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I Videogiochi Modelli Narrativi e Rimedi PDF
I Videogiochi Modelli Narrativi e Rimedi PDF
MILANO
DOTTORATO DI RICERCA IN
XXI CICLO
di
Valentina Paggiarin
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I videogiochi: Paggiarin Valentina
modelli narrativi e rimediazioni tecnologiche Dottorato XXI Ciclo - Università IULM
Indice
INDICE ....................................................................................................................................................................3
INTRODUZIONE ........................................................................................................................................................6
CAPITOLO 1
GAMES STUDIES E CRITICA LETTERARIA ......................................................................................................................11
NARRATOLOGI E LUDOLOGI.....................................................................................................................................................................39
CAPITOLO 2
NARRAZIONI MODERNE E CONTEMPORANEE ..............................................................................................................65
PRINCIPI DI ADATTAMENTO...................................................................................................................................................................117
CAPITOLO 3
I TESTI VIDEOLUDICI..............................................................................................................................................128
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modelli narrativi e rimediazioni tecnologiche Dottorato XXI Ciclo - Università IULM
CAPITOLO 4
OPERE NARRATIVE A CONFRONTO ..........................................................................................................................186
POSTFAZIONE ......................................................................................................................................................309
GLOSSARIO .........................................................................................................................................................315
BIBLIOGRAFIA ......................................................................................................................................................321
VIDEOGIOCHI ...........................................................................................................................................................................................321
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Introduzione
evoluzione. Dai dipinti rupestri alle vetrate delle cattedrali, dalla tradizione orale ai
nuovi media, come esseri umani siamo sempre tentati e spinti a narrare, a lasciare una
traccia sia delle nostre esperienze che delle nostre emozioni.
Scegliere un ambito di analisi come quello della narrazione videoludica e cercare di fare
un punto della situazione è stata (è ancora) una sfida, una sorta di quest. Se, infatti, altre
forma, la fase che la narrazione sta affrontando nei videogiochi è particolare, tutt’altro
che ben definita, come fosse ancora “di intenzioni” incerte. Il problema fondamentale è
quello di capire come narriamo nei nuovi media e, di conseguenza, cercare di riflettere
Nell’ambito dei cosiddetti Game Studies, disciplina “iniziata” da studiosi danesi come
Espen Aarseth e Gonzalo Frasca negli anni ’90 e dedicata a un’analisi a trecentosessanta
gradi dei videogiochi, alla narrazione è sempre stato riservato un ruolo alquanto
“ludologi” ha fatto percepire la diatriba sulla storia all’interno del videogioco come una
questione “esclusiva”: da una parte, c’era chi sosteneva la sua centralità (i narratologi),
dall’altra c’era invece chi sosteneva la sola e unica centralità dell’interazione tra utente e
mondo di gioco (i ludologi), squalificando o rendendo fortemente marginale il ruolo
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del racconto. È mia opinione che gameplay*, narrazione e grafica siano componenti
inscindibili che necessitano di essere considerati un sistema complesso di interazione.
mutati e si siano adattati ai nuovi contesti. Questo è l’obiettivo che questo lavoro si
prefigge: cercare di capire in che modo il videogioco continui a raccontare storie (e, per
essere precisi, le stesse storie di sempre) con un linguaggio narrativo nuovo che,
tuttavia, ha la stessa efficacia sul giocatore che il linguaggio letterario ha sul lettore di
linguaggio dei videogame: non tutta la narrazione, allora, sarà più verbale, non tutti gli
elementi del racconto, di conseguenza, rivestiranno le stesse funzioni che in passato.
dei Game Studies a partire dagli approcci basati sul genere, passando per la già citata
altre metolodogie critiche, come quella dei Film Studies, questo lavoro affronterà le
modalità più generali in cui la narrazione sta “migrando” da veicoli e media tradizionali
mezzo utilizzato per veicolare le storie induca a un cambiamento forzato anche negli
elementi centrali delle narrazioni stesse, e nelle funzioni che i diversi elementi del
racconto ricoprono (lo spazio, il tempo, i personaggi). Studi come quelli di Gunther
Kress o Marie-Laure Ryan sulle narrazioni digitali, o Linda Hutcheon sul fenomeno di
processo in fieri che non può essere ancora completamente compreso ma per cui
possiamo iniziare a gettare le basi di un’analisi sempre più approfondita. Una delle
difficoltà maggiori dello studio della migrazione della narrazione attraverso i media è
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proprio la natura in progress di questo processo: più che in una fase di consolidamento
Un problema ulteriore (ma forse, nell’ottica di una quest, faremmo meglio a parlare di
“sfida”) è quello di individuare una “famiglia” di opere significative del nostro periodo e
affidabile. Non tutti i videogiochi, infatti, possono essere analizzati con lo stesso
accompagnano il giocatore attraverso una serie di scenari e di contesti che sono uniti
da un racconto, con un inizio, uno svolgimento e un finale. Altri videogiochi sono più
Altri giochi ancora sono delle simulazioni (di vita reale, di contesti fantastici, di corse
un’interazione sia con l’ambiente che, eventualmente, con altri utenti reali. Sebbene
quest’ultima tendenza, ossia quella delle narrazioni emergenti, che “emergono” cioè
condiviso, sia attualmente molto in voga, ho preferito concentrare la mia attenzione sul
primo tipo di narrazione videoludica, ossia quella che prevede una storia che
tre videogiochi esemplificativi per l’analisi: sebbene non sia possibile stabilire se questi
titoli diventeranno pietre miliari e punti di riferimento per gli studi a venire, è
alle spalle del lavoro di realizzazione, ma, in misura ancora maggiore, la loro efficacia
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elementi fondamentali nella scelta dei tre titoli, ossia Shadow of the Colossus, Silent Hill 2 e
Bioshock. Questi tre esempi di narrazione multimediale e videoludica hanno, per via dei
narrative. Shadow of the Colossus, infatti, recupera e stravolge la struttura della fiaba
tradizionale, in cui l’eroe deve salvare la principessa da un destino infausto. Silent Hill 2,
invece, aderisce in pieno agli stilemi della storia dell’orrore, mettendo tuttavia il
In apparenza, le storie raccontate da questi tre videogiochi non sono del tutto originali:
Shadow of the Colossus recupera gli stilemi e i temi della fiaba tradizionale, Silent Hill 2
mostra un mondo dell’orrore che maestri come Poe hanno già ben descritto e
sottomissione che, nel corso dell’ultimo secolo, hanno tormentato l’umanità (e quindi
gli scrittori). Il confronto tra gli strumenti e le strategie utilizzate dalla narrazione
tradizionale e quelle tipiche invece dei nuovi media non è fine a se stessa, non serve
cioè solo per individuare il cambio di metodologia. Uno studio di questo tipo, ossia
un’osservazione metodica delle modalità secondo cui le stesse storie (o gli stessi miti, in
narrare in maniera efficace nei nuovi mezzi di comunicazione. Se è una verità, infatti,
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che le storie che raccontiamo sono sempre le stesse, che i miti che impressionano e
segnano l’animo umano sono ricorrenti e sopravvivono al tempo, è anche vero che le
strategie per trasmettere questi miti, le modalità, cioè, per raccontare queste storie
videogiochi, medium giovane e ancora alla ricerca dei suoi cardini, è fondamentale
osservare casi, come quelli che abbiamo scelto per l’analisi, che siano riusciti con
ci permette quindi non solo di capire, a ritroso, quali sono stati i processi di “scrittura
videoludica” vincenti, nei casi citati, ma ci consente anche di codificare, ricordare e
applicare nuovamente, nelle narrazioni videoludiche del futuro, gli stessi paradigmi in
modo tale da riprodurre l’efficacia dei testi letterari anche nel medium del videogioco.
fare a meno di narrare, allora varrà la pena capire come farlo nel modo più
invece, secondo quali modalità viene riconfigurata per adattarsi alle necessità
continuare su questa strada in futuro e come realizzare nuove narrazioni che siano, allo
pubblico nuovo, che utilizza linguaggi, strumenti e paradigmi che integrano la lettura,
la visione, l’interazione e la libertà d’azione.
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Ossia comparare narrazioni fantastiche come la fiaba, il racconto dell’orrore e la fantascienza.
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Capitolo 1
Games Studies e critica letteraria
A partire dalla “preistoria” del medium e dai primi esperimenti video-ludici (ossia di
“giochi a schermo”), sono fiorite numerose cronistorie sulla nascita e sull’evoluzione dei
videogiochi. Gli studi che cercano di analizzare in modo più o meno esaustivo la storia
di questo medium partono sempre citando l’esperimento degli anni ’60, a opera di
Monopoli, Risiko e, senza ombra di dubbio, Dungeons and Dragons2. L’influsso di questi
“progenitori” ludici è stato forte sulle evoluzioni sia passate che attuali dei computer
games:
“Aspects such as a complex object system, or the creation of a fantasy world governed by its
own social and economic rules, have now become a standard ingredient in many console*
and computer games, and can be directly traced back to the rules described in the manual
of Dungeons and Dragons and its followers.”3
2
Da Wikipedia.org: “Dungeons & Dragons (abbreviato come D&D o DnD) è un gioco di ruolo (GdR) di genere fantasy pubblicato per la
prima volta da Gary Gygax e Dave Arneson nel gennaio 1974. Inizialmente pubblicato dalla compagnia di Gygax, la Tactical Studies
Rules (TSR), ha dato lo spunto alla nascita di tutta l'editoria legata ai giochi di ruolo. D&D è di gran lunga il più diffuso e conosciuto
gioco di ruolo con (si stima) 20 milioni di giocatori, traduzioni in molte lingue ed oltre 1 miliardo di dollari di vendite di libri ed
accessori fino al 2004.”. http://it.wikipedia.org/wiki/Dungeons_%26_Dragons (ultimoa visita: 12/12/2008)
3
Malliet, Steve and de Meyer, Gust “The History of the Video Game” in Raessens, Joost and Goldstein, Jeffrey (eds) (2005), Handbook of
Computer Game Studies, The MIT press, Massachusetts, London, England, p. 24
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Russell, Ralph Baer e Nolan Bushnell. Steve Russell ha realizzato Spacewar, considerato
“the first computergame, simply because it was the first ‘game’ that was programmed on
in cui due giocatori umani controllano un’astronave ciascuno, la quale si può muovere
per un ping pong virtuale. Prendendo le mosse dalla struttura del gioco per
oscilloscopio di Higinbotham, Baer ha realizzato Tennis for Two nel 1966 . Il contributo di
questo ingegnere e del suo videogioco non è legato alla tecnologia, quanto alla
Baer, ha assunto per la prima volta una dimensione domestica, uscendo dalle aule
universitarie o dei centri di ricerca dove era nato, per introdursi nella vita di quelli che
ante litteram: basato su Spacewar di Russel, Computer Space ha aperto l’era dei
videogiochi come oggetti di consumo, non più quali realizzazioni pratiche e divertenti
di speculazioni teoriche quanto prodotti destinati alla distribuzione e alla vendita. Allo
L’idea alla base di Pong ricalca la dinamica di gioco del ping pong ideato da Baer ma è
stata strutturata da Bushnell in modo semplice, intelligibile, divertente.
4
Ibid. p. 24
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Dagli esperimenti di Bushnell in poi, nel corso degli anni ’70, si sviluppa l’industria
videoludica vera e propria. Le strategie di mercato sono state (e sono tuttora) le più
hardware e software delle varie case di produzione che realizzano standard diversi con
competizione a livello tecnologico tra le varie case (per citare alcune delle storiche,
permettere non solo varianti del modello di gameplay* iniziale (molti dei primi giochi
generi formulaici dei videogiochi contemporanei5. Sono nati quindi i maze games*, le
simulazioni sportive, i platform* e climbing games, poi più lentamente gli adventure*
(prima solo testuali, poi anche grafici), nonché gli shoot ‘em up*, i beat ‘em up* e molti
altri.
Non ci interessa, in questa sede, continuare con la cronologia di una storia dei
dell’evoluzione dei supporti hardware, delle scelte (più o meno fallimentari) del
passaggi significativi che hanno caratterizzato la storia del medium videoludico nelle
diverse evoluzioni fino ad arrivare alla diffusione di massa dei videogiochi online* e
5
cfr. ibid. p. 27
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sperimentazione iniziale (anche D’Alessandro non può evitare di partire da Tennis for
Two e Pong) alla nascita e rapida crescita delle software house giapponesi “madri” dei
videogame, fino ad arrivare al software (sia per console* che per computer) degli ultimi
concentrarsi sulle dinamiche di gioco online* serve come punto di partenza per
comprendere in che modo i Game Studies abbiano affrontato diverse fasi, più o meno
la teoria dei giochi (e quindi idee riprese da Callois, Huzinga, ecc) e che la
sovrapponesse in modo efficiente alle nuove strategie di comunicazione messe a
disposizione dai nuovi media.
al novello medium videoludico, dal parallelismo tra cultura e critica filmica alle
Game Studies hanno affrontato fasi alterne, forte contrapposizioni e grosse pressioni
pubblico specifico, i Game Studies sono sempre stati accusati di essere eccessivamente
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Non trascurabile è la differenza che intercorre tra l’industria videoludica, assimilabile a quella cinematografica o a quella editoriale, che
ha come scopo principale quella di realizzare prodotti per la vendita, e quindi che abbiano un target specifico, che siano studiati ad
hoc per essere immessi sul mercato, e i prodotti videoludici che diventano oggetti prima di distribuzione e consumo, poi artefatti
culturali, più o meno complessi, che attirano l’attenzione di critici e studiosi, oltre che degli appassionati e dei fruitori “designati”.
Sono pertanto da mantenere distinti i concetti di produzione prima e di fruizione poi, da quello di opera (più o meno artistica) che
diventa oggetto di studio e analisi. Il processo di produzione infatti è caratterizzato da particolari passaggi, esigenze, e tipologie,
mentre il processo di fruizione in un primo momento e di critica (per non parlare poi di fortuna e successo poi) devono essere
analizzati diversamente, con un’ottica più critica e non legata unicamente alle ricerche di mercato e agli studi di settore, bensì con
uno sguardo più comprensivo anche verso il contesto culturale e le ragioni che hanno portato alla realizzazione e all’apprezzamento
di un videogioco che, sicuramente, come ogni opera d’ingegno, racchiude parte della cultura e della sensibilità di chi lo ha prodotto.
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Il problema fondamentale è stato (ed è tuttora) legato alla forte contrapposizione che
Come affrontare, allora, una questione che, dalla metà degli anni ’90, è uscita dalle aule
di quelle università precorritrici, che si erano votate per tempo allo studio e
Come già anni fa, nell’affrontare la diatriba tra ludologi e narratologi, appariva chiaro
che nessuna delle due scuole di pensiero avrebbe trionfato sull’altra, ma che entrambe
videogame, anche oggi ritengo sia indispensabile cercare un filo conduttore in tutte le
diverse scuole critiche che si sono avvicinate all’analisi del videogame con il loro
bagaglio di competenze e strumenti specifici, per individuare quali, tra queste
Se lo scopo di questo lavoro è infatti quello di comprendere secondo quali modalità (e,
lateralmente, anche per quali motivi) le strategie narrative dei videogiochi ricalcano,
come mai il modo fantastico si adatti e venga così spesso recuperato e riutilizzato,
dovremo avere ben presenti, come basi teoriche e come strumenti di lavoro, da una
parte gli studi e le ricerche che si sono occupati di genere letterari e di modi narrativi e i
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al nuovo medium e dall’altra parte l’utilizzo di discipline “nuove” coniate ad hoc per lo
adattamento). Similmente, non potranno essere ignorati i contributi offerti dalla critica
cinematografica e dai Film Studies7 all’analisi delle interfacce visive che hanno portato
allo sviluppo della critica legata all’esplorazione e alla fruizione dei mondi videoludici,
Per questo, nella mia analisi, presenterò una panoramica di alcuni tentativi critici a mio
analisi, e cioè sul tentativo di comprendere secondo quali modalità e per quali ragioni
alle tradizioni narrative, estetiche, etiche del passato per re-inventarle, riadattarle e
sviluppato per altre arti, quali la narrazione, la pittura, la performance e così via, per
comprendere le direzioni di un medium che sta ancora sperimentando e che sta ancora
costruendo nuove strade, nuove correnti e nuove tendenze da seguire.
7
Basti pensare all’importanza dell’interfaccia uomo-macchina, ossia all’apparato grafico-interattivo che permette agli utenti di interagire
in modo semplice e trasparente con i computer e con i dispositivi digitali in generale.
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tipologia critica deriva da un istinto emulativo e “cronistorico”, nato sulla falsa riga
degli studi dei media e delle forme espressive precedenti (dalla letteratura, al cinema,
alla storia dell’arte) per individuare e fissare un’istanza d’ordine all’interno del vasto,
seppur giovane, oceano di possibilità.
altro metodo di analisi, sicuramente più consolidato, ossia quello dello studio dei
generi letterari: partendo da Aristotele, passando per Vico, Hegel, arrivando a Schaeffer
canovaccio significativo seguito anche dai primi Game Studies. Per questo, prima di
passare a illustrare alcuni casi significativi o, in generale, una tassonomia generale
ideata ad hoc per i videogiochi, penso sia utile effettuare una panoramica su alcuni
passaggi fondamentali della critica dei generi (letterari) che hanno sicuramente
influenzato il metodo e l’approccio all’analisi dei videogiochi.
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Aristotele (2000), Poetica, Bompiani, Milano
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epica), intendo concentrare l’attenzione sulla tragedia, sebbene in realtà Aristotele non
miri alla classificazione globale dei generi esistenti (come accadrà poi, nel corso dei
secoli della critica letteraria), bensì tenda a individuare diversi parametri da sfruttare in
“gerarchizzare” i generi letterari. Nello specifico, si rifà alla forma metrica, alle qualità dei
personaggi, alla durata e alla tipologia di avvenimenti, all’unità o alla pluralità di azione
per individuare dei parametri comuni da applicare poi alle varie opere letterarie. Questo
alcuni elementi che resteranno pietre fondanti della narrativa occidentale e con cui
ogni autore si dovrà forzatamente confrontare, sia per supportare che per confutare la
codificazione aristotelica.
ossia la tragedia e sui suoi elementi costitutivi: “o tes opseos kosmos” ossia l’apparato
ossia il racconto, il carattere e il pensiero, che sono gli oggetti imitati e costituiscono la
struttura narrativa forte. Questi elementi generali e comuni a ogni narrazione tragica,
sono tenute insieme dalla sustasis, ossia dall’intreccio narrativo, che contribuisce a
mezzo e una fine e le parti devono essere equilibrate e ordinate. Aristotele sostiene che
“La bellezza sta nella grandezza e nell’ordine”. Il racconto (sia tragico che comico, in
realtà) deve avere un’azione centrale intorno a quale vengono agganciati e inseriti gli
elementi secondari. Non tutti gli elementi sopra citati, infatti, rivestono la stessa
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Aristotele non poteva essere consapevole di tutte le narrazioni e le sperimentazioni che si sarebbero sviluppate in seguito alla sua
Poetica
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musica e infine l’apparato scenico. Accanto a questi elementi fissi, ci sono poi le
situazioni, le dinamiche interattive dei personaggi: per Aristotele, infatti, non sono
pathos, e cioè quel sentimento di com-passione che funge da base per la successiva
(fobos) sono altri due elementi centrali e imprescindibili della narrazione tragica, in
quanto contribuiscono alla creazione di quell’empatia che mette poi lo spettatore nella
condizione di introiettare gli avvenimenti e il racconto stesso, insieme alle esistenze dei
narrazione e di quello dello spettatore. L’ethos, ossia il carattere del protagonista, deve
essere buono, retto e giusto, conveniente e coerente. Oltre alle qualità ovvie di bontà,
protagonista, verso cui lo spettatore deve attuare il proprio transfer, non può infatti
esistenza devono essere giustificati in modo razionale, morale ed etico al limite, ma mai
secondo leggi mitiche, dei ex machina che contribuiscono a una salvezza surreale e
irrisoria.
Aristotele trova la sua ragion d’essere nella dinamica dell’anagnorisis, ossia del
finale dell’opera tragica (si veda l’Edipo Re, piuttosto che Fedra o addirittura le Baccanti)
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segni fisici sui corpi dei personaggi, ricordi e visioni, frutti di ragionamenti e
alle motivazioni, alle dinamiche e ai fini dell’azione compiuta) è il fulcro centrale della
riconoscimento avviene nella parte finale della tragedia: per “fulcro centrale” intendo
che tutta l’opera è costruita e strutturata in modo da creare un climax ascendente che
porti verso l’anagnorisis, che diventa il punto di arrivo e il momento che dà il via alla
katarsis.
L’anagnorisis è, in pratica, il motivo per cui il lettore affronta il racconto tragico: è ben
“fuori posto” per tutta la durata della narrazione tragica, e a compiere il processo
ispirata a principi aristotelici, porta al suo interno, come ogni narrazione, caratteri
che la caratterizzano: l’opsis, ad esempio, ossia il modo in cui si imita il contesto visivo,
partenza per tutta la categorizzazione del prodotto. Musica ed elocuzione, poi, intese
interfaccia) sono i due elementi che accompagnano il contesto grafico. Solo in “coda”
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interattività, così come di ritmo e suspense, è stata al centro dell’attenzione in tutti gli
anni, o meglio, secoli di letteratura e da una sensibilità canonizzata e ben fissata nel
tempo: quella della narrazione lineare. Dal ‘700 in poi, tuttavia, la sperimentazione
narrativa, la volontà di rompere con gli schemi del passato e, insieme, in una mania
in effetti gli schemi della narrazione tradizionale, per seguire percorsi nuovi, spesso
fruitori un modello che fosse noto, conosciuto, quindi dopo gli esperimenti puramente
tecnici di Tennis for Two, Pong e di tutti quei videogiochi essenziali e prettamente
schermo del computer o della console*. Proprio questa fase iniziale, caratterizzata dalle
Il genere letterario è visto, e parlo in particolare della critica dei generi contemporanea,
come un “luogo dove un’opera entra in una complessa rete di relazioni con altre
generi letterari osservano come questa particolare branca della letteratura abbia
10
Un esempio ben noto è il videogioco Adventure, che utilizzava un’interfaccia testuale per far muovere il giocatore attraverso un
ambiente virtuale da scoprire. Per ulteriori informazioni, http://en.wikipedia.org/wiki/Adventure_game#Adventure_.281975-1977.29
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Corti, Maria (1976) Principi della comunicazione letteraria, Bompiani, Milano, p. 151
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seguito, nel corso dei secoli, due correnti distinte: quella di natura più astratta,
quella di natura storica, diacronica e induttiva. Nel primo approccio o metodo, ossia
classiche differenziazione delle opere in genere lirico, drammatico, epico e nei vari modi
opere già scritte e a incasellare quelle future. L’approccio legato alle strutture retoriche,
invece, presuppone una gerarchia piramidale dei valori dei generi, per cui tematiche,
quello di affrontare il problema dell’evoluzione dei generi letterari e della loro funzione
intendersi come strumenti utili per gettare uno sguardo d’insieme sulla letteratura, non
Nonostante per un lungo periodo i generi letterari siano stati direttamente collegati al
valore dell’opera (e, in alcuni casi, lo siano tuttora), nella seconda metà del ‘900 si è
interrogare sulle opere d’arte in sé, non in quanto appartenenti a una certa “famiglia”. Il
pratiche fino a creare delle norme prescrittive, come ad esempio le 3 unità drammatiche
12
cfr. Fubini, Mario “Genesi e storia dei generi letterari” in Fubini, Mario (a cura di) (1951), Tecnica e teoria letteraria, Marzorati, Milano
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opere in una griglia interpretativa statica e fissata sono state gli elementi messi in
metteva in discussione l’utilizzo dei generi come regole anziché come strumenti
funzionali affermando che “le regole servono a coloro che sono più atti ad imitare che
a inventare” ed era convinto che “tanti sono i geni e specie di vere regole quanti son
geni e specie di veri poeti”, attribuendo quindi a ogni letterato e scrittore, più in
generale artista, un proprio “codice di genere” che veniva applicato in modo originale e
unico ad ogni opera letteraria. D’altra parte, la classificazione delle opere in base alla
“tipologia di azione” più o meno nobile, più o meno elevata, introdotta in epoca
alessandrina che vedeva la tragedia collegata allo stile sublime, la commedia a quello
umile e il dramma satiresco al medio13 era destinata ad entrare in crisi con il relativismo
morale: come possiamo essere sicuri di cosa è bene e cosa è male, di cosa è triviale e
cosa ricercato? Non possiamo materializzare un metro morale fisso, che comprenda e
scardinato, proprio perché le basi su cui poggiava erano più fideistiche e quasi
potranno usare in modo funzionale applicandoli, con discrezione e criterio, alle varie
13
cfr. Segre, Cesare (1999) Avviamento all’analisi del testo letterario, Giulio Einaudi Editore, Torino
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“Ognuno dei generi e sottogeneri era ricondotto al mondo storico donde erano provenute
le opere che esso designava e la loro successione si rivelava un altro degli aspetti del corso
che fanno le cose umane” 14
Questo approccio verrà mantenuto in epoca romantica: si tornerà a porre l’accento non
Sanctis, ad esempio, sostiene la stretta interconnessione della storia dei generi letterari
alla più vasta storia della civiltà umana. Le partizioni dei generi sono un punto di
partenza, uno strumento critico non un fine e punto di arrivo. La realtà individuale
Come afferma acutamente parlando dell’architesto e delle influenze, dei rimandi, delle
contaminazioni più o meno dirette tra le varie tipologie di testi letterari e i loro modelli
archetipici (o meglio, architestuali), Genette sostiene:
“Je considère au contraire comme un autre évidence (vague) la présence d’une attitude
existentielle, d’une ‘structure anthropologique’ (Durand), d’une ‘disposition mentale’
(Jolles), d’un ‘schème imaginatif’ (Mauron), ou (…) d’un ‘sentiment proprement épique,
lyrique, dramatique, mais aussi bien tragique, comique, élégiaque, fantastique,
romanesque, etc., dont la nature, l’origine, la permanence et la relation à l’histoire restent
14
Fubini, Mario, op. cit. p. 124
15
A.A.V.V. (1986) Théories des genres, De Seuil, Paris
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(entre autres) à étudier car, entant que concept génériques, les trois termes de la triade
traditionnelle ne méritent aucun rang hiérarchique particulier.”16
Oltre alla volontà di emanciparsi dalle gerarchie del passato e di recuperare la struttura
più generale e inclusiva di Aristotele, che ritiene più efficace rispetto ai suoi successori,
indipendente: non si auto implicano a vicenda. Hempfer, poi, chiarisce questo concetto
(o, con l’espressione coniata da Frye, del “radicale di presentazione”17), mentre i tipi
sono specificazioni interne dei generi. Ecco allora che gli strumenti per analizzare
dell’opera stessa. “Et que l’étude des transformations implique l’examen, et donc la
excursus sulla storia dei generi letterari? La motivazione è legata alla convinzione che
sì, i videogiochi necessitano di strumenti adeguati ad analizzarli e spesso questi
strumenti vanno creati, tuttavia le diverse parti che compongono il videogioco (se
linguaggio, e così via) non sono affatto “nuove” o prive di un passato: ogni nuovo
medium che nasce incorpora inevitabilmente i media passati, in parte o per intero,
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rapporti di importanza. Per questo, se la storia della critica dei generi videoludici è
breve, la storia della critica dei generi letterari è invece più organica e, in un certo senso,
matura e può aiutarci a velocizzare certi processi, a evitare di ricadere in analisi errate e
parziali e a utilizzare in modo proficuo gli strumenti di analisi più adeguati:
“There are many ways in which games overlap with other areas, such as various forms of
storytelling, audio-visual media and arts, science and the art of programming, or various
fields in business and marketing. There is therefore no need to reinvent the wheel (…).
There is already some existing research to learn and profit from.”19
Se il passato critico di altre discipline (e mi riferisco alla storia della critica dei generi
letterari, ad esempio) ci ha insegnato qualcosa, ossia che cercare di creare griglie omni-
comprensive che includano tutte le opere è a lungo termine fallimentare, e che è più
principi più ampi da applicare con discrezione e criterio, è importante tenere conto di
questo insegnamento anche quando si passa a ricostruire una tassonomia ordinata dei
generi videoludici. Uno studio aggiornato del 2006 dello studioso australiano Thomas
retaggio dei moderni studi sul genere venga applicato anche agli studi sui generi
videoludici. Uno studio aggiornato del 2006 di uno studioso australiano, Thomas H.
Apperley ci mostra come, forse inconsapevolmente, forse consciamente, tutto il
retaggio dei moderni studi sul genere venga applicato, in qualche modo, anche agli
studi sui generi videoludici. Innanzitutto Apperley riconosce che “(videogames) cannot
questo, è pur vero che “conventional video game genres rely overmuch on games
aesthetics of the games”: come accennavo prima, l’ordine di valore delle categorie
19
Bogost, Ian (2006) Unit Operations. An Approach to Videogame Criticism, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, p. 53
20
Apperley, Thomas H. (2006) “Genre and game studies: Toward a critical approach to video game genres” in SIMULATION & GAMING,
Vol. 37 No. 1, March 2006, pp. 6-23
26
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contesto grafico diventano l’elemento emergente più alla portata (e forse anche più
comodo) per stilare una classifica dei generi videoludici. In realtà, Apperley ammette
cybertext, per descrivere l’intricato sistema di feedback che esiste in alcuni tipi di testi
Aarseth, conia il termine ergodico per descrivere il ruolo dell’attore umano nel processo
di creazione del cybertesto: ergodico si riferisce al fatto che un “non-trivial effort is
required to allow the reader to traverse the text”21. Apparley nota che
“the primary problem with conventional video game genres is that rather than being a
general description of the style of ergodic interaction that takes place within the game, it is
instead loose aesthetic clusters based around video games’ aesthetic linkages to prior
media forms.”22
Egli recupera il concetto di remediation introdotto da Bolter and Gruisin nel 1999 e
afferma:
“By examining video games in the context of ergodic rather than representational genre,
the ‘neatness’ of Bolter and Gruisin’s (1999) notion of remediation as the recycling of
representational aesthetics across mediums is challenged, as something more than the
visual is operating, requiring the tracing of genealogical trajectories that looks beyond
video games aesthetics borrowing from cinema and television.”23
primo parametro di giudizio per un’analisi dei generi videoludici, Apparley intende
21
Aarseth, Espen J. (1997) Cybertext, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, p.1
22
Apparely, op. cit. p. 10
23
Ibid. p. 15
27
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L’ergodicità, quindi, e non la mera iconografia è alla base della tassonomia dei generi
interazione presenti nei vari videogiochi. Ci sono tre macro-elementi che condizionano
modalità (ossia la struttura profonda del gioco, che può essere rizomatica o labirintica,
tutta l’azione è inserita fanno da sfondo ai generi videoludici che quindi sono più vicini
a generi letterari quali la lirica, il dramma, l’epica che ai generi formulaici dell’horror,
detective story e così via.
strategia, azione e RPG*, anziché perdersi nei dettagli della classificazione di Wolf.
Combinando infatti gli elementi “fissi” e inevitabili per ciascun videogame, ossia la
meccaniche più ampie, che diventano dei “contenitori” per le varie modalità e che
costituiscono solo un punto di partenza per una riflessione sui videogame, ma che
dei ludologi, a quelle dei film studies a quelle, infine, della narrazione interattiva e dei
24
Wolf, M. J. P. (ed) (2001) The Medium of the video game, Austin, University of Texas Press
25
Apparley, ibid. p. 11
28
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mondi di simulazione. Il livello di dettaglio della descrizione di Wolf è utile per avere
videoludica oltre che per osservare come alcuni meccanismi interattivi abbiano
conosciuto periodi di successo più o meno lunghi e duraturi, ma risulta a lungo andare
limitante ed eccessivamente vincolato ai casi presi in esame. Nel corso della breve ma
intensa sperimentazione dei videogiochi, infatti, sono nati diversi “ibridi” che non
possono tuttavia essere analizzati secondo i parametri dei diversi sotto-insiemi che li
viene applicato ai videogiochi. Come riporta Apperley, Aarseth26 prima e Frasca27 poi
simulation”28, ossia che qualsiasi tipologia di videogioco rientra nella sfera della
29
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così via. Nell’interfacciarci a un mondo digitale, virtuale*, intraprendiamo non una reale
console*) alla nostra vista e ci catapulta direttamente nel mondo videoludico: non
dobbiamo dimenticare però che quella che stiamo compiendo e mettendo in atto è la
un riscontro e un corrispettivo nella realtà e che, all’interno del contesto digitale, è solo
una simulazione di un’attività reale.
tecnologie legate alle simulazioni digitali. Come nel caso del cinema, infatti, non è
una parte attiva e, sicuramente, molto presente, ma non è il sostrato costitutivo dei
paradigmi ludici sono la chiave di volta per sfuggire al predominio della simulazione e
quindi Burnout le dinamiche di Sim City sono più volte alla simulazione reale della
30
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videogioco: se, come sostengono Aarseth e Frasca, tutti i videogiochi sono simulazione,
allora è altrettanto vero che tutti i giochi contengono al loro interno, per la loro stessa
natura, un elemento sia opposto che complementare alla simulazione, ossia l’elemento
ludico. Nel caso dei videogiochi, infatti, non ci troviamo mai davanti a simulazioni
videogiochi e che, a sua volta, esattamente come nel caso della simulazione, non può
dal dominio semiotico e cognitivo non solo del cinema (dominio in cui i videogiochi
sono spesso inclusi), ma anche dai domini “estetici” in cui vengono inclusi (e suddivisi)
abitualmente i videogiochi:
“of all video games strategy games have fewest cinematic associations. The strategy genre
is usually divided into two subgenres: real time strategy (RTS) and turn-base strategy (TBS).
Both RTS and TBS games have a similar aesthetic, a genera god’s-eye-view of the actions
taking place, with a tendency toward a more photorealistic depiction. However, both
games, the TBS especially, cannot be considered remediated forms of any other orthodoxly
technological medium; rather they remediate the playing of the strategy table-top board
game.” 29
29
Apperley, ibid. p. 12
31
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tali da produrre risultati migliori nel gioco. Questa dinamica è direttamente collegata al
gioco “pro”, o esperto. Myers sostiene che:
“Expert players contextualize relationships between certain values within the game-world
in order to obtain the best possible outcomes”30,
e, ancora che:
“The expert player (…) is organizing and valuing variables within that system (…). This
activity may take place outside of the game per se and involve contextualizing information
gleaned from secondary sources – Internet sites, chat rooms, bulletin boards, conversation
with other players, game magazines – as well as prior play of the particular game.”31
giocatori sfruttano nei giochi di strategia ai contesti videoludici generali. Quindi, per
alle informazioni veicolate dal gioco e raggiungere quindi un livello molto alto di
efficienza. Con lo stesso approccio, tuttavia, e quindi con lo studio della strategia
corse come il già citato Burnout) individuare, online*, le strategie più adatte al
quella esperienziale (che, nella simulazione, è tutto). Alcuni giochi tipicamente strategici
sono Sim City e The Sims: in questi due casi, tuttavia,
30
Myers, D. (2003) The nature of computer games: Play as semiosis, Peter Lang, New York, p. 44
31
Ibid. p. 177
32
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“the player must integrate information from, and make calibration on, several screens in
order to make effective interventions on a process of development that is already
underway. The player has to manipulate the simulation as it progresses through time in
order to get the result with the most utility.”32
“characterized by the players’ crucial role in performing the ergodic process” e parla del
secondo come “characterized by the interventions of the player must take to bring the
quale la linea che divide la coscienza del giocatore e l’inizio del mondo digitale viene a
essere meno demarcata, più indefinita.
ossia di giochi in prima e in terza persona (nel secondo caso, l’avatar* del giocatore è
visibile di spalle durante tutte le sessioni di gioco, nel primo caso il giocatore ha una
viene spesso usata in film in cui predomina la visione in terza persona per favorire
invece quella dominante nel cinema, e permette allo spettatore di osservare l’azione
uno sguardo d’insieme. Nel caso dei videogiochi first o third person, l’immedesimazione
è totale: “The avatar acts as a virtual prosthetic that acts as the connecting point
32
Apperley, ibid. p. 14
33
Ibid. p. 14
33
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between the player and the virtual environment”34. Più che di un “connettore”, l’avatar*
svolge il ruolo che negli ambienti virtuali non videoludici ricopre il “cursore”, ossia
collega gli aspetti percettivi a quelli cognitivi e di movimento nel gioco, perché il
giocatore ha bisogno di essere collegato a un elemento fisico all’interno del gioco che
gli permetta di orientarsi e di spostarsi in modo opportuno. Nei giochi in terza persona,
questo elemento è appunto l’avatar* stesso; nei giochi in prima persona spesso questa
un’arma), sebbene talvolta possa risultare superflua, perché la visione in prima persona
Ancora una volta, l’azione non è né può essere l’unico elemento di genere presente nel
gioco: può essere il “preponderante”, il più presente e necessario per avanzare nei
livelli, ma come nel caso della simulazione e della strategia, non è sicuramente quello
esclusivo. In giochi come Half Life o Bioshock, il giocatore si trova immerso nell’ambiente
in secondo piano, per lasciare spazio alle competenze e alle skill acquisite o sviluppate
dell'avatar* stesso e, nel contempo, all'abilità del giocatore nel sostenere una
performance ludica che gli permetta di sfruttare al massimo suddette abilità. Per
affrontare in modo congruo il gioco sarà quindi necessario che sia il giocatore che
sia tanto efficace quanto l'ambiente richiede (il margine di errore concesso aumenta o
partita). C'è chi, come Atkins, descrive il processo di scoperta della performance tecnica
corretta e più adeguata come un “moment of gaming cinema [that] requires the
34
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concetto suggerisce un tipo di padronanza e maestria che rompe in modo netto con le
Ancora una volta, come nel caso della simulazione e della strategia, anche il genere
dell'azione non esiste in sé per sé, ma è solamente una tipologia ludica che vede
risoluzione di enigmi in game) o di strategia (gli schemi più efficaci per superare un
dato livello, le armi migliori da utilizzare nelle diverse circostanze, le tattiche più efficaci
per sconfiggere certi nemici), ma a differenza dei casi in cui l'abilità consiste
videoludico, nel caso del genere d'azione l'agenza del giocatore diventa fondamentale:
“personalizzare” il gioco proprio in base alle proprie abilità e di rendere ogni sessione e
ogni partita unica e irripetibile. Nell’affrontare un livello di un FPS* come Half Life o nel
progredire nei “livelli” di un episodio della serie di Metal Gear Solid, ad esempio, il
giocatore compie scelte sia razionali che istintive, dettate sua dalla conoscenza della
mappa che dalle circostanze casuali generate dal livello e non si trova mai nelle
La quarta e ultima famiglia di generi videoludici è quella degli RPG*, ossia dei Role
alcune caratteristiche peculiari che ritornano, a loro volta, negli altri generi. Il gioco di
ruolo è strettamente legato al genere letterario del fantasy: viene spesso definito una
35
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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costruzione collettiva, a opera sia del master che dei singoli giocatori che partecipano.
innanzitutto, che il mondo-gioco non è una creazione collettiva, basata sulle intuizioni
parametri, pre-determinati dai game designer. Inoltre, l'attenzione viene spostata dal
all'accumulo di premi e punti per accrescere le proprie abilità (non esiste più una vera e
propria personalizzazione del personaggio, esistono piuttosto schemi rigidi e
sviluppo del GdR* online* e per aiutare a definire il contesto in cui si sono verificate
determinate evoluzioni, in particolare dei personaggi:
“The remediation of role-playing to computers changed the focus of the games from
character development to the acquisition of characteristics that are contextualized and
valued through play”
generale, nella comunità di gioco e dei giocatori. “RPGs operate intertextually, as the
context of the game is often larger than the individual game”36: viene introdotto il
concetto di intertestualità degli RPG*, e quindi il fatto che il contesto secondo cui si
valutano i parametri e gli achievement (gli obiettivi di gioco raggiunti) dei personaggi
non sono più limitati al gioco stesso ma riguardano la contestualizzazione del gioco da
35
Sia King e Krzywinska che Bolter e Gruisin lo chiamano in questo modo.
36
Myers, op. cit. p.12
36
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parte di molti individui che formano un discorso collettivo che assegna diverso valore
a diverse trasformazioni:
Cosa accade, quindi? Il gioco di ruolo, che aveva inizialmente perso la sua natura
“collettiva” per via delle impostazioni “verticali” impartite della natura stessa del gioco
recupera l'elemento collettivo – orizzontale -grazie alla possibilità del gioco di “uscire” e
consapevole di giocatori che interagisce e crea una scala di valori da applicare al gioco
È, anzi, il tratto distintivo del gioco di ruolo rispetto agli altri tre generi citati:
“Massive Multi-player Online RPGs (MMORPGs)* blur the boundary between game and
community completely; in “Computer Game Studies: Year One” Aarseth (2001, p. 2)
37
Ibid. p. 12
37
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describes this shift as the social arena of the game becoming the game itself. Thus, I
suggest that MMORPGs should be conceptualized as a convergent technology.”38
“What is crucially important to video game genres is to be able to think of each individual
game as belonging to several genres at once”
Torna l’idea, a cui la critica letteraria è arrivata dopo dibattiti e griglie interpretative più
o meno rigide, del “genere” come strumento per l’analisi dell’opera, non come fine
ultimo e come struttura fissa in cui cercare di incasellare i diversi “testi” (siano essi
letterari che, come nel nostro caso, videoludici). A seconda dell’artefatto davanti a cui ci
tutte, cercando di capire quali tra esse predomina nel caso in analisi, quali sono le
esempio, o il Noir sono spesso (spesso, non sempre, e soprattutto non unicamente)
Lo stesso accade per i videogiochi: per ora ci siamo limitati a parlare di ergodicità,
critica che seguirà, tuttavia non è sufficiente, a mio parere, soffermarsi su questi
elementi senza analizzare a fondo l’importanza che ricoprono, ad esempio, gli studi
motivare la scelta dell’analisi) dei diversi titoli che più avanti proporrò. A seconda dei
38
Apperley, op. cit. p.18
38
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diversi generi, non solo: anche alle diverse metodologie. Perché se il problema
fondamentale della critica dei generi, in letteratura, è stata proprio la volontà di aderire
letteraria, anche per i videogiochi, appaiono sempre più una rimediazione di forme
non precludersi alcuna porta e cercare di sfruttare in modo efficiente le risorse critiche
a disposizione, senza trincerarsi dietro posizioni assolutiste.
Narratologi e Ludologi
Considerati gli evidenti elementi narrativi, semiotici e letterari sicuramente contenuti
nei videogiochi, parte della critica si è naturalmente rivolta all’analisi dei videogame
videogiochi, come abbiamo già detto, erano interamente testuali e che parte delle
avventure grafiche del primo periodo sono state ispirate a trame letterarie ben note
(dalle avventure di Sherlock Holmes a Blade Runner, da Edgar Allan Poe a romanzi
videogiochi è stato senza dubbio un volume pubblicato dalla MIT Press nel 2004 dal
titolo First Person – New Media as Story, Performance and Game e che raccoglie decine di
contributi, più o meno pionieristici, di diversi studiosi interessati a definire gli ambiti di
39
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ricercatori ed esperti di settori diversi, con esperienze e metodologie tra loro anche
molto distanti, per fornire una panoramica a trecentosessanta gradi sulla ricezione da
delinearsi quella che sarebbe stata la problematica più in voga degli ultimi dieci anni
nel campo della critica videoludica, e cioè il bilanciamento effettivo e ideale tra
altri studiosi: Cyberdrama, Ludology, Critical Simulation, Game Theories, Hypertexts &
Interactivities, The Pixel/The Line, Beyond Chat e New Readings sono le otto macro-aree
tematiche del volume. Argomenti “forti” e decisamente innovativi per il 2004 vengono
esempio, scrive di storie videoludiche e della loro potenziale evoluzione nel genere che
lei chiama del cyberdrama e cerca di dimostrare come, in alcune tipologie di
come questa interazione (in The Sims, ma anche nel più sperimentale Façade) generi
quella narrazione che poi il giocatore ricorderà. Sempre in linea con la prospettiva della
Murray, e cioè quella di individuare una “nuova” forma di narrazione, a metà tra la
di narrazione intermedia e cercano di capire se esista una “poetica preliminare”40 che sta
alle spalle delle nuove tendenze narrative che sempre di più si diffondono con
39
La struttura ludica è come la struttura narrativa: è una sorta di “linea guida” da cui si parte per far poi dipanare “gli eventi”, siano essi
narrazioni che azioni. Sono comunque strutturate, perché sì, il giocatore ha libertà, ma questa libertà deriva proprio dalla struttura
all’interno della quale le sue azioni sono inserite. Senza struttura, in effetti, non esiste gioco, sia nel virtuale che nel reale. Le regole
non sono altro che una struttura “rudimentale”. Poi, il buon “gioco” è quello che nasconde il più possibile questa struttura e fa
percepire il tutto come un fluire armonico.
40
Mateas, Michael (2004) “A Preliminary Poetics for Interactive Drama and Games”, in Wardrip-Fruin, op. cit.
40
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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fruitore-giocatore e così via e se, quindi, esiste una base comune da cui le narrazioni
digitali traggono le proprie mosse, per poi differenziarsi in molteplici “generi” e “modi”.
È il secondo capitolo a concentrare le opinioni della scuola che viene definita dei
“ludologi” e di cui fanno parte esponenti di spicco come Espen Aarseth, Markku
Eskelinen e Stuart Moulthrop. Fin dalla pubblicazione, nel 1997, del suo lavoro più
incisivo, ossia Cybertext, Aarseth ha chiarito non solo la propria posizione nei confronti
dell’analisi e dello studio dei videogame, ma ha anche “fatto il punto” sul concetto di
concentrano la loro attenzione sul sistema di azione e risposta che intercorre tra il
sull’approccio che gli studenti e gli studiosi, nonché i ricercatori e gli accademici, stanno
41
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memoria di questa esperienza sono legate alla risposta interattiva e non agli elementi
“My warnings about narrativism and theoretical colonialism might seem unduly harsh and
even militant. Why not let the matter resolve itself, through scholarly, logical dialogue? The
reason for this vigilance, however, is based on numbers. The sheer number of students
trained in film and literary studies will ensure that the slanted and crude misapplication of
“narrative” theory to games will continue and probably overwhelm game scholarship for a
long time to come. As long as vast numbers of journals and supervisors from traditional
narrative studies continue to sanction dissertations and papers that take the narrativity of
games for granted and confuse the story-game hybrids with games in general, good,
critical scholarship on games will be outnumbered by incompetence, and this is a problem
for all involved. Hopefully this is just a short-lived phase, but it certainly is a phase we are in
right now.”41
Aarseth stesso ammette che concentrare tutta questa attenzione a tener vivo un
dibattito tra due scuole di pensiero e di critica può apparire inutile. Nonostante la sua
Murray, strenua e convinta sostenitrice della “trama a ogni costo nei videogiochi” era
forse, e per diffondere il concetto che anche i giochi hanno alla loro base una “struttura
41
Aarseth, Espen (1997) “Genre Trouble: Narrativism and the Art of Simulation”, in First Person, op. cit. p. 54
42
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tentativo della studiosa di ricostruire una trama narrativa per il videogioco Tetris. Senza
negare che inevitabilmente il contesto sociale e il background culturale degli ideatori del
puzzle game più diffuso del mondo abbiano avuto una responsabilità nell’ideazione
cercare di identificare l’alienazione del cittadino russo che vive la sua vita “incasellato”
in una sovrastruttura che lo ingloba a forza in quei mattoncini che cadono inesorabili
dall’alto che il giocatore deve posizionare in modo efficace e ordinato sullo schermo. La
visione estrema della Murray non è, tuttavia, la vera prospettiva dei narratologi. In
effetti, studiosi come Jesper Juul, ad esempio, o come Henry Jenkins o Erik Zimmerman,
possono rendere alcuni videogiochi specifici e alcune parti specifiche di questi videogiochi
assimilabili o comparabili a strutture già presenti in contesti narrativi. Jenkins, ad
esempio, parla del game design come di un’architettura narrativa e cerca di inscrivere il
più che ragionevole e ammette sì l’idea che i giochi abbiano intenzioni narrative, ma
anche che non tutti i giochi raccontano storie, afferma che l’analisi narrativa non deve
mai essere prescrittiva, anche se alcuni (come la Murray, appunto) predicano in tal
senso. Il nodo centrale del discorso di Jenkins è che “a story is less a temporal structure
than a body of information”42 e che il fulcro della “narrazione” videoludica non sta
tanto nella sequenzialità o unicamente nella trama (in inglese, plot) quanto nella storia
come insieme di informazioni che l’utente può recuperare a livello spaziale o, meglio,
42
Jenkins, H. (2004) “Game Design as Narrative Architecture” in First Person, op. cit.
43
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gioco, a cui è il giocatore stesso ad attribuire un senso, diventa centrale, ancora più del
“My strategy of discipline for the term narrative is to present a broad and expansive
understanding of the concept, to think beyond the normal limits of what we might consider
narrative, to help uncover the common tuf of stories and games.”
“1. A narrative has an initial state, a change in that state, and insight brought about by that
change. You might call this process the ‘events’ of a narrative.
2. A narrative is not merely a series of events, but a personification of events though a
medium such as language. This component of the definition references the representation
aspect of narrative.
3. And last, this representation is constituted by patterning and repetition. This is true for
every level of a narrative, whether it is the material form of the narrative itself or its
conceptual thematics.”
È partendo da queste basi teoriche (anche abbastanza generali) che Zimmerman passa
a definire i criteri della narrativa videoludica: se la storia e il gioco sono due elementi
distinti e se questa storia e questo gioco vengono “intersecati” per creare qualcosa di
43
cfr. ibid. p. 124
44
Miller, J. Hillis (1995) “Narrative”, in Critical Terms for Literary Study, University of Chicago Press, Chicago
44
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cinematografica (sia da un punto di vista visivo che prettamente di trama). Oggi, nel
contenendo, a volte in ampia misura, le cosiddette cut scene*, ossia spezzoni non
come si sono sviluppati linguaggi visivi nuovi per parlare a ceti sociali diversi, a generi,
gruppi di età e culturali differenti, così come i ritmi cinematografici variano in modo
costante e prevedibile a seconda del genere, allo stesso modo tutta questa varietà è
ancora inaspettata, nei videogiochi, tutte queste strategie sono ancora da scoprire.
schermo, inoltre, ampliano a dismisura le possibili strade che il mondo dei videogame
può percorrere. Da una passività “vecchio stampo”, più legata alla ricezione e alla
narrazione videoludica che, fino a qualche anno fa era ancora “traballante” e che
poteva contare solo su rare perle di eccellenza (la saga di Metal Gear Solid ne è un
esempio, ma anche quella di Silent Hill o i vari episodi di Zelda), mentre oggi acquisisce
45
Perlomeno i linguaggi del cinema occidentale e, più in generale, hollywoodiano sono ormai diventati un codice ben acquisito dagli
spettatori.
46
ll concetto di narrazione laterale e trasmessa attraverso diverse strategie e modalità, non canonizzata o ben codificata, sarà
l’argomento del Capitolo 3 e dell’analisi dei testi videoludici presi in esame.
45
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al potenziamento (e non allo stallo, come spesso sostenuto dai ludologi) del
principalmente al contenuto del testo e alla memoria che di quel contenuto permane
dinamiche con cui il testo è fruito. Il game design in questo caso diventa centrale, in
quanto non conta tanto il contenuto quanto le modalità secondo cui questo
del termine, ossia la rispondenza da parte del fruitore alle regole esplicite del gioco:
interattiva esterna a un singolo testo. Un esempio di cui abbiamo molteplici prove nella
47
Zimmerman, Erik (2004) “Narrative, Interactivity, Play, and Games: Four Naughty Concepts in Need of Discipline”, in First Person, op. cit.
p. 158
46
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ritrovano facilmente nel vari contesti (ludici, artistici, comunicativi) che riguardano i
media digitali.
Allo stesso modo, Zimmerman affronta il concetto di play, che è fortemente legato alla
connotazione del verbo inglese to play e che spazia quindi dal concetto di giocare a
quello di suonare a quello di utilizzare uno strumento elettronico. Ancora, con una
strutturata. Esiste sia grazie che nonostante la struttura sistemica che lo contiene. Il
gioco è, in pratica, la relazione tra gli elementi di un sistema, sia regolata da regole che
narrazione che all’interattività perché è proprio la sfida che il creatore di una struttura
sia a livello narrativo che interattivo, la struttura ludica e che quindi consenta al fruitore
un’indipendenza e una libertà pur all’interno di un contesto limitato e vincolato.
48
Ibid. p. 159
47
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“Voluntary
If you’re forced against your will to play a game you’re not really playing. Games are
voluntary activities.
Interactive
Remember this word? It’s referencing our third mode of interactivity: explicit participation.
Behavior-Constraining Rules
All games have rules. These rules provide the structure out of which the play emerges. It’s
also important to realize that rules are essentially restrictive and limit what the player can do.
Artificiality
Games maintain a boundary from so-called ‘real life’ in both time and space. Although
games obviously do occur within the real world, artificiality is one of their defining features.
(…)
Conflict
All games embody a contest of powers. It might be a conflict between two players as in
chess; it might be a contest between several teams, as in a track meet; a game might be a
conflict between a single player and the forces of luck and skill embodied in solitaire; or
even a group of players competing together against the clock on a game show.
Quantifiable Outcome
The conflict of a game has an end result, and this is the quantifiable outcome. At the
conclusion of a game, the participants either won or lost (they might all win or lose together)
or they received a numerical score, as in a videogame. This idea of a quantifiable outcome is
what often distinguishes a bona fide game from other less formal play activities.”49
Le tipologie della quarta categoria sono quindi definite: è sempre più al centro
regole, la struttura, l’azione del giocatore, l’interrelazione del gioco con altri ambiti
(come quello cognitivo, culturale, sociale) non sono quindi elementi nettamente
49
Ibid. p. 160
48
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griglia interpretativa ideale che si deve tenere presente quando si affronta l’analisi di
un processo ludico.
Questa descrizione puntuale dei quattro aspetti più controversi, nella diatriba tra
ludologi e narratologi portano in luce il fatto che i diversi concetti e le diverse “parti
costitutive” del videogame hanno strutture proprie, insiemi di regole rigide, norme e
dell’arte fine a se stessa): nel processo di riconfigurazione, nascono regole “nuove” che
è il caso di definire di volta in volta. Come nel caso dei riferimenti iniziali alla Poetica di
Aristotele e al recupero di un certo atteggiamento basato sulla storia della critica dei
generi, ma innovato e adattato ai videogame, così anche nel caso delle norme
La diatriba tra ludologi e narratologi è stata quindi, piuttosto, una scusa per chiarire e
definire gli ambiti di influenza interessanti per i Game Studies ma, a differenza di
quanto afferma Aarseth, non si è mai corso un reale pericolo di vedere la critica
con gli strumenti più adatti. La critica videoludica, un po’ come sosteneva Genette
riferendosi alla critica letteraria, ha molte analogie con il bricolage: è un processo che
proliferare delle teorie e dei modi comparatisti ne è uno specchio: non si tenta più
unicamente di definire un metodo unico per affrontare l’analisi teorica dei videogame,
49
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modelli narrativi e rimediazioni tecnologiche Dottorato XXI Ciclo - Università IULM
oggetto artistico51. Il numero di aprile 2008 dell’edizione italiana di una nota rivista
inglese, EDGE, riporta un contributo che cerca di fare un po’ il punto sulla situazione
della diatriba tra narratologi e ludologi: Matteo Bittanti scrive un articolo dal titolo
“Racconto e gameplay*: separati alla nascita” in cui mette in luce come le posizioni di
integrazione tra narrazione e meccaniche di gioco non sia dovuta a una mutua
“sempre caldo, anzi, rovente”, tant’è che il tema della Game Developer Conference tenutasi
in California tra il 18 e il 22 febbraio 2008 è stato “The Future of Story in Game Design”.
I contributi contrastanti di due designer quali Matthew Karch e Denis Dyack mostrano
due approcci produttivi diversi. Scrive Bittanti:
50
Recchioni, Roberto (2008) “Mosche da bar” in GAME PRO di aprile, n. 11, 2008
51
Anche perché, oggettivamente, è difficile elevare un intero medium ad arte: è più logico e ragionevole individuare quali prodotti,
ideati o realizzati per quel mezzo, emergono e si configurano quali “opere d’arte” (sempre che questo avvenga), evitando tuttavia di
concentrarsi sullo studio e l’analisi, ma anche sulla concezione e produzione di videogame avendo solo il criterio dell’opera artistica
come riferimento. Il videogioco è, ora più che mai, sperimentazione, e deve evitare di “adagiarsi” in una culla di definizioni. Deve,
piuttosto, continuare la sua strada di unificatore di linguaggi e di produttore di nuove strategie interattive, che vengono poi
inevitabilmente trasferite e recuperate anche da strutture non tipicamente videoludiche.
50
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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‘Gameplay e storia non sono antitetici: non ha senso attribuire al medium dei limiti che in
realtà sono del designer’. Dyack ritiene che il videogame stia oggi vivendo una profonda
trasformazione, un’evoluzione paragonabile a quella che il cinema ha sperimentato tra gli
anni trenta e quaranta, quando è passato da mera forma di intrattenimento a espressione
artistica a tutti gli effetti. ‘La tradizionale distinzione in generi (RTS, RPG, FPS e così via)’,
profetizza Dyack, ‘è destinata presto a scomparire, dato che una simile ripartizione enfatizza
il datum tecnologico (per esempio, il ruolo della macchina da presa virtuale negli sparatutto
in soggettiva) rispetto alle componenti narrative. Ma la tecnologia sta diventando invisibile
dato che i designer hanno oggi a disposizione un potenziale di calcolo enorme se
paragonato a quello di pochi anni fa’.”52
La vera e propria lite intercorsa tra i due designer di spicco è solo l’indice di
un’insoddisfazione crescente. Se, finora, sono stati più i casi in cui la storia era solo un
“collante” posticcio, applicato al game design per fornire un collegamento tra un livello
e l’altro, ora ci si sta rendendo conto che è vitale coinvolgere lo sceneggiatore sin dalle
prime fasi della produzione.
