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L’arte del dolce far niente


Arthur C. Brooks, The Atlantic, Stati Uniti

13 agosto 2022 09:23

In un momento segnato da notizie finanziarie che sembrano sempre più negative ogni giorno che
passa, la mia attenzione è stata calamitata dalla storia di un uomo che ha voluto mollare tutto.
Andrew Formica, 51 anni, amministratore delegato di una società di investimenti da 68 miliardi
di dollari, ha improvvisamente lasciato il lavoro. Formica non aveva un altro impiego che lo
aspettava. Non aveva nulla, a quanto pare. Quando gli hanno chiesto con insistenza quali fossero i
suoi piani, ha risposto: “Voglio soltanto andare in spiaggia, sedermi e non fare niente”.

Facile, giusto? Be’, non per molti di noi. Oltre al fatto che c’è bisogno di una certa solidità
finanziaria per smettere di lavorare, “non fare nulla è un lavoro terribilmente duro”, come dice
Algernon in L’importanza di chiamarsi Ernesto, di Oscar Wilde. Posso immedesimarmi senza
problemi in questa prospettiva. Lavoro per molte ore al giorno e a volte ho pensato di staccare per
un paio di settimane e starmene senza fare niente. Ma quando ci ho provato, ho scoperto di
esserne del tutto incapace. Le chiacchiere futili mi infastidiscono. Dopo mezz’ora passata a
guardare un film ho il formicolio alle gambe. Starmene seduto in spiaggia è una forma di tortura.
Ogni volta che faccio uno sforzo per riposarmi, la mia mente torna al lavoro che ho abbandonato.

Eppure, per quanto possa essere difficile metterla in pratica, Formica ha avuto l’idea giusta. In
nome della felicità gli stacanovisti di tutto il mondo e di ogni reddito dovrebbero imparare a
fermarsi. Se fate parte di questa categoria, riuscire a riposarvi dovrebbe essere in cima alla lista
delle cose da fare.

Oziare senza sensi di colpa

Aristotele definì il lavoro come l’attività utile. Lo svago, nella sua ottica, era qualcosa che l’uomo
faceva soltanto per prendersi una pausa dal lavoro, in modo da poter tornare a lavorare alla fine
dell’intervallo. Secondo il filosofo l’ozio era qualcosa di diverso, un fine in sé, l’apice della vita
umana. Quasi un elemento divino. Josef Pieper, filosofo del ventesimo secolo, era d’accordo con
Aristotele, e definì il tempo libero come “la base della cultura”.

Per molti anni l’ozio è stato considerato la promessa dorata della prosperità. Nel 1930
l’economista John Maynard Keynes predisse che i suoi nipoti avrebbero lavorato appena tre ore al
giorno. Per Keynes il duro lavoro non era un fine, ma un mezzo per ottenere qualcosa di più
piacevole: la pace, il rilassamento, la libertà dalle preoccupazioni quotidiane. La sua previsione
partiva dal presupposto che l’ozio fosse una tendenza naturale, attuabile senza alcun esercizio
preliminare né sforzo, e non necessitasse di alcuna esperienza. Ma, come posso confermarvi
personalmente, per molte persone questa supposizione non è valida. Forse è per questo che
Keynes ammise che nonostante la prosperità crescente del mondo, non esisteva “nessun paese
né nessun popolo” che potesse “immaginare l’età dell’ozio e dell’abbondanza senza provare
terrore. Questo perché siamo stati addestrati per troppo tempo a faticare senza divertirci”.

Anche quando, nel 2020, molti di noi hanno avuto un’occasione d’oro per ridurre il numero delle
ore dedicate al lavoro e agli spostamenti, in pochi l’hanno colta. Nei primi mesi della pandemia,
tra i lavoratori della cultura la media lavorativa è aumentata di 48,5 minuti. Nel mio caso
l’aumento non è arrivato soltanto dall’occupazione del tempo precedentemente dedicato a
raggiungere il posto di lavoro. Mi sono ritrovato anche a sottrarre tempo alle mie serate e ai miei
fine settimana, come se il lavoro fosse un’erba infestante inarrestabile. Quando la mia casa si è
trasformata nel mio ufficio, i confini che separavano il lavoro dalla vita privata sono svaniti e non
sono stato più in grado di sfuggire al lavoro. Volevo più tempo libero e lo avevo davanti a me, a
portata di mano. Eppure mi sembrava stranamente inaccessibile.

Parte del motivo per cui molte persone evitano l’ozio è legata al fatto che abbiamo imparato a
monetizzare il nostro tempo. Gli statunitensi si sono sentiti dire per tutta la vita che il tempo è
denaro. Possiamo anche lavorare nella prospettiva di avere un po’ di tempo libero, ma in realtà
“spendere” questo capitale ci fa sentire come se stessimo perdendo denaro. Non c’è da stupirsi se
siamo costantemente tentati di tornare al lavoro.

Anteporre il tempo libero al lavoro, anche quando abbiamo già lavorato abbondantemente nel
corso della nostra vita, ci fa sentire in colpa. Nel 1932 il filosofo Bertrand Russell, noto maniaco
del lavoro, parlava di “una coscienza che mi ha costretto a lavorare duramente”. Russell
riconosceva che questa coscienza era dannosa e propose una campagna per “indurre i giovani a
non fare nulla” (non esistono prove del fatto che il filosofo abbia messo in pratica il proprio
consiglio, e non credo che lo abbia mai fatto nessun altro).
Quando l’ozio non ci fa sentire in colpa, spesso rischia di annoiarci. La chimica del nostro cervello
è sintonizzata sull’intrattenimento costante e di conseguenza l’indolenza ci risulta estremamente
fastidiosa. In uno studio del 2014 alcuni ricercatori hanno lasciato un gruppo di persone da sole in
una stanza per un periodo compreso tra i 6 e i 15 minuti, senza niente da fare. I partecipanti hanno
intrapreso qualsiasi attività possibile, compresa quella di autoinfliggersi un elettroshock. Perfino
il dolore (e persino Twitter) è meglio che restare da soli con i propri pensieri.

