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Copertina
L’immagine
Il libro
L’autore
Frontespizio
Dossier 5G
Introduzione
I. Il 5G secondo la tesi accreditata da mass media e istituzioni
Cos’è e come si è arrivati al 5G
La creazione delle smart city
Autodiagnosi e smart contract
Le radiazioni non ionizzanti nei limiti di legge sono innocue
Il 5G utilizza molte antenne ma abbatte le emissioni elettromagnetiche
La ricerca Interphone del 2010
Lo IARC ha classificato le onde elettromagnetiche non ionizzanti come veri agenti
cancerogeni?
Nessun effetto sulla salute
La bufala della strage degli alberi
Tra dieci anni, il passaggio al 6G e all’ombra digitale
II. La posizione contraria della ricerca accademica indipendente: elettrosmog, un pericolo
nascosto e sottovalutato
Tutte le funzioni biologiche vitali di organi e cellule sono regolate da delicati
processi di natura elettromagnetica
Onde sempre più corte ma con maggiore energia
Anche le radiazioni non ionizzanti producono effetti biologici non termici. Gli studi
dell’Istituto Ramazzini e del National Toxicology Program sulle RF 2 e 3G
Centinaia di scienziati di tutto il mondo sono in allarme
Sentenze storiche
L’elettrosmog uccide
Anche gli studi sul Wi-Fi non sono rassicuranti
La vendita delle licenze 5G in totale assenza di studi sulla sicurezza per la salute
La risoluzione 1815 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa
Interphone e IARC sulle radiazioni non ionizzanti della telefonia mobile
III. Effetto finanziamento
La storia si ripete?
Ricerca indipendente e studi finanziati dall’industria: rilevanti differenze nei
risultati
Le porte girevoli dell’ICNIRP e lo Specific Absorption Rate
Phonegate, lo scandalo di livello planetario taciuto dai media
Più antenne, meno elettrosmog?
Assenza normativa della dose massima assorbibile
Le preoccupazioni degli esperti
IV. Gli studi sulle onde millimetriche del 5G
Differenza tra radiazioni naturali e artificiali
Antenne di vecchia e nuova generazione
Primi bersagli: occhi e pelle
Un superbusiness planetario
5G e adaptive beam switching
Rapporto ISDE, conflitto di interessi e principio di precauzione
5G e smart weapons
Associazioni di consumatori e conflitti di interessi
La denuncia al Congresso americano: non esistono studi scientifici indipendenti che
certifichino la sicurezza del 5G
Animali, piante e insetti
La strage degli alberi è una bufala?
Il dibattito scientifico sul 5G approda al Parlamento europeo
Elettroipersensibilità, la malattia del terzo millennio
Trattamenti per la sindrome
I timori del professor Andrea Grieco
La rivolta di sindaci e cittadini
Perché molti fisici temono il 5G
Appendice. Studi che hanno evidenziato i maggiori effetti biologici delle onde pulsate e le
conseguenze nocive delle RF anche entro i limiti di legge
Note
Copyright
Il libro
L
a nuova connessione di telefonia mobile, chiamata 5G in quanto giunta
alla sua quinta generazione, correrà a velocità impensabili solo fino a
qualche anno fa e soprattutto stabilirà una stretta relazione fra gli
oggetti “smart” e l’intelligenza artificiale, facendoci compiere il salto evolutivo
nella nuova era dell’“Internet delle cose”.
Saremo sicuramente più assistiti, ma anche più controllati; saremo più
profilati, ma anche più bombardati da raffinate strategie di marketing;
verremo catapultati in un ecosistema artificiale quasi totalmente interattivo e le
nostre informazioni più intime saranno sempre e immediatamente note a tutti
coloro che vi avranno accesso. Il 5G in buona sostanza è la tecnologia che può
garantire il controllo individuale e collettivo sull’intera popolazione,
trasformandosi nella versione contemporanea del Grande Fratello di George
Orwell.
La rivoluzione tecnologica porta con sé anche altri dilemmi che riguardano
la nostra salute: da una parte il 5G permetterà, per esempio, di farci operare in
remoto senza far spostare fisicamente il chirurgo; dall’altra molti scienziati
denunciano la trasmissione delle onde del 5G come un grave pericolo per il
nostro organismo e l’intero ecosistema. E a questo proposito il premio Nobel
per la medicina Luc Montagnier ha persino avanzato il sospetto che l’epidemia
di Coronavirus sia esplosa a Wuhan proprio perché si tratta della “smart city”
5G per eccellenza, con oltre 60.000 antenne a onde millimetriche già attive:
secondo la sua controversa tesi, l’esposizione al 5G può avere indebolito le
difese immunitarie della popolazione rendendo più gravi gli effetti patogeni
del virus.
Dossier 5G affronta anche le questioni di sicurezza e di carattere militare:
come fa uno Stato ad assicurarsi che i big data generati dal 5G dei suoi
cittadini non finiscano in mano a potenze straniere o, peggio ancora, a
formazioni di stampo terroristico?
In questo eccezionale libro inchiesta Marco Pizzuti fa il punto della
situazione su ciò che sappiamo per certo riguardo alla rivoluzione tecnologica
in arrivo, rivelandoci come un progresso promettente e “scintillante” possa
nascondere anche degli aspetti inquietanti.
L’autore
DOSSIER 5G
Inchiesta non autorizzata sulla rivoluzione tecnologica destinata a cambiare
la nostra esistenza
Dossier 5G
Introduzione
Più antenne ci sono e minori sono le emissioni. È un concetto alla base della
telefonia cellulare. Il punto è questo: il nome «cellulare» deriva da «cella». Il
territorio è diviso in tante celle, come le celle di un alveare. È un modo di
suddividere un’area geografica in tante parti. Se immagino di coprire l’Italia con
una sola cella, installo una sola antenna, per esempio a Roma, che deve però fare
arrivare il suo segnale fino in Sicilia e in Valle d’Aosta. Quindi, la potenza del
segnale emesso da quest’unica antenna a Roma deve essere molto grande per
poter arrivare così lontano.
Al contrario, più antenne ci sono, più il segnale che ognuna di queste antenne
deve emettere diminuisce, perché le celle sono più piccole e serve meno potenza
per arrivare ai bordi di ognuna di esse e coprire tutto il territorio. Ogni antenna di
ogni cella deve solo emettere il segnale necessario ad arrivare al bordo di quella
cella, cercando di non farlo arrivare alle celle vicine, per non causare interferenze.
Questo è il concetto di base del cellulare. Più antenne ci sono, più si può
abbassare la potenza emessa da ogni antenna. …
Facendo tante celle, non solo distribuisco più uniformemente il segnale e
quindi diminuisco i suoi valori massimi, ma aumento quanto voglio la capacità
della rete di trasportare informazioni.
Questo dato risulta significativo perché, nell’arco di due anni, nessuna cavia nel
gruppo di controllo maschile (quello 0 per cento) ha sviluppato quel tipo di
tumore. E questo, in realtà, è strano, perché generalmente ci si attenderebbe che
tra i ratti maschi – anche non irraggiati – si presenti comunque qualche caso. Cosa
che al contrario è avvenuta, come atteso, tra le cavie femmine (per cui infatti non
si riscontrano differenze significative nell’insorgenza di tumori tra le cavie
esposte e quelle non esposte).
In sostanza, il risultato nei maschi è significativo solo perché, casualmente, nel
gruppo di controllo non irraggiato da onde elettromagnetiche non è stato
riscontrato alcun tumore e questo ha in qualche modo sovrastimato i rischi. Tanto
che se si confronta il totale dei tumori cardiaci osservati in generale (sia nei ratti
maschi che femmine, irraggiati alla massima intensità testata), non ci sono
differenze significative rispetto al gruppo di controllo non irraggiato.
Altri elementi contraddittori: alle cavie femmine non irraggiate sono venuti
tanti tumori quanto a quelle irraggiate alla massima frequenza; inoltre, i tumori
cardiaci sono stati più frequenti in corrispondenza di esposizioni di livello più
basso che alle massime esposizioni usate nello studio (dieci volte più alte).
Ci sono delle incoerenze anche tra i due studi: nonostante in quello del
Ramazzini si espongano i ratti a emissioni inferiori, il numero di schwannomi
osservato è molto più alto di quello rilevato nell’NTP , che ha previsto esposizioni
fino a mille volte maggiori.
Tutto – ancora – fa pensare a risultati casuali, difficilmente imputabili a un
reale effetto cancerogeno delle onde elettromagnetiche. 19
Il grafico evidenzia come l’insorgenza dei tumori maligni nell’uomo aumenti dopo i 65 anni di età, che
nel ratto equivalgono a 104 settimane.
Parte dei risultati dello studio preliminare del Ramazzini è già stata
pubblicata su diverse riviste scientifiche come «Environmental
Research», ma il rapporto completo diverrà di dominio pubblico solo
tra marzo e aprile 2020. L’atteso dossier finale comprenderà i risultati
delle analisi su tutti gli altri organi e tessuti degli animali sottoposti
all’esperimento, dal microbioma intestinale fino agli organi
riproduttivi.
Quanto già emerso dal rapporto preliminare dell’Istituto Ramazzini
è comunque già di per sé sufficiente per confermare e rafforzare i
risultati del National Toxicology Program americano, perché
l’aumento osservato dello stesso tipo di tumori rari in ratti dello stesso
ceppo situati a migliaia di chilometri di distanza gli uni dagli altri non
può essere dovuto al caso. Sulla base di questi risultati comuni, infatti,
gli autori di entrambi gli studi ritengono che l’aumento dell’incidenza
del cancro nei ratti dovuto all’esposizione alle RF sia ormai un fatto
dimostrato e riproducibile in laboratorio. Gli scienziati del Ramazzini
chiedono quindi che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro
riveda la classificazione delle radiofrequenze, finora ritenute «possibili
cancerogeni», per definirle «probabili cancerogeni». 10
Questi studi, condotti separatamente e con il massimo rigore
scientifico da enti accademici indipendenti che godono di grande
autorevolezza a livello internazionale, sono stati aspramente criticati
dai media e dalle associazioni di consumatori vicine all’industria che li
hanno definiti irrealistici, incoerenti, contraddittori e dai risultati
casuali, difficilmente imputabili a un effetto cancerogeno delle onde
elettromagnetiche. Irrealistici perché nello studio americano dell’NTP
le cavie sono state irradiate con RF 2 e 3G a potenze fino a 5 volte
maggiori rispetto al massimo consentito dalla legge; incoerenti perché
gli effetti biologici sono risultati diversi a seconda del sesso dei ratti;
contraddittori perché l’aumento dei tumori non era direttamente
proporzionale all’aumento della potenza delle RF ; e infine con risultati
non imputabili a effetti cancerogeni delle onde elettromagnetiche
perché, per i motivi già esposti, le conclusioni degli studiosi si
sarebbero basate su dati casuali.
Alcuni scienziati hanno obiettato anche che il numero dei ratti che
hanno contratto il cancro durante la sperimentazione era molto esiguo
(l’1,4 per cento) e statisticamente irrilevante, ma ciò non è esatto
perché la normale incidenza degli schwannomi maligni nei ratti
maschi è estremamente rara (di appena lo 0,6 per cento, ovvero meno
della metà di quella rilevata nella sperimentazione) e la loro comparsa
in entrambi gli studi con un indice statistico più che doppio rispetto a
quello ordinario è la «firma» (il cosiddetto «tumore sentinella») di un
anomalo aumento dovuto proprio all’esposizione alle RF . 11
Per quanto concerne invece le contestazioni di incoerenza rivolte ai
diversi risultati ottenuti in rapporto al genere maschile e femminile
dei ratti, va detto che la ricerca medica ha scoperto da tempo che
l’incidenza del cancro, come altri effetti biologici, differisce spesso
proprio in rapporto al genere. Tale fenomeno è ben noto negli studi
sulla cancerogenesi (per esempio sul tumore allo stomaco, su quello
all’intestino e su molti altri diversi tipi) 12 e pertanto questo tipo di
obiezione negli articoli giornalistici non solo è assolutamente
infondata ma anche particolarmente insidiosa e ingannevole, visto che
è diretta a un pubblico privo delle necessarie competenze, a cui invece
può apparire perfettamente logica e sensata.
