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Marco Matteoli

Ars combinatoria e Ars memoriae in


Giordano Bruno

Parte 1 di 2

exicon Symbolorum 2023


Marco Matteoli
Ars combinatoria e Ars memoriae in Giordano Bruno

1) Se si esamina la relazione tra l’arte di Lullo e la mnemotecnica di Bruno, per prima cosa occorre
considerare se e in che modo Bruno fosse un Lullista. In effetti, i loro riferimenti teorici sono
completamente diversi, poiché il contesto cristiano e teologico del sistema di Lullo è totalmente assente
nella prospettiva di Bruno. Lullo stabilisce il suo universo sviluppando una trasmissione ‘trinitaria’ e
gerarchica da Dio fino alla materialità (passando attraverso le facoltà umane), come è simbolizzato nei nove
gradi dell’Alfabeto lulliano. In modo diverso, Bruno sviluppa una filosofia naturale all’interno di un
orizzonte cosmologico infinito, assolutamente distaccato da Dio, senza alcuna gerarchia all’interno: tutti
gli esseri – che siano stelle, pianeti o esseri umani – sono ontologicamente uguali, fatti dalla stessa materia,
vivono a causa di un’unica anima universale. Di conseguenza, gli esseri umani sono completamente assorbiti
dal mondo naturale, così come la loro conoscenza. Ostile a qualsiasi prospettiva mistica e antropocentrica,
Bruno si confronta con Dio solo attraverso l’infinità di tutta la natura: infatti, l’«Eroico furioso» preferisce
contemplare l’essenza intima di Diana nuda – cioè la substantia naturalis – rispetto alla ‘superficie’ di
Apollo (ossia Dio) che i teologi usavano indagare per mezzo della ragione. Questa posizione è in parte
dovuta a uno slittamento teorico che oscilla tra una gnoseologia neoplatonica ed un aristotelismo ‘duro’:
quello che pensiamo e conosciamo non è filtrato dalle idee, ma dalle «ombre delle idee» (umbrae idearum),
poiché la verità da Dio (la «luce») si proietta attraverso la natura (il «corpo opaco») sulla nostra mente (la
«superficie umbratile») producendo ‘segni’ non direttamente connessi con la verità, ma per
l’intermediazione dell’esperienza naturale. Quindi, la conoscenza umana risulta completamente
dall’esperienza sensibile e sempre perfettibile: più è complessa e completa, più tende a essere vera.
All’interno di questo quadro interpretativo, la ragione è solo una parte del processo intellettuale totale,
mentre il ruolo centrale è svolto dalla fantasia, in quanto ‘schermo’ che collega la realtà con i concetti
interni: ogni pensiero appartiene a un’immagine particolare e – forzando il senso del De anima di Aristotele
– senza immagini, l’uomo non può affatto pensare.

2) Nonostante queste istanze teoriche preliminari, Bruno ha scritto libri sull’arte combinatoria di Lullo e la
presenza di questa tecnica peculiare è ampiamente diffusa in tutta la sua opera. Anche se le opere
specificatamente dedicate a spiegare l’arte di Lullo sono solo tre, Bruno applica la combinatoria lulliana alla
filosofia, alla mnemotecnica, alla metodologia o alla retorica in circa dieci opere e, in generale, possiamo
trovare riferimenti alla tecnica di Lullo in ciascun testo bruniano. Il primo scritto di commento alla
combinatoria di Lullo è il De compendiosa architectura et complemento Artis Lullii, pubblicato a Parigi nel
1582, nello stesso anno del De umbris idearum e del Cantus Circaeus, due testi sulla mnemotecnica. Il De
compendiosa architectura è un breve commento all’Ars brevis, stampato da Gilles Gourbin, lo stesso editore
del De umbris idearum e molti altri lavori di Lullo, tra cui, nel 1578, l’Ars brevis stessa, ristampata
dall’edizione del 1514 curata da Bernardo De Lavinheta. In quegli anni Bruno insegnava privatamente
teologia e filosofia presso il Collège de Paris; tuttavia, divenne famoso come maestro di mnemotecnica e
lullista: grazie a questi due interessi particolari riuscì, infatti, a incontrare il re francese Enrico III e, in seguito
a ciò, fu accettato al College Royale. Il secondo lavoro su Lullo è il De lampade combinatoria lulliana, un
commento più lungo all'Ars brevis e con un’attenzione agli esiti retorici di questa tecnica sicuramente più
sostanziosa rispetto al primo. Questo scritto fu stampato nel 1587 all’apice della breve carriera accademica
di Bruno, dopo aver trascorso due anni insegnando dialettica come professore presso l’Università di
Wittenberg. Lì raccolse un gran numero di studenti e molti di loro divennero suoi devoti seguaci: Bruno
cercava di ‘convertirli’ alla sua filosofia naturale – ben esposta durante il suo soggiorno inglese durato tre
anni – proprio attraverso il lullismo e la mnemotecnica. Infine, il terzo e ultimo testo, intitolato De
specierum scrutinio et lampade combinatoria Raymundi Lullii, fu edito a Praga nel 1588: è un semplice
collage dei precedenti due, assemblato da Bruno per presentarsi all’ambasciatore spagnolo presso la Corte
Imperiale, Guillen de Sanclemente, il quale era il politico più influente nell’entourage di Rodolfo II e,
proprio come l’Imperatore, era un occultista, inoltre, un ammiratore fanatico di Lullo, vantandosi
addirittura di esserne un discendente.

