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Evolvi il tuo marke ng

Capitolo 1 - Non si può non fare marke ng, si deve scegliere come farlo
Ritengo che in ques anni si sia ormai giun in vista di una nuova fase, dove mol marke ng
manager provengono dalle università dedicate e non dal mondo del giornalismo, della gra ca o del
commerciale.

La mia esperienza mi ha insegnato tre cose che sono oggi principi importan che tento di
trasme ere a studen e manager:

1. Non si può fare marke ng senza portare cultura marke ng. Il professionista di marke ng
è anche un tes monial del marke ng. Il professionista di marke ng non può e non deve né
stupirsi né indignarsi dell’ignoranza di molte aziende e manager in materia. L’opportunità
di business è celata in quel bisogno, quasi sempre ancora latente, di una nuova prospe va
di azione.

2. Prima di costruire è necessario demolire e smal re i detri . Nei miei primi anni di lavoro
in agenzia mi accorgevo che dopo alcuni minu in cui presentavo i servizi di marke ng
strategico ai potenziali clien , ques dimostravano stupore, come se stessi presentando
loro qualcosa sia di di cile comprensione, sia di completamente ina eso. Da lì ho
imparato in primo luogo a chiedere ai miei interlocutori di aiutarmi a capire il loro punto di
vista sul marke ng. Una volta che l’interlocutore dichiara cos’è per lui il marke ng, c’è lo
spazio e il modo di portare la propria visione diversa ed evoluta.

3. È fondamentale comprendere se la governance dell’azienda ha o meno cultura


marke ng. Il professionista di marke ng si troverà più volte a confrontarsi con le visioni
diverse, se non opposte, di colleghi appartenen ad altre funzioni. Questo sarà occasione
di creazione di senso e di condivisione in azienda solo se la direzione aziendale manifesta
la propria adesione a un approccio di lavoro chiaro e stru urato. In caso contrario è alto il
rischio di imba ersi nelle cosidde e “ba aglie contro i mulini a vento”.

Il marke ng è l’insieme delle a vità anali che, strategiche e opera ve connesse all’essere sul
mercato. Il termine “marke ng” deriva infa dal verbo to market, inteso sia come “be on the
market” che come “put into the market”.

L’accezione “essere sul mercato” è volutamente ampia perché non si limita al mondo aziendale
legato alla commercializzazione di beni e servizi. Non si può non fare marke ng. Possiamo scegliere
se farlo bene o meno.

1. 1 Pensare prima di fare


Per l’imprenditore po del nord-est l’azienda è la famiglia e viceversa, con tu i pregi e i limi che
tale approccio mentale comporta.
Mentre i gli hanno trovato la loro collocazione ideale negli u ci commerciali, l’o cina è la domus
mentale ed emozionale dell’imprenditore capos pite. Questo a mio avviso non signi ca a a o che
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queste gure, così importan nel contesto produ vo e sociale, siano scarsamente dotate sul piano
intelle vo. Anzi, è di uso il modo di descriverli come “mani grosse e cervello no”.
Il fa o è che il loro pensare è inscindibile dal fare: pensano facendo.
Un imprenditore a capo di un mobili cio per il quale ho lavorato aveva un talento eccezionale per
la lavorazione del legno, un mix di esperienza, passione e manualità. Un patrimonio fondamentale
per l’intera azienda, riconosciuta a livello nazionale per la qualità delle sue soluzioni personalizzate,
in par colare nel contesto contract di pres gio.
Il suo ideare e proge are erano contestuali al fare. E i dipenden ? Tu e le persone che si sono
formate alla professione in azienda, guida dall’esempio del tolare, hanno sviluppato l’abilità di
“imparare con gli occhi”. Ma se il lavoro cambia di volta in volta perché l’azienda lavora a
commessa e non a catalogo? Beh, lì c’è un problema. Un problema che è molte volte so os mato
no al momento cri co di una necessaria sos tuzione o riorganizzazione.
Perché questo fenomeno non è limitato ai tolari, ma è di uso a tu e le gure che hanno
sviluppato esperienza con il fare e che senza fare non riescono a trasme erla.
Far diventare il patrimonio di conoscenza personale un patrimonio di conoscenza di usa e quindi
un patrimonio aziendale è una s da moderna delle aziende nel quale il marke ng gioca un ruolo
importante se è capace di portare nella quo dianità del lavoro il principio base “pensare prima di
fare”. Se prima di fare penso, allora proge o, discuto, valuto, decido, sono obbligato a
razionalizzare per esporre la mia idea e convincere i miei colleghi. Sono portato a darmi degli
obie vi, delle linee guida che diventano al tempo stesso input per il lavoro e pun di partenza per
veri carne l’e cacia, intesa come rispondenza ai requisi che hanno mosso una speci ca a vità.

1. 2 Il marke ng come custode del pensiero strategico


Uno dei primi consigli che darei a chi sta per intraprendere la professione di marke ng manager è
quello di separare ne amente la funzione del marke ng opera vo da quella del marke ng
strategico.
La “ques one strategica” non è solo centrale per la funzione marke ng e per chi la ges sce, ma
per l’intera organizzazione. Il marke ng è infa sempre più il “custode del pensiero strategico”. In
azienda esistono solo due funzioni che hanno l’a tudine e il compito di sviluppare una visuale sul
business ampia e profonda: il marke ng e la Direzione Generale per svolgere al meglio il proprio
lavoro devono conoscere diversi aspe dell’azienda e del business in cui opera; la Direzione
Generale per la sua responsabilità complessiva e il suo compito decisionale, il marke ng per
comprendere le dinamiche del mercato, i pun di forza e di debolezza dell’azienda in rapporto ai
concorren e altre ragioni ancora.
La Direzione Generale è sempre espressione della funzione centrale di un’azienda.
Il marke ng si trova a dover difendere il “for no” del pensiero strategico, ul mo baluardo contro
la spinta esogena alla logica del breve periodo.
Ecco perché sempre più il marke ng deve proteggere, in primo luogo da sé stesso, la propria
componente strategica, quella più preziosa e, paradossalmente, meno richiesta. Le altre funzioni
infa “spingono” il marke ng a lavorare sugli altri due livelli, quello anali co e quello opera vo...
«abbiamo un benchmark coi concorren ?», «abbiamo le analisi delle vendite in tale mercato?»,
«abbiamo i trend di se ore dell’ul mo triennio?», «abbiamo la presentazione corporate per il Far
East?», «sono online le risorse del service», eccetera eccetera.

1. 3 Cosa vuol dire fare e avere una strategia? Il marke ng strategico


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Non basta la consuetudine per fare una strategia. Proseguire per le strade sinora percorse,
chiudersi dentro a un “abbiamo sempre fa o così” è un comportamento opposto all’agire
strategico
Non basta la decisione di un leader carisma co d’azienda per argomentare la propria a tudine alla
strategia.
La strategia origina e termina nell’analisi: da essa trova i pun sui quali fondarsi, da unire a raverso
un tra o unico e originale; la strategia è scovare, in un quadro apparentemente astra o e cao co,
una realtà prima non vista. La strategia è umile, si me e a disposizione della veri ca, dei follow up,
delle opinioni dei sogge in campo. Al tempo stesso però la strategia è autorevole e ferma,
convinta di sé stessa.
La strategia ha il fondamentale compito di de nire il posizionamento strategico, sia esso di brand o
di prodo o.
Il termine “posizionamento” è forse uno tra i più u lizza a sproposito. Molte volte ho assis to ad
a ermazioni come «ci posizioniamo come azienda leader, seria e professionale», «abbiamo un
posizionamento alto», «il nostro posizionamento si basa sull’elevata tecnologia», «siamo
posiziona nel canale della GDO».
Il marke ng strategico è una delle tre fasi del processo di marke ng:
• Marke ng anali co: ha lo scopo di de nire il territorio compe vo in cui l’azienda opera.
• Marke ng strategico: si occupa di ssare il punto di arrivo che l’azienda si deve pre ggere per
raggiungere i propri obie vi.
• Marke ng opera vo: esso deve guidare l’azienda nel percorso strategicamente de nito, passo
dopo passo, giorno per giorno, da un lato “fedele” alla strategia.
Ogni azione opera va agisce sull’iden tà del brand e dei suoi prodo , per cui è possibile
iden care un posizionamento per ogni leva:
1. Posizionamento di prodo o: categoria merceologica, pun di forza del prodo o, elemen di
unicità e di focus.
2. Posizionamento di comunicazione: gli argomen primari di presentazione del brand e/o del
prodo o.
3. Posizionamento di prezzo: livello medio di prezzo nel mercato in riferimento ai concorren di
prodo o.
4. Posizionamento distribu vo: scelta del/i canale/i di vendita.
Il posizionamento strategico, opera del marke ng strategico, non si limita a essere sintesi o, peggio
ancora, somma dei qua ro posizionamen opera vi.
Il posizionamento strategico, rispondendo alle sei domande prima riportate, cos tuisce il cuore
dell’iden tà di un brand o prodo o.
Per descrivere il posizionamento strategico di uno speci co brand o prodo o sono solito u lizzare
uno specchie o che, nella sua semplicità, costringe a essere sinte ci, precisi e chiari.
Esso si ar cola in:
1. principio comunica vo: promesse e reason why;
2. bisogno soddisfa o;
3. target;
4. brand character/ tono di voce;
5. via strategica prevalente.