Per ulteriori approfondimenti, ho chiesto alla dottoressa Fiorella
Belpoggi (direttore della ricerca dell’Istituto Ramazzini) di esporre
sinteticamente la sua opinione riguardo a tutte le diverse
contestazioni, e la sua risposta non si è fatta attendere:
Venendo alle critiche dell’industria, che non si limitano solo alle differenze di
genere ma anche ad altri particolari che da un punto di vista biologico rafforzano
lo studio del Ramazzini piuttosto che indebolirlo come taluni sostengono,
confermo quanto espresso dalla collega Patrizia Gentilini: tutte le patologie
degenerative di origine ambientale non seguono la vecchia convinzione secondo
cui è la dose che fa il veleno, e oltre alla durata esistono differenze nella risposta
dovute al genere o all’età in cui si viene esposti. Sono le cosiddette curve di
risposta alla tossicità «a forma di U», che dipendono dalla suscettibilità genetica e
in particolare a effetti di interferenza endocrina. Questi effetti U-shaped o di
genere sono ben conosciuti in tossicologia, tant’è che l’Unione europea sta
modificando le linee guida e le valutazioni proprio per le nuove conoscenze
acquisite in materia. Posso aggiungere che i risultati del nostro studio hanno
messo in evidenza un aumento di tumori del cervello e delle cellule di Schwann
in tutti i gruppi trattati, anche se solo nei maschi i tumori delle cellule di Schwann
sono risultati statisticamente significativi. Dato il numero enorme di individui
esposti alle radiofrequenze, anche se il pericolo è risultato di bassa entità,
potrebbe coinvolgere milioni di persone, soprattutto tenendo conto del fatto che
l’esposizione avverrà e avviene fin dal concepimento e fino alla morte. Per quanto
riguarda poi il 5G , non esistono dati adeguati e specifici per le frequenze che
verranno utilizzate, e quindi scienziati di tutto il mondo, anche per il pericolo già
stabilito per frequenze più basse come nel nostro studio, richiedono di non
diffondere questa nuova tecnologia fino a che non si acquisiscano dati
indipendenti sui loro possibili potenziali di pericolo. 13
La gente crede che l’effetto del telefonino sia solo l’aumento della temperatura al
livello della testa, e quindi prevale la telefonata. Ciò a cui ancora non pensa è
quello che può provocare l’utilizzo del telefonino cellulare per una, due o quattro
ore durante la giornata a distanza di dieci, venti o trent’anni. Le stesse aziende
costruttrici si tutelano da eventuali richieste risarcitorie consigliando agli
utilizzatori dei loro apparecchi di tenerli a qualche centimetro di distanza
dall’orecchio proprio per ridurre l’assorbimento delle onde elettromagnetiche. Gli
effetti termici, invece, si notano quasi subito, dopo circa cinque minuti al telefono
la parte del viso a contatto con il dispositivo inizia a riscaldarsi. Trascorsi venti
minuti, il riscaldamento corporeo è evidentissimo sia a livello sensoriale cutaneo
che all’esame di una telecamera a infrarossi. 16
– Studi condotti sui ratti Wistar hanno dimostrato che la loro esposizione a frequenze
GSM di 0,9 e 1,8 GH z per una sola ora al giorno per 30 giorni riduce la media degli
spermatozoi mobili del 40 per cento. Inoltre, l’epididimo e i testicoli delle cavie
hanno mostrato un marcato aumento della perossidazione lipidica (un processo di
ossidazione che può causare danni al DNA ) e una significativa riduzione del
contenuto del glutatione (un enzima antiossidante). 55
– Nel 2013 uno studio sugli esseri umani ha concluso che gli effetti biologici prodotti
dalle RF dei cellulari sono dimostrati da prove evidenti e che esiste un ragionevole
sospetto di connessione tra le esposizioni prolungate e lo sviluppo di molteplici
patologie: leucemie infantili, tumori cerebrali, effetti genotossici, effetti neurologici,
malattie neurodegenerative, degenerazione del sistema immunitario, risposte
allergiche o infiammatorie, infertilità e alcuni effetti cardiovascolari. 56
– Le RF del telefono cellulare riescono a penetrare fino a metà della testa degli adulti,
oltre la metà nei bambini di 10 anni e in quasi tutta la massa cerebrale nei bambini
di 5 anni (il loro tasso di assorbimento è pressoché doppio). 57
Sentenze storiche
In tutto il mondo, e anche in Italia, la magistratura è stata spesso
chiamata a dirimere importanti questioni di salute legate alla
prevenzione pubblica e al risarcimento dei danni da elettrosmog
(antenne o cellulari) dei dipendenti che hanno sviluppato patologie
come il cancro per ragioni lavorative. Innocente Marcolini, per
esempio, era un manager di una multinazionale e per circa undici anni
ha trascorso 5-6 ore al giorno al telefono per via della sua professione.
Quando ha sviluppato un tumore al nervo trigemino, ha fatto causa
alla sua azienda. La Corte di cassazione, dopo avere esaminato il suo
caso con il supporto di tutta la letteratura scientifica esistente, gli ha
dato ragione attribuendogli il diritto alla pensione di invalidità. 58
Negli ultimi anni, insomma, è stato fatto qualche piccolo passo
avanti nel riconoscimento dei pericoli dell’elettrosmog sia da parte
delle istituzioni che della magistratura. Un parere del Consiglio
superiore di sanità (l’organismo che raggruppa le principali
personalità mediche del paese), che risale al 15 novembre 2011,
invitava per esempio il ministero a promuovere l’uso degli auricolari
per tutti. Il documento raccomandava inoltre di attivare delle
campagne di sensibilizzazione contro l’uso indiscriminato del
telefonino da parte dei bambini e di limitare l’uso alle situazioni di
necessità. 59
Una sentenza del tribunale di Ivrea ha riconosciuto la causa di
servizio di Roberto Romeo, un dipendente della Telecom, che per
motivi professionali è stato costretto a utilizzare il dispositivo cellulare
molte ore al giorno per quindici anni consecutivi. Il giudice ha infatti
stabilito che Romeo ha diritto a un risarcimento per il danno biologico
da radiazioni non ionizzanti del cellulare subito a causa del suo
lavoro.
Nel 2019 una sentenza del TAR del Lazio 60 ha invece accolto il
ricorso dell’Associazione per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog
(APPLE ) contro le patologie correlate all’uso dei telefoni cellulari,
stabilendo che i ministeri dell’Ambiente, della Salute e dell’Istruzione
saranno obbligati ad attivarsi per una campagna informativa sui rischi
per la salute di un uso improprio di cellulari e cordless.
L’associazione, in sede dibattimentale, ha denunciato anche il
mancato adempimento della legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
«Dagli atti depositati in giudizio» scrivono i giudici «risulta che già,
con nota prot. n. 0001080-P del 16 gennaio 2012, il ministero della
Salute, in riscontro a una precedente richiesta di uno dei procuratori
dell’associazione ricorrente, evidenziava: “Il tema dei possibili rischi
per la salute conseguenti all’uso del cellulare è alla costante attenzione
del ministero della Salute, in particolare a seguito della classificazione
stabilita dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro nel 2011,
di agente possibilmente cancerogeno per l’uomo (categoria 2B ) per i
campi elettromagnetici in radiofrequenza”.
«Nella medesima nota, il ministero della Salute “ha evidenziato che
il Consiglio superiore di sanità, nel parere del 15 novembre 2011, ha
dichiarato che l’ipotesi di un rapporto causale non possa essere del
tutto esclusa in relazione a un uso molto intenso del telefono
cellulare” e che lo stesso Consiglio superiore di sanità “ha quindi
raccomandato di mantenere vivo l’interesse della ricerca e della
sorveglianza sul tema, in attesa che le nuove conoscenze risolvano le
attuali aree di incertezza, suggerendo nel contempo l’avvio di una
campagna d’informazione al pubblico al fine di promuovere e
incoraggiare un uso responsabile del telefono, soprattutto in relazione
ai bambini che tendono a essere avvicinati all’uso del telefono
cellulare in età sempre più precoce”, precisando infine: “La campagna
di informazione è in fase di preparazione e sarà basata sul quadro
delle conoscenze desumibili dalle più autorevoli fonti e organismi
nazionali e internazionali”. Nonostante il ragguardevole lasso di
tempo intercorso, la preannunciata campagna informativa»
sottolineano i giudici amministrativi «non risulta essere stata ancora
attuata.»
L’avvocato Stefano Bertone ha spiegato che si tratta di una sentenza
storica poiché in precedenza nessun tribunale ne aveva mai emesso
una così rivoluzionaria da giungere addirittura a ordinare a dei
ministeri di informare la popolazione su come utilizzare il telefono
cellulare in modo responsabile. Il TAR ha dichiarato nella sentenza che
la campagna informativa è stata disattesa per diciotto anni nonostante
fosse stata prevista per decreto. Per discolparsi da questo
ingiustificabile ritardo, a cui dovrà essere immediatamente posto
rimedio, i ministri si sono difesi affermando che il collegamento tra
cancro e cellulari non è stato ancora definitivamente accertato e
aggiungendo che, comunque, le case produttrici provvedono ogni
dispositivo di telefonia mobile di un foglietto illustrativo per il
corretto uso. Secondo i ministri inadempienti, quindi, la campagna
informativa non sarebbe necessaria, ma i magistrati hanno appurato
invece che le informazioni contenute nel «foglietto illustrativo» dei
cellulari non sono sufficienti. Di conseguenza, i giudici hanno
ordinato una campagna informativa sui rischi di gravi danni alla
salute connessi a un uso scorretto dei telefoni cellulari, che sarebbe
dovuta partire il 16 luglio 2019. 61
L’elettrosmog uccide
Uno dei casi più eclatanti di emissioni elettromagnetiche nocive
riguarda l’antenna di Radio Vaticana a Cesano (Roma), dove tra i
residenti delle aree limitrofe si è registrato un anomalo incremento di
tumori, leucemie e linfomi che una dettagliata e voluminosa perizia
medico-legale ha associato all’elettrosmog prodotto dalla potente
stazione radio pontificia. 62
La battaglia giudiziaria dei cittadini di Roma nord e di Cesano
contro le onde elettromagnetiche emesse da Radio Vaticana è stata
lunga e dura. La Santa Sede, infatti, ha cercato in ogni modo di
sottrarsi al processo invocando l’extraterritorialità e reclamando il
diritto a non essere giudicata dallo Stato italiano. Il Vaticano,
insomma, non intendeva porre rimedio alla situazione neppure di
fronte al fatto che l’eccessiva potenza dell’antenna fosse evidente a
tutti i residenti della zona sin dal 1999: citofoni ed elettrodomestici che
si trasformavano in ripetitori della radio, conversazioni telefoniche
scandite dalle recite del rosario. Alle numerose proteste per questi
disagi si aggiunsero anche gli esposti per le malattie provocate dal
superamento dei limiti di legge sull’emissione delle onde
elettromagnetiche. Una volta citati in giudizio nel luglio 2000, i
responsabili degli impianti ottennero la sospensione del dibattimento
per un difetto di giurisdizione legato alle questioni di procedibilità
disciplinate dai Patti lateranensi e il processo poté essere ripreso solo
nell’aprile 2003, quando la Corte di cassazione riconobbe il diritto
dello Stato italiano a procedere. Nel 2005 venne emessa la sentenza,
con condanne simboliche, per il reato disciplinato dall’art. 674 del
codice penale, «getto pericoloso di cose». 63 Nel frattempo, però,
proseguì anche l’altro filone dell’inchiesta per la grave accusa di
omicidio colposo riguardante le denunce per i troppi casi di leucemia,
la morte di alcuni adulti e di una decina di bambini nei soli sei anni fra
il 1994 e il 2000.
