.
Disse che erano venute le Parche, che le prime
due avevano promesso grandi felicità e la terza
aveva detto, furiosa: «Il bambino non vivrà più a
lungo della candela che gli arde accanto». Allora
i genitori avevano spento la candela perché
Odino non morisse. Olaf Tryggvason non
credette a quella storia; lo straniero insistette
che era vera, tirò fuori la candela e l’accese.
Mentre la guardavano ardere, l’uomo disse che
era tardi e che doveva andarsene. Quando la
candela si fu consumata, lo cercarono. A pochi
passi dalla casa del re, Odino era morto.
 
Jorge Luis Borges
e Delia Ingenieros,
Antiche letterature
germaniche (1951)
109
«AUREA MEDIOCRITAS»

Malherbe non era del tutto persuaso che ci


fosse un’altra vita, e quando gli parlavano
dell’inferno o del paradiso diceva: «Ho vissuto
come gli altri, voglio morire come gli altri e
andare dove vanno gli altri».
 
Tallemant des
Réaux,
Les historiettes,
XXIV
110
IL MONDO È GRANDE E ESTRANEO

Nel capitolo XL della Vita nuova Dante


racconta che mentre percorreva le strade di
Firenze vide alcuni pellegrini e pensò con un
certo stupore che nessuno di loro aveva udito
parlare di Beatrice Portinari, che tanto lo
affliggeva.
 
B. Suárez Lynch,
Estudios dantescos
(Buenos Aires,
1891)
NOTA AL TESTO
 
 
 
OPERE CITATE DI JORGE LUIS BORGES
 
L’Aleph, a cura di T. Scarano, trad. it. di F. Tentori
Montalto, Adelphi, Milano, 1998.
Altre inquisizioni, a cura di F. Rodríguez Amaya,
trad. it. di F. Tentori Montalto, Adelphi, Milano,
2000.
L’altro, lo stesso, a cura di T. Scarano, Adelphi,
Milano, 2002.
Antología de la literatura fantástica (con S.
Ocampo e A. Bioy Casares), Sudamericana,
Buenos Aires, 1940; 2a ediz., 1965.
L’artefice, a cura di T. Scarano, Adelphi, Milano,
2016.
Autobiografía (con N. T. di Giovanni), El Ateneo,
Buenos Aires, 1999.
Biblioteca personal. Prólogos, in Obras
completas, Emecé, Buenos Aires, 1996, vol. IV.
Letterature germaniche medioevali (con M.E.
Vázquez), a cura di A. Melis, trad. it. di L.
Lorenzini, Adelphi, Milano, 2014.
Il libro degli esseri immaginari (con M.
Guerrero), a cura di T. Scarano, trad. it. di I.
Carmignani, Adelphi, Milano, 2006.
Libro del cielo e dell’inferno (con A. Bioy
Casares), a cura di T. Scarano, Adelphi, Milano,
2011.
Libro di sogni, a cura di T. Scarano, Adelphi,
Milano, 2015.
La moneta di ferro, a cura di T. Scarano, Adelphi,
Milano, 2008.
Museo. Textos inéditos (con A. Bioy Casares), a
cura di S.L. del Carril e M. Rubio de Zocchi,
Emecé, Buenos Aires, 2002.
Prologhi con un prologo ai prologhi, a cura di A.
Melis, trad. it. di L. Lorenzini, Adelphi, Milano,
2005.
Siete noches, in Obras completas, Emecé,
Buenos Aires, 1996, vol. III.
Storia universale dell’infamia, trad. it. di V.
Martinetto e A. Morino, Nota al testo di T.
Scarano, Adelphi, Milano, 2020.
Testi prigionieri, a cura di T. Scarano, trad. it. di
M. Daverio, Adelphi, Milano, 1998.
 
 
 
Quando nel 1955 l’editore Raigal di Buenos
Aires pubblicò Racconti brevi e straordinari, il
sodalizio letterario tra Borges e Bioy Casares
contava quasi due decenni di feconda attività.
Nell’autobiografia Borges ne parla
diffusamente, ricordando prima i lavori critici e
compilativi («Compilammo antologie di poesia
argentina, di racconti polizieschi e di racconti
fantastici; scrivemmo articoli e prefazioni;
annotammo opere di Sir Thomas Browne e di
Gracián; traducemmo racconti di Beerbohm,
Kipling, Wells e Lord Dunsany», Autobiografía, p.
116) e soffermandosi poi, con maggiori dettagli,
sulla «proeza» della scrittura propriamente
creativa. Da quell’impresa, all’inizio ritenuta
impossibile, nacquero, insieme a un terzo autore
che si sarebbe chiamato ora Honorio Bustos
Domecq ora B. Suárez Lynch, i racconti
polizieschi di Sei problemi per don Isidro Parodi
(1942), Dos fantasías memorables (1946), il
romanzo Un modelo para la muerte (1946), le
Crónicas de Bustos Domecq (1967) e, per ultimi,
i Nuevos cuentos de Bustos Domecq (1977).
Racconti brevi e straordinari (che nelle prime
edizioni recava l’indicazione «Antologia»)
appartiene al gruppo delle opere compilative che
Borges e Bioy Casares, in qualche caso con
l’ausilio di Silvina Ocampo, allestirono tra il 1940
e il 1960: basterà ricordare la celebre Antología
de la literatura fantástica (1940), l’Antología
poética argentina (1941), i due volumi di Los
mejores cuentos policiales (1943 e 1951) e il
Libro del cielo e dell’inferno (1960).
Se si vuole individuare il primo atto di quella
collaborazione e ricostruire la genesi dei
Racconti brevi e straordinari, bisogna risalire al
1936, anno in cui Bioy Casares fonda,
finanziandola personalmente, la rivista
«Destiempo» e la dirige insieme a Borges. Nei
tre numeri che videro la luce, i due amici
curarono (senza firmarla) una rubrica intitolata
«Museo» nella quale raccolsero una ventina di
frammenti caratterizzati da un che di curioso o
stravagante, alcuni autentici, a volte a dispetto
dell’apparenza (ad es. questo, da Moby Dick: «Si
inginocchiò, alzò al cielo gli occhi chiusi e pregò
con tanto fervore che sembrava un uomo
inginocchiato che pregava in fondo al mare»),
altri inventati e falsamente attribuiti (come
questo, imputato a Comenius: «In un campo da
tennis / giocano / con una palla / che uno lancia /
e l’altro riceve / e a sua volta rilancia / con una
racchetta: / ed è questo lo sport / dei nobiluomini
/ per stancarsi le membra», Museo. Textos
inéditos, pp. 47 e 51). Cominciarono allora, per i
due scrittori, l’interesse per le raccolte di
frammenti e il piacere di confondere
bonariamente il lettore.
Dieci anni dopo, nel 1946, la rubrica «Museo»
ricomparve tra le pagine degli «Anales de
Buenos Aires», diretti da Borges. Sotto lo
pseudonimo di B. Lynch Davis, Borges e Bioy
Casares raccolsero più di cento brani, selezionati
con spirito arguto e divertito. Venticinque di
questi entreranno a far parte dei Racconti brevi
e straordinari – quasi un terzo dell’intera
raccolta se si considera che questa si
componeva, nella prima edizione, di ottantotto
testi. Altri brani verranno prelevati dal
settimanale «El Hogar», al quale Borges aveva
collaborato dal 1936 al 1939, e dall’Antología de
la literatura fantástica.
In seguito la silloge si ampliò: si aggiunsero
cinque testi nell’edizione Rueda del 1968 e
diciassette in quella di Losada del 1973. Parte
del materiale di cui il libro era composto fu
ripresentato nel Libro del cielo e dell’inferno
(1960), nella seconda edizione dell’Antología de
la literatura fantástica (1965) e nel Libro di sogni
(1976), opera del solo Borges.
A dispetto del lungo processo di formazione e
della consistenza numerica delle ultime
integrazioni, l’antologia non perse mai il
carattere giocoso che aveva informato il
«Museo» di B. Lynch Davis, suo modello
originario. Anzi, sarà proprio nei Racconti brevi e
straordinari che Borges e Bioy Casares
praticheranno nella misura più rilevante e nelle
forme più varie il gioco scanzonato delle opere e
degli autori immaginari, delle false attribuzioni,
delle interpolazioni apocrife.
Solo per fare qualche esempio, Il risveglio del
re, che si dichiara tratto da un improbabile
Rambling Thoughts on World History di un
inesistente H. Desvignes Doolittle, e che, per
l’argomento, parrebbe scherzosa invenzione, è
invece fedele traduzione di un brano dello storico
americano Francis Parkman; Altra versione del
«Fausto», che si dichiara appartenere al
verosimile, ma immaginario, Vistazos críticos a
los orígenes de nuestro teatro, opera di un
sospetto Fra Diavolo dietro il quale si nasconde
però il più che reale Evar Méndez (a sua volta
pseudonimo di Evaristo González, 1888-1955), è
invece opera di Borges; di Bioy Casares è Il
tormento maggiore, attribuito agli Ensueños di
un falso «falso Swedenborg», e variazione quasi
autentica delle visioni oniriche del mistico
svedese.
Circa un quarto dei brani della raccolta sono
segnati da questo atteggiamento ludico, che
interessa diversi aspetti dell’allestimento, a
cominciare dalla predilezione per storie
divertenti (ad esempio, L’avvertimento,
Perplessità del codardo, Entrata e uscita, La
forza della fede) e in certi casi tanto bizzarre da
far dubitare dell’autenticità della fonte indicata
(si pensi a Ogni uomo è un mondo, tratto dal
serissimo Diccionario Enciclopédico Hiemo-
americano), fino alla creazione di «racconti» al
limite del genere narrativo («Il mascherato saliva
la scala. I suoi passi risuonavano nella notte: tic,
tac, tic, tac», Prestigieux, sans doute) o di puro
nonsense («Quando ci fu il Diluvio fecero
costruire un’arca di Noè affinché gli animali non
affogassero», Un retrospettivo).
Un ruolo importante rivestono, a questo
riguardo, i titoli dei brani (quasi tutti opera dei
due compilatori), sottili, umoristici, ironici (Non
si sa mai, Non esageriamo, Sepolcri addestrati,
Un vincitore, Trionfo sociale), nonché quelli delle
fonti apocrife, (Multum y Parvo, Antologia di
specchi, Informe sobre la conducción de
hacienda en pie en balsas entre Villa
Constitución y Campana, La modification du
Passé ou la seule base de la Tradition, Rambling
Thoughts on World History).
 
