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COME RIPENSARE L’ORATORIO?

“Se il SIGNORE non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori”.


Partirei da qui, da quello che non può mancare perché costituisce il fondamento, il senso per cui
tutti noi, io stessa sono qui a scrivere ora: Gesù.
Si ri-pensa per Cristo, con Cristo, in Cristo. E’ scontato?
Credo di non stupire nessuno nel dire che non darei per scontato che nei nostri oratori questo sia per
tutti il punto di partenza e di arrivo. Non voglio esprimere un giudizio sulle persone, ma fare
un’analisi della realtà. Abbiamo oratori più o meno pieni di volontari, genitori, educatori, uomini e
donne bravi, ma ahimè a volte poco “belli”. Persone magari anche preparate, ma che Gesù non lo
hanno mai incontrato davvero, non è stata per loro un’esperienza di gioia. Di conseguenza non
hanno ben chiaro in testa e nel cuore il senso del loro affaticarsi: sbattersi tanto e magari anche bene
per i ragazzi senza aver chiaro che si costruisce per Gesù, con Gesù, e soprattutto “in” Gesù porta a
costruzioni magari grandi, ma che nel tempo si creperanno, cederanno ecc. Per costruzione intendo
“persona capace di amare”. Lo ha dimostrato la pandemia: in tempo di crisi alla messa della
domenica, già era difficile prima, ma ora i ragazzi rimasti si contano senza sforzi. Perché? Perché
non hanno trovato e non trovano lì la risposta al loro desiderio d’amore. Magari la trovano in una
partita a calcetto nel cortile dell’oratorio, o in un allenamento della polisportiva, nell’incontro con
gli amici al tavolino del bar, nelle prove di teatro; il che è buono, si passa da queste esperienze, ma
sono dimensioni di superficie (in una figura la lunghezza e la larghezza = superficie). I cristiani
sono “i viventi”, il loro compito è di mostrare che quelle dimensioni buone hanno la capacità di
trasformarsi in “solidità” facendo spazio alla dimensione terza: la profondità/l’altezza.
Diversamente l’oratorio rimane un’assistenza sociale buona. Ma dove sta la bellezza, il “CHE
BELLO!” che dà senso a tutto e fa ritornare indietro a ringraziare? Un ragazzo in oratorio guarda
l’adulto o l’educatore o l’allenatore che stima e il suo desiderio è di seguirlo: ora, se questo passa la
maggior parte del suo tempo tra pulire il cortile, turni al bar, allenare, preparare giochi e tombolate,
friggere le patatine alle feste estive e al Signore dedica sì e no due ore al mese, magari uscendo
prima da chiesa perché deve stendere le tovaglie per l’apericena, o perché l’allenamento o la prova
generale è agli stessi orari della preghiera volenti o nolenti quel ragazzo metterà al centro tutto
tranne che il coltivare un rapporto personale con Gesù. Per carità, dedicherà un poco di tempo anche
a Lui, ma Lui non sarà mai il Centro, Il Motivo, Il Senso, la dimensione di profondità che gli serve
per costruirsi come persona solida (cioè capace di un rapporto importante d’amore).
Credo quindi che il primo ripensamento significativo necessario sia quello di un accompagnamento
serio della formazione cristiana degli uomini e delle donne che si affaccendano intorno all’oratorio.
Mi spiego: se Lucia barista, Paolo educatore, Piero tuttofare, Franco direttore della compagnia
teatrale, Sandro allenatore, ma spesso anche le Pina catechista, sono tutti brave persone, anche
tecnicamente preparate, ma non sono consapevoli del proprio Battesimo, e cioè che la vita “in” cui
si muovono oggi non è la stessa vita biologica che ha dato loro la mamma quando sono venuti al
mondo, cioè non sono consapevoli del fatto, ripeto “fatto!” che il loro funerale è già stato celebrato
quel giorno, che quella vita è morta, non c’è più, è davvero morta, e che contemporaneamente sono
stati innestati in una vita totalmente nuova, divina e che quindi non avrà mai fine (almeno che,
grazie alla libertà, se la giochino in questo frangente di tempo sulla Terra); se non sono consapevoli
che la vita che abita il loro corpo appunto è divina, non è più la vita naturale che inizia e finisce con
i vermi, ma la stessa vita di Gesù, di Dio! caspita, e che quindi vivere tutte quelle esperienze alte di
cui parliamo sempre (che il cuore di ognuno desidera) è possibile non per i nostri sforzi, ma perché
viviamo di fatto in una Vita che già vive di quelle profondità/altezze, se non c’è tutto questo, quale
gioia abiterà questi uomini e queste donne da essere così grande da fare rizzare le antenne ai nostri
ragazzi? Si capisce che una “notizia” è “buona” quando chi te la porta salta di gioia, ha la gioia che