Il giudice per le indagini preliminari Zaira Secchi ordinò una
perizia per accertare il possibile nesso di causalità tra l’inquinamento
elettromagnetico e l’incremento di tumori e leucemia a Cesano, a La
Storta e nelle aree vicine agli impianti della radio. Nella relazione
medico-legale di ben 140 pagine redatta dal professor Andrea Micheli
venne espressamente dichiarato che, poiché la leucemia è una
patologia relativamente rara negli adulti, l’esposizione di lungo
periodo (oltre dieci anni) alle antenne di Radio Vaticana per i bambini
fino a 14 anni di età che hanno abitato nella fascia tra 6 e 12 chilometri
dalle antenne ha determinato un eccesso di incidenze di leucemie e
linfomi: «C’è stata un’associazione importante, coerente e
significativa, tra esposizione residenziale alle strutture di Radio
Vaticana ed eccesso di rischio di malattia per leucemia e linfomi nei
bambini».
Anche riguardo ai decessi degli adulti, gli esperti nominati dal
giudice evidenziarono «un’associazione importante, coerente e
significativa» tra i malati e quelli che hanno abitato a poca distanza da
Radio Vaticana. Nella perizia, gli esperti presero in esame tutti gli
aspetti anagrafici della popolazione investigata, della storia di
tabagismo (fumo attivo e passivo), dell’esposizione da alcol sulle
patologie familiari e sui decessi complessivamente avvenuti negli
ultimi anni nelle aree vicine a Radio Vaticana (137 morti) e a Maritele
(141). Prima che venisse ordinata la perizia, l’inchiesta della procura
chiamava in causa Roberto Tucci, Pasquale Borgomeo e Costantino
Pacifici (responsabili dell’emittente della Santa Sede) e Gino Bizzarri,
Vittorio Emanuele Di Cecco ed Emilio Roberto Guarini, della marina
militare. I primi tre erano già finiti sotto processo per «getto pericoloso
di cose» in relazione all’emissione nociva di onde elettromagnetiche
provenienti dagli impianti radiofonici di Santa Maria di Galeria.
Pacifici, però, era stato assolto in primo grado, mentre per Tucci e
Borgomeo (poi deceduto) la Corte d’appello, dopo una prima
assoluzione annullata dalla cassazione, aveva dichiarato il «non
doversi procedere» per prescrizione del reato. 64
Oltre al caso di Radio Vaticana, che ha visto contrapporsi Stato e
Chiesa nelle aule giudiziarie, si sono verificati molti altri episodi di
decessi anomali in prossimità delle stazioni radio. A Ostia (frazione
litoranea del comune di Roma), per esempio, fino al 2006 erano
presenti 27 antenne (poi ridotte a 9 nell’anno successivo), collocate ad
appena 35 metri da un piccolo edificio che i residenti avevano
soprannominato «reparto oncologico». Degli undici abitanti iniziali,
infatti, ben sette si sono ammalati di cancro e due sono morti. 65 In
Piemonte invece, a Colle della Maddalena (frazione di Pecetto
Torinese), tumori e leucemie hanno fatto una strage di residenti
proprio nel luogo dove persiste una giungla di ripetitori radio-tv e
dove l’ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) ha
segnalato sforamenti record dei limiti di legge, dal 100 fino al 900 per
cento. Nel 1999 si occupò di questo caso anche «il Resto del Carlino»:
«Cinque abitanti di una palazzina sul Colle della Maddalena sono
morti di tumore, e un cittadino, ammalatosi a sua volta, si è rivolto
alla magistratura: il sospetto è che le patologie siano in relazione con
le emissioni elettromagnetiche provocate dai numerosi ripetitori
radiotelevisivi installati sulla collina. Tra gli anni Ottanta e Novanta
sette inquilini (non anziani) si sono ammalati e cinque sono morti di
tumore». 66
Vi sono poi dei casi che sembrano dimostrare quanto i limiti di
elettrosmog accordati dal legislatore al settore delle
radiotelecomunicazioni siano troppo generosi. A Viareggio, per
esempio, è balzato agli onori delle cronache un altro «palazzo della
morte» posto in prossimità di due antenne a norma di legge dove a
causa di leucemie e tumori sono decedute dodici persone (cinque con
tumori al cervello). Altri venticinque decessi anomali per cancro si
sono verificati anche tra i residenti delle abitazioni più vicine
all’edificio, e su richiesta dell’amministrazione comunale sono stati
eseguiti i controlli sulle emissioni. L’ARPAT (ARPA della Toscana)
assicurò ai condomini che i valori registrati erano a norma di legge,
ma durante il sopralluogo sul posto un ingegnere dell’ente aveva
dichiarato a un inquilino: «Qui lo dico e qui lo nego, suo figlio non lo
faccia più dormire in questa stanza». 67
Esiste insomma un ragionevole dubbio sul fatto che anche
l’elettrosmog a norma di legge possa provocare delle neoplasie, e la
stessa Corte suprema di cassazione nel 2000 ha decretato che i limiti
normativi, proprio in quanto non totalmente cautelativi, non possono
mai essere considerati come gli unici punti di riferimento delle cause
di giudizio su possibili danni arrecati dall’irradiazione
elettromagnetica. Rientra quindi nei poteri del giudice ordinario
accertare se vi sia pericolo per la conservazione dello stato di salute
nell’esposizione al fattore inquinante anche qualora si determini nel
rispetto dei limiti massimi stabiliti dalla specifica normativa. 68
L’articolo 87 del decreto legislativo n. 259 del 1° agosto 2003, «Codice delle
comunicazioni elettroniche» (CCE ), che disciplina i procedimenti autorizzatori relativi
alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, ha
rappresentato per anni il principale riferimento normativo per quanto concerne le
autorizzazioni.
Secondo il comma 1 di tale articolo, l’installazione di infrastrutture per impianti
radioelettrici (impianti radiotrasmittenti, ripetitori di servizi di comunicazione
elettronica, stazioni radio base per telefonia mobile con tecnologia GSM /UMTS , impianti
dedicati alla televisione digitale terrestre, reti a radiofrequenza dedicate alle
emergenze sanitarie e alla protezione civile, reti radio a larga banda punto-multipunto)
e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi vengono autorizzate
dagli enti locali, previo accertamento da parte dell’organismo competente a effettuare
i controlli (ARPA ), di cui all’articolo 14 della legge quadro n. 36/2001, della compatibilità
del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità
stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto dalla citata legge
quadro 36/2001, e relativi provvedimenti di attuazione.
Il decreto del presidente del Consiglio (DPCM ) dell’8 luglio 2003 disciplina a livello
nazionale le norme in materia di esposizione della popolazione ai campi elettrici e
magnetici a bassa frequenza (50 Hz), fissando il limite per il campo elettrico a 5 kV/m,
il limite per l’induzione magnetica a 100 μT, il valore di attenzione a 10 μT e l’obiettivo
di qualità a 3 μT.
Detti valori devono essere mediati su un’area equivalente alla sezione verticale del
corpo umano e su qualsiasi intervallo di sei minuti. Per aree intensamente frequentate
si intendono anche superfici edificate, ovvero attrezzate permanentemente per il
soddisfacimento di bisogni sociali, sanitari e ricreativi. Nelle case lontane dalle linee
elettriche questo livello di fondo può arrivare fino a 0,2 μT. Al di sotto delle linee
elettriche, invece, il livello può raggiungere i 10 kV/m.
I campi magnetici nelle carrozze passeggeri dei treni a lunga percorrenza possono
arrivare fino a diverse centinaia di μT vicino al pavimento, con valori più bassi (decine
di μT) nel resto degli scompartimenti. L’intensità del campo elettrico può arrivare fino a
300 V/m. 79
In ambiente indoor le fonti principali di campi elettromagnetici di intensità locale
anche significative sono a varia entità gli elettrodomestici con una forte variabilità in
funzione della marca (tabella 1).
Apparecchio A 3 cm A 30 cm A1m
elettrico di di di
distanza distanza distanza
(μT) (μT) (μT)
Asciugacapelli 6-2000 0,01-7 0,01-0,03
0.1<f<3 60 0,2 –
MHz
3<f<3000 20 0,05 1
MHz
3<f<300 40 0,01 4
GHz
Paese Frequenza
USA 27 41 58 61 V/m
V/m V/m V/m
La storia si ripete?
Da un punto di vista storico è stato ormai ampiamente dimostrato che
l’industria è sempre riuscita a nascondere la nocività dei suoi prodotti
di punta finanziando montagne di ricerche scientifiche taroccate 1 e
ungendo esperti e giornalisti per convincere le istituzioni e l’opinione
pubblica dell’assenza di qualsiasi rischio. 2
Questa strategia d’azione ha consentito per esempio ai produttori
di sigarette di escludere «scientificamente» qualsiasi connessione tra
cancro e fumo del tabacco per mezzo secolo, nonostante le prove
schiaccianti raccolte dalla ricerca accademica indipendente. Purtroppo
non si tratta di un’eccezione alla regola ma di un modus operandi ben
consolidato, che è stato adottato per altri innumerevoli prodotti come
l’amianto, il DDT , la formaldeide, il cromo e la benzina al piombo. In
tutti questi casi ritroviamo le stesse cortine fumogene dispiegate ad
arte e la stessa opera obliqua di intorbidimento. L’imperativo delle
multinazionali attraverso il braccio operativo di società di
comunicazione e di scienziati compiacenti è confondere le idee,
moltiplicare le ipotesi, parlare d’altro. 3 Un recente caso emblematico è
quello dei pesticidi e dei fertilizzanti. Solo in Italia nel 2017 ne sono
stati sparsi 920 milioni di chili, e per un ettaro di agricoltura
convenzionale ne vengono usati 100 chili l’anno. Gli studi
epidemiologici hanno riscontrato tra gli agricoltori tassi elevati di
linfomi, leucemie, tumori allo stomaco, al pancreas, al cervello; fra i
coltivatori di patate e di ulivi neoplasie al rene; fra i frutticoltori
cancro al colon e alla vescica. 4 Il glifosato è uno dei diserbanti più
potenti e diffusi nelle coltivazioni intensive, tant’è che entro il 2020 la
sua richiesta, nel mondo, raggiungerà un milione di tonnellate. È stato
studiato a lungo, ma a oggi ancora non esiste una letteratura
scientifica univoca sui danni che può provocare. 5 Lo IARC nel 2015 l’ha
classificato come genotossico e probabile cancerogeno, la European
Food Safety Authority (EFSA ) come improbabile cancerogeno, per
l’Environmental Protection Agency (EPA ), incaricata della protezione
ambientale dal governo USA , invece non è cancerogeno.
Grazie a illustri luminari compiacenti, infatti, la Monsanto (ora
acquisita dalla Bayer) è riuscita a produrre numerosi studi per far
riammettere la vendita del glifosato in Europa. Il termine tecnico per
questo tipo di operazioni è ghostwriting e consiste nello scrivere un
testo per qualcun altro che mette in calce la sua firma. E quando uno
scienziato affermato sottoscrive un articolo preparato da una
multinazionale come la Monsanto in cui si assolve il glifosato
dall’accusa, sostenuta dallo IARC dell’OMS , di essere «probabile
cancerogeno», è difficile non parlare di «scienza comprata» per
difendere, oltre l’evidenza, una sostanza capace di provocare tumori.