3) Le opere di Bruno su Lullo nascono all’interno di un contesto culturale lullista: durante tutto il XVI
secolo, la Francia è stata infatti un’area importante per gli studi lulliani, soprattutto dopo che Lefèvre
D'Éstaples aveva chiamato Bernardo De Lavinheta a insegnare il lullismo a Parigi. Allo stesso modo,
all’Università di Wittenberg c’era una forte tendenza a cercare alternative metodologiche ai ramisti, che
erano seguaci del calvinismo: quindi la tecnica di Lullo era ben conosciuta e il cosiddetto movimento
Filippo-Ramista proprio a partire da Wittenberg si diffuse in tutta la Germania usando il lullismo come
mezzo ‘tecnico’ per fondere il metodo ramista e la dialettica di Filippo Melantone. In un’atmosfera simile,
gli interessi occultisti di Rodolfo II avevano trovato nel metodo di Lullo un modo per tentare di veicolare
dottrine eterodosse tra quelle accettate. In tutte queste circostanze, il lullismo utilizzato non era il sistema
lulliano ‘originale’: al contrario, veniva adottato uno strumento dialettico ed enciclopedico basato su una
versione della combinatoria di Lullo che era stata totalmente o quasi totalmente privata della sua teologia e
filosofia. È opportuno, a questo punto, considerare anche le altre opere di Bruno che si riferiscono alla
combinatoria, anche perché esse vengono elaborate all’interno di questa particolare atmosfera culturale,
sebbene esse riguardino più specificatamente la mnemotecnica, la dialettica o la filosofia. Le prime due, il
De umbris idearum e il Cantus Circaeus, vengono pubblicate a Parigi nello stesso anno del De compendiosa
architectura; l’Explicatio triginta sigillorum, invece, viene pubblicata l’anno successivo a Londra; tuttavia,
raccoglieva materiali sviluppati negli anni precedenti. Tutti questi scritti costituiscono dei manuali sull’arte
della memoria ed applicano la tecnica combinatoria a diversi elementi di questo metodo: dalle ruote
combinatorie utilizzate per formare immagini per sillabe o parole, alla costruzione di architetture visive che
ordinano gradi e livelli di dati mnemonici. Il De lampade venatoria logicorum (Wittenberg 1587) e la
Lampas triginta statuarum (scritto per la prima volta nel 1587, ma edito solo alla fine del XIX secolo in un
volume sulle «opere magiche» di Bruno) facevano parte, insieme al De lampade combinatoria lulliana, di
un progetto editoriale riguardante la dialettica e la filosofia, una sorta di enciclopedia definitiva – come
Michele Ciliberto ha definito la Lampas – della Nolana philosophia. Infine, gli ultimi lavori ‘lulliani’, come
il De imaginum compositione, il De artificium perorandi o la Medicina lulliana sono stati scritti e
parzialmente editi durante il periodo tedesco, quando Bruno si spostava da Wittenberg a Francoforte, poi
a Helmsted e Zurigo. In particolare, il De artificium perorandi raccoglie alcune lezioni sulla retorica –
esposte secondo una struttura combinatoria – che Bruno ha impartito a Zurigo e sono state editate
postume; la Medicina lulliana viene attribuita agli anni di Helmsted, quando Bruno utilizza un ‘codice’
lulliano per attirare studenti che coltivavano interessi ermetici, magici e dialettici.