Viene da pensare, quindi, che quando Gonzalo Frasca scriveva, nel 2003, il suo saggio
“Ludologists love stories, too: notes from a debate that never took place”, per gli atti
del convegno DIGRA 2003, non fosse quindi lontano dall’intuire quello che stiamo
realizzando oggi, con cinque anni di ritardo, ossia che i ludologi e i narratologi non
sono mai stati realmente in guerra e che quello che ognuno dei due gruppi cercava di
che fossero nuove (quelle dei ludologi) o riadattate. Citando la Marie-Laure Ryan, Frasca
riporta:
“The inability of literary narratology to account for the experience of games does not mean
that we should throw away the concept of narrative ludology; it rather means that we need
to expand the catalogue of narrative modalities beyond the diegetic and the dramatic, by
adding a phenomenological category tailor-made for games”53
Questa diatriba che continua a distanza di anni, è esemplificativa in realtà dello stato
degli studi videoludici, almeno nelle loro fasi iniziali: le diverse scuole di pensiero e di
52
Bittanti, Matteo (2008) “Racconto e gameplay: separati alla nascita” in GAME PRO di aprile, n. 11, 2008
53
Frasca, Gonzalo, “Ludologists love stories too: notes from a debite that never took place.”, in DIGRA Proceedgins (2003)
51
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approccio alle opere non portano a un vero e proprio interlocutorio, a un dialogo tra le
parti che abbia come scopo finale realmente quello di trovare una metodologia
una scuola (in senso lato) rispetto a un’altra, alla “specializzazione” dei diversi istituti di
ricerca in un campo anziché in un altro, quasi come se lo scopo fosse non sovrapporsi,
una disciplina, ma è necessario che vada poi “oltre”: non si tratta di scendere a
ogni prospettiva. Si tratta, piuttosto, di seguire lo stesso percorso della critica letteraria,
ad esempio, e che dopo aver definito in modo netto una serie di modalità, prospettive
passata all’utilizzo non più esclusivo di tali strumenti critici, ma a un approccio aperto
che utilizzasse di volta in volta gli strumenti analitici più adatti. Non si analizza più,
ogni critico o appassionato che si avvicini a quell’opera sfrutta gli strumenti che ritieni
più adeguati proprio in ragione dell’opera stessa. Non si cerca più di dimostrare a priori
A tale proposito, è necessario spendere qualche parola su quello che viene considerato
il “cugino” più prossimo del videogioco, ossia il cinema. Per via della loro struttura
prettamente visiva e per le forti e mutue influenze che questi due medium hanno
nonché il recupero di certi strumenti o approcci dei Film Studies, sono quasi d’obbligo. È
52
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contributi di critici e studiosi, mi preme sottolineare come da diversi anni oramai non
Nel caso del cinema, in particolare, il riconoscimento della mutua influenza è stato
produzione e di incasso dei colossal, sia nel caso dei videogiochi che in quello dei film,
tendono ad avvicinarsi sempre più.
Non è un caso, quindi, che già nel giugno del 2006 un quotidiano nazionale come La
dell’ennesimo film tratto dai videogiochi. Nel caso specifico, il giornalista si riferisce
all’uscita nelle sale di Silent Hill, film tratto dal primo episodio della saga videoludica e
diretto dal regista Christopher Gans.
“Entro il 2010 quella dei videogiochi diventerà la principale forma d’intrattenimento nel
mondo, e il mercato dei ‘games’, dopo aver superato già da qualche anno quello del
53
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cinema, si avvia a superare anche quello della televisione. (…) L’intreccio tra un linguaggio
e l’altro (NdA: cinematografico e videoludico, si intende) è diventato sempre più stretto,
moltissimi videogame hanno trovato una nuova vita nel cinema, e quasi tutti i film di
maggior successo hanno avuto una versione ‘interattiva’ trasformandosi in videogioco.”54
Le cifre riportate dal giornalista e riferite a uno studio effettuato dalla società Proximity
parlano (ancora, siamo nel 2006) di 30 miliardi di dollari annuali destinati a diventare 60
nel 2010, di incassi triplicati per uscite di “blockbuster videoludici” rispetto a concorrenti
mentre Halo II ben 125), le console* PlayStation 2 installate nel 2006 erano 100 milioni in
tutto il mondo.
Software Federation of Europe), che riguarda sia il mercato generale dei videogame in
Europa sia quello più specifico dell’on-line gaming. Dall’utilizzo alle fasce di età e di
sesso, dal digital downloading alla pirateria, dal PEGI rating alle classificazioni “di genere”
dei videogiochi, questo report lascia trasparire dati significativi, come l’incredibile
digitale, l’ampliamento del range di età dei giocatori (il core target* sembra passato
dall’età dell’adolescenza a quella adulta, dai 25 ai 40 anni), la diversificazione in generi e
meccaniche ludiche dei prodotti presenti sul mercato, per andare sempre più incontro a
questa “fuga dalla nicchia” del videogioco, che sta passando da esclusiva per Pro
Gamers (Professional Gamers) a Games for Everyone, ossia a giochi per tutta la famiglia e
quindi, al di là degli slogan, a un mercato che può potenzialmente raggiungere tutti.
considerazione quando si parla del “sorpasso” del mondo dei videogiochi su quello del
54
Assante, Ernesto “Videogiochi & Cinema” in La Repubblica, martedì 27 giugno 2006
55
ISFE Consumer Research – February 2007, by Nielsen Interactive Entertainment
54
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secondo report ci mostra come l’impatto dei videogiochi non sia solo commerciale o
quello che qui viene chiamato il “virtual lifestyle” verso direzioni ben precise. La
per lo spirito umano, riflesso anche dalle forme in continuo divenire secondo cui
apprendimento innovative: questi sono i nodi chiave che spingono milioni di persone
a preferire un sistema interattivo rispetto a un altro.
radicalmente maggiore delle analisi sul cinema “vecchio stampo”, che non viene più
“La morte del cinema risale al 31 settembre 1983, quando il telecomando ha fatto la sua
apparizione nei salotti, perché oggi il cinema deve essere un’arte interattiva,
multimediale.”57
Con questa ennesima dichiarazione ci accorgiamo che non solo la “letteratura” sembra
additare la cultura interattiva (e i videogiochi, tra gli altri) quali fautori della sua morte,
ma anche il cinema. A quanto pare,
“il cinema contemporaneo si limita a raccontare ‘favole della buona notte per adulti’ e a
‘illustrare romanzi di Jane Austen’ – una totale perdita di tempo. Per superare l’impasse, ha
concluso Greenaway, occorre prendere ispirazione dai nuovi media. Dichiarare che il cinema
è ‘morto’ in seguito all’introduzione del telecomando presuppone che il medium, per sua
56
La prospettiva di Greenaway è interessante, tanto più se è inserita nella panoramica della sua opera: da autore e cineasta
contemporaneo, forte sperimentatore, Greenaway ha più volte mostrato, attraverso le sue opere, la commistione tra i generi e, in
particolare, tra i mezzi di comunicazione. Il suo sperimentalismo è volto al superamento dei singoli elementi che costituiscono
l’opera cinematografica, dai personaggi alla narrazione, alla cornice del prodotto cinematografico, e alla fruizione multimediale e
multidimensionale.
57
In Bittanti, Matteo (2008) Schermi Interattivi, Introduzione di Matteo Bittanti, Meltemi editore, Roma, p. 9
55
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natura, precluda al fruitore ogni possibilità di intervento: l’Autore mantiene il controllo totale
del testo. Dunque il cinema – che rifiuta a priori qualsivoglia ‘interfaccia di controllo’ si colloca
agli antipodi del videogame.”58
Questa prospettiva può sembrare un po’ estrema ma racchiude in effetti una dicotomia
troppo a lungo ignorata in favore di analogie di comodo. Prima parlavo di una chiara
comparazione tra cinema e videogame. I criteri che di norma valgono per il cinema, la
riproduzione di determinati ritmi, l’utilizzo delle scene animate, tutto quello che è
fondamentale per la narrazione e per l’evoluzione delle vicende e dei personaggi si trova
in forte contrasto nei due linguaggi. Se nel cinema l’unico atto interattivo richiesto allo
scene clou nel cinema sono pure sequenze di suono e immagini a cui gli spettatori
assistono impotenti, nei videogiochi i momenti salienti sono quelli in cui il giocatore
deve prendere una decisione e contribuire, con la propria coscienza, all’evoluzione
narrativa. Se, ancora, nel cinema realmente riconosciuto come tale (e non nelle vuote
piano a favore di una più ampia costruzione di uno spazio-tempo all’interno della
58
Ibid, pp. 9-10
56
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differenza di quanto può essere una narrazione lineare, un romanzo, una raccolta di
“Sono convinto che in ogni film si incrocino diversi percorsi e che ogni film sia il frutto di tutti
questi elementi diversi. Il primo percorso è quello dell’autore o degli autori che hanno fatto il
film: è la storia del regista, ma può essere anche la storia dello sceneggiatore o, magari, del
produttore. In ogni caso, il film entra in relazione con una storia precedente, sia che faccia un
passo avanti o uno indietro, una deviazione o un cambiamento, una novità o un
ripensamento rispetto a quella storia. Il secondo percorso da tenere presente è quello del
rapporto del film rispetto alla storia del cinema, nel senso che non posso far finta, ogni volta
che vedo un film, di scoprire certe cose che magari il muto aveva già affrontato ed espresso
molti anni fa. (…) Un terzo percorso a cui vorrei prestare attenzione è quello più generale
della storia della cultura, della storia delle idee, per cui ci sono dei film che hanno un valore e
un’importanza perché recuperano e trasmettono concetti rappresentativi di certi periodi e
certi ambienti, un’attenzione che è molto chiara a chi si occupa di storia dell’arte o di critica
letteraria.”59
I percorsi di cui parla Paolo Mereghetti in questo breve intervento, mostrano la natura
italiana) è quello del relativismo nei confronti del testo cinematografico. Da una parte,
esempio indicativo il concetto di genere, che era inizialmente puro e si è evoluto fino a
ritmi, le citazioni sono tutti elementi codificati a cui ogni regista può decidere di aderire
o che può decidere di scardinare, ma da cui non può comunque prescindere. D’altra
57
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maggior numero di persone. Per questo motivo, critici come Gianni Canova affermano,
parlando di cinema:
Ancora una volta, come nel caso della critica letteraria, ci troviamo di fronte a un
quell’opera gli strumenti che il momento, la società e la cultura rendono più adatti, non
60
Ibid. pp. 29-31
61
Ibid. pp. 119-120
58
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Le stesse “insofferenze” emerse dalla diatriba tra narratologi e ludologi sono, ancora
una volta, alla base della critica che si occupa della settima arte.
concreto, da un punto di vista ideale ci sono molti punti di contatto tra questi due
mode. Solo in un secondo momento hanno cominciato a essere considerati mezzi per
una società. Infine, non vanno dimenticate le difficoltà pratiche nel trovare strumenti
dell’altro?) per parlare di questi artefatti in modo sensato e appropriato sono state e
sono tuttora al centro dell’attenzione.
particolare che ci permettono di dare questo tipo di linguaggio come “acquisito” dai
più, per i videogiochi la strada è ancora lunga e impervia. Se il cinema ha
commisti e contaminati, sono ben noti, il videogioco sta ancora affrontando (o, per
meglio dire, sta concludendo) la fase di sperimentazione tecnica per passare a quella
contenutistica.
È per questo che ho ritenuto importante parlare, seppur brevemente, dei numeri che
cinema che, a sua volta, ha conosciuto un’esplosione e una diffusione dapprima lente,
poi sempre più vertiginose.
59
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Ritengo sia piuttosto inutile soffermarsi sul timore che i media nuovi soppiantino
una storia decisamente più breve, ma a sua volta non tenderà a scomparire, casomai ad
adattarsi (un po’ come in effetti hanno fatto letteratura e narrazione): il videogioco è
solo uno dei nuovi media che cerca di rimediare nel modo più personale e originale
Pertanto, non bisogna lasciarsi ingannare dalla corazza “di genere” che i videogiochi e il
accettato. L’interpretazione di una scena difficilmente prescinde dalla tecnica con cui è
girata: lo spettatore può riconoscere una sequenza onirica, un flashback, una sequenza
di azione o descrittiva anche solo in base alla tecnica con cui la scena è stata realizzata.
commedia romantica, e così via, tutti questi generi hanno dei linguaggi specifici che
Il problema reale sta nel differenziare i reali casi di contaminazione videoludica, in cui il
linguaggio visivo e quello interattivo si mescolano in modo adeguato (sia sul grande
puramente funzionali alle vendite e “alla moda” del momento. Nel suo saggio
“‘Everybody Was Kung-Fu Fighting’. Picchiaduro, film videoludici e genere”, Judd Ethan
60
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“Ancor più curioso è il fatto che Hollywood abbia a lungo privilegiato un singolo genere – il
picchiaduro – nel tentativo di catturare l’attenzione dei fuan e massimizzare così i profitti.
(…) La ‘passione’ per Hollywood per i fighting games non è accidentale: fra tutti i generi
videoludici, il picchiaduro è quello che meglio si presta a una traduzione filmica. Infatti, i
picchiaduro hanno ripreso e rielaborato in forma elettronica molte convenzioni del kung-fu
movie, convenzioni che offrono agli spettatori – o, nel caso dei videogame, ai giocatori – una
‘visione rassicurante’ dell’atto violento. (…) Questa fusione non solo rende gli adattamenti
videoludici facilmente riconoscibili – e quindi commerciabili – ma produce una apparente
confusione tra il testo filmico e quello ludico.”62
stilemi del genere del “picchiaduro” all’interno dei film e, viceversa, come i videogiochi
importino visioni e prospettive tipiche del cinema di azione o di arti marziali, al di là dei
contenuti del genere trattato, è interessante perché partendo dal concetto di genere, si
l’interazione, sia reale che cognitiva dello spettatore del film e del giocatore del
videogioco sono radicalmente di tipo diverso, in quanto
62
Ruggill, Judd Ethan “Everybody Was Kung-Fu Fighting’. Picchiaduro, film videoludici e genere”, in Bittanti, Matteo (a cura di) (2008)
Schermi Interattivi. Il cinema nei videogiochi, Meltemi editore, Roma, pp. 171-172
63
Ibid. p. 183
61
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interattivo che il fruitore ha con essa è, anche nella critica cinematografica, la chiave per
analizzare e comprendere le differenze tra i vari media. Come nella scuola dei ludologi
emergeva una forte preferenza degli studiosi per il concetto di interattività e di risposta
alla simulazione da parte dell’utente, che non era più “passiva” come in letteratura (a
detta della scuola danese) ma che diventava finalmente proattiva e con un ruolo anche
portata di tutti”. D’altra parte, l’esperienza filmica è di per sé ancora una delle poche
quale lo spettatore viene abilmente condotto dal regista. Non esiste libertà, non esiste
autonomia, a livello cognitivo il film è indiscutibilmente più “su binari” di quanto non
videogiocatore: ovviamente, più curata sarà la “regia” del videogame (ossia il game
design) più la sensazione di “simulare” un’esistenza sarà forte per chi gioca. È
inevitabile che ci siano limiti, obblighi, vincoli all’interno del mondo di gioco, ma a
62
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vedere cosa succederebbe se”. È questo il divario dei due sistemi cognitivi: in uno la
passività è un obbligo, nell’altro è letteralmente vietata.
In base a queste riflessioni appare evidente che una stessa storia raccontata tramite un
medium all’altro non è mai indolore, o meglio, non concede mai di sopravvivere ai
Visti e considerati gli apporti costruttivi che derivano dai Game Studies fino ad oggi e
dalle critiche più classiche di “media narrativi”, come nel caso del genere letterario e
dell’approccio filmico, ma tenute anche ben presenti le inevitabili limitazioni che i vari
approcci critici portano con sé, la scelta del taglio da dare a un’analisi videoludica che
innovativo di cui tratto si è lentamente indirizzata verso uno studio che cerca di unire
sia le sopra citate scuole critiche (quella letteraria, quella comparatista, quella
Non solo da un punto di vista delle tematiche, della simbologia, del recupero di
punto di vista delle strutture, delle meccaniche narrative adottate, degli espedienti per
possono identificare tra il fantastico letterario e il fantastico videoludico (ma ancora più
64
Più avanti, in effetti, esporrò la cosiddetta “Theory of Adaptation” ben formulata nell’omonimo testo da Linda Hutcheon: le storie che
vengono raccontate, i generi che vengono utilizzati, le tematiche che ricorrono sono sempre le stesse (non siamo d’altra parte esseri
umani con un forte background di cultura e archetipi che ci influenzano sempre e comunque?). Quello che cambia sono le modalità
in cui queste storie vengono raccontate, e quindi lo spirito di adattamento di certi concetti e nuclei di informazione nel corso del
tempo e in base ai mezzi di comunicazione a disposizione.
65
Nell’accezione genettiana del termine.
63
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essere una sorta di terreno ideale per narrare in modo fantastico e per recuperare gli
stilemi, i modi, i tempi, le voci narranti di un modo letterario tanto antico quanto
recente.
Nel seguente capitolo cercherò di tracciare un “profilo” globale del modo fantastico,
questo modo spero di chiarire perché un’analisi del fantastico è centrale per
secondo cui, per mezzo di evoluzioni non solo del genere ma delle forme narrative in
generale, certi archetipi narrativi classici vengono recuperati e ri-adattati ai nuovi mezzi
e alle nuove strategie di comunicazione, fatti evolvere e raccontati in maniera diversa.
64
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Capitolo 2
Narrazioni moderne e contemporanee
digitali. Le conseguenze della rivoluzione digitale nella fruizione dei contenuti da parte
degli utenti sono numerose e diversificate: da una maggior rapidità nella creazione e
dominata dal medium del libro a una dominata dallo schermo sono stati due degli
elementi nodali in quella che, inizialmente, possiamo definire come una “evoluzione”
interrogativi su quale sia oggi il corso nuovo e quindi quale potrebbe essere un
possibile scenario futuro della letteratura. Da una parte si può ipotizzare che il
tutte le modalità comunicative, dall’altra che la scrittura verrà (viene già, in effetti)
affiancata dalle immagini. Questo accade in molti domini della comunicazione dalla
mittente, che si trova a fare interagire metodi e mezzi comunicativi diversi e quindi a
produrre dei messaggi che, ancora oggi, possiamo definire ‘ibridi’.
I media digitali che si sono fatti portavoce e che incarnano in modo irrefutabile questa
tendenza sono di vario tipo, rivestono diversi ruoli e svolgono diverse funzionalità. In
65
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una prima fase grazie alla diffusione del personal computer, ha preso il via un processo
generazioni ed è oggi il metodo più diffuso per accedere alla conoscenza. Con questo,
e ci teniamo a ricordarlo, non è affatto detto che le modalità legate a strumenti e mezzi
più tradizionali siano stati totalmente soppiantati: c’è stato un affiancarsi di due canali
brevissimo tempo e con uno sforzo minimo, reperire su Internet una serie di notizie
irrinunciabile il loro ruolo. Anzi, per maggior precisione, gli articoli di approfondimento
più esclusivi e curati, le firme più note continuano a trovarsi sulle pagine dei quotidiani
grafici chiari e personalizzabili, ultim’ore aggiornate con uno scarto minimo rispetto alle
notizie reali, pluralità ed effettiva libertà dei contenuti (chiunque può scrivere e
pubblicare), interattività. Allora, non si tratta più di profetizzare terribili perdite da parte
processo è chiaramente in atto e che non ci suggerisce più una deriva verso
l’annullamento di uno dei due settori in favore dell’altro, dobbiamo analizzare in modo
66
Non considero, in questa sede, casi particolari come la fruizione di microfiche nelle biblioteche o di supporti digitali e
audio-visivi di vario genere. Il cambiamento sostanziale nel paradigma cognitivo e percettivo è, infatti, cambiato
principalmente grazie all’accessibilità e alla diffusione sempre maggiore delle tecnologie che ci accingiamo a descrivere
brevemente.
66
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coerente ed efficace quali siano le influenze che i due settori mutuano reciprocamente
l’uno dall’altro.
supporti digitali non deve distoglierci, tuttavia, dal nostro reale centro d’attenzione: le
storie e le narrazioni, che sono ancora elementi imprescindibili per una comunicazione
valori, che danno voce a determinati pensieri, che ci trasmettono o meno una morale,
un sistema di regole e di priorità, che ci fanno confrontare con le culture e l’alterità.
Tuttavia, dobbiamo sempre tenere bene presente che la nostra attenzione deve restare
intercorre tra quella narrazione verbale (sia scritta che orale) a cui siamo stati nei secoli
abituati (epica, romanzo, racconto, teatro, e così via) e quella narrazione interattiva e
fortemente visiva a cui stiamo andando incontro oggi: il mondo “raccontato” a parole è
diverso dal mondo “mostrato” attraverso immagini (o attraverso strutture che siano più
quando si parla di narrazione oggi. Quello che succede, infatti, per la scrittura in
generale, accade sicuramente anche nello specifico delle logiche del racconto. A questo
viene comunicato oggi non è originale tout court, non è innovativo di per sé. A
archetipi affrontati oggi dalle narrazioni sono gli stessi di un tempo: vengono
semplicemente (e ciclicamente) riproposti quei principi che nel corso della storia umana
sono stati fondanti dei nostri modelli gnoseologici. Frye descrive il “Mythos” come
“The narrative of a work of literature, considered as the grammar or order of words (literal
narrative), plot or ‘argument’, (descriptive narrative), secondary imitation of action (formal
67
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narrative), imitation of generic and recurrent action (archetypal narrative) or imitation of the
total conceivable action of an omnipotent god or human society (anagogic narrative).”67
“l’imitazione dell’azione di una divinità o di una società umana che siano onnipotenti”,
che si incarnano nella narrazione anagogica. Nel videogioco, infatti, questi due approcci
narrativi sono i più frequenti: il giocatore viene messo nelle condizioni di dover
ripeterlo in modo efficace fino alla fine, oppure, alternativamente, si trova a rivestire il
ruolo di una sorta di “divinità” realmente onnipotente che deve capire come sfruttare i
propri poteri per ottenere quello che desidera. Si trova, in effetti, a ricoprire il ruolo di
narratore della storia. Queste due modalità non sono esclusive, anzi spesso si
meglio il mito che in quella sede viene riproposto. Il bisogno di comunicare dell’uomo
non è cambiato, tuttavia entrando nel merito di quello che sta succedendo alla
narrazione oggi sono cambiate le modalità e gli strumenti con cui raccontare .
I nuovi media hanno apportato cambiamenti che riguardano il passaggio dalla pagina
“They make it easy to use a multiplicity of modes, and in particular the mode of image – still
or moving – as well as other modes, such as music and sound effect for instance. They
change, through their affordancies, the potentials for representational and
communicational action by their users; this is the notion of ‘interactivity’ which figures so
prominently in discussion of the new media.”68
67
Frye, Northorpe (1990) Anatomy of Criticism, Princeton University Press, Princeton and Oxford, p. 366
68
Kress, G. (2003) Literacy in the New Media Age, Routledge, London and New York, p. 5
68
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L’interattività69 è centrale per due motivi: è fortemente interpersonale, nel senso che
che consiste, in questo caso, nella molteplicità di percorsi che è possibile seguire per
alla “semplice” multimedialità. Se, infatti, i contenuti che noi fruiamo su supporti digitali
on/off-line non hanno necessariamente una struttura sia multimediale che interattiva,
nel caso dei videogiochi ci troviamo a dover strettamente collegare questi due elementi
narrazione ha subito passando dal mezzo privilegiato del libro (e quindi della pagina)
al mezzo interattivo che è, in generale, il computer ma che, nel nostro caso specifico,
quali siano i cambiamenti radicali a cui le forme narrative stanno andando incontro
passando da un contesto prettamente verbale (il mondo della parola) a un contesto più
poter passare alla seconda parte dell’analisi, ossia alla definizione di quegli elementi di
analisi costanti che però si sono, per così dire, “mutati” per permettere ai nuovi narratori
69
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spazio e il tempo, i personaggi, il ritmo generale del racconto sono ancora gli elementi
centrali su cui l’autore (o gli autori) deve costruire la struttura e il progetto della propria
opera, ma si sono “evoluti” in modo tale da adattarsi ai nuovi scopi a cui vengono
chiamati.
termine ricorre spesso nelle analisi legate alla migrazione della narrazione in modo
“stabile” verso altri media che non siano la letteratura tradizionale ma è, forse, un
infatti un passaggio irreversibile a uno stadio successivo della forma che si evolve, il
simultaneità (e, in caso, una reversibilità) degli elementi. Non ci sembra corretto
nuove sensibilità epocali e/o all’evolversi dei mezzi di comunicazione allo scopo di fare
arrivare la storia narrata a un pubblico che nel tempo rinnova le sue esigenze fruitive e
70
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del quale si sviluppano gli adattamenti narrativi di cui abbiamo accennato sopra e che
andremo ad analizzare nell’ultimo capitolo70. Due aspetti sono fondamentali:
“The first relates to the media of communication: the effects of the ubiquity and dominance
of the ‘screen’, and its effect on writing. The second concerns not the media but the modes
of communication: the ever-increasing presence of image – in all forms – in contemporary
messages.” 71
Il libro, inteso come piattaforma di trasmissione del sapere, non è solo il mezzo di
“The logic of the mode of writing shaped and organised the book and its pages. The
potentials of the medium of the book and the page gave rise both to the shaping of the
knowledge and ideas and to the distributions of power between those who could produce
the written text and distribute the book and those who received the book and its text as
authoritative objects.”72
sapere; l’enorme fortuna e diffusione che il libro ha avuto nel corso dei secoli ha
che ha fortemente influenzato sia gli autori che i lettori. In seguito alla rivoluzione del
digitale, lo schermo è diventato73 il luogo primario dell’informazione, della narrazione e
della comunicazione in generale. È nel rapporto tra parola e immagine che si ‘gioca’ il
passaggio dalla pagina allo schermo: la logica della scrittura è, infatti, temporale e
Gli elementi della scrittura (e della lettura) si susseguono con un ordine prestabilito e
ben preciso, visto che l’ordo verborum è quello che, in una frase, in qualsiasi lingua, ci fa
70
Per un ulteriore approfondimento sul concetto di “adattamento” letterario, si rimanda al paragrafo conclusivo di questo
capitolo, “Principi di adattamento”.
71
Kress, op. cit. p. 19
72
Ibid. p. 19
73
Lo ribadiamo: non in maniera esclusiva. È fondamentale, in questo discorso, non dimenticare che non stiamo parlando di
una “mutazione genetica” della letteratura e della narrazione che abbandonano un “corpo” per passare a un altro,
stiamo parlando di una co-esistenza e di un mutuo scambio di spunti e ispirazioni tra due diversi modi narrativi, uno più
giovane (quello legato all’immagine e alla visualizzazione) e uno più tradizionale (quello, ovviamente, più prettamente
letterario)
71
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attribuire valore agli elementi comunicativi: senza una precisa gerarchia spazio-
della semantica degli elementi: se, infatti, tipicamente una parola in un testo scritto ha
un valore in quanto inserita in un sistema sintattico e lessicale che la contestualizzano,
le informazioni a schermo sono di natura più “rizomatica” e devono essere sia redatte
che soprattutto interpretate in base al ruolo visivo che giocano. Al posto della sintassi,
che regolava le relazioni tra le parole, e quindi il loro significato, il loro ritmo, la loro
connotazione, abbiamo ora la relazione spaziale che intercorre tra i vari elementi visivi
presi nel loro insieme, non in sequenza, non uno alla volta, ma come un quadro da
portato a una riorganizzazione dei contenuti di due tipi: innanzitutto, la priorità, anche
per gli elementi di scrittura, diventa l’inserimento di tali contenuti in un contesto spaziale
o all’arte (la video-arte, la sperimentazione ipertestuale, e così via), gli elementi verbali
tendono o a farsi sempre più da parte in favore di elementi più visivi, o ad assumere un
valore estetico visivo più che poetico poiché è importatne lo ‘spazio’ che esse occupano
all’interno dello schermo oltre al loro contenuto semantico. L’idea dell’immagine come
elemento legato alla narrazione non è certo stato introdotto dai nuovi media: i libri
74
Ibid. p. 20
75
Ibid. p. 20
72
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illustrati, ma anche i dipinti religiosi nelle chiese, i fumetti, sono tutti esempi di come
parola è dovuto alla nascita e alla diffusione di media come il cinema, la televisione,
internet e, ovviamente, i videogiochi.
in cui la narrazione si manifesta e le modalità in base alle quali questi due elementi
(narrazione e contesto, appunto) si influenzano a vicenda:
“The changes in the conditions surrounding literacy are such that we need to reconsider
the theory which has, explicitly or implicitly, underpinned conceptions of writing over the
last five or six decades. (…) A linguistic theory cannot provide a full account of what literacy
does or is; language alone cannot give us access to the meaning of the multimodally
constituted message; language and literacy now have to be seen as partly bearers of
meaning only.” 76
quanto una teoria linguistica non può essere sufficiente a contestualizzare tutte le
maniera marginale nelle teorie letterarie. In realtà, come vedremo anche dall’analisi dei
tre prodotti videoludici selezionati, non esiste un criterio univoco di bilanciamento dei
contenuti verbali e di quelli visivi ma, ogni prodotto multimediale, ogni nuovo “modo”
narrativo introdotto dai nuovi media, ogni nuovo medium stabilisce in modo discreto e
particolare l’equilibrio che deve intercorrere tra questi due elementi affinché la
trasmissione delle informazioni sia produttiva sia dal punto di vista comunicativo che
estetico.
76
Ibid. p 35
73
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“The theoretical change is from linguistics to semiotics – from a theory that accounted for
language alone to a theory that can account equally well for gesture, speech, image,
writing, 3D objects, color, music and no doubt other. Within that theory, the language-
modes – speech and writing – will also have to be dealt with semiotically; they are now a
part of the whole landscape of the many modes available for representation – though of
course special still in that they have a highly valued status in society and, in the case of
speech, certainly still carry the major load of communication.”77
semiotica, e quindi a tutti quegli elementi non-verbali che, tuttavia, costituiscono dei
piuttosto che concentrare l’attenzione sull’ambito della semiotica, che è solo una delle
“While transformation operates on the forms and structures within a mode, transduction
accounts for the shift of ‘semiotic material’ – for want of a better word – across modes. This
relates entirely to the process of synaesthesia, which clearly have a semiotic analogue. It is in
the realm of synaesthesia, seen semiotically as transduction and transformation, that much
of what we regard as ‘creativity’ happens.”78
La sinestesia va intesa come quel territorio all’interno del quale avviene il processo
77
Ibid. p. 37
78
Ibid. p. 36
74
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vivere interagendo con il testo è inizialmente resa possibile e poi potenziata da questa
struttura che coinvolge tutti i “sensi” e le capacità cognitive più o meno consapevoli
dell’utente.
finora descritto: integra in modo di volta in volta diverso il testo e l’immagine, spinge il
fruitore ad avere un ruolo attivo di interpretazione dei segni che veicolano il messaggio,
Si può dire che, sfruttando questo principio sinestetico, per cui l’azione e l’emozione
“Paradigm cases of new literacies have both ‘technical stuff’ (digitality) and new ‘ethos
stuff’. Peripheral cases of new literacies have new ‘ethos stuff’ but not new ‘technical stuff’.
In other words if a literacy does not have what we call new ethos stuff, we do not regard it as
a new literacy, even if it has new technical stuff. (…) The significance of the new technical
stuff has mainly to do with how it enables people to build and participate in literacy
practices that involve different kinds of values, sensibilities, norms and procedures and so
on from those that characterize conventional literacies.”79
narrazione contemporanea: sfrutta le potenzialità tecniche che gli sono proprie, come
79
Knobel, Michele and Lankshear, Colin (eds) (2007) A New Literacies Sampler, Peter Lang, New York, p. 7
75
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contenuti “etici”. È utile recuperare il concetto di “etica” (l’ethos stuff citato dall’autore)
come lo intende Frye, anche se Knobel non fa riferimento diretto allo studioso:
“[Ethos is] the internal social context of a work of literature, comprising the characterization
and setting of fictional literature and the relation of the author to his reader or audience in
thematic literature.”80
caratterizzazione e definizione del contesto sociale o, ancora, del rapporto tra l’autore e
il lettore nelle opere di finzione è un fenomeno degno di nota: da una parte vengono
recuperati archetipi narrativi che la letteratura ha coltivato e che ora nei videogiochi
dilemmi vengono accentuati, se non addirittura creati, proprio dall’utilizzo dei nuovi
da più punti di vista, sicuramente dal punto di vista critico (e quindi sociologico,
discorso, insomma, non è così semplice come può apparire, ancor più nello stato
“[Story] is independent of the techniques that bear it along. It may be transposed from one
to another medium without losing its essential properties: the subject of a story may serve
as argument for a ballet, that of a novel can be transposed to stage or screen, one can
80
Frye, op. cit. p. 365
Il concetto di etica nella letteratura e nei videogiochi può essere assimilabile: in entrambi i casi, l’ethos è un ambiente
entro cui vigono una serie di valori e di codici di interazoine tra I personaggi e tra il lettore, i personaggi e il contesto
narrativo fittizio.
81
Mi riferisco, in particolare, al fatto che l’assenza di narratore, nei videogame, e l’azione diretta da parte del fruitore
arriva a coinvolgere il giocatore e a fargli vivere le problematiche proposte dal gioco in modo diverso da quanto avviene,
di fronte alle stesse tematiche e problematiche, nel caso della letteratura.
76
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recount in words a film to someone who has not seen it. These are words we read, images
we see, gesture we decipher, but through them, it is a story that we follow; and it could be
the same story.” 82
chiaramente, almeno in potenza, questo medium negli esempi da lui citati come
alla rivoluzione digitale, ci siamo resi conto che non tutti i media forniscono gli stessi
“When it comes to narrative abilities, media are not equally gifted; some are born
storytellers, others suffer from serious handicaps. (…) The study of the realization of
narrative meaning in various media provides an opportunity for a critical re-examination
and expansion of the analytical vocabulary of narratology. The study of narrative across
media is consequently beneficial to both media studies and narratology.”83
Innanzitutto quindi non dobbiamo generalizzare: non tutti i media sono “born
un medium nato con lo scopo di intrattenere, che ha avuto, almeno in una fase iniziale,
racconti popolari o, ancora, sport rudimentali (dal gioco dell’oca al monopoli,dal ping
pong ai giochi di abilità ai puzzle), si sia poi sviluppato e sia diventato un medium in
82
Chatman, Seymour (1990) Coming to Terms. The Rhetoric of Narrative in Fiction and Film, Ithaca, NY
Parleremo più avanti del processo di adattamento che una storia subisce passando da un medium a un altro.
83
Ryan, Marie Laurie “Foundation of Transmedial Narratology” in Meister, J. C. (ed) (2005) Narratology beyond Literary
Criticism, Walter de Gruyter, Berlin, New York, p. 2
84
Si pensi, ad esempio, ai cellulari: come non mai si sono fatti veicolo di informazione (tra utenti, di notizie, ultim’ore,
filmati) ma non sono mai diventati un vero e proprio ricettacolo di storie o di narrazioni (come, invece, sono diventati
alcuni lettori Mp3 in grado di supportare non solo veri e propri libri interattivi, ma anche serial TV ri-mediati e riadattati
per essere trasmessi su quei supporti). I media “naturally gifted” sono quelli che mettono a disposizione dell’utente (e
anche dell’autore) un elevato grado di complessità e di inter-operabilità. Non a caso, le console* videoludiche aumentano
progressivamente la potenza del motore di calcolo e della scheda grafica, così come i personal computer. Il cinema è
costantemente alla ricerca di tecniche per rendere più immersiva la rappresentazione, e così via. I “naturally gifted”
media sono, in pratica, quelli che offrono un buon margine di libertà sia all’autore che concepisce e realizza l’opera, sia
allo spettatore che ne fruisce.
77
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elemento di rottura rispetto alle narrazioni tradizionali e, in generale, rispetto agli studi
narratore. Secondo Gerald Prince, infatti, la figura del narratore che presentasse eventi
narrazione. Nel caso delle narrazioni videoludiche, la figura del narratore viene, in molti
casi, a mancare completamente. Il punto di vista di Prince era basato sul linguaggio,
not constitute a narrative, since these events, rather than being recounted, occur
diegetici, come i videogiochi, veicoli di narrazione. Ci si è tuttavia resi conto che anche
anche se, per lungo tempo, si è cercato di applicare la stessa griglia di strumenti
fasi della critica narratologica applicata ai videogame: si tendeva a ricercare gli stessi
identici elementi nei testi letterari e nei testi videoludici, finendo per trovarli in modo
narrazioni videoludiche. Lungi dal voler far sfumare il concetto di “narrazione” in senso
stretto in altri concetti più vaghi come quello di “credenza”, valore”, “esperienza” e
85
Prince, Gerald (1987) Dictionary of Narratology, Lincoln, Neb., p. 58
86
Si ricordi l’ipotesi dell’estrema narrativizzazione di Janet Murray, che ha individuato una struttura narrativa anche in un
gioco chiaramente non narrativo come Tetris, salvo poi ammettere che l’esempio, che prendeva in considerazione
contesti completamente diversi, serviva in modo provocatorio per dimostrare che con l’analisi narratologica si poteva
incorrere in grosse problematiche o errori
78
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multi-mediale che fa fortemente leva su elementi che non sono prettamente narrativi,
ma che concorrono in misura sempre maggiore alla narrazione della storia.
“1. Narrative involves the construction of the mental image of a world populated with
individuated agents (characters) and objects (spatial dimension).
2. This world must undergo not fully predictable changes of state that are caused by non-
habitual physical events: either accidents (happenings) or deliberate actions by intelligent
agents (temporal dimension).
3. In addition to being linked to physical states by casual relations, the physical events must
be associated with mental states and events (goals, plans, emotions). This network of
connections gives events coherence, motivation, closure, and intelligibility and turns them
into a plot (logical, mental and formal dimension).”87
sua valenza sullo schermo, ma si riflette anche nella mente del giocatore, diventando,
soggettivo e personale che assume l'immagine. Da una parte, infatti, abbiamo il valore
la direzione artistica del videogioco serve proprio per creare un ambiente esteticamente
coerente e che trasmetta in modo più o meno univoco il messaggio che la squadra di
sviluppo vuole veicolare. D’altra parte, l’immagine ha, in ogni caso, un valore
87
Ryan, op. cit. p. 4
79
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fortemente soggettivo, e il giocatore può, nel limite del lecito e del ragionevole,
pensa alla memoria del giocatore, che dopo aver visto oggettivamente l’immagine a
schermo, conserva comunque un’immagine funzionale nella memoria (per sapere come
muoversi nello stesso contesto oppure dove ritrovare delle informazioni). Quindi,
forza del contesto creato dagli autori del gioco mantiene sempre un’oggettività
superiore, perché per proseguire in modo efficace nella scoperta degli eventi il
verticalmente dall’autore e all’interno del quale il giocatore si può muovere più o meno
punto che entra in gioco la componente temporale, che permette alla narrazione
costituisce quella che definiamo l’azione del videogame. Infine, il terzo punto è una
conseguenza diretta dei primi due (non necessariamente di entrambi, anche di uno
solo dei due punti): il giocatore-fruitore-lettore capisce di avere degli obiettivi, vive
un’esperienza, prova delle emozioni. Tutti e tre questi punti devono essere presenti in
un testo perché questo possa essere definito narrativo. Tuttavia, a seconda del genere
o del modo narrativo del testo, potremo notare un’enfasi differente di uno dei tre
elementi. In particolare, dice la Ryan:
80
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“With their detailed construction of an imaginary world, science fiction and fantasy over
fulfil condition 1, and they often treat the plot as a mere discovery path across fictional
space.”88
Questa affermazione risulta perfetta per comprendere appieno la struttura dei tre
individua come “modo narrativo fantastico”, il mondo fiabesco di Shadow of the Colossus,
quello dell’orrore di Silent Hill e quello fantascientifico di Bioshock vedono come reale
protagonista delle vicende non il giocatore, non uno dei personaggi chiave, ma
dell'ambiente, che solitamente nelle narrazioni tradizionali fa da sfondo alle vicende dei
creare una certa atmosfera, ha un impatto anche sull'etica della narrazione videoludica
e sul rapporto che si crea tra autore e lettore del videogioco. Se, in un'opera come un
fruisce dell'opera ricorda, in ogni momento, la presenza di chi l'ha creata, nel caso del
Se, in narrazioni di altra natura, come i thriller e le storie d’azione, o ancora le detective
della Ryan, nel nostro caso l’attenzione sarà fortemente concentrata sul primo punto, in
88
Ibid. p. 6
81
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quanto, per loro stessa natura, i videogiochi con una forte componente narrativa
tendono a focalizzare l’attenzione del fruitore sullo spazio e sull’esplorazione.
Ora, in questo contesto narrativo, non è possibile individuare la narrazione nell’atto del
narrazione diventa un’immagine mentale costruita da chi fruisce della storia in risposta
al “testo” e quindi un’interpretazione soggettiva del giocatore, che osserva con più
giocatore percepisce, che ricorda e che “trattiene” (sintesi memoriale), per così dire, del
gioco. Tuttavia, gli elementi veramente significativi spesso sono anche gli elementi
all’attenzione del giocatore che, se in un primo momento può ignorarli perché non li
ritiene significativi, arriva a considerarli tali nel momento in cui quegli stessi elementi
gli servono per proseguire nel gioco e nella narrazione .
È interessante elencare alcuni dei modi attraverso cui la narrazione si può concretizzare
“This list, which I regard as open-ended, consists of binary pairs. In each case the left term
can be regarded as the unmarked case, because the texts that presents this feature will be
much more widely accepted as narrative than the texts that implement the right-hand
category (…).” 89
Le categorie sono90:
89
Ibid. p. 11
90
cfr. Ryan, “Introduction” in Ryan, M. L. (ed.) (2004) Narrative Across Media: The Languages of Storytelling, Lincoln, pp.1-
40
82
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narrazione tipica del romanzo, del racconto e, in generale, delle narrazioni orali.
nel mostrare, non nel trasmettere verbalmente. Tutte le arti drammatiche sono
devono quindi essere ben presenti all’interno del testo stesso. Nel modo
illustrativo, il testo ripete, racconta di nuovo e, a volte, completa una storia che
83
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più attiva da parte del fruitore nell'ermeneutica del testo. Questa seconda
precisi sul significato reale di quello che sta guardando e deve immaginare il
passato e il futuro remoto di quell'interazione di cui vede solo un frammento.
In queste coppie, il primo modo narrativo è sempre quello più legato a strutture del
sfruttata maggiormente (ma, comunque, in modo non esclusivo) dalle narrazioni trans-
mediali. Il caso del medium del videogioco è particolare perché tende ad aderire
84
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quello originario e più tradizionale. I videogiochi, per via della fortissima componente
partecipativa (interattiva) che portano con sé, recuperano strutture narrative tradizionali
solo in una loro prima fase, quando ancora si tentava di “emulare” la linearità delle
narrazioni tradizionali su supporti digitali e interattivi. Oggi, il videogame non deve più
“classiche” rivestite di un abito comunicativo nuovo. Per questo, quindi, l’adesione alle
modalità narrative è più svincolata dal passato: il videogioco sta cercando la propria
strada per un giorno riuscire a riprodurre in modo efficace quel ritmo tanto centrale in
tutte le narrazioni tradizionali che permetterebbe all’utente di concentrarsi sia
sull’azione (più avanti parleremo di narrazione e gamplay) sia sulla narrazione in senso
stretto. Questo non significa che il ritmo della narrazione sia appannaggio esclusivo
analizzeremo) raccontano la storia sia attraverso il ritmo imposto dal gameplay* che
Tuttavia, non sono più gli elementi verbali (le parole) o visivi (le immagini) in senso
stretto a determinare il ritmo narrativo: è la loro combinazione nell'ottica della
quell'efficacia che sono tipiche della narrazione letteraria. Proprio questo concetto di
“ritmo narrativo” è importante: i sopra citati modi devono integrarsi ed essere sfruttati
in modo tale non solo per proporre i contenuti interattivi in forma originale, ma per
fare sì che le storie raccontate dai nuovi media abbiano lo stesso impatto cognitivo ed
emotivo sui fruitori. Attraverso l’analisi dei tre titoli scelti, ossia Shadow of the Colossus,
Silent Hill 2 e Bioshock esamineremo più avanti quali forme e modi letterari stanno
influenzando i videogiochi e in che modo questo nuovo medium aderisca alle strategie
85
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narrative del passato o le innovi per renderle funzionali alla trattazione di tematiche
classiche, sotto vesti nuove.
tipologie di narrazione, indipendentemente dal loro legame con media specifici, non
parlerebbe di materiali, come la creta, il bronzo, l’olio, gli acquarelli e potrebbe arrivare a
uno storico della scrittura potrebbero pensare alle onde sonore, ai papiri, ai codici, ai
dividere i media in visivi, orali, verbali e forse addirittura tattili, gustativi e olfattivi.
dagli obiettivi e dal taglio dell’indagine. In realtà, possiamo individuare tre ampie
“The semiotic approach looks at the codes and sensory channels that support various
media. It tends to distinguish three broad media families: verbal, visual and aural. (…) The
groupings yielded by the semiotic approach broadly correspond to art types, namely
literature, painting and music, but they extend beyond the aesthetic use of sings;
language, for instance has both literary and non-literary uses; pictures can be artistic or
utilitarian. In its narratological application, the semiotic approach investigates the narrative
potential and limitations of a given type o signs.”92
91
Ryan, “Foundation of Transmedial Narratology”, op. cit. p. 14
92
Ibid. p. 14
86
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L’approccio semiotico prevede che l’attenzione resti concentrata sui codici e i canali che
tipologia dei supporti che il medium (o i media) utilizzano: identifica una netta
dai supporti e dai materiali che li veicolano. Dai primordi della comunicazione al
presente, i supporti sono cambiati: “The digital encoding of images has also brought
new expressive possibilities”93. L’approccio culturale ai media è, per così dire, l’approccio
“These studies will ask for instance about the social impact of film violence, Internet
pornography, television news reporting, or multi-user computer games”94.
“ – Spatio-temporal extension. Media fall into three broad categories: purely temporal
ones, supported by language or music exclusively; purely spatial media, such as painting
and photography; and spatio-temporal media, such as cinema, dance, image-language
combinations, and digital texts. One could however argue that oral storytelling and print
narrative involve a visual, and consequently spatial component; this would leave only long-
distance oral communication such as radio and telephone as language-supported example
of the purely temporal category.
- Kinetic properties. A spatio-temporal medium can be static (i.e. combination of still
pictures and text) or dynamic (moving pictures, or media relying on the human body as
means of expression, such as dance or the theatre). By contrast, all purely temporal media
are dynamic, and all purely spatial media are static.
93
Ibid. p. 15
94
Ibid. p. 16
87
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- Number of channels. In the spatial category there is only one channel, unless one
considers that sculpture and architecture have a tactile dimension. In the temporal category
we have either one-channel media (language or music), or combinations of the two
temporal media, language and music, in songs and sung forms of poetry. Most media of
the spatio-temporal category have multiple channels, but mime and silent pictures use only
visual data. Combinations include: image-language (in illustrated books); image-music (in
silent films); or image-music-language (in film, the opera, and digital media).
- Priority of sensory channels. Thus the opera should be considered distinct from a
theatre production that makes use of music, even though the two media include the same
sensory dimension and semiotic codes, because the opera gives the sound channel higher
priority than the theatre.”95
Queste caratteristiche sono, di per sé, molto chiare e non necessitano di un’ulteriore
spiegazione. Quello che è tuttavia necessario e utile alla nostra analisi è abbinare in
modo preciso ciascuna di queste categorie al medium dei videogiochi, perché finora
quello visivo (spaziale) insieme: sono una combinazione inestricabile di spazio e tempo,
finalizzati, come accade anche, ad esempio, nel cinema a riprodurre una chiara
l’alternarsi armonico ed efficace dei due elementi. Le proprietà cinetiche del videogioco,
prevedono un movimento visivo ma, anche, un cambio di stato, sia dell’immagine che
del contenuto. Il numero di canali, poi, è a sua volta molteplice: per interagire con il
videogioco, infatti, non è coinvolto solo il canale della vista (che appare il più ovvio,
visto che, come abbiamo già detto, il luogo dell’interazione è diventato lo schermo), ma
95
Ibid. p. 20
88
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“canale”, perché costringe ad attivare canali che, abitualmente, non sono coinvolti nella
della sensorialità legata ai canali. Vista e tatto sono i sensi privilegiati, seguiti dall’udito.
modo per proseguire nell’esperienza narrativa. Se, nel caso della lettura, esistono
strategie compensative (la verbalità scritta può essere convertita in orale, quindi se
esistono strategie compensative tali per cui possiamo fruire allo stesso modo della storia
presentata.
letterari che, nella più parte, sono invece esterni, prevalentemente diegetici, spesso
diversi canali, rendendo primari quello della vista e del tatto, ma non escludendo gli
altri.
del rapporto che intercorre tra il medium in questione, il videogioco, e il genere. Sia il
89
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medium che il genere influenzano i tipi e le modalità delle storie che è possibile
raccontare ma, se il genere può essere definito in modo piuttosto libero da convenzioni
sia personali che culturali, il medium impone le sue potenzialità e le sue limitazioni
alla sua natura intrinseca. In questa prospettiva, più un medium permetterà di utilizzare
diversi canali comunicativi in modo integrato, più sarà adatto a ospitare generi diversi,
mantenendo tuttavia una chiara caratterizzazione di questi ultimi. Allora, ogni storia
può essere raccontata attraverso ogni linguaggio e tramite diversi media, tuttavia per
essere (o restare, nel caso di una narrazione reiterata) veramente efficace, la storia dovrà
essere adattata e cucita su misura per il medium su cui viene trasportata. I media
impongono dei vincoli che non sono mai esclusivi, ossia non impediscono mai la
proprio questo, ossia che una stessa storia possa essere raccontata su diverse
nuove forme di “testo” e nuove forme di narrazione che, in seguito, possono essere ri-
codificate in base ai generi pre-esistenti, tenendo però presente che le strategie
narrative sono cambiate e che la struttura del racconto non è più la stessa, sebbene
narrazione, in effetti, non è mai vincolata al supporto su cui viene espressa, ma tende
96
Un esempio può essere quello del licensing dei videogiochi tratti da film di successo: la stessa storia (con gli stessi
ambienti, protagonisti e temi) vengono riproposti in media diversi. Tuttavia, questi “porting” da un medium all’altro sono
spesso mossi unicamente dall’interesse economico di sfruttare un marchio “alla moda”. Più interessanti, sicuramente,
sono le esperienze interattive, come The Lost Experience, infrastruttura narrativa multimediale creata attorno al
fenomeno mediatico e narrativo del serial Lost: in The Lost Experience, i fan di Lost hanno potuto scoprire elementi della
trama del serial in modo alternativo e fruendo media diversi dal serial trasmesso in televisione. I contenuti distribuiti
sulle diverse piattaforme (Internet, Mobile, ecc.) sono stati selezionati, differenziati e strutturati proprio in base al
medium a cui erano destinati. In questo modo la stessa trama narrativa richiedeva, per essere scoperta, la fruizione di
contesti mediatici diversi, e quindi anche di strutture, di modi e di generi differenti.
90
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“First, narrative may go with its medium and take full advantages of its affordances. This
would be the case of a computer game in which players manipulate an avatar and create its
destiny through their actions. Computer games are so dependent on the interactive nature
of their digital environment that they cannot be taken out of the computer.”97
elementi che concorrono a creare la narrazione e che, in assenza di uno di questi tre
elementi, la narrazione videoludica non possa avere luogo. C’è, innanzitutto, il medium,
che impone i vincoli formali e tecnici da cui non è possibile prescindere: questo non
significa che il medium renda impossibile l’atto di raccontare una determinata storia o
una storia appartenente a un determinato genere piuttosto che le storie non possono
essere raccontate più nella stessa maniera ma, ancora di più, che a seconda del medium
più diffuso e attuale, vengono scelte e privilegiate alcune narrazioni piuttosto che altre,
uno dei vincoli più importanti in base al quale le storie vengono modellate e adattate
quella videoludica, gli strumenti con cui avverrà questa l’adattamento saranno non più
linguistici, bensì quelli messi a disposizione dal mezzo (nel caso dei videogiochi,
elementi e non può esistere un sistema “univoco” di analisi: ogni opera è costruita ad
hoc in base al target e in base agli obiettivi che si pone. Quello che è interessante fare (e
che costituirà anche il lavoro di analisi di questa tesi) è proprio affrontare i singoli
97
Ibid. p. 20
98
Questa affermazione, in effetti, è valida per qualsiasi genere. Come il libro e la stampa in generale determinavano un
certo modo di ordinare e trasmettere il sapere, così il video determina I suoi processi di ordinamento e trasmissione della
conoscenza. L’obiettivo di questo lavoro e, in particolare, dell’analisi dei videogiochi contenuta nell’ultimo capitolo, è di
capire come il videogioco si colloca in questo contesto e come condiziona il nostro modo di concepire il reale e il
racconto del mondo.
99
Nel senso di genere formulaico, non come genere letterario, quindi inteso come temi e motivi e struttura della narrazione.
91
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cui si trovano, dall’interazione che mettono a disposizione e dal genere a cui cercano di
appartenere, e, attingendo di volta in volta agli strumenti più adeguati e pertinenti, alle
differenze nella strutturazione del ritmo narrativo tra le opere testuali e quelle
da un punto di vista narratologico, e permette di gettare una nuova luce anche su altri
più efficace e artisticamente coerente, dal punto di vista del genere, dei modi e delle
circostanze in cui viene fruita:
“In that new communicational world there are now choices about how what is to be
represented should be represented: in what mode, in what genre, in what ensembles of
modes and genres and on what occasions.”100
È esattamente quello che deve accadere: come nel processo diacronico della critica dei
genere in un testo ma, al contrario, è più proficuo osservare quali rimandi (intertestuali,
dobbiamo applicare ad hoc quegli strumenti che ci paiono più adatti per capire la loro
100
Kress, op. cit. p. 117
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Per concludere questa panoramica sulle caratteristiche della nuova “letteratura”, vorrei
tornare brevemente sul discorso, molto importante, che vede come centrale il
passaggio che si è verificato, con l’avvento dei nuovi media, da “mondo raccontato” a
“mondo mostrato”. Se, infatti, questo cambiamento è stato fondamentale nella nostra
fruizione dei contenuti, io vorrei aggiungere un ulteriore passo: dal mondo raccontato
“New forms of reading, when texts show the world rather than tell the world have
consequences for the relations between makers and remakers of meaning (writers and
readers, image-makers and viewers). In this it is important to focus on materiality, on the
materiality of the bodily senses that are engaged in reading - hearing (as in speech), sight
(as in reading and viewing), touch (as in the feel of Braille) – and on the materiality of the
means for making the representations that are to be ‘read’ – graphic stuff such as letters or
ideograms, sound as in speech, movement as in gesture.”101
concentrarsi sulla materialità dei sensi coinvolti, oggi, nella lettura dobbiamo precisare
musiche e suoni creati appositamente per rendere più intensa l’esperienza di gioco (la
risposta e interazione con il mondo di gioco. D’altra parte, la “forma” di quello che viene
letto ha un forte impatto sulle modalità di lettura, e questo vale nella letteratura in
101
Kress, op. cit. p. 140
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rendono l’interpretazione del “mondo” che deriva dalla “lettura” dei videogiochi un
terreno semi-sconosciuto d’analisi, che merita attenzione e che riserva diverse difficoltà
scrittura e lettura fortemente dipendenti dai nuovi media perché aggiunge l’elemento
Un particolare testo che visualizziamo a schermo può non avere senso nelle fasi iniziali
stavolta con successo, dopo l’esplorazione e il ritrovamento di altri segni che ci danno
più strumenti per interpretare il contesto. Questo avviene perché, in realtà, la narrazione
“The syntax which gives order to the elements of the text, the sentences, is also clear, and
strictly given: I cannot read elements ‘out of order’, in the sentences or parts of sentences
(…). The image by contrast does not have such a clearly set reading path (…). With more
complex images, the question of the reading path becomes, if anything, more free.”103
102
Nelle forme di scrittura legate ai media troviamo, ad esempio, i blog, i forum, e tutti quegli spazi interattivi di
condivisione dell’informazione. Anche in questo caso l’utente può interagire e fornire feedback in modo libero e
totalmente personale. Tuttavia, in questi casi, l’elemento centrale resta, ancora una volta, la verbalità e, al limite,
l’integrazione del testo con immagini. Nel caso dei videogame, invece, cambia totalmente l’approccio interattivo perché
non si deve interagire parlando o raccontando ma mostrando o agendo: cambiano, quindi, le strategie per trasmettere le
informazioni, perché non si può più unicamente fare leva sulla trasmissione di un messaggio “oggettivo”, perlomeno,
semioticamente ben definito. Si deve, ora, creare un “ritmo” e suggerire un’esplorazione del “testo” interattivo tale per
cui attraverso la visualizzazione e l’azione il giocatore comprenda il messaggio che l’autore (il game designer) ha voluto
trasmettergli.