La piacevolezza dell’antologia sta in tutti questi
elementi insieme. In forma di augurio, Borges e
Bioy Casares ce l’avevano già promessa nella
breve pagina introduttiva: «Ci auguriamo,
lettore, che queste pagine divertano te come
hanno divertito noi».
 
Le note che seguono danno conto delle fonti,
reali o immaginarie, da cui provengono i 110
brani nonché delle loro singole vicende editoriali,
anteriori o successive alla costituzione della
silloge. In assenza di indicazioni relative alla
prima pubblicazione deve intendersi che i brani
comparvero direttamente in volume. Per brevità
si utilizzano le seguenti abbreviazioni:
AM46: «Los Anales de Buenos Aires», rubrica
«Museo», 1946;
ALF40: Antología de la literatura fantástica, 1a
ediz., 1940;
ALF65: Antología de la literatura fantástica, 2a
ediz. ampliata, 1965;
R68: Racconti brevi e straordinari, Rueda, ed.
ampliata, 1968 (©1967);
R73: Racconti brevi e straordinari, Losada, ed.
ampliata, 1973.
 
La traduzione è condotta sull’edizione Losada,
Buenos Aires, 2012 (©1973).
 
 
 
1. La sentenza Il brano, notevolmente
sintetizzato, è tratto dal Journey to the West del
cinese Wu Ch’eng-en (1505-1580 ca); si veda
l’edizione italiana Lo scimmiotto, a cura di A.
Motti, Adelphi, Milano, 1971, pp. 119-21. Fu
incluso anche in ALF65 e nel Libro di sogni (pp.
279-80).
 
2. Il redentore segreto Già in AM46 (marzo). Si
tratta di un dettaglio appartenente a una
leggenda tradizionale bengalese. La fonte è il
lungo articolo di G.H. Damant, A Legend from
Dinajpur, pubblicato in due puntate sul primo
volume della rivista «The Indian Antiquary. A
Journal of Oriental Research», Bombay, 5 aprile e
7 giugno 1872, pp. 115-20 e 170-72; il passo,
rielaborato, proviene da p. 171.
 
3. L’annientamento degli orchi Già in AM46
(marzo). È il sunto di una parte di The Story of
Râkshasas, leggenda contenuta in Folk-Tales of
Bengal di Lal Behari Day (Londra, 1883; in
particolare, cap. IV, pp. 84-86).
 
4. Un guastafeste Fu aggiunto in R73. Proviene
da Robert Burton, The Anatomy of Melancholy,
3.2.1.1: «Heroicall Love causing Melancholy. His
Pedegree, Power, and Extent» (si veda l’ediz.
critica a cura di C. Faulkner, N.K. Kiessling, R.L.
Blair, Clarendon Press, Oxford, 1994, vol. III, pp.
45-46). La storia del giovane filosofo e della
lamia è succintamente raccontata anche alla
voce «Le Lamie» del Libro degli esseri
immaginari (p. 136).
 
5. Storia di Cecilia Erroneamente Borges e Bioy
Casares traducono «Ceciliam Metelli» («Cecilia,
moglie di Metello») con «Cecilia, hija de Metelo»
(«Cecilia, figlia di Metello»); correggiamo il testo
per rendere chiaro il finale. Il riferimento
bibliografico completo è: Cicerone, De
divinatione, I, XLVI, 104.
 
6. L’incontro La storia di Ch’ien-niang e Wang
Chou è presente (in forma più o meno estesa) in
molte antologie di racconti classici cinesi. La si
legge ad esempio, sotto il titolo Li-hun chi
(«Record of the Disembodied Soul») e attribuita
a Ch’en Hsüan-yu, in The Columbia History of
Chinese Literature (a cura di V.H. Mair, Columbia
University Press, New York, 2001, cap. XXXIII:
«T’ang Tales», pp. 579-94; in particolare p. 584).
Il racconto è presente anche in ALF65.
 