4) Si è detto che il lullismo rinascimentale francese e tedesco non era propriamente vicino al sistema
originale lulliano, piuttosto era una reinterpretazione dialettica e metodologica della sua combinatoria, così
come lo era il lullismo di Bruno. In ogni caso, da quali testi lo aveva derivato? La critica ha mostrato come
Bruno avesse già incontrato le opere di Lullo a Napoli, durante la sua giovinezza: probabilmente, a quel
tempo, lesse l’Arbor scientiae e più tardi, in Francia, potrebbe aver potuto apprendere la tecnica
combinatoria leggendo l’Ars magna e l’Ars brevis. I suoi contatti con i lullisti francesi o, ancor più, con
Gilles Gourbin, editore di molte opere lulliane, potrebbero aver fatto conoscere a Bruno la Explanatio
compendiosaque applicatio artis Raymundi Lulli di Bernardo De Lavinheta, il più sistematico e il più vasto
compendio rinascimentale della filosofia e dell’arte lulliana. Gilles Gourbin fu anche l’editore dell’Ars brevis
e del De auditu kaballistico, nonché del De umbris idearum e del De compendiosa architectura di Bruno. A
Parigi, inoltre, potrebbe aver letto anche una versione manoscritta della Logica nova e la stampa del 1515
del In rethoricam isagoge, una summa apocrifa del lullismo e un altro famoso manuale rinascimentale di
dialettica lullista. Bruno fa ampio riferimento a entrambi i testi in molte delle sue opere.
Per descrivere ulteriormente il rapporto tra il lullismo bruniano e il suo ambiente culturale, è utile
citare anche l’edizione Zeztener, uscita a Strasburgo nel 1598, dell’Opera Raymundi Lulli, che
comprendeva il De specierum scrutinio e il De lampade combinatoria lulliana, nonché il De lampade
venatoria logicorum. Questi scritti bruniani facevano parte della sezione dei commenti (insieme ai
commenti di Agrippa), mentre la sezione principale conteneva Ars brevis, Ars generalis ultima, De auditu
kaballistico, In rethoricam isagoge e Logica brevis et nova; quest’ultima era stata precedentemente inclusa
nella Explanatio di Lavinheta.

5) L’interesse di Giordano Bruno per la combinatoria di Lullo era primariamente dialettico; egli aveva
trovato in quella tecnica le caratteristiche giuste che avrebbe potuto ben applicare alla propria prospettiva
filosofica: una struttura coerente e un dinamismo produttivo, proprio come era la sua idea di natura. In
effetti, l’universo naturale di Bruno è un organismo senza fine: è un’enorme struttura di esseri viventi,
complessa e in continua trasformazione, che comprende stelle e pianeti (quelli che chiama «mondi») e tutte
le creature viventi che li abitano. Non ha una gerarchia ontologica, non ha un centro, non ha confini;
tuttavia, ha due semplici leggi, frutto dell'unione di due principi teorici: la vicissitudo universalis e la
concidentia oppositorum derivata da Cusano. La prima ‘legge’ decreta che tutto cambia continuamente; la
seconda – che Bruno declina all’interno dell’orizzonte naturale – stabilisce che ogni cambiamento è il
passaggio da uno stato al suo opposto attraverso una progressione di gradi simili. Questi peculiari
fondamenti teorici richiedono una prospettiva gnoseologica conseguente, una dialettica adeguata e una
logica coerente. Secondo Bruno, tutto è subordinato alla natura, compresa la conoscenza: si vedrà, più
avanti, come ogni atto di creazione – sia esso naturale o umano – derivi dalla natura e come anche il pensiero
possa essere considerato una creazione interiore. In ogni caso, ci si concentri ora su ciò che Bruno scopre
nella combinatoria di Lullo, su come applicarla alla sua dialettica: da essa deduce, infatti, struttura e
dinamismo, gestendo alfabeti, alberi, scale, tabulae e, soprattutto, ruote combinatorie. Inserisce tutto ciò
con forza all’interno delle operazioni principali della retorica/dialettica rinascimentale, la dispositio e
l’inventio, come avevano già fatto molti altri lullisti rinascimentali. Ciò significa in realtà che Bruno, a un
primo livello, applica la combinatoria a ogni argomentazione: ne utilizza le sequenze, gli schemi e le
combinazioni – senza alcun riferimento al loro sfondo teorico – per comporre, disporre e trasformare
parole e argomenti. Il suo obiettivo dialettico finale è generare il significato stesso, modellando gli oggetti
linguistici come se fossero parte della materia naturale vivente, poiché considera la creatività intellettuale
come l’espressione dell’anima universale incarnata in tutte le creature. In un secondo momento, applica la
combinatoria alla mnemotecnica: le immagini fantastiche fanno strettamente parte della conoscenza,
perché sono il nesso fondamentale e unico tra l’esperienza sensoriale e l’astrazione concettuale. Ogni dato
sensoriale viene tradotto in un’immagine appropriata, così come ogni realizzazione concettuale ha bisogno
di un’immagine propria – un ‘corpo fantastico’ – per essere messa in relazione con altri dati e concetti. Il
pensiero non può essere possibile senza immagini; ancor più, noi pensiamo concretamente per mezzo di
immagini. Di conseguenza, l’antica arte di gestire le immagini – l’ars memoriae – risulta essere lo strumento
privilegiato di una nuova dialettica, la più consona all’esperienza umana e all’azione naturale; una sorta di
attività visiva razionale/irrazionale che Paolo Rossi ha definito «logica fantastica»1.
Si mostreranno ora alcuni esempi di questo peculiare modo di utilizzare la combinatoria lulliana,
soffermandosi dapprima sull’inventio e sulla dispositio di termini e argomenti, per poi analizzare come e
perché lo stesso atteggiamento dialettico possa essere trasferito alle immagini e ai luoghi mnemonici.