gli esce dagli occhi e non può fare a meno di dirti il perchè. Se le nostre Lucie, Paoli, Pine ecc. non
si approprieranno della propria identità con la conseguente relativa fuoriuscita di gioia che desidera
mostrarsi ai ragazzi, che li sa accompagnare attraverso i loro dolori, temo che ogni nuova soluzione,
per quanto ben architettata non sortirà i risultati sperati. Si cresce per attrazione, ispirazione, allo
stesso modo si evangelizza, non c’è un’altra strada.
Ovviamente ognuno poi si inserisce con la propria storia, le proprie fragilità, ma se la nave-oratorio
è una, la rotta è una per tutti, nelle intenzioni e negli sforzi si tende verso la stessa direzione:
educare la coscienza generale alla necessità di preghiera e formazione costante per tutti. Per
divenire credibili, attraenti. Belli!
Questa missione come base di partenza, poi c’è un discorso di funzionamento PRATICO.
Premessa teorica: si è appurato ormai che strutture educative come gli oratori avevano in passato un
valore di supplenza e quindi ci si domanda se hanno più ragione di esistere in una società diventata
adulta e in grado di offrire servizi. Viviamo in una società che mai come oggi specie nei confronti
delle nuove generazioni è in grado di offrire un arco molto ampio di proposte. La Chiesa come
agenzia educante compare, ma pare che in qualche modo riesca solo a preservare, cerca di trattenere
il flusso della massa giovanile verso i luoghi del consumismo. Ci vorrebbe invece un’azione che
punti a proporre contenuti e modelli organizzativi migliori. L’oratorio tradizionale era alternativo
alla strada e quindi non necessitava di grandi mezzi e di grandi risorse di immaginazione. Oggi
invece si tratta di creare luoghi e strumenti alternativi e quindi di proporsi non come qualcosa che
copre un vuoto, non essendoci altro, per non vederli per strada o chissà dove, ma come qualcosa di
diverso, di più autentico e anche di più ricco culturalmente e ludicamente. Non in concorrenza alle
altre proposte, ma alternativo alle altre proposte. Qualcosa che non trovi dalle altre parti.
Se volessimo definire che cos’è l’oratorio: «l’oratorio è l’istituzione attraverso la quale la
parrocchia realizza il suo compito educativo di formare cristiani adulti nella fede, che offrano nella
Chiesa e nella società una testimonianza matura della loro adesione a Cristo».
Ne deriva che l’oratorio non è un ambiente generico di intrattenimento (secondo il detto: “meglio lì
che altrove”), di ricreazione, di ritrovo amicale fine a se stesso, ma è fortemente caratterizzato da
una proposta chiara che si propone obiettivi non vaghi, ma intensamente caratterizzati in senso
cristiano. Per perseguire questi obiettivi ci è sempre stato detto che il metodo corretto da usare è
quello “della globalità”, ovvero si vuol prendere cura non solo di un settore della vita del ragazzo
ma la sua formazione integrale. Cioè se deve essere educazione globale, l’oratorio non può essere
solo catechesi, solo gioco, solo sport, solo Liturgia, ma il risultato della combinazione armonica di
tutti questi momenti di modo che il ragazzo è educato come per “immersione” non attraverso una
testimonianza verbale ma grazie alla presenza di modelli concreti di vita e di uno “stile” a cui
volentieri, per imitazione e per progressiva assimilazione, aderisce.
MA IN CONCRETO QUINDI COME MUOVERSI?
Io penso questo:
Se consideriamo i Nove mesi principali dell’anno:
La giornata di un ragazzo (in tempi no-pandemia) nei 5 giorni infrasettimanali si svolge più o
meno per tutti in questo modo:
scuola fino alle quattro (anche le medie tra attività doposcuola – per le superiori in linea di massima
di più), qualche volta un’ora di svago se ci sono i nonni, attività sportiva o attività musicale, rientro
a casa, compiti, cena con la famiglia (per la maggior parte unico momento di condivisione con tutti
i membri della famiglia, ma negli ultimi anni specialmente per i più grandi anche l’orario di cena è
stato sostituito dagli orari delle attività sportive per cui si perdono anche questo momento di
condivisione famigliare), serata a piacere spesso ancora con i compiti.
Sabato mattina compiti / pomeriggio partite o ancora lezioni varie
Domenica: mattino: le famiglie che ce la fanno ancora li mandano a catechismo, alcuni anche a
messa (i genitori stanno a casa), gli altri usano la giornata liberamente per recuperare momenti di
condivisione famigliare insieme. Se non hanno un vissuto di fede questi necessari recuperi non
avvengono tra i banchi del catechismo o della chiesa, ma altrove.
Pomeriggio: per i supereroi un po’ di gioco all’oratorio
Estate: campi estivi sportivi / grest / vacanze

