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Terza rivoluzione industriale

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La terza rivoluzione industriale si differenzia dalla precedente; ha compreso processi di trasformazione


della produzione di beni che nei Paesi sviluppati occidentali hanno coinvolto aspetti sociali ed economici; a
partire dalla metà del XX secolo l'innovazione tecnologica ha innescato mutamenti che hanno prodotto
sviluppo economico e progresso sociale, anche se non equamente diffusi; il fenomeno, a partire dalla fine
del secolo, si è esteso ad altre realtà, in particolare a Cina e India e Stati Uniti d'America.

Indice
Cause
Corsa allo spazio
Effetti
La fine del fordismo
La rivoluzione del lavoro
La rivoluzione informatica
New economy ed economia digitale
L'inquinamento e l'economia verde
Storia del problema ecologico
Controllo delle informazioni
Influenze culturali
Note
Bibliografia
Voci correlate

Cause
Tra le cause della terza rivoluzione industriale si possono annoverare:

La crescita, lo sviluppo e l'accumulo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche già a


partire dall'inizio del Novecento, spesso nate nel contesto militare delle guerre mondiali
della prima metà del secolo e successivamente in quello della guerra fredda tra le maggiori
superpotenze mondiali del dopoguerra, Stati Uniti d'America e Unione Sovietica. Esempio:
la prima rete telematica che avrebbe unito le università californiane di Los Angeles e Santa
Barbara, lo Stanford Research Institute e l'Università dello Utah – ARPANET – era già in
funzione dal 1969, sulla base di un progetto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
Condizioni politiche assai più stabili nei Paesi occidentali rispetto a quelle della prima metà
del secolo hanno poi favorito la crescita economica, a partire dalla ricostruzione post-
bellica, verso settori a quel tempo ancora inesplorati, permettendone la diffusione
progressiva verso il ceto medio del modello socio-economico occidentale.
Con la scoperta e lo sfruttamento dell’energia atomica siamo entrati in una fase del tutto
nuova, quella appunto della terza rivoluzione industriale.[1] E ciò per almeno due
considerazioni generali: sotto il profilo pacifico lo sfruttamento dell’atomo significa la
liberazione di un’energia immensa e l'emergere di altrettanto enormi problemi legati
all'inquinamento; mentre sotto il profilo militare significa che per la prima volta l’umanità ha
avuto la possibilità di distruggere completamente se stessa e il pianeta su cui vive.

Il risultato complessivo di queste forze contingenti si è concretizzato dunque in una forte spinta e
accelerazione al progresso e all'innovazione tecnologica in molti settori industriali, favorito da una maggiore
e più rapida diffusione di innovazioni e prodotti grazie all'inizio del processo di globalizzazione dei mercati,
con rapidi stravolgimenti microeconomici e macroeconomici, nel mercato del lavoro, demografici e in
ultimo quindi sugli stili di vita della popolazione occidentale. Lentamente, ma in maniera meno pervasiva,
parte di questi effetti si sono propagati anche nel secondo e terzo mondo, specie laddove in presenza di
regimi di sfruttamento coloniale o in generale delle risorse del Paese in questione da parte di multinazionali.

Corsa allo spazio


Lo stesso argomento in dettaglio: Corsa allo spazio.

Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, Stati Uniti e


Unione Sovietica nell'ambito della guerra fredda si contesero per
decenni il primato dell'esplorazione spaziale. Inizialmente i russi ebbero
la meglio, lanciando in orbita il satellite artificiale Sputnik I (1957).
Nello stesso anno, inoltre, mandarono nello spazio il primo essere
vivente, Laika, una cagnetta. Un anno dopo, anche gli americani
lanciarono in orbita un loro satellite, ma poco tempo dopo i sovietici
inviarono nello spazio il primo essere umano: Yuri Gagarin (1961).

Nel 1969 anche gli statunitensi riuscirono ad avere un proprio primato


nella storia dell'industria aerospaziale, mandando sulla Luna l'Apollo
11, che con il suo equipaggio atterrò sul suolo lunare, sul quale per la Uomo sulla Luna
prima volta posero piede degli esseri umani.

Negli anni successivi vi sono state enormi innovazioni nel campo aerospaziale. Per esempio nel 1981 fu
costruito il cosiddetto Space Shuttle, un vettore riutilizzabile più volte che rivoluzionò la conquista dello
spazio.