6) Il primo esempio proviene dalla Explicatio triginta sigillorum, un’opera pubblicata a Londra nel 1583.
Si tratta di un libro sull’arte della memoria con un’importante terza sezione sulla conoscenza e la dialettica,
intitolata Sigillus sigillorum. Le due sezioni principali presentano e spiegano trenta «sigilli», cioè
insegnamenti simbolici e concisi «per l’invenzione, la disposizione e la memoria di ogni scienza e

1
Cfr. P. Rossi, Clavis universalis, pp. 109-134.
disciplina»,2 come recita il frontespizio. Il quarto Sigillum è «l’Albero» e presenta un rigoroso schema
gerarchico costituito da sequenze subordinate che si originano da una principale (fig. 1). La sua struttura
formale è ben descritta dall’immagine che Bruno ha aggiunto al testo, che si ispira apertamente ai
«diagrammi» lulliani e ha suggestivamente la forma di un albero formato dalle lettere dell’«alphabetum».
Esso può essere utilizzato per l’inventio e la dispositio dei termini, anche se funziona anche per disporre le
immagini mnemoniche, sia ispirandone il modello, sia costruendo una semplice architettura che le ospiti.
In ogni caso, leggiamo ciò che Bruno designa specificamente per l’inventio terminorum:
quando vogliamo discutere di qualsiasi argomento, sia raccogliendo argomentazioni altrui, sia mietendo dalle
nostre stesse riflessioni, facciamo come se stessimo guardando un albero: dapprima le sue radici, cioè i princìpi
da cui si origina, le cause e gli elementi fondanti; poi il tronco, ovvero la propria essenza e l’essere; subito dopo
i rami, cioè le potenzialità, le facoltà e le virtù; in seguito le foglie, ovvero i suoi accidenti ed i suoi elementi
circostanziali; poi i fiori, cioè le azioni e le operazioni e, infine, i frutti che sono gli atti e le cose prodotte.3
Come si vede, non si tratta propriamente dell’inventio terminorum, ma della loro disposizione (dispositio)
come nella tradizionale tecnica retorica dei loci: tuttavia Bruno considera questo modo di disporre i termini
come una inventio, perché sviluppa una sorta di processo e di procedura generatrice di termini, quindi
«crea» il significato. Questo perché egli si riferisce a una nozione di inventio più dinamica, cioè più vicina
a un’idea di foecunditas naturale come risultato di una struttura universale viva, piuttosto che dialettica.
Questa caratteristica peculiare è esplicitamente attribuita alla tecnica di Lullo, come Bruno dichiara
all'inizio della spiegazione (explicatio) del quarto Sigillo: «l’albero serve all’invenzione e al giudizio, come è
manifesto da quanto è esposto nel libro Arbor scientiae».4 Bruno ripropone questo legame con la famosa
opera di Lullo anche nel De imaginum compositione, ma lì aggiunge un’importante osservazione
metodologica:
Il nostro albero differisce da quello di Lullo, perché il nostro è una figura solida, il suo è una figura piana:
appunto come la piramide differisce dal triangolo, il corpo dalla superficie. Perciò quello apre la via
dell’invenzione in altezza e in larghezza, questo invece anche in molteplici profondità.5
Bruno sta confrontando un «albero» bidimensionale con uno tridimensionale, il che significa in realtà uno
schema argomentativo unidirezionale o «piano» contro uno schema ramificato più efficace, un percorso
multidirezionale per la generazione di significati. Inoltre, nel De imaginum compositione, Bruno vuole
mostrare il suo profondo tradimento del sistema lulliano, non solo rafforzando gli esiti degli strumenti
combinatori di Lullo, ma, ancora una volta, evidenziando la propria originalità dialettica e filosofica. Di