7. Difficile da accontentare Ibn ‘Abd Rabbih
(860-940) fu uno scrittore arabo vissuto in
Spagna. Il suo Kitāb al-’iqd al-Farīd, («Libro della
collana preziosa»), in 25 libri, è un’ampia
miscellanea di carattere enciclopedico.
 
8. Trame annotate da Nathaniel Hawthorne Si
compone di sei annotazioni tratte da Passages
from the American Notebooks: le prime due sono
relative al 1838, la terza al 1842, la quarta e la
quinta al 1836 e l’ultima al 1835. Si veda N.
Hawthorne, Passages from the American
Notebooks (The University of Adelaide Library,
Adelaide, South Australia, web edition 2014). Le
sei trame erano state già citate, nello stesso
ordine, nel saggio Nathaniel Hawthorne (in Altre
inquisizioni, pp. 65-66).
 
9. Der Traum ein Leben Fu aggiunto in R73.
L’autore Francisco Acevedo e l’opera, Memorias
de un bibliotecario (Burzaco, 1955), sono
entrambi fittizi e rinviano palesemente a Borges:
Acevedo era il cognome della madre; Francisco,
il nome del glorioso nonno colonnello;
bibliotecario fu lo stesso Borges e il 1955 è
l’anno in cui fu nominato direttore della
Biblioteca Nazionale di Buenos Aires; infine,
Burzaco è una località prossima ad Adrogué,
dove i Borges erano soliti trascorrere le vacanze
estive. Nel 1977, nel corso della conferenza La
pesadilla, Borges ha dichiarato l’autenticità
dell’episodio narrato (in Siete noches, p. 223).
Un altro Acevedo, Aguirre, firma il brano n. 81
(Prestigieux, sans doute). L’aneddoto compare
anche nel Libro di sogni (p. 124).
 
10. Il sogno di Chuang Tzu Originariamente in
ALF40; poi in AM46 (marzo). Il libro di Herbert
A. Giles è Chuang Tzu, Mystic, Moralist, and
Social Reformer, Bernard Quaritch, Londra,
1889; il passo appartiene al cap. II: «The Identity
of Contraries» (p. 32). Borges ha ricordato in
numerose occasioni il sogno di Chuang Tzu e lo
ha commentato nel saggio Nuova confutazione
del tempo (in Altre inquisizioni; si vedano in
particolare le pp. 195-96). Lo si legge anche nel
Libro di sogni (p. 214).
 
11. Il cervo nascosto Liehtsé (o Liezi o Lieh
Tzu) è il Trattato del Vuoto Perfetto, scritto nel
IV secolo a.C. da un filosofo cinese taoista, forse
Lie Yukou, spesso indicato anch’egli con il nome
dell’opera. Se ne può leggere una versione
inglese in The Book of Lieh-tzu. A Classic of the
Tao, trad. di A.C. Graham, Columbia University
Press, New York, 1990, pp. 69-70. Fu inserito
anche in ALF65 e nel Libro di sogni (pp. 262-63).
 
12. I brahmani e il leone È una traduzione,
letterale ma con la soppressione di una dozzina
di righe finali, da The Panchatantra of Vishnu
Sharma, a cura di A.W. Ryder, University Chicago
Press, Chicago, 1925, pp. 442-44; la favola,
intitolata The Lion-Makers, fa parte del libro
quinto: «Ill-considered Action».
 
13. Un Golem Già in AM46 (dicembre). Il
Sanhedrin (Sinedrio) è un trattato del Talmud
che illustra questioni giuridiche. Sul Golem si
vedano anche la poesia Il Golem (in L’altro, lo
stesso, pp. 77-81) e l’omonima voce del Libro
degli esseri immaginari (pp. 109-11).
 
14. Il ritorno del maestro Già in AM46 (marzo).
Si veda Alexandra David-Néel, Parmi les
mystiques et les magiciens du Tibet, Plon, Parigi,
2003, pp. 130-31. Il brano fu riproposto nel Libro
di sogni (pp. 277-78).
 
15. Timore della collera Ah’mad Ibn Ah’mad al-
Qalyūbī fu un letterato egiziano vissuto nella
prima metà del XVII secolo; in una raccolta
antologica di adab trattò vari aspetti della
tradizione culturale islamica, dalla letteratura
alla geografia al diritto. Il suo testo più celebre è
la raccolta di aneddoti Kitāb al-Nawādir («Libro
delle rarità»). Da questa stessa fonte è tratto
Provocazione punita (n. 79).
 
16. Andromeda Il brano, tradotto con qualche
taglio, proviene dal cap. XIV («Higgledy-
Piggledy») di Samuel Butler, The Note-Books,
Dutton, New York, 1917, p. 225.
 
17. Il sogno È traduzione sostanzialmente
integrale di The Dream, ultimo racconto di O.
Henry (pseudonimo di William Sydney Porter,
1862-1910), rimasto incompiuto alla sua morte. Il
paragrafo conclusivo, evidenziato in corsivo,
riassume la nota editoriale posta in calce alla
prima edizione del racconto, pubblicato postumo
su «Cosmopolitan Magazine» nel settembre
1910. Nell’originale, il recluso Carpani si chiama
Bonifacio, e Frank Winston, Leonard Winston. Si
veda The Complete Works of O. Henry,
Doubleday, New York, 1953, vol. II, pp. 941-44. Il
racconto fu incluso anche nel Libro di sogni (pp.
230-33).
 
18. La promessa del re Già in AM46 (aprile).
Nell’Heimskringla l’incontro tra Harold e Tostig
è narrato nella Saga di Harald Hardrade (si veda
Heimskringla, a cura di S. Laing e P. Foote, Dent-
Dutton, Londra-New York, 1968, libro decimo:
«Harald the stern», cap. XCI: «Of the troop of the
nobility», pp. 229-30). Con qualche variante,
l’aneddoto si legge anche in Letterature
germaniche medioevali (pp. 171-72) e nel saggio
Il pudore della storia (in Altre inquisizioni, pp.
177-78).
 
19. Il giuramento del prigioniero Già in AM46
(aprile). Per un confronto si veda Le mille e una
notte, a cura di F. Gabrieli, Einaudi, 1980, vol. I:
«Storia del pescatore e del demone», p. 25.
 
20. Nosce te ipsum Fu aggiunto in R68. La
fonte da cui si dichiara estratto il frammento
(Fergus Nicholson, Antologia di specchi,
Edimburgo, 1917) è fittizia. Storico è invece il
contesto dell’aneddoto, l’assedio (marzo 1884 -
gennaio 1885) della città di Khartoum, difesa dal
generale inglese Charles George Gordon, da
parte dall’esercito sudanese.
 
21. Un congedo Fu aggiunto in R73. Riesce
alquanto difficile immaginare un interesse di
Borges per l’autobiografia del colonnello
Vladimir Peniakoff e le imprese della sua unità
speciale (la Popski’s Private Army) durante la
seconda guerra mondiale.
 
22. L’intuitivo Già in AM46 (settembre). Il
brano, integrale, è tratto dal decimo paragrafo
(«Contorno del reino matemático») della parte
terza di El deslinde. Apuntes para la teoría
literaria (si veda Alfonso Reyes, Obras
completas, Fondo de Cultura Económica, México,
1997, vol. XV, p. 325).
 