Dagli anni Settanta in poi vi è stato un forte aumento di lanci di satelliti artificiali, del quale Stati Uniti ed
Europa detengono il primato. Uno degli scopi principali del loro utilizzo è il campo delle
telecomunicazioni. Questi vengono inoltre utilizzati per rilevamenti meteorologici e geologici, ma anche a
scopi militari.

Altre importanti applicazioni sviluppate dal secondo dopoguerra furono il radar e il laser.

Effetti
Allo shock petrolifero del 1973, seguì un terremoto tecnologico che, negli ultimi decenni del Novecento,
trasformò la vita quotidiana dei Paesi più ricchi, attraverso la produzione di oggetti (dai televisori ai dischi,
dalle radioline alle calcolatrici, per arrivare al computer e al telefono portatile) che modificarono non solo
gli spazi di relazione pubblica tra gli uomini, ma anche gli interni domestici dell'esistenza. La ricerca e lo
sviluppo di nuove tecnologie diventarono un settore essenziale della crescita economica, un indicatore di
grande efficacia per stabilire una nuova gerarchia tra Paesi ricchi e poveri: se, negli anni Settanta, in un
paese industrializzato si contavano 1000 scienziati per un milione di abitanti, la Nigeria, per esempio, ne
aveva appena 30.[2]

Le tecnologie ad alta intensità di capitale, concentrate nei settori dell'informatica e della telematica,
avviarono un nuovo sistema di produzione, che determinò il brusco declino di tutte le lavorazioni basate su
grandi concentrazioni di manodopera; la presenza umana cominciò allora ad affievolirsi sia nella
produzione sia nell'erogazione di servizi.[2] Gli enormi cambiamenti nel modo di produzione e di lavoro che
comportò l'introduzione dell'alta tecnologia hanno permesso di classificare questa fase come terza
rivoluzione industriale distinguendola in tal modo dalla prima rivoluzione industriale, avviatasi nella
seconda metà del Settecento, che aveva avuto l'impiego del carbone e l'invenzione della macchina a vapore
come elementi distintivi e il tessile come settore trainante; e dalla seconda, verificatasi negli ultimi decenni
dell'Ottocento e segnata dall'utilizzo dell'elettricità e del petrolio come nuove fonti di energia,
dall'invenzione del motore a scoppio e dallo sviluppo della produzione dell'acciaio e dell'industria chimica.

Due secoli dopo una prima rivoluzione industriale che ha costruito la ferrovia, un secolo dopo la seconda
che ha prodotto l'automobile e l'aereo, oggi ci imbarchiamo fatalmente in una rivoluzione che trasforma
ciascuno di noi nel motore immobile di una miriade senza fine di trasferimenti virtuali: la rivoluzione
informatica.[3]

Un fattore di sviluppo legato alla terza rivoluzione industriale è il costante sviluppo dei trasporti terrestri,
aerei e marittimi favorito dallo sviluppo tecnologico nei rispettivi settori industriali (industria
automobilistica, industria aeronautica con nascita e sviluppo dell'aviazione civile, industria navale) nonché
dalla realizzazione di sistemi stradali sempre più evoluti e capillari. Questa complessa rete di trasporti finirà
per favorire sempre più il commercio internazionale alimentando il fenomeno della globalizzazione.

La fine del fordismo


Lo stesso argomento in dettaglio: Postfordismo.

Dagli inizi degli anni Settanta prese così ad affermarsi, prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo, un
nuovo sistema di fabbrica, detto postfordista[2] per indicare la progressiva e relativa diminuzione del peso
del modello di produzione e lavoro instaurato negli anni Venti negli Stati Uniti, con la catena di montaggio
e la parcellizzazione del lavoro che avevano trovato nelle fabbriche per automobili Ford l'esempio più
coerente e completo.[4] Il modello postfordista fu segnato dall'avvento di una miriade di aziende di
dimensioni ridotte, che andavano dal laboratorio familiare ai piccoli stabilimenti ad alta tecnologia: una rete
produttiva diffusa senza più un centro geograficamente riconoscibile in una fabbrica o in una città. Anche i
grandi stabilimenti industriali, quando sopravvissero, cambiarono radicalmente i propri assetti interni,
automatizzando e modificando le precedenti lavorazioni a catena.