103
Ibid. p. 154
94
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narrazione è sovvertita o, per meglio dire, sostituita da una sintassi rizomatica legata
alla natura stessa di ciò che è “scritto” e che si “legge”: l’esplorazione di un ambiente
lettura lineare o meno di un testo vincolato alla sintassi della frase. Sebbene espedienti
di questo tipo popolino i testi letterari dal modernismo in poi (con qualche illustre
consapevoli del fatto che, nel caso della narrazione videoludica o interattiva, il
giocatore non si trova ad affrontare in modo ordinato una semplice sequenza sintattica
da esplorare, approfondire e al termine della quale avere una visione globale dell’opera
che ha letto. Il giocatore si trova da solo davanti a porzioni di narrazione e deve
interpretarli nel modo più corretto e “autonomo” possibile, così da capire qual è il
percorso su cui l’autore lo vuole condurre e arrivare in fondo a quel percorso con
quella illusione di libertà che è tipica dei videogame. Se, quindi, nella narrazione
pur ricordandoci di continuo che la verità non esiste e che esistono solo i punti di vista,
nella narrazione videoludica l’autore costruisce una struttura e poi “abbandona”, per
così dire, il giocatore e lo lascia esplorare in autonomia il suo mondo. È fondamentale,
tuttavia, ricordare che questo processo di “sovversione” di una struttura più vincolata
come può essere quella della narrazione tradizionale non porta affatto a un’opera priva
che consente la trasmissione di un significato. L’ordine che sta alle spalle di queste
regole sotteso alla narrazione, viene frustrato e non solo non riesce a proseguire nella
fruizione, ma non riesce nemmeno a cogliere il messaggio che vuole essere veicolato.
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Anche il videogioco e la sua struttura “visiva” sono legati a delle ricorrenze, a una
parliamo di “game design”: esattamente come la scrittura prevede una serie di norme,
di regole e di vincoli per la comprensione del messaggio che sta trasmettendo, allo
stesso modo il videogioco implica una struttura globale di “scrittura” alle proprie spalle.
è quello visibile anche al giocatore: i testi nel gioco, la verbalità (scritta o orale) che si
trova nel corso dell’esplorazione e della narrazione, tutti gli elementi linguistici in cui il
giocatore incappa, che siano o meno centrali per il proseguire delle vicende. Il livello
“strutturale” della scrittura videoludica riguarda invece tutto il resto del gioco: per
così via, il game designer deve redigere centinaia di pagine di quella che potremmo
chiamare una “sceneggiatura” ma che, allo stato dei fatti, è meramente una descrizione
verbale di quello che dovrà poi essere tramutato in elementi non-verbali. Allora, a
livello strutturale, appunto, tutto quello che vediamo come prodotto finito in un
videogioco è stato concepito, in origine, sotto forma verbale e scritta, salvo poi essere
formato da una verbalità legata alla sintassi della frase e alla semantica delle parole, che
Parzialmente, forse, il processo che porta dal game design teorico e astratto alla
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“coordinatore” di tutto, il game designer. In questo contesto, in cui un’idea che nasce
sotto forma verbale e viene trasformata in qualcosa che usa la verbalità (e le sue
“The screens of computer (or video) games are multimodal – there is music, soundtrack,
writing at times – yet overwhelmingly these screens are dominated by the mode of image.
As the graphics become ever more sophisticated, the forms of reading necessary to play at
least some of the games successfully become more subtle and demanding. (…) Linearity is
certainly not a useful approach to the reading of these screens – it is visual clues such as
silence, colour, texturings, spatial configurations of various kinds, the meaning of specific
kinds of element either natural or human-made, which allow the player to construct a
reading path, which tracks the path of the narrative.” 105
approccio al testo: “Readers of such screens are used to a different strategy”106. Questa
automaticamente dagli utenti, che si concentrano in modo diverso sui diversi elementi
a seconda delle informazioni che stanno cercando. Se, ad esempio, stanno cercando la
vicenda, si soffermeranno in modo più attento e accurato sugli elementi verbali. Se,
fortemente sugli elementi visivi, spaziali e interattivi. Non esiste più, come nella pagina,
compito del “lettore” moderno è, sempre più, quello di interpretare quello che vede e di
105
Ibid. p. 160
106
Ibid. p. 161
97
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lettore doveva “seguire gli ordini” e intraprendere l’interpretazione nel limite di quegli
“ordini”. Ora, sullo schermo, il compito del lettore è quello di stabilire un ordine tra i
nuovi media e, nel nostro caso, nei videogiochi, è adesso importante parlare di quegli
sottolineando come la loro funzione sia radicalmente mutata perché, appunto, è stato
scardinato il principio della linearità che governava l’organizzazione del testo e l’utilizzo
a interrogarsi sugli strumenti e sulle istanze narrative che vengono riprese dalle
In particolare, è importante osservare come, da una parte lo spazio e il tempo, sia del
configurazione che avevano nel contesto letterario e a integrarsi tra di loro in modo
107
Questi due metodi di “allenamento alla lettura” non sono affatto esclusivi: il lettore che apprenda entrambe le strategie
di lettura e interpretazione, infatti, saprà riconoscere agilmente i diversi contesti, modi o canali in cui si trova e saprà
adattare il suo metodo di interpretazione alla lettura che sta eseguendo. Più problematica si rivela la situazione in cui,
per motivi culturali ed educativi, nell’epoca contemporanea si stia letteralmente perdendo il paradigma di lettura
classico in favore unicamente di quello multi-modale. Ma non è questa la sede per affrontare questo discorso che più che
letterario è prettamente sociologico.
98
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tale da creare un contesto “ritmico” per le azioni dei personaggi e, al tempo stesso, in
modo tale da creare la struttura che guiderà il giocatore all’esplorazione dell’opera, pur
La concezione di spazio e tempo varia, principalmente, nei mondi digitali, perché sono
di spazio e di tempo che, per quanto sperimentali e ardite, resta comunque fortemente
puramente funzionale alla narrazione, nel corso delle evoluzioni della letteratura, lo
“interiore”, mutando in base al punto di vista dei personaggi, e così via. Da uno spazio
descritto, con la funzione di sfondo degli eventi, si è passati a uno spazio caratterizzato
in modo realistico ma con alcuni elementi indicativi della psicologia o dello stato
oggettivo solo all’apparenza ma in realtà filtrato dalla percezione del personaggio che
lo sperimentava. Esso ha mantenuto, tuttavia, una natura “oggettiva”, anche nella fase
rimasto un luogo oggettivo anche nelle sperimentazioni letterarie più recenti, come il
cyberpunk, perché è sempre stato il contesto più o meno visibile che faceva, in un modo
108
Il termine “mindset” ci aiuta a condensare l'idea di contesto culturale del giocatore ma anche di formazione personale e
di percezione soggettiva dell'opera/della comunicazione. È utilizzato, tra gli altri, da Knobel e Lankshear in A New
Literacies Sampler, op. cit.
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questo realismo della descrizione dipendono dal fatto che lo spazio non è mai il vero
extra-testuale è invece lo spazio fisico della lettura: la pagina è diversa dallo schermo e
Lo spazio, nel videogioco, serve anche come elemento primario per creare un contesto
che risponda all’orizzonte di attesa del giocatore: la sola ambientazione di un gioco, che
giocatore si troverà a svolgere e serve sempre e comunque per dare un contesto chiaro
elemento estraneo rispetto all’orizzonte di attesa creato dal contesto estetico e spaziale.
Nei videogiochi che analizzeremo lo spazio ha una funzione di coerenza nel caso di
Shadow of the Colossus, in quanto è in linea con il contesto fiabesco di cui il personaggio
109
Si potrebbe obiettare che lo spazio, in alcune narrazioni (si pensi, ad esempio, a The Waves di Virginia Woolf) non è
affatto uno spazio oggettivo, ma è uno spazio interiore e tutto personale, distorto quasi, che ognuno dei personaggi
esplora e narra a modo suo. Il vincolo a cui ci riferiamo si riferisce all’utilizzo forzatamente strumentale dello spazio da
parte dell’autore: per forza di cose, le descrizioni dello spazio sono limitate, l’esplorazione non è totale, lo sguardo che,
da lettori, possiamo gettare sullo spazio del racconto è sempre vincolato dai limiti descrittivi a cui l’autore, a sua volta
forzatamente, deve aderire.
110
Nel caso, ovviamente, della scrittura occidentale. Analogamente, tuttavia, ogni alfabeto e ogni lingua hanno regole fisse
per l’organizzazione della scrittura che possono essere infrante solo in quanto fortemente codificate.
100
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fiaba si aspetta che faccia (salvo poi scoprire, al termine dell’avventura, che il contesto
in cui era inserito non era quello supposto). In Silent Hill 2 e in Bioshock lo spazio ha la
fantascientifici (come la città sommersa di Rapture) sono in realtà luoghi dove si celano
personaggi che incontra sulla propria strada siano il male da sconfiggere. Nel caso
decadenza a qualche oscura creatura, mentre in realtà l’oscurità proviene dal suo cuore.
casuale, piombato per caso in un ambiente che chiaramente non riconosce e a cui
sembra non appartenere, salvo poi scoprire che quel luogo che ritiene tanto mostruoso
ed estraneo è in realtà il suo luogo di nascita. Insomma, lo spazio non fa solo da
sfondo, diventa attore insieme ai protagonisti perché è costantemente sotto gli occhi
Allo stesso modo, il tempo nella scrittura è sottoposto, nella narrazione tradizionale, a
vincoli da cui cerca di liberarsi nelle narrazioni digitali. Anche in questo caso, ci
troviamo di fronte a due tipologie temporali: il tempo del racconto e il tempo della
lettura. Il tempo del racconto non ha, virtualmente, limiti neanche nelle narrazioni
tradizionali: se, da una parte, esiste la trama con la sua consequenzialità logica, ogni
101
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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procedere con ordine e secondo una precisa sequenza temporale per affrontare con un
testo tradizionale. L’ordine della fabula, per quanto vario e non lineare, è comunque
l’autore gli impone, ossia deve seguire l’ordine prestabilito con cui le parole sono
ordinate, l’ordine dei capitoli, delle pagine e così via. Non possiamo saltare da un
capitolo all’altro se l’autore non l’ha previsto; ogni singola pagina va letta secondo un
ordine preciso (da in alto a sinistra a in basso a destra, se non diversamente specificato
dall’autore che, comunque, resta l’unico detentore dell’ordine razionale e reale della
totalmente la percezione del lettore.I media digitali, invece, attribuiscono una funzione
radicalmente diversa allo spazio e al tempo (sia intra- che extra-testuali). È necessario
premettere che non vogliamo suggerire una totale libertà di azione e di movimento
(nello spazio e nel tempo) quando parliamo della diversa funzione di questi elementi
nella narrativa interattiva. È logicamente necessaria una struttura di fondo, predisposta
libertà concessa dallo spazio e dal tempo virtuale scatenano dinamiche nuove e
significati, anche nascosti, che sta al giocatore trovare. Quello che accadeva, a livello più
111
Borges racconta bene questa potenzialità nel suo racconto “La Biblioteca di Babele”, luogo mitico che contiene le
redazioni di ogni possibile combinazione delle lettere e dei segni di interpunzione utilizzati dall’uomo per scrivere.
102
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nelle mani del giocatore, che può disporne a proprio piacimento112. Sebbene l’autore sia
sempre alle spalle dell’opera, il giocatore non percepisce più la sua presenza, così come
non interazione). Il tempo, a sua volta, diventa come lo spazio: pur mantenendo dei
più rapido e sbrigativo o più lento e approfondito, ma può spesso costruire il proprio
intreccio (plot), senza dover sottostare ai vincoli temporali imposti dall’autore. Non solo
narrazione che sia più assimilabile a un’esplorazione: spaziale, perché lo spazio deve
essere tutto a disposizione del giocatore, che poi decide secondo quali modalità e con
elementi (non tutti) che costituiranno la trama non potrà essere “temporalmente”
vincolata dalla fruizione (o meno) del lettore, ma dovrà essere libera. Questo significa
che l’autore non può più presupporre che il lettore incapperà forzatamente in
un’analessi o in una prolessi, addirittura non può presupporre che esplori forzatamente
un ambiente prima di giungere a un altro, e così via113.
imprescindibile per i videogiochi. Tuttavia, anche a livello più generale, possiamo dire
112
Permangono, ovviamente, dei vincoli “fisici” legati all’impossibilità di realizzare uno spazio infinito e alla necessità di
rispettare le regole fisiche imposte dal mondo virtuale. Tuttavia, l’ampiezza di interazione concessa dal giocatore è, sia
praticamente che concettualmente, molto superiore di quella concessa al lettore.
113
Ovviamente, esistono senza dubbio dei vincoli che gli autori di trame videoludiche e i game designer devono tenere in
considerazione: se la finalità del gioco è quella di far vivere al giocatore un’esperienza e di fargli attraversare una storia,
ci devono essere degli elementi chiave, collocati sia a livello spaziale che temporale in “nodi” di gioco attraverso cui il
giocatore deve passare forzatamente. Di solito, tuttavia (e questo vale, in particolare, per i tre videogiochi che
analizzerò in seguito), questi elementi sono notevolmente ridimensionati e limitati rispetto, invece, alla libertà di azione,
esplorazione e movimento concesso al fruitore.
103
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che la riconfigurazione dello spazio e del tempo narrativi sia legata a un cambiamento
nella forma mentis dei “lettori” contemporanei.
Di seguito riporto una tabella comparativa114 tra i due mindset, quello che ha convissuto
carta stampata (Mindset 2). Quello che emerge da questa tabella è che le
caratterizzazioni dello spazio e del tempo nei media digitali non dipendono solo dalla
un’interpretazione attiva, ma con una e vera e propria costruzione attiva del testo) con il
Mindset 1 Mindset 2
The world basically operates on The world increasingly operates on non-
physical/material and industrial principles material (e.g, cyberspatial) and post-industrial
and logics. principles and logics.
The world is centered and hierarchical. The world is “decentered” and “flat”.
114
Knobel, Michael and Lankshear, Colin (eds) op. cit. p. 11
115
Ibid. p. 11
104
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Allora, questi due mindset messi a confronto ci aiutano a capire perché l’interazione e la
creare un’opera che non sia solo funzionale ma che sia anche bella, emozionante ed
concetto di centri deputati alla produzione, sia essa di manufatti che di idee: non c’è più
una divisione in compartimenti stagni ma “Space is open, continuous and fluid”, perché
diventata una conditio sine qua non: le persone decidono di “mettersi in gioco”. Le storie,
il racconto, le narrazioni non sono da meno: la volontà, sia in fase produttiva che in
quella di fruizione, è di modificare il processo davanti a cui ci si trova con le proprie
anni è un cambiamento profondo, che non riguarda la struttura superficiale delle cose
ma che tocca il cuore dell’organizzazione dei pensieri e della visione del mondo. Anche
oggi, il paradigma sta cambiando: la nuova frontiera della rete, ad esempio, il concetto
di Web 2.0, è un chiaro esempio di questa tendenza. Non è più sufficiente ricevere
narrazione, l’intrattenimento in generale deve avere un’elasticità tale per cui non ci
105
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sono più vincoli (o, per lo meno, l’utente li percepisce molto meno). È in quest’ottica che
lo spazio e il tempo modificano la loro funzione: non più strutture lineari e forzate, ma
fruitore “ben educato” quel senso di esplorazione e libertà piuttosto che di “percorso
guidato” e coercizione.
come vedremo nei casi presi in analisi, la narrazione non avviene necessariamente a
livello verbale: è la libertà concessa dal designer (ossia da quell’autore che diventa poi
L’elemento verbale è solamente uno dei tanti canali narrativi a disposizione per
comunicare il messaggio. Raramente (sicuramente non nei nostri casi) il canale per
trasmettere la storia è uno solo: nei casi più fortunati esiste un’integrazione armonica
tra gli elementi. Ci riferiamo a elementi come lo spazio, il tempo, il ritmo, l’apparato
sonoro, le potenzialità dell’interazione, e così via: tutti quegli elementi che permettono
di costruire uno spazio virtuale da esplorare, che sia un mondo fantasy o un portale di
raggiungere il massimo valore estetico. Comunque, la creazione di uno spazio, che sia
La dinamica che innesta questa esigenza di avere un nuovo tipo di narrazione verbale e
non verbale tra mittente e destinatario può essere considerata, in qualche misura,
106
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analoga alla dinamica del romanzo moderno116, che andava a collocarsi in un contesto
di lettura nuovo rispetto a quello del passato: dall’oralità e dalla lettura condivisa e
“Il novel è infatti la risposta ad un’esigenza nata con le nuove modalità di lettura, e
precisamente il bisogno di catturare dei lettori che ora si trovano soli davanti a un testo, vis ò
vis con questo. (…) Ora, una semplice fila di parole, segni neri su fogli bianchi, dovrà
costituire la fonte – fonte unica – di interesse e di emozione; dovrà, cioè, convincere i lettori
ad andare avanti nella lettura fino alla fine del libro, fino alla sua ultima parola.”117
Questo è lo stesso processo che sta seguendo il videogioco: nasce come risposta a
trovare il modo per incuriosire e invogliare prima, trattenere e accattivare poi quel
giocatore che dovrà arrivare alla sua fine. Le domande che si sono posti gli autori che
“Come può un autore attrarre e suscitare la curiosità del suo lettore (…)? Come trattenere
attenzione e curiosità fino in fondo? Come indurre a leggere e (implicitamente) a comprare?
Questo è, a mio avviso, il senso del cambiamento formale che il novel apporta alla narrativa. Il
novel, cioè, risponde a quell’esigenza e quella domanda.”118
E così fa il videogioco: inventa un nuovo linguaggio che si adatti al nuovo medium che
esso è, grazie alla possibilità di continui feedback da parte degli utenti si adatta, migliora,
si adegua.
non possono essere assimilati o paragonati, è però possibile riferirsi agli stessi principi
116
Il paragone non riguarda i media interattivi rispetto al romanzo, ma vogliamo mostrare come il discorso che la studiosa
Rosamaria Loretelli fa parlando dei cambiamenti dei meccanismi cognitivi della lettura che abbiamo attraversato, come
società letteraria, con l’avvento del romanzo moderno si stanno ripetendo, con modi e forme differenti, con l’avvento de
nuovi media.
117
Loretelli, Rosamaria “Psicologia della lettura e nascita del romanzo moderno” in Le origini e le forme del romanzo
inglese. Teorie a confronto, a cura di D. de Filippis e C. M. Laudando, Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’,
Napoli 2005, p. 108
118
Ibid. p. 108
107
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regolatori per spiegare in che modo e perché entrambe queste forme di narrazioni si
sono adattate e sono diventate119 due dei veicoli più diffusi delle loro rispettive epoche
per trasmettere storie. È nel testo di Hume, Enquiry Concerning Human Understanding che
“Hume assimila la lettura al pensiero. Per lui la lettura è pensiero guidato da un testo. Si
sviluppa secondo la medesima combinazione associativa, possiede la stessa temporalità e
intrattiene un uguale rapporto con le passioni.”120
L’universalità del pensiero di Hume è tale che è possibile, a secoli di distanza, applicare
nuovamente questa prospettiva allo shift che i processi di lettura stanno subendo
passando dal libro ai media digitali: la multimodalità e la multimedialità sono pensiero
(come lo intendeva Hume nel caso della lettura) guidato dall’interattività. Il nostro
pensiero è formato e plasmato sulle modalità dell’interazione (così come, nel caso del
romanzo, era plasmato sulla lettura). Hume afferma:
Quindi c’è bisogno di uno “scopo”, di un obiettivo, di qualcosa che tenga legato il
lettore (o il giocatore) al gioco fino alla fine: questo qualcosa è proprio la narrazione
che, con la sua capacità di attrarre e suscitare stati affettivi, fa leva sulla simpathy e “fa
personaggi narrati e delle situazioni. Come nel caso del romanzo, che ha sviluppato le
sue dinamiche narrative in modo tale da tenere stretta l’attenzione e l’interesse del
lettore, allo stesso modo il videogioco sviluppa le sue strategie narrative attorno a
119
Il processo del romanzo ci risulta piuttosto chiaro, mentre quello del videogioco è ancora confuso, perché in fieri, non
ancora stabilizzato o concluso.
120
Ibid. p. 111
121
Hume, David (1964) The Philosophical Works, vol. IV, Hill Green, T. (ed), T. Hodge Grose, Darmstadf, Scientia Verlag
Aalen, p. 19
108
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questa necessità: la narrazione è ancora quello “scopo” di cui parla Hume, che serve per
suscitare l’empatia nel lettore e però, adesso, non abbiamo solo un sottile filo nero di
“sincronizzare”, per così dire, i due elementi che riescono a trattenere il lettore avvinto al
“The imagination is extremely quick and agile; but the passions, in comparison, are slow
and restive: For which reason, when any object is presented, which affords a variety of
views to the one and emotions to the other, thought the fancy may change its views with
great celerity; each stroke will not produce a clear and distinct note of passion.”122
emozioni. La varietà della prima deve essere in sincronia con la “riflessività” su cui so
fondano le seconde. Hume afferma che, per risolvere questo problema:
“(…) in narrative compositions, the events or actions, which the writer relates, must be
connected together, by some bond or tie: They must be related to each other in the
imagination, and form a kind of Unity, which may bring them under one plan or view.”123
E precisa Loretelli:
“Non una caratteristica da introdurre nel racconto sulla base di elementi oggettivi, e che
starà là fuori, immobile, nel testo; ma un’unità la cui sede è la mente di chi legge. Dunque
un’unità prodotta, nella mente del lettore, dalla sua relazione con il testo durante l’atto della
122
Ibid. vol II, part II, section IX.
123
Ibid. p. 19
109
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lettura. (…) concilierà le esigenze dell’immaginazione con quelle delle emozioni, tenendo
queste accese e quella viva.”124
caratteristiche necessarie per una narrazione lineare efficace siano passate, quasi in
“The sympathy between the passion and imagination will, perhaps, appear remarkable;
while we observe that the affections, excited by one object, pass easily to another
connected with it; but it transfuses themselves with difficulty, or not at all, along different
objects, which have no manner of connexion together. By introducing into any
composition, personages and actions, foreign to each other, and injudicious author loses
that communication of emotions, by which alone he can interest the heart, and raise the
passion to their proper height and period.”125
strutture narrative che facciano capire a chi legge che ci sono dinamiche di causa-
effetto tra i personaggi, le situazioni e le emozioni che questo insieme suscita. Allo
stesso modo, ci interessiamo di videogiochi narrativi nel senso che è stimolante vedere
qualcosa che potrebbe essere meramente tecnico utilizzi invece le trame, i racconti, le
narrazioni per creare quel legame, quella connessione tra il testo e il fruitore. Si può
dire che, grazie alla narrazione, l’interattività e i contenuti del gioco diventino parte di
quali non devono per forza basarsi unicamente su impulsi e attimi. Le peculiarità
narrative di giochi come Shadow of the Colossus, Silent Hill 2 e Bioshock non stanno né solo
nelle loro forme di interattività né solo nelle tematiche: stanno nella perfetta
integrazione tra le due, processo grazie al quale il giocatore può farsi coinvolgere, a
livello immaginativo, da quello che vede, dagli elementi con cui interagisce, e che,
124
Loretelli, Rosamaria op. cit. p. 114
125
Hume, David, op. cit. p. 23
110
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comunque, parlano al fruitore con un linguaggio (interattivo ed emotivo) tale per cui le
emozioni si creano e si sedimentano durante tutta la sessione di gioco.
La connessione di cui parla Hume è lo stretto rapporto causa-effetto che persiste nel
da un punto di vista contenutistico che, per forza di cose, diventa un punto di vista
strutturale nel momento in cui i contenuti vanno veicolati non più solo a livello verbale
I personaggi, a questo punto, risultano essere una delle chiavi di volta per attivare
queste connessioni fondamentali per l’esperienza di gioco. Il rapporto che si instaura tra
personaggi che, più degli altri, aiutano il processo di connessione del giocatore con il
mondo di gioco e con gli altri personaggi, eventi e situazioni, e che, in generale,
aiutano a dare un senso alle azioni. Gli avatar* protagonisti di videogiochi fortemente
funzione del contesto della storia e in funzione della narrazione: in Shadow of the
Colossus abbiamo un piccolo principe che cerca un modo per salvare la propria
111
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principessa. Brandisce una spada, ha uno scudo e attraversa lande desolate da solo con
il suo fedele destriero. In Silent Hill 2 vediamo James, un personaggio che incarna
vicende. In tutti e tre questi casi notiamo come l’aspetto del nostro avatar* sia
sempre più coinvolto nell’avventura, perché, oltre che a livello iconografico, anche a
livello interattivo il piccolo principe attinge al nostro immaginario della fiaba e ci ricorda
quei principi guerrieri che lottano per ottenere il loro trono o per salvare la loro amata.
James è un uomo fragile e insicuro che ci ispira comprensione, quasi compassione, e
che vogliamo aiutare ad andare in fondo alla dolorosa vicenda della morte della
protagonista o un avatar* hanno la stessa efficacia. In una fiaba, avremo bisogno dello
comprensione totale del mondo in cui si trova, disorientamento e rifiuto della realtà e
così via.
112
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“Stereotypes are a sensitive subject, and for good reason – they are powerful social tools
that guide unconscious decision that can perpetuate an inequitable situation. Once a
stereotype has been ‘primed’ in a person mind, he or she tends to look for and mostly see
the qualities in a person that support that stereotype, overlooking qualities that do not fit.
(…) [Stereotypes] help people make quick assessments so that they do not have to
evacuate each person completely ‘from scratch’. (…) Game character designers rely heavily
on stereotypes. (…) Yet in a fast-paced game environment it can be helpful for a player to
draw upon stereotypes to gauge a character’s intentions and likely actions.”126
Pertanto, i personaggi, che siano avatar* o NPC*, sono spesso stereotipi per aiutare il
giocatore a immedesimarsi più rapidamente nel ruolo che deve interpretare: il fatto di
Silent Hill 2) sarà più difficile e lo stereotipo avrà una funzione ingannatrice e servirà per
creare disorientamento nel giocatore che presupporrà di aver agito bene salvo poi
scoprire che tutti gli stereotipi (di personaggi, ma anche di situazioni) su cui ha fatto
affidamento per tarare il proprio metro di giudizio erano, in realtà, falsati. L’interattività,
evoluto come nelle opere letterarie, la loro “semplicità” è, in realtà, un punto di forza,
ludico, il vuoto lasciato dallo stereotipo. Lo stereotipo, insomma, è una forma di libertà
per il giocatore che si trova a interagire con una “base” di personaggio su cui può
“costruire” a proprio piacimento (nei limiti, ovviamente, del contesto di gioco).
Ovviamente, ci sono degli elementi da tenere sempre in considerazione, sia che si stia
creando che si stia analizzando un personaggio: per quanto riguarda i videogiochi, sono
113
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genere (maschile, femminile) del target di riferimento, in quanto questi due contesti
tematiche, nonché gli ambienti e la caratterizzazione dei personaggi, sono tutti volti a
propri paradigmi cognitivi e, sicuramente, alcune delle soluzioni adottate dai vari
mente durante la lavorazione. Gli elementi che possono essere influenzati dalla cultura
sono, in effetti, tutti gli elementi caratterizzanti non solo il personaggio in sé, ma anche
delle caratteristiche fisiche: l’aspetto, la razza, il colore della pelle, il genere, e ancora le
armi, fino ad arrivare ai valori, all’etica, agli obiettivi e alle relazioni che ha con gli altri
secondaria nell’ottica di quello che abbiamo detto poco sopra, ossia nell’ottica di
quell’elemento di “unità” che il giocatore trova, in maniera individuale, all’interno della
propria immaginazione, e non, in modo oggettivo, all’interno del testo: ogni giocatore
interpreta e recepisce i personaggi e gli avatar* in modo tale per cui trova al proprio
interno le motivazioni profonde per affezionarvisi e per stabilire un legame con essi.
Non è possibile determinare un unico criterio per cui i giocatori arrivino in fondo a
un’opera: a volte è per curiosità, a volte è per un morboso legame con il personaggio, a
volte, ancora, è per via dell’interattività che permette loro di proseguire nella narrazione
Quello che è sicuramente interessante è che, nonostante tutti questi elementi “casuali”,
114
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il rapporto tra giocatore e personaggio sia uno degli elementi fondamentali del
videogioco:
“Player-characters are the heart of the interactive experience of gaming. They are the
interface though which players experience both the physical and social landscape of the
game world.” 127
base al gioco, di questi livelli costituisce il fondamento alla base del rapporto, caso per
caso, tra giocatore e avatar*128.
quel personaggio e il feedback che riceve quando, attraverso di lui o lei, agisce.
Quando una persona “interpreta” un personaggio, veste i suoi panni nel mondo di
gioco e sottostà alle sue reazioni e alle sue capacità in quel mondo. Il feeback
generale, gli effetti che le azioni hanno sui sensi (principalmente vista e udito). Nei
giochi di sport, nei platform o nelle avventure il feedback viscerale cambia, e viene
immedesimi nel mondo di gioco per esplorare tutte le possibilità che quel mondo
mette a disposizione del suo personaggio. Che tipo di azione può eseguire, che
127
Ibid. p. 203
128
La seguente suddivisione è tratta da Ibister, op. cit. p. 204
115
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interazione può avere con gli altri personaggi, e come può costruire una strategia? Il
impossibile nel mondo di gioco sono due esempi tipici di un giocatore che non si
riesca a calare cognitivamente nel mondo virtuale* su cui deve interagire.
sociale, è necessario considerare il livello di interazione che può e deve esistere tra
evolutivo molto importante, che testimonia come gli esseri umani siano esseri
sociali. Così, il giocatore si troverà a dover interagire con altri personaggi nel mondo
di gioco, in base ai propri contesti culturali, di genere, e ad altre variabili. L’avatar*
del giocatore diventa un ponte per la realizzazione delle interazioni sociali nel
quale si sentirà più immerso nel ruolo che il suo avatar* deve interpretare. Infine, le
finestre sui “paesaggi mentali” del loro passato e, di conseguenza, sulle possibilità
di azione del loro futuro. Questo aspetto del legame tra personaggio e giocatore
esplorare quelle zone cieche della propria psiche che sarebbero altrimenti
116
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“Powerful player-characters are often those that speak to many players’ real-life
hopes, fears, and issues. They offer players a chance to enact them and explore
possibilities.”
Questi sono i principi secondo cui, in maniera differente a seconda dei videogiochi, si
sottolineare come questi elementi entrino in gioco in maniera diversa, a seconda dei
casi specifici ma come, in ogni caso, costituiscano un fortissimo trait d’union che collega
la percezione del giocatore, effettivamente esterno alle vicende che accadono a schermo,
agli eventi di cui non solo è testimone ma, attraverso il suo avatar*, diventa
Alcuni personaggi, infatti, che normalmente non ci causerebbero empatia o in cui non
ci immedesimeremmo, arrivano a stringere una sorta di “patto” col giocatore, che si cala
completamente nei loro panni, guarda la realtà virtuale in cui è immerso con i loro
occhi e agisce secondo un misto del proprio e del loro sistema di valori. Nelle analisi
che seguono e nel capitolo conclusivo vedremo come, in base al modo narrativo di
Principi di adattamento
La tematica dell’adattamento della letteratura ai nuovi media e alle nuove forme di
vorrei, con queste riflessioni, affrontare delle problematiche che, a mio parere, non
possono trovare una risposta univoca qui e in questo momento perché riguardano
117
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fortemente un processo ancora in corso, che ci “circonda” e su cui non possiamo avere
ancora una vera e propria visione d’insieme, ma di cui possiamo cominciare a cogliere
delle tendenze.
Linda Hutcheon, nel suo libro A Theory of Adaptation, parla di come, in epoca
contemporanea, tutti quei contenuti che fino a poco meno di un secolo fa erano
appannaggio esclusivo della letteratura (in cui include anche il teatro) abbiano
cominciato ad essere “presi in prestito” dagli altri media e dalle altre forme di
comunicazione:
“Adaptations are everywhere today: on the television and movie screen, on the musical and
dramatic stage, on the Internet, in novels and comic books, in your nearest theme park and
video arcade. (…) Adaptations are obviously not new to our time, however; Shakespeare
transferred his culture’s stories from page to stage and made them available to a whole new
audience. (…) Adaptations are so much a part of Western culture that they appear to affirm
Walter Benjamin’s insight that ‘storytelling is always the art of repeating stories’ (1992:90).
(…) Stories are born of other stories.”129
È importante precisare subito che questo concetto di adattamento non è una novità
del nostro secolo, ma, semplicemente, in questo periodo di innovazione verticale dei
mezzi di comunicazione, può essere uno strumento utile per osservare in che modo le
trasposizione di una storia (o dei nuclei centrali di quella storia) da un medium all’altro:
un nuovo pubblico e spesso secondo nuove modalità. Quello che importa, all’interno di
questo che noi considereremo come un processo e non come un prodotto, è osservare in
129
Hutcheon, Linda (2006) A Theory of Adaptation, Routledge, p. 2
130
È la stessa Hutcheon a parlare esplicitamente di emozioni e in particolare di emozioni veicolate da narrazioni. L’elemento
centrale, per l’autrice, non è tanto analizzare la forma che veicola i nuovi messaggi, quanto il fatto che l’efficacia
comunicativa rimanga invariata. L’adattamento di cui parla la Hutcheon si concentra proprio sulla “sopravvivenza” della
trasmissione di determinate emozioni attraverso costrutti e opere narrative, non importa quale su medium o sotto quale
genere o forma.
118
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autore che adatta non è un semplice “copiatore”, non si limita a riproporre la stessa
storia in maniera diversa, è, a sua volta, un “creatore” che si impossessa di una storia (o
delle emozioni che quella storia trasmette) e, filtrandola attraverso i propri interessi, la
propria sensibilità, i propri mezzi crea una nuova storia, che ha come ipertesto o
palinsesto (nel senso genettiano del termine) quella vecchia ma che, di fatto, è qualcosa
“E. H. Gombrich offers a useful analogy when he suggests that if an artist stands before a
landscape with a pencil in hand, he or she will ‘look for those aspects which can be
rendered in lines’; if it is a paintbrush that the hand holds, the artist’s vision of the very
same landscape will be in terms of masses, not lines (1961:65). Therefore, an adapter
coming to a story with the idea of adapting it for a film would be attracted to different
aspects of it than an opera librettist would be.”131
storia in sé, bensì il mezzo su cui si desidera trasportare questa storia. Se la natura
fortemente analitica del romanzo non viene imitata da molti altri strumenti, risulta una
conseguenza diretta il fatto che per adattare una storia dalla letteratura a qualsiasi altro
ridimensionare i contenuti e renderli adatti ai tempi e ai ritmi del nuovo mezzo. D’altra
parte, però, questo processo di “elisione” non è così semplice come appare: se da una
parte è necessario “accorciare” dall’altra è necessario “intensificare”, per riuscire a
suscita in tutti i media per cui viene adattata. Non è detto che questo accada sempre:
successo e, in generale, quali sono state le ragioni “vincenti” che hanno fatto scegliere
119
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“Of course, there is a wide range of reasons why adapters might choose a particular story
and then transcode it into a particular medium or genre. As noted earlier, their aim might
well be to economically and artistically supplant the prior works. They are just as likely to
want to contest the aesthetic or political values of the adapted text as to pay homage. This,
of course, is one of the reasons why the rhetoric of ‘ fidelity’ is less than adequate to discuss
the process of adaptation. Whatever the motive, from the adapter’s perspective, adaptation
is an act of appropriating or salvaging, and this is always a double process of interpreting
and then creating something new.”132
I motivi sono di tipo diverso, quindi, e riguardano in parte la fortuna avuta dalle opere
prevede una condivisione di valori e di ideali con l’opera di partenza ma anche una
sorta di desiderio di “migliorare”, attualizzare e superare133 l’opera stessa:
“If this sounds somewhat familiar, there is good reason, given the long history in the West of
imitation or mimesis – imitation – as what Aristotle saw as part of the instinctive behaviour of
humans and the source of their pleasure in arte (Wittkower 1965 143). (…) Like classical
imitation, adaptation also is not slavish copying; it is a process of making the adapted
material one’s own. In both, the novelty is in what on does with the other text.”134
Quello che il nuovo autore fa del testo, ovvero della narrazione, questo è il fulcro
videogame perché questi ultimi sono l’esempio di come una narrazione possa essere
questa imitazione porti a una totale novità, di come vengano riconfigurati gli strumenti
132
Ibid. p. 20
133
Il concetto di imitatio ac emulatio prevedeva che l’opera di “arrivo” fosse superiore, in stile, contenuti ed efficacia
artistica, a quella a cui si ispirava. Molto interessanti sono i dibattiti sull’effettivo raggiungimento di tale obiettivo da
parte delle opere latine rispetto a quelle greche: dibattiti che, in effetti, non possono trovare una vera e propria
conclusione univoca.
134
Ibid.
120
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contenuti possano essere trasmessi con linguaggi molto distanti da quelli tradizionali
da cui, tuttavia, recuperano l’efficacia e l’effetto sul lettore-giocatore.
Il processo di adattamento che ha portato gli autori a trasporre storie e generi ben noti,
visiva che non è più linguistica e assistiamo a un’azione che non è passiva (come quella
dello spettacolo teatrale, in cui il fruitore è uno spettatore) ma è attiva e, anzi, non può
“In the telling mode – in narrative literature, for example – our engagement begins in the
realm of imagination, which is simultaneously controlled by the selected, directing words of
the text and liberated – that is, unconstrained by the limits of the visual or aural. We can
stop reading at any point; we can re-read or skip ahead; we hold the book in our hands
and feel, as well as see, how much of the story remains to be read. But with the move to the
mode of showing, as in film and stage adaptations (nda: e, aggiungo, nei videogiochi) we
are caught in an unrelenting, forward-driving story. And we have moved from the
imagination to the realm of direct perception – with its mix of both detail and broad focus.
The performance mode teaches us that language is not the only way to express meaning
or to relate stories. Visual and gestural representations are rich in complex associations;
music offers aural ’equivalents’ for characters’ emotions and, in turn, provokes affective
responses in the audience; sound, in general, can enhance, reinforce, or even contradict
the visual and verbal aspects. (…) Telling a story in words, either orally or on paper, is never
the same as showing it visually and aurally in any of the many performance medium
available.”135
135
Ibid. p. 23
121
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C’è quindi sempre una differenza sostanziale quando si racconta una storia a parole o
dell’adattamento dalla letteratura ad altri media sono stati già ampiamente esplorati e
analizzati, gli adattamenti delle narrazioni videoludiche hanno subito una sorte diversa:
trasposizioni lineari di storie dal supporto cartaceo a quello digitale. Con l’incremento
considerare in modo più equilibrato e “lucido” la funzione della narrazione nei giochi e,
di conseguenza, anche i retaggi che essa porta con sé dalla narrazione classica e gli
“The human-computer interface offers yet another kind of engagement in a feedback loop
between our body and its extensions – the monitor, the keyboard, the joystick, and the
mouse, and the processing computer. (…) Each mode of engagement therefore also
involves what we might call a different ‘mental act’ for its audience, and this too is
something that the adapter must take into account in transcoding. Different modes, like
different media, act dissimilarly on our consciousness (M. Marcus 1993: 17). Telling requires
of its audience conceptual work; showing calls on its perceptual decoding abilities. (…) In
reading, we gather details of narrative, character, context, and the like gradually and
sequentially; in seeing a film or play or musical, we perceive multiple objects, relations, and
significant signs simultaneously, even if the script or music or soundtrack is resolutely linear.
In interactive media, both the simultaneity of film and the sequentiality of texted narrative
come together in the game world and its rules/conventions.”136
Senza aderire totalmente alla scuola di pensiero che analizza le opere secondo il criterio
della adaptation, penso che sia importante tenere sempre presente questo processo
136
Ibid. p. 129-130
122
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mai perdere di vista il fatto che le storie e i racconti sono e sono sempre stati le stesse
storie e gli stessi racconti, sono gli stessi “miti” riproposti in chiave sempre più
moderna, adattando il linguaggio che non è più solo verbale e non prevede più solo
un ruolo “da spettatore” per il lettore ma che lo rende parte attiva del processo. È in
quest’ottica che prendo in esame i tre videogiochi, Shadow of the Colossus e i suoi retaggi
fiabeschi, Silent Hill 2 e la sua chiara appartenenza al mondo del racconto dell’orrore,
Bioshock con i rimandi alle distopie fantascientifiche di metà del secolo scorso:
l’originalità di questi giochi non sta nelle loro storie, che a un’attenta analisi risultano
essere riproposizioni di miti, racconti e narrazioni pre-esistenti. L’interesse nell’analisi
sta nell’osservare come questi “nuclei di narrazione” vengano ripresi e riadattati per
quello verbale ma quello del gameplay*, ossia delle regole e delle meccaniche che
Vorrei, prima di passare al capitolo sull’analisi, fare un breve cenno a un’altra teoria
e mi riferisco alla teoria della cosiddetta “memetica”. Ancora una volta, non intendo
aderire in modo pedissequo alla teoria espressa da Dawkins, che ha formulato per la
prima volta il concetto di “meme” nel suo testo del 1976 The Selfish Gene: inserire, a
questo punto, alcuni rimandi dal capitolo intitolato “Memes: the new replicator” ha la
sola funzione di mostrare come ci sia una percezione chiara di elementi extra-testuali e,
mezzi di comunicazione, e che riescono, proprio come hanno fatto i geni nel corso
123
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Sostiene Dawkins:
“Most of what is unusual about man can be summed up in one world: ‘culture’. (…)
Cultural transmission is analogous to genetic transmission in that, although basically
conservative, it can give rise to a form of evolution. (…) Language seems to ‘evolve’ by non-
genetic means, and at a rate which is orders of magnitude faster than genetic evolution.”137
trasmissione genetica ma che, essendo più rapido, è visibile anche dall’uomo (mentre ci
generazione e l’altra, possiamo ben notare cambi di paradigmi cognitivi o, ancora più
“The analogy between scientific progress and genetic evolution by natural selection has
been illuminated especially by Sir Karl Popper. I want to go even further into directions
which are also being explored by, for example, the geneticist L. L. Cavalli-Sforza, the
anthropologist F. T. Cloak, and the ethologist J. M. Cullen.
As an enthusiastic Darwinian, I have been dissatisfied with explanations that my fellow-
enthusiasts have offered for human behaviour. They have tried to look for ‘biological
advantages’ in various attributes of human civilization.”138
alcune specie o, parallelamente, di alcuni miti negli stessi elementi. Un mito, infatti, non
Allora,
“for understanding the evolution of modern man, we must begin by throwing out the
gene as the sole basis of our ideas on evolution. (…) Darwinism is too big a theory to be
137
Dawkins, Richard (1976) The Selfish Gene, Oxford University Press, p. 189
138
Ibid. p. 190-191
124
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confined to the narrow context of the gene. The gene will enter my thesis as an analogy,
nothing more.”139
primo piano ma come un esempio che ci può aiutare a comprendere meglio alcuni
processi, senza tuttavia presupporre di poterli spiegare in pieno.
Cos’è, allora, questo “meme” che si assume, da un punto di vista culturale, alla funzione
che ricoprono i geni a livello biologico? Il meme è, come il gene, un replicatore di parti
sopravvivere e tramandare la propria specie in modo efficace. Torna, come nel caso
della Hutcheon, il concetto latino di imitatio:
“We need a name for the new replicator, a noun that conveys the idea of a unit of cultural
transmission, or a unit of imitation. ‘Mimeme’ comes from a suitable Greek root, but I want a
monosyllable that sounds a bit like ‘gene’. I hope my classicist friend swill forgive me if I
abbreviate mimeme to ‘meme’.”140
Esempi di meme, per Dawkins, sono le musiche, le idee, frasi ad effetto, le mode, la
foggia di alcuni oggetti o utensili. Noi aggiungiamo, le storie e i miti, senza alcun
dubbio. I memi si propagano tra gli uomini come i geni, ossia passando da un
organismo all’altro, da una mente all’altra, tramite un processo che è tipicamente quello
di imitazione e adattamento. L’uomo percepisce una struttura, un’idea, una storia, una
forma, una musica come “vincente”, come efficace, e tende a recuperarla, trasformarla,
adattarla e trasmetterla a sua volta. I memi affiancano a pieno diritto i geni, soprattutto
in una società come la nostra, che è ormai diventata ufficialmente una società basata
renderla funzionale al contesto e al target a cui è diretta, poi, sono allora la chiave di
125
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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forti che vengono colti, a livello culturale, dagli autori. Questi memi, in modo più o
importati e che si fa ora carico di trasmetterli “alle generazioni future” (che sono, in
ideas”, perché, come i geni dominanti, attecchiscono maggiormente nella mente umana
osservare come, alla base di queste narrazioni, ci siano “memi” forti e ben radicati sia
nella società occidentale che in quella orientale (l’idea di bene e di male, l’ossessione
della morte e dell’immortalità, la ricerca della verità, l’amore, solo per citarne alcuni) che
hanno però bisogno di “essere adattati” e di migrare nel nuovo mezzo per poter
sopravvivere (il videogioco, in questo caso, è visto come veicolo “forte” che
a caso, sono quelle dei giovani videogiocatori che più utilizzano il medium
Come ha ben sostenuto Rabkin, l’idea di “meme” è una bella suggestione, ma ancora
parente più prossimo, il gene, non è misurabile né effettivamente definibile. Più che un
parametro effettivo, l’idea di meme va considerata come una utile e poetica analogia
volta a comprendere l’importanza che ha assunto, oggi più che mai, la trasmissione di
informazioni, siano esse verbali, iconografiche, performative, interattive e così via.
Impossibile, invece, è concentrarsi su tutti gli elementi trasmessi in una volta sola. Per
126
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veicolano e sui retaggi più o meno diretti che hanno con i loro “ipertesti” di riferimento:
generale, i temi e i motivi classici, si adattino ad essere veicolati dal nuovo mezzo e
come alcuni elementi restino invariati mentre altri vengano assorbiti da linguaggi non-
verbali diversi.
“But if you contribute to the world’s culture, if you have a good idea, compose a tune,
invent a sparking plug, write a poem, it may live on, intact, long after your genes have
dissolved in the common pool.”141
141
Ibid. p. 199
127
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Capitolo 3
I testi videoludici
tuttora in corso, come descritti nel primo capitolo, sono questioni che riguardano
idealmente, limitato solo dalla creatività di chi lo ha realizzato. In realtà, per poter
fondamentale tenere presente anche del ciclo produttivo (letteralmente, industriale) che
ha portato alla sua realizzazione. Per chiarire meglio questa affermazione, porterò
l’esempio di un flusso di lavoro per la creazione di un videogioco che una nota casa di
stabilire un work order e dedicarsi, infine, alla produzione, alle varie tappe nella
produzione e alla verifica del prodotto. Innanzitutto, bisogna precisare che l’idea
motrice per un gioco non scaturisce dall’ispirazione di un singolo che, grazie alla
analisi di mercato. L’atteggiamento pragmatico che sta alle spalle di questo metodo di
individuo, con la sua idea e la sua visione del mondo, la possibilità di disporre di un
budget di milioni di euro per guidare una squadra. I metodi di controllo sono
prima che i creativi possano mettersi al lavoro. Anche quando poi il processo creativo
viene messo in moto, esso è sempre guidato, indirizzato, corretto e orientato dal team
128
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“editoriale”, che ha una chiara conoscenza di quello che è in voga o di quello che non
lo è, dei settori di mercato coperti o meno. Tutto quindi comincia con una richiesta
consapevolezza di non produrre un videogioco che non vada incontro agli interessi dei
più (o che non vada incontro all’interesse di nessuna nicchia).
Il concept è la fase che segue la proposta di un’idea: la squadra o lo studio a cui viene
affidata l’idea iniziale prepara una bozza del gioco, partendo dalle tematiche che
verranno affrontate, passando per le dinamiche ludiche con cui queste tematiche
presentazione che dovrà ancora essere vagliata. In questa seconda fase di controllo,
idee creative vengono infatti fortemente ridimensionate perché, per quanto avvincenti,
non rientrano in un quello che deve essere un piano di produzione. La struttura del
gioco quindi, viene definita solo in minima misura in base a esigenze creative e
artistiche: più che altro, si può dire che, all’interno di una rigida struttura produttiva,
con numerose limitazioni dovute alle tempistiche, ai costi, alle limitazioni dell’hardware
prodotto coerente, divertente, che abbia una coerenza artistica e contenutistica e che
formalizzazione ufficiale delle priorità del gioco: le feature che non possono mancare,
base all’insieme di priorità stabilito, il gioco comincia a prendere forma: si passa alla
design, che conterranno tutte le funzionalità che dovranno essere poi sviluppate dai
129
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prodotti dai vari reparti. Vengono realizzati prototipi e versioni demo, la struttura da
di qualità, ossia fasi in cui il gioco deve superare delle certificazioni, deve avere degli
differenziazione delle competenze è tale che ogni figura è fondamentale (o quasi) nel
processo di produzione. Anche per quanto riguarda l’idea, non abbiamo più un’unica
personalità che, in seguito a un’ispirazione o a una riflessione (magari lunga una vita,
come quella di certi romanzieri) decide di mettere nero su bianco il proprio pensiero. La
analoga a quella che esiste nel cinema (in cui, ancora una volta, l’investimento di
denaro è tale che raramente un singolo individuo ha il veto su ogni decisione e può
decidere in completa autonomia l’indirizzo della propria opera).
“pacifico” con gli autori per definire alcuni standard, per andare a soddisfare certe
130
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esigenze di mercato e per “modellare” l’opera a seconda dei propri interessi e della
politica editoriale della casa editrice, tuttavia non possiamo ignorare che il lavoro,
Tuttavia, per la natura stessa dei progetti videoludici, come abbiamo detto, i ruoli dei
quindi possibile analizzare da vicino la figura di quello che viene definito come
interactive writer nel mondo dei videogame e compararla con quella dell’autore
tradizionale per trovare, in qualche modo, analogie ma anche differenze, tra i due tipi
profonde della scrittura restano, e restano inevitabilmente anche tutti gli elementi del
Banalmente, possiamo iniziare dicendo che la differenza sostanziale che intercorre tra
accade nella lettura di un libro, nella visione di un film o di un programma tv. Anche il
DVD, ad esempio, per quanto sfrutti in minima parte il concetto di interazione nei
assolutamente tradizionale (il film). Il videogioco, invece, è per sua natura interattivo:
bisogna interagire con quello che appare a schermo per far procedere la narrazione.
Questo è uno dei primi elementi cardine dell’analisi comparativa tra un testo letterario
e uno videoludico: nel primo caso il lettore è consapevole della natura verbale del
come i fumetti e alla loro struttura tipica che vede il testo integrarsi con l’immagine,
131
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visivo alla verbalità che prima tutto inglobava. Tuttavia, il fumetto in sé e, più in
si affida alla mano dell’autore che, attraverso il narratore, conduce il lettore dalla prima
costruzione degli eventi. Poco importa che questo ruolo sia reale o simulato, poco
importa che l’istanza di libertà sia rimpiazzata da una simulazione di essa: il giocatore
vuole essere co-autore (o credere di esserlo) dell’esperienza ludica che sta affrontando.
caso il giocatore si trovi a interfacciarsi con una narrazione, egli si aspetta che tale
narrazione non avvenga unicamente per mezzo della parola, ma che sia alternata
all’immagine, all’esplorazione, alle cut scene*, all’azione. Narrare, quindi, non attraverso
gioco e il giocatore viengono determinati da una parte dal genere a cui il gioco
appartiene, dall’altra dalle scelte di design, cioè dalle scelte creative e produttive alla
base del gioco.
“The nature of a game’s challenge to the player means that no game can be all things to all
players. The hardcore challenges in high-action games regularly fail to appeal to those who
prefer a more cerebral challenge or those whose reactions and dexterity prevent them from
mastering the key or button combinations require to develop the game’s moves. The
labelling of games into types or genres is a hotly-debated topic, but one that enables the
142
Per quanto questa precisazione possa essere leziosa, ci teniamo a dire che in questo contesto stiamo parlando di letteratura di
finzione e non di supporti cartacei con altre finalità, quali i saggi, i dizionari e le enciclopedie, che pur fornendo una struttura lineare,
non hanno a che fare con narrazioni e sono strutturate in modo tale da essere ipertestuali.
132
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potential player to judge whether they are likely to enjoy the gameplay experience or
not.”143
È la stessa regola non scritta che, in effetti, accompagna il genere letterario: serve per
creare quell’orizzonte di attesa che permette al lettore di orientarsi a priori nei confronti
accade per i generi videoludici e, come per i generi letterari, non sono i contenuti a
equilibri e ruoli tra di essi, l’atmosfera, il ritmo della narrazione e soprattutto il modo
elementi fondanti dell’altro. Ovviamente, come abbiamo visto nel primo capitolo,
troviamo più di fronte a una serie di norme che l’artista deve seguire pedissequamente.
determinato artefatto all’interno di una “famiglia”, per, da una parte, trovare gli
differenza sostanziale sta nel fatto che i videogiochi che vengono considerati
“autoriali” (come, ad esempio, quelli che andremo più avanti ad analizzare) non sono
concepiti e realizzati con vincoli di genere, ma vengono piuttosto creati per rivolgersi a
143
Ince, Steve (2006) Writing for Videogames, A&C Black, London, p. 13
133
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un certo pubblico. In questo modo le priorità cambiano: non c’è più un’esigenza solo
formale che spinge e motiva tutta la lavorazione, l’attenzione e gli sforzi vengono
indirizzati alla realizzazione di un “contesto” o “mondo di gioco” che sia il più efficace
il giocatore (e la critica), soprattutto in una fase del mercato videoludico come quella
attuale, non è l’adesione a norme ben codificate o a generi ben fissati: il problema dei
videogiochi è che queste “norme” e questi “generi” sono ancora in fase di definizione.
È, allora l’originalità a essere fondamentale, perché il vero apporto che ogni gioco può
dare è quello di definire nuovi standard in un sistema che sta ancora esplorando tutte
le sue potenzialità. Spesso, infatti, sono proprio gli elementi di scarto rispetto al canone
e al genere che permettono a un sistema di progredire verso la fase successiva non
Parlando del settore videoludico, tutte le evoluzioni nel design, nella grafica e nella
programmazione sono state “lineari” nel senso che in seguito alla scoperta e
evoluzione centrale nei prodotti del periodo. Si veda, ad esempio, l’introduzione della
prospettiva “in prima persona”, oltre a quella isometrica, nell’ambito della grafica, o i
fondamenti di ergonomia per i menu nel design o, ancora, l’introduzione dell’elemento
narrativo.
elementi che ha a disposizione per creare un mondo che il lettore, di qualsiasi tipo,
possa esplorare a proprio piacimento (pur nei limiti dell’illusione di libertà che ogni
disposizione del lettore sarà diversa a seconda degli scopi; la verbalità non sarà più un
134
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“How we want to use interactive storytelling will depend on the type of story we want to tell
and the type of game in which we are telling it. Is our story going to be linear or non-linear?
Is the player able to interact with and affect the story or the plot, or both?”144
In questo caso, riferendosi al “tipo di storia che vogliamo raccontare”, l’autore di questo
testo sulla narrazione interattiva applicata ai videogiochi non vuole riferirsi unicamente
al genere e alle tematiche che la storia vuole trattare, ma alla tipologia di interattività
quindi le dinamiche di azione non verbale, già a livello narrativo e testuale ci si trova
davanti a scelte diverse:
“In linear storytelling, at its most basic, the player interacts with a game in some way that
reveals the next piece of the story. If the trigger is the successful completion of a level
(defeating all the opponents, say), which launches a cut-scene where the story information
and development is shown to the player, the game’s story is likely to be linear and mostly
simplistic. The purpose of the story in this situation could be little more than a way to link
the gameplay sections or create a background setting for the various levels, though it is
possible to tell a more involving story if enough of these cut-scenes are triggered. The
downside of this method can be to give players the impression that they are not really
interacting with the story, which is true, but merely triggering a series of ‘chapters’.”145
dell’autore (e del testo) sono pressoché identici, in quanto viene studiata una struttura
tuttavia, come afferma bene Ince, è la narrazione a essere cornice e contesto di sfondo
del gioco, non il contrario. Innanzitutto, la storia non è passibile di modifica, quello che
leggere parte della storia, poi a guardare cut-scene con i personaggi che agiscono e a
sentire, eventualmente, il loro doppiaggio.
“(…) The only way for the story to respond to the actions of the player is if there is a choice
the player must make that affects the story. For example, it could be that the player, during
an interactive dialogue scene, must choose between lying to the police and telling the
truth. Whatever the player decides to do alters the flavour of the game by changing the
story or plot, which has now branched. This branching could have a subtle affect that does
144
ibid. p. 19
145
Ibid. p. 19
135
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not affect the gameplay and ultimately does not change the story’s ending – in which case
the player has interacted with the plot – or it could have a major affect where the whole
experience is altered depending on the choice. Gameplay and story could be markedly
different in one branch than in the other, which in turn could lead to two very different
endings.” 146
ossia quelle in cui il giocatore può influenzare sia la trama che l’intreccio del racconto a
cui assiste: in un caso, influenza solo l’intreccio nel senso che non cambia l’esito degli
eventi (non è possibile farlo, magari), ma che si “inventa” un percorso personale per
Nell’altro caso, invece, è letteralmente la story a essere sconvolta o, per meglio dire,
indirizzata: il giocatore, con le sue scelte, i suoi comportamenti, i dialoghi con gli altri
personaggi, il reperimento o meno di indizi, può modificare l’esito degli eventi, non
solo le modalità secondo cui questo esito gli viene presentato.