E di scienziati e ricercatori a libro paga della Monsanto il quotidiano
francese «Le Monde» ne ha «scovati» molti, come testimonia lo
scandalo «Monsanto papers» 6 pubblicato nell’ottobre 2017 in Francia e
al quale il settimanale «Internazionale» ha dedicato la copertina.
Secondo le carte emerse, è nell’inverno 2015 che il colosso biotech
intensificò le pressioni per reclutare scienziati e ricercatori. Nel mese
di febbraio i vertici della Monsanto già sapevano che lo IARC stava per
concludere il suo studio sul glifosato e il 20 marzo l’Agenzia
internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS definì il principio
attivo dell’erbicida più venduto del mondo, il Roundup, genotossico,
cancerogeno per gli animali e «probabile cancerogeno» per l’uomo.
Per i vertici della multinazionale quello fu il momento di reagire,
intervenendo sull’opinione pubblica attraverso articoli confezionati e
fatti firmare da esperti. La lista dei «prestanomi» sarebbe davvero
lunga: secondo quanto ricostruito da «Le Monde», Henry Miller,
biologo associato alla Hoover Institution, editorialista del «New York
Times», del «Wall Street Journal» e della prestigiosa rivista «Forbes»,
avrebbe firmato testi preparati dalla Monsanto e pubblicati proprio su
«Forbes». Sempre nel febbraio 2015 William Heydens, responsabile
per la valutazione della sicurezza dei prodotti di Monsanto, scrisse ai
colleghi per «coinvolgere esperti dei principali settori» in difesa del
glifosato e stanziò 250.000 dollari per questa operazione. La Monsanto
riuscì così, tramite Intertek, uno studio di consulenza, a coinvolgere 15
esperti, incaricati di redigere articoli di smentita alla tesi dello IARC .
Alcune di queste relazioni furono poi pubblicate nel settembre 2016
sulla prestigiosa rivista «Critical Reviews in Toxicology» con le loro
conclusioni univoche: nessun legame tra glifosato e tumore. 7
In tutta questa vicenda l’accusa più pesante è quella rivolta all’EFSA ,
l’autorità pubblica europea per la sicurezza alimentare con sede a
Parma, «rea» di aver copiato di sana pianta dai documenti prodotti
dalla Monsanto circa un centinaio di pagine di relazioni fasulle nelle
quali «si dimostra» che il glifosato non è pericoloso per la salute
umana. 8 L’EFSA , che secondo un dossier del Corporate Europe
Observatory (CEO ) ha almeno il 46 per cento dei suoi esperti in
posizione di conflitto di interessi, 9 ha autorizzato la vendita del
glifosato proprio perché, contrariamente allo IARC , non ha mai
accertato i rischi per la salute umana legati al discusso erbicida. 10
Questo continuo braccio di ferro tra le evidenze scientifiche
prodotte dalla ricerca indipendente e le relazioni degli scienziati a
busta paga dell’industria produce come risultato pareri tossicologici e
livelli di sicurezza discordanti e molto diversi da ente a ente e da
paese a paese. A causa di tale situazione, in Europa il limite
giornaliero della quantità di glifosato che può essere ingerita con il
cibo o l’acqua da bere, espressa in base alla massa corporea, è di 0,5
milligrammi al giorno per ogni chilo di peso, mentre negli Stati Uniti è
di 1,75. Dunque qual è la reale soglia di sicurezza per l’uomo? Dai
risultati delle indagini dell’Istituto di ricerca sul cancro Ramazzini di
Bologna, considerato fra i più autorevoli a livello internazionale per la
ricerca sulle malattie ambientali, emerge che il livello di glifosato
ammesso negli USA , somministrato a ratti a partire dalla vita
embrionale fino a un’età corrispondente a 18 anni nell’uomo, può
interferire con il normale sviluppo sessuale, è genotossico (cioè capace
di provocare rotture del DNA ) e altera la flora batterica intestinale.
Sono ancora in corso le indagini che riguardano gli effetti su
ghiandola mammaria, reni, fegato e sperma. Fintanto che le autorità
sanitarie non stabiliranno definitivamente chi ha ragione, noi
continuiamo a essere esposti. 11
Un nuovo studio condotto da PAN Germany ha riacceso i riflettori
sull’argomento e in generale sull’intera procedura di valutazione della
sicurezza dei pesticidi nell’UE . Nel mirino è finito il Laboratory of
Pharmacology and Toxicology (LPT ) di Amburgo: secondo gli esperti
di PAN Germany il laboratorio ha commesso una frode in una serie di
test regolatori, molti dei quali erano stati condotti nell’ambito del
processo di riapprovazione del glifosato nel 2017. Circa il 14 per cento
degli studi utilizzati per la sua riapprovazione proviene da questo
laboratorio che, nonostante sia stato accreditato dalle istituzioni, è
stato sorpreso a manipolare gli studi sulla tossicità sostituendo gli
animali morti con quelli viventi, modificando i dati del tumore in
«infiammazioni» e in generale distorcendo i dati per soddisfare i
propri clienti. 12 Vista la gravità della situazione, PAN Europe ha
chiesto alla Commissione europea di scartare gli studi condotti dal
laboratorio LPT dal fascicolo sul glifosato attualmente in fase di
rivalutazione nella UE .
Angeliki Lyssimachou, tossicologo ambientale presso PAN Europe,
ha dichiarato: «La stragrande maggioranza degli studi che portano
all’approvazione di un pesticida sono condotti dalla stessa industria
dei pesticidi, direttamente o tramite laboratori a contratto come LPT
Hamburg. Abbiamo denunciato questo conflitto di interessi per molti
anni. La nostra coalizione invita regolarmente la Commissione
europea a interrompere questo processo scandaloso facendo eseguire
la sperimentazione ai laboratori indipendenti sotto il controllo
pubblico e facendo finanziare questi studi all’industria». 13
Attualmente, invece, gli organi di controllo pubblici come l’EFSA si
limitano a leggere le carte prodotte dalle ricerche private finanziate
dai produttori.
Sin dagli anni Sessanta, Lorenzo Tomatis (illustre oncologo che ha
diretto lo IARC dal 1982 fino al 1993, nonché fondatore nel 1967 delle
monografie dedicate alle sostanze cancerogene) anticipò con sobria
amarezza che «il mondo della ricerca è composto da poche decine di
persone che contano davvero, un piccolo gruppo di lavoratori fidati,
un numero significativo di disinformati e una coorte di profittatori e
trasgressori senza scrupoli». 14
Nel corso dei decenni sono state perfezionate le migliori tecniche di
ricerca epidemiologica in campo sia ambientale sia professionale, ma
l’uso corretto di questi metodi non viene applicato di routine e tale
fallimento è confermato dai numerosi studi fasulli sui lavoratori
esposti a prodotti tossici (in raffinerie di petrolio, prodotti
petrolchimici, ecc.), sul personale militare esposto a uranio impoverito
e sulle persone che vivono in aree fortemente inquinate dagli impianti
industriali. I risultati delle ricerche effettuate con il beneficio dei
finanziamenti privati giungono spesso a «dimostrare» che una
popolazione esposta a qualche fattore di rischio professionale o
ambientale, o a un particolare trattamento farmacologico, è addirittura
più sana del gruppo di controllo (ovviamente solo fino a quando non
vengono condotti studi veramente indipendenti, che spesso rivelano
risultati molto diversi). 15
La sottovalutazione del rischio epidemiologico di una malattia può
essere facilmente indotta di proposito con uno studio specificamente
costituito per dare priorità alle ambizioni economiche del finanziatore
e alla carriera del ricercatore. Molti scienziati, infatti, hanno
espressamente denunciato come troppo spesso la ricerca sulla salute
venga trasformata in un’attività commerciale orientata a ottenere
fondi e cospicui compensi dall’industria. 16
L’American Conference of Government and Industrial Hygienists
(ACGIH ) è il classico esempio di questo modus operandi. A dispetto di
ciò che vuol lasciar intendere il nome, non è né un ente pubblico né
un’organizzazione governativa bensì un’associazione privata del
settore, 17 ma ciononostante ha avuto un ruolo fondamentale nel porre
dei limiti di esposizione normativi inadeguati per la protezione della
salute umana, ignorando totalmente le prove sperimentali ed
epidemiologiche. L’ACGIH ha infatti legami molto stretti con i
produttori delle sostanze cancerogene immesse sul mercato, e gran
parte dei valori soglia di sicurezza in vigore negli USA si basano
sull’opinione accomodante di esperti privati che hanno espresso il
proprio parere in totale assenza di prove o addirittura in contrasto con
le evidenze sperimentali prodotte dagli scienziati senza conflitti di
interessi. 18
Il Tobacco Industry Research Committee americano è un altro ente
di ricerca fittizio creato nel 1953 direttamente dall’industria proprio
per contrastare le conclusioni della ricerca accademica indipendente.
La sua funzione era quella di controbattere alla vera scienza con studi
sponsorizzati dagli stessi produttori per negare qualsiasi rischio per la
salute dei fumatori e creare confusione seminando dubbi e ipotesi
alternative (se tutto può essere la causa di una malattia, allora il fumo
può non esserlo). La strategia dell’industria, infatti, è alimentare
controversie, contraddizioni, altri fattori ed elementi sconosciuti allo
scopo di far crollare le certezze della ricerca indipendente, rasserenare
i consumatori e togliergli dalla testa qualsiasi preoccupazione. Così gli
esperimenti sugli animali vengono considerati irrilevanti, quelli sugli
umani non rappresentativi e quelli riguardanti le esposizioni non
affidabili. Anche la rivista «scientifica» «Reports on Tobacco and
Health Research», rivolta principalmente a scienziati e medici, nacque
proprio a questo proposito. 19 Tra le sue pagine venivano raccontate
storie e teorie completamente fasulle contro il nesso tra cancro e fumo,
che poi finivano sui quotidiani più prestigiosi con l’avallo scientifico
dei molti luminari in busta paga. I titoli che venivano utilizzati per gli
articoli della rivista erano appositamente studiati per confondere,
negare e ipotizzare altre cause, come si evince dai seguenti eloquenti
esempi: La personalità cancerogena inizia dall’infanzia; Uno pneumologo
cita 28 ragioni per dubitare del legame sigarette-tumore; L’effetto della
nicotina è simile a quello dell’esercizio fisico; Una rara infezione micotica
simile al cancro al polmone; Il cancro al polmone è raro tra i calvi; Essere nati
a marzo potrebbe avere un legame con il cancro al polmone. 20
Tale strategia ha consentito a Big Tobacco (il cartello delle
multinazionali del tabacco) di disconoscere il legame fumo-cancro per
mezzo secolo, come autorevolmente spiegato da David Michaels, ex
sottosegretario di Barack Obama per la sicurezza e la salute sul lavoro:
«Le pratiche che ha perfezionato sono oggi vive, vegete e ubique.
Vediamo in crescita questo trend che disonestamente richiede la prova
invece che la precauzione nel regno della salute pubblica». 21 Michaels
ha poi aggiunto che quale che sia l’argomento da confutare per
tutelare gli affari dell’industria contro la ricerca indipendente, gli
scienziati corrotti giocano d’anticipo con la complicità dei giornalisti,
cui viene indicato a quale delle due versioni dare risalto: «Si
preparano a diffondere studi sfavorevoli ancor prima che gli altri
siano pubblicati. Gli esperti di pubbliche relazioni mettono in circolo i
virgolettati con le controdichiarazioni degli scienziati a busta paga che
suonino meglio alle orecchie dei giornalisti, impantanati nella
trappola di credere che ci debbano essere sempre due versioni per
ogni notizia. Forse ci sono due versioni, e forse una è stata comprata e
pagata». 22
Il trucco vincente dell’industria di ogni settore produttivo
(farmaceutico, chimico, alimentare, ecc.) sta quindi nel non difendersi
mai direttamente dalle accuse di mettere a rischio la salute pubblica
e/o l’ecosistema, per lasciare che al suo posto parlino dei luminari
accademici, in modo da presentarsi all’opinione pubblica, ai
magistrati e alle istituzioni con una linea difensiva che sembra basata
sulle conclusioni imparziali della scienza.