La necessità di superare il modello estensivo del fordismo, di una produzione standardizzata di massa i cui
costi crescenti (materie prime, energia e lavoro) riducono i profitti di un'economia di scala finora
vantaggiosa, produce effetti differenziati ma in larga misura convergenti: investimenti in nuovi settori
tecnologicamente avanzati (microelettronica, telecomunicazioni, biotecnologie); dislocazione delle aziende
tradizionali nel settore automobilistico (per esempio la FIAT[2]) delle televisioni o dei frigoriferi, in aree a
basso costo di lavoro (Europa orientale, America Latina, Sud-est asiatico), detta esternalizzazione; riduzione
di scorte e magazzini e produzione calibrata sulle ordinazioni (just-in-time); diversificazione dei modelli e
prodotti; abbattimento delle spese generali; appalti e subappalti a imprese esterne delle componenti e di fasi
dell'assemblaggio; diminuzione del numero degli operai (licenziamento collettivo) e allo stesso tempo
l'allargamento delle basi delle aziende – occupazionali e fisiche – su scala mondiale[2]. In una parola sola:
flessibilità, un termine riassuntivo gravato di valenze positive e negative secondo gli effetti da essa prodotti
su diversi segmenti della società a livello mondiale. La nuova produzione flessibile, che si adatta e riduce i
tempi morti, che approfitta della diminuzione del costo dei trasporti e delle nuove opportunità finanziarie, si
sviluppa orizzontalmente, in una rete di aziende grandi e piccole sparse in ogni luogo e collegate tra loro
dalla rapidità sia di informazione sia di comunicazione che ha segnato l'avvio della terza rivoluzione
industriale.

La rivoluzione del lavoro

Nel 1979 gli occupati del settore manifatturiero negli Stati Uniti erano 21
milioni, diminuiti tredici anni dopo di tre milioni, con un tasso medio annuo
di crescita di -1,2%; nello stesso periodo i lavoratori nei settori dei servizi
(alle persone e informatici) sono aumentati del 9% annuo[5]. La produttività
cresce, più o meno nello stesso periodo (1979-87), dell'1,9% orario per
l'insieme dell'economia e del 3,1% nel settore manifatturiero[6]. I tradizionali
operai, le "tute blu", diventano di meno ma producono di più, mentre cresce
il numero dei "colletti bianchi" in servizi tradizionali o di tipo nuovo,
tecnologicamente avanzato. Sono anni, questi, in cui la velocità di crescita
della produttività è generalmente inferiore che nel passato, più negli USA
che in Europa; si assiste infatti, particolarmente nel settore dei servizi, a un
rallentamento della crescita di produttività che ha luogo in concomitanza
con l'introduzione di nuove tecnologie.

I dati statistici, in questo caso, nascondono dietro un'apparente uniformità delle differenze profonde. Sotto
la voce "servizi", infatti, si collocano tutti i lavoratori che non sono occupati nelle industrie manifatturiere o
nelle campagne, mescolando coloro che operano nel campo dell'educazione, della sanità, della pubblica
amministrazione (la cui produttività è del resto difficile da valutare) con i lavoratori delle ferrovie, degli
aeroporti o delle linee aeree, delle telecomunicazioni (l'aumento della produttività in questo settore risulta,
infatti, nel periodo esaminato, attorno al 6% annuo).[4] Quel che appare chiaro, e che costituisce un
elemento incontrovertibile dei dati statistici, è il progressivo diminuire degli addetti al settore industriale, un
fenomeno che ha fatto classificare come "deindustrializzazione" quella che altri hanno chiamato terza
rivoluzione industriale. Negli anni Novanta, soprattutto a partire dalla metà del decennio, l'aumento medio
di produttività tornerà a raggiungere un tasso più elevato, superiore addirittura in alcuni momenti a quello
del periodo dell'"età dell'oro" tra fine anni Cinquanta e primi anni Settanta.[4]