Per comprendere meglio questa dinamica, che sarà poi centrale nella trattazione delle
videogioco tratto dalla versione cinematografica di un romanzo: Blade Runner. Sia nella
versione letteraria che nel suo corrispettivo filmico, la trama di Blade Runner è lineare e
univoca. Restano aperti dei dubbi, al termine della narrazione, sulla natura più o meno
tuttavia la trama è definita, immutabile e, in una parola, chiusa. Nel videogioco Blade
Runner invece, prodotto dai Westwood Studios e distribuito nel 1997, la story e il plot
sono “relativi” e possono essere modificati dal giocatore in base alle sue scelte e alle
sue abilità di gioco. Se la prima parte è all’incirca comune per tutti, dopo circa un terzo
della partita le scelte di ogni singolo giocatore vanno a modificare la fruizione del
avventura (in cui si deve o agire o dialogare con altri personaggi), ci si trova ad
146
Ibid. p. 20
136
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affrontare un finale anziché un altro (e il gioco ne prevede ben tredici). In questo caso
modifica la sequenza con cui il giocatore affronta gli avvenimenti e con cui deve
la durata, in una parola l’intreccio del racconto, non il modo né la voce narrante, che
intrapreso, per far percepire al giocatore la continuità e la fluidità del sistema, che si
“adatta” in modo coerente alle sue scelte, senza però effettivamente modificare il tipo di
strategie narrative con cui vengono comunicati. In base ai percorsi scelti, infatti, le
analessi, le prolessi, le anacronie saranno diverse. La durata stessa verrà modificata,
perché in base a certe scelte del giocatore, il personaggio principale dovrà o meno
interagire con altri personaggi nel corso della sua ricerca. Il modo e la voce narrante,
originale, nel caso del videogioco il protagonista, Ray McCoy, scopre e denuncia i
replicanti, oppure scopre di essere a sua volta un replicante e si schiera con loro,
oppure decide di restare neutrale e di andarsene dalla città.
diverse rispetto alla narrazione tradizionale. In realtà, le differenze sono più che altro
adattamenti, e gli elementi che mutano funzione nella narrazione interattiva, quali ad
personaggio, gli ambienti che si “sbloccano” e che diventa possibile esplorare, vanno
un’apertura maggiore della struttura per l’autore, ma non introducono veramente nulla
di nuovo, di per sé. L’autore, in effetti, è libero di inserire più riferimenti “colti” o
137
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citazioni che non tutti i giocatori coglieranno, può arricchire il videogioco con “Easter
interazioni che non sono totalmente plausibili con la storia, ma che risultano, agli occhi
del fruitore esperto che riesce a scorprirli, dei piacevoli divertissement, che tuttavia non
devono essere spiegati o contestualizzati, perché sono delle specie di “camei”, degli
può sollecitare riflessioni nel lettore, suscitare emozioni, instillare dubbi. Ogni elemento
in una narrazione tradizionale ha il peso e la funzione che l’autore decide di attribuirle.
Nel caso della narrazione interattiva, tuttavia, il bilanciamento degli elementi e la loro
saranno degli elementi “vincolati”, ossia quelli che fanno parte della narrazione minima
saranno elementi “liberi” che, pur conservando la loro funzione narrativa classica
non fa parte della narrazione principale può essere fruito in una fase iniziale o finale
della lettura, può essere addirittura non fruito affatto, il fruitore può riuscire a
“Since computer games are such a successful genre, quite a few companies have
attempted to enhance their products by building a story into the game. The first attempts
in this direction were commercially successful if only for their novelty value, and every few
years somebody comes along with an interesting new twist that sells. But these products fall
well short of interactive storytelling – they are more accurately termed ‘games alternating
with stories’. (…) The story itself is non-interactive, and the game itself lacks dramatic
content.”
138
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dal fatto che si concentra sugli elementi verbali ed esclude che l’interazione derivata
narrativa. In realtà, questa visione appartiene a una scuola più “vecchia”, forse oggi
sistema di “lessie” collegate in modo rizomatico ad altre lessie, il lettore poteva decidere
individuate dall’autore reale. L’autore “cede” parte della sua autorialità al lettore, per
così dire si “relativizza”:
“Quando oggi pensiamo alla lettura e la scrittura, le concepiamo come processi seriali o
procedimenti svolti a intermittenza dalla stessa persona: si legge, si scrive, e poi si legge
ancora. L’ipertesto, che crea un lettore, attivo, forse anche un po’ invadente, spinge tale
convergenza di attività ancora più avanti; ma in questo modo usurpa il ruolo dell’autore,
affidandone una parte al lettore.
Un segno evidente di questo spostamento di potere si esplica nella facoltà del lettore di
scegliere il proprio cammino attraverso il metatesto, e di annotare e creare collegamenti fra
documenti scritti da altri. (…) Riducendo l’autonomia del testo, l’ipertesto diminuisce anche
l’autonomia dell’autore. (…) È vero che gran parte di quella cosiddetta autonomia era
apparente ed esisteva solo nella difficoltà da parte dei lettori di vedere i legami tra i
documenti, tuttavia l’ipertesto – che qui considero come il punto di convergenza fra le idee
post-strutturaliste sulla testualità e le sue materializzazioni elettroniche – elimina certi aspetti
dell’autorità e autonomia del testo, trasformando così la figura e la funzione dell’autore.”147
147
Landow, George P. (1998) L’ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria, Bruno Mondadori, Milano p. 127
139
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Questa osservazione che Landow formulava già nel 1994 riferendosi al genere
dell’ipertesto più che a quello del videogioco, ci fa capire come si ridimensioni non solo
il ruolo di chi scrive, ma anche la funzione degli elementi che vengono utilizzati per la
solamente quelle narrazioni che vedono il testo come interattivo, perché è questo il
senso dell’affermazione di Crawford. Egli sostiene che solo quando il testo è veramente
stato dimostrato è che la narrazione può benissimo essere interattiva e che il tentativo
strategie comunicative che sono visive, e multimediali e che, infine, il workflow* che
148
Sebbene consapevoli del fenomeno del casual gaming* e del filone di games for everyone sviluppatosi a partire dal 2006 con il lancio
delle nuove console* Nintendo Wii e DS, non affronterò l’argomento in questa sede. Ritengo infatti che questa fase attraversata
attualmente dal videogioco sia solo transitoria e serva per rendere più accessibili quei contenuti che, fino a poco tempo fa, erano
riservati unicamente ai cosiddetti hardcore gamers, ossia ai giocatori assidui. Attualmente, attraverso il casual gaming* sta avvenendo
una sorta di seconda alfabetizzazione digitale che porterà, tuttavia, nel futuro, alla richiesta di contenuti di spessore, che attualmente
mancano a questo filone di intrattenimento. È quindi fondamentale, in questo momento di passaggio, concentrarsi sulle strategie
adottate dai giochi della “vecchia scuola” e di imparare dalle nuove metodologie di gameplay introdotte dai games for everyone per
affrontare in modo efficace la nuova ondata di richiesta di contenuti “complessi” che seguirà a questa fase di adattamento e di
alfabetizzazione videoludica di massa.
140
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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tuttora cambiando in modo così radicale, se, ancora, tanti dei prodotti multimediali e
non “opere d’arte”, la domanda in questione risulta pertinente. Tuttavia, se è vero che i
videogiochi possono essere considerati un prodotto (e gli studi di marketing alle spalle
sono comunque prodotti “composti” da più parti, affidati a professionisti, ovvero artisti,
che cercano di trasmettere per quanto possibile la loro sensibilità, il loro patrimonio
culturale. I ruoli, anche nell’industria, sono ben chiari e un game designer non è un
interactive writer. Più in generale, bisogna specificare che l’applicazione del concetto di
narrazione non può avvenire per tutti i videogiochi: esistono generi, prodotti ed
esempi di videogame che tutto sono fuorché istanze narrative. La trama, è vero, non è
un elemento imprescindibile per un videogioco. Sebbene critici come Janet Murray, a
nostro parere in modo più provocatorio che sensato, abbiano sostenuto che anche in
puzzle game come Tetris potessero esistere istanze narrative nascoste, è un dato di
fatto che alcuni giochi possono solo far scaturire narrazioni emergenti e non narrazioni
integrate nella struttura dell’opera: posso divertirmi con gli amici e ricordare
individuare una storia all’interno della sessione di gioco in sé. Tuttavia, proprio perché
141
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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La storia intrattiene, ma come nei casi che più avanti citeremo e in molti altri, trasforma
lo ha prodotto e sul riutilizzo che chi lo ha prodotto ha fatto degli ipertesti, nel senso
Perché, nonostante tutte le limitazioni del caso, è impossibile negare che ogni storia
abbia degli ipertesti alle sue spalle: poco importa se questi testi sono verbali e se l’opera
Con un’immagine metaforica e decisamente poetica, si può dire, forse, che i videogiochi
suo “Il giardino dei sentieri che si biforcano”. La figura di Ts’ui Pên è assimilabile a
“Non invano sono bisnipote di quel Ts’ui Pên che fu governatore dello Yunnan e che
rinunziò al potere temporale per scrivere un romanzo che fosse ancor più popoloso del Hung
Lu Meng, e per costruire un labirinto in cui ogni uomo si perdesse. Tredici anni dedicò a
queste eterogenee fatiche, ma la mano di uno straniero lo assassinò e il suo romanzo era
insensato e nessuno trovò il labirinto. (…) Pensai a un labirinto di labirinti, a un labirinto
sinuoso e crescente che abbracciasse il passato e l’avvenire, e che implicasse in qualche
modo anche gli astri.”149
designer di cui la letteratura parli. Il suo progetto era da una parte quello di scrivere un
149
Borges, Jorge Luis (1995) Finzioni, Giulio Einaudi editore, Torino, p. 84
142
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libro, dall’altra quello di costruire un labirinto. Entrambe queste attività sono ben note
una costruzione apparentemente confusa ma, in effetti, con una solida struttura alle
spalle. L’autore del libro e del labirinto è quindi tacciato di follia dai suoi eredi, che non
capiscono cosa stesse effettivamente scrivendo o costruendo:
“Noi del sangue di Ts’ui Pên, - replicai, - continuiamo a esecrare quel monaco. La
pubblicazione fu insensata. Il libro è una confusa farragine di varianti contraddittorie. Una
volta l’esaminai; nel terzo capitolo l’eroe muore, nel quarto è vivo. E quanto all’altra impresa
di Ts’ui Pên, al suo Labirinto…”150
figurato che letterale). La rivelazione per il lettore, in questo racconto, è scoprire che,
per Ts’ui Pên, libro e labirinto erano in realtà la stessa cosa:
Ecco davanti a cosa ci troviamo: davanti a qualcosa che una volta non si riusciva a
“comporre” (non si poteva contemplare che una storia avesse una struttura labirintica,
che fosse tale nel tempo e non necessariamente nello spazio), oggi dobbiamo
necessariamente credere che una struttura “labirintica” o, comunque, non lineare, possa
150
Ibid. p. 86
151
Ibid. p. 86
143
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che deve per forza conservare le basi derivanti dalla narrazione tradizionale ma, questa
lettore di scegliere, temporalmente, tra tutti gli “infiniti” universi che possono scaturire
dalle decisioni prese durante la narrazione dal protagonista.
“’Lascio ai diversi futuri (non a tutti) il mio giardino dei sentieri che si biforcano’. Quasi
immediatamente compresi; il giardino dei sentieri che si biforcano era il romanzo caotico; le
parole ai diversi futuri (non a tutti) mi suggerirono l’immagine della biforcazione nel tempo,
non nello spazio. Una nuova lettura di tutta l’opera mi confermò questa idea. In tutte le
opere narrative, ogni volta che s’è di fronte a diverse alternative ci si decide per una e si
eliminano le altre; in quella del quasi inestricabile Ts’ui Pên, ci si decide – simultaneamente –
per tutte. Si creano, così, diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si
biforcano. Di qui le contraddizioni del romanzo. Fang – diciamo – ha un segreto; uno
sconosciuto batte alla sua porta; Fang decide di ucciderlo. Naturalmente, vi sono vari
scioglimenti possibili; Fang può uccidere l’intruso, l’intruso può uccidere Fang, entrambi
possono salvarsi, entrambi possono restare uccisi eccetera. Nell’opera di Ts’ui Pên, questi
scioglimenti vi sono tutti; e ognuno è il punto di partenza di altre biforcazioni.”152
È chiaramente impossibile costruire un’opera umana reale che, come nel racconto di
Borges, abbia biforcazioni infinite e permetta sia all’autore che al lettore di vagliare e
seguire ogni singola biforcazione narrativa ipotizzabile. È però vero che quello che
“uniforme” ma esistono serie infinite di tempo, che creano, come dice Borges, tempi
divergenti, convergenti e paralleli. Ogni singola partita di un videogioco che abbia una
narrazione al proprio interno porta a esiti diversi, non solo: porta a tempi diversi,
percorsi diversi e situazioni diverse. Non sono certo comprese tutte le possibilità, ma
sono sicuramente contemplate le varianti più probabili per le azioni chiave del nucleo
narrativo.
152
Ibid. p. 88
144
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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inconsapevole” di Borges può essere ardita, i videogiochi, con tutte i loro limiti,
conseguenza, le loro trame possono essere analizzate con gli strumenti tipici della
contenuti è fortemente ridimensionata dal fatto che il ritmo, la descrizione degli spazi e
culturali tipiche degli autori, l’utilizzo di un ordine per definire il tempo la durata e la
Quando Ts’ui Pên diceva che andava a scrivere una storia, allora pensiamo a quella
parte del videogioco che identifichiamo prettamente come narrativa. Quando invece
gameplay* e cioè alla struttura para-narrativa grazie alla quale il “raccontare” del
videogioco acquisisce la sua efficacia. Non solo parole scritte su fogli (o su uno
Ben consapevoli della diatriba tra narratologi e ludologi, ossia tra sostenitori della
fondante di questo medium, dobbiamo anche tenere conto del fatto che esistono
diversi equilibri tra questi due macro-elementi, nei vari videogiochi che, dalla nascita di
Pong, hanno affollato il mercato e sono arrivati a un audience molto ampia e variegata.
È per questo che, dopo aver contestualizzato la natura letteraria e narrativa del
videogioco, è necessario definire i criteri di selezione con cui sono state scelte delle
145
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media153 che, inglobando retroattivamente le caratteristiche forti degli altri, si sono fatti
a loro volta portatori di quelle storie che erano in passato esclusivo appannaggio
letterario.
fondamentale per introdurre il discorso e la motivazione della scelta dei tre titoli che
andremo in seguito ad analizzare.
In particolare, uno dei problemi fondamentali che tocca ogni singolo tentativo di
L’utopia, in un certo senso, è sempre stata (e forse è tuttora) quella di identificare una
alcuni identificata nella ludologia, che permetta l’analisi di questo nuovo medium in
videogioco è come un testo letterario. Nel corso dei secoli si sono sviluppate diverse
scuole di pensiero, diversi approcci di analisi, tra cui quello strutturalista, sociologico,
semiotico, e così via. Allo stesso modo, per i videogiochi, sia nella fase di creazione che
153
E in effetti, sempre forti sono le analogie tra videogiochi e cinema, per citare solo due dei media “narrativi” più in auge, passando
anche dai fumetti e dalle narrazioni distribuite.
146
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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in quella di analisi si attraversano fasi alterne, che privilegiano ora uno, ora un altro
l’impatto sociale, sono tutti elementi che sono sempre presenti in un videogame e che
possono sempre essere analizzati ma, a seconda dei casi, con equilibri differenti.
Nel nostro caso, vogliamo analizzare se e in che modo diversi elementi provenienti
tematiche, temi e motivi in genere stiano migrando verso nuovi media e con quali
misura, conservando strutture ed elementi tradizionali che sono codificati non solo
nella mente del lettore tradizionale, ma anche nella mente del giocatore e che,
semplicemente, sono vecchie strutture riproposte per mezzo di un nuovo linguaggio.
Per parlare quindi di narrazione era necessario scegliere dei videogiochi la cui struttura
fosse, tra l’altro, ovviamente narrativa. È importante precisare che la narrazione è uno
tantomeno quello su cui si fondano: uno dei punti cardine per definire e differenziare
che sia attivo non solo a livello cognitivo, ma anche e soprattutto nel senso che implica
citata. Di fatto, esistono gradi diversi di interazione tra narrazione e interattività: ci sono
147
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vengono progettate le prassi ludiche più adeguate; altri in cui predomina l’elemento
In base a quest’ottica, i giochi presi in esame non saranno giochi unicamente basati sul
gameplay*: Tetris, Geometry Wars, Pac Man, e tanti altri puzzle game sono esempi di
è tutto sommato alla base di ogni singola sua azione. I picchi emotivi significativi
trasmesso: è questo il buon gameplay*, dopotutto, quello in cui gli elementi fluiscono
trame narrative più o meno tradizionali, di generi e sotto-generi più o meno noti e
diffusi all’interno di un medium che sicuramente non è solo narrativo (né tantomeno
alternativo rispetto a quanto fanno, oggi, racconti e romanzi. Non stiamo quindi
148
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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nell’excursus sulla storia dei videogiochi del Capitolo 1) era unilaterale e andava dalla
non solo a livello narrativo e strutturale sulla letteratura, ma anche a livello simbolico,
tematico e di motivi sull’immaginario collettivo.
Ideato e sviluppato in Giappone per piattaforma Playstation2, presso gli studi di Sony
Computer Entertainment, questo gioco è stato diretto da Fumito Ueda e dal suo team,
già realizzatori in passato di Ico. Sviluppato presso Sony dal 2002 al 2005 e distribuito
(sempre da Sony) in Giappone e negli Stati Uniti nell’ottobre dello stesso anno (mentre
in Europa nel febbraio 2006), il gioco è nato come sequel del primo episodio (Ico
sviluppo che sta alle spalle di Shadow of the Colossus è particolare, rispetto ai trend
moderni e agli iter classici che seguono i videogiochi: il designer Ueda ha di solito
“campo libero” per concentrarsi sulla qualità e sull’unicità del gioco che sviluppa,
lontano (o quantomeno con molti meno limiti rispetto al solito) dalle logiche
tradizionali di vendita. Con Ico così come con Shadow of the Colossus e, probabilmente,
con il prossimo titolo sviluppato da Ueda (in lavorazione, per PS3*), la casa di
produzione Sony ha deciso di dedicare spazio a prodotti realmente artistici, che siano
di alta qualità e che raggiungano un pubblico di “nicchia”. Le vendite dei giochi, infatti,
se pur positive, non si avvicinano minimamente a quelle dei “blockbuster” prodotti per
il pubblico di massa. Ci troviamo piuttosto davanti a videogiochi che sono stati creati
154
Per ulteriori informazioni sul sistema di rating americano, consultare il sito http://www.esrb.org
149
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con una “direzione artistica” forte, al cui team di sviluppo è stato concesso di
concentrarsi non tanto sulle eventuali vendite o su ipotetici risultati di mercato, quanto
sulla qualità e sulla coerenza dell’opera in lavorazione155. Per questo il caso di Shadow of
the Colossus è particolare. Gli studi di mercato che stanno alle spalle del gioco
sicuramente ben sapevano che, come il predecessore, questo episodio non avrebbe
diventate, da fenomeni sperimentali e, in alcuni casi, anche amatoriali, dei veri e propri
determinati budget ed essere distribuiti quasi “ad ogni costo”. Le pressioni sempre più
forti del mercato hanno portato a una deriva particolare: da una parte ci sono le grandi
multinazionali come Sony, Electronic Arts, Ubisoft e altre che producono prodotti di
massa, di discreta qualità ma finalizzati principalmente alla vendita. Dall’altra parte,
grazie anche all’abbattimento recente dei costi per lo sviluppo, si sono sviluppate
migliaia di software house indipendenti e minori che puntano a loro volta a invadere il
mercato con i propri prodotti, ma che spesso hanno un approccio più creativo e audace
nei confronti dei videogiochi che realizzano. Proprio questo atteggiamento ha spinto le
major a tornare a dedicarsi, almeno in parte, alla “ricerca” e quindi alla produzione di
titoli che non sono convenienti da un punto di vista economico, ma che contribuiscono
al prestigio della casa che li produce. Se, quindi, da una parte resta fortemente radicato
155
Coerentemente con l’incredibile ampliamento della sua diffusione, infatti, il settore della produzione videoludica tende a concentrarsi
maggiormente sul target e sul mercato piuttosto che sulle idee, sui contenuti e sulla qualità. Più raro, ma molto significativo, come
nei casi che andremo ad analizzare, è il fatto che ad alcuni game designer e ad alcuni team di sviluppo venga lasciata la libertà di
sviluppare opere sia sperimentali che “controcorrente” e che abbiano come priorità l’originalità, la qualità e, in molti casi, anche un
messaggio forte.
150
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il concetto di prodotto videoludico come qualcosa nato per essere venduto, in alcuni
casi (tre dei quali sono, sicuramente, quelli di cui affronteremo l’analisi) ci troviamo di
fronte a opere svincolate dall’idea di profitto e che sono nate ancora dall’ingegno e
dalla volontà forte di uno o più autori di comunicare una loro “visione”.
Per tornare al caso specifico di Shadow of the Colossus, in effetti, lo studio e la ricerca che
stanno alle spalle della realizzazione del titolo (a livello contenutistico ed estetico, oltre
che meramente tecnico) sono analoghe a quelle che un autore può compiere per la
game designer che ha diretto i lavori di realizzazione del gioco ha potuto indirizzare a
proprio piacimento gli sforzi e decidere quali elementi potenziare e raffinare nel gioco.
sono gli elementi chiave dell’opera che sta realizzando: il marketing, il budget, le
ingerenze da parte dei dirigenti dell’azienda spesso pongono veti a cui gli artisti (o,
sottostare. Nel caso di Shadow of the Colossus (ma, sicuramente, anche di Silent Hill 2 e di
Sempre tornando a parlare di Shadow of the Colossus, il fascino di questo videogioco sta
156
Non è certo facile definire le caratteristiche di un’opera di qualità come fossero assoluti, tuttavia è possibile identificare la presenza o
l’assenza di alcune “condizioni”, nel corso della lavorazione di un’opera, che la rendono più o meno orientata al mercato o legata a
un progetto artistico. La possibilità, ad esempio, di compiere accurati studi di design, la possibilità di inserire dinamiche di gioco che
appaiono semplici nella fruizione ma che sono altamente complesse nella realizzazione (parliamo di programmazione e
implementazione nel motore di gioco), la cura linguistica, sia nel testo originale che nella localizzazione, la direzione artistica nelle
mani di un creativo e non di un produttore: tutti questi sono elementi che sicuramente contribuiscono alla maggior riuscita di
un’opera videoludica che abbia un impatto artistico ed emotivo prima che commerciale e di mercato.
151
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digitale che nasce in Giappone ma che ha come pubblico virtuale tutti i giocatori del
fiabesca, e lo stile fortemente non verbale della struttura del racconto, che si rivela
serie inserita nel genere del survival horror. La storia della serie comincia nel 1999, con la
distribuzione del primo episodio, Silent Hill, per Playstation, ma continua fino ad oggi
con numerosi sequel per diverse piattaforme (ed è in produzione un nuovo capitolo in
concentreremo l’attenzione sul secondo capitolo, Silent Hill 2, perché è considerato, sia
dalla critica che dai giocatori, uno degli esempi più di successo e una delle trame più
raffinate che siano comparse, a oggi, nei videogiochi. Il successo di Silent Hill 2 è dovuto
a diversi fattori: oltre alla scelta di un sotto-genere quale l’horror, i numerosi rimandi
alla letteratura di genere, al cinema e a una serie di archetipi (e in alcuni casi, anche, di
dal punto di vista narrativo e accessibile a diversi livelli. Il gameplay* prevede, infatti,
diverse combinazioni di difficoltà. Essendo inscritto nel genere dei survival horror, le
dinamiche interattive sono un misto tra quelle tipiche del gioco di avventura e quelle
di azione. Il giocatore deve quindi sia risolvere enigmi, sia affrontare e sconfiggere i
modulari e permettono a qualsiasi giocatore (da quelli più intuitivi e riflessivi, ma meno
capaci dal punto di vista dell’interattività e meno rapidi nel fronteggiare situazioni di
157
Questa osservazione ha particolarmente senso se si considera che non tutti i videogiochi hanno lo stesso target e che non sempre un
prodotto videoludico ha l’ambizione di insediarsi in mercati esteri.
152
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azione, a quelli più reattivi e che tuttavia trovano maggiori difficoltà nell’affrontare
forza di questo videogioco è che permette, finalmente, e dopo anni di tentativi più o
iniziati da Poe, che sarà uno dei punti di riferimento e confronto per l’opera in
queste meccaniche e con questa trama: con un abile uso della mise en abîme, il giocatore
si trova a mettere in discussione la propria sanità mentale, perché la struttura del gioco
è, in “piccolo”, la ricostruzione di una spirale di terrore e disorientamento che trascina
interrogarsi sulla propria integrità. Il giocatore si trova nel finale a corrispondere a una
tipologia di protagonista che ha determinato egli stesso con le proprie azioni durante
la sessione di gioco. Anche Silent Hill 2 può vantare (come Shadow of the Colossus, nella
nostra “case history”), un design e una direzione artistica ben definiti: Masashi
Tsuboyama alla regia e Masahiro Ito sono i due “direttori generali”, mentre molto forte
e presente è il contributo di Akira Yamaoka alle musiche. Questi nomi non
compariranno sempre nei sequel della saga e sia la critica che i giocatori sentiranno la
mancanza di queste figure chiave, che hanno contribuito a creare un’opera dell’orrore
che è diventata, a soli 7 anni dalla sua uscita, un classico pressoché insuperabile nel
mondo videoludico.
per sfuggire da una città distopica e salvare la propria vita e quella di alcuni tra i
153
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sviluppo americana, per piattaforma XBox 360* e PC, il gioco ha riscosso un enorme
successo e, pur vantando meccaniche di gioco non proprio originali e una struttura
affrontata (quella della bioetica e della manipolazione genetica non a fini terapeutici,
ma a fine di potenziamento del corpo umano) hanno contribuito in primo luogo alla
sua diffusione meramente commerciale, in seconda istanza anche a renderlo uno dei
giochi con un contenuto quantomeno “provocatorio” negli ultimi anni. Se, infatti, la
questo caso. Il direttore creativo nonché autore, Ken Levine, ha deciso di affrontare in
modo trasversale i temi della chirurgia estetica e della bioetica sperimentale,
ambientando gli eventi in una vera e propria distopia: in una realtà “alternativa” alla
negli anni ’50, ma l’esperimento di cui parla il videogioco non è mai esistito, nella nostra
realtà, bensì esiste nel multi verso videoludico), il protagonista, di cui condividiamo una
dopo un incidente. I nemici in cui si imbatte il protagonista (e noi con lui) altri non
sono che gli abitanti della città di Rapture rovinati dalla droga che doveva renderli
nascondono un segreto che verrà rivelato solo nel corso delle vicende, anche la
impossibile che serve però a ricordare i limiti che la scienza e l’uomo devono sempre
tenere a mente: come in Frankenstein, che costituirà il testo letterario principale per il
raffronto con questo videogame, l’uomo non deve pensare di sostituirsi alla Natura e
154
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di giocatori che hanno acquistato il gioco) imparerà a proprie spese. Il messaggio quasi
altre narrazioni video ludiche prese in considerazione, questa si può definire tetica, cioè
dell’eterna giovinezza e della sperimentazione sulla vita con un linguaggio, dei simboli,
degli altri videogiochi analizzati, Bioshock si schiera e dimostra che anche un videogioco
“di massa” (i numeri delle vendite sono stati talmente buoni che si è immediatamente
Gli elementi da tener presente, tuttavia, nel corso dell’analisi, sono diversi: innanzitutto
quindi a una rapida disamina delle differenze tra prodotti occidentali e “orientali”159, per
poi passare alle considerazioni sulle differenze che intercorrono tra prodotti on-line e
off-line e, infine, alle declinazioni del modo narrativo fantastico a cui ciascuno dei titoli
sopra citati aderisce, a modo suo.
e quello statunitense. Negli ultimi anni Giappone e USA hanno perso il monopolio che
avevano conquistato all’inizio della storia dei videogame, e le case di produzione sono
158
Sebbene ci siano altri mercati, questi due sono predominanti e vantano alcune differenze.
159
In effetti, anche il Giappone ha sicuramente un approccio più vicino a quello occidentale che a quello orientale, per citarne uno, della
Cina, ad esempio. Tuttavia, sono chiaramente percepibili, all’interno dei videogame prodotti in Giappone alcuni elementi della
tradizione e alcune prospettive tipicamente nipponiche o, in generale, orientali. Per questo, “orientali” è virgolettato, perché se non
si può certo definire occidente, il Giappone mantiene una certa distanza anche dall’idea di oriente che possiamo avere noi
occidentali.
155
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di capire se e in che modo si passa dal narrare in maniera tradizionale al raccontare con
prodotti di massa, o quantomeno molto diffusi e prodotti da quei due poli tanto vicini
quanto contrapposti che sono il Giappone e gli Stati Uniti.
Due dei titoli presi in esame (Shadow of the Colossus e Silent Hill 2) sono stati sviluppati da
generi che tematiche: gli hentai161, ad esempio, sebbene abbiano raggiunto una certa
rispondente a precisi dettami che li rendono in linea con l’orizzonte di attesa del
giocatore. Allo stesso modo, la cultura dei cosiddetti picchiaduro162: questo è un genere
Giappone (ma anche in Corea) è nettamente superiore a quella degli altri paesi. Non si
tratta solo del numero di videogiochi di questo genere prodotti e venduti, si tratta
anche delle manifestazioni pubbliche, dei tornei, degli incontri e delle fiere che si
160
Sarebbe in effetti necessario un lavoro di ricerca molto approfondito, per confrontare fonti e strategie, tematiche e generi.
161
Hentai è una parola giapponese che significa “anormalità” o “metamorfosi”. In Giappone si utilizza anche con il significato di
“sessualmente perverso”, ed ha una connotazione molto negativa, in quanto indica forme di “anomalia sessuale, o di perversione. Al
di fuori del Giappone viene usato per riferirsi a opere a sfondo pornografico, divise principalmente tra hentai anime, hentai manga e
videogiochi contenenti riferimenti sessuali o espliciti.
162
Termine che definisce i videogiochi in cui lo scopo principale è quello di affrontare i nemici in incontri di lotta di vario genere sia a
mani nude che attraverso l'utilizzo di armi da mischia.
156
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enorme successo (meno, anche se presenti, nel resto del mondo). Allo stesso modo ci
sono videogiochi, generi e tematiche che riscuotono maggior successo negli Stati Uniti
ed esiste quindi un folto mercato di titoli declinato specificamente per andare incontro
alle richieste del mercato interno: i videogiochi di azione, ad esempio, o di corse (di
mercato statunitense è comunque più aperto, ossia è più probabile che un europeo o
unicamente in una nazione (gli Hentai sopra citati sono un esempio), le squadre di
sviluppo tendono a evitare una sorta di “mediazione culturale” che invece avviene in
degli USA, è un paese con una storia decisamente antica e i richiami alle tradizioni, le
differenze dei simboli, dei ritmi, del gameplay* e dell’organizzazione dei contenuti sono
profonde, rispetto ai prodotti “occidentali”. L’America, invece, sia per la sua storia più
“recente” e per il suo minore rifarsi a epoche antiche, sia per la propria indiscussa
Tra i videogiochi che abbiamo selezionato, infatti, quelli che vantano i maggiori volumi
di vendita sono, senza dubbio, la saga di Silent Hill (presa nel suo insieme) e Bioshock,
157
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rispettivamente con 1,4 e 2 milioni di copie vendute163: l’impatto che questi giochi
hanno avuto sul mercato, è stato impressionante. Non si tratta solo di numeri, ma di
distribuito con il chiaro intento di far passare l’immagine di un’identità artistica della 2K
raggiungere lo scopo, utilizza un’estetica, un ritmo, una simbologia ben chiara e che
I giochi giapponesi, invece, soprattutto se studiati per un mercato non tanto interno
relativamente inferiori rispetto ai “colleghi” americani (la saga di Silent Hill 2 vanta un
milione e mezzo di copie vendute, mentre Shadow of the Colossus viene considerato
letteralmente un gioco “di nicchia”, perché ha venduto circa 700.000 copie nel mondo)
sia per strategie di marketing meno pressanti di quelle americane, sia perché i giochi
appartenenti alla storia letteraria occidentale (Poe per primo) a una sensibilità estetica,
sempre solo e in cui vanno affrontati solo quelli che, nei videogiochi più tradizionali,
vengono chiamati “boss”*. L’impatto di un gioco di questo tipo è stato strano: la critica
163
Fonte: Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_best-selling_video_games (15 settembre 2008)
158
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canoni di genere a cui è abituato. In effetti, anche nei casi in cui le software house
Le differenze tra i due approcci sono quindi non solo contenutistici, ma anche
metodologici: per affrontare l’analisi è bene ricordare quindi la mole delle vendite di
questi giochi, l’impatto che hanno avuto sul pubblico, il fatto che abbiano o meno
gioco, dalla trama, ai personaggi, alle meccaniche, viene pensato in un’ottica globale,
notizia”, che arriva sulle pagine anche delle riviste della stampa non specializzata, che
prodotto a Hollywood: segue dei canoni (che vanno dalla produzione al marketing)
così definiti e così universali è che impossibile non conoscerlo (e riconoscerlo).
Il videogioco giapponese è invece più “di nicchia”: in realtà, anche diversi (molto più di
diventano pervasivi e costringono tutti a parlare di loro, ma questo avviene più spesso
all’interno del solo Giappone. Le mode non vengono spesso esportate e generi come
quello degli RPG*, se pur diffusi, diventano secondari, nel resto del mondo, alla
affrontare sono interessanti proprio perché, sebbene non abbiano raggiunto una
diffusione pari a quella dei loro “cugini” americani, sono comunque giochi che hanno
164
Non a caso, a volte, le versioni giapponesi dei giochi vengono letteralmente “semplificate” per il mercato americano, in modo che gli
utenti trovino i prodotti videoludici di importazione altrettanto divertenti e non eccessivamente frustranti o complessi.
159
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avuto sia un successo che una fortuna molto ampi e che hanno, in qualche modo,
cambiato per sempre certi stilemi del videogioco, costringendo i “posteri” a tenere
conto delle pietre miliari che gli “antenati” avevano posto.
Come ho già detto, un’analisi approfondita delle differenze tra queste due culture e il
riflesso di tali differenze nel medium videoludico va affrontato in altra sede: è tuttavia
importante che manteniamo sempre un occhio vigile e aperto sul luogo di nascita dei
videogiochi che analizziamo per cercare di individuare gli elementi che hanno
esempio, il successo di Silent Hill 2 o Shadow of the Colossus non è stato dovuto alla
sono l’originalità, la raffinatezza e anche la ricerca di un punto di unione tra due culture
media conosciuto. Allo stesso modo, la fortuna dei prodotti americani sta,
elementi che ritiene più importanti, è infatti un grosso plus da riconoscere all’industria
una struttura “a tesi” in cui il team di sviluppo vuole far vivere un’esperienza di gioco
presi più di petto (grazie anche alla cornice di finzione e Sci-Fi in cui sono inseriti) dal
videogioco.
165
Non è il “marchio” o la pubblicità che hanno fatto la fama di questi giochi, ma la sensibilità e lo sperimentalismo, sia narrativo sia
estetico, che li caratterizza.
160
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per raggiungere il pubblico più vasto possibile: non sono, cioè, rivolti solo alla cultura
interno degli elementi fortemente legati alla cultura d’origine. Nonostante, cioè, i
sviluppo del titolo abbia cercato di creare un luogo distopico come Rapture in modo
progressisti universali. Se gli Stati Uniti hanno percepito, nella seconda metà del secolo
scorso, il regime e l’ideologia comunista come una delle minacce più manifeste e da
avversare con più energie possibili, visto che venivano interpretate dall’America come
l’esatto opposto della filosofia liberista fondata sul capitalismo su cui quei paesi si
natura distopica della città. Dal punto di vista tematico, quindi, l’invenzione di questo
mondo di oppressione non riesce a prescindere da quella che gli americani stessi
contemporanea hanno causato tutte quelle nevrosi, quei disagi e quelle forme di
161
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poco ha a che vedere, ad esempio, con una percezione più “europea” del problema. A
stesso, tutti temi, questi, molto cari all’America). Tuttavia, la strada che percorre è una
missione individualista per la salvezza del “bene” sono elementi fortemente mutuati
dalla cultura americana. Nell’avventura di Jack non c’è spazio per l’angoscia: i momenti
qualcosa, c’è sempre un “movimento”, e tutto questo è un retaggio evidente sia di una
forma mentis molto americana che di una volontà di potenza che prevede che l’attacco
sia la miglior difesa, ancora oggi.
Ancora più chiaro risultano queste osservazioni sull’unico videogioco americano dei tre
che andremo ad analizzare, se confrontato con gli altri due titoli sviluppati da squadre
giapponesi. La “fiaba” che andremo a scoprire con Shadow of the Colossus e l’avventura
tutta psicologica che attraverseremo con James in Silent Hill 2 sono, invece, esempi di
una sensibilità narrativa molto diversa. Shadow of the Colossus è, infatti, una fiaba.
Apparentemente, questa fiaba ricalca temi e topoi tipici della fiaba occidentale: un
giovane principe deve salvare una principessa da uno spirito malvagio. Come vedremo
in dettaglio nell’analisi, tuttavia, l’approccio narrativo di questa fiaba è molto più lento
su un passaggio aurale dei contenuti da chi narra a chi ascolta e, ancora, da chi ascolta
162
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e diventa narratore a un nuovo ascoltatore, nel caso della cultura giapponese, e nel
caso specifico di Shadow of the Colossus, l’elemento che diventa centrale non è più la
verbali, la narrazione che riguarda questo piccolo principe in cerca della salvezza per la
sua principessa non sono arricchite di retrospezione psicologica, non sono appesantite,
l’immagine parla da sola e, in questo senso, avvicina questa esperienza del giocatore
molto di più all’osservazione delle vicende bibliche narrate nelle vetrate delle cattedrali
o ai dipinti rupestri degli uomini primitivi. La fiaba di Shadow of the Colossus non è la
fiaba disneyana che affascina, insegna e comunica chiaramente solo con chi è in grado
di ascoltare (non a caso, nelle riadattamenti disneyani delle fiabe spesso ci troviamo di
fronte a canzoni, musiche, parole, filastrocche, formule magiche e così via), ma è rivolta
a tutti quelli che siano in grado di vedere. La decontestualizzazione politica fa risultare
annulla anche quel bisogno fortemente occidentale di identificazione del “Bene” e del
Infine, anche con Silent Hill 2 ci troviamo di fronte a una forte innovazione narrativa che
deriva proprio dalla diversa sensibilità della squadra di sviluppo del gioco: anziché
163
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all’improvviso, del terrore dettato solo dalla presenza inaspettata della mostruosità, i
designer di Silent Hill 2 hanno attinto a tutto il background della cultura giapponese
visibile a tutti che attraversa le vite dei personaggi “normali” come un fulmine a ciel
sereno: la mostruosità che tentano di ricostruire con Silent Hill è quella dell’abisso della
coscienza umana. Niente più eroi d’azione, allora, come Jack di Bioshock: ci troviamo
cosa malvagio), uomini senza qualità che devono affrontare nemici più grandi di loro:
l’orrore non è l’orrore lovecraftiano e di alcuni filoni (sia letterari che filmici) occidentali
in cui il mostro spunta inaspettato e noi non possiamo far altro che fuggire o cercare di
nostri peccati, o vinti, essendo i nostri peccati impossibili da espiare. I mostri di Silent
Hill, che descriveremo nei capitoli seguenti, non sono il vero ricettacolo dell’orrore:
quello che terrorizza, nella visione nipponica della storia dell’orrore, è la mancanza di
finale, nel caso di Silent Hill non abbiamo questa certezza e nemmeno questo scopo: il
sentire sempre più inadeguato alla situazione che affronta. I nemici non sembrano
crudeli avversari da sgominare, ma mostri attirati dalla nostra stessa presenza, che ci
vogliono trascinare nel loro abisso.
Questa panoramica delle differenze tra un approccio orientale e uno occidentale nella
vari videogame, non solo dal punto di vista contenutistico ma anche da quello
164
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legata alla modalità di fruizione: uno o più giocatori? E ancora, off-line, e quindi senza
sono, per così dire, molto “tradizionali” e propongono delle strutture narrative che
perché questi ultimi sono composti, nella maggioranza dei casi, sia da elementi
derivanti dalle prime due tipologie che da “integrazioni”, espansioni e punti di forza
contesto”, quali sono le direzioni prese dai vari videogiochi e come queste direzioni
influenzino sia il contesto narrativo che quello interattivo.
165
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sia efficace e che il fruitore sia messo nella condizione di vivere l’esperienza più
player* passa unicamente dal gioco al giocatore (o almeno questo è il processo ideale).
Il single player* è anche la modalità più “antica” di gioco e la prima vera impostazione
dei giochi “narrativi” (quelli con una trama) che, diversamente dai giochi performativi
narrative, interattive e mediali classiche per renderle accattivanti per un pubblico che
comunica in un modo nuovo.
sociale, l’inserimento di questa possibilità di interazione nei vari titoli è stata una sorta
relazioni tra i giocatori. Non sono più solo la struttura, la trama e, più in generale,
quello che accade all’interno del gioco ad avere un impatto sull’esperienza ludica ma
sono anche, ovviamente, la relazione e le interazioni tra i giocatori nella vita reale
(completamente fuori dalla portata effettiva del gioco) che concorrono a creare una
non solo perché noi stessi variamo, nel corso delle varie partite, ma anche il gruppo di
166
Diciamo che questa tipologia di gioco è quella che incarna in modo più “pacato” la teoria dello specchietto retrovisore di McLuhan:
un videogioco single player recupera vari elementi di interattività e multimedialità, nonché strutture comunicative già di altri media,
e li ripropone in una cornice unica, amalgamati e resi accattivanti (e anche più comprensibili) per il pubblico contemporaneo.
166
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gioco varia e, di conseguenza (proprio come nei giochi reali) le singole individualità
apportano modifiche sostanziali a quello che, altrimenti, sarebbe una struttura più
banale o, quantomeno, prevedibile.
A queste due modalità si vanno ad aggiungere e integrare quella on-line e quella off-
line. La prima prevede la fruizione del gioco solo e unicamente in locale, ossia sulla
l’esattezza prima della diffusione capillare della Rete, la modalità off-line era l’unica
contemplata dai giochi (sia per console* che per PC), oggi viene fortemente affiancata
(e, nel futuro prossimo, probabilmente, superata) dalla modalità on-line, che prevede
un contatto “esterno” da parte del giocatore, sia questo contatto con altre persone, sia
Queste quattro modalità possono essere tutte combinate tra loro: in una scala di
“frequenza”, direi che è molto probabile avere giochi single player* e off-line, giochi
multiplayer* on-line, ma anche single player* on-line e multiplayer* off-line. In
particolare, tutti i tre titoli che andremo ad analizzare sono videogame single player* e
alla fiaba, all’horror, alla fantascienza, essi ricreano mondi e contesti che permettono al
on-line invece sono di solito costruiti in modo tale da creare un contesto all’interno del
167
In realtà, questi tre giochi off-line hanno una parte on-line in back-end, che serve per eventuali aggiornamenti e modifiche o
integrazioni per rendere il gioco maggiormente stabile. Considerato, tuttavia, che questa parte on-line non è mai visibile dall’utente
e che le modifiche apportate non sono percepibili a livello di gioco o di esperienza ludica in generale, inscriviamo questa tipologia di
gioco nel settore del’off-line.
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quale i giocatori possono agire liberamente. Recuperano, a loro volta, gli stilemi e i
dettami di un genere (dal fantasy alla fantascienza, dalla detective story allo sport), ma
li sfruttano non per “narrare” direttamente, come avviene invece negli altri giochi, bensì
per costruire la cornice che permetterà ai giocatori di interagire e di far emergere le loro
personalissime narrazioni nel corso delle sessioni ludiche. Questa seconda tendenza, è
sicuramente nuova e non può essere affrontata, in modo efficace, in questa sede, in
Warhammer e perché no anche Second Life. Tuttavia sarebbe errato attribuire un giudizio
della narrazione interattiva pura e semplice, non dobbiamo dimenticare che proprio
“semplice” che, con questo lavoro, intendiamo analizzare. In parole povere, senza la
trasposizione in digitale di alcuni principi narrativi assoluti (che è quello che fanno i
giochi in single player*), non saremmo giunti a un’articolazione così complessa delle
narrazioni relazionali che emergono dai rapporti e dalle “avventure” condivise dai
giocatori. Al di là dell’analisi del trend del momento (non è questo né deve essere
previste da un gioco per andare a esaminare gli elementi salienti e non elementi
nella qualità dei testi videoludici e, in particolare, attraverso i tre selezionati, mostrare
come diversi aspetti del racconto vengano, di volta in volta, resi centrali e
Colossus è abbinata a una modalità di gioco singola proprio per accrescere, in questo
168
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distopica di Bioshock) ha bisogno, ancora una volta, di una dimensione solitaria, che
nel modo più efficace, racconta al giocatore una storia che ha sì un inizio e una fine, ma
che si costruisce in base alle azioni, alle decisioni e anche all’abilità di chi gioca. Ognuna
aspetti: come abbiamo già detto, la nazione di sviluppo del gioco ha una certa
tipologia di interazione si potrà costruire nel modo più corretto e funzionale possibile
la narrazione di cui rivestire il gioco. Non solo: la modalità di interazione dovrà anche
modo diverso a seconda che ci si trovi davanti a un’interazione più esplicita o più
sperimentale.
stiamo vedendo non sta accadendo realmente e che è tutto una finzione. Ovviamente,
anche il videogioco è finzione: è la natura stessa del gioco che lo caratterizza, ossia
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essere un insieme di regole che vanno rispettate, sfruttate o infrante per godere al
attiva dell’azione, che non ci si limita a guardare e a interagire con l’opera a livello
simulazione proposto dal videogioco. Cosa implica, questo? Che, come abbiamo già
diventa, in fondo, anche attore, ossia elemento attivo all’interno della performance
a quello a cui assiste, ma deve anche credere che le sue azioni possano in qualche
modo influenzare il mondo di gioco e deve, man mano, trovare le strategie più efficaci
per raggiungere il proprio obiettivo. Accade, quindi, come emergerà più chiaramente
attraverso l’analisi di Silent Hill, che il giocatore si trovi a dover vivere un’incertezza,
Questo processo, che è sia cognitivo che emotivo, può essere visto in parallelo con
quantità di generi e testi che sconfinano al suo interno sono notevoli. Tuttavia, dopo i
vari tentativi di definizione168 e di schematizzazione nel corso della storia moderna della
critica letteraria, in cui permane la struttura di Todorov, che affianca al fantastico anche
suggerisce Remo Ceserani nel suo testo del 1996, ossia credere che sia necessario, per
168
Un breve excursus sulla critica sul fantastico è presente nel paragrafo riguardante Silent Hill.
170
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In particolare, Ceserani, che non ritiene di dover trovare un chiave di lettura risolutiva
per il fantastico, cita come fondante l’opinione critica di Irene Bessière, la quale applica
il concetto di “controforma” al modo fantastico:
fantastico come un genere che ha una funzione duplice: da una parte porta con sé una
Per capire in che modo la struttura del fantastico applicata al contesto videoludico
“As a critical term, ‘fantasy’ has been applied rather indiscriminately to any literature which
does not give priority to realistic representation: myths, legends, folk and fairy tales, utopian
allegories, dream visions, surrealist texts, science fiction, horror stories, all presenting realms
‘other than the human. (…)” 171
169
Ceserani, Remo (1996) Il fantastico, Società editrice Il Mulino, Bologna, p. 11
170
Bessière, Irene (1974) Le Recit fantastique. La poetique de l’incertain, Larousse, Paris, pp. 10-12, cit in Ceserani, op. cit.
171
Jackson, Rosemary (1986) Fantasy. The Literature of Subversion, Routledge, London, New York, p. 14
171
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La definizione di Rosemary Jackson include nei sotto-generi del fantastico tutti i generi
a cui appartengono le tre opere su cui concentrerò la mia analisi: Shadow of the Colossus
rientra nel genere della leggenda e della fiaba, Silent Hill 2 è chiaramente una horror
story mentre Bioshock può essere annoverato nel genere della fantascienza. La
creazione, in generale nel fantastico ma, a livello più specifico nei videogiochi presi in
che vanno al di là “del lecito”, ossia di quello che, normalmente, viene considerato
Come ogni sistema (sia letterario che reale che ludico), il fantastico ha bisogno di
comportamenti sia fisici che sociali, l’infrazione delle regole precostituite del mondo
Non è lo scardinare sia le norme che regolano il mondo reale, sia quelle narrative su cui
L’eversività del fantastico si applica, infatti, alle regole della rappresentazione mimetica
leggi della natura per sostituirle con altre che hanno una ragion d’essere solo nel
sconvolgendo le regole a cui siamo abituati, ci fa prendere coscienza dei nostri limiti, di
172
È molto importante non confondere il concetto di reale con quello di realismo: nel caso del fantastico, la contrapposizione è sempre
con l’idea di reale, perché è questa la cifra interpretativa forte che dobbiamo tenere presente. Il fantastico non si contrappone al
realismo narrativo, bensì al reale e a tutte le norme restrittive o disorientanti che questo comporta. Più avanti parleremo infatti della
relazione tra fantastico e reale.
173
Irwin, William R. (1976) The Game of the Impossible: A Rethoric of Fantasy, Illinois, p. 57
172
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osservare, interpretare e agire sul mondo attraverso essi. Il punto di forza dell’unione
tra fantastico e videogioco sta nel fatto che il mondo videoludico riesce a creare
situazioni ben strutturate che il giocatore riconosce, all’interno delle quali riesce a
con diverse abilità, caratteristiche e potenzialità dei protagonisti. L’idea di “fuga” dal
mondo reale è un elemento chiave sia della letteratura fantastica che, in periodi più
recenti, dei cosiddetti “mondi virtuali*” (tra cui annoveriamo sicuramente i videogiochi
“The most common of the marks by which we recognize a work that has passed through
the world of Fantasy is the vision of escape. As the fantastic involves a diametric reversal of
the round rules within a narrative world, a narrative world itself may offer a diametric
reversal of the round rules of the extra-textual world. If those external round rules are seen
as a restraint on the human spirit – be they, for instance – the belief that there is no
excitement in life, the belief in the decline of man, the belief in the lawlessness of the
universe – then a fantastic reversal that offers a narrative world in which these round rules
are diametrically reversed serves as a much needed psychological escape. By examining so-
called ‘escape literature’ we can see what it reveals about man.”
Boredom is one of the prisons of the mind. The fantastic offers escape from this prison.”174
Questa riflessione di Rabkin sulla funzione, oltre che sulle modalità, del fantastico, è
fondamentale per capire perché analizzare proprio questa modalità narrativa all’interno
della nostra portata, di calarci in contesti che non ci saranno mai, realmente, accessibili,
173
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veramente è un modo per “evadere”, per andare al di là, per “giocare” con qualcosa di
più grande di noi che altrimenti ci sarebbe precluso.
Il punto nodale della questione che lega a doppio filo il modo fantastico ai videogiochi
quello di aver introdotto tematiche veramente nuove né, tantomeno, quello di aver
innovato generi che fino a vent’anni fa erano appannaggio esclusivo della letteratura
(e al limite, del teatro e del cinema): l’innovazione che i videogiochi ci hanno fatto
percepire, in modo più marcato di quanto era successo con l’avvento del cinema, ad
esempio, è stata quella di mostrarci con quanta facilità e versatilità i contenuti riescono
Le storie, i miti e gli archetipi cari all’uomo sono ancora gli stessi: uno dei grandi pregi
della letteratura è stato quello, tra gli altri, di preservare e tramandare proprio quelle
narrazioni significative per l’essere umano, quelle storie universali che vengono
“classici”, ossia quelle storie che continuano a parlare a tutti. Certo, c’è sempre bisogno
si è passati a una dimensione più intimista e raccolta175. Allo stesso modo, l’esigenza di
fuga dalla realtà, di ricerca di dimensioni ulteriori, che sfuggano alle ferree leggi fisiche
175
cfr. Loretelli, Rosamaria “Psicologia della lettura e nascita del romanzo moderno” in Le origini e le forme del romanzo inglese. Teorie a
confronto, a cura di D. de Filippis e C. M. Laudando (2005), Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’, Napoli
174
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“In attesa che gli intellettuali si decidessero ad uscire dalle tane di carta stampata,
nell’ambito della cultura giovanile ed in quella parte della comunità scientifica collegata in
rete si è assistito ad un proliferare di iniziative spontanee, maturate prevalentemente in
ambiente elettronico, che hanno assunto una crescente importanza in virtù del numero di
persone che ne condividono l’esperienza e della quantità di fenomeni originali che si
registrano nella sfera dell’elaborazione culturale.”176
Quello che è importante è vedere come “il Fantastico, finora inteso come strategia
dell’Umanesimo Tecnologico”177. È questo, infatti, quello che sta accadendo: grazie alla
fantastico diventa la forma ideale per mostrare quale sia la reale motivazione e
percezione degli universi virtuali* all’interno dei quali, oggi, molti “nuovi lettori”
sempre più si rifugiano. Se i contenuti sanno adattarsi in modo più o meno efficace,
quello che interessa a noi è, allora, capire quali siano le modalità secondo cui questo
adattamento avviene, quali gli elementi più esplicitamente mutuati dalla letteratura e
quali invece quelli nuovi introdotti dal medium in questione. Quindi, quali retaggi
stratagemmi gli autori sono “costretti” a inventarsi o a quali strategie sono costretti ad
176
Somma, Lisa, “ Cronache dall’ultramondo: comunità virtuali, identità mutanti, corpi cibernetici” in Runcini, Romolo (a cura di) (1999)
Metamorfosi del fantastico. Luoghi e figure nella letteratura nel cinema nei massmedia, Lithos Editrice, Roma, p. 225
177
Ibid. p. 226
175
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In questo senso, il fantastico rafforza la sua funzione “terapeutica” di fuga dalla realtà,
sia perché fornisce un’alternativa “virtualmente concreta” alla passività di altri media in
auge oggi ma che non sopperiscono più alle esigenze dei fruitori179, sia perché
ripresenta, in chiave nuova, quei miti e quelle storie che i “lettori” contemporanei si
aspettano: se, a livello contenutistico, le esigenze dei lettori non sono cambiate, e
quindi l’interesse per miti ancestrali e storie consolidate è ancora fortemente vivo
perché questi miti e queste storie sono ancora i più adatti al nostro immaginario, anche
la televisione, nel senso che non c’è più spazio per l’immaginazione, che il racconto
virtuali* riusciamo a recuperare sia i contenuti (quei miti che non possono andare
perduti) sia le meccaniche, per cui la dimensione sociale e individuale del “sogno” e
senso, pur essendo fortemente basato sulla grafica e sulla componente visiva,
piuttosto che sulla verbalità, riesce in ogni caso più del cinema o della televisione a
178
Ibid. p. 226
179
Mi riferisco, in questo caso, alla televisione e non certo alla letteratura.
180
Nel senso di troppo esplicito e che non lascia spazio all’immaginazione.
176
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lineare e “a tesi”, ossia costruita in modo tale che lo spettatore abbia, in sequena, tutti
gli elementi necessari per compiere l’interpretazione. Questo non avviene nei
videogame, in cui la struttura narrativa e interattiva non può prevedere una linearità
versione del percorso e dell’avventura, un po’ come accade quando, leggendo un libro,
si immaginano i volti dei personaggi, i luoghi e così via.
“La narrazione fantastica utilizza dei quadri socioculturali e delle forme dell’intelligenza che
definiscono i domini del naturale e del sovrannaturale, del banale e dello strano, non per
pervenire a una qualche certezza metafisica ma per organizzare il confronto degli elementi
di una civiltà relativi ai fenomeni che sfuggono all’economia del reale e del surreale, la cui
concezione varia a seconda delle varie epoche. Corrisponde alla messa in forma estetica dei
dibattiti intellettuali di un particolare momento, relativi al rapporto del soggetto con il
sovrasensibile o del sensibile; presuppone una percezione essenzialmente relativa delle
convinzioni e delle ideologie del momento, messe in opera dall’autore.”181
Come afferma anche Sherry Turkle182, quello che il videogiocatore trova “accogliente”
nel mondo virtuale* è la presenza di regole ben definite che fanno ben comprendere a
dove non vigono le leggi fisiche, etiche e relazionali tipiche della realtà tangibile, il
randomiche come gli eventi della vita reale, che non possono essere veramente
controllati o manipolati. Il giocatore sa che sullo schermo esistono delle regole e sa che
il risultato finale della sua esperienza sarà dettato unicamente dalla sua ricezione e
181
Ceserani, op. cit. p. 14
182
Cfr. Turkle, Sherry (1984) The Second Self: Computers and the Human Spirit, Simon & Schuster, New York
177
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gestire le azioni e le situazioni in modo da arrivare a una conclusione (narrativa) che sia
personale e fortemente individuale, comprendendo una buona dose di creatività.
“Tornando alle analogie tra esperienza del Fantastico e vissuto elettronico, sappiamo che
dal Gothic Romance alla Fantascienza, il Fantastico materializza paure e fobie epocali in
incarnazioni ai limiti dell’incubo, interpretabili come proiezioni simboliche delle ansie
dell’esserci storicamente. Parallelamente, nelle rappresentazioni elettroniche l’immaginario
sociale influenza le tendenze, i percorsi e le aspettative, adombrando, dietro le richieste di
approccio al virtuale, il desiderio di superare l’esperienza della morte.
In entrambe le situazioni attraverso un rituale di passaggio fra reale ed irreale si tenta un
esorcismo, ma la differenza fondamentale è riscontrabile nella forma di partecipazione del
lettore/utente, in senso extra-diegetico.
Nel fantastico letterario irrompe il mistero, si incontrano creature soprannaturali e si
affrontano situazioni estreme secondo uno stereotipo strutturale che confluendo in un
finale riparatorio disinnesca il carattere minaccioso dell’evento terrificante. Dal punto di vista
delle fruizione, la minaccia ‘deve coinvolgere non solo il personaggio della storia ma il suo
stesso lettore, il quale non può identificarsi nell’atto decisivo di una prova da superare ma
resta inchiodato nell’attesa. Il fantastico è soprattutto negazione di esperienza’.