1.4 Il marke ng scien co


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Per marke ng scien co si intende il lone di studi di marke ng orienta a de nire teorie, modelli
e processi di marke ng secondo un approccio scien co lineare: analisi, formulazione di ipotesi,
de nizione di strumen di test, somministrazione degli stessi, veri ca e validazione delle ipotesi,
formulazione di teorie, stesura di piani e proge coeren alle teorie, analisi dei risulta .
Il marke ng strategico indica il “cosa” fa il marke ng in quella speci ca fase di lavoro. Il cara ere
scien co ne descrive il “come”.

1.5 Strategia e ta ca, approcci sos tu vi o complementari?


Ma che senso ha analizzare e proge are se poi il contesto cambia in con nuazione?
Il marke ng è lo strumento di guida a disposizione dell’azienda per muoversi in un territorio che in
meno di un decennio ha subìto più modi cazioni che nei preceden trent’anni. Come orientarsi in
esso? Chi oggi lavora in azienda, non solo nel marke ng, è chiamato a considerare la complessità e
la rapidità dei cambiamen come assun di base e a lavorare di conseguenza.
Il professionista di marke ng è chiamato quindi non solo a ges re la complessità e la rapidità dei
mutamen , ma anche a non rinunciare mai a de nire per sé stesso, per i colleghi e per l’intera
organizzazione una conoscenza organizzata del territorio compe vo, ben consapevole di quali
siano le aree mappate a maggiore e minore de nizione.
L’analisi marke ng ha infa il fondamentale compito di fotografare il territorio compe vo come
farebbe un satellite: con ampiezza e profondità di visuale. Proprio come un navigatore satellitare
ricalcola il percorso se si dovessero e e uare variazioni al tracciato previsto per cause di forza
maggiore o per inaspe ate opportunità, così il marke ng anali co è chiamato a essere sempre
vigile per dare al marke ng strategico un fondamento chiaro per de nire il piano di revisione
strategica e le rela ve ripercussioni sull’e cacia e l’e cienza del lavoro marke ng.
E che ne fanno lo spirito e l’intuito imprenditoriale?
Cercare la risposta a questo tema mi ha portato a scoprire una delle principali ragioni della mia
passione per il marke ng scien co: la centralità delle persone e delle organizzazioni intese come
comunità di persone.
Il marke ng scien co ha lo scopo di me ere in rete le conoscenze e le esperienze di ciascuno,
dando a esse valore perché inserite in un modello organizzato che produce conoscenza (e quindi
valore) per tu a l’organizzazione. Quello che si vuole quindi presentare e promuovere è un sistema
democra co di ges one della “cosa pubblica”, perché la capacità di un’azienda di stare sul mercato
(to market) è interesse colle vo, non di pochi.

1.6 I vantaggi dell’approccio scien co


Tu i vantaggi che l’approccio scien co al marke ng strategico porta alle
aziende.
1. E cacia
In azienda, nell’euforia degli anni O anta, proseguita poi nel decennio successivo, la stessa
dinamica accadeva nel marke ng. Le aziende crescevano e gli inves men portavano una
maggiore brand awareness. Sbagliare il lancio di un prodo o Oggi può determinare non solo
l’insuccesso professionale di una persona o di un team, ma la sopravvivenza dell’intera
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organizzazione. Il marke ng, volente o nolente, deve lavorare oggi come un cecchino. Poche
possibilità, un unico risultato, con tu o il valore e la pressione che il ruolo determina. Il
marke ng scien co è l’a rezzatura a disposizione del professionista in questo suo compito.
2. Time saving
La strategia condo a secondo l’approccio scien co, invece, perme e di iniziare il proprio
percorso avendo già chiara in mente la sequenza di azioni che l’azienda dovrà compiere per
giungere ai suoi obie vi. Ogni scelta che implica un ragionamento al quale dedicare tempo è
e cacemente agevolata dall’avere chiaro in mente quali siano la meta e il percorso.
L’approccio strategicoscien co richiede tempo. Un tempo che a volte le aziende non sono
disposte ad a endere perché non abituate ed educate a capirne il valore. L’approccio
scien co al marke ng strategico innesca quindi questo con i o: il lavoro necessita di un
tempo che le aziende ritengono di non avere. La mancanza di tempo e la fre a concitata delle
aziende spesso non sono un dato ogge vo, bensì una manifestazione d’ansia delle persone
che vi lavorano.
3. Cost saving
la logica conseguenza che l’approccio scien co al marke ng strategico è fonte di risparmio di
denaro. Un servizio è un aggregato complesso di fa ori. Se l’azienda ignora tale complessità
non può valutare l’opportunità o meno di una collaborazione. Allo stesso tempo se è il
professionista esterno a ignorarla, egli ignora il bisogno del cliente e si preclude quindi, salvo
casi di fortuna, la possibilità di assolvere a esso.
Nella seppur breve storia del marke ng e della comunicazione, almeno in Italia, la situazione
pica che si è riscontrata e si riscontra è quella cara erizzata da una marcata asimmetria
informa va a carico della Domanda. I professionis , cioè, hanno maggiori informazioni in
merito alla materia tra ata rispe o alle aziende che acquistano i loro servizi. Il
comportamento pico in queste situazioni è l’a damento. Il rovescio della medaglia avviene
invece quando l’asimmetria informa va a carico delle aziende depaupera il reale valore del
servizio. È so o gli occhi di tu la guerra dei prezzi in a o che penalizza i fornitori che hanno
maggior valore aggiunto, ma sono incapaci di comunicarlo e di renderlo “prodo o transato”.
La strategia si colloca in questo scenario come strumento fondamentale per le aziende per
poter riappropriarsi del cuore del valore delle proprie azioni: la propria iden tà, la propria
consapevolezza di ciò che si vuole o enere. Se ho una strategia chiara posso relazionarmi con i
miei interlocutori esterni con maggior autorevolezza circa le mie speci che esigenze. Ciò,
inevitabilmente, si traduce in maggior potere contra uale.
4. Team building
Nessuna azienda può vincere le proprie s de senza il contributo unico delle persone che
devono essere messe nelle condizioni di esprimere al meglio e liberamente le proprie
potenzialità al di là del loro ruolo di inquadramento. La strategia, quando è condivisa nelle
forme e nei modi appropria , è il riferimento a cui agganciare la ducia, nel quale creare
condivisione, mo vazione, partecipazione. Ogni strategia nasce dall’analisi e ogni analisi
comprende l’ascolto (audit) di un campione scelto di interlocutori interni ed esterni all’azienda.