Tra gli anni Venti e gli anni Settanta si era avuto, nei Paesi più sviluppati industrialmente, un incremento
costante della manodopera nelle aziende manifatturiere a scapito dei lavoratori dell'agricoltura. Nei
vent'anni successivi l'impiego in fabbrica diminuisce, a scapito dei servizi, anche se in modo disuguale e
disomogeneo. Mentre la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l'Italia hanno sperimentato una rapida de-
industrializzazione (riducendo la percentuale della loro occupazione manifatturiera nel 1970-90 dal 38,7 al
22,5%; dal 25,9 al 17,5%; dal 27,3 al 21,8% rispettivamente), il Giappone e la Germania hanno ridotto
moderatamente la loro quota di forza lavoro industriale: dal 26 al 23,6% nel caso del Giappone e dal 38,6%
a un livello ancora del 32,2% nel 1987 nel caso della Germania. Canada e Francia occupano una posizione
intermedia, avendo ridotto l'occupazione manifatturiera dal 19,7 al 14,9% e dal 27,7 al 21, 3%
rispettivamente.[7] Nei Paesi del G7[8] la maggioranza della popolazione lavora, all'inizio degli anni
Novanta, nel settore dei servizi; con una crescita rilevante nei campi della elaborazione e informazione
legati alle nuove tecnologie, ma anche dei servizi sociali, della distribuzione, dell'industria del tempo libero.

Le trasformazioni del ventennio 1970-90 sono accompagnate da un aumento della disoccupazione e dal
tramonto dell'illusione di un impiego stabile e a tempo pieno.[4] Il successo, temporaneo ma significativo,
che ha accompagnato negli anni Ottanta il "toyotismo" e la filosofia della "qualità totale" delle fabbriche
giapponesi e coreane, si deve in parte al tentativo di risolvere i problemi di produttività e innovazione senza
colpire il legame occupazionale che univa tradizionalmente l'operaio all'azienda per tutta la vita. Il
coinvolgimento dei lavoratori come controllori del prodotto capovolgeva, accogliendo i princìpi sul
controllo di qualità di Edward Deming, la pratica che li vedeva alla base di una piramide gerarchica di
controllo dall'alto.

I princìpi ispiratori della "produzione snella", messi a punto dai giapponesi in circa vent'anni e rapidamente
diffusisi in tutto il paese, possono essere così sintetizzati:[1] «Il produttore snello combina i vantaggi della
produzione artigianale con quella di massa, evitando l’elevato costo della prima e la rigidità della seconda.
La produzione snella (termine coniato dal ricercatore dell'IMVP John Krafcik) è così detta in quanto di tutto
impiega una minor quantità rispetto alla produzione di massa: metà delle risorse umane nell'azienda, metà
dello spazio di produzione, metà degli investimenti in attrezzature, metà delle ore di progettazione per
sviluppare un nuovo prodotto in metà tempo. Inoltre richiede una quantità di scorte a magazzino di gran
lunga inferiore della metà, genera difetti di fabbricazione meno grossolani e produce una varietà di prodotti
maggiore e sempre crescente. Ma forse la differenza più evidente tra produzione di massa e produzione
snella è insita nei reciproci obiettivi finali. I produttori di massa si impongono un traguardo limitato, ossia
che il prodotto sia "sufficientemente buono", il che si traduce in un numero accettabile di difetti, in un
massimo livello accettabile di scorte e in una gamma ridotta di prodotti standardizzati. Fare meglio,
sostengono, costerebbe troppo o andrebbe oltre le capacità umane intrinseche. I produttori snelli, invece,
fissano i propri obiettivi esplicitamente sulla perfezione: costi in continuo calo, zero difetti, zero scorte, e
un’infinita varietà di prodotti. Naturalmente, nessun produttore snello ha mai raggiunto questa terra
promessa, e forse nessuno la raggiungerà mai; ma la ricerca incessante della perfezione continua ad avere
sviluppi imprevisti».

La rivoluzione informatica
Lo stesso argomento in dettaglio: Rivoluzione digitale, Elettronica, Telecomunicazioni e
Informatica.

A partire dagli anni Ottanta, si è parlato insistentemente di un fenomeno duraturo di deindustrializzazione o


di ingresso in una nuova fase dello sviluppo socioeconomico, denominata, con Daniel Bell, epoca
postindustriale. Questa è dominata da nuove tecnologie di elaborazione delle informazioni con effetti assai
profondi sull'organizzazione e la qualità del lavoro in un gran numero di processi produttivi e quindi spesso
all'origine di atteggiamenti difensivi soprattutto da parte dei paesi di più vecchia industrializzazione.[9]

Ha così inizio una fase di terziarizzazione[9], cioè una prevalenza del settore terziario o dei servizi, in termini
sia di occupati sia di contributo al PIL, rispetto agli altri grandi settori di attività, cioè agricoltura e industria.
La terziarizzazione è una caratteristica strutturale dei Paesi economicamente più avanzati. Per descrivere
questo fenomeno si è parlato di deindustrializzazione o di società postindustriale (come detto) e si è giunti a
prevedere che, in un futuro non troppo lontano, nei Paesi sviluppati la proporzione dei lavoratori di fabbrica
possa ridursi ai livelli bassi oggi toccati dalla quota del lavoro agricolo, a favore del comparto tecnico e
professionale della forza lavoro, in una società basata sui servizi e nella quale ciò che conta non sono tanto
le forze elementari del mondo fisico, bensì piuttosto l'informazione[9].