Nell’esperienza virtuale, al contrario, il meccanismo di identificazione è parte integrante del
rapporto utente/ipertesto, fino a costituire una modalità preliminare alla partecipazione. “183
funzione attiva nella costruzione narrativa dell’opera che sta fruendo ed è quindi
coinvolto a un livello più profondo: quello che voglio mostrare, attraverso l’analisi, è
che questo coinvolgimento determinato, in prima istanza, dalla natura interattiva degli
proprio dalla modalità narrativa del fantastico. La proiezione del nostro avatar* nel
183
Somma, Lisa, op. cit. p. 229
178
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mondo di gioco prevede che la realtà narrativa che stiamo sperimentando non sia
un’alternativa alla realtà, ma sia una parte della nostra realtà, parallela e contemporanea
a quello che definiamo reale e, di conseguenza, ha degli effetti diretti non solo sul
mondo di gioco, ma anche su di noi.
Non dobbiamo infatti dimenticare una delle proprietà delle narrazioni fantastiche:
“La narrazione fantastica non definisce una qualità effettiva degli oggetti o degli esseri
esistenti, e tanto meno costituisce una categoria o un genere letterario; essa piuttosto
presuppone una logica narrativa al tempo stesso formale e tematica che, sorprendente o
arbitraria per il lettore, riflette, sotto il gioco apparente dell’invenzione pura, le metamorfosi
culturali della ragione e dell’immaginario sociale.”184
è questo concetto su cui intendo basare l’analisi delle opere e il raffronto tra la
secondo cui viene riprodotto e riproposta la stessa logica narrativa, nel nostro caso
quella della narrazione fantastica.
Il già citato Eric Rabkin, che nella sua carriera e attraverso le sue pubblicazioni è stato in
quantomeno di collegare tra di loro opere letterarie che possono ben definirsi
“The real world is a messy place where dust accumulates and people die for no good reason
and crime often pays and true love doesn’t conquer much. In one sense all art is fantastic
simply because it offers us worlds in which some order, whatever that may be, prevails. In
our real lives street noises occur randomly; they are indifferent to the shape we try to sense
in our lives. But in a novel, street noises may keep the hero awake just before some crucial
task in order to heighten the fear in the reader that the hero may be unready to meet his
test or in order to justify his failure at the crucial task. (…) The fact that traffic and crying
neighbor babies and bowling sirens should coordinate themselves in order to add shape to
the life of our hero is fantastic, a true alternative to the real world.”185
184
Ceserani, Remo, op. cit. p. 12
185
Rabkin, Eric (ed.) (1979) Fantastic Worlds. Myth, Tales and Stories, Oxford University Press, Oxford, p. 4
179
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È esattamente questo che accade nelle narrazioni fantastiche tradizionali di cui parla
“Such worlds are not merely different from our own, but alternative to our own. Fantastic
worlds – perhaps paradoxically – are defined for us and are of interest to us by virtue of
their relationship to the real world we imagine to have been thought normal when the story
was composed.” 186
concetto di videogioco, in cui nulla accade per caso, in cui ogni elemento che nella
realtà potrebbe essere accessorio, superfluo, insignificante, assume un significato, che
sia esso implicito o esplicito. La visione del fantastico secondo Rabkin, e questa pare
essere una prospettiva decisamente affascinante, prevede che la ricezione da parte dei
lettori di questi mondi fantastici sia varia e mutevole proprio in base alla loro
esperienza reale del mondo reale: per questo, nella sua antologia Fantastic Worlds e, in
generale, nel suo lavoro di ricerca, Rabkin tende a cercare di contestualizzare la genesi
anche i videogiochi è, a mio parere, una scelta coerente con la progressione e con la
migrazione della letteratura che nell’epoca digitale sta trovando sbocchi ulteriori ai
canali che sempre l’avevano privilegiata. I testi scelti per l’analisi si inscrivono,
idealmente, nel percorso individuato dallo studioso americano, e che prevede una
studioso parte parlando in modo diacronico del fantastico delle origini, soffermandosi
sui miti, sulle leggende e sulle fiabe, sulla loro evoluzione e sulla loro trasmissione
186
Ibid. p. 4
180
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attraverso i secoli, per passare poi a parlare, di diversi modi (o generi formulaici) del
fantasy moderno. Abbiamo seguito questa traccia ideale per selezionare e analizzare le
fiaba abbiamo Shadow of the Colossus: una tipologia di narrazione molto vicina agli
combattere contro immensi colossi per salvare una principessa. Fonti di ispirazione per
questa vicenda sono state sicuramente le fiabe come La Bella Addormentata nella
versione di Charles Perrault, o il racconto biblico di Davide contro Golia. Elementi della
tragedia greca, e in particolare dell’Antigone si possono ritrovare nella caratterizzazione
del personaggio protagonista. Il concetto del sublime e della natura madre e matrigna,
intese come forze affascinanti e irresistibili, eppure orrende e mostruose, permea tutta
l’estetica del gioco. Miti forti come quelli del Minotauro, ripresi anche da Borges, sono
raccontati in modo nuovo, più metaforico e allusivo che diretto e recuperano tutto il
loro fascino di miti ancestrali: i livelli di lettura sono stratificati, come in alcune opere
strumenti culturali. In generale, Shadow of the Colossus si pone a cavallo tra un mito e
una fiaba, in quanto parte degli elementi sono archetipi, dogmi inattaccabili che
fiaba, perché racconta gli eventi e le avventure di un eroe che deve salvare una
fanciulla. Oltre ai riferimenti letterari più diretti, sarà utile un confronto della struttura
Con la saga di Silent Hill e, in particolare, con Silent Hill 2, si passa invece a un altro
genere di fantastico, quello delle storie di orrore e di fantasmi, che anziché abbracciare
181
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ossia Poe, e del suo emulo, Lovecraft. Silent Hill 2 è un gioco dall’insolita profondità
narrativa, in cui tutti gli elementi interattivi sono volti e ideati in modo tale da essere
giocatore (che veste i panni del protagonista della vicenda) si muove. Più che un
confronto diretto con opere letterarie, anche in questo caso, sarà interessante osservare
che in letteratura sono consolidate da più di un secolo, siano state importate, e con
c’è stato in precedenza. Come iniziatore di diversi generi, Poe ha gettato basi
impossibili da ignorare, soprattutto quando, come nel caso di Silent Hill, si cerca di
statunitense. Comparare quindi la tecnica narrativa utilizzata in Silent Hill 2 con alcuni
racconti di Poe come Berenice, The Fall of the House of Usher, King Pest, e irrobustire questo
confronto con elementi contrastanti e talvolta opposti, presi da scritti di Lovecraft
come The Shunned House e At the Mountains of Madness ci aiuterà a capire in che direzione
è andato il team di sviluppo di Silent Hill e in che direzione sarà possibile o opportuno
andare in futuro per creare opere interattive di pari suggestione e fortuna.
appartenenti all’America anni ’50-’60 e che mostra, recuperando l’idea del monstrum e
del super-uomo, un ipotetico percorso dell’essere umano che decide di andare contro
più ovvio. Non potranno mancare però alcune riflessioni sulla società “ideale”, come
182
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probabilmente avviene in tutti gli altri casi citati, il livello di complessità e di profondità
toccato da questi videogiochi, non ultimo Bioshock, può apparire superficiale rispetto
agli ipertesti187 con cui vengono confrontati, l’idea fondamentale che ci interessa
meccaniche di base utilizzate per costruire la storia prima e la narrazione vera e propria
poi rimandino sempre a riferimenti classici. Trasformare quello che una volta era un
una problematica oltre la quale non riusciamo ancora ad andare: così, Frankenstein,
seppur scritto nel 1818 è ancora attuale, ha solo bisogno di un'altra “veste” per essere
presentato al pubblico. Lungi dall’affermare che Bioshock sia il moderno equivalente del
romanzo della Shelley, quello che voglio sottolineare è come alcuni memi che
riguardano l’essere umano non muoiano mai e vengano solamente rivestiti di abiti
nuovi per essere presentati, accettati e compresi dal pubblico a cui sono rivolti.
Oltre a questa panoramica sulle caratteristiche specifiche dei videogiochi (che verrà
approfondita, per ciascun titolo, nella parte a esso dedicata), è importante sottolineare
quali siano gli elementi cardine che vengono recuperati, in generale, dal modo
vivono e attraversano condizioni particolari, che si trovano davanti ad aut aut tragici,
che hanno trascorsi difficili oppure, più in generale, un passato misterioso e oscuro che
permette al giocatore di identificarsi più facilmente con il personaggio con cui si ritrova
tre i casi presi in esame, come più in generale nello storico dei videogiochi fantastici,
187
Nel senso genettiano del termine.
183
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della loro sensibilità e del loro approccio all’opera. È, in sostanza, quell’alternativa reale
proprio universo alternativo, quello di cui parlano Rabkin e Ceserani). Il ritmo del
racconto, infine, sia nello specifico dei casi sopra citati sia, più in generale, nel caso del
fantastico nei videogiochi è dettato da una commistione delle regole del mondo di
gioco e delle scelte individuali e fortemente personali dei giocatori che, trovandosi
davanti a diversi problemi, enigmi, ostacoli, possono scegliere un approccio diverso per
affrontarli e superarli.
È la percezione dei contenuti che cambia, la modalità di fruizione del contesto e del
messaggio, ma non “il mito” che sta alla base del racconto. È questo che è interessante
troviamo di fronte a uno sconvolgimento dei significati, quanto dei significanti. Dato
che il giocatore trova “noiosa” (e qui, mi ricollego alla riflessione più sopra riportata di
parola, dato che la mancanza di interattività (del cui ruolo fondamentale abbiamo
imparare a riproporre tutte quelle caratteristiche che lo rendono efficace per il pubblico
letterario anche a un pubblico non-letterario ma, più che altro, videoludico e multi-
occhi di tutti: analizzare nello specifico quali siano i passaggi, quali meccanismi
184
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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Tenendo comunque presente il dibattito di cui ho riportato nel primo capitolo, ossia
che le varie parti costitutive del videogioco sono più “tradizionali”, in sé, di quanto non
lo sia il prodotto finito e credo anche fortemente che solo un’integrazione sempre
migliore tra queste parti possa portare a un utilizzo realmente complesso di questo
nuovo linguaggio su cui abbiamo da poco messo le mani (e la “penna”). Per questo,
nelle seguenti pagine, cercherò di individuare le analogie tra le strutture narrative dei
elementi diversi, a seconda del videogioco preso in analisi: non tutti, infatti, recuperano
allo stesso modo meccaniche o strutture narrative, ognuno di essi lo fa, piuttosto, in
modo funzionale a quello che vuole comunicare al moderno “lettore”. Anche questo, in
passato erano fondamentali oggi diventano accessori o se, al contrario, alcuni elementi
prima assenti o sottovalutati, fanno il loro ingresso “da protagonisti” nelle narrazioni
digitali, è un’ulteriore riprova del fatto che raccontare storie oggi sta assumendo una
forma nuova, che solo tra diversi decenni potremo veramente comprendere e
codificare: per ora possiamo osservare e riflettere, senza avere l’illusione di capire
185
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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Capitolo 4
Opere narrative a confronto
fiaba, non di favola. Se, infatti, la favola è un componimento letterario che fornisce
che rappresentano i vizi e le virtù degli uomini, la fiaba è una tipologia narrativa che ha
origine nella tradizione popolare e ruota intorno a storie brevi che si concentrano su
personaggi fantastici come fate, orchi, giganti e così via. Le fiabe hanno sicuramente
infatti, vede le origini ancestrali di questa forma narrativa nelle società tribali e nei riti
formulare una strutturazione tipica della fiaba che si presta, in parte, ad analizzare
anche questa “fiaba silenziosa” contemporanea che è Shadow of the Colossus.
Wander, un bambino quasi adolescente che porta come molti personaggi, un nomen-
omen in cui è inscritto un intero destino, deve salvare Mono, una ragazza caduta vittima
sappiamo della maledizione che ha colpito Mono: sappiamo solo che la sua vita è
appesa a un filo e che Wander si sente responsabile per lei, che deve salvarla. Dal
accompagnato solo dal fidato Agro, un cavallo nero e veloce come il vento, deve
esplorare la terra circostante e obbedire gli ordini di Dormin, lo spirito del Sacrario del
Culto che gli chiede di uccidere, uno dopo l’altro, i sedici Colossi che abitano quelle
186
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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una strada rischiosa. Oltretutto, Lord Emon, custode della landa all'interno della quale
della rovina. Tuttavia, Wander sente di non poter evitare di salvare la fanciulla che giace
incosciente sulla fredda pietra del Sacrario.
Wander, che sarà poi l'avatar* attraverso cui il giocatore vivrà questa avventura, si trova
quindi da solo al cospetto di una fanciulla senza vita e con le sole indicazioni e aiuto di
uno spirito ambiguo, terrificante quanto invisibile, che gli descrive, di volta in volta, il
Colosso che dovrà affrontare. Quella di Wander è un'avventura che parte come ogni
fido destriero Agro, armato solo di uno scudo e di una spada magica che lo aiuta a
misteriosa per portare a termine la missione che egli stesso ha cercato e a cui non può
sottrarsi. I colossi sono sedici: Valus il Minotauro, Quadratuso il Toro, Gaius il Cavaliere,
Lucertola, Basaran la Tartaruga, Dirge il Verme della sabbia, Celosia la Tigre, Pelagia il
Mostro marino, Phalanx il Serpente volante, Cenobia il Leone, Argus il Guerriero, Malus il
Mago.
trovarsi di fronte a un giovane eroe che sta per affrontare una prova di iniziazione. In
esseri enormi fatti di carne, roccia, erba e antichità, e per sconfiggerli si trova costretto
ad aggredirli e a “scalarli” letteralmente, per giungere a colpire i loro punti deboli così
da annientarli, strappando loro quell'essenza vitale nera che va, a ogni uccisione, a
contaminare però il suo corpo rendendolo sempre più l'ombra di se stesso. In effetti,
187
I videogiochi: Paggiarin Valentina
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Dormin, lo spirito nel Sacrario, avverte Wander che il prezzo da pagare per la sua
richiesta sarà alto, ma l'eroe non può far altro che accettare questo patto, perché è nella
sua indole e nel suo destino di principe il compito di salvare la giovane principessa.
Lentamente, tuttavia, dopo l'uccisione di ogni colosso, resa ancora più toccante e
struggente dalla musica e dal dolore con cui quegli enormi ammassi di pietra viva
sembrano cadere sotto i colpi di Wander, il giocatore si rende conto che non sta
quelli contro i colossi sono veri e propri “omicidi su commissione”. Più che mostri,
infatti, i colossi sono figure a metà tra spiriti e folletti un po' troppo cresciuti, sono
tutti i colossi: dopo ogni uccisione il suo corpo si vena sempre più di nero, assorbendo
l'anima nera che fuoriesce dal corpo e dagli occhi dei giganti quando muoiono. Dopo
ogni uccisione, Wander si ritrova nel Sacrario del Culto, incosciente e attorniato da
strane ombre, come di bambini: sono gli animi dei colossi che lo vegliano, nonostante
tutto, e che cercano, nel dormiveglia, di riportarlo alla ragione. Tutto è però vano,
perché Wander segue fino alla fine le istruzioni di Dormin. Lord Emon, lo stregone e
custode di quelle terre, arriva quando ormai la metamorfosi di Wander è completa:
corpo martoriato di Wander e libera tutta la propria potenza a discapito della vita del
ragazzo. Si viene a scoprire, infatti, che i colossi erano frammenti dello spirito malvagio
di Dormin che Lord Emon aveva separato e affidato ai giganti affinché li costudissero
in loro ed evitassero che quello spirito possente riacquistasse la sua forza distruttrice.
sua antica potenza e può tornare a dominare. Lord Emon non riesce a impedire a
il ragazzo e per intrappolare sia lui che lo spirito all'interno del Sacrario del Culto,
188
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ancora e per sempre. Wander muore, ma Mono è salva: Dormin ha infatti mantenuto la
promessa e una volta riacquistati i suoi poteri ha risvegliato la principessa dal suo
sonno senza fine. L'eroe è quindi morto, la principessa è guarita. Proprio Mono, alla fine
della distruzione del Sacrario, all'interno del quale rimane intrappolato lo spirito di
Dormin, trova un bambino con le corna, in fasce, fuori dal tempio crollato: quel
Questo finale aperto si ricollega al primo episodio, la “favola dell'era digitale” di cui
abbiamo parlato all'inizio, ICO. Lì, infatti, il protagonista Ico, un bambino con le corna
isolato dalla sua gente perché incarnazione di uno spirito colpevole, deve salvare la
principessa Yorda dal castello in cui la Regina nera la tiene rinchiusa. Ma questa è
un'altra storia. Quello che ci interessa è che il nostro eroe muoia. E, soprattutto, che sia,
da un certo punto di vista, colpevole, o quantomeno, “moralmente discutibile”.
Per parlare di Shadow of the Colossus in termini di fiaba è necessario procedere su due
essere utile osservare in che modo quella che noi crediamo essere realmente una fiaba
moderna ricalchi, recuperi e, in alcuni casi, adatti e modifichi alcune delle 31 funzioni
umano. In altre parole, vedremo come la scelta di Ueda di aderire a una struttura
188
Tendenzialmente, è rischioso applicare pedissequamente strutture e metodologie concepite per altri medium o altri linguaggi a un
mezzo nuovo e in progress come il videogioco. Infatti, nonostante si percepisca una chiara e forte componente narrativa, la
narratologia, di qualsiasi scuola, non è né può essere l’unico parametro in gioco quando si effettua un’analisi di questo tipo. Molte
delle scelte narrative, infatti, sono influenzate da elementi completamente extra-testuali che non rientrano sicuramente negli schemi
narratologici.
189
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I personaggi di Shadow of the Colossus, tra cui si ripartono le funzioni che più sotto
il falso aiutante e il falso antagonista. In particolare, l'eroe della nostra fiaba è Wander:
giovane “principe” armato di spada e destriero che sfida le forze del “male” per
che accompagna l'eroe nelle sue avventure e che risulta indispensabile per il
in fin di vita) che l'eroe Wander deve salvare. Caratterizzata come la principessa delle
fiabe, Mono incarna anche lo spirito femminile dell'attesa, mentre Wander è quello
maschile del viaggio e dell'avventura. Il mandatario, ossia colui che dà il via alla vicenda
spirito del Sacrario del Culto che non vuole tanto aiutare Wander nel salvare Mono
quanto essere liberato dalla sua prigione magica. La figura di Dormin è molto ambigua
e meriterà, più avanti, un approfondimento, perché incarna tre ruoli che abitualmente
questa fiaba non è propriamente corretto: dal titolo di questo approfondimento infatti
tutti possono essere visti come “buoni” o “cattivi”. I colossi e Lord Emon, infine, sono i
quindi il risveglio di Mono. In effetti, però, sia i colossi che Lord Emon non sono
190
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quello di ostacolare l'eroe quanto quello di preservare un grande potere che, nelle
mani sbagliate, può portare morte e distruzione più che salvezza e felicità. Già da
funzione di testimoniare strutture sociali e sistemi di valori del passato. Propp stesso
scrive:
“Ne deriva la premessa che bisogna mettere in rapporto la fiaba con le istituzioni sociali del
passato e cercare in queste le sue radici storiche (...). Inoltre vediamo, ad esempio, che l'eroe
molto spesso viene fatto re. Ma di chi è il trono al quale ascende l'eroe? Risulta che l'eroe non
occupa il trono del padre, ma quello del suocero che spesso egli stesso ha ucciso. Ci si
domanda allora, a questo punto, quali sono le forme di successione al potere che trovano
riflesso nella fiaba. In breve, noi partiamo dal presupposto che nella fiaba si siano
conservate tracce di forme di vita sociale scomparse, che bisogna studiare questi resti e che
questo studio rivelerà le fonti di molti motivi della fiaba.” 189
Il sistema di valori secondo cui è possibile uccidere il proprio il padre della fanciulla per
impossessarsi del suo regno è un chiaro indicatore della bilancia per misurare il bene e
il male. Quando un eroe era ritenuto tale nonostante uccidesse vecchie malvagie (le
una chiara tendenza e una chiara idea di cosa fosse “bene” e cosa fosse “male”. Nel caso
di Shadow of the Colossus, invece, questa ambiguità non viene risolta. Certo, la giovane
fanciulla alla fine viene salvata, e tutto sommato l'eroe ha una seconda possibilità In
effetti, però, l’eroe non è realmente ‘eroico’ e l’alternativa concessagli non è così
allettante: sia egli che la sua stirpe saranno dannati per i secoli a venire, fino a quando
uno dei discendente non riuscirà a espiare la colpa del’avo. I colossi, che si rivelano
essere figure animiste veramente buone e indifferenti all'uomo, placide e pacifiche che
disturbare nessun altro essere vivente, sono alla fine tutte annientate dal Wander-
giocatore. Lo spirito di Dormin, che sembra avere mire malvagie è, in realtà, solo in
189
Propp, Vladimir J. (2006) Le radici storiche dei racconti di magia, Newton Compton Editori, Roma, p. 144
191
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cerca del bene supremo, ossia della libertà. Lord Emon a sua volta, proprio come i
colossi, vuole solo adempiere al suo ruolo di custode nel migliore dei modi possibili.
fiaba moderna: il bene e il male, il sistema di valori della comunità di riferimento non
sono più così definiti da diventare uno dei possibili punti di arrivo dell'analisi, come lo
erano nello studio di Propp. Possiamo parlare allora di manifestazione del rito, forse?
Esiste una ritualità all'interno della fiaba di Ueda? La risposta è sicuramente sì, ma non
è una ritualità emblema del popolo o del contesto che hanno prodotto l'opera, bensì è
una ritualità “letteraria”, che vuole innanzitutto manifestare un chiaro legame tra
questa fiaba moderna e quelle classiche e folcloriche del passato. Propp afferma:
“La fiaba ha conservato traccia di molti usi e riti; molti motivi trovano la loro spiegazione
genetica soltanto se confrontati con i riti (...). Se ci riuscisse di mostrare quali motivi
attengono a questi riti riusciremo in certa misura a spiegare l'origine di questi motivi. È
necessario studiare sistematicamente questo nesso tra fiaba e riti.”190
Seppure Shadow of the Colossus non ci permetta di gettare luce sul legame che intercorre
tra i riti e i motivi classici, tuttavia ci permette di compiere questo ambizioso confronto
narrazione, e quindi la ritualità che sta alle spalle della narrazione, ci aiutano a capire
raccontare una fiaba secondo la struttura tipica delle fiabe classiche. In altre parole, il
rito di Wander, ossia l'uccisione dei sedici colossi, è un rito che diventa sia motivo che
struttura portante del racconto: attraverso il suo agire configuriamo una storia ma,
sempre attraverso il suo agire, questa storia viene percepita dal giocatore nello stesso
di “litania” religiosa e la struttura fortemente formulaica tipica delle fiabe ha, come
formule fisse, i patronimici, e così via, sono tutti elementi che aiutano nell’ascolto e che
190
Ibid. p. 145
192
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assicurano la ricezione del messaggio. Allo stesso modo, il gameplay* ricorsivo su cui si
basano le azioni di Wander, svolge lo stesso ruolo in questa “fiaba moderna”: Wander
deve ripetere per sedici volte (fino all’uccisione dell’ultimo colosso) il rituale che lo
conduce al ritrovamento del colosso, alla sua sconfitta e all’acquisizione dei poteri.
Questa ricorsitivà ha, in effetti, anche la funzione di “distrarre” il giocatore dalle azioni
dell’avatar*: la ripetizione diventa così “scontata” che il giocatore smette, per un po’, di
interrogarsi sulla bontà delle azioni che sta compiendo, salvo poi rendersi conto che
l’automatismo che governava le sue scelte non era così innocente come poteva
sembrare.
in ICO e quindi, probabilmente, è una connotazione autoriale e stilistica di Ueda più che
un nuovo motivo inserito nella trama della fiaba. Altrettanto tipica dell'autore è,
tuttavia, l'aderenza alle funzioni di Propp:
“Forse l'originalità di ICO sta proprio qui, nella sua apertura, incertezza, indeterminazione
(...). Ci sono pochi dubbi che in ICO l'effettivo percorso della storia ricalchi certamente le
teorie proppiane sulla struttura narrativa, esposte in Morfologia della Fiaba.
In particolare, Propp indica la ricorrenza di tre grandi prove: una prova qualificante nella
quale il soggetto si rende competente, atto a fare, attraverso esami e riti di iniziazione; una
prova decisiva nella quale il soggetto si realizza portando a termine un certo numero di
azioni; una prova glorificante nella quale il soggetto ottiene il riconoscimento di ciò che ha
fatto e di conseguenza di ciò che è. All'eroe non è lasciata alcuna libertà di scelta: deve
sottoporsi a tali prove. Dalla loro articolazione prende forma una storia completa. In ICO
troviamo sia la prova qualificante sia la prova decisiva descritte da Propp. E gli indizi di quel
retaggio genetico che lega Ico allo sventurato ruolo di vittima sacrificale designata
rinforzano il valore funzionale della prova glorificante – ovvero spezzare quella maledizione
che ha afflitto il ragazzo, relegandolo ai margini dell'interazione sociale.”191
I riferimenti a ICO non sono accessori: Shadow of the Colossus costituisce, in un certo
senso, una sorta di mitopoiesi delle vicende davanti a cui il giocatore si era trovato
pedissequo e l'eroe era effettivamente un eroe fiabesco, in Shadow of the Colossus, opera
191
Mottershead, Ben (2007) Ico. Una favola dell'era digitale, Edizioni Unicopli, Milano, p. 40
193
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più matura e precorritrice di ICO, le funzioni di Propp sono lievemente distorte, perché
ruolo fisso e ben determinato. Per capire meglio e argomentare questa affermazione è
il caso di passare alla ricostruzione della trama di Shadow of the Colossus in base alle
funzioni della Morfologia della Fiaba: potremo così constatare che, seppur presenti, le
funzioni sono ricontestualizzate e i personaggi tra cui queste funzioni sono ripartite e
gli attributi stessi di questi personaggi sono in un certo senso “deviati”, rimodellati in
base a una sensibilità più contemporanea e postmoderna che folclorica e classica192.
La situazione iniziale prevede che all'eroe venga fatta una proibizione (I, 1): in
particolare, l'eroe non deve interagire con lo spirito del Sacrario del Culto né,
ovviamente, obbedire ai suoi comandi. La proibizione viene violata (III): “entra in scena
ora nella fiaba un nuovo personaggio che può essere chiamato il cattivo”, ma che
nell'economia del nostro racconto non è facile definire tale. Infatti, come nel caso di
un'altra fiaba moderna, Il labirinto del Fauno193, il “cattivo” è definito come tale solo da
prove “indiziarie”: il tono della sua voce, le richieste che fa all'eroe e l'atteggiamento che
ha nei suoi confronti. In realtà, “il suo ruolo è quello di guastare l'atmosfera di pace
nella quale vive felice la famiglia e di provocare una certa sciagura, di infliggere un
danno o di pregiudicare la situazione”. In realtà, nel nostro caso, non è Dormin (o,
medias res e l'entrata in scena del “cattivo” è tale solo perché, fino a quel momento, è
l'unica figura mancante nell'orizzonte di attesa del giocatore. Più avanti osserveremo
narrazione e di come contribuisca alla messa in discussione del sistema di valori della
fiaba, solitamente fondato sugli opposti bene-male. Allo stesso tempo, il cattivo tenta
194
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ritrovare tutti i colossi e di annientarli, in quanto (ma questo non lo scopriremo fino
alla fine) essi sono i baluardi del potere di Dormin, che vuole reimpossessarsi delle sue
proprietà magiche. A questo punto il cattivo tenta di ingannare la sua vittima (VI, 3):
Dormin inganna Wander (che quindi non è più solo eroe, ma anche vittima) con la
tradizionale: i confini tra bene e male sono confusi e non nettamente individuabili
accettata, partendo da uno stato iniziale confuso, immaturo e discutibile. Wander viene
convinto da Dormin che l'unico modo per risvegliare Mono sia l'annientamento dei
meno) il nemico (VII) e sottostà a tutte le condizioni del cattivo. Le proibizioni vengono
perché il “cattivo” si avvale della situazione difficile nella quale si trova l'eroe: la sua
principessa è malata e deve essere guarita, ad ogni costo. L'ottava funzione di Propp
(VIII, 6 e 14) costituisce la prima “incongruenza” di questa fiaba con la struttura canonica
scopi, però innanzitutto questa è la vera funzione preparatoria del racconto (mentre
Propp individua come preparatorie le precedenti sette sopra descritte) e, oltretutto, non
leitmotiv dell’assenza di morale oggettiva, che invece non manca nella fiaba: qui il
antagonista. In ogni modo, per rispondere a questa ottava funzione, possiamo dire che
195
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il “cattivo” compie un'azione intermedia tra l'arrecare una lesione fisica e il commettere
un omicidio. Questa, in effetti, è una forma collaterale che si associa ad altre forme di
fisicamente contaminandolo con la propria essenza (che l'eroe sottrae, di volta in volta,
ai singoli colossi). A questo punto riprende la struttura proppiana del racconto. Il fatto
che la fiaba non segua punto per punto le funzioni di Propp è un processo che lo
stesso Propp aveva messo in luce. In realtà, quello che ci interessa osservare non è solo
un utilizzo coerente delle funzioni di Propp da parte del videogioco, ma come queste
sicuramente però mantengono i ruoli dei personaggi chiave molto chiari e ben definiti.
Questo non accade in Shadow of the Colossus. È questa, in fondo, la sua originalità:
salvare la vita all’amata oppure cerca di ottenere uno smisurato potere per sé? È aiutato
dallo spirito guida o è manipolato dallo spirito malvagio? E così via.
L'eroe riceve un ordine e viene lasciato andare a esplorare le terre del regno che fu di
Dormin per trovare e uccidere i colossi (IX, 1, 2). Ci troviamo davanti a un eroe
“ricercatore” che parte per assolvere il compito che gli viene assegnato direttamente. La
promessa che accompagna l'invito, da parte dello spirito del Sacrario del Culto, è di
salvare la principessa. Ancora una volta ci sono degli sconvolgimenti: l'eroe è sia eroe
Wander è quella di eroe ricercatore e attivo, perché sebbene subisca l'inganno, decide
in ogni caso di agire e di pagare “l'elevato prezzo” prospettato dal mandante: non
sappiamo, in effetti, se Wander sia consapevole fin dall’inizio del ruolo che Dormin gli
196
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sta facendo ricoprire. Non sappiamo se il protagonista abbia chiare le intenzioni dello
spirito che lo comanda. Wander (e con lui anche Dormin e i colossi) sono caratterizzati
da una indeterminatezza dei ruoli e delle identità. Wander, infatti, acconsente alla
partenza (X). L'eroe abbandona il tempio e intraprende la sua ricerca: Propp individua
questa come funzione univoca, mentre in Shadow of the Colossus questa funzione è
ricorrente e serve per creare una sorta di “formula” della fiaba stessa: per sedici volte
l'eroe sarà sottoposto a una richiesta e per sedici volte egli partirà dalla casa per
andare, sempre con maggiore fatica, ad assolvere al suo compito. La partenza dell'eroe
ricercatore194 ha come scopo la ricerca. L'eroe non incontra alcun donatore sulla propria
strada, in quanto è già in possesso dell'artefatto magico che gli permetterà di porre
rimedio alla sciagura: la spada con cui può individuare i colossi e annientarli è una
o artefatti magici. Mancano, quindi, tutte le funzioni che vanno dalla XII alla XIV, e che
riguardano l'oggetto magico necessario a Wander per la sua ricerca. Si passa alla fase in
cui l'eroe si dirige sul luogo in cui si trova l'oggetto (gli oggetti) della sua ricerca (XV, 2):
grazie al fedele Agro, l'eroe viene trasportato sulla terra e sull'acqua e raggiunge,
entra in possesso di parte del “mezzo” di cui necessita per portare a termine la sua quest.
Per sedici volte Wander dovrà affrontare il nemico e per sedici volte dovrà
impossessarsi del mezzo per salvare Mono. La lotta con i colossi ha un carattere
prettamente fisico, di scontro diretto, e l'eroe deve vincere non solo grazie alla sua
forza ma anche all'astuzia. Il cattivo è vinto (XVIII, 1, funzione questa che viene prima
della XVII, in questa fiaba) A Wander, dopo ogni scontro, viene impresso un marchio
(XVII, 1): tra atroci sofferenze, che paiono essere tali sia a livello fisico che mentale, il
corpo dell'eroe viene marchiato, nonostante vinca il nemico. Tale marchiatura è solo
194
Questo, ovviamente, presupponendo una “ingenuità” di Wander e la sua natura, come descritta dal nome, di “eroe errabondo” che
cerca qualcosa.
197
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una marchiatura preliminare. Vedremo infatti che, alla conclusione della vicenda,
Wander riceverà un'ulteriore marchiatura di cui si dovrà fare carico per le generazioni a
venire e che sarà la testimonianza tangibile della vicenda che ha vissuto. In effetti, a
questo punto, viene posto riparo alla sciagura iniziale (XIX, 8-9) ossia il personaggio
completando il suo piano, che tale era fin dall’inizio, vale a dire liberarsi dal giogo e
dalla prigionia dei colossi che racchiudevano ognuno una parte del suo spirito. A
questo punto abbiamo quindi la fase del riconoscimento: innanzitutto, i colossi
vengono identificati, a loro volta, come vittime e non come antagonisti, mentre il
questo caso particolare, tuttavia, la funzione di Propp non viene del tutto rispettata.
Wander infatti trasmuta e assume le sembianze del demone Dormin, tuttavia questa
trasmutazione non coincide con il suo trionfo, bensì con la sua dannazione. Da questo
quello che per tutta la vicenda è stato l’eroe. Alla fine del racconto, il cattivo è punito
Emon che non risparmia neppure il ragazzo: l’eroe muore insieme al cattivo. Tuttavia,
proprio in questa funzione, convivono la punizione impietosa (la morte) e una sorta di
“magnanimo perdono”: a Wander viene data una seconda possibilità, in quanto rinasce
(e qui abbiamo la seconda comparsa della funzione XVII, 1 in cui all’eroe viene impresso
un marchio sul corpo) e si reincarna nel corpo di un bambino con le corna e viene
affidato alle cure di Mono, che, per affetto e debito di riconoscenza, si prenderà cura di
lui così che una volta cresciuto possa espiare la sua colpa. In effetti, considerato che
198
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Shadow of the Colossus è un prequel di ICO, noi sappiamo che Wander espierà la sua
colpa solo in un lontano futuro, attraverso uno dei suoi discendenti (Ico, appunto)
salvando una principessa di luce, Yorda, dalle oscure brame della Regina Nera che,
come già era successo a Wonder, sta cercando di impossessarsi del corpo di Yorda per
rinascere ed essere pienamente potente.
Abbiamo così una fiaba vera (ICO) e quelli che sembrano i “prodromi” di una fiaba
(Shadow of the Colossus):
“Rispetto alla serie di Harry Potter (J. K. Rowling) e Final Fantasy (Squaresoft, 1987), in ICO il
senso della narrazione fiabesco è snellito al massimo. Il gioco rimanda ad un'epoca in cui le
fiabe erano parte integrante della cultura folk e non di industrie culturali capaci di sfornare
merchandise, tie-in e spin-off alla velocità della luce.”195
Se ICO era una fiaba “semplice”, ossia rispetta in modo alquanto definito i dettami e la
struttura della fiaba tradizionale, con Shadow of the Colossus ci troviamo di fronte a
come abbiamo sopra visto, vengono riconfigurate. Non vengono stravolte tanto da
diventare irriconoscibili: restano le stesse, ma vengono applicate in modo nuovo.
“La popolarità che la fiaba conserva tutt'oggi, nell'era di internet e della televisione
satellitare da 500 canali, non si spiega certo con l''originalità' delle trame, ma con il bisogno
sociale che esse espletano (...). A nostro avviso, il gioco di Ueda ha contribuito a svecchiare e
insieme aggiornare la favola tradizionale. E nel contesto videoludico – medium
relativamente acerbo – ICO è forse il solo videogame capace di distinguersi dagli scenari
zuccherosi della premiata factory Nintendo, la cui serie Zelda lancia messaggi più
rassicuranti e confortanti. Zelda condivide molti temi della fiaba tradizionale. È un gioco
avvincente, ma tutt'latro che imprevedibile, basato com'è su modelli narrativi rigorosi. Come
una leggenda che si tramanda di generazione in generazione, anche gli episodi di Zelda
formano una sorta di mitologia digitale, raccontano storie che rincuorano, anziché
destabilizzare. Storie che non potranno che concludersi positivamente. ICO, al contrario,
tiene con il fiato sospeso fino all'ultima schermata.”196
195
Mottershead, Ben op. cit. p. 28
196
Ibid. p. 29-30
199
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Se la funzione della fiaba non è messa in discussione attraverso i secoli e se già ICO
originale, Shadow of the Colossus continua questa tendenza e si propone, ancora una
volta, come fiaba in cui il lieto fine non è d’obbligo e in cui, soprattutto, i valori, i
simboli e le funzioni dei personaggi vengono “sovvertite”.
porta necessariamente con sé: nella fiaba tradizionale il sistema di valori era chiuso.
L’autore presentava un racconto “a tesi” con una morale ben definita che linearmente e
Diversamente, nel caso della narrazione digitale e di una fiaba concepita per un
pubblico moderno, che crede più nell’indeterminatezza postmoderna che in una Verità
assoluta, la “lezione” impartita dalla fiaba stessa non può essere meramente legata al
prima in un’ottica più classica e tradizionale, quella cioè del principe deputato a salvare
la principessa con cui vivere “per sempre felici e contenti”, poi nell’ottica del gioco, ossia
come personaggio che compie scelte “al di là del bene e del male” e che non è più
caratterizzato in modo univocamente positivo.
Wander è un eroe dalla duplice natura: da una parte è l’archetipo dell’eroe classico,
dall’altra, invece, porta con sé caratteristiche contrapposte a questa figura. Come ogni
originaria, che vedeva gli eroi come semi-dei. È un principe azzurro e gli elementi come
la spada, lo scudo, il destriero servono per rimarcare il suo status. Ha una principessa da
salvare, la quest di solito prestabilita per il principe, affinché compia il suo percorso di
iniziazione, sconfigga il nemico e conquisti il trono che gli spetta e insieme ad esso la
200
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sua amata. Wander è un avventuriero che ci ricorda il principe delle fiabe, che attraversa
lande desolate, scala montagne, uccide mostri e che si aspetta come premio finale la
bella addormentata riportata in vita. Wander, però, è una figura più ambivalente: se
senza macchia e senza paura”, a differenza degli eroi tipici delle fiabe, nel corso della
vicenda egli “degenera” fino ad andare a rispecchiare, almeno a livello estetico se non
anche etico, una sorta di “angelo caduto”, di anti-eroe disperato. Il suo corpo si
“macchia” dopo ogni uccisione, il suo spirito appare sempre più stanco, l’eroe è sempre
più solo. Più che compiere un percorso di “formazione”, come appunto accade nelle
fiabe, o di “redenzione”, Wander passa da eroe a mostro. In questo caso, facendo leva
sul nostro patrimonio culturale, il fiabesco è stato solo una fascinazione letteraria
utilizzata per condizionare il nostro immaginario: uno spazio, un tempo, dei caratteri
Come abbiamo accennato durante l’analisi, Wander è sia eroe che vittima, i colossi sono
Tuttavia, ancora una volta, anche l’attribuzione del ruolo di “cattivo” è forse fuori luogo.
Abbiamo già detto che Dormin cerca solo il bene supremo, ossia la propria libertà:
certo, in questa ricerca egli strumentalizza e sfrutta la morte di una giovane fanciulla,
innocente dal cuore puro ad aggredire spiriti pacifici e abbandonati nell’oblio, ma tutte
queste azioni abiette sono compiute, in effetti, da Wander, e non dal demone, e allora
nell’ottica delle funzioni dei personaggi abbiamo un ribaltamento e Dormin può essere
c’è una risposta univoca, né giusta, né sbagliata: uno degli scopi degli autori di questa
fiaba digitale era proprio quello di creare un fortissimo senso di disorientamento. Non
a caso, diversi giocatori hanno abbandonato l’esperienza ludica dopo alcune uccisioni
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di colossi perché si sentivano “in colpa”. Nel suo articolo “Shadow of the Colossus. L’amore
giustifica tutto?” la giornalista videoludica Alessandra C scrive:
quello di mettere il giocatore nei panni di quello che non si capisce se sia un eroe o un
197
Alessandra C, “Shadow of the Colossus. L’amore giustifica tutto?” in LaStampa.it del 9 marzo 2006,
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giochi/grubrica.asp?ID_blog=35&ID_articolo=29&ID_sezione=49&sezione=
(29/09/2008)
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anti-eroe: la missione che stiamo portando a termine è veramente nobile o stiamo solo
biecamente ed egoisticamente perseguendo uno scopo personale?
Quello che è interessante è osservare come il coinvolgimento diretto del giocatore sia
più “compulsivo” rispetto a quello del lettore: non solo, è sicuramente più “subdolo”, in
questo caso più che in altri. In altri videogiochi, infatti (si pensi, ad esempio, alla saga di
GTA, per citare un esempio estremo e ben conosciuto) non solo la caratterizzazione del
dell’avatar* di cui vestiamo i panni. Il contesto (lo spazio di gioco) tematizza i contenuti
e noi siamo consapevoli fin dall’inizio di quale sarà il nostro “ambito” d’azione e le
modalità secondo cui agiremo. Nel caso di Wander, invece, il contesto è letteralmente
male. In questo caso, invece, il primo impatto e la percezione che il giocatore ha nelle
prime fasi di gioco è quella di vestire i panni dell’eroe positivo che lotta contro la forza
malvagia. Lentamente, com’è ovvio che sia, tuttavia, questa sicurezza vacilla. La
maschera di “eroe innamorato” non basta a non far vacillare l’oggettività della vicenda
ed entra a forza il concetto di relativismo. Alla fine della vicenda, in effetti, ci rendiamo
conto che sì, Wander può essere un eroe, che ancora, sì, i suoi scopi sono nobili ma che
effettivamente i mezzi che usa per raggiungere il suo obiettivo e i compromessi a cui
decide di sottostare sono atroci e, tutto sommato, crudeli, sia verso se stesso
(ricordiamoci che il suo corpo si rovina e “contamina” dopo l’uccisione di ogni colosso)
sia verso i colossi che muoiono con uno sguardo triste e pietoso. Tuttavia, non
dobbiamo indulgere nemmeno nel considerare Wander (e noi stessi, che lo abbiamo
scopo è quello di salvare una fanciulla indifesa. In secondo luogo, noi stessi ci facciamo
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nell’isolamento del nostro viaggio. In effetti, alla fine di tutto, persino Lord Emon ci
concederà (a noi, a Wander), una seconda possibilità, facendoci capostipiti di quella che
sarà la discendenza del ragazzo cornuto e che porterà alla nascita di Ico, il quale espierà
finalmente la nostra “colpa” salvando Yorda. Al di là del bene e del male, quindi, perché
l’obiettivo finale di questa fiaba non è insegnarci chi è buono o chi è cattivo, né
solo un relativismo assoluto e non ci sono più modelli, eroi, bene e male. Diciamo che
Ueda non vuole che il suo pubblico aderisca biecamente a una determinata morale:
vuole stimolare ognuno a riflettere sulla propria e a capire che il “bene” assoluto non
esiste.
È importante citare un altro autore nipponico che mette il rapporto tra l’uomo e la
Natura e la lotta tra “bene” e “male” al centro delle proprie opere: Hayao Miyazaki. Nelle
sue produzioni, che lo coinvolgono sia come sceneggiatore che come regista, la visione
vicende dei suoi personaggi, oltre che a riguardare sentimenti umani come l’amicizia e
naturale. Tra Miyazaki e Ueda possiamo ritrovare delle analogie che sicuramente sono
fortemente una mitologia e un mondo fantastico che propone figure mitiche, esseri
in Miyazaki, a differenza che in Ueda, c’è una ferma convinzione che ci possa essere un
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conclusione armonica delle vicende e che il rapporto tra uomo e natura possa essere
ripristinato, riportando così l’ordine delle cose a una prevalenza del “bene” sul “male”. Si
pensi, ad esempio, a Nauscaa nella valle del vento, a Il castello errante di Owl e, anche, alla
della fiaba tradizionale, sia orientale che occidentale. Nata come prodotto del folclore,
spesso serviva proprio per “formare” gli animi, per incentivare o scoraggiare
preciso e codificato. Oggi questa non è più, tuttavia, la funzione di questo tipo di
narrazione: la fiaba, il racconto fantastico fiabesco non vogliono più essere, almeno
aprire gli occhi del “lettore” su situazioni che forse un tempo potevano essere
“univoche” ma che ora non lo sono più. I “buoni” e i “cattivi” delle fiabe classiche non
esistono più 198.
struttura del racconto fiabesco, con tutti i suoi assoluti, i suoi dogmi indiscutibili, la
definita e che appare impossibile per l’eroe sono elementi che tendono a
universalizzare il racconto. Ancora più universale è, però, il “linguaggio” con cui questa
fiaba è narrata. Non esiste, se non per brevissimi tratti, una vera e propria narrazione
198
La fiaba giapponese, ad esempio, è molto legata ad elementi tradizionali quali i fantasmi, i demoni e, in generale, spiriti e forze
sovrannaturali che si divertono a interferire con la vita degli uomini. A differenza delle fiabe della nostra tradizione popolare che, pur
conservando senza dubbio un sostrato mistico e magico, si concentrano spesso su vicende più concrete (principesse da salvare,
regni da riconquistare, nemici in carne e ossa da sconfiggere), la fiaba giapponese recupera continuamente i demoni della
tradizione: gli eroi sono sempre in lotta contro uno spirito ribelle, magari intrappolato per lunghi anni e accidentalmente liberato, o
ancora con forze ancestrali che minacciano l’intera Terra. Un esempio rinomato e assolutamente efficace di fiaba giapponese nei
videogiochi è il caso di Okami, un videogioco prodotto dai Clovers Studios e distribuito nel 2007: la dea Amaterasu deve riportare la
vita e il colore sulla terra, scacciando nell’ombra la divinità oscura che, liberatasi dalla sua prigionia ancestrale, sta contaminando il
regno del Giappone. Questo è solo un esempio: di sicuro, un interessante spunto di ricerca è proprio quello che riguarda la fiaba
popolare giapponese e il suo recupero e adattamento nei “racconti” (videoludici o meno) contemporanei.
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verbale: abbiamo solo Lord Emon che, con due frasi brevi e incisive, ci presenta una
collera, ma il rispetto del suo ruolo di custode, e abbiamo Dormin, che prima
dell’uccisione di ogni colosso dà una sorta di aiuto criptico e sibillino a Wander. Tutto il
resto della fiaba è narrato unicamente attraverso le azioni del protagonista, che sono
poi le azioni del giocatore. È questa, in effetti, la cifra particolare di Shadow of the
target di riferimento: questo videogioco, infatti, non è un gioco per bambini, ma è stato
studiato per un pubblico adulto. Ritorna necessario il paragone con Il labirinto del Fauno:
sebbene anche in questo caso la protagonista sia una bambina che deve superare tre
ardue prove per tornare a rivestire il suo ruolo di principessa, la storia è strutturata e
raccontata a degli adulti. La reiterazione delle formule fisse tipiche della fiaba, ma
anche dell’epica, viene riprodotta attraverso la ricorsività delle azioni richieste al
“Tutti i giorni la figlia del RE andava da Re Pipi nella nicchia, e gli diceva:
Re Pipi fatto a mano
Senza penna e calamaro,
Sei mesi a setacciarti,
Sei mesi ad impastarti,
Sei mesi per spastarti,
Sei mesi per rifarti,
Sei mesi alla nicchiola E ti viene la parola!
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E per sei mesi, la ragazza continuò a cantagrli questa canzoncina. Alla fine del sesto mese, Re
Pipi cominciò a parlare.”199
Queste poche righe di una fiaba originaria della Calabria e riportata da Calvino nella
sua raccolta Fiabe Italiane è uno dei mille esempi che si possono addurre per mostrare
segrete, tutti questi elementi servivano al narratore (le fiabe nascono da una tradizione
prettamente orale) per ricordare con più facilità gli elementi della storia e all’ascoltatore
per avere la certezza di recepire e comprendere gli elementi salienti della storia stessa.
che passiva porta all’acquisizione di una consapevolezza che sia più o meno conscia e
che comunque lasci all’ascoltatore, al lettore e, oggi, al giocatore un messaggio che non
sia necessariamente univoco, ma che ognuno possa adattare al proprio contesto, alla
propria situazione e alle proprie circostanze. La fiaba, infatti è anche questo: conferisce
aiuta ad acquisire consapevolezza e insegna una lezione senza però la pretesa di essere
didascalica o eccessivamente scolastica.
L’efficacia di Shadow of the Colossus (come, sicuramente, del suo predecessore ICO) sta nel
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La litania di Shadow of the Colossus, la sua formula magica ripetuta per ben sedici volte
significato vero di quelle parole viene compreso sia da Wander che dal giocatore solo
nel momento in cui si trovano faccia a faccia con il nemico e devono studiare la
inizialmente Wander è solo nel Sacrario del culto con la presenza ingombrante di
Dormin (che tuttavia è invisibile), il cadavere di Mono sull’altare e il cavallo Agro che
accorre ogni qualvolta l’eroe lo chiami. Poi arriva il momento del viaggio,
successivo. Infine il sublime: Wander si trova al cospetto del colosso, enorme uccello o
deve, come Davide contro Golia, trovare il punto debole dell’avversario e abbatterlo
senza pietà. Nel primo libro di Samuele leggiamo la presentazione del gigante filisteo
Golia:
“Dall’accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e
un palmo. Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui
peso era di cinquemila sicli di bronzo. Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto
di bronzo tra le spalle. L`asta della sua lancia era come un subbio di tessitori e la lama
dell`asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo scudiero. Egli si fermò
davanti alle schiere d`Israele e gridò loro: ‘Perché siete usciti e vi siete schierati a battaglia?
Non sono io Filisteo e voi servi di Saul? Scegliete un uomo tra di voi che scenda contro di me.
Se sarà capace di combattere con me e mi abbatterà, noi saremo vostri schiavi. Se invece
prevarrò io su di lui e lo abbatterò, sarete voi nostri schiavi e sarete soggetti a noi’. Il Filisteo
aggiungeva: ‘Io ho lanciato oggi una sfida alle schiere d`Israele. Datemi un uomo e
combatteremo insieme’. Saul e tutto Israele udirono le parole del Filisteo; ne rimasero colpiti
ed ebbero grande paura.” 201
appare esserci un conflitto o una guerra in corso. Il fatto che sia l’eroe a doverli andare
201
Bibbia, Samuele, Libro I, Cap. 17
208
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giocatore come esseri buoni, quasi degli spiriti animisti della natura che vagano per un
che il giocatore deve assecondare, grazie alle musiche e alla frenesia con cui sia Wander
che il cavallo Agro, si comportano, il giocatore viene travolto da quella che appare
essere una sorta di furia omicida immotivata: nonostante infatti si trovi davanti a esseri
che incarnano letteralmente il senso del sublime e che sono vere e proprie meraviglie
della natura, il Wander-giocatore non resiste alla situazione che il game designer nella
realtà e Dormin nella finzione hanno creato a bella posta per lui e cede al peccato
supremo di hybris, arrivando a uccidere delle creature innocenti.
“il Sublime trascina gli ascoltatori, non alla persuasione, ma all’estasi: perché ciò che è
meraviglioso s’accompagna sempre a un senso di smarrimento, e prevale su ciò che è solo
convincente o grazioso, dato che la persuasione in genere è alla nostra portata, mentre esso,
conferendo al discorso un potere e una forza invincibile, sovrasta qualunque ascoltatore.”202
capiscono davanti a quale artificio meraviglioso si trovano. Solo alla fine, quando
ormai è troppo tardi, ci si rende conto di essere stati manipolati. Da ascoltatori attivi
della fiaba ci rendiamo conto di aver sbagliato e non perché, come nelle fiabe classiche,
degli ideali: vuole salvare una giovane, vuole strapparla alla morte. La solitudine dura
senso di colpa, la disperazione per non vedere una via d’uscita a quello che sta facendo
202
Pseudo Longino, Trattato sul Sublime
209
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e per non poter più tornare indietro né smettere, tuttavia, di farlo. L’apice dell’angoscia
e della solitudine viene raggiunto prima dello scontro con l’ultimo colosso. Agro, il
fedele destriero che ha accompagnato Wander attraverso tutte le lande e in tutti gli
scontri contro i giganti muti, si sacrifica per permettere al suo padrone di raggiungere
la sponda opposta del burrone che stanno attraversando insieme: Agro, il nostro unico
appoggio, l’unico essere vivente che ci ricordava ancora la nostra umanità, il più fedele
che ci punta il dito contro e ci accusa: noi sappiamo di essere colpevoli, ma dobbiamo
andare fino in fondo. O meglio, è Wander che lo deve fare, ma ormai, continuando ad
agire insieme a lui, continuando a ripetere il rito che il nostro oscuro narratore ci ha
affidato, ormai noi siamo diventati lui e ci rendiamo conto che non è stato lui,
veramente, a compiere tutto il percorso, ma che siamo stati noi. Wander è solo uno
sfortunato strumento nelle mani di tutti: nelle mani di Dormin, innanzitutto, che lo usa
per conquistare la sua libertà, ma anche nelle nostre, che lo usiamo per “vedere come
andrà a finire”.
giocatore in modo rigorosamente e unicamente in modo non verbale. Oltre alle frasi
parola, che veicolano tutti i significati e che fanno emozionare e reagire e intraprendere.
E tutta la struttura non verbale si innesta alla perfezione sull’impostazione teorica della
fiaba, scardinata però dal fatto che il protagonista della narrazione arriva ad essere il
giocatore stesso, non più Wander. L’immedesimazione è totale, e totale è anche il senso
ancora un patto con lui in futuro? Forse se Faust avesse potuto vivere quello che lo
210
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attendeva nel momento della morte e della dannazione eterna della sua anima non
avrebbe fatto la stessa scelta. Forse noi, a questo punto, rifletteremo prima di
di scoprire di essere dei mostri, e non degli eroi. O forse Faust, come noi, come Wander,
faremmo tutti ancora la stessa scelta: d’altra parte, è tramontata l’era socratica della
conoscenza, in cui si pensava che per fare il bene bastasse conoscerlo. Siamo
sicuramente in una fase più euripidea in cui possiamo decidere, più o meno
consciamente, di fare del male perché, in effetti, bene e male non esistono davvero: alla
fine i colossi sono stati annientati, la nostra anima, anzi quella di Wander, è dannata,
ma Mono è salva.
È questo che Shadow of the Colossus cerca di insegnarci, nel silenzio delle sue iperboliche
emozioni: che non esiste il bene, che non esiste il male. Esistono solo delle scelte ed
misura del nostro tempo”: toglie le parole, ma racconta comunque tanto, e lo fa nel
modo più comprensibile per noi oggi, con immagini, azioni, suggestioni e un intero
universo ai nostri piedi che aspetta solo di essere scoperto e violato. L’insegnamento di
Ueda è così delicato e metaforico che potrebbe essere applicato a qualsiasi aspetto
inclusa all’interno del gioco, così che le avventure di Wander e Agro possano assumere
Dopo questa analisi più legata alla struttura della fiaba e alle metodologie con cui
interessante passare all’analisi della scelta della simbologia adottata per i nemici. I
211
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sedici colossi, infatti, sono ipostasi di altrettanti animali o esseri mitici: il Minotauro
Verme della sabbia (Dirge), la Tigre (Celosia), il Mostro marino (Pelagia), il Serpente
volante (Phalanx), il Leone (Cenobia), il Guerriero (Argus), il Mago (Malus).
figure tratte dal mondo animale e quelle tratte dal mondo umano203. Tutte, però,
loro simbologia ha lo stesso significato, per cui di seguito andremo a dare una
spiegazione.
che portare a termine, dall’inizio alla fine, un vero e proprio sacrificio rituale. Nel
colossi sono solo ipostasi di porzioni del suo potere, risulta anche chiaro che per
risvegliarlo Wander doveva proprio sacrificare uno a uno i colossi e accumulare, dentro
di sé, le loro energie vitali, fino a liberare quello spirito troppo a lungo represso. È,
metaforicamente parlando, quello che si suppone succedesse alle origini della tragedia
greca: il termine tragedia nasce dal canto, dall’ode (ado) intorno al sacrificio di un capro
(tragos) in onore del dio Dioniso. Il dio, che nell’iconografia classica è rappresentato
sacrificio in cui lo spirito Dormin si vede sacrificare sedici delle sue ipostasi terrene,
grazie alle quali riesce a riacquisire tutta la sua potenza. Allora, i sedici colossi altro non
sono che simboli di qualcosa di ulteriore, nemici (e ostacoli, sia reali che metaforici) che
Wander deve superare per riuscire a diventare quello che è destinato ad essere: un eroe
della decadenza, della morte dell’innocenza e della sofferenza.
203
Per le figure animali, si userà come riferimento il compendio variegato e verificato Rangoni, Lucia (2005) Gli Animali Magici, Xenia
Edizioni, Milano
212
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Il primo nemico di Wander è il Minotauro. Si sa che l’incipit di una storia (come, a volte,
l’opera prima di un autore) è una sorta di chiave di volta per tutto il racconto
successivo. Così è sicuramente per Shadow of the Colossus. Non sappiamo a quali fonti
sicuramente la scelta di questa figura mitologica e il fatto che sia assolutamente poco
nel corso dei secoli, partendo dalla mitologia greca, appunto, il Minotauro è stato visto
più moderni, tuttavia, è stato, per così dire, “rivalutato”. Borges parla del Minotauro in
due occasioni, principalmente. Nel suo Manuale di zoologia fantastica lo descrive così:
“L’idea di una casa fatta perché la gente si perda è forse più singolare di quella d’un uomo
con testa di toro; ma le due reciprocamente s’aiutano, e l’immagine del labirinto conviene
all’immagine del minotauro. Ci sta bene, nel centro d’una casa mostruosa, un abitante pure
mostruoso.