Capitolo 2 - Il modello 3D-ing


2.1 Quando una strategia è vincente?
È indubbio che l’esperienza sia un patrimonio unico e ines mabile in ogni professione.
Ben diverso è quando si tenta di far passare come unità di misura unica dell’ esperienza l’ età,
anagra ca e di ser vizio.
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L’esperienza non è mai la somma del tempo trascorso ma è la risultante di ciò che abbiamo vissuto
e di come l’abbiamo sperimentato, razionalizzato e interiorizzato.
Si assiste sovente anche a una strategia comunica va uguale e contraria: giovani professionis che
per a ermare il loro diri o a vedersi riconosciu nel mondo lavora vo u lizzano il loro possibile
punto di debolezza, l’inesperienza, come punto di forza, trasformandola in modernità, in uno
sguardo nuovo e innova vo, classi cando, in modo a volte esplicito a volte implicito, i loro
compe tors più esper come “vecchi”, “obsole rispe o a un mondo che cambia in fre a”.
dimostra di essere capace ed e cace colui che sulla base di un processo di sperimentazione
controllato dimostra la validità dell’approccio teorico e metodologico al quale si ispira.
La domanda di base da cui trae origine il modello 3D-ing è molto semplice: quando una strategia è
vincente?
L’assunto di base sul quale si fonda il modello 3D-ing è che una strategia è vincente quando essa è
al tempo stesso sostenibile, signi ca va e dis n va.
Sostenibilità
La sostenibilità non è qui da intendersi solo su un pur presente piano economico- nanziario; una
strategia è sostenibile quando si fonda su una promessa al mercato comprovata da un solido
impianto di reason why.
Mol professionis di marke ng tendono a dimen care di essere consumatori, sogge alle
strategie di marke ng di innumerevoli aziende. Spesso tendiamo a sopravvalutarci e a dis nguerci
rispe o alla “massa”, pensando che quest’ul ma si faccia muovere come una marione a dalle
grandi aziende ma... «noi no, noi sfuggiamo alle strategie delle mul nazionali, noi siamo razionali,
noi abbiamo capacità cri ca».
Nessuno di noi è, sempre e comunque, un consumatore perfe amente razionale. Possiamo esserlo
solo in alcuni ambi e momen . Tu noi siamo sogge razionali ed emo vi e in quanto tali
agiamo in ogni aspe o della vita, ivi compreso il consumo.
Un secondo pensiero riguarda la capacità di pensiero cri co delle persone, come singoli e come
comunità allargata
Le persone non si lasciano convincere da promesse senza reason why. Se agli occhi di chi analizza i
fenomeni appare invece il contrario, ritengo che ciò sia dovuto all’incapacità del le ore di capire le
reason why che, a livello razionale o emozionale, e quindi consapevole o meno, le persone hanno
interiorizzato.
A volte è su ciente la menzione dell’esistenza di reason why. Mai ne è acce abile la completa
assenza. Tanto maggiore è il bisogno che la Domanda avverte, tanto è maggiore la sua disponibilità
a credere alle promesse, anche con reason why non del tu o chiare ed esplica ve. Potremmo
parafrasare dicendo che più abbiamo bisogno di una cosa, più siamo dispos a credere che quanto
o ertoci sia e e vamente la soluzione che cerchiamo.
Quali argomen di vendita possiamo usare nel mercato? Quali promesse possiamo veicolare?
Grazie a quali reason why?
Signi ca vità
Il criterio di signi ca vità riguarda la capacità di interce are bisogni e interessi della Domanda.
È chiaro qui il richiamo al primo principio del marke ng: produci ciò che puoi vendere, non tentare
di vendere ciò che hai prodo o. Le aziende hanno potuto vivere a lungo in modo introverso,
concentrandosi principalmente sulle modalità di produzione poiché le vendite erano garan te
dall’incessante crescita e pressione della Domanda.
Produrre ciò che si può vendere signi ca quindi in primo luogo analizzare, capire e se possibile
an cipare i bisogni e i desideri della Domanda. In secondo luogo signi ca concepire i prodo e
servizi come soluzioni.
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Quali, tra gli argomen di vendita che possiamo u lizzare nel mercato, sono anche interessan per
la Domanda?
Dis n vità
Nel linguaggio comune – e quindi anche nella cultura di usa – è dis n vo qualcosa di
completamente originale, a volte fuori dagli schemi e pertanto considerato “estremo”,
d’avanguardia. Provate a chiedere a un gra co o a un designer di sviluppare proposte dis n ve per
capire a cosa mi riferisco.
Una strategia è invece dis n va quando dà ragioni al cliente per preferire la soluzione dell’azienda
rispe o a quelle concorren . A volte è su ciente all’azienda individuare anche un solo fa ore
dis n vo del suo prodo o per poter fondare su di esso una strategia dis n va.
La dis n vità non deve per forza celarsi nel prodo o in quanto tale ma può anche rientrare nelle
poli che commerciali e di prezzo, piu osto che nelle poli che distribu ve e di comunicazione.
Quali, tra gli argomen di vendita che possiamo u lizzare nel mercato, sono anche dis n vi
rispe o alla concorrenza?

2.3 Il modello 3D-ing


Il modello 3D-ing nasce allo scopo di costruire, a par re n dall’analisi, strategie vincen secondo il
modello teorico di riferimento.
Il modello si basa su tre azioni consequenziali, denominate mapping, laddering e matching.

Mapping
Il mapping ha lo scopo di analizzare con la profondità necessaria e opportuna i sogge che
descrivono e compongono il territorio compe vo, O erta, Domanda e concorrenza.
Per e e uare un’indagine accurata è necessario, come avviene in alcuni esami di cara ere
medico-diagnos co, riuscire a separare i diversi piani d’analisi.
Allo stesso modo il mapping prevede di analizzare i tre sogge principali del territorio compe vo
in modo tra loro autonomo e indipendente secondo le variabili d’analisi O erta, Domanda e
concorrenza divengono quindi ogge o di tre analisi separate.
Laddering
Il valore dell’analisi sta nella capacità di creare interconnessione tra le singole analisi.
Sappiamo che il modello 3D-ing ha l’obie vo di condurre l’azienda ad ado are una strategia
vincente e che essa è tale quando è al contempo sostenibile, signi ca va e dis n va. Così anche
l’analisi dell’O erta, della Domanda e della concorrenza, per poi essere tra loro confrontate,
devono essere “ricodi cate” secondo un comune codice.
Tale codice è la laddering analysis.
La laddering analysis è un modello u le ad analizzare in forma organica unità informa ve
complesse ed eterogenee.
Essa nasce dall’esigenza di creare connessioni logiche tra le cara eris che di un prodo o in modo
tale da stru urare argomen di vendita. I primi contribu sulla laddering analysis si devono a
Thomas Reynolds e a Jonathan Gutman che nel 1988 pubblicarono un ar colo dal tolo “Laddering
Theory, method, analysis, and interpreta on” nel Journal of Adver sing Research.14
La laddering analysis è stata da allora concepita e u lizzata come strumento per la de nizione della
strategia di comunicazione.
Il modello 3D-ing, invece, potenzia la stru ura e il campo d’azione del modello, portandolo da uno
dei pun chiave di una strategia di comunicazione, a pia aforma della strategia stessa.

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Per operare questo cambio di prospe va, il modello 3D-ing apporta dei cambiamen all’iniziale
concezione e stru ura della laddering analysis di Reynolds e Gutman. D’ora in poi, quindi,
tra eremo la laddering analysis secondo la personale interpretazione e trasposizione che il
modello 3D-ing ne dà.
La laddering analysis è organizzata su qua ro livelli seman ci che prendono il nome di a ribu ,
bene t ogge vi, bene t sogge vi e valori.
• a ribu : sono le cara eris che siche e speci che di un prodo o16, come ad esempio i materiali
di cui è composto, le sue dimensioni, la sua morfologia eccetera. Rispondono alla domanda:
com’è fa o il prodo o? Quali sono le sue speci che features?
• bene t ogge vi: sono le performance del prodo o nella sua interezza, dove per performance
s amo a indicare qualsiasi cara eris ca del prodo o nel suo complesso, originata dalla presenza
di uno o più a ribu . Rispondono alla domanda: cosa è o fa il prodo o? Per tale mo vo è
sempre consigliabile concepirli e codi carli come agge vi o complemen ogge o del sogge o
“prodo o”.
• bene t sogge vi: sono i vantaggi che lo stakeholder (sia esso l’acquirente u lizzatore o altro
pubblico) trae per sé stesso dalle performance del prodo o, ovvero dai bene t ogge vi.
Rispondono alla domanda: quali sono i vantaggi che può trarre lo stakeholder? In questo caso si
consiglia di immedesimarsi nello stakeholder e di u lizzare la forma lessicale “io posso ...” seguita
da un verbo all’in nito.
• valori: come nel comune linguaggio, i valori sono unità di sintesi di principi e idee di cara ere
universale come la libertà, la pra cità, la bellezza, l’a dabilità, la sicurezza.
I qua ro livelli sono tra loro connessi a due a due a raverso legami di cara ere causale. Esistono
bene t ogge vi per e e o di uno o più a ribu . I bene t ogge vi, poi, originano bene t
sogge vi i quali a loro volta so endono ai valori.
1. La laddering analysis aiuta a prendere in esame in modo anali co ogni elemento del
prodo o, inteso sia come cara eris ca ogge va sia come en tà sogge va, connessa cioè
alle persone che vi entrano in relazione.