Le tecnologie alla base della cosiddetta rivoluzione digitale, sono quelle relative all'informatica, elettronica,
telematica, telecomunicazioni e alla multimedialità:

L'elettronica studia l'impiego dell'elettricità per elaborare informazioni attraverso macchine


elaboratrici ed è proprio l'informazione un concetto chiave della terza rivoluzione industriale
che ha dato vita alla cosiddetta società dell'informazione. I più grandi passi avanti della
storia di questo settore sono stati la diffusione della radio, della televisione e soprattutto
all'invenzione del personal computer (1975), un apparecchio rivoluzionario di piccole
dimensioni alla portata economica e pratica della maggior parte della popolazione
dell'occidente sviluppato. Dalla loro introduzione, la potenza e la velocità di calcolo dei PC
si sono enormemente potenziate riducendo allo stesso
tempo le dimensioni delle macchine elaboratrici. La
diffusione dei PC è aumentata considerevolmente dopo
l'avvento di Internet, una rete globale di computer
collegati tra loro in tempo reale, e in particolare del Web.
Un'altra importante innovazione è l'introduzione della
telematica. Questo campo comprende telecomunicazioni
e media e si occupa della trasmissione dell'informazione
a distanza tra due o più utenti e di renderla il più
possibile fruibile agli utenti stessi. Grazie alla telematica
l'uomo comunica a distanza con e attraverso le
macchine mediante un linguaggio digitale. Questo ha Il Macintosh Classic è un personal
reso anche possibile il telecontrollo e il telelavoro e in computer di tipo "all-in-one" prodotto
generale l'affermazione delle moderne reti di da Apple dal 1990 al 1992.
telecomunicazioni di cui la rete Internet fa parte. Se da
una parte negli ultimi decenni si sono affermati i satelliti
artificiali per le rispettive moderne telecomunicazioni satellitari, nell'ultimo decennio è
accresciuto enormemente l'uso dei telefoni cellulari; basti pensare che nelle zone sviluppate
del globo, vi è un telefonino per ogni abitante. Un altro importante tassello nel puzzle della
rivoluzione industriale è – come accennato – Internet, la più grande rete di comunicazione
del mondo, attraverso il quale vengono inviate ogni giorno diversi milioni di e-mail. In questi
ultimi anni si sta lavorando alla domotica e alla burotica, ossia lo studio e l'impiego di
sofisticate tecnologie tese a migliorare la vita quotidiana.
L'informatica è la disciplina nella quale si affronta lo studio dell'informazione nei suoi
principi generali (automa, calcolabilità, cibernetica, teoria dell'informazione) e nei suoi
aspetti particolari, legati all'elaborazione automatica (hardware, software, nonché alle sue
applicazioni in vari sistemi fisici, economici e biologici intelligenza artificiale, robotica).[10] In
questa disciplina hanno trovato adeguata sistematizzazione concetti sviluppati in altri settori
come quelli legati ai principi formali del calcolo (algoritmo, funzione ricorsiva) e alle
metodologie per la risoluzione dei problemi tecnici e organizzativi sorti con l'avvento degli
elaboratori elettronici, alias computer (modi di utilizzazione, problemi di codifica e di
affidabilità, trasmissione di dati), oltre ai problemi legati alla interazione uomo macchina.[10]

In molti tipi di macchina (dall'automobile alla lavatrice, dai robot industriali alle serre agricole) sono stati
montati microprocessori che eseguono azioni ripetitive preordinate attraverso un linguaggio di
programmazione informatico. Se la seconda rivoluzione industriale era caratterizzata da un uso analogico
dell'elettronica, la terza rivoluzione industriale è segnata dall'avvento e la diffusione dell'elettronica digitale
con l'invenzione del transistor a stato solido e dell'optoelettronica: una delle conseguenze più immediate di
questa rivoluzione è stato ad esempio il passaggio estremamente simbolico dal classico disco in vinile al
compact disc.