Negli anni Ottanta, per esempio, la ChemRisk, società di
consulenza fondata da Dennis Paustenbach (uno scienziato
statunitense che godeva delle massime credenziali di serietà a livello
accademico), diede una dimostrazione di cosa è capace di fare la
«scienza a gettone». Prima tentò un colpo da maestro per riabilitare un
veleno notoriamente pericoloso come la diossina, e poi, siccome la
Pacific Gas and Electric era stata chiamata in giudizio per avere
contaminato di cromo esavalente l’acqua potabile di Hinkley
(California), reclutò degli scienziati cinesi per affidargli il compito di
ripescare un vecchio studio sulla cancerogenicità del cromo e per
rifare i calcoli in modo da dimostrare che erano sbagliati. Lo studio
«tarocco» venne pubblicato con il nome del team dei ricercatori
ingaggiati senza alcun riferimento al ruolo avuto dalla ChemRisk
nella vicenda 23 e fu ritirato dalla rivista scientifica solo quando molti
altri epidemiologi riuscirono a dimostrare oltre ogni ragionevole
dubbio che il cromo è fortemente cancerogeno, proprio come
sosteneva la ricerca fatta confutare dalla ChemRisk. Per quasi dieci
anni, però, lo studio fasullo poté essere usato con successo dalla PG&E
nelle cause giudiziarie al fine di escludere ogni responsabilità per
gravi danni alla salute e all’ambiente. 24
L’industria, oltre a saper confezionare ad arte dozzine di studi
scientifici fasulli, è altrettanto abile nello screditare i ricercatori (con
pesanti contraccolpi sulla loro carriera) e gli studi che costituiscono un
ostacolo ai suoi affari. Non a caso, tutte le ricerche che hanno il «grave
difetto» di risultare particolarmente sgradite alle multinazionali,
vengono smentite da eserciti di giornalisti e debunker 25 con un vero e
proprio fuoco di sbarramento mediatico.
La scienza a gettone e la macchina del fango sono due facce della
stessa medaglia. Il loro impiego simultaneo funziona egregiamente da
decenni perché la stragrande maggioranza della popolazione ignora lo
stretto collegamento tra la ricerca scientifica, il business e il mondo
dell’informazione. Alcune scoperte hanno notevoli ricadute
economiche, e per questo motivo l’industria ha la primaria necessità
di dettare alla ricerca l’orientamento voluto. Ma per poter convincere
l’opinione pubblica dell’inconsistenza delle denunce della ricerca
indipendente deve poter contare anche sulla collaborazione di editori
e giornalisti (spesso con conflitti di interessi non dichiarati). 26 Il
Weinberg Group, fondato nel 1983, è uno dei casi che ha fatto scuola
riguardo alla tecnica usata dall’industria per gettare discredito sulle
ricerche indipendenti più sgradite. 27 Gli scienziati del gruppo, infatti,
prendevano ogni singolo passaggio della relazione scientifica che si
intendeva demolire e lo analizzavano attentamente alla ricerca di
errori da ingigantire per minarne ogni credibilità o denunciare una
frode scientifica. 28 Questa tecnica viene utilizzata ancora oggi contro
gli studi scomodi pubblicati, e nel 99 per cento dei casi gli editori
investiti dalle polemiche cedono alle pressioni e ne dispongono il
ritiro.
Lo scienziato H. Daniel Roth rappresenta un modello esemplare di
questo tipo di scienza a pagamento, perché se ben remunerato è
capace di portare a compimento qualsiasi missione gli venga
assegnata con un «livore scientifico» paragonabile solo al fervore del
religioso più fanatico e zelante. Inserendo il suo nome accanto alla
qualifica di reanalysis nel motore di ricerca di Google, escono ben
101.000 risultati che testimoniano quanto sia lunga la sua carriera a
fianco dell’industria. Per i produttori di berillio, per esempio, ha
confutato tutti i dati degli studi che associavano l’inalazione del
minerale allo sviluppo del cancro ai polmoni. E ovviamente un
fuoriclasse come lui non poteva lasciarsi sfuggire la difesa
«impossibile» dell’industria del tabacco, negando ancora nel 1998
qualsiasi nocività del fumo passivo. E poiché ogni patologia può
essere provocata da più cause, la sua specialità risiede proprio nel far
leva sui fattori di confondimento (confounders) per attribuire la causa
della malattia ad altri elementi e minimizzare o escludere quello del
proprio committente. 29
Roth venne assoldato anche dall’industria del carbone per negare
categoricamente qualsiasi rischio legato all’esposizione alle polveri
sottili. E quando lavorò invece per i produttori di alcolici, fece «pelo e
contropelo» a tutti gli studi «impertinenti» che ne associavano il
consumo a maggiori rischi di contrarre il cancro. Dando prova di
eccezionali doti di disonestà intellettuale, riuscì persino a fingersi
esperto in ribaltamento delle automobili per una decina d’anni, senza
avere mai pubblicato nessuno studio scientifico in merito. 30 Così,
quando la ricerca accademica indipendente iniziò a denunciare gli
effetti nocivi dei campi elettromagnetici a causa del loro aumento
esponenziale negli ultimi decenni, l’impareggiabile Roth mise in
discussione i metodi statistici usati dagli scienziati per l’analisi dei
dati dichiarandone l’inadeguatezza. 31 Roth, ovviamente, è solo uno
degli innumerevoli luminari senza peli sullo stomaco che collaborano
con l’industria, ma la sua storia personale è illuminante per descrivere
come funziona la scienza a gettone che consente alle multinazionali di
ricavare enormi profitti da sporchi affari (a scapito della salute
collettiva) anche per molti decenni.
Tali dati, per quanto già di per sé allarmanti, sono solo la punta
dell’iceberg a causa dell’abitudine delle riviste scientifiche di non
indicare, o di farlo solo in parte, le fonti di finanziamento a cui hanno
attinto gli autori dello studio. Questo significa che l’industria può
facilmente dominare il campo della ricerca ricorrendo a ingenti
finanziamenti. Viceversa, le informazioni scomode prodotte dagli
studi indipendenti finiscono per non avere risonanza pubblica.
La scienza dovrebbe essere sempre oggettiva e i risultati delle sue
ricerche quantomeno concordanti, mentre ogni volta in cui ci sono
degli enormi interessi economici in gioco possono divergere
totalmente in base a chi paga lo stipendio dei ricercatori. Questo
fenomeno si chiama funding effect (effetto finanziamento) ed è stato
scoperto casualmente nei primi anni Novanta da Paula Rochon,
geriatra di Boston, 38 quando mise a confronto i test clinici sui farmaci
antinfiammatori non steroidei come aspirina, naproxene o ibuprofene
(Advil) utilizzati per curare l’artrite, 39
Indipendenza, assenza di conflitti di interessi, autorevolezza,
credibilità scientifica e trasparenza dovrebbero essere considerate
qualità imprescindibili per chiunque sia coinvolto nei processi di
valutazione dei potenziali impatti dei CEM sull’ambiente e sulla salute
umana, nonché sulla definizione della normativa che li regola.
Attualmente invece, i conflitti di interessi tra gli esperti degli organi
pubblici di controllo e gli scienziati che pubblicano gli studi a favore
dell’industria sono più una regola che un’eccezione. 40
Nei grafici statistici pubblicati dal professor Angelo Gino Levis (membro permanente della
Commissione tossicologica nazionale del ministero della Sanità) in collaborazione con il dottor Valerio
Gennaro (Azienda ospedaliera universitaria San Martino – IST , Istituto nazionale per la ricerca sul
cancro) e il dottor Spiridione Garbisa (Associazione italiana medici per l’ambiente) è indicata la
percentuale di studi sugli effetti nocivi delle RF e dei campi elettromagnetici con risultati negativi
(colore grigio scuro). La colonna di colore grigio chiaro indica invece la percentuale di studi con
risultati positivi. Le ricerche sono state suddivise tra private (a sinistra) e pubbliche (a destra) per
ciascun campo d’indagine. Emerge a colpo d’occhio come i risultati della sperimentazione scientifica
divergano in rapporto all’effetto finanziamento. 41
L’autorevolezza e l’imparzialità delle principali agenzie
internazionali (comprese le commissioni nazionali) di controllo
sull’elettrosmog sono compromesse dall’ombra dei conflitti di
interessi e, di fatto, nelle loro linee guida fanno riferimento solo agli
studi più rassicuranti finanziati dall’industria. 42 L’ultimo scandalo
risale al febbraio 2020, quando il comitato scientifico di Bruxelles è
stato azzerato proprio in quanto è stato scoperto che diversi membri
erano consulenti delle aziende di telecomunicazioni. 43
Tale situazione spiega il «mistero» per cui, nonostante la posizione
negazionista assunta dalle istituzioni, nei grandi database della
letteratura scientifica mondiale come Pubmed o Medline Plus
convivono innumerevoli studi dalle conclusioni totalmente
contrastanti tra loro. Per lo stesso motivo, mentre centinaia di
scienziati accademici indipendenti di molte diverse nazionalità hanno
aderito a una moratoria contro la rete di quinta generazione per il
rispetto del principio di precauzione, molti loro colleghi accreditati
dalle istituzioni negano invece qualsiasi rischio per la salute
sostenendo che le onde millimetriche del 5G sono molto più sicure di
quelle delle precedenti reti 2G , 3G e 4G . In questa situazione
contrastante e confusa, gli unici soggetti a trarre un vantaggio sono le
multinazionali che hanno investito nella nuova rete e che in assenza di
un parere unanime del mondo accademico possono essere lasciate
libere di commercializzarla.
Dominique Belpomme, professore di oncologia presso l’università
di Parigi-Cartesio, ha fatto una sintesi di tutti gli studi sui livelli di
elettrosmog a cui siamo sottoposti e il risultato è stato un codice rosso.
Ha infatti dichiarato che corriamo «un pericolo grave, specialmente se
saremo sotto la cappa del 5G ». 44 Belpomme è divenuto famoso per
aver pubblicato nel 2016 una rassegna molto preoccupante
sull’elettrosensibilità e perché grazie a lui la Francia ha riconosciuto
per la prima volta su base nazionale un caso di invalidità per allergia
alle onde elettromagnetiche. 45 I loro effetti sul cervello, seppur poco
percepiti dall’opinione pubblica, possono ridurre le capacità di
apprendimento di bambini e adolescenti diminuendone addirittura il
quoziente intellettivo. E Belpomme ha avvisato che se non si
prendono provvedimenti le conseguenze potrebbero essere
catastrofiche: «Numerose ricerche» spiega «evidenziano un legame tra
l’esposizione alle radiofrequenze e la modifica della corteccia
cerebrale e la riduzione del numero dei neuroni. Un recente studio
americano ha dimostrato che i bambini e gli adolescenti fino ai 17 anni
che abusano della tecnologia senza fili hanno una perdita del
quoziente intellettivo di 6-7 punti. Un serio problema per il futuro
dell’umanità». 46 Riguardo ai pareri contrastanti degli studi scientifici è
stato molto schietto: «Credo che questo avvenga per l’interferenza
delle lobby, che non permettono di dire la verità sui danni provocati
dalla tecnologia senza fili. Nel mondo sono stati pubblicati seimila
articoli scientifici che dimostrano la tossicità delle radiazioni
elettromagnetiche. Ci sono prove inconfutabili sugli effetti delle
radiazioni elettromagnetiche sull’organismo umano, sulle piante e
sugli animali, dimostrate dagli studi di tutto il mondo. In Russia già
molti anni fa gli studiosi in materia hanno dimostrato che durante la
seconda guerra mondiale l’utilizzo prolungato nella steppa dei
dispositivi radio provocava ai militari perdita della memoria, deficit
dell’attenzione e mancanza di concentrazione. La scoperta della
tossicità delle radiazioni elettromagnetiche non è quindi una novità.