2
Explicatio triginta sigillorum, OMN II, p. 34: «Ad omnium scientiarum et artium inventionem dispositionem et memoriam».
3
Cfr. ivi, pp. 104-105: «De quocunque enim subiecto cum dicere volumus, sive ex alienis inventis colligentes sive ex nostris
meditationibus emetentes, ita facimus ut in ipsum velut in arborem respicientes, primo eius radices, puta principia originalia,
causas et elementa; deinde stipitem, id est propriam essentiam et esse, mox ramos, id est potentias, facultates atque virtutes;
subinde folia, puta accidentia propria et circumstantias; proinde flores, utpote actiones et operationes; tum demum fructus, qui
sunt actus et opera, considerentur».
4
Ibid.: «Arbor ad inventionem facit atque iudicium, ut manifestum est in iis quae in libro Arboris scientiae perhibentur».
5
De imaginum compositione, OMN II, p. 840: «Differt ab illa arbor nostra, quia haec solida est, illa plana, nempe sicut pyramis
differt a triangulo, corpus a superficie. Ideo illa promit inventionis viam per altum et latum, haec vero etiam per multiplex
profundum».
conseguenza, sottolinea la sua radicale distanza dal background teorico di Lullo. Infine, cita anche la sua
nuova idea di combinatoria applicata alla mnemotecnica, totalmente ignorata dallo stesso Lullo:
ebbene, quello è il padre, questo il figlio per quanto concerne l’aspetto formale dell’attività inventiva, giacché
riguardo al contenuto delle scienze speculative non c’è ragione di consultare Lullo. Per quanto invece attiene
ad altre potenze intellettive dell’anima, quest’albero è di tutt’altro genere ed è evidente che ad esso Lullo
neppure pensò.6

7) Il secondo esempio, sempre intorno alla dialettica, riguarda direttamente la dispositio terminorum.
Anch’esso proviene dall’Explicatio triginta sigillorum e si riferisce in modo particolare al diciottesimo
sigillo che si intitola De quadrato encyclio, cioè «un’enciclopedia quadrata», dove ‘quadrato’ sta per
‘quadruplo’, come il numero di parti e sottoparti in cui può essere suddiviso un argomento (fig. 2). Infatti
esso offre un modo di organizzare i concetti con uno schema a base quattro:
Lo schema di organizzazione a base quadrata si ottiene dunque quando quattro significati o concetti prendono
forma intorno ad un argomento solo, e, partendo da ciascuno di questi singoli significati, che a loro volta
diventano argomenti di riferimento, se ne formano altri quattro, dai quali, ulteriormente, saranno derivati altri
quattro significati, e si prosegue così, di seguito, finché lo permette la volontà di chi dispone e la cosa da
disporre.7
Questo peculiare paradigma – al quale corrisponde un sigillo ‘gemello’ denominato De binarii encyclio – è
specificamente dedicato alla dispositio degli argomenti: funziona come una struttura regolare e ricorsiva
quadripartita secondo diversi livelli subordinati che ‘scaturiscono’ dal primo soggetto, cioè l’argomento
principale da analizzare. Si tratta di una sorta di piramide dialettica tridimensionale rovesciata, perché il suo
vertice è collocato al di sotto: tra l’altro, ciò è confermato dallo stesso Bruno, quando cita apertamente
anche la forma ‘solida’ – cioè e nuovamente ‘tridimensionale’ – di questo sigillo. Ancora una volta, nel De
imaginum compositione, Bruno afferma che sia il binarium che il quadratum encyclium devono essere
collocati «sotto l’ombra del nostro albero [cioè il sigillo dell'Albero]»8: il che significa, in realtà, che
entrambi questi due sigilli si inseriscono tecnicamente e teoricamente nel quadro lulliano stabilito sullo
sfondo della sua dialettica.
Occorre però rilevare la problematicità del fatto che, secondo Bruno, l’inventio e la dispositio
dialettica sembrano essere la stessa cosa. In effetti, entrambe offrono una disposizione strutturata dei
termini, ma la differenza tra loro è il modo di considerare la componente dinamica: l’inventio ‘muove’ i
termini e genera il loro significato ‘lungo’ un modello e una disposizione; la dispositio conferisce invece loro