Una delle invenzioni degli anni della terza rivoluzione industriale, e sempre più motivo di investimenti da
parte di grandi e piccole imprese, come le startup, è la stampa 3D.[11]

New economy ed economia digitale


Lo stesso argomento in dettaglio: New economy.

I tre grandi settori descritti nell'elenco, riuniti insieme sotto la denominazione Tecnologie dell'informazione
e della comunicazione (TIC), hanno contribuito e continueranno a contribuire non solo all'evoluzione
tecnologica, ma anche al cambiamento radicale del modo di vivere di una parte della popolazione mondiale
già con l'avvento della new economy. Essi hanno ormai assunto la dimensione e la forma di settori chiavi o
portanti dell'economia moderna almeno pari a quello di settori più consolidati quali quello meccanico,
chimico, farmaceutico, tessile, manifatturiero e alimentare.

L'inquinamento e l'economia verde


Lo stesso argomento in dettaglio: Economia verde, Economia circolare, Inquinamento ed Energie
rinnovabili.

Dal principio del XIX secolo in poi si cominciarono a usare grandi quantità di carbone, petrolio e gas
naturale per il riscaldamento, combustibile ed energia, riversando di conseguenza nell'atmosfera quantità di
carbonio di gran lunga maggiori rispetto a prima. In particolare, nella corsa al gigantismo industriale che
segnò il secondo dopoguerra, l'aumento dell’uso dei combustibili fossili, del petrolio, del gas naturale fu
tanto impetuoso quanto gravido di conseguenze ambientali negative.[2] In quello stesso periodo, infatti, la
quantità di smog (emissioni di biossido di carbonio che riscaldano l'atmosfera) nell'aria arrivò quasi a
triplicarsi, così come la produzione di clorofluorocarburi, agenti chimici in grado di intaccare lo strato di
ozono che protegge la nostra atmosfera dalle radiazioni solari.[2]

"Green economy" è perciò un'espressione introdotta da alcune agenzie delle Nazioni Unite
(l'Organizzazione internazionale del lavoro e il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente), che
individua un modello di crescita economica ecologicamente sostenibile.[9] Questo approccio si fonda
sull'integrazione di politiche pubbliche attente ai temi della protezione ambientale, del cambiamento
climatico e dell'energia, tecnologie e prodotti a basso impatto ambientale, pratiche manageriali e
comportamenti di consumo responsabili.[9] Tra i settori industriali riconducibili all'economia verde si
annoverano le energie rinnovabili (solare, eolico, biomasse, geotermico e micro-idroelettrico[12]), le
soluzioni per l'efficienza energetica, la mobilità e l'edilizia sostenibile, i nuovi mercati di scambio della
CO2, la preservazione degli ecosistemi, la forestazione, l'agricoltura biologica, la bonifica di siti
contaminati, e tutte le attività operative e di servizi che hanno per oggetto la salvaguardia dell'ambiente
naturale.[9]

Storia del problema ecologico


Lo stesso argomento in dettaglio: Incidente nucleare e Disastro ambientale.

La prima clamorosa denuncia ecologica si ebbe nel 1962, a opera della biologa americana Rachel Carson
con il saggio Primavera silenziosa.[1] Mostrando grande preoccupazione per il disastro ambientale
perpetratosi negli ultimi duecento anni, la biologa così concludeva la sua riflessione sui risultati
dell’impiego inconsulto di sostanze chimiche in agricoltura:[1] «Da quando la terra esiste, gli esseri viventi
hanno modificato l’ambiente in maniera trascurabile; soltanto durante il breve periodo che decorre
dall'inizio di questo secolo ai giorni nostri, una sola «specie» – l’uomo – ha acquisito una notevole capacità
di mutare la natura del proprio mondo. Il più allarmante assalto, fra tutti quelli sferrati dall'uomo contro
l’ambiente, è la contaminazione dell’aria, del suolo, dei fiumi e dei mari con sostanze nocive e talvolta
mortali. Questo inquinamento è, nella maggior parte dei casi, irreparabile».

In tutto il mondo sono innumerevoli le situazioni di degrado ambientale: dall'inquinamento urbano al


negativo "impatto ambientale" di fabbriche o centrali, all’inquinamento marino.