La novità è che l’aumento dei dispositivi elettronici senza fili ci sta
sottoponendo sempre di più alle frequenze di onde elettromagnetiche.
Una mole che il nostro corpo non ha mai sperimentato in passato, per
questo non riesce a adattarsi a esse così velocemente». 47
Direi che ormai non c’è più niente di «normale». Sono ben
consapevole che ritenere la scienza al di sopra delle parti ed esente da
conflitti di interessi sia una pia illusione, perché è noto da tempo come
la ricerca scientifica subisca i condizionamenti economici delle grandi
corporation: basti pensare ai ritardi decennali nel riconoscere la
pericolosità del fumo di sigaretta, dell’amianto, del benzene, del
cloruro di vinile o dei pesticidi. Ma oggi più che mai la situazione mi
appare degenerata: da una parte si permette alle compagnie
telefoniche di sperimentare tutto ciò che la tecnologia è in grado di
inventare, quasi che l’intera umanità fosse solo un insieme di cavie, e
dall’altra le uniche voci cui si dà ampia risonanza sono quelle di
persone con conclamati e pesanti conflitti di interessi.
Su questo aspetto è esemplare la recentissima sentenza della Corte
di appello di Torino con la quale è stato riconosciuto il nesso causale
fra insorgenza di neurinoma ed esposizione prolungata per ragioni
professionali al telefono cellulare. I magistrati hanno concluso infatti
che le posizioni negazioniste sono viziate da conflitti di interessi e che
per tale motivo non devono essere tenute nella medesima
considerazione di quelle che scaturiscono da ricercatori indipendenti,
dichiarando, per quanto attiene la valutazione dei risultati, «che debba
essere dato maggior peso ai risultati condotti da ricercatori esenti da
tali conflitti, come per esempio da Hardell e suoi collaboratori» o
ancora: «Gli unici studiosi che con certezza escludono qualsiasi nesso
causale tra utilizzo di cellulari e tumori encefalici sono i professori
Ahlbom e Repacholi, ma detti autori si trovano in posizione di
conflitto di interessi, essendo il primo consulente di gestori di
telefonia cellulare e il secondo di industrie elettriche». Purtroppo
questa sentenza viene presentata sui media come fosse un abuso dei
magistrati che si sostituiscono agli «scienziati», quando invece si tratta
di una sentenza esemplare che non fa altro che prendere atto di
quanto espresso dai consulenti tecnici d’ufficio (anch’essi membri a
pieno titolo della «comunità scientifica»), che nella loro perizia
riaffermano un principio sacrosanto, cioè che la prima domanda da
farsi davanti a qualunque ricerca o indagine scientifica è chiedersi chi
l’abbia finanziata, ovvero se non sia viziata da conflitti di interessi.
Tanto per capirci, proprio nell’ambito delle ricerche che riguardano
campi elettromagnetici (CEM ) ed effetti sulla salute emerge che, se gli
studi sono stati finanziati dall’industria, solo il 32 per cento evidenzia
effetti negativi, mentre avviene esattamente il contrario quando gli
studi sono indipendenti, perché in questo caso le conseguenze
negative sono presenti nel 70 per cento delle ricerche.
Nel 2010 una perizia processuale di 140 pagine redatta dal professor Andrea
Micheli ha dimostrato un nesso evidente tra le onde emesse dalle antenne di
Radio Vaticana e l’anomalo sviluppo di tumori e leucemie negli abitanti della
zona. Molti altri procedimenti giudiziari italiani e del resto del mondo hanno
confermato i rischi da esposizione all’elettrosmog. Qual è la sua opinione di
oncologa a riguardo?
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato inoltre che gli effetti non termici dei
campi elettromagnetici artificiali possano coinvolgere anche la meccanica
quantistica, la teoria che descrive il mondo atomico e subatomico. Qual è la
sua opinione in proposito?
Confronto tra il fascio di radiazione emesso dalle stazioni radio base 4G (diagramma di irradiazione
fisso) e 5G (diagramma di irradiazione dinamico e indirizzabile verso l’utente).
Un superbusiness planetario
Con l’introduzione del 5G , gli elettrodomestici, i mezzi di trasporto, i
macchinari industriali e tutti i dispositivi elettrici prodotti fino a oggi
diventeranno obsoleti perché potranno essere immediatamente
sostituiti dalla loro versione smart, sempre in collegamento con altri
device per mezzo dell’intelligenza artificiale. Persino le porte di casa
(già realizzate con pannelli digitali, sensori e accesso a vani refrigerati
o meno per la consegna automatica della spesa o di qualsiasi altro
prodotto), le borse (con parti rivestite da display OLED pieghevoli) e i
comuni pannolini (con un sensore interno che avviserà quando è il
momento del cambio) vedranno arrivare la loro versione
«intelligente», e la corsa all’acquisto delle ultime novità tecnologiche
porterà l’industria a un boom di vendite dei nuovi prodotti.
Gli esperti hanno calcolato che entro il 2026 il giro d’affari globale
creato dal 5G arriverà a 1307 miliardi di dollari e, secondo il report di
Qualcomm-IHS -PSB , 8 il fatturato è destinato a salire fino a 12.300
miliardi di dollari entro il 2035. 9 Pensare quindi di poter fermare
questo nuovo business da capogiro e di contenere le pressioni delle
lobby industriali più potenti della Terra in attesa che vengano
effettuati degli studi a lungo termine sulla salute è assolutamente
irrealistico. Anche gli Stati hanno già avuto il loro immediato
tornaconto: nel 2018, solo in Italia, la concessione delle prime licenze
per le radiofrequenze del 5G è fruttata ben 6,55 miliardi di euro per
l’erario. 10 Una somma che, in tempi di crisi, può spingere i Parlamenti
a chiudere un occhio sui timori per la salute pubblica.
In tutto il mondo sta arrivando una pioggia di denaro dall’industria
per ottenere le licenze e rimuovere qualsiasi ostacolo normativo
all’introduzione del 5G su vasta scala, e le istituzioni delle nazioni
stanno accogliendo tutte le loro richieste. Le politiche europee per lo
sviluppo del 5G esposte nel «Piano di azione per il 5G » della
Commissione europea prevedono infatti la messa in opera di una serie
di provvedimenti mirati al dispiegamento tempestivo e coordinato
delle reti 5G in tutta Europa. L’obiettivo è quello di assicurare
l’allineamento delle tabelle di marcia e delle priorità tese a garantire il
dispiegamento delle reti 5G e una loro rapida introduzione su larga
scala tra il 2020 e il 2022. 11 La stessa timeline è stata fissata per Cina, 12
USA , 13 Canada, 14 Australia, 15 Messico, India, Brasile, Argentina,
Sudafrica, Corea del Sud, Giappone, Vietnam, Malesia, 16 Russia 17 e
molte altre nazioni del mondo. A distanza di pochi mesi o di qualche
anno l’una dall’altra, tutte si troveranno immerse nelle microonde del
5G .
5G e «smart weapons»
Le implicazioni militari del 5G sono quasi del tutto trascurate dai
media e dalla stessa ricerca indipendente poiché, per ovvi motivi, il
massimo dell’attenzione è concentrato sugli aspetti che riguardano la
salute. Al summit di Londra del 2019, però, i 29 paesi della NATO si
sono impegnati a «garantire la sicurezza delle nostre comunicazioni» e
l’alleanza atlantica ha mostrato di avere bisogno della tecnologia di
quinta generazione per collegare i sistemi digitali con enormi quantità
di dati che dovranno interagire tra loro in maniera automatica.
L’enorme interesse militare per la nuova tecnologia è dimostrato dalle
conclusioni del rapporto «Defense Applications of 5G Network
Technology», 20 pubblicato dal Defense Science Board, comitato
federale che fornisce consulenza scientifica al Pentagono:
«L’emergente tecnologia 5G , commercialmente disponibile, offre al
dipartimento della Difesa l’opportunità di usufruire a costi minori dei
benefici di tale sistema per le proprie esigenze operative». Ciò
significa che la rete commerciale del 5G , realizzata da società private
con il denaro dei cittadini che usufruiranno dei suoi servizi, in realtà
verrà usata anche dalle forze armate statunitensi quasi a costo zero.
Durante la prima guerra mondiale i protagonisti indiscussi erano i
soldati e i cannoni, nella seconda gli aerei e i carri armati, mentre nella
terza lo sarebbero le armi intelligenti come droni, robot e missili in
grado di inseguire e colpire qualsiasi bersaglio. Gli esperti militari,
infatti, prevedono che il 5G avrà un ruolo determinante nell’uso delle
nuove armi per guidarne le traiettorie variabili, cambiare rotta in una
frazione di secondo e sfuggire a missili, droni o robot armati. Le smart
weapons, insomma, per poter funzionare in massa richiedono un
sistema di ricetrasmissione dati capace di raccogliere ed elaborare
enormi quantità di informazioni in tempi rapidissimi.
Nel caso dell’attacco improvviso di una grande potenza militare,
dotata delle ultime tecnologie robotizzate con intelligenza artificiale, i
tempi di reazione umani si rivelerebbero troppo lenti e l’unica
possibilità di difesa sarà quella di affidarsi a sistemi automatici dotati
di 5G . Ciò rappresenta già di per sé un buon motivo per cui tutte le
grandi potenze (USA , Russia, Cina, ecc.) appaiono così decise a
installare le antenne di quinta generazione in gran fretta e senza
curarsi del loro impatto sull’ambiente e sulla salute pubblica.
La nuova tecnologia 5G e i suoi successivi sviluppi (già è stato
previsto un rapido upgrade al 6G ) avranno un ruolo chiave nella battle
network (rete di battaglia) del futuro poiché consentiranno di collegare
contemporaneamente milioni di apparecchiature ricetrasmittenti che
si scambieranno mappe, foto, bersagli e altre informazioni
sull’operazione in corso in tempo reale. Rispetto agli eserciti
tradizionali composti unicamente da essere umani, i droni-killer e i
robot da guerra diventeranno quasi infallibili poiché avranno la
capacità di individuare, seguire e colpire uomini di Stato o altri
obiettivi sensibili in base al riconoscimento facciale e ulteriori
caratteristiche specifiche. 21
Anche in totale assenza di conflitti bellici, inoltre, il 5G sarà
estremamente importante per i servizi d’intelligence che potranno così
fare affidamento sull’intelligenza artificiale. La rete 5G , insomma,
consiste anche in uno strumento di guerra ad alta tecnologia e di
conseguenza diverrà automaticamente il bersaglio di cyberattacchi e
di azioni militari effettuate con le armi di nuova generazione.
In conclusione, la corsa al 5G a livello internazionale sembra
inarrestabile non solo per il grande business dell’industria ma anche e
soprattutto per le sue implicazioni di tipo militare (un deterrente che è
sicuramente meglio possedere).