La crescita integrale di un ragazzo prevederebbe che quotidianamente la sua vita fosse immersa in
uno stile, un vissuto generale che tutto l’ambiente adulto intorno a lui vive ogni giorno. Ma noi
abbiamo ragazzi che frequentano per sei ore al giorno scuole magari anche buone per quanto
riguarda l’istruzione, ma che spesso non sono “belle” in senso cristiano; poi escono e si allenano in
società sportive o scuole di danza o di musica buone dal punto di vista del passaggio dei valori
(spesso, ma non sempre), ma che tra una partita e la via crucis pensata per i ragazzi si dispiacciono,
ma non possono farci niente: c’è la partita, ci sono le prove, c’è il saggio; case in cui ci si vede poco
durante la settimana, spesso nemmeno a cena e che sfruttano il fine settimana per stare insieme solo
tra loro, dimentichi di Dio la domenica in quanto Dio del resto non c’è nemmeno negli altri giorni.
In estate il grest è sinonimo di oratorio, ma quanti tornano alla domenica mattina? E poi bastano tre
mesi per fare un anno? Non è così per tutti, certo, ma per quanti lo è? La risposta l’ha data il
(non)ritorno alla frequenza della messa in sicurezza in tempi di pandemia.
Cosa si potrebbe fare dunque se la realtà è questa?
Per puntare all’integrale l’ideale sarebbe avere l’opportunità di poter scegliere di frequentare
gratuitamente scuole di impronta cristiana fin da piccoli. La libertà educativa tanto declamata, ma al
momento poco attuabile.
Ribadendo che alla base va rivoluzionato l’accompagnamento degli adulti (tutti, dai catechisti ai
baristi) affinchè divengano consapevoli del proprio Battesimo e si orientino a collaborare non a
compartimenti stagni, ma in rete, poi lo sforzo a mio avviso, per gli Oratori così come sono ora,
potrebbe andare in due direzioni:
1. Attivare “mission” fra gli educatori per “abitare” il vissuto dei ragazzi nei luoghi che
frequentano, anche quando questo luogo non è fisicamente l’oratorio. Mi spiego con un
esempio: se sono un giovane educatore amante del calcio, mi propongo come “mission” di
cercare una relazione con quei quattro ragazzi che in oratorio non ci vengono mai, ma nel
loro tempo libero tutti i giorni o il sabato o la domenica fanno due tiri nel cortile sotto casa.
Cura delle relazioni, costanza, lasciarli motivando che li lasci perché vai all’adorazione: il
mio stile sia loro godibile. La prossima volta invitare in cortile l’altro giovane amico
educatore…
Oppure Se sono insegnante di danza in una palestra o società sportiva, le mie scelte per i
ragazzi a me affidati siano in linea con quello in cui credo: il mio stile cristiano sia
riconoscibile, si sappia che l’oratorio ha contribuito a crescermi cristiana, che la preghiera
per il sacramento della Prima Comunione oggi viene prima della lezione, che alla domenica
mattina non ci sei per la prova supplementare perché vai alla S. Messa.
Ecc.