Il minotauro, mezzo toro e mezzo uomo, nacque dagli amori di PAsifae, regina di Creta, con
un toro bianco che Poseidone fece uscire dal mare. Dedalo, autore dell’artificio che permise a
quegli amori di realizzarsi, costruì il labirinto per rinchiudervi e occultarvi il figlio mostruoso.
Questo mangiava carne umana; (…) Teseo decise di liberare la sua patria da quel gravame
e si offrì volontariamente. Arianna, figlia del re, gli dette un filo perché non si perdesse nei
corridoi; l’eroe uccise il minotauro e potè uscire dal labirinto. “204
antropomorfo (se non per le dimensioni abnormi) e la testa di toro. Sempre Borges,
tuttavia, parla ancora del Minotauro in Aleph, nel racconto “La casa di Asterione” ed è
proprio a partire da questo racconto che è possibile avere una visione più verosimile
del Minotauro, sia come figura mitologica che, soprattutto, come “primo nemico” di
Wander.
“So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia, o di pazzia. Tali accuse (…) sono
ridicole. È vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito)
restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi
204
Borges, Jorge Luis e Guerrero. Marguerita (1962) Manuale di zoologia fantastica, Einaudi, Torino, p.95
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Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.
‘Lo crederesti, Arianna?’ disse Teseo. ‘Il Minotauro non s’è quasi difeso’.205
È così che il Teseo di Borges vede il Minotauro ed è così che noi vediamo il Minotauro
di Ueda: è un gigante solo, che l’opinione comune identifica come “mostruosità”, che
trascorre la sua vita isolato e di cui, a un primo livello, noi sembriamo non percepire
altro che la mole e la crudeltà. In realtà, però, i suoi occhi ci parlano e ci mostrano una
creatura molto più simile ad Asterione che alla figura della mitologia classica. È un
non tanto potento quanto era in passato. Allo stesso modo, il nostro colosso, Valus, è
dare la morte e la vita ma ormai imprigionato nei sedici giganti. Valus vaga, è solo,
come Asterione, in una casa infinita, che è la natura, e aspetta il suo redentore: sì,
perché sia Asterione che Valus stanno aspettando di espiare una colpa che non
appartiene loro. Asterione deve pagare il fio dell’essere figlio illegittimo di un toro e di
una regina, mentre Valus deve custodire per l’eternità parte del potere di un grande
malvagio imprigionato. È così che la fiaba di Shadow of the Colossus ci fa capire, fin
dall’inizio, quello che stiamo facendo. Ci dà degli indizi. I sedici colossi che dobbiamo
uccidere sono tutti, chi più, chi meno, un Asterione smarrito, un povero essere reietto e
205
Borges, Jorge Luis (1989) L’Aleph, Feltrinelli, Milano, pp. 65-68
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rinnegato, frutto di una colpa che non può essere espiata. E Asterione, così come Valus,
così come tutti i colossi, aspetta un vendicatore o meglio un redentore che ne faccia
giustizia e che lo liberi, alla fine, dal giogo della sua solitudine e della sua colpa
sussulto, anche noi, nei panni di Wander, abbiamo, in effetti, l’opportunità di capire la
verità della situazione dagli occhi di questo primo gigante innocente: gli occhi sono
azzurri e inermi, quasi dolci. Lo sguardo che percepiamo all’inizio e la facilità con cui
riusciamo ad abbattere questo primo colosso ci dovrebbero far riflettere sulla sua
natura sicuramente non malvagia. Però noi, come Wander, come Teseo, siamo accecati
dalla storia che ben conosciamo e non riusciamo a vedere al di là delle apparenze.
Valus muore, e con lui comincia davvero il nostro “viaggio di formazione” che altro non
è che una vera e propria discesa agli inferi.
archetipico che già in periodo preistorico veniva raffigurato nei dipinti rupestri di
grotte e caverne. Gli è attribuita una forza creatrice e di reggitore del mondo (si veda il
mito). Numerosi sono i miti in che vedono tori unirsi a umani e generare divinità. Oltre
alle famose leggende di Zeus ed Europa (in cui il dio si sarebbe trasformato in toro per
sedurre la bella giovane) e di Dioniso, trasformatosi in toro durante la fuga dai Titani e,
sotto quella forma, da loro sbranato, ricordiamo il culto dei misteri di Cibele e Attis, che
prevedeva l’inondazione rituale con il sangue del toro: questo rito permetteva
che Wander si trova ad affrontare, quindi, c’è anche questo retroscena simbolico del
lavaggio con il sangue: dopo l’uccisione di ogni colosso, Wander viene come investito
nuova vita” nel senso che acquisisce, a ogni uccisione, un po’ del potere distribuito nei
vari colossi. Secondo la cultura indiana, il toro è simbolo di abbondanza, vita e fertilità.
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È quindi questa la seconda forza che Wander contrasta e sconfigge: l’idea stessa della
nascita e della vita naturale.
solitamente senza macchia, senza colpa, e insegue ideali nobili. Noi ci troviamo a
contrastare una figura di questo tipo, dimenticandoci ancora una volta che siamo noi
ad essere andati in cerca della singolar tenzone e che il vero “buono” è lui, che viveva
come guardiano silente della sua terra, isolato da tutto e da tutti. Wander (noi) non si fa
antropomorfa di questo colosso (come sarà anche poi per il Gigante, il Guerriero e il
Mago). Nonostante questo, non ci è dato altro appiglio per ulteriori riflessioni: il
Il Cavallo, è un animale particolare: è sia il quarto nemico del nostro eroe che suo
aiutante. Il quarto colosso, infatti, è un cavallo, ma anche Agro è un cavallo (nel senso
stretto del termine). Il cavallo è un animale dalla simbologia ambivalente: da una parte
è considerato intelligente e nobile, dall'altro è il simbolo della forza istintuale. Come
compagno del cavaliere, il cavallo è un animale nobile, forte e coraggioso: Agro, infatti,
cavaliere ovunque, lo spalleggia nella battaglia, corre in suo aiuto in caso di bisogno. In
trasporta le anime dalla terra all'aldilà. Questa proprietà particolare dell'animale va più
applicata ad Agro che al colosso: è infatti sulla groppa di Agro che Wander attraversa
tutte le Terre proibite ed è sempre e solo grazie ad Agro se riesce ad accedere alla
“prova finale”: il cavallo compie la sua missione fino in fondo e si sacrifica per
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in quella celtica, il cavallo è simbolo ctonio e della morte (non più solo mezzo, ma
essenza stessa). Demetra stessa, nel mondo greco, era rafficurata con una testa di
cavallo. Il cavallo collegato alla morte è nero: Agro è Nero, ma anche lo sguardo del
colosso Cavallo è nero, con piccoli occhi azzurri che spuntano da una maschera di
portando a termine in questo modo una sorta di “sacrificio alla Morte”. Ancora una
volta, le metafore sono pregnanti: Wander uccide il portatore di morte, e lo uccide per
scacciare proprio la morte (dal corpo di Mono). A poco vale tuttavia questo animale
nella simbologia del gioco, per far acquisire consapevolezza al giocatore: non passa il
messaggio che si sta letteralmente lottando contro la morte e che quest'ultima ha
sempre il predominio. Wander, infatti, salverà la vita di Mono in cambio della propria.
Il quinto avversario di Wander è il Corvo: un enorme uccello lugubre che sta a guardia
varia tra le culture: è visto come un animale profetico e divinatorio, oppure come
lugubre e funesto, talvolta messaggero divino, talvolta rinnegato da Dio, come nella
Bibbia. Il corvo ha una fama sinistra probabilmente perché si nutriva dei cadaveri sui
simbolo di peccato perché cavava gli occhi, specchio dell'anima, e strappava il cervello,
ossia la sede della coscienza dell'uomo. Questo Corvo non arriva a tanto: si limita a
l'eroe planando verso di lui. Tuttavia, la funzione che questo colosso ricopre è proprio
che tutti i colossi che incontra hanno forma di animali in qualche modo collegati con la
morte, con la necrofagia, con “lo spingersi oltre i limiti umani”. Tuttavia, questi segnali
non vengono colti e per l'ennesima volta Wander pecca di hubris e uccide il Corvo,
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tristezza e di orrore che ci pervade mentre attraversiamo le sponde del lago, il brivido
lago, immobile sul suo enorme trespolo, e quando poi spicca il volo verso di noi, sono
tutte sensazione che dovrebbero farci desistere dall'impresa. Ma siamo eroi disperati e
non abbiamo il tempo per ascoltare.
Il Gigante è il sesto colosso: questo, come in fondo tutti i colossi antropomorfi, sono
l'esagerazione è, in ogni caso, male. Wander non è malvagio in sé, ma lo può diventare
se interagisce con forze più grandi di lui, allo stesso modo il Gigante è “malvagio”
perché smisurato, fuori scala, abnorme. Tutto quello che è assoluto, nel mondo di
quello che è ambivalente anche, che non è un assoluto, insomma, continua ad avere
una speranza di “bontà” e salvezza.
l'ostilità della situazione in cui Wander si è addentrato: non è il suo terreno di gioco
contro le quali può ben poco (le folgori e le scosse elettriche sottacqua sono
confondenti e angoscianti). Tuttavia, ancora una volta, e come succederà fino alla fine,
Wander ignora questi avvertimenti, anzi: affronta ogni prova con maggior
determinazione perché non legge negli ostacoli insormontabili che si trova davanti un
la sua caparbia e per portare a termine quella missione che sta, sempre più, diventando
l'unico obiettivo della sua intera esistenza.
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considerata magica e proverbiale era la sua resistenza al fuoco. Per questa sua capacità
simbolo della pazienza nelle avversità e della castità. Le sue carni (gli occhi, i fluidi)
sembra voler testardamente opporsi a Wander per mostrargli l'inutilità del suo
percorso, nonché l'errore e la strada senza uscita in cui si sta addentrando sempre più.
dell'immobilità e della lentezza, cerca forse, ancora, come già aveva fatto il minotauro,
Il Verme della sabbia, decimo nemico dell'eroe, ricorda un po' la Torpedine: sfida
Wander su un terreno che non è il suo, quello del sottosuolo. Wander deve sfruttare
tutta la sua astuzia e la velocità del fido Agro per tendere dolorose e ripetute
imboscate al Verme della sabbia fino a che questo, stremato, non si fa raggiungere dal
ragazzo e finire con il solito colpo di grazia: uno o più colpi di spada che fanno
fuoriuscire tutta la vita.
l'emblema della potenza e del predominio: Wander si trova a combattere contro due
archetipi del potere e del controllo. Una volta eliminati questi, l'eroe vede come
legittimato il proprio potere di Re all'interno delle Terre proibite che sta esplorando. Sia
la Tigre che il Leone richiedono più astuzia che forza, più riflessi che cattiveria e
vengono, in fondo, annientati, dalla loro stessa rabbia che diventa incontrollabile
quando si rendono conto di stare per essere sopraffatti. Allo stesso modo, Wander
dovrebbe rendersi conto che i suoi desideri, le sue pulsioni e la sua ambizione lo
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stanno facendo spingere troppo oltre. Durante lo scontro con questi ultimi colossi,
l'obiettivo finale della sua missione non sembra nemmeno più quello di salavare
Il Mostro marino è il dodicesimo colosso: anfibio, questo mostro ricorda molto le rane e
acquatica non gli consente di avere alcuna conntazione positiva. Come il rospo è
velenoso, pericoloso, i suoi fluidi (urina, alito, bava) sono letali, acceca e confonde
l'eroe, è un po' l'anticamera di tutto il male incontro a cui l'eroe sta andando. Senza
tralasciare il fatto che, a questo punto, sia Wander che il giocatore sono stremati, il
corpo dell'eroe è corrotto, il giocatore vuole vedere come finisce la storia di questo
sfortunato ragazzo e prova un sottile e innegabile senso di colpa per tutte le uccisioni
che ha commesso.
Prima degli ultimi due colossi, ossia il Guerriero e il Mago, abbiamo il Serpente volante,
che nella cultura classica è il Basilisco. A differenza del Verme della sabbia, il Serpente
volante non striscia sulla terra ma procede austero e indifferente nel cielo. Plinio, nel
Naturalis Historia lo descrive così:
“È un serpente lungo solo dodici dita. Ha una macchia bianca sulla testa a forma di
diadema. Il suo sibilo fa fuggire tutti i serpenti. Non striscia sinuosamente come tutti gli altri
rettili, ma avanza con il corpo eretto a metà. (...) È accaduto veramente che un uomo a cavallo
uccise un Basilisco colpendolo con la lancia, ma il veleno seguì la lancia come se fosse di un
materiale conducente e uccise non soltanto il cavaliere, ma anche il cavallo.”
gallo, corna, ali e coda di serpente. Questa creatura risiede nel deserto, o meglio, crea il
deserto intorno a sé.
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Ancora Plinio riporta: “Ai suoi piedi cadono morti gli uccelli e imputridiscono i frutti;
l'acqua dei ruscelli a cui s'abbevera rimane avvelenata per secoli.”
È la manifestazione ultima della morte e della distruzione. È l'emblema della fine della
vita. E nonostante questo, l'eroe deve andare a scovarlo nel suo sconfinato deserto,
dalle enormi sacche di fluidi venefici che il Basilisco produce e sprigiona in sua difesa. È
proprio Wander,l' “uomo a cavallo” che uccide il Basilisco (che, più che una
leggenda, l'uomo e il cavallo non possono sopravvivere al veleno del mostro, che li
segue come un ombra e che decreta la loro fine. Rapido e mostruoso, gigantesco e
terrificante, il Basilisco è l'ultima porta che Wander deve attraversare prima di arrivare
agli ultimi due custodi del potere a cui tanto agogna.
Oltre al Leone che, con la Tigre, come abbiamo già visto, rappresentano l'ultimo
all'aggressività e alla violenza pure (il Leone è uno dei colossi più terrificanti perché a
differenza degli altri è agile e insegue Wander fino a lasciarlo senza fiato), abbiamo
Il Guerriero infatti è un colosso che vive nei pressi di un enorme palazzo diroccato, che
Wander deve utilizzare come base d'appoggio per sconfiggere l'avversario. È il potere
fisico e materiale, militare appunto, la forza umana che tenta, senza riuscirci, di
pressoché indifferenti all'interno del loro spazio (la prerogativa della rapidità e
Guerriero è sia enorme che aggressivo e rapido. Insegue Wander con la sua arma e non
gli dà tregua. Quando Wander riesce a fargli distruggere la spada contro un costone di
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roccia il colosso diventa ancora più assetato di sangue e cerca in ogni modo di colpire
l'eroe. Gli occhi di questo nemico, a differenza degli occhi di tutti gli altri, sono meno
docili e compassionevoli. Si scorge però un sentimento che è più cieca disperazione che
crudele malvagità. Questo non ferma Wander, che fa crollare il palazzo addosso al
mostro e che arriva, ormai senza forze, corrotto nel corpo e nello spirito, al cospetto del
Mago, l'ultimo nemico e barriera tra l'eroe e la salvezza della giovane Mono.
Trovarsi al cospetto del Mago, sia per Wander che per il giocatore, è un'esperienza
emotiva forte: Wander ha appena perso l'unico compagno della sua avventura, quel
cavallo che lo faceva ancora sentire umano. Il giocatore è consapevole che è giunto al
termine del proprio percorso, e tuttavia sa che ora dovrà affrontare sicuramente il
nemico più ostico di tutti (è sempre così, nei videogiochi come nelle fiabe: l'ultimo
labirinto crollato. Indica Wander con il dito, da cui partono spietate saette che uccidono
“sbagliato”. Per la prima volta Wander percepisce il proprio peccato di hubris, ha paura,
poteva esplorare il territorio, qui non può. Deve solo progredire passo dopo passo, in
questo labirinto di muri crollati e scale che non portano da nessuna parte fino ad
arrivare ai piedi del colosso. Arrampicarsi su questa struttura, a metà tra un'opera di
agonia. Uccidere questo colosso, una volta arrivati in cima, è quasi facile. Il suo crollo è
spirito di Dormin, il potere viene convogliato tutto all'interno del corpo di Wander che
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guardiano di quel potere che era stato solo suddiviso tra antiche figure archetipiche di
un'umanità ormai scomparsa e che ora deve essere totalmente cancellato.
prenderà cura Mono stessa e che darà via a una stirpe di bambini con le corna uno dei
quali dovrà, un giorno, espiare l'atroce colpa di cui si è macchiato l’antenato Wander.
Ecco che allora Wander era davvero il “redentore” che Asterione/Valus si aspettava,
all'inizio del gioco. Ecco che la similitudine con la vicenda di Teseo e del Minotauro
torna a manifestarsi. Anche questa volta, come allora, l'eroe trionfa e vince, ma la sua è
una vittoria di Pirro: Teseo perderà il padre e l'amore, mentre Wander perderà la vita e
dannerà la sua stirpe per i secoli a venire.
Prima di terminare l’analisi per passare alle conclusioni, è necessario riflettere sullo
spazio del gioco e sulla caratterizzazione estetica di Shadow of the Colossus che porta con
tuttavia una funzionalità duplice, quasi antitetica. Abbiamo già parlato dell’analogia
che intercorre tra le lande di Shadow of the Colossus e, ad esempio, i mondi à la Miyazaki:
come nella cultura giapponese, ma come anche nelle fiabe occidentali, la natura è
dell’esplorazione e del viaggio, dall’altra la varietà di ambienti, che è peraltro pari alla
varietà di creature che l’eroe incontra nel suo cammino, è disorientante e ha una
funzione ben precisa e opposta a quella “confortevole” di rinforzare nella mente di chi
gioca l’archetipo del viaggio di iniziazione. Wander affronta sedici colossi, ognuno dei
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una depressione che sembra arrivare al centro della terra, il parco di un tempio, una
torre, un lago, il deserto, e ancora il cielo stesso, una tomba, un’isola sospesa in mezzo a
un lago scuro. La varietà di elementi naturali in cui Wander si deve “immergere” per
portare a termine la propria missione toglie un contesto preciso alle sue avventure, ma
sfidato ad adattarsi, a capire come reagire agli stimoli, a trovare le strategie più efficaci
per sconfiggere non solo i singoli colossi, ma per confrontarsi anche con le forze della
natura sotto forma di manifestazioni contingenti. Il viaggio di Wander prevede che egli
passi dal freddo dell’acqua di un lago al caldo di un deserto senza vita, dalle profondità
marine alle vette degli altipiani, dai labirinti ai sacrari, e così via. L’alternanza di luoghi
contribuisce ad accentuare il senso del viaggio del nostro protagonista ma, in fin dei
vera e propria, di girare il mondo e, anche se comunque sappiamo che siamo in una
attraverso tutti gli scenari attraverso cui il gioco ci porta. D’altra parte, la varietà dei
colossi serve anche ad aggiungere difficoltà alla sfida: ognuno di essi, infatti, deve
essere affrontato e sconfitto secondo regole particolari, che variano di volta in volta e
che dipendono, in parte, anche dalla fisica e dagli elementi naturali del contesto in cui
Wander si trova ad affrontarli. Lo spazio allora, non veicola solo una componente
narrativa, quella cioè che ci fa percepire questo spazio virtuale* come un immenso
mondo da esplorare e che, proprio come il nostro mondo ideale delle fiabe, è pieno di
luoghi diversi e possibili, anche opposti e molto lontani tra loro. Lo spazio ci fornisce
anche il sostrato per i cambiamenti del gameplay* del gioco: affrontare un nemico
nell’acqua o sconfiggerlo nella sabbia, adattarsi alla fisica del volo o avere l’aiuto del
nostro destriero, tutte queste variabili ci fanno affrontare ogni colosso in modo unico,
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perché unico è sia il messaggio che quel colosso porta con sé a livello simbolico (e li
Nonostante la sua natura di eroe “ambiguo”, Wander porta a termine, proprio grazie
allo spazio della narrazione, il suo percorso di iniziazione. La varietà dei luoghi, oltre a
conferire una notevole varietà al viaggio dell’eroe, sia dal punto di vista estetico che da
giocatore attraverso un percorso che porta ai confini dei propri limiti: chi affronta
l’iniziazione e il viaggio viene sottoposto a ogni contesto, ogni possibilità, ogni dura
C’è del buono in quello che abbiamo cercato di fare, o si è trattato solamente di un
peccato di superbia?
Chi trionfa in questa storia? Chi ha la meglio? Chi vince, al di là di tutto? Ovviamente,
nessuno. Al di là del mondo delle fiabe, l'insegnamento che Shadow of the Colossus e
Fumito Ueda intendono trasmettere è che non possiamo ribellarci al nostro percorso,
per quanto discutibile, relativo ed eticamente criticabile esso sia. Ognuno di noi ricopre
un ruolo, che appare fisso e ben caratterizzato all'inizio ma che si rivela pieno di
triste fine dei Colossi ci fa vivere un'esperienza di profonda solitudine e fatalismo, che
riusciamo a interiorizzare tanto meglio quanto più il linguaggio con cui ci viene
fatto che gli archetipi e le figure di questa storia sono quelle che tutti noi conosciamo
bene, quelle delle fiabe, e tuttavia vengono stravolte o, meglio, viste sotto una nuova
luce, più relativista.
fantasia, le emozioni che proviamo sono reali e i pensieri, i dubbi, le perplessità che ci
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giochiamo e agiamo restano con noi anche quando la storia è finita, i personaggi
scomparsi nella nebbia delle parole “The End” e quello che abbiamo imparato,
attraverso tutta questa storia e questa emozione, resterà con noi anche in quel mondo
inequivocabili da affrontare. Al di là del bene e del male, capiamo che non c'è una
verità e che sono solo le nostre scelte che contano: sono le nostre scelte che ci possono
salvare o dannare. O entrambe le cose insieme.
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videogame. Le ambizioni con cui questa serie è nata sono state, infatti, tra le altre,
panoramica della serie, soffermandosi sugli elementi principali, per poi passare a
esaminare nel dettaglio il secondo episodio della saga con i suoi parallelismi ed
elementi di novità rispetto al (neo)gotico e horror letterario.
l’ospedale, la chiesa, le vie con i negozi, gli appartamenti e le villette, tutti questi
elementi costituiscono lo scenario comune degli eventi dei diversi episodi del gioco.
che il target medio di questo prodotto dovevano essere americani ed europei, che
sua declinazione “horror”, che, da Edgar Allan Poe in avanti, ha contribuito a creare
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The real world is a messy place where dust accumulates and people die for no good reason
and crime often pays and true love doesn’t conquer much. In one sense all art is fantastic
simply because it offers us worlds in which some order, whatever that may be, prevails.206
Inizialmente (sia in Silent Hill 2 che nei mondi dell’orrore in generale) questa istanza
d’ordine sembra mancare completamente: sembra che il personaggio sia in balia del
caso, che le leggi naturali, più che stravolte, siano annullate. In realtà, questo non è
esattamente quello che accade: il giocatore che esplora Silent Hill si renderà conto che
motivazioni ben precise alla base della sua esplorazione e degli avvenimenti davanti a
cui si trova.
Silent Hill è una città deserta, abbandonata, dove la “normalità” è un lontano ricordo e
ombre e pallidi fantasmi. Silent Hill però non è una semplice città di fantasmi, è una
città tentacolare, una spugna che assorbe gli incubi di chi la visita, trasformandosi di
volta in volta in percorso di scoperta e catarsi.
Nel primo episodio della saga, seguiamo Harry Mason che cerca sua figlia Cheryl,
misteriosamente scomparsa nei pressi di Silent Hill dopo un incidente in auto con il
padre. L’angoscia dell’esplorazione per la ricerca di una bambina di sette anni viene
rimarcata dall’orrore in cui Harry incappa vagando per le strade della città. Cadaveri e
della scoperta della vera storia di Cheryl, orfana trovata da Harry e sua moglie sette
anni prima, per caso. Tra spaventosi colpi di scena, svenimenti, Harry si trova a cercare
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non nella struttura ma nell’apparenza, i luoghi restano gli stessi ma divengono via via
più mostruosi, devastati, sempre più macchiati di sangue e di angoscia. Harry scoprirà
che la figlia Cheryl è in realtà la “parte buona” di un’altra bambina, Alessa Gillespie:
Alessa, adottata anni prima da un’abitante di Silent Hill di nome Dahlia, ha subito le
angherie della madre adottiva e della setta di cui era a capo, fino a essere bruciata viva
per venire purificata e per permettere a Dahlia di raggiungere i suoi obiettivi, dettati
dalla follia esoterica di cui era schiava. Nel finale, più o meno amaro a seconda delle
scelte dei giocatori, vediamo Harry morire, oppure salvarsi e portare con sé in salvo non
più Cheryl, bensì Alessa che, completa e “riunificata”, finalmente, può avere un padre
vero, pronto a sacrificarsi per lei.
Con un salto temporale passiamo al terzo episodio, in cui una giovane adolescente,
antagonista, di tornare a casa dal padre, per cercare aiuto. Il padre di Heather altri non è
che Harry Mason, il protagonista del primo episodio: grazie a questo collegamento, il
giocatore capisce immediatamente che il personaggio con cui sta affrontando questa
avventura, ossia Heather, altri non è che Alessa, la bambina dannata e salvata da Silent
Hill. Consapevole del proprio destino, Heather/Alessa tornerà a Silent Hill per affrontare
la setta religiosa che ancora una volta la sta tormentando e, attraverso immani
sofferenze e affacciandosi sull’orlo della follia, riuscirà nel suo intento di cancellare i
fantasmi del proprio passato, per vivere una vita libera.
Il quarto episodio risulta essere uno spin off della serie e non è collegato in alcun modo
Sullivan, che cerca di tornare in vita attraverso un macabro rituale di sangue, sfruttando
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in modo molto più esplicito che in tutti gli altri episodi della serie. Anche in questo
caso, il finale dipende da alcune scelte del giocatore e varia dalla morte del
protagonista, che vede vanificati i suoi tentativi di fermare il redivivo omicida, alla
sconfitta dell’assassino che viene relegato nel suo limbo di non-vita, incapace di
nuocere ai vivi.
L’ultimo episodio finora distribuito, Silent Hill Origins per PlayStationPortable, permette
incendio e si trova, ancora, intrappolato nelle spire della malsana cittadina. Dopo una
lunga e angosciosa esplorazione dell’ospedale, del motel, del teatro, Travis riesce a
scoprire la verità sia sulle sue origini che sul destino travagliato di Alessa, osservando
prima il suo dolore e la sua rabbia, infine la sua liberazione nelle “reincarnazioni”
Questa breve e generica panoramica sui vari episodi della saga serve per fornire un
accenno alle tematiche forti della serie e per inquadrare, all’interno di un genere già
definito come “horror” in cinema e letteratura e che diventa invece “survival horror” nei
demoniache e perfide, serial killer che tramano vendetta dall’oltretomba, sono comuni
per letteratura e cinema. Tuttavia, l’originalità della saga di Silent Hill è duplice: da una
nei videogiochi, là dove altre saghe, come quella di Resident Evil o Alone in the Dark
peculiarità di Silent Hill sta nel fatto che queste tematiche vengono comunicate al
230
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situazioni: questi sono gli espedienti narrativi attraverso cui Silent Hill costruisce
Alone in the Dark sono saghe più prettamente “di azione”, in cui l’orrore scaturisce
situazione di pericolo legata alla difficoltà vera e propria del gioco in cui il giocatore si
trova. Temere per l’incolumità del personaggio, trovarsi faccia a faccia con mostri
raccapriccianti senza il minimo preavviso, dover ripetere più e più volte lo stesso
non solo violenti o gore. Per opporsi come contraddittorio di classe e d’atmosfera a
prodotti più chiassosi come Resident Evil, Silent Hill doveva impostare la propria
struttura, sia narrativa che di gameplay*, in modo diverso dai predecessori e doveva
avvicinarsi di più alle suggestioni derivanti dall’horror classico, per apprendere
un’importante lezione, che pare aver ben assimilato: il fruitore non deve essere
inaspettato. Il vero orrore è sempre più quello psicologico ed è proprio questo tipo di
orrore che Silent Hill vuole trasmettere ai propri fruitori. Quindi l’oggetto della nostra
morbosa curiosità e del nostro morboso desiderio di essere spaventati non sono né
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una sensazione di paura al fruitore. Il contesto, il mondo e, per così dire, l’universo
costruito e alimentato con Silent Hill sono allora la patria dell’orrore psicologico, che
scava nella psicologia dei personaggi (che quindi devono avere una psicologia, devono
essere dei personaggi e non dei semplici tipi) e in quella del giocatore.
Nella breve panoramica sulle vicende dei quattro episodi della serie, spicca l’assenza del
secondo, Silent Hill 2, che sarà l’oggetto dell’analisi delle prossime pagine. Sviluppato
dal Team Silent di Konami e rilasciato nel settembre del 2001, il gioco è un single-player
off-line giapponese. La scelta di questo titolo rispetto agli altri della serie è legata alla
sua natura più “raffinata”, all’enorme e fondamentale importanza che ha la trama sul
gameplay* e alla delicatezza delle tematiche affrontate, nonché dal fatto che,
confortanti analogie con le strutture narrative tipiche dei racconti dell’orrore da Poe a
Lovecraft, per citare due fonti primarie, passando per Stephen King, fino ad arrivare a
narrativi per suscitare orrore e inquietudine che derivano invece dal nuovo mezzo su
cui queste storie e queste tematiche, ormai sdoganate e affermate in altri media,
vengono affrontate.
alla morte per malattia della moglie Mary. Nonostante siano passati tre anni dalla
morte di Mary, James vive ancora in uno strano limbo di attesa, come se la situazione
non fosse realmente risolta. Intrisa di dolore, la vita di James continua nella
rassegnazione fino a quando non riceve una lettera firmata dalla moglie defunta, che
dice di aspettarlo a Silent Hill, cittadina sul lago Toluca che per loro ha significato tanto.
tentazione di scoprire la verità e si reca a Silent Hill. È qui che il giocatore comincia
realmente a seguire la vicenda di James. Tutto il resto, narrato in voice over, è quasi un
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sogno, una visione, mentre l’arrivo nella cittadina rende tutto reale. La realtà, tuttavia,
non è mai stata messa tanto in discussione: esplorando la città, il giocatore (la cui
esperienza, d’ora in avanti, identificheremo con quella di James) si rende conto che la
fitta nebbia che avvolge ogni cosa è troppo vischiosa e inesauribile e che tutto ciò che
viene visto o intravisto, sentito o percepito è insieme confuso e ambiguo. Non c’è
oggettività a Silent Hill, che James dovrebbe conoscere alla perfezione sebbene egli
abilità particolari, ma è un uomo comune, quasi senza qualità e anzi annullato e perso
nel dolore mai superato per la morte della sua compagna. Come uno dei personaggi di
caratterizzato, James è un uomo diverso dagli altri, inquieto, si potrebbe dire che è un
personaggio basso-mimetico che vive una condizione particolare. È un uomo alto, sui
parlerò più avanti. Tuttavia James non sembra quasi essere un uomo post-illuminista,
una mente razionale. Pur essendo stato presente al capezzale della moglie, morta senza
dubbio alcuno tre anni prima, James si fa irretire e trascinare nella inquietante cittadina,
nella speranza di ritrovare Mary: per lui,
“The realities of the world affected me as visions, and as visions only, while the wild ideas of
the land of dreams became, in turn,—not the material of my every-day existence-but in
very deed that existence utterly and solely in itself.”207
207
http://en.wikisource.org/wiki/Berenice_(Poe)
“Le realtà del mondo m’impressionavano come visioni e niente più che visioni, mentre le folli idee della regione dei sogni erano
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spettatore e mantiene senza dubbio una forte coerenza con il genere a cui appartiene
una sensibilità e di una psicologia più raffinata rispetto ad altri personaggi. Sembrano,
proiezioni di personaggi di Edgar Allan Poe: confonde l’incubo con la realtà, vive in
che inizialmente sono completamente represse e che poi, nel corso dell’esplorazione di
Silent Hill (e, parallelamente, del suo inconscio) James vedrà riemergere in modo chiaro
e oggettivo, fino a scoprire la verità sia sulla misteriosa lettera che sulla reale sorte della
moglie Mary.
“In my restless dreams I see that town, Silent Hill. You promised you’d take me there again
someday. But you never did. Well I’m alone there now… In our ‘special place’… Waiting for
you.” 209
e fin dall’inizio cercherà di capire quale sia questo “posto speciale”: tutta la città è in
divenute, più che la materia della mia esistenza quotidiana, la mia esistenza per se stessa in assoluto.”207 ” Tr. “Berenice”, p. 90, in
Racconti di Poe, Edgar Allan (1971), Arnoldo Mondadori Editore, Milano
208
La caratterizzazione di personaggio “disturbato” che James, così come molti altri protagonisti di storie horror, si vede attribuire,
riguarda principalmente i meccanismi narrativi che regolano il genere stesso: la rappresentazione del reale, infatti, in questi casi, è
completamente distorta. Si considera realtà non solo quello che è tangibile (da res, cosa), ma anche quello che è esistente, la cui
ontologia è reale. Nel caso di James, quella che vedremo essere la realtà della sua mente e del suo inconscio è andata a sostituire
anzi, meglio, a modificare e plasmare con un nuovo volto, la realtà tangibile.
209
Silent Hill 2, 2001, Konami, Intro
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del protagonista, nella scoperta della verità celata sotto la nebbia e sotto tutti le
grottesche vicende e avvenimenti attraverso cui James dovrà avventurarsi per far
riemergere la verità.
È questo l’urlo di aiuto che Mary lancia a James ed egli, prontamente lo accoglie. Lo
“Its proprietor, Roderick Usher, had been one of my boon companions in boyhood; but
many years had elapsed since our last meeting. A letter, however, had lately reached me in
a distant part of the country—a letter from him—which, in its wildly importunate nature,
had admitted of no other than a personal reply. The MS. gave evidence of nervous
agitation. The writer spoke of acute bodily illness, of a mental disorder which oppressed
him, and of an earnest desire to see me, as his best, and indeed his only personal friend,
with a view of attempting, by the cheerfulness of my society, some alleviation of his
malady.” 211
La costruzione della suspense e del terrore avviene allo stesso modo, in Poe e in Silent
Hill: una richiesta grottesca e improbabile, una coercizione interna eppure un costante
“I got a letter. The name on the envelope said ‘Mary’. My wife’s name… It’s ridiculous,
couldn’t possibly be true. That’s what I keep telling myself… A dead person can’t write a
letter… Mary died of that damn disease three years ago. So then why am I looking for her?
Our ‘special place’… What could she mean? This whole town was our special place. Does
she mean the park on the lake? We spent the whole day there. Just the two of us, staring at
the water. Could Mary really be there? Is she really alive… Waiting for me?”212
210
Exequatur di Henry King, vescovo di Chichester, per la morte della moglie.
211
http://en.wikisource.org/wiki/The_Fall_of_the_House_of_Usher
Tr. “Il proprietario, Rodercik Usher, era stato fra i più cari compagni della mia infanzia, sebbene parecchi anni fossero trascorsi
dall’ultimo nostro incontro. E tuttavia, una lettera mi aveva ultimamente raggiunto in una lontana regione del paese, una lettera di
lui, il disperato tono della quale non ammetteva altra risposta che la mia presenza. La calligrafia palesava una agitazione nervosa. Ed
Usher mi parlava di una acuta malattia fisica, d’uno squilibrio mentale che l’opprimeva, e d’un ardente desiderio di vedermi,
chiamandomi il suo migliore ed anzi unico amico.” “La rovina della casa degli Usher”, p. 264, in Racconti di E. A. Poe, Arnoldo
Mondadori Editore, 1971 Milano
212
Silent Hill 2, 2001, Konami, Intro
235
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È questo infatti il motore principale del gioco, la ragione superficiale che spinge sia
James che il giocatore ad affrontare i meandri di Silent Hill (o dell’incontro con Roderick
Usher). La figura di James è completamente funzionale alla dinamica del terrore che
pervade tutto il gioco e che è volta a creare inquietudine e angoscia (in alcuni momenti
Vengono mischiate due tipologie di “paura”, quella legata all’orrore e quella legata al
terrore: l’orrore è vissuto, attraverso gli occhi di James, nell’incontrare mostri e abomini
fisicamente compromessi, esseri violati nella carne che lo aggrediscono senza lasciargli
altra alternativa se non quella della bruta violenza o della fuga. Tutta Silent Hill è
costellata di questi esseri (di cui parleremo meglio più avanti) e al disgusto e alla
repulsione provata da James (e dal giocatore) si aggiunge l’orrore del fatto che questi
L’orrore per il sangue suscita l’orrore per la carne, e l’orrore per la carne, per la propria
carne, è il sintomo epidermico del giocatore che affronta Silent Hill. Il disgusto travalica
i confini dello schermo e va a toccare qualcosa che ben conosciamo, ossia la nostra
integrità fisica che, se minata in modo così pesante come sullo schermo, può arrivare a
privarci della nostra umanità.
“La vera storia del mistero si basa su elementi che non sono semplicemente un omicidio
segreto, ossa insanguinate o un fantasma simile a un lenzuolo che scuote le catene
interpretando il suo ruolo canonico. Deve essere presente un’atmosfera mozzafiato, un
sentimento di orrore e terrore legato a forze oscure e misteriose; e deve esserci un indizio
che, in tono grave e minaccioso, diventa il fulcro della vicenda: un indizio che riguarda
qualcosa di inarrivabile per la mente umana, una sospensione della realtà, malefica e
surreale, o la sconfitta delle leggi di Natura che sono il nostro unico baluardo a difesa
dall’assalto del caos e dei demoni che abitano lo spazio inesplorato.”213
213
Lovecraft, Howard Phillips (1973) Supernatural Horror in Literature, New York, Dover Publications, p. 15
236
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È esattamente questa sensazione che si cerca di riproporre in Silent Hill. Oltre all’orrore
repentino e “fisico” per il disgusto di ciò che è corrotto (e che tuttavia ci può riguardare
detto finora, è uno degli strumenti principali attraverso cui viene convogliata
l’inquietudine del giocatore: spaventato, disorientato, per alcuni versi appare anche
bisogno di una guida: si instaura in questo modo un meccanismo per cui il turbamento
del personaggio. Proprio questo interscambio e questa distribuzione dei ruoli, in cui il
contribuisce, nella fase finale del gioco, contribuisce a suscitare le emozioni più
sorpreso (perché non pensava di pervenire alla verità che scoprirà attraverso le sue
237
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Un personaggio che con la sua assenza costruirà un buon clima di tensione e disagio è
proprio Mary, la moglie morta (o solo scomparsa?). Da James sappiamo che “Mary died
of that damn disease three years ago” e che quindi non può essere viva, che il dolore
della perdita dovrebbe essere stato interiorizzato. La malattia di Mary, come scopriremo
nel corso della storia (e in particolare durante il finale), è stata una malattia fortemente
degenerativa, che l’ha ridotta, sempre più lentamente all’inedia, all’immobilità e infine
alla morte, consumandola ogni giorno di più con una lentezza inesorabile.
“—and then—then all is mystery and terror, and a tale which should not be told. Disease—
a fatal disease—fell like the simoom upon her frame, and, even while I gazed upon her, the
spirit of change swept, over her, pervading her mind, her habits, and her character, and, in
a manner the most subtle and terrible, disturbing even the identity of her person! Alas! the
destroyer came and went, and the victim—where was she, I knew her not—or knew her no
longer as Berenice.”214
Parafrasando con le parole di Poe, è questo quello che accade a Mary: da amante e
sposa, si trasforma in essere orribile e non riconosciuto da chi le sta intorno, e trascina
con sé, in un abisso di tristezza e pietà, tutto quel mondo solare e positivo che le era
stato attorno. James assiste la moglie nella malattia, ma si rende conto che tutto è solo
un’inesorabile scorrere del tempo verso il momento in cui lei morirà e lui, pur nella sua
solitudine, sarà di nuovo libero da quel pesante fardello. Mary è invisibile, eppure
sempre presente: è la causa scatenante del viaggio di James, è identica a Maria, una
giovane donna che James incontra a Silent Hill; si scopre che era amica di Laura, una
dispettosa e malinconica bambina che si aggira da sola per le strade della cittadina e
che per James funge un po’ da guida, un po’ da distrattore. Quella della presenza-
assenza e della “monomania” è in effetti una tematica ricorrente nel racconto d’orrore:
pallide ed emaciate dame che si rivelano vampiri, giovani donne in piena salute che
214
http://en.wikisource.org/wiki/Berenice_(Poe)
“E poi, poi non c’è altro che mistero e terrore, ed ecco una novella da non raccontarsi. Un male, un male fatale si abbatté come il
simun su di lei; e mentre ancora la stavo guardando, lo spirito della trasformazione scorreva su di lei e pervadeva il suo essere, le sue
abitudini, il suo carattere, e alterava, nel più sottile e tremendo dei modi, anche l’identità della sua persona. Ahimè! Il distruttore
venne e andò! – e la vittima – dove era lei? Io non la conoscevo più per Berenice.” Tr. Poe, Edgar Allan op. cit. p. 91
238
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fantasie le menti dei protagonisti. Tutte queste figure, dal Vampiro di Polidori alla
Berenice di Poe, sono accomunate dalla loro presenza-assenza e dal diventare una vera
e propria ossessione per i protagonisti delle narrazioni che sentono una pulsione
d’amore (siano essi i denti o quant’altro) o a sacrificare letteralmente loro stessi pur di
scoprire l’atroce segreto dell’amata.
“Ligeia! Buried in the studies of a nature more than all else adapted to deaden impressions
of the outward world, it is by that swee torld alone – by Ligeia – that I bring before mine
eyes in fancy the image of her who is no more. (…)
There is one dear topic, however, on which my memory fails me not. It is the person of Ligeia.
In stature she was tall, somewhat slender, and, in her latter days, even emaciated. I would in
vain attempt to portray the majest, the quiet ease of her demeanor, or the incomprensible
lightness and elasticity of her footfall. She came and departed as a shadow. I was never
made aware of her entrance into my closed study, save by the dear music of her low sweet
voice, as she placed her marble hand upon my shoulder.It was the radiance of an opium-
dream – an airy and spirit-lifting version more wildly divine than the phantasies which
hovered about the slumbering soulse of the daughters of Delos.”215
Questa descrizione che Poe ci fa attraverso il narratore interno di Ligeia sembra, quasi,
una descrizione di Mary-Maria all’interno di Silent Hill: nel gioco, si recuperano infatti
questi stilemi classici di connotazione del personaggio che causa l’ossessione del
caratteristiche che troviamo in questa Ligeia (ma anche, ad esempio, in Berenice) e che
la Mary-Maria di Silent Hill fa sue.
Maria è una donna che James trova a Silent Hill e che, in evidente difficoltà, decide di
aiutare. In realtà, nel corso della storia, il giocatore si rende conto che Maria è l’alter ego
di Mary: sembra essere tutto quello che la moglie di James non era più stata, per colpa
della malattia. Una bellissima donna, spregiudicata, sicura di sé (lavora come ballerina
215
http://en.wikisource.org/wiki/Ligeia
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sembra essere potenzialmente una buona compagna per James, una persona che può
la deve salvare ma, fondamentalmente, non ne è in grado (o, forse, più semplicemente,
non vuole davvero).
Laura, Eddie e Angela sono poi tre personaggi che il protagonista (e il giocatore)
intravede più volte durante lo svolgimento della vicenda e che più che rivestire un
terrore che, nel corso dello sviluppo degli eventi attanagliano in modo sempre più
serrato James. Laura, una bambina in tenera età, afferma di essere stata compagna di
stanza della defunta Mary e vaga cercando la donna (quasi come se fosse sua madre)
per la nebbiosa e pericolosa città. Angela è una giovane donna, tornata a sua volta a
cercare la madre a Silent Hill: Angela è stata vittima di abusi sessuali da parte del padre
(con cui confonde James più di una volta) ed è chiaramente segnata da questa
esperienza. Eddie è un ragazzo con problemi psichici e fisici: la sua goffaggine e la sua
schernisce, tant’è che ucciderà brutalmente un uomo, trovato poi da James sul suo
percorso.
Silent Hill 2 e il genere a cui appartiene: è un videogioco survival horror (in cui, cioè, il
protagonista deve arrivare alla fine della vicenda sopravvivendo a una serie infinita di
“Benvenuto a Silent Hill! Silent Hill, una tranquilla cittadina in riva al lago, ideale per un po’
di relax. Siamo felici di avervi qui. Con le sue casette tipiche, con il suo splendido paesaggio
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incorniciato dalle montagne e con il suo lago, bello e diverso in ogni momento del giorno,
dall’alba al tramonto, Silent Hill vi commuoverà e vi farà emozionare pervadendovi con la
sua pace assoluta e la sua tranquillità. Speriamo che possiate trascorrere dei bei momenti e
che conserverete il ricordo di questo luogo per sempre.”
una delle prime fasi del gioco. Se fin dall’inizio, sia James che il giocatore vengono
corrotto, è solo leggendo questo testo che ci si può rendere conto della “perversione”
della situazione: questa descrizione “erronea” o comunque molto distante dal vero è la
prova oggettiva e tangibile che, un tempo, Silent Hill è stata diversa - è stata davvero
un’amena cittadina - e che ora qualcosa di marcio e di disgustoso sta serpeggiando per
le sue strade. Perché è così che vediamo la città, esplorandola sempre più
nebbiose strade della città ricordano The Mist di Stephen King, ma anche le
ambientazioni dei romanzi neo gotici di McGrath, in cui pallidi e spesso folli
protagonisti si aggirano per scenari inglesi (che siano la città di Londra o la campagna)
nascosti dalla vischiosità della nebbia, persi in questo alone bianco di semi-
(in)coscienza.
La nebbia di King arriva come una sorpresa, ed è il fulcro del racconto: i personaggi,
“Billy went for the flag - then stopped. At the same moment I felt Steff go rigid against me,
and I saw it myself. The Harrison side of
the lake was gone. It had been buried under a line of bright-white mist, like a fair-weather
cloud fallen to earth.
My dream of the night before recurred, and when Steff asked me what it was, the word that
nearly jumped first from my mouth was
God.
241
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"David?"
You couldn't see even a hint of the shoreline over there, but years of looking at Long Lake
made me believe that the shoreline wasn't
hidden by much; only yards, maybe. The edge of the mist was nearly ruler-straight.
"What is it, Dad?" Billy yelled. He was in the water up to his knees, groping for the soggy
flag.
"Fogbank," I said.” 216
A Silent Hill, come in The Mist, è accaduto qualcosa di disumano, pur in un contesto che
ricorda in tutto e per tutto la normalità.
“Il senso di ‘stranezza’ di cui parlava Masashi Tsuboyama è suscitato innanzitutto dalla
scoperta di una città desolata, abbandonata dai suoi abitanti (in questo caso, abitanti
normali), piombata in una nebbiosa oscurità, un luogo in cui per giunta, nevica fuori
stagione. Ci si sente spaventati e disorientati, nel mondo reale, perché è possibile
paragonare questa situazione a circostanze quotidiane e si può immaginare quello che
proveremmo in una situazione simile. È quello che si prova quando ci si alza la mattina
presto e ci si aggira per le strade deserte. È la sensazione di inquietudine che ci assale
quando un calo inaspettato di tensione fa cadere la casa in un buio completo.”217
La nebbia, in Silent Hill, ha una storia curiosa, alle spalle. Il motivo principale per cui la
nebbia è stata inserita nel gioco dagli sviluppatori era legato alla potenza di calcolo del
processore della PlayStation, prima piattaforma per cui il primo episodio della serie è
sviluppatori hanno aggiunto questo vincolo, questa limitazione: grazie alla nebbia,
infatti, il campo visivo del protagonista (e, di conseguenza, del giocatore) si riducevano
notevolmente. Vista l’efficacia che ha dimostrato nel primo episodio, l’espediente della
alcune limitazioni tecniche fossero venute meno). In Silent Hill 2, in particolare, l’utilizzo
affacciano le mostruosità e gli orrori. I suoni e le immagini sono attutite, le sagome che
216
King, Stephen (1980) The Mist, Viking Press, Signet, p. 10
217
Perron, Bernard (2006) Silent Hill. Il motore del terrore, Costlan Editori, Milano, p. 48
242
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compaiono risultano più inquietanti delle visioni vere e proprie e, non ultimo, il
pesante senso di isolamento che avvolge tutta la città arriva a contaminare anche il
protagonista, proprio grazie alla nebbia.
La nebbia, assimilata alle nuvole, da alcuni critici, è vista come qualcosa che,
primariamente, “impedisce la visione” ma che è anche portatrice di morte:
“A cloud can be anything that prevents vision. Since in Greek terms life is seeing the light,
as well as being in the light, death comes as a cloud: ‘the black cloud of death concealed
him’ (Homer, iliad 16.350) (…). Perhaps because one is blinded by griefs or sorrows they
come in clouds as well.”218
In Silent Hill la morte è ovunque e ancora di più nel cuore dei personaggi che
incontriamo (anche di James), ma viene celata da questo velo biancastro che sembra
innocuo e ordinario mentre, in realtà, è l’unica sottile barriera che ci separa dall’orrore.
Più che a creare terrore, la nebbia serve per far rabbrividire il giocatore, per farlo
cui tutti gli elementi di quello che abitualmente si configura come “reale” vengono
agilmente ricondurre a momenti della vita reale, gli edifici che visitiamo fanno parte
della quotidianità degli individui, le lievi inquietudini che sperimentiamo nella vita
reale sono sollecitate e amplificate nel contesto di gioco. I Wood Side Apartments,
sono anche semplici luoghi per le vacanze, case di cura, scuole, luoghi di culto e così
via, che tutti ben conoscono. Vederli mutati e riconfigurato in una veste di orrore,
218
Ferber, Michael (1999) A Dictionary of Literary Symbols, Cambridge University Press, Cambridge, p. 44
219
Queste sono le principali ambientazioni di Silent Hill 2, ma la città, come emerge negli altri episodi, è anche dotata di una scuola
elementare, la Midwich, di un manicomio, l’Alchemilla, di un parco dei divertimenti e di una chiesa, tra gli altri.
220
Perron, Bernard, op. citi. p. 49
243
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ferraglia arrugginita che spunta dalle pareti, questo è il primo elemento che colpisce e
inquieta il giocatore, ancor più dei “mostri” e delle orripilanti visioni che avrà nel corso
dell’avventura:
non solo a osservare questo mondo da incubo che è la città di Silent Hill, ma ad
le emergenze più efficaci e funzionali alla narrazione. Nel racconto “King Pest” di Poe,
“The air was cold and misty. The paving-stones, loosened from their beds, lay in wild
disorder amid the tall, rank grass, which sprang up around the feet and ankles. Fallen
houses choked up the streets. The most fetid and poisonous smells everywhere
prevailed;—and by the aid of that ghastly light which, even at midnight, never fails to
emanate from a vapory and pestilential at atmosphere, might be discerned lying in the by-
paths and alleys, or rotting in the windowless habitations, the carcass of many a nocturnal
plunderer arrested by the hand of the plague in the very perpetration of his robbery.” 222
221
Ibid. p. 49
222
http://en.wikisource.org/wiki/King_Pest
“L’aria era fredda e nebbiosa. I ciottoli, scalzati dal lastrico, giacevano in selvaggio disordine fra l’alta erba tenace che saliva fino alle
caviglie. Case crollate ostruivano le vie. I più fetidi e deleterio odori regnavano dappertutto; e grazie alla luce spettrale che anche in
244
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lettore comincia a temere per l’incolumità dei personaggi, prova disgusto e repellenza
per l’ambiente malsano, ma si concentra esattamente sugli elementi che l’autore vuole
mettere in luce, ossia la peste e la solitudine del luogo. Continua con la descrizione del
luogo dove invece si trovano i sei commensali macabri:
“The room within which they found themselves proved to be the shop of an undertaker;
but an open trap-door, in a corner of the floor near the entrance, looked down upon a long
range of wine-cellars, whose depths the occasional sound of bursting bottles proclaimed to
be well stored with their appropriate contents. In the middle of the room stood a table—in
the centre of which again arose a huge tub of what appeared to be punch. Bottles of
various wines and cordials, together with jugs, pitchers, and flagons of every shape and
quality, were scattered profusely upon the board. Around it, upon coffin-tressels, was
seated a company of six. This company I will endeavor to delineate one by one. (…)Before
each of the party lay a portion of a skull, which was used as a drinking cup. Overhead was
suspended a human skeleton, by means of a rope tied round one of the legs and fastened
to a ring in the ceiling. The other limb, confined by no such fetter, stuck off from the body at
right angles, causing the whole loose and rattling frame to dangle and twirl about at the
caprice of every occasional puff of wind which found its way into the apartment. In the
cranium of this hideous thing lay quantity of ignited charcoal, which threw a fitful but vivid
light over the entire scene;” 224
La descrizione di questi due ambienti trascina il lettore in una spirale di orrori sempre
più accentuati: dapprima c’è solo la paura del contagio, della pestilenza. Man mano che
piena notte emana sempre da un’atmosfera impregnata di vapori pestilenziali, si potevano scorgere per le vie ed i vicoli, o in
putrefazione dentro le case dalle finestre prive di imposte, i cadaveri dei tanti ladri notturni che la mano della peste aveva fermato
nel corso delle loro delittuose gesta” Tr. Poe, Edgar Allan. op. cit. p. 169
223
Cfr. “Poe’s aesthetic theory” di Tomc, Sandra in Hayes, Kevin (ed.) (2002) The Cambridge Companion to Edgar Allan Poe, Cambridge
University Press, Cambridge
224
http://en.wikisource.org/wiki/King_Pest
“La stanza nella quale così vennero a trovarsi era la bottega di un impresario di pompe funebri; ma una botola aperta in un angolo
del pavimento presso la porta, dava accesso a una serie di cantine, le cui profondità, a un occasionale rumore di bottiglie infrante, si
rivelarono provvedute del loro appropriato contenuto. In mezzo alla stanza c’era una tavola, al centro della quale sorgeva una
gigantesca caraffa piena in apparenza di punch. Bottiglie di vini svariati e di cordiali, insieme a caraffe, boccali e flaconi d’ogni forma
e quantità, erano sparse a profusione per tutta la distesa dell’asse, intorno al quale, su delle bare, sedeva una compagnia di sei
persone che io mi sforzerò di descrivere una per una. (…) Davanti ad ogni convitato era posato un mezzo cranio, ed ognuno se ne
serviva come coppa. Su per aria era sospeso uno scheletro umano, tenuto per una gamba da una corda fissata a un anello del
soffitto, e come l’altra cambia era libera e ricadeva ad angolo retto, quella carcassa disarticolata e risonante si agitava tutta,
danzando e piroettando, ad ogni soffio di vento che s’infilava dentro il locale. Nel cranio di quell’orribile cosa era stata introdotta una
certa quantità di carbone acceso che gettava sprazzi di vivida luce su tutta la scena;” Tr. Poe, Edgar Allan, op. cit. pp. 173-174
245
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morte, il rosso del supposto punch, il cranio con i tizzoni ardenti, tutta questa
sguardo prima dell’autore, poi forzatamente del lettore, e dal quale la descrizione
l’orizzonte d’attesa del lettore che sta affrontando un racconto dell’orrore. D’altra parte,
dei punti di forza di Poe che il videogioco (in generale, non solo nel caso specifico di
Silent Hill) non può che recuperare: l’elemento fondamentale, nel racconto dell’orrore, è
La struttura della narrazione, in questo caso, e la funzione dello spazio della narrazione
sono utilizzati in modo strumentale e utilitaristico sia dall’autore che dal lettore, in
quanto non ci è dato sapere cosa ci sia, ad esempio, sul pavimento, o quale sia l’odore
che permea l’aria, o ancora se ci siano degli ulteriori elementi di malata perversione
della vita all’interno della stanza sopra descritta.
all’interno del quale avverrà l’azione stessa. Il “movimento”, nello spazio letterario, non
246
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spostamento, il cambio “di scena” (di spazio, appunto) che il lettore capisce, tra le altre
cose, che la vicenda si sta evolvendo. Non solo: il contenuto stesso è veicolato dallo
spazio e dagli “attori” che si muovono al suo interno.
letteralmente uno spessore: anche qui, come nel caso di Poe, l’autore (o gli autori) ha
creato un contesto in cui gli elementi emergenti siano quelli funzionali alla
prosecuzione della storia: le chiavi o gli oggetti fondamentali rilucono di una strana
luce, quando il protagonista vi passa accanto con la sua torcia elettrica, le porte dei vari
edifici esplorati da James-giocatore non sono tutte apribili, anzi parecchie sono “rotte”
brama di sapere e conoscere cos’è successo a Silent Hill e com’era la città un tempo. È
esattamente così che il giocatore approfondisce aspetti legati all’ambiente che non
sono minimamente centrali, dal punto di vista della storia, ma che contribuiscono
possiamo contare sul fatto che anche quegli elementi sono messi lì a bella posta per
giocatore. Non avremo un autore che ci evidenzia gli elementi più inquietanti, ma
avremo la libertà di esplorare a diversi livelli dello spazio e di decidere, in base al nostro
James-giocatore può proseguire le sue azioni e le sue vicende. Come nel caso dello
spazio letterario, questo spazio ha una funzione “informativa”: da una parte mette a
247
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emozioni, dall’altra però assume un ruolo attivo nel dipanarsi della vicenda,
nell’attraversamento della storia da parte del fruitore. Lo spazio diventa a tutti gli
possono essere più o meno approfonditi, a seconda della volontà stessa del giocatore:
ci saranno gli achievers che cercheranno di raggiungere lo scopo nel modo più efficace,
rapido e “violento” possibile, mentre gli explorers si soffermeranno su tutti quei dettagli
Un esempio letterario efficace che ha sicuramente ispirato gli ideatori di Silent Hill è
stato Lovecraft. In At the Mountains of Madness e The Shunned House abbiamo due esempi
di descrizione dell’ambiente funzionali a mostrare come, nel primo caso, ci sia una
vengono suscitati dalla familiarità degli oggetti e degli ambienti descritti, esattamente
come accade in Silent Hill.