6
Ibid.: «Atqui illa est mater, haec vero filia quoad opus inventionis attinet formalis: de materia quippe scientiarum
speculativarum non est quod Lullium consulamus. Quod vero ad alias animae potentias intellectivas attinet quasdam, alius
generis omnino haec arbor est, de quo certe ne cogitasse quidem Lullius apparet».
7
Cfr. Explicatio triginta sigillorum, cit., p. 134: «Quadratum igitur encyclium efficitur, cum quatuor super uno subiecto
formantur intentiones et supra quatuor intentionum singulas, quae modo subiecti vicem subeunt, quatuor efformantur alia<e>,
quarum quaeque subsequentibus quatuor iterum subiacent intentionibus, et ita deinceps progrediendo, quoadusque et
disponentis intentio et rei disponendae negotium patiatur».
8
De imaginum compositione, cit., p. 840: «sub umbra nostrae arboris comprehendatur».
‘quel’ modello. In ogni caso, i sigilli, sia per l’inventio che per la dispositio sono ‘strumenti’ per dispiegare e
comporre termini, argomenti e concetti: negli effetti ‘figure’ (in senso lulliano) di una ‘combinatoria’.

8) Si è mostrato come Bruno cerchi di trasferire la tecnica di Lullo alla dialettica tradizionale. Questo
singolare spostamento è dovuto a una diversa visione della dialettica stessa, che considera ogni termine come
un oggetto ‘atomistico’ in un sistema strutturato di relazioni logiche neutre, come un punto discreto
all’interno dello spazio geometrico. Ciò corrisponde profondamente all’idea rinascimentale di dialettica,
che prende nettamente le distanze dalla ‘logica terministica’ della tarda Scolastica, totalmente assorbita
dall’analisi ‘quantitativa’ dei termini all’interno della struttura sillogistica. Diversamente, autori
rinascimentali come Lorenzo Valla, Rodolfo Agricola o Pierre de la Ramée avevano contribuito a riformare
la dialettica in un quadro ‘ideologico’ completamente rinnovato, in cui retorica e dialettica convergevano.
Inoltre, la dispositio o topica diventava il nuovo e principale modello per comporre un discorso o un testo,
mentre l’inventio era considerata sinonimo di foecunditas e creatività, piuttosto che di ricerca del giusto
termine medio. Questo è lo stesso orizzonte teorico in cui Bruno colloca anche la sua dialettica. In aggiunta
a ciò, egli sottolinea ancora di più il valore sia della disposizione che dell’invenzione attraverso la
combinatoria. Infatti, egli gestisce i termini come se fossero i ‘pezzi’ di una composita macchina dialettico-
linguistica, per cui l’equivalenza tra le lettere dell'alfabeto lulliano e le parti fondamentali delle parole
sembrerebbe essere più di un mero formalismo simbolico. È per questo che ogni sigillo può essere
sistematicamente adattabile sia alla dispositio dei termini, sia alla loro inventio, oppure alla disposizione o
alla formazione di immagini mnemoniche. Così come ogni elemento di qualsiasi espressione può essere
considerato come un atomo o un punto all'interno di una rete di relazioni, allo stesso modo ogni relazione
sintattica può essere espressa come una ‘composizione’ dinamica di termini, come l’aggregazione di atomi
che formano un corpo o il segno della linea che collega i punti in una figura. Tra l’altro, questo parallelismo
teorico tra dialettica, atomismo e geometria troverà una definizione formale nella tarda filosofia di Bruno,
quando teorizzerà il concetto di minimo. Nonostante la differenza tra parole e immagini, la loro
‘grammatica’ e la loro ‘sintassi’, Bruno si sforza di gestire parole e immagini con gli stessi strumenti
combinatori, perché è riuscito a ‘tradurre’ la dialettica in un’attività visuale. Così la dispositio diventa
un’architettura di luoghi e l’inventio un movimento attraverso di essi. I soggetti (grammaticali) possono
essere addirittura considerati come personaggi, i predicati verbali come le azioni che essi compiono.
Si esamini, innanzitutto, come la dispositio possa essere trasformata in un’architettura visiva,