2. La laddering analysis costruisce la matrice di tu i possibili argomen di promozione di un


prodo o verso uno speci co target.

3. La laddering analysis unisce con un rapporto causa-e e o le promesse e le reason why di un


prodo o. Le promesse sono contenute nei bene t sogge vi e nei valori. Le reason why
sono presen negli a ribu e nei bene t ogge vi.

4. I primi due livelli della laddering analysis sono sempre uguali a sé stessi a parità di prodo o.
Essi, cioè, non mutano se non al variare degli a ribu e sono indipenden dai diversi
stakeholders che si possono prendere in esame. Le promesse (bene t sogge vi e valori)
sono invece dipenden dallo stakeholder analizzato.
5. La laddering analysis è uno strumento di analisi in grado di codi care qualsiasi prodo o,
servizio o brand.
Così come l’O erta è stata messa in matrice con la laddering analysis, allo stesso modo le
risultanze dell’analisi della Domanda e della concorrenza devono essere riportate in modo ordinato
sui qua ro “gradini” del modello.
Par amo dalla Domanda. L’analisi condo a nella fase di mapping avrà riportato, tra le altre,
rilevazioni sui bisogni laten e percepi , sugli elemen di interesse, sulle performance a ese da un
prodo o/servizio, eccetera.
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Nella fase del laddering ogni output dell’indagine della Domanda deve trovare la sua giusta
collocazione.
Per quanto riguarda la concorrenza, il procedimento è esa amente simile.
Quali sono gli a ribu dei prodo o dei brand concorren ? quali le performance (bene t
ogge vi)? quali i vantaggi per le categorie di stakeholders poste so o esame (bene t sogge vi)?
quali i valori so esi?
Un secondo piano di analisi della concorrenza riguarda la sua comunicazione, e in par colare gli
argomen di vendita primariamente u lizza .
Nell’analisi della concorrenza è infa importante dis nguere due piani: da un lato le cara eris che
proprie dei prodo o dei brand concorren , analizzate tramite la laddering analysis, dall’altro il
piano degli argomen di promozione principali.
La copy analysis prende in esame la manifestazione este ca (cosa si vede e legge) per una
successiva decodi ca in elemen comunica vi che andranno poi corre amente inseri in uno dei
qua ro livelli della laddering analysis. In un secondo momento si fanno emergere le eventuali
connessioni logiche causa-e e o tra i diversi elemen riscontra , rappresenta gra camente dai
conne ori.
la copy analysis è un’osservazione anali ca di ciò che l’azienda comunica nello strumento posto in
esame.
Nel passaggio dall’analisi semio ca alla copy analysis alcuni elemen simili appartenen allo stesso
livello possono essere tra loro uni e sinte zza
Per il professionista di marke ng che u lizza il modello 3D-ing è fondamentale saper dis nguere il
piano del benchmark (analisi comparata delle cara eris che tecniche del proprio prodo o con
quelli dei concorren ) da quello della copy analysis.
Matching
I diversi piani vengono ora ricongiun sovrapponendo le risultanze d’analisi come segue:
- analisi della signi ca vità: dalla sovrapposizione tra l’analisi dell’O erta e l’analisi della
Domanda, si evidenzia quali, tra tu gli elemen e gli argomen di iden tà di un prodo o o
brand, interce ano un interesse, a uale o potenziale della Domanda: cosa posso raccontare
della mia azienda o del mio prodo o che è anche interessante per il mio target?
- analisi della dis n vità: dalla sovrapposizione tra l’analisi dell’O erta e l’analisi della
concorrenza, si evidenzia quali, tra tu gli elemen e gli argomen di iden tà di un prodo o o
brand, sono potenzialmente dis n vi e quali, invece, sono già marca da uno o più sogge
concorren : cosa posso raccontare della mia azienda che cos tuisca un elemento di di erenza
rispe o ai miei concorren ?
È quindi possibile far emergere gli elemen e gli argomen di iden tà di un prodo o o brand al
tempo stesso sostenibili, signi ca vi e dis n vi.
L’analisi del territorio compe vo così condo a perme e di collocare gli obie vi di business (stato
obie vo) all’interno di un contesto chiaramente mappato.

Capitolo 4 - Il territorio compe vo: elemen base di O erta, Domanda,


concorrenza
L’a vità di marke ng prende avvio dalla ricerca anali ca per la creazione del primo fa ore di
valore menzionato.
Come ogni lavoro di marke ng dovrebbe par re, trovare compimento e rilancio dall’analisi del
territorio compe vo in cui l’azienda opera.
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Il territorio compe vo è popolato da tre sogge fondamentali: l’O erta, la Domanda e la
concorrenza.
A ques si aggiunge il se ore, che può rives re o meno un’importanza di rilievo a seconda dei
diversi casi. A proposito dello studio del se ore, facciamo qui un dis nguo tra l’approccio
conce uale e metodologico qui presentato e uno dei modelli più studia e u lizza : l’analisi di
se ore di Michael Porter.
L’approccio qui descri o varia in parte il conce o di se ore rispe o al modello a cinque forze di
Michael Porter. Da un lato estrapola da esso la Domanda e la concorrenza, mentre dall’altro vi
aggiunge un nuovo elemento, denominato “tendenze” o “trend”.
Lo studio di se ore viene quindi conce ualizzato sulla base di qua ro forze:
1. barriere all’entrata: i fa ori che determinano la presenza o meno di barriere all’entrata di nuovi
player nel mercato possono essere di varia natura
• il grado di accessibilità ai canali distribu vi
• l’importanza del valore di brand;
• le curve d’esperienza, ovvero quanto è complesso dotarsi delle skills e del know how necessari
a ges re il business
• le economie di scala, intese come la necessità di raggiungere volumi produ vi eleva per
sviluppare un’e cienza tale da rendere il proprio prodo o compe vo nel prezzo;
2. potere contra uale dei fornitori;
3. impa o delle disposizioni legisla ve;
4. tendenze: l’analisi delle tendenze prevede lo studio aggregato dei risulta delle
singole aziende in termini di volumi e valori di vendita