Ecco come viene descritto, a poche pagine dall’inizio del racconto, il ritrovamento di
questi “fossili disumani” nel corso di una spedizione in Antartide:
“"Later. Examining certain skeletal fragments of large land and marine saurians and
primitive mammals, find singular local wounds or injuries to bony structure not attributable
to any known predatory or carnivorous animal of any. (…)Orrendorf and Watkins, working
underground at 9:45 with light, found monstrous barrel-shaped fossil of wholly unknown
nature; probably vegetable unless overgrown specimen of unknown marine radiata. Tissue
evidently preserved by mineral salts. Tough as leather, but astonishing flexibility retained
in places. Marks of broken-off parts at ends and around sides. Six feet end to end, three
and five-tenths feet central diameter, tapering to one foot at each end. (…)Complete
specimens have such uncanny resemblance to certain creatures of primal myth that
suggestion of ancient existence outside antarctic becomes inevitable. Dyer and Pabodie
have read Necronomicon and seen Clark Ashton Smith's nightmare paintings based on
text, and will understand when I speak of Elder Things supposed to have created all earth
life as jest or mistake. Students have always thought conception formed from morbid
248
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imaginative treatment of very ancient tropical radiata. Also like prehistoric folklore things
Wilmarth has spoken of—Cthulhu cult appendages, etc. (…)Job now to get fourteen huge
specimens to camp without dogs, which bark furiously and can't be trusted near them.”226
Notiamo qui come l’orrore sia determinato da diversi elementi, tutti esterni alla natura
trovano: i personaggi si trovano isolati in Antartide, nel corso di una missione difficile
per il reperimento di materiale di studio. Sono soli, lontani dalla società civile e alle
prese con forze già di per sé terrificanti, quelle del freddo estremo e del ghiaccio. Come
questo fossile-barile, che i cani sembrano non sopportare e che disorienta tutti i
miti dei libri oscuri (viene citato il Necronomicon, la cui emergenza contribuisce
lontano e diverso da un essere umano, senza nulla di antropomorfo ma, ancora di più,
all’inesplorato (in questo caso, a territori e tempi inesplorati, perché si scoprirà che
questa razza appartiene al passato remoto della terra), l’ulteriore inspiegabile e quasi
sensibilità del lettore (e, nel periodo della scrittura, ancora più di ora, in cui abbiamo
226
http://en.wikisource.org/wiki/At_the_Mountains_of_Madness
“Più tardi, esaminando i frammenti scheletrici dei grossi sauri marini e terrestri e di alcuni mammiferi primitivi, abbiamo trovato
singolari tracce di ferite locali, o danni alle ossa, che non si possono attribuire a predatori o carnivori di nessuna epoca conosciuta.
(…) Orrendorf e Watkins, che sono scesi nel sottosuolo con le torce alle 9:45, hanno rinvenuto un fossile mostruoso, a forma di barile
e del tutto sconosciuto; probabilmente si tratta di una forma di vita vegetale o d i un esemplare super-sviluppato di organismo
marino sconosciuto. È duro come il cuoio, ma a tratti conserva una stupefacente elasticità. Alle estremità e intorno ai alti sono
evidenti i segni di parti mancanti. Misura più di un metro e ottanta da un’estremità all’altra e circa un metro di diametro al centro, ma
si restringe a ciascuna estremità fino a circa trentacinque centimetri. (…) La struttura complessiva ricorda le creature mostruose di
certi antichi cicli mitici, e in particolare gli Esseri antichi di cui parla il Necronomicon. Le ali sembrano membranose e sorrette da
un’intelaiatura di aste ghiandolari. Alle estremità delle ali sembra di notare minuti orifizi nelle aste. (…) Abbiamo sempre problemi
con i cani: non sopportano la vista del nuovo esemplare e se non lo tenessimo a debita distanza lo farebbero a pezzi” Tr. Lovecraft,
Howard Phillips (1994) Le montagne della follia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
249
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ai poli) contribuiscono a creare un quadro di disagio e inquietudine nei lettori, che pur
sono consapevolmente distanti da quella vicenda e non si sono mai trovati né,
teoricamente, si troveranno mai nel corso della loro vita a confrontarsi con
un’esperienza del genere.
Nel caso di The Shunned House, invece, la strategia per costruire il terrore è parallela e
probabilmente ispiratrice di quella che troviamo in Silent Hill. Viene presentata una casa
anonima, un po’ isolata rispetto all’altrettanto anonimo paese di cui fa parte (se si
quella casa). Anche se, alla fine del racconto, la causa prima dell’orrore sarà identificata
in una sorta di mostro ectoplasmatico che ha corrotto, nel corso degli anni, la salute
mentale e fisica degli abitanti dell’oscuro edificio, in questo caso è proprio attraverso la
tornare, in cui sentirsi protetti (la propria casa, appunto) che Lovecraft fa crescere
l’inquietudine del lettore:
“In my childhood the shunned house was vacant, with barren, gnarled and terrible old
trees, long, queerly pale grass and nightmarishly misshapen weeds in the high terraced
yard where birds never lingered. We boys used to overrun the place, and I can still recall my
youthful terror not only at the morbid strangeness of this sinister vegetation, but at the
eldritch atmosphere and odour of the dilapidated house, whose unlocked front door was
often entered in quest of shudders. The small-paned windows were largely broken, and a
nameless air of desolation hung round the precarious panel ling, shaky interior shutters,
peeling wallpaper, falling plaster, rickety staircases, and such fragments of battered
furniture as still remained. The dust and cobwebs added their touch of the fearful; and
brave indeed was the boy who would voluntarily ascend the ladder to the attic, a vast
raftered length lighted only by small blinking windows in the gable ends, and filled with a
massed wreckage of chests, chairs, and spinning-wheels which infinite years of deposit had
shrouded and festooned into monstrous and hellish shapes.
But after all, the attic was not the most terrible part of the house. It was the dank, humid
cellar which somehow exerted the strongest repulsion on us, even though it was wholly
above ground on the street side, with only a thin door and window-pierced brick wall to
separate it from the busy sidewalk.” 227
227
http://en.wikisource.org/wiki/The_Shunned_House
“Durante la mia infanzia, la casa abbandonata era rimasta vuota, con i suoi raccapriccianti alberi spettrali, il suo prato selvaggio e
scolorito, e le erbacce incolte – come quelle di un incubo – che avevano ricoperto la terrazza sulla quale non si posavano mai gli
250
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È così che il narratore introduce la casa. Non è casuale che la narrazione sia interna, in
fattori: la natura “ordinaria” della casa, ossia l’aspetto analogo alle diverse case
diroccate che un potenziale lettore di Lovecraft poteva aver visto; la natura ordinaria
dei protagonisti: non speleologi né scienziati, solo un ragazzo con degli amici e suo zio.
caratteristiche comunque comuni a diversi edifici: tutti hanno avuto a che fare con
alberi dai rami rattrappiti, a ragnatele lugubri, all’odore di muffa delle cantine, al
marcire inesorabile del legno delle fondamenta. Ed è proprio su questi elementi di
“quotidianità” che sia Lovecraft che gli ideatori di Silent Hill puntano: non siamo, come
in Resident Evil, i membri di una squadra speciale che si trova all’improvviso nel mezzo di
una catastrofe biologica e deve arginare i danni. Non siamo supereroi dotati di poteri
che possono salvare le sorti del mondo. Siamo dei ragazzi, dei giovani uomini, persone
mancare. È questo che è la città di Silent Hill: come la casa stregata di Lovecraft, è la
quale il protagonista, fin troppo umano, si trova a muoversi suo malgrado. La città è
uccelli.
Noi ragazzi ci recavamo spesso nei dintorni a giocare, e ricordo ancora il mio terrore non solo per la sinistra stranezza della torva
vegetazione, ma soprattutto per l’odore e l’atmosfera soprannaturale che incombevano sull’edificio diroccato, nel cui portone
principale, rimasto aperto, entravamo alla ricerca del brivido.
Le finestrelle pennellate erano quasi del tutto rotte, ed un senso indefinibile di desolazione aleggiava sulle persiane in equilibrio
precario che si muovevano nell’interno, sulla carta da parati strappata, sull’intonaco cadente, sulle scale traballanti e sui resti di
mobilio tarlato che ancora rimanevano in piedi. La polvere e le ragnatele aggiungevano un ultimo tocco all’aspetto terribile
dell’insieme, e da considerarsi veramente coraggioso era quel ragazzo che fosse salito di sua spontanea volontà sulla soffitta, un
ampio spazio sostenuto dalle travi e illuminato soltanto dal debole chiarore delle finestre del frontone, pieno di sedie, cassetti rotti e
macchine per filare, che infiniti anni di disuso avevano trasformato e deformato in sagome mostruose e diaboliche.
Ma, dopotutto, la soffitta non era la parte più spaventosa della casa. Era invece la cantina umida e fradicia ad ispirarci la maggior
repulsione, nonostante si trovasse a livello della strada, con la sua fragile porta e il muro di mattoni eretto per separare la finestra dal
marciapiede chiassoso” Tr. Lovecraft, Howard Phillips (1998) La casa stregata, Newton & Compton, Roma, p. 22
251
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meglio, appunto, “stregata”, in cui gli orrori partoriti dal cuore del protagonista
vengono a galla e si materializzano.
È solo grazie al personaggio della città (peraltro costante e coerentissimo in tutti gli
episodi della serie) che l’esperienza del giocatore si concretizza:
trama, deve sapere come si svilupperà la vicenda, deve scoprire la verità sulla morte di
Mary e sulla reale relazione che intercorreva tra James e la moglie. È proprio nell’ottica
importanza viene ricoperto dai mostri e dalle figure terrificanti che si aggirano per la
città. Niente, all’interno di Silent Hill, è fine a se stesso: prima abbiamo accennato al
magari descritta a parole, ma mai mostrata, a Silent Hill ci troviamo davanti a una
schiera di esseri mostruosi e ripugnanti:
“I mostri di Silent Hill (come tutti quelli dei survival horror) sono stati concepiti con l’obiettivo
primario di terrorizzare. Eseguono azioni letali e disarmanti. Da soli o in gruppi, assaltano il
giocatore, gli si avventano letteralmente contro, lo spingono per terra, lo colpiscono, lo
mordono, lo afferrano, lo bloccano e lo divorano, lo feriscono a morte, lo infilzano, lo fanno
soffocare, gli sparano, gli sputano addosso fuoco, gli lanciano contro scosse elettriche e così
via.” 229
228
Perron, Bernard. op. cit. p. 45
229
Ibid. p. 53
252
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Non è certo un caso, ancora, che i racconti di Poe e i fantastici resoconti di Lovecraft
siano in prima persona e non è certo un caso che le analogie tra le dinamiche narrative
di quei racconti e le dinamiche ludiche del survival horror siano così affini: il
rischiano di subire le atrocità perpetrate dai mostri. È questo il vero orrore, non la sola
“Non bisogna poi dimenticare che i mostri sono ‘impuri’, e quindi disgustosi. Generati da
una mutazione inaspettata, dal conflitto tra due o più categorie bioculturali, le creature non
rispettano le distinzioni canoniche dentro-fuori, vivo-morto, animale-uomo, carne-macchina
e animato-inanimato.”230
scricchiolio di arti e giunture, cani a due teste, infermiere devastate e rovinate che
per mettere in evidenza l’orrore e il disgusto che tali mostri causano. Non sono come il
“fossile mostruoso” del Lovecraft de La montagna della follia ma sono come gli spettri
partoriti dalle menti malate e dalle visioni deliranti dei protagonisti di Poe:
“His face was as yellow as saffron—but no feature excepting one alone, was sufficiently
marked to merit a particular description. This one consisted in a forehead so unusually and
hideously lofty, as to have the appearance of a bonnet or crown of flesh superadded upon
the natural head. (…)indeed the acute Tarpaulin immediately observed that the same
remark might have applied to each individual person of the party; every one of whom
seemed to possess a monopoly of some particular portion of physiognomy. With the lady in
question this portion proved to be the mouth. Commencing at the right ear, it swept with a
terrific chasm to the left—the short pendants which she wore in either auricle continually
bobbing into the aperture.”231
230
Ibid. p.56
231
http://en.wikisource.org/wiki/King_Pest
“Aveva un viso giallo come lo zafferano; ma i suoi lineamenti, uno eccettuato, erano di così scarso rilievo da non meritare una
descrizione specifica. L’unica anormalità consisteva nella fronte, che appariva tanto straordinariamente e orribilmente alta da far
pensare a un’aggiunta artificiale di carne sopra la testa vera e propria. (…) Tarpaulin aveva subito notato che si poteva dire la stessa
cosa di tutti quei personaggi, ognuno dei quali pareva si fosse preso il monopolio di un determinato pezzo fisionomico. Nella dama
in questione, questo pezzo era la bocca, una bocca che cominciava dall’orecchia destra e correva sino alla sinistra disegnando un
pauroso abisso, dentro al quale i corti orecchini pendenti si tuffavano di continuo” Tr. Poe, Edgar Allan, op. cit. p. 170-174
253
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Questi sono solo alcuni dei personaggi descritti da Poe in “King Pest”, già citato in
L’elemento comune al terrore, che vuole essere più psicologico che fisico o per
elementi di forte mostruosità. Così come avveniva per l’ambiente, anche i mostri e i
personaggi secondari vengono investiti da un’aura di disgusto, sia esso legato alla
carne e alla deformità (i mostri) o alla psicologia rovinata e martoriata, come nel caso di
Eddie ed Angela. Queste due figure, insieme all’ancora mai citato, eppur fondamentale,
Pyramid Head, sono in un certo senso la chiave di volta per interpretare in modo
efficace tutta la vicenda nella quale James e il giocatore sono stati trascinati. Dato come
un fatto assodato che, nel corso del gioco, tra il giocatore e James si sviluppano una
Head servono per suggerire la verità celata sotto gli orrori della città di Silent Hill: la
città altro non è che una proiezione immaginifica e repressa del profondo senso di
colpa di James, il quale non ha mai ricevuto alcuna lettera dalla presunta defunta
moglie Mary, in quanto la donna è realmente morta, e proprio per mano del marito.
dell’oppressione della sua malattia. È per questo che, dopo tre anni, James intraprende
questo viaggio nei propri inferi personali per cercare di redimersi affrontando tutto
l’orrore che ha causato, sprofondando negli abissi della disperazione per riuscire a
riemergerne finalmente mondato dal suo peccato.
Allora rileggiamo tutto in chiave simbolica o, meglio, quasi psicanalitica: la città è sia il
luogo dei momenti felici che la tomba dell’angoscia di un uomo che spinto dalla pietà
e forse anche dall’egoismo ha ucciso la persona che amava. I mostri e gli orrori che
James incontra sul proprio percorso sono l’ipostasi del senso di colpa e della sua voglia
254
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è la tentazione, quel desiderio di vita passionale, sana e attraente che ha spinto James a
Eddie, per il suo ritardo fisico e mentale), ma in realtà feroce e incontrollato. Angela, che
concretizzazione della bramosia sessuale di James: non solo, questo forte desiderio di
anche dal mostro più tremendo (e, peraltro, imbattibile) con cui James si scontrerà: un
energumeno sovrumano con, al posto della testa, un’enorme piramide di ferro nera,
arrugginita e sporca di sangue. Pyramid Head non è solo la parte più profonda e
James dice: “Sono stato debole. Ecco perché avevo bisogno di te… Avevo bisogno di
qualcuno che mi punisse per i miei peccati… Ma ora è tutto finito… Ora conosco la
La città era solo una “porta”, un varco per una discesa agli inferi personale di un uomo
dei finali del gioco permette una notevole pluralità di interpretazione: i finali più “seri”
e legati a filo doppio con lo sviluppo della trama sono quelli in cui James ricostruisce il
delitto della moglie ma, a seconda della motivazione, prende decisioni diverse. Nel caso
il delitto sia stato perpetrato per pietà e per porre fine alle sofferenze dell’amata, James
se ne andrà da Silent Hill incolume, portando o meno con sé Laura, la bambina che
anche Mary avrebbe voluto adottare e che lo ha guidato, in un certo senso, attraverso
le vie della città. Nel caso in cui, invece, il movente del delitto fosse stata la bramosia
255
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sconforto e dal senso di colpa, e resterà per sempre preda delle spirali della città.
Nell’altro, riuscirà a fuggire con Maria, l’alter-ego erotico della moglie morta, con cui
progetterà di iniziare una nuova vita, pur con la consapevolezza del delitto sulla
coscienza. La strana tosse di Maria alla fine della narrazione fa però presagire un
“eterno ritorno” della sciagura di James, come se, ancora una volta, la felicità dovesse
essere soppiantata dalla malattia e poi dalla follia.
Le analogie con l’orrore letterario, soprattutto con quello classico dei maestri del
genere, in cui il terrore e lo smarrimento dell’uomo derivano da elementi interni alla sua
psiche e alla sua essenza, e non più a “fantasmi” esterni o ad apparizioni estemporanee,
di Poe e Lovecraft fanno intuire che gli autori della saga e in particolare dell’episodio
fedele, le atmosfere e le situazioni che sono state spesso riproposte nelle opere dei due
interattiva in cui la componente strettamente narrativa perde, per così dire, il suo
narrazione, e tempi (sia narrativi che di gioco) vengono determinati non solo dalla
parola o dalla descrizione (numerose, anche se non eccessive, sono le cut scene*) ma
Silent Hill, sono funzionali alla creazione di questa atmosfera. Abbiamo già detto che, a
differenza delle descrizioni “verticali” effettuate dagli autori classici, più o meno
dettagliate, più o meno allusive, nel caso del videogame la creazione dell’atmosfera e
del contesto spaziale non sta affatto nella descrizione verbale dell’ambiente all’interno
parte del fruitore. La caratterizzazione stessa dei personaggi non avviene a parole, ma
256
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in base al ritmo e alla frequenza e alle modalità con cui appaiono. Prendiamo, ad
all’acqua) che più e meglio cela la mostruosità, è stato inizialmente aggiunto per motivi
tecnici: era più semplice ridurre la visuale del giocatore a uno stretto cono d’azione
(quello nelle vicinanze del personaggio virtuale) evitando di mostrare tutto lo scenario.
gioco. La nebbia che cela i mostri, ma anche la verità che James ha deciso di reprimere e
nascondere, è uno degli elementi che più rimane impresso di Silent Hill. I personaggi,
per quanto verosimili e umani, si muovono in modo diverso a seconda della loro
caratterizzazione psicologica, ma non vengono mai presentati da un narratore
onnisciente o attraverso una panoramica esterna (cut scene*): sono sempre visti in
medias res, a interagire con James, ed è da quelle interazioni che il giocatore deve e può
capire che “individui” sono. Mary è eterea e invisibile, mai eppure sempre presente,
moglie e della verità, o se cedere alle lusinghe e al fascino di questa donna diabolica
ma che gli può assicurare quella passione e quella vitalità sopita di cui ha tanto
affrontare scale scoscese e corridoi infiniti, lo spinge a vivere le sue peggiori paure
Come avviene, tuttavia, lo scontro con i personaggi e con la città? In che modo il ritmo
narrativo dell’orrore viene recuperato e riproposto a Silent Hill? Una delle dinamiche più
257
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efficaci, per l’orrore che vuole essere anche psicologico e non solo gore o splatter è
abbia regole ben precise (consuete come quelle di The Shunned House o meno, come
quelle di At the Mountains of Madness) e cominciare a far muovere i passi della scoperta al
In Silent Hill, come abbiamo visto, questa creazione dello spazio avviene fin da subito in
modo diretto ed efficace: il giocatore si trova direttamente all’interno della città e, senza
muovere per questo ambiente. Il gameplay* di Silent Hill 2 appare scarno, essenziale
quasi, forse un po’ “retrò” rispetto ad altri videogiochi dello stesso periodo232 non è del
tutto immotivato. La lentezza con cui si muove James, la difficoltà talvolta di eseguire le
azioni più banali (come selezionare e sfoderare un arma, aprire una porta, voltarsi e
servono a un duplice scopo: da una parte il giocatore capisce che la sua concentrazione
suo percorso, non importa con quanta perizia e precisione imparerà ad uccidere i
mostri e gli abomini che incrocia, non importa nemmeno quanti mostri ucciderà. Il
nel contesto di Silent Hill. Allo stesso modo, non è il cogliere i riferimenti colti, non è
visitarlo, scoprirlo, lasciarsi trascinare nei suoi meandri, perdersi e, a un certo punto,
232
La complessità, ad esempio, di un prodotto quasi contemporaneo a Silent Hill 2, ossia Metal Gear Solid 2, di Hideo Kojima, è una prova
concreta dei livelli di complessità e articolazione che poteva raggiungere la struttura videoludica.
258
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quando l’immersione è totale e il giocatore (lettore) si sente davvero parte del mondo
che sta esplorando, comincia l’orrore. Vagare è come leggere lunghe descrizioni. Le
parole, scelte con cura certosina in modo tale da ricostruire fedelmente un’atmosfera
che funga da anticamera per la rivelazione (macabra) sono sostituite dai dettagli visivi e
narratore mentalmente instabile, che cela un drammatico segreto e che ci trascina nel
suo vortice di follia raccontando lentamente di una situazione che dalla normalità si
trasforma in morbosa ossessione, a Silent Hill seguiremo James Sunderland nelle sue
nostra guida, che costituisce i nostri occhi e le nostre mani. Come non possiamo affatto
fidarci dei narratori interni di Poe, che sono sempre individui chiaramente sull’orlo della
trascinarci nel loro mondo di orrore, allo stesso modo il protagonista di Silent Hill 2,
disturbato e folle. Non solo, è in effetti l’origine prima di tutto il male a cui stiamo
assistendo. La narrazione prettamente verbale lascia spazio a quella non verbale, legata
pagine, ci rendiamo conto di starci dirigendo nella direzione giusta per la scoperta sì
dell’orrore, ma anche della verità e della salvezza, nel corso di un survival horror la
percezione che abbiamo di continuo è che il nostro percorso viene allungato dalla
nostra inesperienza e dalla nostra stessa paura. Siamo liberi di esplorare, sì, ma questo
significa anche che più la nostra esplorazione si protrae, più possiamo incappare in
eventi sgradevoli, più possiamo restare terrorizzati. Incontrare Eddie che, riverso su un
water, vomita dopo aver ucciso un uomo, è una scena che il gioco non ci risparmia e
259
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che ci fa capire che più esploriamo, che più indaghiamo in quel mondo di orrore,
peggio sarà per noi. I binari della narrazione esistono, ma sono ben celati dalla
struttura della città. Possiamo camminare per lunghi minuti nella direzione sbagliata e
incontrare mostri deformi, abissi senza fine che ci sbarrano la strada, anguste botteghe
inutile ai fini narrativi. Sappiamo, insomma, che il narratore c’è, ma che sta a noi elidere
(o immergerci, a seconda del nostro più o meno marcato sadismo) quelle situazioni che
non sono funzionali alla storia e che ci causano solo sobbalzi e incubi notturni. Il
giocatore si rende conto (ben prima di James, in effetti) che si trova all’inferno e che
deve trovare la via d’uscita al più presto e nel modo più indolore possibile.
“Il giocatore corre e corre, sempre più giù, ma le scale sembrano non avere mai fine. In effetti
ci vuole un minuto per raggiungere la porta successiva. Personalmente, mi sono fermato
ben due volte sulle scale. La prima volta James era senza fiato per la corsa, mentre io stavo
soffocando. (…) Anche se, nella vita quotidiana, non ho mai sofferto di claustrofobia, su
quelle scale mi sono sentito davvero male. Ero al culmine della tensione.”234
Non solo quindi un disagio psicologico ma, come spesso accade quando si tratta di
233
Perron, Bernard op.cit. p. 120
234
Ibid. 121
260
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modo. Il giocatore vuole sempre e comunque essere padrone della situazione, non
smettere mai di agire, perché il ritmo narrativo di gioco non glielo consente e
l’urgenza al fruitore come se fosse vera: mollare il colpo, distrarsi un attimo, prendersi
una pausa non sono opzioni contemplabili durante la sessione di gioco perché non lo
avviene in modo perfetto (anche se non c’è una vera e propria identificazione).
L’obiettivo di queste scelte, dei percorsi esasperati, della lentezza del protagonista, del
sentimento di smarrimento e continuo pericolo (non c’è un posto che si possa ritenere
sicuro, a Silent Hill), questo incedere che si fa sempre più lento, faticoso, l’inutilità delle
azioni, come se il fine ultimo non fosse scoprire qualcosa ma solamente vagare,
richiama la metafora dei gironi infernali. I luoghi della città sembrano divisi per
punizione per i suoi abitanti: Pyramid Head fa scempio dei manichini nell’ospedale,
mentre James e Maria cercano di fuggire, Angela, nelle catacombe, affronta un mostro,
che suo padre, e confessa gli abusi subiti nell’infanzia, Eddie è costretto nei Wood Side
Apartments, condannato a provare un atroce senso di colpa per la sua ira violenta,
James. Siamo davanti a un carosello di figure che vivono condannate nei loro gironi, e
diventare consapevole delle sue colpe e dei suoi lati oscuri, per poi tornare alla loro
non-esistenza in quell’inferno che è Silent Hill.
L’immagine dell’inferno è proprio uno degli archetipi che questa città evoca, sia in
questo episodio che in tutta la serie di Silent Hill. Il viaggio di James che, come abbiamo
detto, è un viaggio della coscienza alla scoperta (o meglio, per ricordare) la verità sulla
morte della moglie Mary, che egli stesso ha assassinato in preda a un attacco di follia, è
261
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simile a un viaggio nel regno dei morti: tutta la situazione evocata è surreale e
simbolica, ogni personaggio, ogni luogo, ogni simbolo che il James-giocatore incontra
durante l’avventura sono in realtà un indizio subliminale che converge verso la verità
senso di colpa di James per la memoria della sua bramosia sessuale nei confronti di
altre donne nel periodo in cui sua moglie Mary giaceva sfigurata e in fin di vita in un
letto di ospedale. Angela è una donna fragile, spaventata, ispira pena a James che cerca
altre inquietanti figure di Silent Hill. Angela è l’idea dell’amore, contrapposta al puro
sesso e istinto che sono invece simboleggiati da Maria, provocante donna consapevole
che mette alla prova il James-giocatore per capire fino a che punto l’esperienza di
catarsi all’interno di Silent Hill sta funzionando. È questo che è la città, un luogo di
del proprio inconscio (memorabile è la scena in cui scende negli scantinati in cui è
prigioniera Maria e affronta una scala che appare innaturalmente lunga, che sembra
portarlo al centro della terra e invece lo conduce al cuore del problema), il viaggio di
James è a metà tra un viaggio nell’inconscio e un viaggio iniziatico, in cui egli deve
dimostrare (a se stesso e a nessun altro) di accettare quanto è successo e di vivere una
vita di consapevolezza con il peso della sua colpa e, più in generale, della miseria
umana.
L’analisi di Silent Hill 2 fin qui condotta e, in particolare, la molteplicità di finali in cui il
giocatore può incappare, a seconda delle sue scelte durante le sessioni di gioco ci
all’interno del genere fantastico di cui senza dubbio il racconto dell’orrore, a cui Silent
Hill si ispira fortemente, fa parte. In effetti, far aderire o meno Silent Hill 2 al modo
262
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Per una panoramica sul genere fantastico è quasi scontato partire dal già citato testo di
“In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che non conosciamo, senza diavoli, né
silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi
del mondo che ci è familiare. Colui che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle
due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto
dell’immaginazione, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure
l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà
è governata da leggi a noi ignote. O il diavolo è un’illusione, un essere immaginario, oppure
esiste realmente come tutti gli altri esseri viventi, salvo che lo si incontra di rado.
Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza: non appena si è scelta l’una o
l’altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile,
lo strano o il meraviglioso. Il fantastico è l’esitazione provata da un essere il quale conosce
soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale.”235
sua accettazione. L’essere che “conosce soltanto le leggi naturali” deve infatti dare
modo differente. Questo è quello che accade al nostro protagonista, cioè a James: da
uomo qualunque (senza qualità, ancora) egli si trova faccia a faccia con un
Lovecraft o, in generale, del filone di horror fantastico, sono scienziati, uomini colti e di
raziocinio; allo stesso modo James è un uomo del ventesimo secolo lontano dal
235
Todorov, Tzvetan (2000) La letteratura fantastica, Garzanti Editore, Milano, p. 34
263
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incontra durante il suo viaggio negli abissi del proprio cuore (ma questo lo scoprirà
solo alla fine del suo vagare) sono esattamente quell’elemento che permette al
lettura, l’interpretazione che si dà al testo non deve essere “né ‘poetica’ né ‘allegorica’”,
il contesto reale del lettore. In effetti, Todorov continua, il fantastico necessita di tre
condizioni, per essere definito veramente tale.
“In primo luogo, occorre che il testo obblighi il lettore a considerare il mondo dei personaggi
come un mondo di persone viventi e ad esitare tra una spiegazione naturale e una
spiegazione soprannaturale degli avvenimenti evocati. In secondo luogo, anche un
personaggio può provare la stessa esitazione; in tal modo la parte del lettore è per così dire
affidata a un personaggio e l’esitazione si trova ad essere, al tempo stesso, rappresentata,
diventa cioè uno dei temi dell’opera. (…) È necessario infine che il lettore adotti un certo
atteggiamento nei confronti del testo: egli rifiuterà sia l’interpretazione allegorica che
l’interpretazione ‘poetica’. La prima e la terza condizione costituiscono veramente il genere;
la seconda può non essere soddisfatta.”236
Anche in questo caso, Silent Hill soddisfa appieno queste tre richieste: la città di Silent
Hill si rivela essere un luogo di aberrazione e mostruosità, ma fin dall’inizio del gioco è
in teoria una normale cittadina americana. Sia il giocatore che il personaggio provano
in cui incappa, ma che non smette di interrogarsi, angosciato, sulla loro natura. Infine, il
236
Ibid. p. 36
264
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giocatore non capisce (almeno, non fino alla fine della partita) la motivazione
quest per la ricerca di una persona scomparsa si è trasformato in viaggio per la scoperta
di una verità celata. Alla fine della narrazione, le motivazioni di tutti i personaggi
(compresa la città stessa) appaiono chiare e sia James che il giocatore non pensano
nemmeno per un momento che quanto hanno vissuto sia stato un’allegoria, una
“licenza poetica”: pensano piuttosto entrambi che quello che è accaduto è stato
James, ma non sotto forma di “metafora”, bensì sotto forma di esseri reali che, all’interno
allegorica ci portano quindi sulla strada giusta per individuare il fantastico, tenendo
però presente che non bastano uno o più elementi soprannaturali per rendere
Penzoldt e Callois, che indicano tutte l’atmosfera e la percezione “sublime” del lettore
come indicatore del modo letterario.
265
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volte, infatti, nella letteratura fantastica (nella fiaba, nel racconto dell’orrore, nella
nei racconti fantastici, il lettore spera e sa che si troverà di fronte a mondi e potenze
“schierarsi” nei confronti delle vicende lette. Tuttavia restiamo profondamente convinti
che questo senso di disorientamento e i conseguenti meccanismi di interpretazione e
esposizione della trama, non unicamente sulle tematiche affrontate o sulle suggestioni
e terrore sono proprio quello verso cui la strutturazione del racconto fantastico tende.
Caillois, che mettono al centro della loro definizione il fatto che ”tutte le storie
soprannaturali sono storie di paura che ci costringono a chiederci se quel che crediamo
pura immaginazione non sia, dopo tutto, realtà.”238 E, infine, Callois definisce il
quella gradazione che il critico effettua del fantastico, che va dallo strano al
meraviglioso, passando per il fantastico puro. Queste distinzioni non sono tanto
238
Penzoldt, Peter (1952) The Supernatural in Fiction, London, Peter Nevill, in Todorov, Tzvetan, op. cit.
239
Callois, Roger (1965) Au coeur du fantastique, Paris, Gallimard in Todorov, Tzvetan, op. cit.
240
Forti sono state e sono tuttora le controversie sui diversi approcci al fantastico. Todorov, ad esempio, tende a concentrare tutta la
pregnanza della questione sull’ambito puramente letterario dell’opera, decidendo di tralasciare consapevolmente gli aspetti
sociologici, psicologici e simboliche. Egli riconduce tutto a un’analisi del testo senza spaziare verso le influenze extra-letterarie.
266
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tematiche (la forza di Todorov sta appunto nella genericità delle sue affermazioni)
quanto nell’interpretazione a cui sia l’autore che il lettore decidono di aderire.
“Alla fine della storia, il lettore, se non il personaggio, prende comunque una decisione,
opta per l’una o l’altra soluzione e quindi, in tal modo, evade dal fantastico. Se decide che le
leggi della realtà rimangono intatte e permettono di spiegare i fenomeni descritti, diciamo
che l’opera appartiene a un altro genere, lo strano. Se invece decide che si debbono
ammettere nuove leggi di natura, in virtù delle quali il fenomeno può essere spiegato,
entriamo nel genere del meraviglioso.”241
Come esempio per avvalorare questa affermazione, Todorov riporta il caso del
romanzo nero (o Gothic Novel) in cui si osservano le tendenze del “fantastico spiegato”
meraviglioso e arrivando fino al meraviglioso puro. Come si può collocare l’opera presa
in esame, in questo schema? In base al finale che, in ogni caso, prevede una presa di
consapevolezza del personaggio e del giocatore che motiva tutta l’avventura vissuta in
fantastico puro, perché viene comunque fornita una spiegazione. alla fine della
vicenda. Nonostante ci sia una motivazione conclusiva che getta luce sull’intera
questa esperienza, non si capisce come l’esistenza di un luogo come Silent Hill (e, di
meraviglioso, perché seppure non ci sia una spiegazione per gli eventi sovrannaturali
della vicenda, il protagonista comunque non smette mai di interrogarsi sulla natura di
questi fenomeni e non arriva mai ad accettarli come normali, ma continua a inscriverli
241
Todorov, Tzvetan, op. cit p. 45
267
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fantastico puro, insomma. Il giocatore però non resta deluso da questa spiegazione,
l’esplorazione di un universo comunque fantastico. Poco importa che tutto fosse, alla
un libro, in cui ci si rende conto che quello che ci è stato raccontato era tutta una
menzogna o meglio, un’illusione, nel caso di Silent Hill 2 e dei videogiochi in generale,
l’esperienza non è più solo una narrazione, che viene quindi squalificata dal fatto di
In realtà, tuttavia, come abbiamo affermato in precedenza, non possiamo più limitare la
Bessière pare essere non solo più ragionevole, ma anche più adeguata. Tuttavia, è pur
vero che la struttura di Silent Hill 2 e la decisione di far ruotare tutta la narrazione
intorno a una colpa da espiare, a una “falsa” follia del protagonista che si rivela invece
vicenda che viene concessa al fruitore. In questo senso lo schema di Todorov viene
rispettato. L’approccio più legato invece alla natura di “controforma” del fantastico sta
pazzo irrecuperabile tormentato dalle proprie visioni, ma è una fine riflessione sulle
268
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Silent Hill è dunque un ibrido, che unisce tematiche canoniche del gotico e dell’orrore,
questo modo i livelli di lettura si fanno molteplici e c’è chi vive la storia dell’orrore
dei personaggi, le loro ragioni e i loro percorsi, arriva a considerarli non più semplici
tondo che, come alcuni personaggi dei racconti di Poe, ci ricordano continuamente che
“non siamo loro” ma sottolineano continuamente che, in fondo, siamo esseri umani in
situazioni di vita che possono essere analoghe. Come nella tragedia greca, allora, il
anzi, è proprio attraverso questa nuova tipologia di comunicazione interattiva che noi,
dell’orrore che ogni uomo porta dentro di sé veniva meglio convogliato tramite trame
che possiamo esplorare fisicamente e che però porta con sé tutti quei retaggi, quella
simbologia, quelle tematiche e quei motivi che sono stati costitutivi delle narrazioni del
terrore tradizionali.
davanti a una storia “del passato” raccontata con mezzi del presente. D’altra parte, non
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2007 in tutto il mondo. Il videogioco, a lungo atteso dalla comunità dei videogiocatori
degli ultimi anni. Se, da una parte, è stata introdotta l’innovazione delle possibilità
combinatorie per l’utilizzo delle armi a disposizione del protagonista (più avanti
descritte in dettaglio), dall’altra il gioco è stato anche fortemente caratterizzato sia dal
“My name is Andrew Ryan, and I’m here to ask you a question: Is a man not entitled to the
sweat of his brow?
A city where the artist would not fear the censor. Where the scientist would not be bound
by petty moralità. Where the great would not be constrained by the small. With the sweat of
your brow, Rapture can become your city, as well.”242
Con queste parole si apre l’esperienza di Bioshock: un dis/utopico mondo all’interno del
governo, dalla religione o dalla politica. Come ogni meraviglioso assoluto, Rapture, la
futuribile, una sorta di Atlantide contemporanea, culla di una nuova civiltà umana
270
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riesce fortuitamente a raggiungere uno strano faro che sorge in mezzo al nulla.
Disorientato e spaventato, Jack entra nel faro per scoprire che è, in realtà, la porta di
alla libertà di pensiero. Senza altra possibilità di salvezza e cercando qualcuno che lo
possa aiutare, Jack sale sul batiscafo che comincia a immergersi nelle profondità degli
abissi. Uno strano filmato ci introduce a quello che sta per succedere: Andrew Ryan ci
parla di Rapture con le parole visionarie e ideologizzate prima citate e, dopo pochi
minuti, ci compare davanti agli occhi questa superba città subacquea, costruita
secondo i più moderni ritrovati della scienza e della tecnica, per quanto ambientata
negli anni ’50 del secolo scorso, e apparentemente popolata da persone finalmente
libere da qualsiasi vincolo morale o da qualsiasi limitazione etica, che possono godere
appieno del tanto adorato “intelletto umano”.
La realtà, purtroppo, è ben diversa dalla teoria: come ogni buona distopia che si
rispetti, Rapture non è più l’incarnazione di quel sogno ideale che era stata all’inizio
della sua esistenza. È ormai diventata un’immensa tomba nascosta nei meandri
dell’oceano all’interno della quale giacciono morti i cadaveri dei suoi abitanti e per le
apocalittico, ostile e invalicabile che si trova proiettato Jack, sul fondo degli abissi e
senza via di fuga. L’unico aiuto a disposizione di Jack sembra essere Atlas, un cittadino
famiglia, rimasta intrappolata nella città e affinché possiamo giungere al punto di fuga
da cui potremo risalire in superficie e lasciarci alle spalle gli obbrobri di Rapture.
Cosa è successo in questa città ricca di speranze e ormai cannibalizzata dai suoi stessi
“Plasmids are special serums made from processed ADAM that introduce special stem cells
into your system, allowing for genetic modification and real time mutation, giving you what
271
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some might call "super powers". Plasmids are powerful, but their development and overuse
have caused the downfall of Rapture.”243
apportassero dei miglioramenti nella qualità della vita. Il problema è che per
Di questi due, l’EVE è una sorta di “ricarica”, che permette alle modificazioni genetiche
sostanza, è l’entità prima che, scoperta dagli scienziati di Rapture, ha reso possibili le
mutazioni genetiche di massa:
“ADAM is the raw form of the unstable stem cells harvested and processed from a type of
sea slug parasite. It acts like a seemingly benign form of cancer, destroying native cells and
replacing them with the unstable stem versions. While it is this instability that gives it its
amazing properties, it is also what causes the cosmetic and mental damage.” 244
cellule più instabili. È la scienza, quindi, non Dio né la magia, ad aprire la strada verso
l’evoluzione dell’uomo. Evoluzione che, ovviamente, porta con sé atroci conseguenze: i
corpi che subiscono questa mutazione sono, inizialmente, più potenti e “performanti”
di prima. Lentamente, tuttavia, avviene una strana degenerazione che riguarda sia il
fisico che la mente: il corpo comincia a diventare mostruoso, le cellule mutano in modo
243
Come avviene, ultimamente, per ogni videogioco che abbia un notevole impatto e apprezzamento, sia di pubblico che di critica,
vengono sviluppati “centri autorevoli” di raccolta delle informazioni e degli approfondimenti riguardanti il gioco. In questo caso, la
fonte più autorevole (compilata sia dagli utenti che dagli sviluppatori stessi) è un Wiki, http://bioshock.wikia.com/, dal quale, a nostra
volta, attingeremo le informazioni più aggiornate e attendibili utili alla nostra analisi.
244
Ibid.
272
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assuefazione e di dipendenza tale per cui tutti i mutati cercano sempre più ADAM e
sempre più EVE, accelerando quindi il compromettersi dei loro tessuti e della loro
integrità. L’aggressività e la follia sono due degli effetti collaterali più visibili, insieme
alla degenerazione fisica. Tutti gli abitanti di Rapture sono infatti esseri mostruosi che
si aggirano in branchi per questa città morta alla ricerca di quelle sostanze che hanno
causato la loro rovina, ma di cui non possono più fare a meno.
sconosciuto per giungere al punto di fuga, guidati dalla sola voce di Atlas, un cittadino
rimasto immune all’effetto dell’ADAM che si offre di aiutarci, dalla sala di comando in
cui si trova, per farci giungere incolumi alla libertà. Andrew Ryan, che minaccia
agente del governo giunto per distruggere il suo “sogno”, ossia la città che sta già
divorando se stessa. Atlas, per fortuna, è dalla parte di Jack e lo aiuta in ogni modo
guidandolo attraverso i cunicoli e i passaggi della città. Durante il cammino, Jack trova
dei diari e delle registrazioni audio: questi sono elementi fondamentali per
popolazione della città: il dr. Steinman, il chirurgo plastico che ha trovato il modo di
innestare le cellule di ADAM negli esseri umani e Diane McClintock, una delle sue
pazienti. Proprio il dott. Steinman diventa uno dei “nemici” che Jack deve eliminare, su
consiglio di Atlas, per riuscire a fuggire dalla prigione subacquea. Dopo la morte del
“sorelline” e dei “Big Daddies”: questi esseri sono esseri simbiotici che si aggirano per la
città per mantenere una parvenza di controllo e per evitare che i mutati si impossessino
bambine con un altissimo livello di ADAM nel proprio corpo, eppure senza vere e
273
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Vagano insieme ai Big Daddies, che le difendono, e prelevano l’ADAM dai cadaveri in
putrefazione dei mutanti morti che trovano sul loro cammino. La “madre” putativa di
si è salvata solo grazie alla sua collaborazione con i nazisti in ambito medico-scientifico.
prelevare l’ADAM dal loro corpo uccidendole, ottenendo così una quantità massima del
morale che condizionerà tutta la linea narrativa: se Jack deciderà di uccidere le sorelline
arrivare al termine del suo percorso. Se le risparmierà e prenderà meno ADAM, rischierà
di non riuscire a contrastare i nemici che man mano incontrerà nel suo cammino, ma
Jack continua a esplorare la città cercando una via d’uscita e viene a conoscenza
l’ADAM per arricchirsi, pur essendo consapevole dei rischiosi effetti collaterali. Andrew
Ryan inizialmente appoggiava Fontaine, perché vedeva in lui il simbolo della libertà
imprenditoriale che doveva essere Rapture, ma ben presto si rende conto che è una
274
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La ricerca di Ryan porta Jack a scoprire ambiguità sul passato di Atlas: nessuno,
del giocatore) sul suo aiutante sono però accantonate nel momento in cui Ryan
avvelena l’Arcadia, enorme foresta di Rapture che fornisce ossigeno all’intera città.
Grazie alla guida di Julie Langford, la scienziata madre dell’Arcadia, Jack riesce a
sventare la distruzione della foresta, ma Julie muore uccisa da Ryan. Sempre alla ricerca
di Ryan, Jack si imbatte in un suo “secondo”, Sander Cohen, un folle artista visionario
che costruisce statue con i cadaveri degli abitanti: questo personaggio, insieme alla
fisico. La follia di questo personaggio è infatti manifesta e lo scempio che compie con i
procurandogli cadaveri per le sue sculture, poi capisce che se vuole raggiungere Ryan
deve liberarsi anche di questo nemico e, dopo uno scontro rocambolesco, lo uccide.
Ormai ossessionato dal desiderio di fuga e, insieme, dalla volontà di uccidere Ryan, che
sembra il responsabile di tutto quello che è successo, Jack cerca di violare il suo rifugio
con un impulso elettromagnetico volto a mettere fuori uso tutti i macchinari di Rapture
essere ormai allo stremo delle sue forze e di non poter più contrastare né Jack né Atlas
(che continua a seguire Jack dalla torretta di comando).
Il confronto tra Jack e Ryan ha finalmente luogo, ma rivela una verità decisamente
inquietante, che getta una nuova luce su tutta la vicenda. Una delle scoperte
condizionamento verbale. Gli scienziati di Rapture avevano, in pratica, scoperto come ri-
programmare gli individui, non solo dal punto di vista genetico, ma anche da quello
275
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cresciuto a Rapture, dotato di falsi ricordi e “confinato” nel mondo reale, Jack è in realtà
uno strumento di Fontaine (che non è affatto stato sconfitto da Ryan e che si rivela
essere Atlas, la voce che ha guidato Jack attraverso tutta l’avventura) creato
pieno controllo sulla città. Le parole che Atlas-Fontaine ha ripetuto per tutto il
percorso, “Would you kindly…” sono in realtà una formula ipnotica che spinge il
soggetto (Jack, in questo caso, ma anche il giocatore) a compiere gli atti più scellerati
geneticamente senza nemmeno pensarci due volte, che ha ucciso persone che
nemmeno conosceva e che, chiaramente, lottavano solo per la propria sopravvivenza.
Fontaine. D’altra parte, e queste sono le parole con cui Ryan accetta la propria morte, “A
man chooses, a slave obeys!”. E Jack, e con lui il giocatore, è lo schiavo. Dopo l’uccisione
di Ryan, Fontaine cerca di sbarazzarsi di Jack il quale viene salvato in extremis proprio
da una delle sorelline a cui, nel corso del gioco, ha risparmiato la vita245.
A questo punto, prima dello scontro finale con Fontaine, Jack ha la possibilità di parlare
con la dottoressa Tenembaum, creatrice delle sorelline e dei guardiani Big Daddies, e di
constatare come non tutto a Rapture sia perduto: le bambine si possono salvare e con
loro anche Jack. La Tenembaum, infatti, aiuta Jack a liberarsi del gioco psicologico di
ancora una volta dalle “sorelline”, Jack deve vestire i panni proprio di uno di quegli
atroci Big Daddies che ha combattuto per tutta la durata della sua esplorazione: questa
volta, a differenza delle altre, però, è in seguito a un atto volontario che Jack decide di
equipaggiarsi come un Big Daddy. Lo scontro finale è a base di sola forza bruta: le
245
In realtà, questo esempio si lega alla scelta, nel corso del gioco, di non uccidere nessuna (o, al limite, di uccidere solo una) delle
sorelline.
276
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mutazioni genetiche subite sia da Fontaine che da Jack li fanno scontrare con forza e
spietatezza. Jack riesce ad avere la meglio, sconfigge Fontaine, e ha salva la vita solo
grazie, ancora una volta, a una delle “sorelline”.
I nemici sono stati tutti sgominati ed è ora di affrontare la conclusione della storia:
avremo due finali diversi, a seconda delle scelte compiute da Jack nei confronti delle
“sorelline”, nel corso del gioco. Nel caso Jack fosse stato travolto dalla brama di ADAM e
abbia ucciso le “sorelline” per averne un maggior quantitativo, dopo lo scontro con
Fontaine Jack non riuscirà a reprimere la sua natura e ucciderà ancora le “sorelline”,
anche quella che lo ha salvato dal nemico finale. Jack morirà in una Rapture ormai in
disfacimento, mentre un gruppo di mutati riuscirà a uscire sulla terra dove non ci è
dato sapere quello che succederà.
Se, invece, Jack ha conservato la sua umanità, durante l’avventura, evitando di uccidere
portandole con sé. La dottoressa Tenembaum resterà nella città ormai in disfacimento,
per espiare le proprie colpe e sacrificarsi. Jack, con le bambine tratte in salvo, vivrà
invece la sua vita da uomo (e non da schiavo) sulla terra, con una nuova (e questa volta
reale) famiglia al suo fianco.
analisi. Da questa breve descrizione della trama, ci rendiamo conto di diversi aspetti che
qualunque, senza una caratterizzazione particolare, senza un chiaro passato, senza delle
attitudini o delle particolarità di spicco. Per la precisione, Jack ha una storia alquanto
ricca: è figlio illegittimo di Andrew Ryan e di una sua compagna, è stato “acquistato”
conto di Fontaine, il capitalista arrivista nemico sia di Ryan che di Rapture. Questi
dettagli sulla vita di Jack, tuttavia, sono “interlocutori”: emergono, cioè, solo a uno
277
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narrazione della storia passata del protagonista, in sostanza, non serve per capire
veramente il suo presente e le sue azioni nel contesto dell’avventura che sta vivendo. I
gioco, sono mostruosità senza un passato, personaggi che servono solo a rafforzare
l’estetica della città (sono infatti tutti vestiti e agghindati in modo coerente con lo stile
Art Decò di Rapture):
“Splicers, also known as Aggressors, are the main enemies that Jack encounters over the
course of the game. The remains of Rapture’s human population, they are the result of a
planned attack by Fontaine on New Year's Day, 1959 to end the civil war between him and
Ryan. They apparently murdered the sane population. Many of them still wear
Masquerade Ball masks, and Atlas asks, ‘Why do they wear those masks? Maybe there's a
part of them that remembers how they used to be, how they used to look. And they're
ashamed.’” 246
Sono degli spettri, delle parvenze aggressive che vengono classificate in base alle loro
abilità genetiche e non in base a motivazioni o personalità, che sembrano non esistere.
I nemici che costituiscono la “mente” del piano sono stereotipati. Fin dalla citazione
iniziale, dal motto di Andrew Ryan inneggiante alla libertà dell’individuo, possiamo ben
un’utopia umana che, seppur potenzialmente positiva, viene contaminata proprio dagli
uomini che dovevano portarla a termine.
Ryan è un ex cittadino sovietico, fuggito dal suo paese in seguito all’uccisione della sua
intera famiglia. La sua filosofia prevede che l’uomo non debba avere vincoli (sociali,
politici, religiosi) per potersi esprimere appieno e per poter concretizzare quello che in
fondo è il sogno americano del successo nonostante tutto. Dopo essere emigrato in
America, Ryan dedica la sua vita alla realizzazione del suo sogno: la distruzione di
Hiroshima durante la Seconda Guerra Mondiale gli fa capire che nessuno dei paesi noti
poteva essere la patria del nuovo impero che voleva costruire. Decide allora di costruire
246
Ibid.
278
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una novella Atlantide sottomarina riversa tutti i suoi sogni di gloria in quella comunità,
alla scoperta dell’ADAM, Ryan riesce a rendere Rapture un luogo veramente particolare e
a dare vita a quella comunità “per famiglie speciali” che ha sempre sognato. Purtroppo,
tuttavia, le ambizioni personali di Fontaine (uno degli uomini d’affari più influenti della
città) spingono Ryan e Fontaine a uno scontro diretto che sfocia letteralmente in una
guerra civile e che conduce Rapture sull’abisso in cui la trova Jack.
caratterizzato: uomo dai forti ideali, ripete continuamente di essere un uomo, appunto,
e non uno schiavo e, una volta constato il completo fallimento della propria “Grande
Opera”, Ryan decide consapevolmente di morire per mano di Jack, decidendo ancora
una volta il proprio destino, non subendolo.
sua applicazione l’hanno resa una preziosa risorsa per gli scienziati di Hitler, ma anche
estratto dai cadaveri. Il personaggio con cui Jack e il giocatore si confrontano durante
l’avventura è una donna attanagliata dai sensi di colpa, che ha sviluppato un istinto
materno nei confronti delle creature sventurate a cui ha dato i natali e che cerca l’aiuto
Atlas è un cittadino di Rapture che promette di aiutare Jack a fuggire dalla città e
chiede il suo aiuto per salvare la propria famiglia. Atlas è l’ennesimo personaggio di cui
Jack ascolta solo la voce, per lungo tempo, e di cui si deve ciecamente fidare, perché
279
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non ha altri appigli o possibilità concrete di salvezza. Atlas condivide, per tutto il
viaggio di Jack attraverso la città, lo sdegno e il disgusto per quanto è successo e per la
Atlas, con tutta la sua storia e il suo contesto, non esiste: o meglio, non esiste più. Atlas
era infatti un cittadino di Rapture, sindacalista e difensore strenuo dei diritti degli
abitanti, ucciso durante uno dei primi scontri della guerra civile tra Ryan e Fontaine.
Atlas è, in effetti, Fontaine stesso che ha guidato, non visto e non riconosciuto, i passi
di Jack sulla strada che egli voleva che il protagonista (e con lui il giocatore)
percorresse. Fontaine, che può essere considerato il vero antagonista di questa vicenda,
è un uomo d’affari che ha investito nel piano visionario di Ryan e che ha sviluppato, in
parte, l’alta tecnologia necessaria alla costruzione e al mantenimento della città.
intransigenza estrema: non solo aveva costruito la città per liberarsi dal giogo e
potessero in alcun modo avere contatto con artefatti (quali, ad esempio, la Bibbia) che
una situazione analoga a quella sulla terra. Fontaine sembra contrapporsi a questa
visione assolutista e cerca di ridimensionare (soprattutto attraverso il contrabbando)
sulla città nel suo insieme, non liberarla dal “giogo del nuovo tiranno”, e per farlo
sottopone al lavaggio del cervello, in modo tale da avere un “braccio armato” che,
247
Solo verso la parte finale dell’esplorazione sia Jack che il giocatore cominciano a notare delle stranezze: in particolare, la formula fissa
utilizzata continuamente da Atlas quando dà consigli o suggerimenti a Jack, ossia “Would you kindly…” comincia a suonare stonata e
fuori luogo, soprattutto quando Atlas la ripete meccanicamente in quelle situazioni di tensione o pericolo in cui una richiesta tanto
cortese pare assurda.
280
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Fontaine inscena la sua morte: in questo modo nessuno arriva a sospettare di lui, né
Jack (i cui ricordi sono comunque distorti e plagiati) né Ryan, che capisce solo alla fine
che Jack è un burattino nelle mani del suo vecchio nemico.
La trama di Bioshock si presenta in modo diverso a seconda delle sessioni di gioco: nel
corso della prima esperienza, l’attenzione del giocatore è agli enigmi più superficiali e
alle meccaniche più evidenti, che servono strumentalmente per proseguire nella storia,
per superare tutti gli sbarramenti e per arrivare alla fine della vicenda, scoprendo così il
colpo di scena finale. Affrontando di nuovo il percorso 248, tuttavia, l’attenzione del
critico e di analisi sono fondamentali: tutto il mondo, con gli infiniti dettagli, con le
infinite sfumature, costruito intorno a Jack racchiude una narrazione parallela, che può
essere ignorata in prima istanza dal giocatore frettoloso che cerca solo la conclusione
contenuti del gioco, agli occhi di quei giocatori che vogliono vivere appieno
l’esperienza di Rapture. Per questo motivo, la trama, più che in altri casi, ha due evidenti
livelli di lettura e può essere raccontata diversamente, in modo più o meno superficiale,
in base all’esperienza di gioco che il giocatore ha avuto.
gioco, perché è fondato su un sistema combinatorio aperto, nel senso che è il singolo
abbiamo parlato, in base alle scelte strategiche che ritiene più opportune, ma anche in
base all’abilità di esplorazione che ha dimostrato: i Plasmidi, infatti, sono sparsi per
tutto il mondo di gioco. Alcuni sono di fondamentale importanza (ossia, senza di essi il
248
I motivi che spingono un giocatore a ri-giocare un gioco sono molteplici: da una parte, ci sono quelli comuni al processo di rilettura di
un libro o di visione di un film, ossia il fruitore cerca di approfondire la propria conoscenza di un’opera che ha suscitato in lui
emozioni particolari. Questo meccanismo non è nuovo ed è comune a tutte le opere di finzione, d’arte o di comunicazione in
generale. D’altra parte, il mezzo interattivo del videogame sfrutta anche la componente della competitività: pur essendo Bioshock un
gioco fruibile esclusivamente in modalità single player, è possibile inviare i dati dei propri successi e dei propri traguardi (in gergo,
“achievements”) a un server centrale che, in seguito, li rende comuni a tutti i giocatori della comunità on-line di quel gioco specifico.
Gli achievements non possono essere tutti sbloccati nel corso della prima sessione di gioco, quindi si sviluppa un circolo virtuoso per
cui i giocatori spontaneamente curiosi rigiocheranno il gioco in ogni caso, mentre quelli più “pigri”, ma più attaccatti al loro
punteggio on-line decideranno di giocarlo anche solo per sbloccare tutti gli achievements presenti.
281
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giocatore non riesce a proseguire), altri invece sono opzionali, e possono o meno
costituire la dotazione di Jack. La combinatoria dei Plasmidi, tuttavia, dopo una prima
l’individuazione delle combinazioni più efficaci, diventa, per così dire, trasparente, e
passa in secondo piano rispetto alla trama e a tutti i dettagli che raccontano qualcosa
di Rapture o dei suoi abitanti. Se, da una parte, una delle limitazioni del gioco è il suo
plasmidi in modo diverso e uccidere i nemici che si incontrano in una logica da FPS*)
bisogna anche osservare come proprio questa ripetitività delle azioni necessarie per
progredire nel gioco permetta al fruitore di concentrarsi su altri elementi, che non
siano necessariamente quelli di abilità legati al gameplay* ma, piuttosto, quelli di
tutta Rapture. Più che “carenze” dal punto di vista del gameplay*, allora, dovremmo
quella della caratterizzazione dei personaggi (i cosiddetti “nemici” che Jack affronta
continuamente sul suo percorso) e all’ambientazione che fa da sfondo agli eventi.