Ricordiamo qui alcune fra le gravi catastrofi ecologiche:[1] la fuga di diossina dalla fabbrica "Icmesa" a
Seveso, presso Milano (1976), con gravi conseguenze sulle persone e sull'ambiente circostante; l’esplosione
e la fuoriuscita di sostanze nocive in uno stabilimento di Bhopal in India (1985), che provocò più di
duemila morti e lasciò duecentomila persone gravemente invalidate. La fuga di materiale radioattivo
avvenuta nella centrale nucleare di Cernobyl in Ucraina (1986) ha investito, con effetti non vistosi,
un’ampia superficie del continente europeo, ma negli immediati dintorni ha causato un numero imprecisato
di morti e di contaminati, e l’assoluta inabitabilità della zona. Questo incidente ha avuto grande impatto
sull'opinione pubblica e sul rifiuto dell’utilizzo "pacifico" di energia nucleare: del resto, anche centrali
avanzate, come quelle americane, si sono mostrate insicure. Fatto che è stato messo in evidenza da
numerosi incidenti, sia pure di dimensioni meno gravi, come quello della centrale di Three Miles Island
(1979). Di fronte alla crescente gravità della questione ecologica, con il continuo emergere di problemi di
dimensioni planetarie, come la distruzione della foresta amazzonica o la rarefazione dell’ozono
nell'atmosfera, alcuni gruppi e movimenti "verdi" hanno assunto una posizione radicale: essi infatti
giudicano il modello di sviluppo industriale incompatibile con l’ambiente e ne propongono il totale
abbandono; altri invece, la maggior parte, ritengono che il "progresso" possa essere dominato nei suoi
effetti negativi sull'ambiente. Da qui l’impegno anche politico dei "verdi" presenti in molti Paesi, sia con
proprie formazioni partitiche, sia all'interno dei partiti tradizionali.

Controllo delle informazioni


Lo stesso argomento in dettaglio: Divario digitale.

L'informazione e in particolare il controllo dei flussi da essa derivante ha una notevole importanza
strategica. Spesso consente un controllo sia economico che politico di intere regioni geografiche. Si può
facilmente spiegare il perché i Paesi più ricchi del mondo detengano in modo quasi esclusivo sia le fonti
tecnologiche sia i mezzi di comunicazione. I mezzi informatici sono legati totalmente ai Paesi sviluppati,
mentre sembrerebbe che grazie ai satelliti il vantaggio dei Paesi ricchi sia minore, ma non è così. Nei Paesi
del cosiddetto Terzo mondo vi sono meno di 100 televisori ogni 1000 abitanti, a differenza dei 494 in Italia
e dei 731 in Giappone.

I Paesi poveri hanno poche reti nazionali e molto spesso ascoltano le trasmissioni provenienti dai canali
televisivi dei Paesi più sviluppati. Ciò porta al cosiddetto "shock culturale", causato da questo brusco
contrasto tra la loro realtà di vita e quella dei Paesi più ricchi. Nei casi estremi vi è una vera e propria
miticizzazione da parte di queste nazioni verso i Paesi ricchi.

Influenze culturali
Nel corso degli anni Ottanta inizia a manifestarsi la percezione di vivere in un'epoca di grandi
trasformazioni.[4] È solo nel decennio successivo che questa percezione si diffonderà progressivamente,
diventando a sua volta un elemento di accelerazione dei cambiamenti in atto. Le trasformazioni cui si
dedica maggiore attenzione riguardano il mondo bipolare e il sistema internazionale della guerra fredda,
giunto ormai alla sua conclusione. Quelle che vengono vissute più intensamente, tuttavia, anche se non
sempre con una consapevolezza adeguata ai loro effetti sulla vita quotidiana, sono le modificazioni
apportate dalla tecnologia. È una percezione che muove dagli Stati Uniti e dal Giappone e investe
immediatamente l'Europa, per conquistare successivamente l'Asia e il mondo intero in un processo che
viene chiamato, con un termine efficace anche se presto abusato, "globalizzazione".[4]