4.1 O erta
Per O erta intendiamo tu e le leve che cos tuiscono il sistema di vendita con il quale l’azienda
colloca il suo prodo o nel mercato. Il pensiero kotleriano raggruppa tu e le leve nelle famose 4P
del marke ng: prodo o, prezzo, distribuzione e comunicazione. Le 4P cos tuiscono il cosidde o
marke ng mix aziendale.
La comunicazione è forse la leva opera va più complessa perché deve essere sintesi del
posizionamento strategico e perno dell’intero marke ng mix. La comunicazione può essere ges ta
in modo e cace solo se vi è una chiara strategia e se il professionista di marke ng ha piena
padronanza di tu gli aspe di prodo o, prezzo e distribuzione.
Prodo o
Il conce o di sistema prodo o
Il prodo o è una variabile “anomala” del marke ng mix. Dal lato dell’azienda possiamo infa
analizzarlo in modo indipendente dalle altre tre leve, mentre ciò non è altre anto corre o se ci
poniamo dal lato della Domanda. La percezione che il consumatore ha del prodo o dipende in
modo forte e spesso inconsapevole anche dal suo prezzo, dalla sua distribuzione e dalla sua
comunicazione. Per questo si parla di “sistema prodo o”, a indicare come il prodo o – o per
meglio dire la sua percezione – sia una sintesi di più variabili tra loro interconnesse.
Possiamo poi allargare le esempli cazioni degli impa del conce o di “sistema prodo o”
guardando a tu i casi in cui il prezzo in uenza la percezione della qualità del prodo o, o a come
lo stesso e e o sia generato dalle scelte distribu ve: la distribuzione esclusiva di un vino concorre
alla costruzione di un immaginario di valore, un prodo o da banco acquistato in farmacia a va
un’idea diversa dello stesso iden co prodo o trovato sullo sca ale di un ipermercato.
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Archite ura della gamma prodo o
La gamma (o gamma prodo o) è l’insieme di tu i prodo di un’azienda che rientrano in una
speci ca categoria merceologica. Ad esempio BMW ha due gamme: auto e moto.
La gamma può essere organizzata in linee prodo o, ovvero insiemi di prodo che condividono tra
loro importan pun in comune. La gamma auto di BMW ha al suo interno la linea 1, 3, 4, 5, 6, 7, X
ed M.
Le linee hanno al proprio interno più prodo . La linea 3 di BMW ha sei prodo : Serie 3 Berlina,
Ac veHybrid 3, Serie 3 Touring, Serie 3 Gran turismo, Serie 3 Coupè, Serie 3 Cabrio.
Ciascun prodo o può avere delle versioni. La Serie 3 Gran Turismo presenta la versione 320i e la
318i.
Si parla di ampiezza di gamma per de nire il grado di eterogeneità dei prodo organizza in
molteplici gamme. Apple ad esempio ha una gamma ampia perché essa è cos tuita dalla gamma
degli iPhone, degli iPod, dei Mac e così via.
Si parla di “profondità” di gamma o di linea per de nire il grado di eterogeneità dei prodo in
un’unica linea o prodo o. Ad esempio Nokia ha una gamma profonda di telefoni cellulari e
smartphone.
Tipologie di prodo o
L’approccio strategico e il modello 3D-ing sono sviluppa per essere perfe amente e caci per
qualunque prodo o di qualsiasi azienda, operante in ogni se ore. Ciò non toglie che esistano
di erenze e speci cità che vanno conosciute e a rontate per poi essere analizzate e ges te
secondo i princìpi e gli strumen del
marke ng.
Sono assolutamente eviden l’ampiezza della variabilità e l’eterogeneità presen all’interno della
leva prodo o. In essa convivono il tappo di sughero e l’iPad, un servizio nanzio e una prestazione
medica.
Possiamo categorizzare un prodo o in base a cinque parametri, a loro volta de ni da più variabili.
1. Mo vazione prevalente all’acquisto
- prevalente contenuto prestazionale/ di servizio/ di immagine / emozionale
- prodo necessari/ volu uari

2. Singolarità o pluralità
- per uso individuale/colle vo
- acquisto personale/per conto terzi

3. Tipo di u lizzo
- des na al consumo o alla produzione (BtoC/BtoB)
- uso durevole/non durevole
- uso frequente/periodico/saltuario
- uso privato/professionale

4. Tipologia di acquisto
- acquisto frequente/periodico/saltuario/sporadico
- prezzo basso o irrilevante/prezzo non irrilevante/prezzo alto
- acquisto d’impulso/rou nario/acquisto come problema limitato/complesso Per problema
limitato si intende un processo di scelta e acquisto privo di sostanziale dissonanza,
espressione tecnica che indica lo stato di cri cità, pre e post acquisto.
5. Ruolo del prodo o nel business aziendale
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- Prodo sos tu vi/complementari/indipenden


In questo caso si fa riferimento al rapporto tra un prodo o e gli altri presen nella gamma
d’o erta. Se due prodo soddisfano lo stesso bisogno per lo stesso target essi sono tra loro
sos tu vi. Se due prodo non hanno alcuna relazione reciproca si de niscono
indipenden .
- U lizzatori di risorse/autosu cien /fornitori di risorse
In questo caso ci si riferisce al conto economico di prodo o e in par colare alla di erenza
tra i ricavi marginali (ricavi per singola unità venduta) e i cos marginali (cos per singola
unità prodo a). Se tale di erenza è posi va i prodo si de niscono fornitori di risorse, in
caso contrario u lizzatori di risorse. Nel caso in cui il saldo contabile sia pari a zero si parla
invece di prodo autosu cien .
- Prodo innova vi/tradizionali
Per de nire un con ne al conce o di innovazione possiamo qui intendere come innova vi
tu quei prodo che de niscono una evidente ro ura (disrup on) rispe o alle di use
tecnologie o categorie merceologiche.
- Prodo cardine/cive a/accessori/ta ci
• I prodo cardine sono quelli sui quali l’azienda costruisce buona parte dei propri ricavi
con buone marginalità.
• I prodo cive a hanno invece lo scopo di a rare l’a enzione da parte del pubblico
sull’azienda. Essi sono spesso prodo innova vi nella tecnologia o nel design,
di cilmente troveranno grande risalto nelle vendite ma sono molto u li nel breve
periodo in occasioni dove è importante la visibilità, ad esempio nelle ere di se ore.
• I prodo accessori sono così de ni perché pensa per essere funzionali, a supporto dei
prodo cardine. Essi hanno poi il compito di completare la gamma per o rire al
potenziale cliente una soluzione completa. Spesso i prodo accessori sono cara erizza
da un prezzo elevato rispe o al prezzo che avrebbero svincola dal processo d’acquisto
del prodo o cardine.
• I prodo ta ci rispondono invece a obie vi di breve-medio periodo e sono solitamente
la risposta ad azioni della concorrenza.

Analisi dei da di vendita


Un ampio tema che a erisce alla leva prodo o è l’analisi dei da di vendita.
Oltre che all’analisi del trend delle vendite di un prodo o esistono varie altre forme di
elaborazione in grado di res tuire al professionista di marke ng importan evidenze anali che.
Ciclo di vita del prodo o
Tale modello prende in esame il prodo o in modo singolare, slegato cioè dal resto della gamma.
Esso si stru ura in un piano cartesiano dove nell’asse delle ascisse è riportato l’orizzonte temporale
dalla nascita del prodo o a oggi, mentre l’asse delle ordinate è dedicato ai volumi di vendita.
Si è soli suddividere il ciclo di vita del prodo o in cinque diverse fasi:
• introduzione: il prodo o è immesso nel mercato;
• crescita: il prodo o comincia a essere acquistato a volumi crescen ;
• maturità: le vendite raggiungono i volumi apicali e una sostanziale stabilità nel
tempo;
• declino: le vendite decrescono;
• abbandono o rilancio: l’azienda decide se eliminare il prodo o dalla gamma o
rilanciarlo per riavviarne il ciclo di vita a raverso proge di restyling.

