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10 MINUTI SULLA VOCAZIONE MISSIONARIA

p. Salvatore Franco omi

Vorrei descrivere la vocazione missionaria attraverso le 4 dimensioni fondamentali dell’esistenza: la


lunghezza, la profondità, l’altezza e il tempo

Lunghezza: Un cuore grande quanto il mondo

Quando Gesù inviò gli apostoli li mandò sino ai confini della terra: “Di me sarete testimoni a Gerusalemme,
in tutta la Giudea e la Samaria e fini ai confini della terra” (At 1,8). Immaginiamo di poterci alzare in volo
partendo dal punto in cui ci troviamo fino a poter vedere in un solo colpo d’occhio l’intera distesa della
terra. Guardando quei paesaggi, le case, la gente che cammina, proviamo ad immaginare quante storie si
succedono nello stesso istante in cui si svolge la nostra vita. A questo punto è probabile che ci accorgeremo
che il nostro cuore, a quella vista, pian piano si fatto un po’ più grande, si è ampliato il suo spazio interno e
ci sentiremo un po’ più parte dell’umanità e quelle vite, quelle storie, faranno più parte anche di noi. La
vocazione missionaria è questo ampliare gli spazi del cuore. Quando un vescovo cercava dei missionari da
inviare tra gli eschimesi nel nord del Canada vicino al polo nord, gli fu detto di rivolgersi al fondatore della
mia congregazione: Eugenio de Mazenod, vescovo di Marsiglia, con queste parole: “Vada a Marsiglia. Il
vescovo, padre di una congregazione ancor piccola, ha un cuore grande come il mondo. Va le dico e faccia
ben notare che si tratta di salvare delle povere anime, povere, poverissime. Insista su ciò: sarà la parola
irresistibile”

Profondità: il cuore dei poveri abbandonati

Immaginiamo ora di scendere dal punto che abbiamo raggiunto salendo in alto e di calarci in una delle
tante strade che avevamo intravisto da lontano. Immaginiamo di essere capitati in una grande città, in
quartiere molto popolare. Ci sono dei bambini che stanno giocando, altri si stanno azzuffando, poi ce n’è
uno che sta seduto in disparte con gli occhi tristi fissi davanti a sé. Allora decidiamo di avvicinarci proprio a
lui e notiamo che i suoi vestiti sono sporchi, malcurati. Gli chiediamo come si chiama e quello risponde
“Pedro”. Lo invitiamo poi ad accompagnarci a casa sua e scopriamo che dove abita c’è buio, un via vai di
gente, confusione, musica ad alto volume, fumo nell’aria. Chiediamo: “Dov’è il tuo papà?” ma non
otteniamo risposta. Man mano che guardiamo quel volto e quegli occhi è probabile che ci compenetreremo
nel cuore di quel bambino e capiremo meglio la sua povertà che non è solo di cose materiali ma di cose più
importanti. Quando ero ragazzo fui molto colpito da un documentario sui bambini delle strade di Bogotà, in
Bolivia. Quei volti parlavano al mio cuore e mi dicevano: “Vieni, vieni da noi”. Ecco la vocazione missionaria:
uno sguardo posato sui volti e sul cuore delle povertà di persone magari lontane da noi, estranee alla
nostra vita, ma che fa percepire una chiamata a dedicarsi ad esse o a persone a loro simili.

Altezza: la sete, spesso sconosciuta, di Cristo

Proviamo ad immaginare ancora che siamo usciti da quella casa e ci intratteniamo un po’ con Pedro, gli
chiediamo se va a scuola, se ha amici e man mano che egli ci racconta di sé, della sua famiglia, del suo
mondo fatto di ingiustizie, bullismo, miseria, abusi di ogni genere ci chiediamo sempre più insistentemente:
“E se questo mondo in cui questo bambino vive fosse illuminato dalla presenza di Gesù, non sarebbe
diverso? Non troverebbe Pedro qualcuno che si prendesse cura di lui, che lo difendesse dal male, che lo
farebbe tornare a scuola per diventare un giorno una persona che a sua volta farebbe del bene ai piccoli
come lui? Ecco la vocazione missionaria: una profonda consapevolezza del valore liberante e pienamente
umano della fede in Cristo.

Il tempo: Eroi per abitudine

Immaginiamo in ultimo che, dopo questa chiacchierata con Pedro, sentiamo in noi un appello a restare con
lui, a non lasciarlo solo per strada. Probabilmente risuoneranno nel nostro cuore le parole di Gesù “Ecco, io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). L’amore infatti è costanza, è rimanere vicini
nel tempo, si misura nel quotidiano, nelle piccole cose di ogni giorno. L’amore è scegliere di dare ogni
giorno la vita per qualcuno. Diceva un mio confratello missionario in Congo, Giovanni Santolini: “Non è che
Dio ti comanda la vita sempre, però può domandartela, cioè, non è che devi morire nel senso proprio che ci
lasci le penne ogni volta. Ma se a un certo momento tu dici: «Io dò la vita ogni giorno, lavando quel malato,
facendo quel servizio, aiutando quella persona, facendo quella cosa», sei talmente abituato a dare la vita,
che poi ad un certo momento può anche capitare che hai la fortuna di darla davvero questa vita (…). Non è
che uno fa l’eroe perché fa l’eroe, è che tu hai talmente l’abitudine di dire: «C’è una persona che ha
bisogno…» e gli dai una mano. Ti dicono: «Hanno preso quello…» e dici: «Va bene, andiamo a liberarlo», È
successo così… e poi diventi eroe per abitudine”. Quando ero a Palermo ed entravo nella casa delle
missionarie comboniane che abitavano nella mia parrocchia, mi colpiva ogni volta un poster con l’immagine
di una suora con in braccio un bambino africano e con sotto la scritta: “Questa è la vita che ho scelto”. Ecco
la vocazione missionaria: una scelta di stare accanto alla gente a cui si è stati inviati, a farsi carico dei loro
dolori e a partecipare alle loro gioie e a dare loro la propria vita ogni giorno.

Concludo con quanto ha scritto nel suo diario un altro mio confratello Mario Borzaga, ucciso in Laos a soli
28 anni: “Noi missionari siamo fatti così: il partire è una normalità; andare una necessità, domani le strade
saranno le nostre case; se saremo costretti ad ancorarci in una casa la trasformeremo in una strada: a Dio”

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