La scelta di far vivere al giocatore un’esperienza che sia prima di tutto narrativa, e solo
in secondo luogo interattiva nel senso videoludico del termine si affianca alla tipologia
di nemici che il giocatore deve affrontare: i personaggi sono maschere, sono stereotipi
portatori di significato che servono per aiutare il fruitore a concentrarsi sulle idee
veicolate più che sugli eventi o sui singoli “tipi” presentati:
“Science fiction has often been criticized as a literature more concerned about ‘ideas’ than
about ‘characters’ – as if that were an obvious fault! Science fiction is often about ideas, just
as a science is about knowing and the quest for knowing. The quest for knowing is the
theme of much of our literature, a fundamental aspect of the tale of the Fall, of the myth of
Prometheus, of the version of Faust, and of all narratives of initiation and coming of age.
Who would complain that the character of Prometheus is not drawn in the manner of the
psychological realist or that we have no hints of Faust’s toilet training? In fact, many science
fictions do deal with subtly defined characters, but the special hallmark of the field is that
282
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the characters live in dramas that speak to our whole culture or to whole aspects of the
human condition, rather than to the particularities of a brief cultural moment intersecting a
person at a fleeting stage of life.”249
isolato come una città subacquea, allontanando quindi i fatti dal momento attuale e
dai luoghi a noi ben noti, è una scelta che va di pari passo con la caratterizzazione
the Colossus, qui il giocatore non è portato a immedesimarsi con uno o più personaggi e
Anziché affermare che questa cifra stilistica del gioco costituisca un “problema” o una
“My definition of science fiction as the branch of fantastic literature that takes scientific
knowledge a sits background is useful if we wish to emphasize the literary techniques and
reader responses associated with much science fiction. While no single definition seems to
have been fully satisfactory for all discussions, all definitions rely on the recognition that the
worlds of science fiction are, often aggressively, not our world and yet, often quite subtly,
the worlds of our inner doubts and wishes.”250
uno dei mondi che vivono nei nostri dubbi e nelle nostre domande. Cosa
249
Rabkin, Eric (ed.) (1983) Science Fiction. A Historical Anthology, Oxford University Press, Oxford, New York, pp. 6-7
250
Ibid, p. 5
283
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fantascienza si è sempre posta questa domanda, in effetti, fin dal suo primo
Mary Shelley, 1984 di George Orwell e, in generale, con i concetti di utopia e distopia in
individuate da Rabkin nei suoi studi sulla fantascienza e nelle evoluzioni che questo
genere ha subito nel corso dei secoli.
Rabkin individua cinque periodi ben distinti eppure “comunicanti”251 tra di loro che ci
“declinazione” del fantastico che oggigiorno pare permeare ogni singolo aspetto della
nostra vita, è un'invenzione letteraria moderna, nata nel secolo dei lumi a seguito
dell'affermazione del metodo scientifico. Non a caso, alcune tra le opere che possiamo
ritenere precorritrici della fantascienza sono opere di satira nate per fare leva sui timori,
“Science fiction is particularly well suited to such contrasts because it simply postulates the
most dramatic alternative worlds one might wish, and beginning in the seventeenth
century science itself made such postulation seem worth considering.”252
Organum di Francis Bacon in poi) che la scienza non era un semplice “dono divino” ma
uno strumento da utilizzare a discrezione dell'uomo, che ha dato un giro di vite alla
251
Cfr. paragrafo “Il fil rouge del fantastico”.
252
Rabkin, Eric, op. cit. p. 7
284
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percezione dell'uomo delle proprie potenzialità e dei propri confini. Figure come quelle
che prima erano inesplorati, sconosciuti o dominio della religione: la scoperta che lo
spazio, sia terrestre che celeste, è uno spazio fisico, regolato da leggi ben precise che
nulla hanno a che vedere con Dio o con l'intervento divino, ha modificato la sensibilità
per sempre e ha portato alla “liberalizzazione” del pensiero fantastico. Opere come
Other Worlds di Cyrano de Bergerac o Gulliver's Travels di Johnatahn Swift sono state
concepite, in parte, proprio grazie alla scoperta e alla divulgazione di questi nuovi
che satirica, presente in queste prime opere. In generale, questa prima fase si situa a
cavallo tra la nascita e lo sviluppo vero e proprio della fantascienza come genere
“The emergence of modern science threw human understanding into question, and the
fiction that responded to these new uncertainties and certainties, both true and false,
addressed a world in which the nature of things required discussions. The extreme contrast
of scale that astronomical distances encourage led to the most dramatic commentaries,
philosophical humour, satire. From its birth, the, science fiction has responded to science –
and to the questions science raises – with speculation, adventure, invention, and satire.”253
Dopo una fase più disimpegnata di sperimentazione delle potenzialità della scienza, si
fantascienza attraversa gli anni dell’Ottocento che vedono, tra le altre, scoperte quali i
285
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“(...) the first two decades of the century saw the development of large and reliable
steamboats, allowing commercial, military, and personal transportation to be put on a cheap
and scheduled basis free of the accidents of wind; the advent of photography in 1835
drastically diminished the utilitarian role of graphic art, changing the relationship of art to
skill and in one important function superseding human memory.”254
potenzialità della scoperta, che si sviluppano figure di individui dalla forte volontà che
cercano una verità che vada al di là della comprensione umana: il senso della vita, del
tempo, l'immortalità, la capacità di creare sono solo alcune delle tematiche toccate in
opere come The Time Machine di Wells, o Frankenstein della Shelley:
“The figure of the private seeker for power too great for his own good goes far back in
legend and in literature, perhaps to Adam seeking god-like knowledge by eating the
forbidden apple, certainly to Prometheus stealing fire for the benefit of mankind. Like
Adam and Prometheus, the lone, bold scientist is an ambiguous figure, expressing by his
intellectual struggles one of the most prized aspects of human beings and yet, in the vanity
of his striving, demonstrating the pride that goes before the fall.”255
forti da portare alla nascita di opere quali quelle già citate, ma anche “A Descent into
the Maelstrom” o “The Facts in the Case of M. Valdemar” sono esempi significativi di
come l'uomo abbia cominciato a osare avvicinandosi ai limiti del lecito e dell'illecito, a
livello morale, solo perché la scienza gli poneva queste alternative e possibilità davanti.
Anche gli “esseri” prodotti dalla scienza o dalla brama dell'uomo di oltrepassare i
confini conosciuti (e, quindi, l'incontro con gli alieni) sono esemplificativi del ruolo di
cartina tornasole morale e sociale che la fantascienza sta assumendo. Spesso, gli “alieni”
(che siano essi provenienti da altri pianeti o realizzati in provetta) sono una sorta di
doppio dei protagonisti umani e questo appare tanto più evidente quando essi sono
254
Ibid. p. 71
255
Ibid. p. 72
286
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the alien shows the blindness of the human, science is implicitly criticized; when the
alien shows the goodness of the human, science is implicitly praised.”256
L'inizio del '900 ha portato a un'ulteriore evoluzione nelle tematiche e nei centri di
uso e un abuso individuale della scienza, ai limiti oltre i quali i singoli uomini non
nascita di quella che Rabkin definisce “pulp writing” hanno permesso una divulgazione
di queste tematiche, prima trattate solo dagli autori propriamente “letterari” (e quindi
attraverso romanzi o racconti), anche agli strati medi (o semplicemente più giovani)
diffusione di massa sia dei contenuti che dei modi narrativi: il periodo dell’auto-
lasciare spazio a quella che saranno le tendenze della fantascienza di tutta la seconda
“At this period in which science itself began to fall into disdain among certain sorts of
intellectuals, science fiction fell too. In one sense, the best human hopes for dealing with our
fears were being relegated to the literature of the socially weak.”257
256
Ibid. p. 73
257
Ibid. p. 220
287
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“The sense of ghetto life, a small group of writers and readers known to each other and
excluded from the mainstream, became strong, fostered highly sophisticated literary
conventions, and gave science fiction a feeling of warmth, the special preserve of a special
band. Thus through the creation of a literate lower class and the subsequent creation of a
literary community, publishing technology provided a sense of place for science fiction
readers that technology threatened to obliterate in the larger world.” 258
all'esperienza per adepti: fama, questa, che questo genere porta con sé ancora oggi, in
quanto viene considerato un genere popolare sebbene sia ormai diventato oggetto di
un vero e proprio culto in ogni media (dalla fantascienza letteraria, a quella filmica a
quella videoludica) e sebbene la qualità dei prodotti non sia assolutamente più
della fantascienza, che viene fatto coincidere solitamente con gli anni che vanno dal
1940 al 1965 e che vede una vera e propria esplosione di questo genere in tutte le sue
forme, e la nascita e la fortuna di quegli autori che diventeranno capisaldi non solo di
questo genere, ma della letteratura in generale come Orwell, Asimov, Bradbury tra gli
altri. Questo periodo, definito da alcuni gli “anni d'oro”, vede il vero e proprio
consolidarsi della centralità della scienza, sia in senso positivo che negativo: “The
In realtà, proprio per via della seconda guerra mondiale, la superiorità tecnologica ed
288
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nello sviluppo e nella diffusione di ritrovati scientifici la possibilità di una vita migliore.
“For the general reading public, science, when dealt with in any fiction, was shown as a part
of great social movements; a sense of mission and progress was abroad again, harkening
back to the optimism of Edward Bellamy's time.”260
scientista e fideista nei confronti del progresso razionale analogo a quello che si era
avuto nel 1700, con, questa volta, la contaminazione dell'elemento capitalista a legare il
tutto.
Il periodo degli “anni d'oro”, in cui la comunità degli scrittori di fantascienza si sentiva
come non solo questo videogioco “incarni”, per così dire, varie fasi del progresso della
quello che erano i racconti di fantascienza in quegli anni, unito a uno scetticismo e a
un timore di fondo recuperato sia dalle fasi storiche antecedenti sia da quelle
La fase finale della fantascienza, quella in cui ci troviamo anche oggi, teoricamente
prevede che “Science fiction has become our reality.”261 In effetti, dalla minaccia della
260
Ibid. p. 316
261
Ibid. p. 427
289
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guerra nucleare al mistero degli alieni, dall'atterraggio sulla luna alla gara allo spazio,
tanti di quei fenomeni che venivano prima considerati “fantascienza” sono divenuti
parte della nostra realtà quotidiana. Anche nel mondo letterario, quella
“ghettizzazione” conosciuta dal genere all'inizio del secolo sta venendo sempre meno:
“While some mainstream writers assuredly eschew science fiction and while some science
fiction writers still write for the ghetto, the boundaries have become vague and the works
mix.” 262
La percezione della fantascienza, oggi, è più matura e a tutto tondo: viene utilizzata
non più solo per descrivere eventi fantastici (anche se questa componente rimane), non
più solo per esprimere dubbi individuali sulla morale o paure collettive sull'ignoto
(anche se sicuramente questa è una delle sue funzioni), non unicamente per far
modo più efficace messaggi che un tempo erano veicolati da altri generi o, magari,
il suo sistema di valori: con protagonisti che si trovano spesso in condizioni estreme e
che devono sovvertire il loro sistema di interpretazione della realtà per riuscire a
portare a termine il percorso che hanno intrapreso, il genere della fantascienza diventa
un modo moderno per analizzare la società, l’uomo e il suo contesto.
potremmo parlare di Nathan Never o di Brad Barron, delle riduzioni di classici di Dino
Battaglia, e così via), nel cinema (e, al di là dei colossal americani, da Alien ad
Armageddon, per citare generi di diverso impatto, passando poi per produzioni europee
più autoriali come Sunshine) nei serial TV (da Heroes a Fringe, per citare alcuni dei più
recenti) e sembra essere il genere che meglio si rapporta con i lettori, gli spettatori e,
infine, i videogiocatori contemporanei.
262
Ibid. p. 427
290
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Sì, perché tutta questa “intrusione” della fantascienza trova uno sbocco letteralmente
come fruitori una generazione cresciuta con robot, viaggi interstellari, miti che vanno
un mondo che, come abbiamo già detto citando Rabkin all'inizio di questo capitolo, è
“not our world and yet, often quite subtly, the worlds of our inner doubts and wishes”.
gioco263, confrontando l'universo di Rapture con alcune utopie e distopie letterarie ben
note. In questo modo potremo osservare come le fasi “storiche” dell'evoluzione della
finale, da questo gioco che, seppure non rivolto a un “ghetto” (ha venduto quasi due
Il mondo di Rapture è una distopia che, a un occhio estraneo (sia alla città, che alla
di aver partecipato agli eccidi dei nazisti265. Ignorata dagli stati pre-esistenti, Rapture è
263
Le dinamiche narrative riguardanti i personaggi e più sopra anticipate sono da ritenersi complete, in quanto l'attenzione totale sia
degli sviluppatori che, in seguito, dei giocatori, viene riversata sugli elementi ambientali, sul contesto e sul sistema di norme e di
regolamentazione che governa la città subacquea, più che sulle dinamiche che intercorrono tra i protagonisti. Tali dinamiche, sono,
infatti, una sorta di formula fissa necessaria per accompagnare il giocatore attraverso la storia ma non vogliono (né devono)
diventare centrali in quanto il messaggio e le idee veicolate raggiungono il fruitore tanto più diretto quanto più quest'ultimo riesce a
concentrarsi sulla scoperta dell'ambiente che sta esplorando e non sulle dinamiche umane che stanno alle sue spalle.
264
Fonte: http://www.vgchartz.com
265
La presenza dei nazisti è strumentale: contribuisce a creare una dimensione ideologicamente condizionata. La sola presenza di
riferimenti all’ideologia nazista risveglia nel giocatore la memoria della Shoa e contestualizza immediatamente le vicende, facendo
291
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Andrew Ryan, e non è stato posto alcun vincolo né alcuna limitazione: già questi
presupposti rendono questa città utopica molto diversa da fonti utopiche più classiche,
questi casi, infatti, la città ideale si fondava su principi classici e illuminati legati
all'equilibrio e al rispetto, da parte di una classe illuminata e dei cittadini tutti, di una
Questa base non è assolutamente una delle basi di Rapture, anzi. Questa frase,
pronunciata dal fondatore Ryan in uno dei suoi diari-audio sparsi in giro per la città in
rovina, si contrappone nettamente all'idea platonica di stato ideale:
“On the surface, the Parasite expects the doctor to heal them for free, the farmer to feed
them out of charity. How little they differ from the pervert who prowls the streets, looking for
a victim he can ravish for his grotesque amusement.”267
Coerentemente con i principi del più ferreo capitalismo, Ryan rinnega qualsiasi forma
di assistenza e sussistenza e considera “parassiti” tutti coloro che non sono in grado di
provvedere a se stessi e di fornire servizi o beni alla comunità.
famoso è il mito della caverna, sono fortemente contrastati da Ryan. Sentendosi egli
intuire al fruitore l’orrore della situazione in cui si trova. La sperimentazione genetica e scientifica in generale non è, infatti,
deprecabile di per sé: sono il contesto in cui la sperimentazione è inserita, il sistema di valori regolatore, le finalità e le modalità che
rendono la scienza aberrante. Il contesto del nazismo è sicuramente aberrante e gli autori lo hanno sfruttato per suscitare in modo
immediato e inequivocabile una suggestione nel giocatore.
266
Platone, Repubblica, 416 d-e
267
Diario-audio di Andrew Ryan, Medical Pavillion, “Parasite Expectations”
292
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depositario di una verità assoluta, tuttavia minacciata dalla stoltezza della natura
umana, egli impone il divieto totale di contatti con la superficie per la sua città: non
solo quindi una comunità diversa e lontana dagli stati pre-esistenti, ma una realtà
completamente isolata e avulsa che, come tutti i regimi dittatoriali, ha bisogno di una
cortina di ignoranza e di isolamento per mantenersi forte:
“ The death penalty in Rapture! Council's in an uproar. Riots in the streets they say! But this
is the time for leadership. Action must be taken against the smugglers. Any contact with the
surface exposes Rapture to the very Parasites we fled from. A few stretched necks are a small
price to pay for our ideals.”268
“(...) alla dimora della prigione, e la luce del fuoco che vi è dentro al potere del sole. Se poi tu
consideri che l'ascesa e la contemplazione del mondo superiore equivalgono all'elevazione
dell'anima al mondo intelligibile, non concluderai molto diversamente da me (...). Nel
mondo conoscibile, punto estremo e difficile a vedere è l'idea del bene; ma quando la si è
veduta, la ragione ci porta a ritenerla per chiunque la causa di tutto ciò che è retto e bello, e
nel mondo visibile essa genera la luce e il sovrano della luce, nell'intelligibile largisce essa
stessa, da sovrana, verità e intelletto.”269
Similmente, anche Utopia di Thomas Moore, che in modo più provocatorio dell'opera di
Platone vuole descrivere uno stato “ideale” inesistente, è lontana dal modello di
Rapture. Anche qui, ad esempio, non è concesso ai cittadini di possedere beni personali
costo), il lavoro è il valore principale che muove tutta l'economia e lo scambio, il baratto
sono le uniche forme economiche contemplate. Non è certo lo stesso a Rapture, dove il
268
Diario-audio di Andrew Ryan, Neptune's Bounty, “Death Penalty in Rapture”
269
Platone, ibid. 517 d-e
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stesse alterazioni genetiche permesse dall'ADAM e dai plasmidi, venduti a caro prezzo
in giro per tutta la città, sono l'ennesima dimostrazione di come il capitale sia un
“Fight your enemies on fire with just your finger tips!” (Incinerate Plasmid)
“Teach your enemies a lesson they'll never forget with Cyclone Trap from Ryan Industries.
(Ryan Industries is not liable for damage done to ceiling fans, chandeliers, or other ceiling
fixture.)” (Cyclone Tap Plasmid)
“Enemies on your back? Distract their attention with a helpful decoy. They take the heat...
so you don't have to!” (Target Dummy Plasmid)
“Pick up big stuff with your mind. Throw them at your enemies. What else do you need to
know?” (Telekinesis Plasmid)
Questi sono solo alcuni delle “pubblicità” fittizie che si incontrano durante il gioco e
che ricostruiscono, seppure solo in parte, la deriva del sistema socio-economico della
città. I brillanti scienziati chiamati a esprimere liberamente tutte le loro velleità, le loro
sviluppo a Rapture di quella che è comunemente conosciuta come “legge del più forte”.
Da un'ipotetica Utopia passiamo a una situazione alla Il signore delle mosche, per cui i
tentativi di imitazione di modelli ideali degenera in distopie fuori controllo. Tutti questi
gioco e sono, in effetti, molto importanti: la situazione sociale, l’estetica del periodo
(siamo negli anni ’60), le storie secondarie che emergono solo attraverso
un’esplorazione attenta servono per costruire il contesto sociale delle vicende e per
trova. Siamo davanti a modelli ideali di contenuti che, quasi come stereotipi,
tratteggiano con pennellate più decise o più accennate lo sfondo delle vicende.
Quali sono, però, questi “modelli ideali” a cui i realizzatori di Bioshock si sono ispirati per
riprodurre l'ideologia forzata e malata di Andrew Ryan? La filosofia in questione è
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diffuso un'idea liberalitaria che prevedeva uno stato poco “invadente” che lasciasse
spazio all'iniziativa del singolo. Tale singolo, tuttavia, doveva completamente integrarsi
e diventare motore egli stesso del meccanismo capitalista e produttivo di cui aveva il
privilegio di fare parte. Il razionalismo stretto è un altro dei vincoli seguiti dalla Rand,
sia nella sua opera letteraria che in quella di critica e filosofica: il Secolo dei Lumi,
Aristotele e Locke erano alcuni delle sue fonti primarie. L'oggettivismo da lei
Da questo breve quadro su una delle principali figure che hanno ispirato i realizzatori
di Bioshock per la loro critica sociale-videoludica emerge come tutti i principi espressi in
maniera radicale ma non ossessiva dalla Rand siano, invece, diventati i capisaldi
imprescindibili del suo omonimo anagrammatico Andrew Ryan: le parole iniziali con cui
Sbarcata in America e venuta a contatto con gli ambienti della cultura e della filosofia
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censura; in cui lo scienziato non sarebbe stato incatenato da un’etica spicciola, in cui i
grandi non sarebbero stati trattenuti dai piccoli. E col sudore della tua fronte, Rapture
può diventare anche la tua città.” Tuttavia, come è sempre accaduto nella storia umana
mondo “senza regole”: si è ormai passati a una concezione euripidea del bene e del
male, non più socratica. Se, infatti, Socrate affermava che fosse sufficiente conoscere il
bene per compierlo, Euripide (nella Fedra) ci mostra che questo non corrisponde a
verità e che anzi l'animo umano di quello che sarà l'uomo occidentale non è spinto
Quella di Rapture è una vera e propria degenerazione: questa nuova Atlantide non
nasce, infatti, con intenti repressivi come il mondo di 1984 di Orwell. Qui il motto non è:
come recitano gli slogan sulla facciata del Ministero delle Verità orwelliano. Qui non
abbiamo nessun Winston Smith che, per amore, cerca di andare contro al sistema che
ha sempre tollerato. Alla fine del romanzo, Winston viene chiamato “l'ultimo uomo”:
“Se tu sei un uomo, Winston, tu sei l'ultimo uomo. La tua specie è estinta; noi ne siamo gli
eredi. Ti rendi conto che sei solo?” 271
270
Orwell, George (1989) 1984, Arnoldo Mondadori, Milano, p. 30
271
Ibid. p. 283
296
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uomo libero, salvo rendersi conto che non poteva essere libero e che, forse, non poteva
più nemmeno essere uomo. Jack intraprende la sua avventura pensando di poter
tornare alla propria situazione iniziale, ossia quella di uomo libero che, a sua memoria,
lo ha sempre caratterizzato. Alla fine della sua avventura, tuttavia, proprio come
Winston, scopre di non essere più un uomo e di non essere mai stato libero. Le
“mutazioni” dei due personaggi sono diverse, eppure analoghe. Entrambi hanno un
obiettivo chiaro (quello di “rovesciare” uno status quo che giudicano immorale e
alienante), entrambi, nel corso del loro cammino, cedono a qualsiasi mezzo pur di farlo.
Entrambi, infine, sono “prigionieri” dei loro carnefici e la loro lotta per la libertà è una
finzione all'interno della quale chi li comanda li lascia dimenare per accontentarli e far
loro subire una frustrazione ancora più dolorosa una volta scoperta la verità. Entrambi,
mutazioni genetiche che hanno portato alla pazzia e alla rovina gli abitanti della città
di Rapture. Winston, invece, cercando quella “società segreta” che avrebbe potuto
rovesciare il regime, promette
diversa. Nel caso, infatti, in cui Jack decida di non aiutare le “sorelline” a liberarsi dalla
giocatore, insieme a Jack, si troverà alla fine del gioco privato della propria umanità,
abbandonato, solo e, in un certo senso, “morto”.
297
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Rapture l'orrore e la degenerazione della mente vengono riflettute anche dal corpo.
Oltre alla “liberalizzazione” delle idee, infatti, un altro tabù di Rapture era quello della
“bruttezza” e della malattia: nessuno può essere malato, in una società perfetta273.
Ovviamente, per la legge del contrappasso, proprio questa esasperata ricerca della
esperimenti sugli esseri umani, storpiando sia le cavie che i “consumatori” dei tanto
Rabkin, gli “esseri alieni” (in questo caso gli abitanti stessi della città, diventati stranieri
a loro stessi) possono svolgere la funzioni sia di ambasciatori positivi per la scienza
(che, in effetti, se usata con il concetto di farmakon greco, ossia “nella giusta dose”, può
salvare vite umane) sia come manifeste aberrazioni dell'essere umano che, volendo
sentirsi Dio, ha oltrepassato il punto di non ritorno dell'etica e del rispetto per l'uomo,
“I saw the dull yellow eye of the creature open; it breathed hard, and a convulsive motion
agitated its limbs.
How can I describe my emotions at this catastrophe, or how delineate the wretch whom with
such infinite pains and care I had endeavoured to form? His limbs were in proportion, and I
had selected his features as beautiful. Beautiful! Great God! His yellow skin scarcely covered
the work of muscles and arteries beneath; his hair was of a lustrous black, and flowing; his
teeth of a pearly whiteness; but these luxuriances only formed a more horrid contrast with
his watery eyes, that seemed almost of the same colour as the dun-white sockets in which
they were set, his shrivelled complexion and straight black lips.
The different accidents of life are not so changeable as the feelings of human nature. I had
worked hard for nearly two years, for the sole purpose of infusing life into an inanimate
body. For this I had deprived myself of rest and health. I had desired it with an ardour that
273
Questo concetto, peraltro, è ribadito con vigore attraverso numerosi riferimenti al regime nazista. La dottoressa Tenembaum, in
effetti, ha lavorato sia per i nazisti che per Andrew Ryan con lo stesso obiettivo: quello di debellare la malattia e di creare una “razza
superiore” di esseri umani. L'orrore dell'olocausto e delle scellerate sperimentazioni dei tedeschi sulle loro vittime ritorna
continuamente anche se non viene mai citata direttamente come una “fonte di ispirazione”. Certo è, tuttavia, che Ryan non rinnega
nemmeno mai il Terzo Reich né le atrocità da esso compiute. Forse, in fondo, il suo spirito di superomismo arriva a giustificare anche
gli scempi di quell'oscura pagina della storia umana.
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far exceeded moderation; but now that I had finished, the beauty of the dream vanished,
and breathless horror and disgust filled my heart.“274
Se il dottor Frankenstein prova orrore e pentimento per il suo atto tracotante, il dottor
Steinman, chirurgo plastico di Rapture, non prova invece il benché minimo rimorso per
tutte le vittime della sua chirurgia plastica “alla ricerca della perfezione:
“When Picasso became bored of painting people, he started representing them as cubes
and other abstract forms. The world called him a genius! I've spent my entire surgical career
creating the same tired shapes, over and over again: the upturned nose, the cleft chin, the
ample bosom. Wouldn't it be wonderful if I could do with a knife what that old Spaniard did
with a brush?” 275
scienziato di Mary Shelley sembra oggi venire a mancare. In effetti, il dottor Steinman è
una bellezza artificiale, a discapito della felicità dell'individuo, della vita stessa, sono
una potente critica che la fantascienza muove, ancora e con un linguaggio più vicino ai
nostri tempi, agli abomini dettati dall'ideologia dell'apparenza.
L'orrore provato dal dott. Frankenstein in seguito alla creazione del mostro, il disgusto
e la presa di coscienza di essersi spinto oltre i limiti concessi all'uomo sono sentimenti
ben noti anche alla dottoressa Tenembaum, scienziata responsabile della scoperta
esseri senzienti con le sembianze di bambine e affamate del liquido genetico. Tuttavia,
274
http://www.gutenberg.org/files/84/84-h/84-h.htm
“Vidi aprirsi i foschi occhi gialli della creatura; respirò a fatica, e un moto convulso le agitò le membra. Come descrivere le mie
emozioni dinnanzi a questa catastrofe, o come dare un'idea dell'infelice che, con cura e pene infinite, mi ero sforzato di creare? Le
sue membra erano proporzionate, e avevo scelto i suoi lineamenti in modo che risultassero belli. Belli! Gran Dio! La sua pelle
giallastra nascondeva a malapena il lavorio sottostante dei muscoli e delle arterie; i suoi capelli erano folti e di un nero lucido, i suoi
denti di un bianco perlaceo; ma tutti questi particolari non facevano che rendere più orribile il contrasto con i suoi occhi acquosi, i
quali apparivano quasi dello stesso colore delle orbite, di un pallore terreo, in cui erano collocati, con la sua pelle grinzosa e con le
sue labbra nere e diritte. I casi della vita non sono così mutevoli come i sentimenti della natura umana. Avevo lavorato duramente
per quasi due anni al solo scopo di infondere la vita a un corpo inanimato. Per questo mi ero negato riposo e salute. Avevo
desiderato il successo con un ardore che trascendeva ogni moderazione; ma ora che vi ero giunto, la bellezza del sogno svaniva, e il
mio cuore era pieno di un orrore e di un disgusto indicibili.” Tr. It. Shelley, M. (2002), Frankenstein,Ovvero il Prometeo moderno, RCS
Libri, Milano, pp. 58-60
275
Diario-audio del dottort J. S. Steinman, Medical Pavillion, “Surgery's Picasso”
299
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“What makes something like me? I look at genes all day long, and never do I see the
blueprint of sin. I could blame the Germans, but in truth, I did not find tormentors in the
Prison Camp, but kindred spirits. These children I brutalized have awoken something inside
that for most is beautiful and natural, but in me, is an abomination... my maternal
instinct.”276
già interiorizzato la lezione del suo antenato putativo e sa che anche le mostruosità
che ha creato soffrono, anzi, che probabilmente soffrono più di lei:
“And do you dream?" said the daemon. "Do you think that I was then dead to agony and
remorse? He," he continued, pointing to the corpse, "he suffered not in the consummation
of the deed. Oh! Not the ten-thousandth portion of the anguish that was mine during the
lingering detail of its execution.” 277
Questa è la lezione che il giocatore impara, proprio grazie alla dottoressa che gliela
parte di quella umanità che invece sembra aver perso chi non comprende la sofferenza
del mostro (sia egli ancora il giocatore nei panni di Jack o il dottor Frankenstein) e
potranno salvarsi, evitando i laceranti sensi di colpa o, addirittura, la morte.
I mostri di Bioshock sono molto diversi dai mostri di Silent Hill 2: in quel caso, era
l'ossessione repressa di James che aveva creato un mondo fittizio e visionario popolato
dai suoi sensi di colpa e dalle sue Nemesi personali. Nel mondo di Bioshock il
una città peggiore di Silent Hill: quest'ultima, infatti, concede al proprio “creatore”,
276
Diario-audio della dottoressa Bridgette Tenembaum, Arcadia, “Maternal Instinct”
277
http://www.gutenberg.org/files/84/84-h/84-h.htm
“E immagini tu forse – disse il demone,- credi tu forse che io fossi insensibile all'angoscia e la rimorso? Egli – continuò indicando il
cadavere – (...) non ha sofferto neppure la millesima parte dello strazio che mi ha torturato nell'esecuzione delle mie gesta.” Tr. it.
Shelley, Mary, op. cit. p. 236
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occasione per vivere. Rapture, invece, affonda portando con sé tutti i suoi creatori,
senza alcuna pietà, permettendo solo a chi non era mai stato veramente e
consapevolmente correo dei misfatti lì compiuti di salvarsi.
Raputre è frutto della follia umana, ma di una follia che ha una “sede” diversa
nell'animo dell'uomo. Silent Hill proveniva dal rimosso, dal cuore nero, dal senso di
uomini) che pensavano ancora una volta in modo fallimentare di potersi sostituire a
precisione, ne è avvolta, in quanto è una città costruita sul fondale marino. L'acqua,
nella psicanalisi in primis, ma anche nella fantascienza, assume la valenza dello spazio
“L'acqua è il simbolo più corrente dell''inconscio'. Il lago della valle è l'inconscio che giace,
per così dire, al di sotto della coscienza; perciò è spesso indicato come 'subconscio', non di
rado con la tonalità negativa di coscienza di qualità inferiore. L'acqua è lo 'spirito della valle',
il drago acquatico del Tao, la cui natura assomiglia all'acqua, uno Yang accolto nello Yin.
Psicologicamente, quindi, l'acqua significa: spirito divenuto inconscio. (...) La discesa nel
profondo sembra precedere sempre l'ascesa.”278
Rapture è la città che si trova sul fondo del “lago della valle” descritto dallo psicanalista.
È l'emblema ancestrale di quello che si cela al di sotto della coscienza. Jack e il giocatore
278
Jung, Carl Gustav (1972) Gli archetipi dell'inconscio collettivo, Bollati Boringhieri Editore, Torino, p. 36
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“Ora, l'inconscio abitualmente appare come una specie d'intimità personale incapsulata,
che la Bibbia chiama 'cuore' e che interpreta, tra l'altro, come l'origine di tutti i cattivi pensieri.
I recessi del cuore sono abitati da malvagi spiriti assetati di sangue, da furia repentina e
debolezza sensuale. Così appare l'inconscio alla coscienza che l'osserva. La coscienza sembra
essenzialmente un fatto cerebrale che tutto dissocia e vede per particolari, e quindi fa così
anche con l'inconscio, considerato perciò assolutamente come il 'mio' inconscio. Perciò si
pensa generalmente che chi scende nell'inconscio cada nelle tormentose pastoie della
soggettività egocentrica e sia esposto, in quella via senza uscita, all'assalto di tutte le belve
che si suppone popolino l'antro del mondo psichico sotterraneo.
Chi guarda nello 'specchio' dell'acqua vede per prima cosa, è vero, la propria immagine. Chi
va verso sé stesso rischia l'incontro con sé stesso. Lo specchio non lusinga; mostra
fedelmente quel che in lui si riflette, e cioè quel volto che non mostriamo mai al mondo,
perché lo veliamo per mezzo della persona, la maschera dell'attore. Ma dietro la maschera c'è
lo specchio che mostra il vero volto.”280
metaforico eppure puntuale, alle vicende affrontate dal giocatore e da Jack in Bioshock:
c'è un “corpo”, che è Rapture, il cui “cuore nero” abitato da malvagi spiriti assetati di
sangue sono Andrew Ryan e Fontaine, e l'osservatore esterno (Jack, in questo caso) non
può fare a meno di rimanere inorridito e allibito da ciò che vede, che scopre in questo
“riflette quel volto che non mostriamo mai al mondo”: se, durante l'esplorazione,
virtualmente, una proiezione di alcuni dei nostri istinti più animaleschi di possesso e
279
La presenza di uno Yang inestirpabile dalla nostra natura di esseri viventi sembra una costante tematiche di tutte le opere che
abbiamo preso in analisi finora. Si rimanda alle conclusioni per osservazioni più approfondite in merito.
280
Ibid. p. 38
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Attraverso Rapture, gli ideatori di Bioshock hanno voluto creare uno strumento per
veicolare, forte e chiaro, un messaggio che non potesse essere frainteso. Per questo,
l'utilizzo della fantascienza come genere è stato fondamentale per costruire una cornice
narrativa che fosse abbastanza coinvolgente e nondimeno efficace nel trasmettere tale
abbiamo già detto citando Rabkin, è un modo per riprodurre in maniera sicura le
eventuale deriva) in forma estrema. La grandezza di autori quali Philip Dick, di Isaac
sulle idee e sul contesto all'interno del quale l'ideologia e i messaggi sono inseriti, allo
stesso modo la decisione di articolare l'avventura di Jack in modo più lineare che
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accade, ad esempio, nel ciclo delle Fondazioni di Asimov, infatti, lo stile è semplice, i
chiave sono identificate in modo immediato e tuttavia non arrivano mai a oscurare lo
svolgimento dei fatti. Allo stesso modo, il ritmo narrativo di Bioshock è frenetico solo
nei momenti d'azione, quando il protagonista deve capire rapidamente come risolvere
della serie di Forbidden Siren (un survival horror di grande successo): nella fantascienza è
come se anche la scrittura risentisse del “metodo scientifico” che tanto si invoca e che si
fantascienza e dei suoi meccanismi servono proprio a portare “per mano” il lettore
armi, i Plasmidi, che rende il tutto ancora più fintamente tecnico-tecnologico. I Plasmidi
sono le “armi genetiche” a disposizione del giocatore all'interno di Rapture. Grazie alla
umano a impianti genetici, chiunque a Rapture può equipaggiarsi con queste armi.
L'utilizzo dei Plasmidi è a totale discrezione del giocatore: gli approcci al gioco possono
solo con i plasmidi indispensabili. Sperimenteranno tutti quelli che trovano in giro, ma
non cercheranno a ogni costo di sbloccare o di impossessarsi di tutti quelli presenti nel
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più adatti alle diverse situazioni e più spettacolari, anche, se non addirittura rari. In
immune da qualsiasi scelta del giocatore, eccezion fatta per l'uccisione o meno delle
messaggio che arriva al giocatore resta invariato, grazie proprio alla linearità e
all'essenzialità del linguaggio narrativo adottato.
Dopo questa analisi, risulta allora possibile inserire Bioshock in quell'excursus sulla
stanno ancora una volta riconfigurando i temi e i modi della fantascienza, portandola
probabilmente a una “fase” successiva. Ancora, certo, non siamo all'interno di quei
mondi che gli autori descrivono (come, secondo Rabkin, presto avverrà), tuttavia grazie
stessi che riguardano la contemporaneità, sono cambiati e gli autori (che siano scrittori
In Bioshock troviamo la meraviglia e la satira dei primissimi periodi: la critica feroce fatta
da Swift alle assurdità del suo mondo, attraverso la descrizione dei mondi scoperti da
Gulliver nei suoi viaggi sono ricalcati, con la stessa flemmatica assurdità, dal contesto
Art Decò e dalle centinaia di pubblicità progressiste sparse in giro per la città di
Rapture. Oltre all'ideologia di Ryan, infatti, è anche da elementi minori, quali appunto le
pubblicità o i prodotti in vendita nei negozi della città, che il giocatore viene calato
sempre più nell'assurdità del culto oggettivista e scientista che si è impadronita degli
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novità e la scoperta, una cieca fede nel progresso tecnologico e scientifico, una volontà
di arrogarsi qualsiasi diritto e di oltrepassare qualsiasi limite, sia etico che morale, in
l'immortalità (tematiche, queste, che si ritrovano in classici del periodo ma, sicuramente,
anche in Bioshock). La stessa figura dello scienziato che gioca a fare Dio è ispirata,
almeno in parte, a quella del dottor Frankenstein di Mary Shelley. Come la fantascienza
di inizio '900, poi, i realizzatori di Bioshock hanno saputo sfruttare il contatto con la
bellezza e alla chirurgia plastica: l'attitudine di Bioshock nei confronti della perfezione
dell'avatar* del giocatore e anche delle figure che incontra lungo il suo cammino è
chiara. Tutto quello che vediamo a Rapture è bruttura, rovina e storpiatura, sia della
fisicità che della morale umana. Sicuramente questa è una scelta controcorrente
rispetto a quella di tanti altri mondi virtuali* o videoludici all'interno dei quali è
chirurgia estetica e della vana ricerca dell'eterna giovinezza. Anche la decisione di non
dare alla comunità di riferimento esattamente quello che si aspetta è una decisione
autoriale forte.
Il fatto, poi, che la vicenda sia ambientata negli anni '50-'60 è un chiaro riferimento e
una dichiarazione di appartenenza a quegli anni d'oro del genere fantascientifico in cui
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questo periodo storico: da 1984 al mondo di Farenheit 451, a numerosi altri, Rapture è
un omaggio alla critica letteraria nei confronti dei regimi dittatoriali e dimostra, per
Bradbury sono stati illuminanti, Bioshock, con tutti i limiti del mezzo su cui è stato
ideato, si propone, in qualche modo, di farsi loro erede. In effetti, la complessità del
nuovi modi per raccontare quelle storie (archetipiche) che servono ancora e sempre
all'umanità per imparare dal passato e per evitare di commettere gli stessi errori in
settori nuovi e, magari, ancora inesplorati.
Infine: forse Bioshock non rappresenta né il nostro passato (sebbene sia ambientato nel
nostro mondo, nella metà del '900) né, fortunatamente, il nostro presente. Potrebbe,
tuttavia, rappresentare il nostro futuro: è questa una delle funzioni più importanti e
mondo e dei rischi che entrambi possono correre proiettando il lettore (o il giocatore, o
tipico della letteratura e delle opere di finzione viene, in questo caso, amplificato: la
utilizzare la sua scrittura, la sua opera, come un'arma sociale per comunicare con la
gente, sta soprattutto nel creare un universo che sembri lontano, remoto, diverso, ma
che sia, in realtà, una proiezione di tutto quello che il nostro mondo potrebbe
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diventare, se non diventiamo consapevoli delle direzioni che, come umanità, stiamo
prendendo. Bioshock non dà risposte sull'etica e sulla moral: è un videogioco, non può
arrogarsi il diritto di detenere una risposta a una tematica così delicata. Può, però,
instillare i dubbi e riesce a farlo tanto meglio quanto più riesce a suggerire e a mostrare
È questo l'obiettivo di Rapture e si può dire con sicurezza che venga raggiunto con
efficacia.
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Postfazione
Questo percorso di studio non vuole essere conclusivo. Lavorando a questa tesi mi
sono resa conto che l’analisi della narrazione, le storie, la medialità e la commistione tra
dell’arte è un processo che non può mai, veramente, definirsi concluso e che quindi
non posso arrogarmi il diritto di definire in modo univoco.
Con queste parole, Borges racconta la sua esperienza con la letteratura: domande,
quindi, non risposte. Tentativi e pagine bianche, cioè ogni volta un nuovo punto di
partenza. Non esiste un paradigma oggettivo e univoco, non esiste un metodo solo.
Ognuno si trova di fronte all’opera (che sia letteraria o videoludica, che sia da scrivere o
da analizzare) con una serie di strumenti che appartengono alla sua cultura, con la
trovare una strada per analizzare i videogiochi, che si configurano come opere nuove
sia interattive che narrative e che creano, in un certo senso, un forte senso di
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Borges, Jorge Luis (2001) L’invenzione della poesia. Le lezioni americane, Mondadori, Milano, p. 5-6
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quello di capire quali siano i punti di contatto tra la narrazione fantastica tradizionale e
contenuti. Nella scelta delle opere, dei riferimenti letterari individuati, delle strategie di
personale e creativo, perché così come il processo di fruizione del videogioco non
dell’opera non era costituito solo dalla somma delle sue parti, che, in un’analisi
settoriale, i diversi elementi separati dalla complessità del sistema non solo non hanno
metodologica che ci fornisce la chiave di lettura per capire il vero senso della storia di
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soggettività è una componente sempre presente nella narrazione, sia nella produzione
contribuire attivamente, sia dal punto di vista “meccanico” che da quello cognitivo, di
modificare e influenzare la storia a seconda della propria cultura e, in casi più estremi,
della propria personalità.
Considerato che, come critico, sono per forza anche una giocatrice, sono sicura che sia
nel corso dello studio, ho capito che dovevo osservare il videogioco non solo come un
analisi di mercato che stanno alle spalle della realizzazione di un titolo, passando per
Ho capito che, affinché la mia analisi fosse realmente efficace, dovevo anche assumere
nuovo linguaggio rispetto all’efficacia che la stessa storia aveva in letteratura. Le storie,
infatti, sono sempre le stesse. I miti che fanno parte del nostro immaginario collettivo
tendiamo a riproporli) ancora e ancora, solo con modi e segni nuovi. Questa novità del
Perché è così importante capire come stiamo raccontando oggi? Perché è così
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Come studiosa, direi che dobbiamo sempre cercare di essere consapevoli dei processi a
cui assistiamo e che caratterizzano i nostri tempi: dobbiamo utilizzare gli strumenti
asettici della critica per comprendere gli artefatti reali e intrisi di contemporaneità che
la nostra società e il nostro tempo producono. Come autrice, invece, direi che è
come esseri umani, abbiamo il dovere di trovare sempre il modo più efficace per farlo,
da una parte con la consapevolezza dell’analisi, che non può derivare da altro che dallo
studio, dall’altra anche con l’intraprendenza della sperimentazione. Questo perché l’atto
di raccontare è sempre un atto sociale e lo scopo ultimo del racconto è quello della
comunicazione, del dialogo efficace tra autore e lettore. Si parla spesso di “metodo
scientifico” applicato alle scienze umane, ma si può realmente parlare di “obiettività” di
fronte a qualcosa che non è mai, che non può essere mai solo “metodo” e che è,
percezione personale? Ecco, allora forse una delle possibili strade che possiamo seguire
è quella di studiare, come ho cercato di fare con questo lavoro, in che modo
sopravvivano quelle storie che l’umanità ritiene significative, quali siano gli elementi
vincenti che vengono “ereditati” dai vari media attraverso cui queste storie passano, nel
corso del tempo, e che portano con sé, come un corredo genetico, adattandosi da un
“Naturalmente, nessuno sa cosa riserverà il futuro. Credo che, alla lunga, il futuro riservi di
tutto, sicché si può immaginare il momento in cui don Chisciotte e Sancho, Sherlock Holmes
e Watson esisteranno ancora, anche se le loro avventure saranno state cancellate. Gli uomini
potrebbero continuare a inventare in altre lingue storie che si adattino a tali personaggi,
storie che sarebbero come specchi per i personaggi. Il che, per quanto ne so, potrebbe
accadere.”283
Come saggiamente afferma Borges, non possiamo sapere cosa ci riserverà il futuro.
Possiamo sapere cosa ci sta riservando il presente, e cercare di districarci nel marasma
283
Ibid. p. 102
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dei cambiamenti in corso a cui la nostra epoca sta assistendo. Per il resto, possiamo
cercare di imparare sempre di più, da quello che studiamo, che leggiamo, o con cui
raccontare le nostre storie nel modo più efficace possibile, che sia con le parole, che sia
con l’azione, che sia in un racconto o in un videogioco. Come esseri umani siamo
tempo: pensare che questo sia possibile solo attraverso la biologia è, oramai, follia.
Sono le nostre storie, le nostre emozioni e tutto quello da cui esse derivano che ci
rendono realmente quello che siamo ed è questo il lascito che abbiamo ricevuto da chi
ci ha preceduto, ed è questo il lascito che dobbiamo preservare per chi verrà.
“Ricorderete che gli gnostici dicevano che l’unico modo per liberarsi da un
peccato è commetterlo, perché poi uno se ne pente. Se avrò avuto la gioia di
scrivere prima quattro o cinque pagine passabili e poi quindici libri passabili,
avrò compiuto questa impresa non solo grazie agli anni, ma anche grazie a
tutti i tentativi e a tutti gli errori.”
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Glossario
Action: termine usato per indicare I videogiochi basati sull’azione e sui combattimenti.
Richiedono principalmente prontezza e agilità nel maneggiare le periferiche
(tastiere, mouse, joypad, ecc.) e un’approfondita conoscenza delle
combinazioni di comandi del gioco.
Adventure: il genere d’avventura è caratterizzato dall’esplorazione di un ambiente,
dalla risoluzione degli enigmi, dall’interazione con i personaggi di gioco ed è
fortemente incentrato sulla narrazione piuttosto che sulle sfide e i riflessi.
Arcade: un gioco arcade è un gioco che non cerca di riprodurre e di simulare in modo
realistico situazioni reali nel mondo di gioco ma che presenta al giocatore un
insieme semplificato (seppur molto divertente) di regole e di meccaniche di
gioco tali per cui l’apprendimento è minimo ed è possibile cominciare fin da
subito a divertirsi giocando.
Avatar: personaggio attraverso cui il giocatore si inserisce in maniera attiva nel mondo
di gioco. L’avatar è una rappresentazione digitale, che può essere o meno
realistica o fantastica, personalizzabile o standard, attraverso cui il giocatore
interagisce con il videogioco.
Beat-‘em-up: in italiano “picchiaduro”, è un sotto-genere del genere Action e indica i
videogiochi il cui scopo principale è quello di affrontare e sconfiggere i
nemici in scontri di lotta, sia a mani nude con con l’uso di armi.
Boss: nemico particolarmente importante o significativo, che richiede un impegno
superiore da parte del giocatore per essere sconfitto. In molti videogiochi la
presenza del Boss di fine livello serve per scandire l’evoluzione del gioco e per
far percepire l’aumento di difficoltà al giocatore. Spesso è necessario, oltre a
un puro scontro fisico, individuare e adottare accorgimenti strategici
particolari per superare questo nemico.
Bottom Up: il modello Bottom Up è una strategia di elaborazione dell’informazione che
riguarda principalmente i software e che si estende anche alle teorie
umanistiche dei sistemi. È una metodologia per cui le parti individuali del
sistema sono specificate in dettaglio e connesse tra di loro in modo da
formare le componenti più grandi, fino a realizzare un sistema completo.
Casual Gaming: tendenza di gioco contemporanea che espande l’utilizzo e la fruizione
del videogioco al di fuori delle fasce che, fino a qualche anno fa, erano quelle
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Maze game: definizione coniata all’inizio degli anni ’80 per descrivere i primi
videogiochi in cui il giocatore doveva muoversi con un avatar stilizzato
all’interno di un labirinto, per trovarne l’uscita evitando di collidere con le
pareti.
MMORPG: è l’acronimo di Massively Multiplayer Online Role-Playing Game e identifica
un gioco di ruolo (principalmente per computer, ma occasionalmente anche
per console) che vede più persone interagire in un ambiente virtuale tramite
internet. I giocatori possono interagire contemporaneamente interpretando
personaggi disparati che si evolvono insieme al mondo in cui vivono. Un
elemento fondamentale del MMORPG è l’elemento ludico: i fruitori di questo
tipo di gioco infatti si aspettano di vivere avventure, nel mondo virtuale, e di
seguire percorsi che li portano a scoprire storie e narrazioni differenti.
Mondi persistenti: definizione più ampia di MMORPG perché non prevede la
dimensione ludica. I mondi persistenti sono tutti quegli spazi online*
popolati da utenti che possono modificare lo spazio, far crescere il proprio
avatar e contribuire alla creazione di situazioni e contesti particolari. A
differenza dei MMORPG, i mondi virtuali in generale (non videoludici) non
necessitano di una trama narrativa, di quest o di percorsi guidati. Vengono
frequentati dagli utenti che agiscono liberamente e che creano quelle che
possiamo definire narrazioni emergenti
Mondi virtuali il mondo virtuale è un mondo persistente, quindi un ambiente dove le
persone si trovano e interagiscono, ma che cessa di esistere quando non
viene utilizzato da nessuno. A differenza del mondo persistente, quindi, è un
luogo di maggiore finzione in cui le evoluzioni vengono per così dire
“resettate” a ogni sessione di gioco.
Multiplayer: modalità di gioco che prevede il coinvolgimento, in tempo reale o a turni,
di più giocatori, sia in persona che via Internet.
Narrazione emergente: tipologia di narrazione che si sviluppa grazie all’interazione
(oline o reale) di persone che, per lo più, partecipano a un gioco. La trama
narrativa principale e gestita dall’autore crea interazioni sociali tali per cui si
sviluppano narrazioni emergenti, inaspettate e ogni volta diverse, che
coinvolgono i partecipanti e che diventano tanto interessanti quanto la linea
narrativa principale.
NPC (Non-Playing Character): sono i cosiddetti “personaggi non-giocabili”, ossia quelli
che non vengono gestiti direttamente dal giocatore ma che interagiscono su
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Bibliografia
Videogiochi
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Ringraziamenti
Se è proprio vero che una risata ci seppellirà, non posso fare a meno di concludere questo lavoro
pluriennale con dei ringraziamenti goliardici. D’altra parte, parafrasando Huizinga (no, non c’entra
niente con Mazinga), la vita è un gioco. E speriamo di non smettere mai, fino alla fine, di giocare.
(Parentesi seria)
Ringrazio la mia relatrice, Paola Carbone, perché siamo arrivate incolumi alla fine di questo
percorso, nonostante tutte le insidie. Ti prometto che userò molte meno virgole, d’ora in avanti!
Ringrazio la professoressa Patrizia Nerozzi per tutta la pazienza e il supporto nel corso di questi
anni di dottorato.
(Fine parentesi seria)
La mia prima tesi l’ho dedicata ai miei genitori, che hanno contribuito a rendermi come sono.
Ormai sono un po’ di anni che me la cavo pressoché da sola, ma so che voi ci siete sempre.
Mamma, papà, vi ringrazio come sempre perché anche se sono un’adulta irrequieta e anche se
faccio di tutto per essere autonoma, mi fate capire che posso sempre contare su di voi. Grazie.
Questa tesi la dedico a una selva di personaggi improbabili, o immaginari, o morti, o entrambe le
cose, che tuttavia sono con me la maggior parte del mio tempo cosciente e, in alcuni casi, nei miei
sogni più significativi. Borges, per primo, che amo da quando ho tredici anni. Super Mario,
assolutamente, l’unico idraulico su cui puoi sempre contare e con cui mi diverto ormai da più di
vent’anni. Joyce con le sue epifanie, che mi hanno fatto capire un po’ di più il senso della vita.
Pyramid Head, un nemico che ancora oggi mi terrorizza, ma che mi ha insegnato che non si può
sfuggire alle proprie ossessioni, tanto vale affrontarle di petto. John Doe, perché quando tutto era
statico, buonista e noioso è arrivato lui con il suo charme e il suo cinismo. Corto Maltese, che resta il
mio ideale di uomo accanto al Grande Lebowsky, che ha sempre un piccolo posto nel mio cuore.
Ho tanti amici a cui devo almeno una menzione. Non che mi abbiano aiutato direttamente con
questa tesi (che, anzi, è stata tenuta celata ai più) ma sicuramente abbiamo condiviso tanto, in
questi anni, e perché è bello lasciare un segno di voi anche qui. Ed è, peraltro, un modo per
sdebitarmi perché mi sopportate così come sono.
Giulia, poche persone riescono a farmi imbestialire come sai fare tu. Trova la tua strada e smettila di
lamentarti, sei una bella persona e hai una vita bellissima.
Roby: il miglior nuovo acquisto! Sei la prima neo-sorella che ho. E ti voglio bene come se ci
conoscessimo da sempre.
Ali. Altrimenti detta “Capra”. Adoro i nostri tè del giovedì. Veramente, adoro tutto il tempo che
passiamo insieme. Sì, sei la mia migliore amica, rassegnati.
Max... Anche se siamo diventati adulti ed è difficile essere gli spensierati ragazzini di qualche anno
fa, quando ridiamo insieme mi sento ancora 19 anni. Ed è bellissimo.
Peppe, ci pensi? Ci conosciamo da almeno diciannove anni. Fa spavento. Però che lustro avere un
amico ufficiale e gentiluomo come te!
Ila, scommetto che concorderai con me nell’elenco di dediche di questa tesi. D’altra parte, siamo
noi che viviamo accompagnate da personaggi di fantasia più reali del reale, fin da quando siamo
piccole.
Gaia, aka Pear. Come potevo pensare di trovare una persona come te? E invece esisti. Peccato per la
tua passione per la filologia germanica. Avremmo potuto essere grandi amiche.
Tiziana, Roberto, grazie perché mi fate sentire sempre a casa e perché è un piacere trascorrere il
tempo con persone come voi. E, ovviamente, per l’ottimo vino!
Paolo, penso ancora che andare in Africa non sia stata la mossa più utile del mondo, però non
posso non pensarti e non pensare che, magari, prima o poi riusciremo a parlare di nuovo senza
lanciarci i coltelli. O i crocifissi.
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Ubisoft ha avuto un grosso spazio, nella mia vita, in questi ultimi anni. Lì ho capito cosa significa
veramente lavorare (???) nel mondo dei videogiochi. Ho conosciuto persone che da colleghi sono
diventati amici. E che spero lo resteranno a lungo. Davide, ad esempio. Nonostante tu sia un
nintendario e ami Super Mario sicuramente più di me, sei anche un grande game designer e un
ciccione senza speranza. Mi hai insegnato tanto e mi hai ricordato che bisogna giocare con tutto e
tutti. Spero che prima o poi Whispering Life diventi realtà.
Chricchio (bagno zozzo), Dami (FRIULI!), Clara (tipo kekka), Rik (alla fine dovevamo lavorare insieme
su un videogioco, no?), Alberto (vai a votare), Pier (alza lo schermo, va’...), Francy (sei e sarai sempre
il mio Producer), Dario (mi dai i buoni pasto?), Roby (sei il mio coder del cuore), Rik (andiamo a
berci ‘sto caffè), Maurone (mi fai una dedica cantata?), Smiro (chi sei?!), Stibi (smettila di ondeggiare
la testa), Giuliano (lo so che sei buono, ti voglio bene anche io), Mauro (prima o poi ti scrivo una
storia, promesso), Fraps (prima o poi tornerai dal grande freddo), Briano e il Monsoon, Italo (cosa
ridi?), Giamma (dai, chiudi un occhio), e tutti gli altri che da ormai due anni sopportano me, il mio
fare imbarazzante, le mie battute fuori luogo, il mio chiasso e la mia irruenza: spero di avervi
regalato qualche risata, ogni tanto, perché sì, ragazzi, lo so... Faccio ridere! Una menzione speciale
va a Cristina, con cui mi sono trovata inaspettatamente e con cui sento di condividere molto.
Speriamo, prima o poi, di poter affrontare una storia insieme.
I ragazzi del GamesLab. Una delle esperienze più divertenti e formative degli ultimi anni. Sono
contenta che ognuno di voi stia andando per la sua strada. Siete tutti in gamba, mi avete insegnato
tanto e sono onorata di aver lavorato, chiacchierato, riso con voi. Claudio, sei stato un braccio
destro prezioso e anche se ora ci siamo separati, sono sicura che un giorno le nostre strade si
uniranno di nuovo (come sono marziale).
Hive Division. In fondo, ma solo perché è la parte della mia vita proiettata al futuro. Tutti quelli che
ne fanno parte mi ricordano ogni singolo giorno che cercare di realizzare quello che si sogna è più
bello del sogno stesso. Spero, presto, di lavorare con voi e di condividere sempre più la mia vita
con voi. Spacchiamo.
In particolare, Nemesis: devi guarire e dobbiamo continuare a scrivere storie insieme. Vai al mare.
Prendi le vitamine. Non mi importa. Noi tre siamo una forza inarrestabile. E le nostre idee e i nostri
racconti riecheggeranno nei secoli.
Infine: colui grazie a cui tutto è possibile. Giacomo. Con te mi piace addormentarmi e svegliarmi,
l’azzurro è più azzuro e i sapori sono più intensi. Sei il mio compagno di vita, so che ci sei e che ci
sarai sempre. Mi spingi a creare, scrivere e immaginare e mi hai insegnato che la felicità non è un
impedimento per l’arte, anzi. Con te, e solo con te, potevo concepire “Europa”, con te, e solo con te,
potrò realizzarla. Che sia un augurio per il nostro futuro: creare insieme, ancora e ancora. E,
ovviamente, spero che potremo alzarci tardi, viaggiare, fare tutti i brunch che vorremo, parlare,
riflettere, inventare e giocare insieme, sempre.
Questo capitolo della mia vita si chiude qui. È stato lungo, per alcuni versi sofferto, per altri
divertente, ma sono contenta di essere arrivata in fondo a questo percorso e sono felice della
strada che sono arrivata a imboccare.
Raccontare storie. Questo è quello che spero di continuare a fare, domani e domani.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che
abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo
riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il
secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi
e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
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