leggendo un importante estratto del Cantus Circaeus (Parigi 1582), la seconda opera mnemotecnica di
Bruno:
Tale sostrato – in quanto particolarmente adatto a recepire le forme memorizzabili, così come devono essere
memorizzate – può essere, secondo quanto risulta più conveniente, [...] o comunissimo, in quanto lo si
concepisce pari per estensione all’universo, o più comune, in quanto si estende nello spazio descritto dalla
geografia, o comune, in quanto coincide con i confini di un determinato continente; può essere inoltre
proprio, in quanto corrisponde ad una città, o più proprio in quanto lo si immagina della grandezza di una
casa o di ampiezza domestica, oppure proprissimo, in quanto coincide con una delle molteplici e numerose
parti e sezioni della casa.9
Questo passaggio è piuttosto ambiguo e, in verità, molti commentatori non l’hanno capito affatto: uno di
loro, ad esempio, una volta ha affermato che esso si riferisce al soggetto del discorso, che potrebbe riguardare
l’astronomia, la geografia, la politica, gli affari o l’architettura. Naturalmente, non si può negare che ciò lo
sia ‘letteralmente’, se si guarda ai gradi di questa sequenza. Ma cosa intende Bruno con il termine subiectum?
Lo spiega lui stesso una pagina prima: «in questo trattato il concetto di sostrato non si assume nel significato
secondo cui lo intendono la logica e la fisica, ma secondo un significato che è particolarmente appropriato
alla nostra disciplina e che si definisce ‘tecnico’, ovvero nel senso di ‘prodotto dell’arte’». In altre parole: «il
sostrato delle forme plasmabili dalla fantasia, apponibili e rimovibili, vaganti e procedenti qua e là secondo
il volere della fantasia e della facoltà cogitativa di chi opera».10
Bruno intende quindi il soggetto in senso mnemotecnico, ossia il luogo in cui collocare le immagini
mnemoniche; di conseguenza, descrive quanto deve essere grande un luogo mnemonico e, soprattutto,
come devono essere disposti i luoghi per ospitare al meglio tutti i dati mnemonici. Il luogo più grande
accoglie la maggior quantità di immagini, mentre il luogo più piccolo (propriissimum) ospiterà una sola
immagine. Questo significa che esiste una connessione strutturale decisiva tra l’estensione fisica/visiva dei
loci e l’estensione logica dei dati mnemonici: quanto più è generale l’informazione, tanto più deve essere
grande il luogo; al contrario, un singolo dato ha bisogno di una sola immagine; quindi, sarà collocato in un
unico e piccolo locum. In pratica, se si vuole memorizzare un libro diviso in tre sezioni, ognuna delle quali
è suddivisa in cinque capitoli formati da decine di paragrafi, si contemplerà nella fantasia un palazzo di tre
piani, dove ogni piano ospiterà cinque grandi stanze, nelle quali si individueranno decine di luoghi piccoli
e particolari, come angoli, finestre, rientranze. In seguito, si potranno inserire al loro interno, nel giusto
ordine che avevano in origine, tutte le immagini di ciò che si deve memorizzare. Bruno identifica questo
processo architettonico e creativo come un approccio combinatorio alla mnemotecnica: più l’architettura
è ben formata, più la logica e il sistema dialettico dei dati saranno preservati. Si può vedere come questa idea
possa essere simboleggiata visivamente, osservando questa immagine (fig. 3): un uomo con le braccia aperte
– una sorta di ripresa del paradigma dell’uomo vitruviano e già fatto proprio dalla mnemotecnica classica –
è posto al centro di un quadrato, accanto a un pozzo (lettera U); tutt’intorno, agli angoli, ci sono altre
immagini più piccole: il globo celeste (A), la Terra (E), il quadrante di un cerchio (I), un quadrato (O). Esse
raffigurano le diverse forme di luoghi ‘generali’: il «comunissimo», cioè la sfera astronomica (come aveva
insegnato Metrodoro di Scepsi, collegando i ricordi alle quarantotto costellazioni); il «più comune», cioè la
terra, in quanto luogo geografico o ‘politico’. Poi, il luogo «più proprio», «domestico» o «economico»,