23. Vite parallele Fu aggiunto in R73. La fonte
del brano non è L’Empire chinois del missionario
cattolico Évariste Régis Huc (1813-1860), che
non contiene alcun riferimento alla leggenda di
Confucio e dell’unicorno, ma il racconto
Konfuzius, in Richard Wilhelm, Chinesische
Volksmärchen (si veda la prima edizione, Jena,
1914, pp. 57-61). Da questa stessa opera è tratto
La setta del Loto Bianco (n. 85). Con qualche
variante, l’episodio è raccontato anche alla voce
«L’unicorno cinese» del Libro degli esseri
immaginari (pp. 209-11).
 
24. Come ho trovato il Superuomo 
Presumibilmente a causa di un refuso, il testo di
Chesterton, per il resto integro, è privo delle
righe conclusive: «“It is, indeed,” said Dr. Hagg,
“the whole universe weeping over the frustration
of its most magnificent birth”. But I thought that
there was a hoot of laughter in the high wail of
the wind». How I Found the Superman fa parte
della raccolta di articoli Alarms and Discursions
(1910).
 
25. Il risveglio del re Fu aggiunto in R68. H.
Desvignes Doolittle è un autore fittizio, e
immaginario è il suo Rambling Thoughts on
World History. Il testo, come ha rivelato Bioy
Casares (in Borges, a cura di D. Martino,
Destino, Buenos Aires, 2006, p. 1171), proviene
da The Conspiracy of Pontiac and the Indian War
after the Conquest of Canada dello storico
statunitense Francis Parkman (se ne veda
l’edizione Little, Brown & C., Boston, 1870, vol. I,
cap. VII: «Anger of the Indians. The Conspiracy»,
p. 178). Per probabile refuso, che correggiamo,
l’originale data la fine della guerra franco-
canadese al 1753. Il brano fu inserito anche nel
Libro di sogni (p. 242).
 
26. Morte di un capo Fu aggiunto in R68. León
Rivera e il suo Bocetos de un asistente sono
immaginari. Si tratta di una nota tradizione
popolare che fornisce una delle ipotesi
sull’origine del toponimo Cacharí, località della
provincia di Buenos Aires.
 
27. L’avviso Fu aggiunto in R68. Sia l’autore
(George D. Brown) che l’opera da cui il brano si
dichiara tratto (Gleanings in Caledonian byways)
sono fittizi.
 
28. La spiegazione Edwin Broster e l’opera
fonte del brano, Addenda to a History of
Freethinking, sono immaginari. L’ipotesi dello
scettico Wang Ch’ung si legge anche nel Libro
degli esseri immaginari a conclusione di «La
fenice cinese» (p. 102).
 
29. Un mito di Alessandro Adrienne Bordenave
e il suo La modification du Passé ou la seule base
de la Tradition sono immaginari. Il brano
riassume, in estrema sintesi, il tema della poesia
The Clipped Stater di Robert Graves; si veda
Complete Poems, Carcanet Press, Manchester,
1999, vol. I, pp. 272-74.
 
30. La forza della fede Fu aggiunto in R73. Il
brano non è di Voltaire. Si tratta di una nota
apposta al cap. XXI di Le siècle de Louis XIV da
Charles Louandre, curatore dell’edizione
Charpentier, Parigi, 1874, p. 259.
 
31. L’opera e il poeta Indica dovrebbe rinviare
ad Ananga-ranga or The Hindu art of love (Ars
amoris indica) dell’indiano Kalyāṇamalla (XVI
secolo), tradotto da Richard Francis Burton nel
1885; quest’opera però non contiene il brano
antologizzato. Fu incluso anche in ALF65,
attribuito genericamente a R.F. Burton.
 
32. Eugenetica Già in AM46 (settembre), dove
si intitolava Euforión. È tratto dal cap. XVII delle
Notes of Ben Jonson’s Conversations with
William Drummond of Hawthornden (si veda
l’edizione a cura di R.F. Patterson, The Folcroft
Press, Folcroft, 1969, p. 43).
 
33. La mendicante di Napoli È traduzione
integrale di La mendiante de Naples, in Max
Jacob, Le cornet à dés, prefazione di M. Leiris,
Gallimard, Parigi, 1967, p. 144. Da questa stessa
fonte proviene il frammento n. 53 (Il cuoco).
 
34. Omne admirari Fu aggiunto in R73. L’autore
e l’opera indicati come fonte sono fittizi; il brano
è palesemente opera dei curatori dell’antologia,
amici sia dei fratelli Julio César e Santiago
Dabove che del filosofo Macedonio Fernández.
 
35. Ogni uomo è un mondo Fu aggiunto in R73.
A dispetto del contenuto, che potrebbe far
pensare a una divertente invenzione di Borges e
Bioy Casares, appropriata all’eccentrica
personalità di don Miguel de los Santos Álvarez
(1818-1892), il brano è autentico, e precise sono
le indicazioni bibliografiche. Esso seleziona e
compendia parti della voce che il Diccionario
Enciclopédico Hiemo-americano (Montaner y
Simón, Barcellona, 1896) dedica allo scrittore
spagnolo.
 
36. Un dio abbandona Alessandria Già in AM46
(marzo). Il frammento è tratto dal cap. LXXV della
Vita di Antonio; si veda Plutarco, Vite parallele,
trad. it. di C. Carena, Einaudi, Torino, 1958, vol.
III, pp. 283-84.
 
37. La discepola Già in AM46 (agosto).
L’edizione utilizzata dai curatori è: Chuang Tzu,
Mystic, Moralist, and Social Reformer, cit.; il
brano si legge al cap. XIV, «The Circling Sky», p.
182.
 
38. Il nono schiavo Già in AM46 (giugno). Per
un confronto si veda Edward Gibbon, Storia della
decadenza e caduta dell’impero romano, trad. it.
di G. Frizzi, con un saggio di A. Momigliano,
Einaudi, Torino, 1987, vol. III, cap. LXV: «Ascesa
di Timur, o Tamerlano, al trono di Samarcanda»,
p. 2613.
 
39. Un vincitore Già in AM46 (giugno).
L’«Empresa 96» dello scrittore e politico Diego
de Saavedra Fajardo (1584-1648), di cui viene
riprodotto fedelmente un frammento, si intitola:
«En la victoria esté viva la memoria de la fortuna
adversa. Memor adversae».
 
40. Della moderazione nei miracoli Fu aggiunto
in R73. Palesemente falsi sono l’autore e l’opera
indicati come fonte (John Wisdom, Multum y
Parvo); autentica e nota è invece l’osservazione
attribuita ad Anatole France.
 
41. Il pericoloso taumaturgo Già in AM46
(dicembre). È la sintesi di un brano del terzo
capitolo («The House of Bondage») di Brigham
Young, dello statunitense Morris R. Werner
(1897-1984). Nell’edizione citata da Borges e
Bioy Casares (Jonathan Cape, Londra, 1925) il
frammento si legge alle pp. 81-82.
 
42. Non esageriamo Fu aggiunto in R73.
Potrebbe trattarsi di una falsa attribuzione: in
Arthur Waley, The poet Li Po (East and West,
Londra, 1919) non c’è traccia di aneddoti riferiti
all’antico edificio cinese simbolo dell’universo.
 
43. Il castello Già in AM46 (giugno). Si veda
Denis Diderot, Jacques le fataliste et son maître,
a cura di P. Chartier, Librairie Générale
Française, Parigi, 1970, p. 67.
 