Non a caso il Comitato parlamentare per la sicurezza della
Repubblica (COPASIR ), preposto al controllo dei servizi segreti italiani,
ha suggerito al governo di valutare l’ipotesi di escludere tutte le
aziende cinesi dalla fornitura di tecnologia per le reti di quinta
generazione, paventando il fondato rischio di spionaggio e di
predominio straniero. 22 Le rassicurazioni in particolare di Huawei
sulla propria indipendenza rispetto al governo cinese non sono state
considerate sufficienti, e ciò anche perché i responsabili delle agenzie
di intelligence italiane – AISI , AISE e non solo – hanno dato una
versione differente. In particolare, scrive il COPASIR , dai vertici dei
servizi segreti «è stato posto in rilievo che in Cina gli organi dello
Stato e le stesse strutture di intelligence possono fare pieno
affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese, e ciò sulla base
di specifiche disposizioni legislative». La National Security Law e la
Cyber Security Law cinesi obbligano infatti cittadini, aziende e
operatori a fornire assistenza e supporto all’intelligence e all’apparato
militare cinese per tutelare la sicurezza e gli interessi nazionali. Sulla
base di questi elementi, il COPASIR ritiene dunque «in gran parte
fondate le preoccupazioni circa l’ingresso delle aziende cinesi nelle
attività di installazione, configurazione e mantenimento delle
infrastrutture delle reti 5G ». 23 Pleonastico concludere che chi gestirà la
rete 5G possiederà anche le chiavi di accesso a tutto l’apparato civile e
militare italiano.
– Nel 1977 gli scienziati hanno evidenziato che l’esposizione continuativa per molti
giorni, seppur limitata nel tempo, alle onde millimetriche a bassa potenza provoca
disfunzioni mitocondriali, lesioni al DNA , al sistema nervoso centrale, al sistema
immunitario e all’espressione genica. Dallo studio sui ratti è emerso che anche
organi interni come cuore, reni, fegato, milza e midollo osseo possono essere colpiti
dalle onde millimetriche. I primi effetti sono modesti e possono essere reversibili con
la cessazione dell’esposizione, ma con l’aumentare dell’intensità e/o dei tempi di
esposizione diventano molto più gravi. 28
– Studi sull’uomo hanno dimostrato che la penetrazione delle onde millimetriche
nell’organismo è almeno venti volte maggiore di quanto dichiarato dall’industria.
Sebbene la componente elettrica dei campi elettromagnetici venga assorbita dalla
pelle, l’effetto altamente penetrante viene comunque prodotto dalla componente
magnetica. Quest’ultima è infatti perfettamente in grado di esercitare forza sugli ioni
disciolti nei fluidi delle cellule e dei tessuti, spostandoli e rigenerando solo le parti
elettriche dei campi elettromagnetici, con la stessa frequenza e le stesse pulsazioni
ma a intensità molto più bassa. E poiché il sensore di tensione dei canali cellulari del
calcio (VGCC ) è eccezionalmente sensibile alle forze elettriche, ciò può produrre
effetti anche molto in profondità all’interno del corpo. Nello studio, tali effetti si
sono manifestati con onde millimetriche a bassa intensità e pertanto è prevedibile
che avranno ripercussioni molto più importanti con le pulsazioni straordinariamente
elevate del 5G . 29
– Una ricerca pubblicata nel 2018 ha evidenziato che le onde millimetriche del 5G
innalzano la temperatura della pelle, alterano l’espressione genica, promuovono lo
stress ossidativo cellulare, generano processi metabolici e infiammatori e possono
provocare danni oculari. 30
– La ricerca ha evidenziato che la nascente tecnologia mobile 5G non ha effetti solo
sulla pelle e sugli occhi come comunemente creduto, ma avrà anche effetti sistemici
avversi. 31
– Le lunghezze d’onda corrispondenti al 5G colpiscono le membrane cellulari e hanno
effetti biologici avversi, nonché effetti clinici come la cataratta, alterazioni del
sistema immunitario, effetti sul cuore e sulla pressione sanguigna. Le ghiandole
sudoripare, inoltre, sono strutture a spirale negli strati superiori della pelle e
assorbono l’energia delle RF proprio come se fossero un’antenna ricevente. Per tali
motivi, gli autori dello studio hanno concluso che il 5G è una concreta minaccia per
la salute. 32
– Le onde ad alta frequenza producono l’oscillazione delle molecole d’acqua presenti
nei tessuti e il conseguente riscaldamento di questi ultimi. In base alle caratteristiche
peculiari del tessuto (quali forma, orientamento, composizione, dimensioni, ecc.) e
alla frequenza dell’onda elettromagnetica incidente si possono formare dei
fenomeni di risonanza a livello tissutale con la creazione di «punti caldi», ovvero
zone in cui la presenza di calore diviene particolarmente accentuata. A questo
meccanismo si può poi associare anche un’elevata sensibilità da parte degli organi
del corpo umano soggetti all’esposizione. Occhi, testicoli (prove su animali hanno
per esempio dimostrato che anche esposizioni brevi, con intensità di 100-200
mW/cm 2, possono provocare l’insorgere della cataratta e di una temporanea
sterilità), nonché alcune zone del cervello e, più in generale, gli organi con scarsa
circolazione sanguigna e bassa conducibilità termica sono risultati essere le zone più
sensibili. 33 Quando l’aumento della temperatura in corrispondenza di queste zone è
molto marcato, ovvero il campo elettromagnetico associato raggiunge valori elevati
(condizione che si può realizzare solo in situazioni particolari, quali quelle
riscontrabili in alcuni ambienti lavorativi), esso può provocare la morte cellulare e la
necrosi tissutale, con segni fisici evidenti. 34
– Le radiofrequenze delle onde millimetriche possono compromettere la funzione
testicolare, alterando i parametri spermatici. La penetrazione delle onde nel testicolo
è potenzialmente più pronunciata rispetto ad altri tessuti, dato che questo organo è
avvolto in tessuti di spessore molto ridotto. È inoltre noto che la temperatura dei
testicoli è inferiore di 2-3 °C rispetto a quella rettale (visto che la temperatura
ottimale per la spermatogenesi è considerata di 35 °C) e l’abitudine di tenere il
cellulare nella tasca dei pantaloni può avere un impatto sulla generazione di
ipertermia scrotale e stress ossidativo, che rappresentano i principali meccanismi con
cui viene generato il danno, oltre ai potenziali effetti non termici. Nella maggior
parte degli studi questo danno risulta caratterizzato dalla perdita di motilità e vitalità
degli spermatozoi, dall’induzione della generazione di ROS (stress ossidativo) e da
lesioni nel DNA . Di conseguenza, l’esposizione a radiofrequenza causa diversi effetti
dannosi: i tubuli seminiferi, gli spermatozoi e le cellule di Leydig sono i principali
bersagli, e il numero di spermatozoi, la motilità e la morfologia spermatica
rappresentano i parametri alterati più frequentemente. Le anomalie evidenziate
sembrano essere direttamente correlate alla durata dell’uso del telefono cellulare
e/o alla vicinanza alla sorgente di radiofrequenza. Numerosi studi supportano
l’ipotesi che l’esposizione alle radiofrequenze si traduca in un aumento dello stress
ossidativo, con conseguente perossidazione lipidica della membrana dello
spermatozoo e danni al DNA . 35
– Una metanalisi condotta su 94 studi considerati rilevanti ha dimostrato che le
radiofrequenze tra i 6 e i 100 GH z utilizzate dal 5G producono inevitabilmente anche
effetti biologici non legati solo al calore. 36
– Gli attuali limiti di legge per l’esposizione alle onde millimetriche risultano inadeguati
anche per gli effetti termici acuti, poiché le frequenze oltre i 10 GH z, «tollerate» dalle
linee guida internazionali, «possono indurre danno tissutale permanente anche
dopo brevi esposizioni» e pertanto si raccomanda «un’urgente revisione» dei valori
soglia normativi. 37
– Gli studi che hanno indagato il ruolo delle frequenze radio statiche e pulsate delle
onde millimetriche nella gamma dei gigahertz e dei terahertz su varie biomolecole,
cellule e tessuti, hanno rivelato come i campi elettromagnetici possono influenzare
l’attività delle membrane cellulari (pompe sodio-potassio), dei canali non selettivi
insieme ai potenziali delle transmembrane e persino del ciclo cellulare. Particolare
attenzione deve essere conferita alle radiazioni millimetriche nella gamma dei
terahertz, a causa del loro crescente utilizzo e del conseguente aumento
dell’esposizione umana. Le RF non ionizzanti (a basse energie) possono alterare
indirettamente le funzioni delle membrane cellulari, e le onde dei terahertz (quelle
previste per il passaggio al 6G ) hanno la peculiarità di interferire maggiormente con
il DNA fino a poter provocare delle instabilità genomiche. 38
– Campi elettromagnetici ad alta frequenza (EHF ), tra 30 e 300 GH z (quindi nel campo
sia del 5G che della telefonia mobile), possono aumentare la temperatura della pelle,
alterare l’espressione genica, promuovere la proliferazione cellulare e la sintesi di
proteine legate allo stress ossidativo, causare processi infiammatori e metabolici,
generare danni oculari e influenzare le dinamiche neuromuscolari. 39
– Nei ratti maschi, un periodo di sole due ore al giorno di esposizione alle RF a 10 GH z
per una durata di 45 giorni è stato associato a un danno allo sperma causato da
stress ossidativo e dalla riduzione dei livelli di melatonina. 40
L’attività di studio è durata circa otto mesi, con una prima fase
detta «bianco» (controllo) in cui gli insetti sono stati ambientati in un
contesto dotato di tutte le caratteristiche per rappresentare il miglior
ambiente per la specie, dopo di che sono stati irradiati, senza mutare
le condizioni ambientali, con uno spettro di frequenze in uso nella
tecnologia 5G . In questa prima fase sono stati utilizzati insetti della
famiglia Blattidae, e in particolare esemplari di blatta americana
(Periplaneta americana). È uno degli insetti più comuni nelle aree
urbane di tutto il mondo ed è la specie di blatta più grande tra quelle
che condividono gli ambienti di vita con l’uomo. Istintivamente
rifuggono la luce. Dal punto di vista alimentare la P. americana è una
specie onnivora e opportunistica. Questi scarafaggi si nutrono
generalmente di materia organica in putrefazione, ma mangiano
praticamente qualsiasi cosa. Un team di ricercatori della Purdue
University, con diversi esperimenti, ha trovato conferma che la
battella germanica (stessa specie) ha sviluppato una resistenza agli
insetticidi così forte che la quasi totalità delle sostanze oggi sul
mercato utilizzate per ucciderla si è rivelata inefficace. Abamectina,
acido borico e thiamethoxam non hanno funzionato.
Gli scarafaggi sono noti anche per avere una notevole resistenza a
dosi elevate di radiazioni. La sua adattabilità e la sua capacità di
affrontare le situazioni più avverse ed estreme sono senz’altro gli
elementi che hanno consentito alla blatta di sopravvivere persino nelle
zone esposte alle radiazioni seguite al bombardamento atomico di
Hiroshima e Nagasaki alla fine della seconda guerra mondiale.
Utilizzare un insetto così resistente ci avrebbe concesso di
comprendere gli effetti dell’esposizione in modo più esaustivo.
L’effetto riscontrato è stato un cambiamento comportamentale, e in
particolare: cessazione dell’alimentazione, della riproduzione e della
caratteristica lucifuga.
Gli insetti sono stati esposti a una sola o a più frequenze della banda 5G ?
Questo aspetto è stato curato da altri tecnici del mio staff (io ho
seguito gli aspetti zoologici entomologici della ricerca), ma posso
affermare che sono state modulate frequenze che coprissero l’intero
spettro analizzato, in più fasi e alternandole, sempre nel range delle
frequenze attribuibili al 5G .
In conclusione della prima fase di studio, ritiene che il 5G sia una tecnologia
sicura o comunque dagli effetti ambientali e sanitari trascurabili?
I mass media sembrano tutti d’accordo nel sostenere che il 5G è sicuro e che
non c’è nessun motivo scientifico per dubitare. Ciononostante, esiste ampia
letteratura accademica che ha associato l’esposizione all’elettrosmog con lo
sviluppo di patologie gravissime come cancro e leucemie. Se la scienza segue
il metodo galileiano ed è sempre oggettiva, come mai troviamo degli studi con
conclusioni radicalmente opposte alle altre? Qual è la sua opinione riguardo a
queste due posizioni contrastanti?