9
Cantus Circaeus, OMN I, p. 672-673: «Subiectum vero istud – utpote quod est aptum natum ad recipiendas formas
memorabiles, ut memorandae sunt – pro commodo esse potest [...] communissimum, extentum iuxta latitudinem ambitus
universi, vel communius iuxta latitudinem geographiae, vel commune iuxta latitudinem alicuius continentis, vel proprium iuxta
latitudinem politicam, vel proprius iuxta latitudinem domesticam seu oeconomicam, vel propriissimum iuxta multitudinem
atque numerum partium domus et particularum eiusdem».
10
Ivi, pp. 670-672: «Subiectum ergo in proposito non sumitur secundum intentionem logicam vel phisicam, sed secundum
intentionem convenientem, quae technica appellatur, utpote secundum intentionem artificialem. […] Sed est subiectum
formarum phantasiabilium, apponibilium et remobilium, vagantium et discurrentium ad libitum operantis fantasiae et
cogitativae».
grande quanto una casa: è descritto da un ‘quadrante’ di circonferenza, perché questo è il simbolo che
Bruno usa per l’atrio, cioè un’unica e grande sala suddivisa in diversi ambienti più piccoli chiamati cubilia
o officinae. Inoltre, abbiamo il cubilium, cioè una stanza che può ospitare fino a nove luoghi singoli: i
quattro angoli, più altri cinque recessi, se consideriamo il centro di ogni parete e il centro della stanza stessa.
Infine, c’è il luogo particolare (posto al centro di tutta la figura), che è quello in cui deve essere collocata la
singola immagine: di solito si tratta di un’intera scena complessa con un personaggio vivente che fa qualcosa
all’interno di questa particolare cornice visiva.
Più avanti si esaminerà come e perché questa peculiare idea dei luoghi mnemonici rappresenti
un’innovazione nella gestione delle strutture mnemoniche: al momento sia sufficiente osservare che una
disposizione così rigorosa dei luoghi significa, per Bruno, la migliore traduzione visuale possibile della
dispositio dialettica.

9) Si consideri ora un ulteriore esempio, in cui la prospettiva combinatoria è ancora più rilevante del
precedente. Si tratta dell’Ars memoriae, la grande sezione mnemonica che completa il De umbris idearum
e che tratta specificamente della memoria verborum. La mnemotecnica tradizionale aveva sempre
considerato la memoria rerum (memorizzazione delle cose) e la memoria verborum (memorizzazione delle
parole) come questioni distinte. La prima serviva a tradurre il significato di una cosa in un’immagine
equivalente; la seconda lavorava per dare forma al ‘suono’ di una parola, perché presumeva che il suo
significato fosse sconosciuto o, semplicemente, perché si necessitava di ricordarlo in quella forma. I
mnemonisti organizzavano dunque una sorta di alfabeto visivo, in cui le figure richiamavano la forma delle
lettere: a volte utilizzavano personaggi viventi (Albericus, Bernardus, Caesar, ...), oppure animali (avis, bos,
canis, ...), le cui iniziali rappresentavano appunto le lettere. Per comporre un’immagine-parola si univano
semplicemente tutte le immagini-lettere come una scena unica, facendo in modo che le singole immagini si
collegassero tra loro con delle azioni particolari. Alcuni dispositivi di memoria di parole più complessi
potevano contemplare la possibilità di creare un alfabeto visivo di sillabe, per poi comporle direttamente.
In effetti, più l’alfabeto era complesso, più l’immagine risultava semplice. Al contrario, troppe lettere-
immagini producevano una scena troppo ricca, soprattutto se la parola era lunga. Un buon compromesso
poteva essere un alfabeto mediamente ricco e uno strumento di composizione ben versatile, proprio come
fecero alcuni mnemonisti, come Jacopo Publicius, Johannes Romberch e anche Bruno: avevano infatti
scelto di utilizzare la combinatoria come mezzo per gestire le immagini delle lettere/sillabe e formare così la
scena della parola più appropriata.

Marco Matteoli
Fine Prima Parte

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