44. La statua Già in AM46 (giugno). Come
segnalato in calce, il frammento proviene dal
nono paragrafo del trattato su Iside e Osiride di
Plutarco, ma Borges e Bioy Casares si prendono
la libertà di introdurvi una spiritosa variante:
l’originale recita infatti, alludendo alla verginità
della dea, «nessun mortale sollevò mai il mio
peplo» e non «nessun mortale (finora) ha
sollevato il mio velo». Si veda Plutarco, Iside e
Osiride, introduzione di D. Del Corno, trad. it. e
note di M. Cavalli, Adelphi, Milano, 1985, p. 65.
 
45. L’avvertimento Il brano, sintetizzato,
proviene da una nota di Richard Francis Burton
alla sua edizione di The Book of the Thousand
Nights and a Night («The Third Kalandar’s Tale»,
in «The Porter and the Three Ladies of
Baghdad»), privately printed by the Burton Club,
Londra, 1885-1888. Nelle edizioni originali dei
Racconti brevi e straordinari il rinvio
bibliografico è, per refuso che correggiamo, al
secondo volume dell’opera di Burton.
 
46. Le facoltà di Villena Già in AM46 (luglio). Il
frammento, integro e fedele, proviene dalla
prima parte dell’Antología de poetas líricos
castellanos di Marcelino Menéndez y Pelayo («La
poesía en la Edad Media», II, cap. IX «Don
Enrique de Villena», CSIC, Santander, 1944, pp.
39-40). Enrique de Aragón o de Villena (1384-
1434), signore della cittadina di Iniesta, ebbe
fama di mago e secondo una leggenda apprese la
negromanzia direttamente dal diavolo.
 
47. L’ombra delle mosse Opera e autore sono
fittizi. Come è esplicitato nel brano, la fonte è il
Mabinogion, raccolta di testi gallesi medioevali.
Si tratta di un sottile artificio: un autore
immaginario (Edwin Morgan) cita una fonte reale
(si veda anche il brano n. 83, L’ubiquo). Il
frammento sintetizza un passo di «The Dream of
Rhonabwy» nel quale i re Arthur e Owain si
sfidano a una partita a scacchi mentre i loro
eserciti si scontrano (si veda The Mabinogion, a
cura di G. Jones e T. Jones, Dent-Dutton, Londra-
New York, 1963, pp. 145 sgg.). Fu inserito anche
in ALF65.
 
48. L’ombra delle mosse La fonte – Celestino
Palomeque, Cabotaje en Mozambique – è
palesemente immaginaria. Il frammento riferisce
una leggenda legata al gioco del fanorona e
relativa all’assedio francese di Antananarivo. Per
refuso, che correggiamo, l’originale data
l’assedio al 1893 anziché al 1895.
 
49. Gli occhi colpevoli Ḥadīqat al-afrāḥ li-izāḥat
alatrāḥ è un dizionario biografico dei poeti arabi
compilato dallo scrittore yemenita Ah’mad ibn
Muḥammad Shirwānī (1785-1838 ca), professore
di lingua araba all’università di Calcutta e primo
editore in India delle Mille e una notte. Il brano è
presente anche in ALF65.
 
50. Una nostalgia Fu aggiunto in R73. Il rinvio
bibliografico è all’opera di Arthur Waley The Life
and Times of Po Chü-I (Londra, 1949), biografia
del poeta cinese Po Chü-I (772-846).
 
51. Il profeta, l’uccello e la rete Il giurista
musulmano Abu Bakr al-Tortuchi o al-Tartuši,
altrimenti noto come Abubéquer de Tortosa
(1059-1127) fu autore di un’opera erudita di
carattere enciclopedico dal titolo Sirāj al-Mulūk
(«Lampada dei principi»). Il racconto, qui
leggermente modificato, è in Abubéquer de
Tortosa, Lámpara de los príncipes, a cura di M.
Alarcón, Instituto Valencia de Don Juan, Madrid,
1930-1931, vol. II, cap. LXII: «De la
predestinación y el mandato divino; de la
confianza en Dios y el esfuerzo de la criatura
para el logro de sus fines», p. 351.
 
52. I cervi celesti L’inglese Gerald Willoughby-
Meade (1875-1958) fu membro della Royal
Asiatic Society e si occupò di folclore cinese.
Chinese Ghouls and Goblins (1928) è fonte anche
del brano n. 86 (La protezione per mezzo del
libro). Il Tzu Puh Yü («Ciò di cui il Maestro non
parla») è una raccolta di storie soprannaturali
del poeta cinese Yuan Mei (XVIII secolo). La
leggenda dei cervi celesti si legge anche nel
Libro degli esseri immaginari (p. 65) e in ALF65.
 
53. Il cuoco È traduzione integrale di Encore
Fantômas, in Max Jacob, Le cornet à dés, cit., p.
99. Da questa stessa fonte proviene il frammento
n. 33 (La mendicante di Napoli).
 
54. Polemisti Autore e opera (Luis L. Antuñano,
Cinquenta años en Gorchs) sono inesistenti; dalla
stessa fonte si dichiara provenire il brano Un
fervoroso, pubblicato in AM46 (luglio) e non
incluso nei Racconti brevi e straordinari (Museo.
Textos inéditos, p. 87). Nelle zone rurali
argentine, oltre che uno spaccio di alimentari e
vari altri generi, la pulpería era un luogo di
intrattenimento popolare.
 
55. Perplessità del codardo L’opera
enciclopedica Mostatref (al-Mustaṭraf) fu
compilata in Egitto da Muḥammad ibn Ah’mad
Ibshīhī (1388-1446 ca).
 
56. La restituzione delle chiavi Già in AM46
(marzo). Il trattato Ta’anit («Digiuno»)
appartiene al II Ordine (Mo’ed: «Festività») della
Mishnah, testo fondamentale dell’ebraismo.
L’episodio della chiave è richiamato nella terzina
conclusiva del sonetto Una chiave a Salonicco,
scritto nel 1958: «come quell’altra chiave del
santuario // che qualcuno scagliò verso l’azzurro
/ quando il romano l’assaltò col fuoco / audace, e
in cielo ricevé una mano» (in L’altro, lo stesso, p.
59).
 
57. Sepolcri addestrati Già in AM46 (marzo). Il
frammento si legge in Cicerone, Tusculanae
Disputationes, I, XLV, 108.
 
58. Gli osservatori Fu aggiunto in R73. Il brano
rielabora alcuni passi del primo capitolo, «From
England to South Africa», di The Worst Journey
in the World: Antarctic 1910-1913 (1922)
dell’esploratore e zoologo inglese Apsley Cherry-
Garrard (1886-1959).
 
59. Il silenzio delle sirene È traduzione
integrale del racconto omonimo, appartenente
alla raccolta Durante la costruzione della
muraglia cinese; per un confronto si veda Franz
Kafka Racconti, a cura di E. Pocar, Mondadori,
Milano, 1975, pp. 428-29.
 
60. Lo schiaffo Già in AM46 (luglio). È
traduzione fedele di un brano del saggio The
Sagas di Andrew Lang; nell’edizione usata da
Borges e Bioy Casares (Essays in Little, Henry &
Co, Londra, 1891) è alle pp. 144-45. L’episodio di
Hallgerđr la Bella e Gunnarr si legge anche, in
forma leggermente diversa, in Letterature
germaniche medioevali (p. 123).
 