Secondo quanto rivelato da alcune fonti, non tutte le Agenzie regionali per la
protezione ambientale (ARPA ) dispongono degli strumenti tecnici per
misurare intensità e livelli d’elettrosmog del 5G . Può confermare o confutare
queste dichiarazioni?
Anche questa è una delle litanie ricorrenti che gli «addetti alla
diffusione del torpore rassicurante» ripetono con insistenza.
Affermazioni che, scientificamente parlando, sono di una
superficialità imbarazzante e di una gravità assoluta, visto che
vengono diffuse spacciandole come «verità» quando, al contrario,
sono vere e proprie mistificazioni. Innanzitutto dobbiamo dire che
esistono un campo magnetico e un campo elettrico naturali che sono
stazionari, ossia non variabili nel tempo, con i quali ci siamo
geneticamente selezionati e che sono fondamentali per il corretto
funzionamento del corpo umano. Quindi niente a che vedere con le
onde elettromagnetiche pulsate emesse dagli apparati wireless.
Esistono inoltre onde elettromagnetiche naturali, note come onde di
risonanza di Schumann, a bassissima frequenza (dell’ordine di pochi
hertz), anche queste completamente diverse da quelle prodotte dai
mezzi di telecomunicazione.
In sostanza, fino agli inizi del Novecento le microonde e le
radiofrequenze non esistevano nello spettro elettromagnetico del
fondo naturale. L’uomo dal canto suo è una sofisticata e delicata
macchina elettromagnetica che vive di segnali, frequenze, codici di
riconoscimento, e per capirne a fondo il funzionamento oggi la
biochimica non è più sufficiente. I futuri progressi della medicina
saranno possibili se i medici lavoreranno accanto ai fisici. Solo così
comprenderemo i livelli più sottili e profondi, i «meccanismi che
comandano i meccanismi». Il problema delicatissimo è quello di
determinare come reagisce il campo elettromagnetico endogeno nei
diversi distretti del corpo umano quando questo è esposto a un campo
elettromagnetico esterno. In questi casi atomi e molecole possono
essere distorti nelle loro configurazioni e nei loro equilibri funzionali. I
resoconti di vari studi documentano «effetti finestra» in cui si
presentano complesse risposte biologiche (bioeffetti) non lineari e
selettive: al di fuori di determinati intervalli di frequenze e intensità,
in genere, non si ha alcuna reazione. In altre parole l’effetto accade
solo sotto l’influenza di «sottili risonanze» e sparisce, per esempio,
quando il campo applicato «fa la voce grossa».
Mi permetta di approfondire un po’ meglio il concetto di risonanza,
che si incontra in fisica un po’ ovunque, dalla meccanica elementare
all’ingegneria, dall’acustica all’ottica, dalle telecomunicazioni allo
studio delle cellule e dei sistemi biologici. Partiamo dalla nota storia
del ponte di Tacoma Narrows che, il 7 novembre 1940, crollò sotto le
raffiche periodiche del vento 77. Non fu certo solo la pressione del
vento a farlo crollare, ma la cadenza delle raffiche, cioè la frequenza.
Questa frequenza risultò molto vicina alla frequenza di vibrazione
«propria» di una delle strutture portanti del ponte; in questo caso la
pressione relativamente modesta ceduta dal vento al ponte venne
amplificata a un livello tale che il trasferimento di energia alla
struttura lo fece crollare. È lo stesso fenomeno in virtù del quale, se
facciamo vibrare un diapason con un martello, altrettanti diapason
aventi la stessa frequenza del primo e posti in sua prossimità
risuoneranno senza essere stati percossi. Analogo è anche il
meccanismo uditivo in cui la membrana del timpano risuona con le
onde sonore che vengono emesse nell’aria, riconoscendole e
decodificandole in un linguaggio grazie al sistema nervoso (entro un
certo spettro di frequenze che rappresenta la nostra capacità uditiva).
Il principio di risonanza è esplicabile anche a livello atomico, dove
viene utilizzato per esempio per la produzione di «laser», e a livello
medico diagnostico, basti pensare alla risonanza magnetica nucleare.
In generale si può dire che ogni sistema, microscopico o
macroscopico, è in grado di oscillare con frequenze caratteristiche, le
cosiddette frequenze proprie di vibrazione. La risonanza è la capacità
che ha il sistema di aumentare l’ampiezza di oscillazione in
corrispondenza di sollecitazioni esterne sintonizzate sulle frequenze
proprie di vibrazione. In questo caso, in modo molto efficiente, il
sistema assorbe, amplificandola, l’energia ceduta dalla perturbazione.
Io sono personalmente convinto che la maggior parte degli studi
che ho citato sulle onde centimetriche/millimetriche siano spiegabili
proprio in termini di interazioni basate sulla risonanza in particolari
«finestre» di frequenza, e sto svolgendo ricerche proprio in tal senso.
Non più tardi di un mese fa (ottobre 2019) il National Toxicology
Program (NTP ), negli USA , ha testato due tipologie di radiazioni
comunemente emesse dai telefoni cellulari valutandone la
genotossicità nel caso di roditori da laboratorio. I risultati di questo
studio, durato circa due anni, suggeriscono che l’esposizione a
radiofrequenze/microonde è associata a un aumento del danno al DNA
anche a livelli non termici di esposizione.
A differenza delle radiazioni ionizzanti, quelle emesse dai telefoni
cellulari non hanno sufficiente energia per danneggiare direttamente
le macromolecole, ma ritengo che una rianalisi del problema basata
sulla ricerca di effetti di risonanza potrebbe spiegare questa apparente
anomalia emersa nella pubblicazione dell’NTP . Francamente mi
sorprendo che qualcuno si stupisca di queste ulteriori conferme, e
guardi, uso il termine «ulteriori» perché di fatto già negli anni Ottanta
e Novanta erano emersi questi risultati, peraltro con tecniche
sperimentali molto simili a quelle usate oggi dall’NTP : basti pensare ai
lavori di M. Swicord (1983) e di H. Lai (1995). 78 A questo proposito
consiglierei la visione di un filmato in inglese reperibile su YouTube 79
inerente a una conferenza tenuta dal dottor Henry Lai sulle rotture del
DNA come risultato dell’esposizione a radiofrequenze e microonde che
sembra proprio ribadire, sostanzialmente, quanto emerso nell’ultimo
studio dell’NTP .
Un’altra pubblicazione estremamente interessante è apparsa nel
2011 sulla rivista «International Journal of Radiation Biology»,
realizzata da Blank e Goodman e dal titolo Il DNA è un’antenna frattale
nei campi elettromagnetici. Le interazioni elettromagnetiche con il DNA
sarebbero simili su una vasta gamma di frequenze non ionizzanti,
ossia dalle frequenze estremamente basse (ELF ) alle radiofrequenze
(RF ). In sostanza il DNA si comporterebbe come un’antenna frattale.
Ciò lo renderebbe versatile 80 con una struttura ottimizzata in grado di
assorbire la radiazione elettromagnetica a più intervalli di frequenza,
comportandosi come molti telefoni cellulari che adottano antenne
frattali multibanda per comunicare. 81 In tal modo il DNA diverrebbe
estremamente sensibile anche a bassi livelli di radiazioni, tali da
provocare rotture e danni irreparabili del filamento molecolare.
Le frequenze oscillatorie di enzimi, membrane cellulari e acidi
nucleici (ricchi di strutture di risonanza quali i legami idrogeno tra i
nucleotidi) costituiscono gerarchie sempre più complesse di segnali
elettromagnetici che influenzano l’essere vivente e rappresentano una
fondamentale rete di informazioni che regolano il metabolismo
cellulare e organico (omeostasi elettromagnetica). Il DNA è stato
sempre esclusivamente considerato come la molecola che contiene le
informazioni genetiche necessarie per la sintesi delle proteine, gli
elementi che sono alla base dell’identità degli organismi viventi.
Queste funzioni vengono svolte in realtà solo dal 5 per cento del DNA
esistente, mentre il restante 95 per cento veniva definito «DNA
spazzatura» proprio perché non se ne conosceva l’utilità. I nuovi studi
e le ricerche più recenti hanno conferito dignità biologica a questa
porzione, assegnandole un ruolo fondamentale nel funzionamento dei
sistemi viventi, una sorta di rete di comunicazione guida per tutti i
processi cellulari.
La comprensione di questi meccanismi è una prospettiva di
primaria importanza per la medicina, la sfida intellettuale di cui
parlavo prima, la quale in realtà ha radici alquanto lontane, più
antiche di quanto si possa immaginare. Infatti sembra incredibile, ma
un ricchissimo dibattito su questi temi, fatto di esperimenti e
interpretazioni, aveva coinvolto ricercatori, scienziati e medici su
entrambe le sponde dell’Atlantico sin dalla fine dell’Ottocento. Nel
proseguire della sperimentazione, negli anni Trenta, la ricerca
biologica aveva indicato come il campo elettromagnetico manifesti i
propri effetti in relazione sia alla sua frequenza sia alla durata e
all’intensità dell’esposizione. Le radiofrequenze e le microonde
avevano appena fatto la loro comparsa sul nostro pianeta, anche se
non a livello ancora invasivo.
Accanto a questo filone si era anche sviluppata, in medicina, la
diatermia, la tecnica terapeutica del riscaldamento del corpo come
mezzo per la cura di numerose patologie. All’interno della comunità
scientifica internazionale si erano andate così delineando due diverse
posizioni riguardanti l’interazione tra campi elettromagnetici e sistemi
viventi. La prima, con sfumature diverse, negava qualsiasi selettività
di azione derivante dalle frequenze e spiegava gli effetti biologici
osservati solo con il calore generato dalle correnti elettriche indotte
negli organismi. La seconda riteneva che l’azione biologica fosse
dovuta a un duplice meccanismo: gli effetti erano in parte causati
dall’intensità del campo incidente, ma anche da un’azione specifica
legata alla frequenza del segnale, cioè al numero delle oscillazioni al
secondo che caratterizza un’onda elettromagnetica, in altri termini alla
sua cadenza temporale, una sorta di codice di riconoscimento: la
questione era come scindere negli esperimenti l’azione termica da
quella oscillatoria.
Negli Stati Uniti il dibattito finì per preoccupare la corporazione
medica, suscitando reazioni condizionate dallo spirito di
autoconservazione che caratterizza ogni gruppo chiuso, soprattutto se
contaminato da conflitti di interessi. In Europa, al contrario, le due
scuole di pensiero avevano proseguito il confronto sul piano
scientifico e la maggior parte degli studiosi del continente si orientò
verso la seconda posizione. Purtroppo lo scoppio della seconda guerra
mondiale pose fine a un dibattito del quale, da parte di certi ambienti,
si tende a voler far perdere memoria, al punto che oggi, tentando di
occultare una vastissima letteratura scientifica, peraltro in continua
espansione, stiamo arrivando a un vero assurdo storico: questa
generazione di bambini è la prima, nella storia moderna, ad avere
prospettive di rischi sanitari, dovuti a fattori ambientali, peggiori
rispetto a quelle dei propri genitori.
3. Effetti sul DNA cellulare e sulle basi azotate; rotture del singolo e del
doppio filamento; prove di mutazioni cromosomiche prodotte da
rotture del DNA a doppio filamento. Questi effetti producono tutti i
tipi importanti di mutazioni del DNA che hanno ruoli nello sviluppo
del cancro e nella mutazione dell’intero organismo umano (23
studi).
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www.librimondadori.it
Dossier 5G
di Marco Pizzuti
© 2020 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Ebook ISBN 9788835702375
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