Nonostante le difficoltà, imparare a non fare niente ci farebbe bene. Lasciare che il pensiero vaghi
liberamente mentre si eseguono compiti semplici e non strutturati può migliorare la nostra
creatività e la nostra capacità di risolvere problemi. I pensieri inconsci durante fasi di riposo
possono produrre idee più originali. Si dice che Cartesio abbia inventato il suo rivoluzionario
sistema di coordinate mentre era a letto e osservava una mosca sul tetto, mentre Einstein avrebbe
formulato la sua teoria delle relatività generale mentre “sognava a occhi aperti”. Annoiarsi un po’
può essere tonificante. Nel 2014 un ricercatore ha scritto su Frontiers in Psychology che la noia
può spingerci a considerare più significative le nostre attività quotidiane. Anche se non esistono
studi precisi in merito, sospetto che il “far niente”, se fatto bene, ci renda più felici.

Forse per alcuni di voi l’ozio è un’attività naturale. Se è così, vi faccio le mie invidiose
congratulazioni. Se invece siete come me, ecco tre passi da intraprendere per migliorare le vostre
abilità nella pratica dell’indolenza.

1. Cominciate con poco

Gran parte di noi ha assorbito fin dall’infanzia l’idea che l’ozio sia un’abitudine da evitare. In
realtà è vero il contrario: dovremmo tutti sviluppare questa abitudine. Ma le abitudini hanno
bisogno di molta pratica per attecchire. Prima di provare a sedervi su una spiaggia senza fare
nulla per una settimana intera, cominciate prendendovi qualche minuto ogni giorno. State seduti
in un luogo pacifico per cinque minuti, meglio se con la possibilità di osservare qualcosa di bello.
Evitate ogni dispositivo tecnologico in modo da permettere alla vostra mente di entrare in quello
che gli scienziati definiscono “default-mode network”, ovvero lo stato in cui le regioni del cervello
utilizzate per il lavoro di concentrazione possono riposare. Quando cinque minuti cominceranno
a sembrarvi un compito facile, aumentate il tempo di ozio di altri cinque minuti. Andate avanti
fino a quando non sarete capaci di oziare per venti minuti al giorno.

1. Fate una vacanza destrutturata


Il professore di ingegneria presso l’università della Virginia Leidy Klotz sostiene che una delle
tecniche più sottovalutate per migliorare la nostra vita sia quella di eliminare le complicazioni.
Klotz ha guidato un esperimento in cui i soggetti ricevevano un itinerario intensivo per una
vacanza ma avevano la possibilità di eliminare alcune attività. Nonostante il programma
fittissimo, in pochi hanno scelto di farlo, forse perché temevano di perdersi qualcosa di
importante. Klotz sostiene che sia la scelta sbagliata, e io sono d’accordo con lui.

Quando avrete perfezionato l’arte dell’ozio quotidiano, seguite questo principio fino all’estremo
organizzando una vacanza in cui potrete godere di un’ozio illimitato. Probabilmente non
trascorrerete tutte le giornate guardando un muro, ma avrete comunque l’occasione di
beneficiare del vero riposo, qualcosa che soltanto l’ozio può regalare. Di sicuro non trasformerete
la vostra vacanza in un’altra forma di lavoro.

1. Scegliete la soft fascination

Durante la vostra vacanza destrutturata vi consiglio di scegliere attività che possono attirare
gentilmente la vostra attenzione lasciandovi al contempo la possibilità di vagare con il pensiero. È
quella che gli psicologi dell’università del Michigan chiamano soft fascination, uno stato
raggiungibile camminando nella natura o osservando le onde. Al contrario la hard fascination (lo
stato che si raggiunge, per esempio, guardando la tv), monopolizza l’attenzione ed esclude il
pensiero rilassato. I ricercatori hanno scoperto che la soft fascination è più rinvigorente di quella
hard. Per esempio in uno studio del 2018 i partecipanti hanno dichiarato che camminare nella
natura era il 15 per cento più utile per “estraniarsi” rispetto a guardare la tv.

Certo, c’è sempre il rischio di esagerare con questa difesa dell’ozio e diventare persone pigre che
alla domanda “cosa fai?” rispondono “faccio il meno possibile”. Il trucco è evitare di diventare un
manico del lavoro ma anche uno sfaccendato. Si tratta di trovare un equilibrio tra il lavoro e l’ozio
in cui nessuna delle due attività sia trascurata o sovrastata dall’altra. Entrambe dovrebbero essere
praticate con serietà e determinazione nei luoghi e nei momenti adatti.

Se programmare l’ozio vi sembra innaturale, pensate al fatto che per mantenere una buona salute
è necessario programmare i pasti e l’attività fisica ogni giorno. Programmate lo “spazio bianco”
nella vostra giornata e tenetevi lontani dalle necessità tiranniche del lavoro (ma anche dal cibo e
dall’esercizio fisico). Se vi sentirete in colpa o avrete la sensazione di “sprecare” il tempo e con
esso il denaro, ricordate le parole del poeta gallese William Henry Davies: “È una vita povera
questa, se, pieni di preoccupazioni, non abbiamo il tempo di fermarci e osservare”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)

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