61. Il disegno dell’arazzo Già in AM46 (aprile).
Nell’edizione citata da Borges e Bioy Casares
(The London Adventure or the Art of Wandering,
Martin Secker, Londra, 1924) il brano è a p. 89.
Il racconto di Henry James è The Figure in the
Carpet (1896).
 
62. Il Gran Tamerlano di Persia Fu aggiunto in
R73. Il brano dello scrittore argentino Marco
Denevi (1922-1998) proviene da Parque de
diversiones, vol. II (1970); successivamente,
intitolato Gobernantes y gobernados, fu raccolto
in Falsificaciones (in Obras completas,
Corregidor, Buenos Aires, 1984, vol. IV, pp. 61-
62).
 
63. Storia dei due re e dei due labirinti Già in
AM46 (maggio). Era già comparso nel
settimanale «El Hogar» (giugno 1939), dove lo si
dichiara tratto da una dalle note di Richard
Francis Burton alla traduzione delle Mille e una
notte (si veda Una leggenda araba, in Testi
prigionieri, pp. 327-28). Quindi entrò a far parte
dell’Aleph (dalla seconda edizione, 1952) dove,
nella Postilla all’Epilogo, si dice che i copisti lo
«intercalarono nelle Mille e una notte» (L’Aleph,
p. 140). Borges ha infine riconosciuto di esserne
il vero autore.
 
64. La confessione Manuel Peyrou (1902-1974)
fu autore di racconti polizieschi e, nella maturità,
di romanzi a sfondo politico e sociale. Fu, fin da
giovane, amico di Borges, che in Storia della
notte (1977) ne celebrò la personalità e l’opera in
una poesia a lui intitolata.
 
65. Altra versione del «Fausto» L’opera indicata
quale fonte, Vistazos críticos a los orígenes de
nuestro teatro, è immaginaria; Fra Diavolo era
uno dei numerosi pseudonimi con cui Evar
Méndez firmava i suoi contributi per la rivista
ultraista «Martín Fierro». Il testo è in realtà di
Borges, che lo riutilizzò come post scriptum al
prologo redatto per il Fausto di Estanislao del
Campo (1834-1880); si veda Prologhi, pp. 42-43.
Anche in quest’opera un gaucho scambia per
reale una finzione teatrale. Juan Moreira e
Hormiga Negra sono romanzi di Eduardo
Gutiérrez (1851-1889) basati sulle vite di due
famosi gauchos; furono ridotti per il teatro dai
fratelli José e Antonio Podestá.
 
66. Ritrovamento di un tesoro Marcial Tamayo
Saenz (1921-1997) fu un poeta e saggista
boliviano; scrisse, in collaborazione con Adolfo
Ruiz Díaz, il saggio Borges, enigma y clave
(1955).
 
67. Il cielo guadagnato Fu aggiunto in R73. Con
molta probabilità il riferimento bibliografico è
falso; il brano potrebbe essere di Borges e Bioy
Casares.
 
68. Il tormento maggiore Il brano, attribuito al
falso Swedenborg e tratto da un immaginario
Ensueños (1873), è in realtà di Bioy Casares, che
lo inserirà nel suo Guirnalda con amores (libro
decimo: «Fragmentos»), Emecé, Buenos Aires,
1959, pp. 172-73. Ricomparirà, col titolo Giusto
castigo, e attribuito al suo vero autore, nel Libro
del cielo e dell’inferno (p. 37).
 
69. Teologia Il nome di H. Garro (che fa pensare
alla scrittrice messicana Helena/Elena Garro) è
un falso riferimento, così come l’opera Tout lou
Mond (nel dialetto guascone della provincia di
Béarn). Su questo titolo si potrebbe avanzare
l’ipotesi che provenga da una delle Historiettes
(LIII, Vanité des nations) di Gédéon Tallemant
des Réaux (opera da cui è tratto il brano n. 109,
Aurea mediocritas, e quindi consultata nel
periodo di composizione dell’antologia) nella
quale si cita l’adagio «Qui a bist Oleron / a bist
tout lou mond». L’autore del brano è in realtà
Adolfo Bioy Casares, che nel 1959 lo inserì nel
suo Guirnalda con amores, cit., pp. 142-43. Il
brano è presente anche nel Libro di sogni (pp.
271-72).
 
70. La calamita Già in AM46 (settembre). È
traduzione fedele e integrale: si veda Hesketh
Pearson, The Life of Oscar Wilde, Methuen,
Londra, 1952, cap. XIII: «The Talker», p. 213.
 
71. La razza inestinguibile A Silvina Ocampo
(1903-1993), moglie di Adolfo Bioy Casares, si
deve una vasta e importante produzione
narrativa e poetica. Il racconto, qui riprodotto
integro, fa parte della raccolta La furia (1959).
 
72. Il gesto della Morte Già in AM46 (aprile). Si
veda Jean Cocteau, Le Grand Écart, in Œuvres
romanesques complètes, Gallimard, Parigi, 2006,
pp. 274-75. Fu inserito anche in ALF65.
 
73. Fede, poca fede e nessuna fede È
traduzione integrale della diciassettesima fable:
Faith, half faith and no faith at all. Nell’edizione
citata da Borges e Bioy Casares (R.L. Stevenson,
Fables, Charles Scribner’s Sons, New York, 1896)
il racconto è alle pp. 57-60.
 
74. Il miracolo È una delle note del 1938.
Nell’edizione citata da Borges e Bioy Casares (W.
Somerset Maugham, A Writer’s Notebook, W.
Heinemann, Melbourne-Londra-Toronto, 1949)
figura a p. 229.
 
75. Due coeterni Fu aggiunto in R68. Opera e
autore (nome coniato su quello di Giraldus
Cambrensis, storico gallese vissuto tra il XII e il
XIII secolo) sono immaginari.
 
76. Entrata e uscita Fu aggiunto in R73. È una
nota del 24 gennaio 1893; si veda Jules Renard,
Journal 1887-1910, a cura di L. Guichard e G.
Sigaux, Gallimard, Parigi, 1965, p. 148.
 
77. Trionfo sociale Traduzione fedele e
integrale da Logan Pearsall Smith, Trivia (Book
Two); si veda All Trivia, Harcourt, Brace & C.,
New York, 1945, p. 43.
 
78. Il treno Santiago Dabove (1889-1951) fu
amico di Macedonio Fernández e degli scrittori
che gravitarono intorno al gruppo di Borges. Il
racconto fa parte della raccolta postuma La
muerte y su traje (1961), per la quale Borges
scrisse un prologo (in Prologhi, pp. 66-69).
 
79. Provocazione punita Si veda la nota al
brano n. 15 (Timore della collera).
 
80. Racconto È traduzione fedele e integrale di
Conte. Supplice étrange, in Paul Valéry, Histoires
brisées (in Œuvres, a cura di M. Jarrety, Le Livre
de Poche, Parigi, 2016, vol. III, p. 1373).
 
81. Prestigieux, sans doute Aguirre Acevedo e il
suo Fantasmagorías sono palesemente
immaginari: Acevedo era il cognome del ramo
materno della famiglia di Borges, e nella
presente raccolta viene usato anche per firmare
il brano n. 9 (Der Traum Ein Leben).
 