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Quelli che vengono considera prodo “evergreen” come Nutella e Coca-Cola hanno fasi di
maturità molto estese. I prodo che seguono logiche di po “moda” conoscono fasi di
introduzione e avvio repen ne, una fase di maturità pra camente assente e un altre anto rapido
declino. Ci sono poi prodo che mantengono lo stesso nome e lo stesso appeal da mol decenni
ma che, a di erenza degli evergreen, hanno a raversato molteplici fasi di rilancio: ne sono un
esempio Fiat 500 e Volkswagen Golf.
L’analisi del ciclo di vita di prodo o è u le per valutare importan aspe e prendere le
conseguen decisioni strategiche:
• ruolo del prodo o in gamma: il prodo o all’interno di una gamma deve variare al mutare
della fase del ciclo di vita in cui si trova. Le variabili “fase del ciclo di vita” e “ruolo nella
gamma” sono infa stre amente interconnesse: i prodo cive a seguono dinamiche
“moda” quindi hanno veloci fasi di introduzione e declino, i prodo cardine si stagliano
nella fase di maturità ed è obie vo dell’azienda che lì rimangano il più a lungo possibile.
• rilancio o abbandono? Questo è il quesito chiave che l’azienda si pone a riguardo dei
prodo in fase di declino. Solo un monitoraggio puntuale del ciclo di vita perme e
all’azienda di porsi il giusto quesito nel momento corre o. Più è ampio l’orizzonte temporale
dal quale il prodo o è in declino, maggiore sarà la di coltà di un suo eventuale rilancio. Il
rilancio può prevedere azioni solo sulla leva comunicazione per riportarlo nella zona “top of
mind” dei potenziali clien , oppure azioni su più leve: un restyling di prodo o e un nuovo
corrispondente posizionamento di prezzo, corre amente presenta e posiziona nella
distribuzione e supporta da adegua inves men in comunicazione.
Per una più evoluta analisi del ciclo di vita di prodo o si consiglia di prendere in esame due diverse
variabili nell’asse delle ordinate: il volume delle vendite e l’andamento della marginalità.
Matrice di Boston
La BCG Matrix, o Matrice di Boston, è un’analisi che, a di erenza del ciclo di vita di prodo o,
res tuisce una visione dell’intera gamma prodo o. Anch’essa si stru ura in un piano cartesiano.
Nell’asse delle ascisse troviamo la quota rela va di mercato, ovvero la percentuale di vendite che
ciascun prodo o ha in riferimento alle vendite della categoria merceologica di appartenenza
nell’intero mercato di riferimento. Immaginiamo un classico gra co a torta che mostra il peso di
ciascun player nelle vendite assegnando a esso una corrispondente “fe a”.
Nell’asse delle ordinate si riportano invece i valori rela vi ai trend di vendite nel mercato delle
categorie merceologiche dei diversi prodo in gamma. Se nell’asse delle ascisse si lavora con le
diverse “fe e” della torta, nelle ordinate si analizza se le “torte” s ano crescendo o meno.
Nell’asse delle ordinate il valore “0” coincide con un trend dei volumi invariato.
Il piano cartesiano così organizzato res tuisce qua ro quadran . I prodo della gamma, in base al
quadrante di appartenenza, assumono qua ro rela ve denominazioni:
• “Stars”: prodo con una quota rela va alta in un mercato che cresce. Sono i prodo che ogni
azienda vorrebbe avere in gamma;
• “Dilemma”: prodo con una quota rela va bassa in un mercato che cresce. Sono prodo sui
quali l’azienda deve ri e ere con a enzione per scegliere se e quanto è opportuno inves rvi con
l’obie vo di aumentare le proprie quote di mercato e garan rsi in tal modo delle nuove “stars”.
• “Dogs”: prodo con una quota rela va bassa in un mercato che si contrae. Sono prodo che dal
lato delle vendite – e con ogni probabilità anche delle marginalità danno ben pochi risulta
all’azienda e che hanno senso di essere mantenu in gamma solo se ricoprono il ruolo di prodo
cive a, accessori o ta ci;
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• “Cash cows”: prodo con una quota rela va alta in un mercato che decresce. Se il trend di
mercato è in essione costante l’azienda ha interesse a sfru are appieno e velocemente la sua
posizione di vantaggio no a quando la Domanda ha volumi ancora interessan .
Modello a 9 quadran
Abbiamo già visto a proposito del ciclo di vita del prodo o come sia interessante per l’azienda
prendere in esame contemporaneamente vendite e marginalità.
Il modello a 9 quadran è dedicato per l’appunto a quest’analisi incrociata.
Nell’asse delle ascisse del piano cartesiano sono riportate le marginalità dei prodo della gamma.
Il valore “0” coincide con il valore medio di gamma.
Nell’asse delle ordinate sono invece riporta i valori di vendita in termini di ricavi annui. Il valore
“0”, anche in questo caso, coincide con il valore medio di gamma.
Ciascun asse viene infa suddiviso in tre porzioni:
• dal valore medio diminuito del 33% al valore minimo;
• dal valore medio diminuito del 33% al valore medio aumentato del 33%;
• dal valore medio aumentato del 33% al valore massimo.
La percentuale del 33% consente la creazione di tre segmen di pari ampiezza. Tale percentuale
può essere variata in funzione di speci ci obie vi d’analisi da parte del professionista di marke ng.
Vediamo una breve descrizione e analisi dei nove quadran .
1. “Stars”: sono i prodo “fuoriclasse”: portano all’azienda valori top nelle vendite e nella
marginalità. L’azienda deve lavorare per mantenere alto il loro valore e per proteggerli dalla
concorrenza. Sono un patrimonio fondamentale dell’azienda;
2. “Racehorses”: le eralmente i cavalli da corsa, sono prodo che danno grande turnover con
marginalità nella media. L’azienda deve tentare di aumentare i propri prodo in questo
quadrante tentando di capire se alcuni tra di loro possono ambire a diventare “stars” con un
adeguato inves mento per diminuirne i cos e/o aumentarne il prezzo in modo tale da
elevarne la marginalità;
3. “Workhorses”: le eralmente i cavalli da fa ca, hanno alta rotazione con basse marginalità.
Sono importan per l’azienda per garan re volumi produ vi eleva , capaci a loro volta di
creare posi ve economie di scala a vantaggio della marginalità media;
4. “Good products”: hanno volumi nella media ma elevata marginalità. Anche in questo caso
l’azienda deve veri care se alcuni di essi possono ambire a diventare “stars” e se per alcuni di
essi sia più conveniente mantenere l’a uale posizione piu osto che rinunciare a qualche punto
di marginalità per aumentare le vendite e diventare quindi “racehorses”;
5. “Middle products”: presentano volumi e margini nella media. Sono la “pancia” dell’azienda, la
base stabile che la sos ene;
6. “Fat products”: sono prodo che, come so ende il nome, sono “appesan ”: generano
rotazione media ma con scarsi margini. L’azienda deve capire quali prodo possono transitare
nei più performan quadran limitro (3- workhorses e 5 – middle products);
7. “Niche products”: prodo di nicchia dall’alta marginalità. Possono essere prodo che
contribuiscono al meglio all’azienda in tale posizione o che potrebbero essere propos con
maggiore pressione commerciale per diventare “good products”;
8. “Middle-low products”: media marginalità e scarse vendite. L’azienda deve a entamente
valutare i cos di ges one di tali prodo nella gamma in o ca di possibili processi di
razionalizzazione;
9. “Cubby products”: prodo “da ripos glio”. Con le loro basse performance possono essere
mantenu in gamma solo se dimostrano la loro funzionalità al sistema a raverso il loro ruolo
nella gamma.
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Prezzo
ll prezzo è l’ammontare economico che il cliente paga a corresponsione dell’u lità che trae dal
possesso e/o dall’uso di un prodo o o servizio.
La leva prezzo si compone di due macro-variabili:
1. il posizionamento di prezzo;
2. le poli che commerciali
Il posizionamento di prezzo
De nire il posizionamento di prezzo dei prodo è una delle a vità più ar colate e complesse in
azienda.
La teoria economica ci insegna come il prezzo di equilibrio sia determinato dall’incrocio tra la
funzione dell’O erta e la funzione della Domanda.
Nella funzione dell’O erta il prezzo è dire amente proporzionale alla quan tà prodo a. Maggiore
è il prezzo di mercato e più numerosi saranno i potenziali o eren interessa . A un prezzo pari a
zero, come ovvio, nessun o erente è disponibile a entrare nel mercato. La curva dell’O erta ha
pertanto un orientamento crescente.
Il ragionamento opposto vale invece per la curva della Domanda. La quan tà è in questo caso da
intendersi come quan tà domandata dall’insieme dei potenziali acquiren . Essa è inversamente
proporzionale al prezzo: minore è il prezzo di un prodo o e maggiore sarà la disponibilità ad
acquistarlo.
Nell’economia reale è evidente a tu come non sia sempre vero che a prezzi crescen la quan tà
domandata decresca e viceversa. Questo avviene in par colar modo in due contes :
• prodo moda;
• merca cara erizza da imperfe a informazione nei quali i potenziali acquiren u lizzano il
prezzo come informazione sos tu va per desumere il livello qualita vo dei prodo .
Determinare il posizionamento di prezzo
Esistono tre diversi sistemi per lo studio del posizionamento di prezzo o male. Nella realtà
aziendale i tre approcci che di seguito sono descri sono sempre tra loro interconnessi e ciascuno
presenta limi propri.
1) Posizionamento di prezzo in funzione della concorrenza
Se l’azienda deve de nire il proprio posizionamento di prezzo in un mercato già popolato da
aziende e prodo concorren , non può prescindere dall’analisi dei posizionamen di prezzo altrui.
Se poi, come in ogni mercato, esistono prodo con livelli di qualità eterogenei, l’azienda deve
analizzare in modo incrociato i livelli di prezzo e di qualità dei concorren .
Ne deriva lo studio della funzione di prezzo a eso, ovvero della funzione che collega le variabili
qualità e prezzo in uno speci co mercato. Le due variabili sono tra loro dire amente proporzionali:
all’aumentare della qualità aumenta il prezzo.
L’azienda, una volta conosciuta la funzione di prezzo a esa propria del mercato nel quale intende
entrare con il suo prodo o, ha due possibili scelte:
1. posizionare il prezzo lungo la curva di prezzo a eso, possibilmente in concomitanza con un
livello di qualità e prezzo al momento libero da concorrenza;
2. posizionare il prezzo fuori dalla curva di prezzo a eso, o rendo a parità di prezzo una qualità
migliore dei concorren o, viceversa, garantendo la medesima qualità a un prezzo minore dei
concorren . Il posizionamento fuori dalla curva di prezzo a eso è quindi sempre da intendersi
come “so o la funzione di prezzo a eso”.
I limi del posizionamento di prezzo sulla base della concorrenza sono di due pi:
1. limi connessi all’assunto teorico di base dell’economia perfe a: nella realtà l’azienda ha
di coltà nello s mare in modo ogge vo sia la qualità dei prodo concorren , che risulta
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essere spesso sogge vamente determinata, sia, in taluni casi, i prezzi concorren per e e o
di speci che azioni di mascheramento del prezzo sulle quali daremo successivo
approfondimento.
2. limi connessi alla stabilità della curva di prezzo a eso: ogni azione di un sogge o o erente
in uenza la curva del prezzo a eso.
2) Posizionamento di prezzo in funzione dei cos
Il buon senso e alcuni elemen di conoscenza matema ca ed economica di base ci portano a
comprendere come, se un’azienda per produrre un prodo o ha avuto un certo po di costo, dovrà
proporlo nel mercato con un prezzo che lo compensi e che por un u le e una conseguente
marginalità posi va.
È naturale quindi pensare che la scelta del posizionamento di prezzo derivi innanzitu o dall’analisi
dei cos .
Ma è sempre così vero e semplice? Anche in questo caso la realtà aziendale ci dimostra il contrario.
La complessità deriva in par colar modo dalla stru ura dei cos . Esistono infa tre pologie di
costo che l’azienda deve analizzare e contabilizzare con a enzione anche per prendere le corre e
decisioni rela ve al posizionamento di prezzo:
1. cos variabili totali dire amente imputabili alla produzione (CVT): sono cos rela vi ad
esempio a materiali di lavorazione, salari, energia, che sono dire amente proporzionali in
modo lineare ai volumi di produzione;
2. cos ssi totali dire amente imputabili alla produzione (CFT): sono ad esempio i cos di
acquisto, avviamento e manutenzione degli impian produ vi.
3. cos indire totali (CIT): sono cos lega in par colare alla ges one del business, come ad
esempio gli inves men lega al marke ng e alla ricerca e sviluppo.