Le informazioni, di ogni natura e genere, costituiscono la materia prima di questa grande trasformazione. La
tecnologia che le trasmette, grazie alla sua logica di reti e interconnessioni, di flessibilità e di integrazione, si
dimostra altamente pervasiva e di conseguenza rapida nel diffondersi e imporsi. Gran parte delle
informazioni, soprattutto quelle di più ampia diffusione e dominio pubblico, si diffondono attraverso mezzi
non nuovi (radio e televisione) che compiono all'inizio degli anni Ottanta un salto di influenza e
penetrazione. La radio acquista flessibilità e ritrova una vivacità che conquista soprattutto il pubblico
giovanile; la televisione, che ha ormai circa trent'anni di vita, diventa l'epicentro di una comunicazione che
si attesta – con un'indicazione convergente degli esperti di marketing e dei burocrati delle TV di Stato, a
dispetto dei differenti contenuti offerti – sul comune denominatore più basso del suo pubblico.[4] La cultura
di massa che la televisione costruisce attorno alla sua comunicazione si dimostra vincente perché segna – al
di là del livello verso cui tende ad abbassarsi o dei processi propagandistici e di indottrinamento che mette
in atto – la conclusione di un sistema di linguaggio basato sulla scrittura e l'inizio di un modello nuovo
fondato sull'immagine e sul suono.[4] Nel corso degli anni Ottanta ogni americano adulto guarda
mediamente la televisione per quattro ore e mezzo al giorno, su sette ore in cui resta accesa in ogni famiglia,
mentre dedica mezz'ora alla lettura del giornale e un quarto d'ora a quella di libri. In Giappone la media
passa, nel corso del decennio, da 25 minuti al giorno a circa otto ore per famiglia, mentre in Francia si
attesta sulle tre ore[13][14].

La terza rivoluzione industriale ha contribuito a creare un nuovo forte clima di fiducia intorno alla scienza e
alla tecnica, dopo la cruda parentesi delle guerre mondiali nella prima metà del Novecento, alimentando
nuove forme di positivismo, ma anche aspre critiche da parte di pensatori di stampo esistenzialista e
riflessioni di tipo etico. Anche la narrativa, la musica e la cinematografia, attraverso il filone della
fantascienza con produzioni come Star Trek e 2001: Odissea nello spazio, ha incarnato questo nuovo clima
culturale di fiducia neopositivista nelle possibilità della scienza e della tecnica di provvedere al benessere
materiale dell'umanità dando ampio spazio all'immaginazione futura della società, non senza però uno
spaesamento di fondo, un'incertezza sul futuro e una nostalgia del passato dovuti ai rapidi quanto inevitabili
e irreversibili cambiamenti negli stili di vita, fino a vere e proprie forme di distopia.

Note
1. Gentile, Ronga, Salassa, Prospettive Storiche, vol. 3, Editrice La Scuola.
2. Giovanni De Luna, Marco Meriggi, Il segno della storia 3. Il Novecento e il mondo
contemporaneo, Pearson.
3. ^ Daniel Cohen, Ricchezza del mondo, povertà delle nazioni, 1999.
4. Marcello Flores, Il XX Secolo, in STORIA UNIVERSALE, vol. 20, Corriere della Sera.
5. ^ U.S. Bureau of the Census, Statistical Abstract of the United States, 1995.
6. ^ Robert E. Litan et al. (a cura di), Arnerican Living Standards: Threats and Challenges,
1988.
7. ^ Manuel Castells, The Rise of the Network Society, in The Information Age: Economy,
Society and Culture, vol. 1, 2000.
8. ^ Organismo di consultazione dei sette Paesi più industrializzati del mondo, creato nel 1975.
9. AA.VV, Enciclopedia dell'Economia, Garzanti, 2011.
10. Walter Maraschini, Mauro Palma, Enciclopedia della Matematica, Garzanti, 2014.
11. ^ Stampa 3D: La terza rivoluzione industriale, su theshaper.net, 18 aprile 2014.
12. ^ l'energia nucleare non è stata considerata energia rinnovabile dall'UE
13. ^ Cfr. Russell W. Neuman, The Future of Mass Audience, 1991.
14. ^ Dentsu Institute for Human Studies, Media in Japan, 1994.

Bibliografia
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale: come il "potere laterale" sta trasformando
l'energia, l'economia e il mondo, traduzione di Paolo Canton, collana Oscar Mondadori,
Arnoldo Mondadori Editore, 2011, p. 329, ISBN 978-88-04-61420-3.

Voci correlate
Protoindustrializzazione
Rivoluzione verde
Rivoluzione scientifica
Rivoluzione industriale
Seconda rivoluzione industriale
Rivoluzione industriale in Inghilterra
La terza rivoluzione industriale, libro di Jeremy Rifkin
Rivoluzione informatica
Industria 4.0
Settore terziario avanzato
Positivismo
Deindustrializzazione

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