82. L’ubiquo Nell’edizione inglese di Indische
Literatur dell’indologo austriaco Maurice
Winternitz (1863-1937) il brano si legge nella
parte terza, «Buddhist Literature», cap.
«Buddhist Literature in Pure and Mixed
Sanskrit», par. «The Mahāvastu» (A history of
Indian Literature, Munshiram Manoharlal, New
Delhi, 1972, vol. II, p. 245).
 
83. L’ubiquo A quanto riferisce Bioy Casares (in
Borges, cit., p. 76), si tratta di una leggenda
riformulata dai due curatori e attribuita a una
fonte inesistente. L’artificio (come già nel caso
del brano n. 47, L’ombra delle mosse) consiste
nel far sì che un’opera immaginaria (Cuarenta
años en el lecho del Ganges di Simao Pereyra)
citi un autore reale: l’orientalista inglese William
Jones (1746-1794).
 
84. La distrazione È uno dei racconti chassidici
relativi a Rabbi Elimelech di Lisensk (si veda
Martin Buber, Storie e leggende chassidiche, a
cura di A. Lavagetto, Mondadori, Milano, 2008,
pp. 800-801). Col titolo La scodella rovesciata
entrò a far parte di ALF65. Da Martin Buber
proviene anche il brano n. 101 (L’accusato).
 
85. La setta del Loto Bianco Già in ALF40.
Corrisponde alla prima parte (un terzo circa del
totale) di Die Sekte vom weißen Lotos, in Richard
Wilhelm, Chinesische Volksmärchen (si veda la
prima edizione, Jena, 1914, cit., pp. 247-49).
 
86. La protezione per mezzo del libro Proviene
dalla stessa fonte del brano n. 52 (I cervi celesti).
Del Libro dei mutamenti (I Ching), antico testo
oracolare cinese, Borges tratta nel saggio Sui
classici (in Altre inquisizioni, pp. 199-201) e a
esso si ispira nel sonetto Per una versione dell’«I
Ching» (in La moneta di ferro, p. 85). Il brano fu
inserito anche in ALF65.
 
87. L’incontro Il noto episodio che fa seguito
alla sconfitta di Asdrubale nella battaglia del
Metauro è riferito a una fonte inesistente. Il
nome dell’autore dell’improbabile La Tarif de
Marseille ha però (come annota Cristina Parodi
in Una fantasía memorable: “El signo”.
Fragmentos de una enciclopedia de Bustos
Domecq y Suárez Lynch, in «Variaciones
Borges», 37, 2014, pp. 177-205) una sua curiosa
origine: Louis Prolat compare infatti nelle
Arabian Nights di Richard Francis Burton, opera
ben nota a Borges, ed è un refuso per Louis
Protat (scrittore licenzioso francese vissuto tra il
1819 e il 1881), del quale Burton cita in nota un
verso scurrile: «Also Prolat: “Il fuyait, me
laissant une capote au cul”» (si veda The Book of
the Thousand Nights and a Night, cit., vol. VII,
nota 2, pp. 190-91). Tanto dovette restare
impresso quel nome, che molti anni dopo, un
volume di Obras escogidas di Louis Prolat
comparirà, all’interno di un elenco di opere
pornografiche, nel racconto di Bioy Casares
Todos los hombres son iguales (in Historias de
amor, Emecé, Buenos Aires, 1981, p. 24).
 
88. L’acqua dell’isola Già in AM46 (marzo). Il
brano riproduce, con qualche taglio, la
conclusione del cap. XVIII delle Avventure di
Gordon Pym. Per un confronto, si veda: Edgar
Allan Poe, Gordon Pym, in Opere scelte, a cura di
G. Manganelli, Mondadori, Milano, 2005, pp.
1105-1106.
 
89. Paradosso di Tristram Shandy Fu aggiunto
in R73. È tratto dal cap. V («Mathematics and the
metaphysicians») di Mysticism and Logic and
Other Essays di Bertrand Russell (George Allen
and Unwin Ltd, Londra, 1959, pp. 90-91).
 
90. Del rigore nella scienza Già in AM46
(marzo). Sia l’autore, Suárez Miranda, che la sua
opera sono fittizi; il brano è di Borges, che nel
1960 lo inserì nell’Artefice (p. 183), dove però
l’indicazione bibliografica rimanda al cap. XLV (e
non XIV) del libro quarto di Viajes de varones
prudentes.
 
91. Lo studioso È il testo che si legge nel
colophon del primo dei tre album delle celebri
Cento vedute del monte Fuji del pittore
giapponese Katsushika Hokusai (1760-1849). La
fonte è: Paul Adler, Michael Revon, Japanische
Literatur. Geschichte und Auswahl von den
Anfängen bis zur neuesten Zeit, Frankfurter
Verlags-Anstalt, Francoforte sul Meno, 1926.
 
92. Vicissitudini del conforto L’attribuzione a
T.M. Chang, A Grove of Leisure è falsa: il brano è
di Bioy Casares e nel 1959 fu inserito nel suo
Guirnalda con amores, cit., pp. 171-72.
 
93. La verità su Sancio Panza È traduzione
integrale del testo omonimo, appartenente alla
raccolta Durante la costruzione della muraglia
cinese (per un confronto si veda F. Kafka,
Racconti, cit., p. 427).
 
94. Un doppio di Maometto Già in AM46
(maggio). Compare anche in Storia universale
dell’infamia (pp. 103-104) a partire dalla seconda
edizione (1954), coeva alla compilazione dei
Racconti brevi e straordinari. Il frammento si
legge in Emanuel Swedenborg, Vera Christiana
Religio, «Additamentum» (10. «De Mahumedanis
in Mundo Spirituali», parr. 829-30).
 
95. La salvezza Nel 1959 fu inserito in A. Bioy
Casares, Guirnalda con amores (cit., pp. 176-77).
 
96. Nell’insonnia Il racconto fa parte della
raccolta Cuentos fríos (1956) dello scrittore
cubano Virgilio Piñera (1912-1979); si veda
l’ediz. Cuentos fríos. El que vino a salvarme, a
cura di V. Cervera e M. Serna, Cátedra, Madrid,
2008, p. 194.
 
97. Distrarsi Nel 1941 Borges aveva tradotto
Un barbaro in Asia per l’editrice Sur di Buenos
Aires; nel 1985 inserì l’opera di Michaux tra i
cento titoli della collana «Biblioteca personal»
dell’Editorial Hispamérica e accompagnò la sua
vecchia traduzione con un prologo,
successivamente raccolto in Biblioteca personal.
Prólogos (p. 479). Il brano appartiene al capitolo
«Un barbare en Chine»; si veda Henri Michaux,
Un barbare en Asie, Gallimard, Parigi, 1994, p.
186.
 
98. L’indifferente Fu aggiunto in R73. È tratto
da El escritor según él y según los críticos, in Pío
Baroja, Memorias, Minotauro, Madrid, 1955, p.
1170.
 
99. La tentazione È un passo dell’«Author’s
Preface» a The Manners and Customs of the
Modern Egyptians dell’orientalista britannico
Edward William Lane; nell’edizione J.M. Dent &
Sons, Londra, 1923 è alle pp. XIX-XX.
 