I cos aziendali totali (CT) sono quindi da dalla somma delle tre pologie di costo.
CT = CVT + CFT + CIT
I cos variabili totali dipendono dalla quan tà prodo a. Essi quindi si calcolano mol plicando i
cos variabili marginali (CVM) – cioè i cos variabili per ciascuna unità prodo a – per la quan tà
prodo a (Q).
Quindi anche i cos totali dipendono dalla quan tà prodo a. CT = CVM x Q + CFT + CIT
La quan tà prodo a dipende dalla quan tà venduta. Quest’ul ma, come abbiamo visto, dipende
dal prezzo (minore è il prezzo maggiore è la quan tà venduta).
Ne deriva quindi che i cos totali dipendono dal prezzo: abbiamo così dimostrato il paradosso. Ciò
è tanto più vero quanto maggiore è il peso dei cos variabili totali nella bilancia dei cos .
3) Posizionamento di prezzo in funzione della Domanda
In un teorico mercato senza concorren è possibile collocare il prezzo in base alla disponibilità
massima di spesa del cliente. Le aziende, per me ersi in questa situazione posi va, possono agire
su due leve:
1. la valorizzazione dell’u lità percepita agendo sul bisogno del cliente e sugli aspe valoriali del
brand e del prodo o;
2. la di erenziazione di prodo o per evitare forme di benchmark: l’azienda lavora per de nire e
marcare un proprio tra o di unicità rispe o ai concorren .

L’azienda quindi investe per creare le condizioni di assenza concorrenziale e di


alto bisogno o irrinunciabilità piche di merca monopolis ci come ad esempio i pedaggi
autostradali e i tabacchi.
L’elas cità della Domanda
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Il rapporto tra il prezzo e la quan tà domandata è lo speci co ogge o d’analisi dell’elas cità della
Domanda. Abbiamo già visto come le due variabili siano in linea teorica sempre inversamente
proporzionali. Ma in che misura? Quanto varieranno le vendite per e e o di una variazione di
prezzo?
Si de nisce l’elas cità della Domanda (Ҽ) come il rapporto tra la variazione della quan tà
domandata (ΔQ) e la variazione del prezzo che l’ha causata (ΔP).
Ҽ = ΔQ/ ΔP
La misura della variazione della quan tà domandata e della variazione del prezzo sono espresse in
forma percentuale posi va. In tal modo l’elas cità della Domanda ha sempre valori posi vi
compresi tra zero e in nito.
0 ≤ Ҽ < +∞
Se ad esempio assis amo a un aumento delle vendite pari al 10% per e e o di una diminuzione
del prezzo pari al 5%, possiamo stabilire che l’elas cità della Domanda di quel bene o servizio è
pari a:
Ҽ = 10/5=2
In base al valore della sua elas cità, la Domanda è classi cata in tre categorie:
1. Se l’elas cità è compresa tra zero e uno (0 ≤ Ҽ < 1) la Domanda è rigida: per e e o di
variazioni di prezzo la quan tà venduta varia in percentuale inferiore rispe o al prezzo. Ad
esempio, per e e o di un rialzo del prezzo pari al 5% le vendite diminuiscono “solo” del 2%.
Ҽ = 2/5 = 0,4
2. Se l’elas cità è pari a uno (Ҽ = 1) la Domanda è rea va: per e e o di variazioni di prezzo la
quan tà venduta varia in pari percentuale rispe o al prezzo. Ad esempio, per e e o di una
diminuzione del prezzo pari al 10% le vendite aumentano del 10%.
Ҽ = 10/10 = 1
3. Se l’elas cità è maggiore di uno (1 < Ҽ < +∞) la Domanda è elas ca: per e e o di variazioni
di prezzo la quan tà venduta varia in percentuale maggiore rispe o al prezzo. Ad esempio,
per e e o di un rialzo del prezzo pari al 10% le vendite diminuiscono del 15%.
Ҽ = 15/10 = 1,5
Ma quali sono i fa ori che incidono sull’elas cità della Domanda? Se ne possono individuare
fondamentalmente qua ro:
1. il livello di prezzo: maggiore è il livello di prezzo, maggiore è tendenzialmente l’elas cità.
2. il superamento delle soglie psicologiche: se la variazione di prezzo sposta il prezzo di un
prodo o sopra o so o una soglia che psicologicamente il consumatore ri ene rilevante, tale
variazione ha e e maggiori sulla quan tà venduta.
3. il grado di mo vazione o interesse: più il consumatore è mo vato all’acquisto e meno è
sensibile alla variabile prezzo.
4. la presenza concorrenziale: più alterna ve il consumatore ha e maggiore è la probabilità che, in
presenza di aumen del prezzo, egli decida di cambiare la propria scelta di consumo.
Strategie di prezzo: di erenziazione e discriminazione
Se i prodo in gamma sono ver calmente di erenzia , si parla di coeren poli che di
di erenziazione di prezzo: l’azienda colloca i prodo di qualità maggiore a prezzi maggiori e
viceversa.
Se i prodo in gamma sono invece orizzontalmente di erenzia , l’azienda può operare una
strategia di discriminazione di prezzo. L’azienda stabilisce i posizionamen di prezzo dei suoi
prodo secondo logiche ta che non sempre legate all’e e vo valore del prodo o. Tale strategia
nasce da due possibili obie vi:
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1. obie vo di presidio d’o erta o di sca ale: l’azienda intende sfru are appieno una tecnologia di
base per presentare al mercato molteplici prodo con diverse versioni per incontrare più gus
e preferenze possibili.
2. obie vo di di erenziazione del prezzo per target: l’azienda può avere evidenza che il suo
prodo o è acquistato da target diversi, ciascuno dei quali ha una propria e diversa disponibilità
di spesa.