2. L’Oratorio di oggi, se vuole “esserci” per una crescita integrale non può essere solo
domenicale. La Parrocchia tramite l’Oratorio si proponga come interlocutore autorevole per
i progetti della scuola pubblica e, dopo gli orari scolastici, il doposcuola sportivo, musicale,
teatrale, ludico dei ragazzi possa trovare un’alternativa valida e di qualità nelle proposte a
impronta cristiana dell’Oratorio. Come si diceva ci sono tante proposte nel panorama di
queste attività, proposte che tra loro si fanno concorrenza. L’oratorio invece offra una
esperienza alternativa.
Un esempio per tutti: una scuola di danza, con insegnante tecnicamente di qualità come in
tutte le altre scuole, ma che proceda in linea con il progetto educativo della pastorale di
quella comunità, definendo priorità, esperienze, scelte artistiche ragionate e piene di senso,
orari che lascino spazio ai rapporti famigliari serali, alle preghiere comunitarie. Che li
accompagni con la propria presenza nei momenti salienti della loro vita cristiana come i
sacramenti della prima Comunione o Cresima, o del Battesimo dei fratelli. Che includa i
disabili e si attrezzi per questo.
Che, per impostazione del progetto educativo, proceda in rete con il resto dei gruppi
oratoriani, in primis con i catechisti, ad esempio coreografando un tema specifico con il fine
non della performance, ma di passare Cristo attraverso lo strumento della danza. Che diventi
un metodo.
Che preveda costi più contenuti per le famiglie, grazie al volontariato amministrativo.(*)
L’esempio sia declinato allo stesso modo per tutte le attività sportive di cui la Parrocchia
vuole farsi promotrice, ma anche per quelle musicali. Insegnanti qualificati di strumento, di
canto corale possano trovare spazio fra le proposte dell’Oratorio con un “c’è di più”. In
Oratorio in più c’è Dio che balla, che canta, che suona, che schiaccia, che fa goal con i
ragazzi.
Ps. Attenzione: lavorare in rete poi non significa che sia sempre l’allenatore ad adattarsi agli
orari delle preghiere/incontri/celebrazioni, ma che queste, a maggior ragione se sono pensate
per i ragazzi anziché essere decise a tavolino, siano concertate con il resto della comunità
educante per andare insieme nella stessa direzione. La formazione integrale presuppone la
presenza del ragazzo ai diversi contesti, ma c’è una fattibilità che va considerata
ovviamente.
I ragazzi, così immersi, dal catechismo alle attività qualitativamente strutturate
extrascolastiche, in un contesto valoriale chiaro che ha una destinazione chiara e che ruota
intorno a un Centro chiaro, creeranno relazioni stabili per le quali in modo naturale
aderiranno poi anche a proposte più impegnate.

L’Oratorio è per sua natura sempre aperto a tutti e accogliente, anche per chi è solo di passaggio,
ma è tempo che si assuma anche l’onere di rispondere alle esigenze dei ragazzi di questo tempo
nella loro quotidianità strutturata (non più libera come una volta e non solo domenicale) con la
propria impronta determinante cristiana. Per far questo, oltre a rimboccarsi le maniche per gestire
una proposta strutturata di qualità e costante, ha in primis la necessità di ricordare ai battezzati suoi
collaboratori, genitori compresi, che sono “i viventi” chiamati a mostrare come si vive “da Dio” nel
mondo.

*Ps. Esperienza simile in un certo qual modo è stata proposta a Izano. Non ha funzionato
esattamente secondo l’ideale immaginato, in quanto mancante della rete di supporto, ma per
diversi anni ha tessuto relazioni e contribuito a crescere giovani in seno a un ambiente cristiano
che si è sforzato di esserlo anche nelle scelte relative a tale particolare esperienza e aiutato
famiglie grazie al volontariato amministrativo. Con un sostegno di rete pastorale avrebbe potuto
caratterizzarsi di più e meglio, ma in ogni caso è stata segno che la direzione era giusta, in quanto
le relazioni instaurate riportavano i ragazzi a stare insieme poi anche nel vivere altre esperienze
parrocchiali/oratoriane che veicolavano una possibilità di incontro più personale con il Signore.

Spero di non essere stata troppo lunga e di avere dato qualche spunto.
Ciao, grazie
Cristina Vailati Facchini

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