100. Un retrospettivo La fonte indicata –
Clemente Sosa, Informe sobre la conducción de
hacienda en pie en balsas entre Villa
Constitución y Campana («Rapporto sul
trasporto di bestiame in piedi su chiatte tra Villa
Constitución e Campana») – è palesemente
immaginaria e ricorda un’altra indicazione
bibliografica altrettanto falsa: l’Informe sobre los
feriados, elevado a la superioridad di Carmelo
Soldano, da cui nel Libro del cielo e dell’inferno
si dichiara tratto il brano Giorno libero (p. 197).
 
101. L’accusato È uno dei racconti chassidici
relativi a Rabbi Elimelech di Lisensk; si veda
Martin Buber, Storie e leggende chassidiche, cit.,
pp. 799-800 (il racconto si intitola «La causa»).
Dalla stessa fonte proviene il brano n. 84 (La
distrazione).
 
102. Lo spettatore Col titolo Fragmento (e
costituito da 8 versi) il passo era stato già
pubblicato in ALF40. È tratto dal dramma Don
Juan Tenorio (parte II, atto III, scena II) di José
Zorrilla (1817-1893).
 
103. Pericoli dell’eccesso di devozione Non
abbiamo trovato traccia di un’opera intitolata
Nozhat el Djallas.
 
104. Finale per un racconto fantastico Era
apparso in ALF40. In forma leggermente diversa,
Borges lo aveva già citato nella recensione a The
Haunted Omnibus di Alexander Laing, pubblicata
nel 1937 sulla rivista «El Hogar»: «Per
l’inquietudine e il piacere dei lettori, traduco
questo “possibile finale di racconto fantastico” di
I.A. Ireland» (Testi prigionieri, p. 135).
L’antologia di Laing non contiene tuttavia alcun
autore con quel nome. Nel 1976, nel Libro del
cielo e dell’inferno, a I.A. Ireland verrà attribuito
Avvenire sferico, da un inesistente Short Cuts to
Mysticism (si veda Libro del cielo e dell’inferno,
p. 88 e relativa nota a p. 253).
 
105. Quattro riflessioni Si tratta dei brani ai
numeri 20, 32, 43, 47 delle Considerazioni sul
peccato, il dolore, la speranza e la vera via di
Franz Kafka (si veda Confessioni e diari, a cura
di E. Pocar, Mondadori, Milano, 2000, pp. 795-
97).
 
106. Storia di volpi È una delle tante favole
cinesi che hanno come protagoniste le volpi; Niu
Chiao visse nella seconda metà del IX secolo. Il
brano si legge anche in ALF65.
 
107. Non si sa mai Sintetizzato, il brano
proviene, come dichiarato, dal libro secondo,
cap. XV, della Historia ecclesiastica gentis
Anglorum del Venerabile Beda. Per un confronto
si veda Beda, Storia degli inglesi, testo latino a
fronte, a cura di M. Lapidge, trad. it. di P. Chiesa,
Mondadori, Milano, 2010, pp. 251-53.
 
108. Odino Antiguas literaturas germánicas fu
scritto da Borges e Delia Ingenieros nel 1951;
quindici anni dopo Borges ne realizzò, in
collaborazione questa volta con María Esther
Vázquez, una nuova edizione intitolata
Literaturas germánicas medievales (si veda
Letterature germaniche medioevali, pp. 109-10).
Il brano fu incluso anche in ALF65.
 
109. Aurea mediocritas Il frammento
appartiene al saggio Malherbe, XXIV (e non XXIX
come si legge, per refuso, nell’originale) delle
Historiettes di Gédéon Tallemant des Réaux. Si
veda l’ediz. Gallimard, Parigi, 1960, p. 131. Fu
inserito anche nel Libro del cielo e dell’inferno
(p. 64).
 
110. Il mondo è grande e estraneo Fu aggiunto
in R73. B. Suárez Lynch era lo pseudonimo col
quale nel 1946 Borges e Bioy Casares avevano
firmato Un modelo para la muerte. Il volume
Estudios dantescos dal quale si dichiara tratto
questo stringato e impreciso riassunto di parte
del capitolo XL della Vita nuova è ovviamente
inesistente. Il titolo del brano cita quello del
celebre romanzo El mundo es ancho y ajeno
(1941) del peruviano Ciro Alegría (1909-1967).
INDICE DEGLI AUTORI E DELLE OPERE

Acevedo, Aguirre
Acevedo, Francisco
Adler, Paul
Antuñano, Luis L.
Baroja, Pío
Beda il Venerabile
Bioy Casares, Adolfo
Bordenave, Adrienne
Borges, Jorge Luis
Broster, Edwin
Brown, George D.
Buber, Martin
Burton, Richard Francis
Burton, Robert
Butler, Samuel
Chang, T.M.
Cherry-Garrard, Apsley
Chesterton, Gilbert Keith
Cicerone, Marco Tullio
Cocteau, Jean
Dabove, Santiago
Day, Lal Behari
David-Néel, Alexandra
Denevi, Marco
Desvignes Doolittle, H.
Diderot, Denis
Diccionario Enciclopédico Hiemo-americano
Drummond, William
Falso Swedenborg
Fra Diavolo
Garro, H.
Gibbon, Edward
Giles, Herbert Allen
González, Estanislao
Hawthorne, Nathaniel
Heimskringla
Henry, O.
Huc, Évariste Régis
Ibn ‘Abd Rabbih
Ibshīhī, Ah’mad
«Indian Antiquary»
Ingenieros, Delia
Ireland, I.A.
Jacob, Max
Johannes Cambrencis
Kafka, Franz
Lane, Edward William
Lang, Andrew
Liehtsé
Machen, Arthur
Maugham, William Somerset
Menéndezy Pelayo, Marcelino
Michaux, Henri
Mille e una notte, Le
Morgan, Edwin
Nicholson, Fergus
Nozhat el Djallas
Niu Chiao
Ocampo, Silvina
Palomeque, Celestino
Pañcatantra
Pearsall Smith, Logan
Pearson, Hesketh
Peniakoff, Vladimir
Peyrou, Manuel
Piñera, Virgilio
Plutarco
Poe, Edgar Allan
Prolat, Louis
Qalyūbī, Ah’mad al-
Racconto della dinastia T’ang
Renard, Jules
Revon, Michael
Reyes, Alfonso
Rivera, León
Russell, Bertrand
Saavedra Fajardo, Diego de
Sanhedrin
Shirwānī, Ah’mad ibn
Simao Pereyra, S.J.
Sosa, Clemente
Stevenson, Robert Louis
Suárez Lynch, B.
Suárez Miranda
Swedenborg, Emanuel
Ta’anit
Taboada, Gabriel Cristián
Tallemant des Réaux, Gédéon
Tamayo, Marcial
Tortuchi, Abu Bakr al-
Valéry, Paul
Voltaire
Waley, Arthur
Werner, Morris R.
Wilhelm, Richard
Willoughby-Meade, Gerald
Winternitz, Maurice
Wisdom, John
Wu Ch’eng-en
Zorrilla, José
1
Gioco da tavolo simile agli scacchi [N.d.A.].
2
Tripode di ferro per il bollitore del mate [N.d.A.].
3
Hokusai morì a ottantanove anni [N.d.A.].
4
Beda chiama «demoni» le antiche divinità
germaniche [N.d.A.].

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