Le poli che commerciali


Per poli che commerciali si intendono le speci che azioni – per lo più di breve e medio periodo –
sulla leva prezzo sviluppate al ne di o enere speci che e conseguen azioni da parte della
Domanda.
Il professionista di marke ng deve quindi ragionare in primo luogo sulla de nizione chiara degli
obie vi. Ne seguirà la piani cazione delle coeren poli che commerciali e in ne l’analisi della loro
e cacia e la conseguente riproposizione o revisione.
La distribuzione
La distribuzione è l’anello di congiunzione tra l’O erta e la Domanda. Essa si de nisce come
l’insieme di tu i nodi e i modi con i quali il prodo o arriva nella disponibilità della Domanda.
La distribuzione è da sempre una leva cri ca per l’azienda e per il marke ng poiché essa può
valorizzare l’azienda e la sua O erta, divenendo un asset chiave per il successo d’impresa, oppure
può depotenziare l’O erta depauperando il valore di brand e di prodo o o erodendo in modo
rilevante la marginalità dell’azienda.
Canali distribu vi
I canali distribu vi sono i percorsi sici e di proprietà che i prodo compiono per arrivare nella
disponibilità della Domanda, qui intesa come clientela nale.
Un’azienda può scegliere di ado are una strategia distribu va basata su:
• canale distribu vo dire o: l’azienda vende dire amente alla Domanda tramite la propria forza
vendita
• canale distribu vo indire o: l’azienda vende a raverso la mediazione o collaborazione di una o
più gure esterne all’azienda. In base al numero dei livelli di intermediazione tra l’O erta e la
Domanda il canale distribu vo si de nisce essere:
- corto o breve: l’azienda si avvale di una o poche gure di intermediazione.
- lungo: l’azienda si avvale di molteplici gure di intermediazione.
Le gure di intermediazione possono essere di due pi:
1. commercian : acquisiscono la proprietà del prodo o. Il grossista e il negoziante, ad esempio,
al momento del pagamento della fa ura, diventano i legi mi proprietari del prodo o e lo
commercializzano secondo i loro obie vi e le loro strategie, fa salvi accordi speci ci con
l’azienda produ rice del bene;
2. intermediari: negoziano il prodo o per nome e per conto dell’O erta senza acquisirne la
proprietà. Ci amo ad esempio i mediatori immobiliari, gli informatori medici del farmaco, gli
agen di vendita. Ques ul mi possono essere mono o pluri mandatari: possono cioè prestare
la loro opera per una singola azienda o per un insieme di aziende (auspicabilmente tra loro non
in dire a concorrenza).
Gli intermediari possono svolgere funzioni diverse nello sviluppo strategico del business, in
par colare con riferimento a due variabili:
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1. il grado di esclusività della fornitura: da valutare quindi se l’azienda distribuisce in modo


selezionato a raverso pochi intermediari oppure in modo intensivo a raverso un insieme
ampio e poco selezionato di intermediari;
2. il contributo dell’intermediario alla creazione di valore per la Domanda: che ruolo gioca
l’intermediario nel processo di scelta e acquisto da parte dei clien ? Abbiamo
precedentemente visto un esempio di opposta polarizzazione di questa variabile nel se ore
arredo.

In base alle due variabili sopra citate possiamo individuare qua ro diversi possibili ruoli degli
intermediari:
1. intermediari come partner strategici: l’azienda seleziona con a enzione pochi intermediari
ai quali è assegnato un ruolo chiave nella vendita del prodo o.
2. intermediari come partner di servizio: l’azienda seleziona con a enzione pochi intermediari.
Il ruolo chiave nel processo di vendita è in mano all’azienda che a da agli intermediari il
compito di assistere la Domanda negli aspe formali o di assistenza.
3. intermediari come risorsa di valore: l’azienda distribuisce il proprio prodo o in modo esteso
a intermediari in grado di svolgere un importante ruolo nella dinamica di vendita.

4. intermediari come semplici tramite di vendita: l’azienda distribuisce in modo esteso il


prodo o e svolge il ruolo chiave nella costruzione del valore di vendita.
Il trade marke ng
Per trade marke ng si intende l’insieme delle relazioni tra l’azienda e i suoi intermediari.
Sono tre le leve opera ve di trade marke ng:
1. le condizioni di vendita: l’azienda concorda a livello contra uale scon s che base, tempi e
modalità di pagamento
2. gli incen vi alla vendita: sono le poli che commerciali messe in a o dall’azienda verso i propri
intermediari.
3. gli elemen di servizio: l’azienda supporta l’a vità dei suoi intermediari con servizi come la
formazione, strumen di comunicazione pensa per il punto vendita, dimostrazioni,
degustazioni nel punto vendita, corner dedica , indicazioni per la disposizione delle merci
Come scegliere un canale di vendita?
All’inizio del paragrafo abbiamo de nito la distribuzione come una variabile cri ca. Tramite essa il
potenziale dell’O erta deve arrivare integro o ancor meglio potenziato alla Domanda.
Scegliere il canale distribu vo è quindi un fa ore chiave per la compe vità dell’azienda.
Quali sono allora i fa ori di cui tener conto nella scelta di un canale distribu vo? L’azienda deve
tenere conto di molteplici aspe :
1. fa ori endogeni (dipenden dall’azienda)
- strategia di business: quali sono gli obie vi dell’azienda? Quale il suo posizionamento?
Un’azienda che intende proporsi come esclusiva, d’élite si porrà nei confron della
distribuzione in modo decisamente diverso da un’azienda che invece ha nel suo dna quello di
essere democra ca e vicina al cliente. Dalla strategia marke ng possono derivare tre macro
strategie distribu ve:
• strategia distribu va intensiva: l’azienda lavora per rendere il proprio prodo o il più
disponibile possibile alla Domanda;
• strategia esclusiva: l’azienda distribuisce il proprio prodo o a raverso un numero molto
ristre o di intermediari molto specializza ;
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• strategia sele va: l’azienda distribuisce il proprio prodo o a raverso un numero


contenuto di intermediari seleziona a raverso alcuni parametri
- risorse umane e nanziarie: quali sono i pun di forza e gli eventuali limi delle risorse
aziendali? Se l’azienda ad esempio ha un’ampia forza vendita, potrà a darsi a un numero
inferiore di intermediari e viceversa.
2. fa ori esogeni
- natura del prodo o: grado di deperibilità, dimensioni, morfologia, valore unitario sono tu e
variabili proprie della leva prodo o che in uenzano in modo deciso la scelta distribu va.
- clientela: numerosità, ubicazione, abitudini d’acquisto. Quan clien deve raggiungere il
prodo o? Dove? Ogni quanto?
- concorrenza: quali sono le sue strategie distribu ve? Quali i suoi presidi di territorio e le
eventuali aree scoperte?
- norme legisla ve: alcuni se ori sono fortemente norma anche negli aspe distribu vi,
pensiamo ad esempio al se ore farmaceu co;
- stru ure distribu ve esisten : l’azienda deve ovviamente operare la propria scelta all’interno di
un range di possibilità esisten .

Forme distribu ve contemporanee


Di certo la più grande rivoluzione distribu va avvenuta nell’ul mo decennio è l’e-commerce.
L’e-commerce è un possibile strumento proprio della leva distribu va all’interno del marke ng mix
aziendale. Marke ng mix che deve essere concepito e ges to secondo l’orientamento strategico.
Ogni azienda si è posta almeno una volta la domanda «potrei anch’io vendere online?». Il quesito
ha acquistato un interesse via via crescente anche per e e o dell’acuirsi delle cri cità legate ai
manca pagamen (insolu ) e alla difesa della marginalità.
Il con i o O erta-distribuzione: l’invasione di campo
Le aziende, oltre alla difesa della marginalità, necessitano oggi sempre più di costruire al meglio i
loro brand come “mondi possibili”. Il luogo in cui il consumatore entra in conta o con il prodo o è
un fa ore in uente nella sua esperienza d’acquisto. I brand hanno quindi avviato proge di retail
mono marca in cui me ere in scena in modo sico il proprio mondo possibile. Essi, pertanto,
prendono anche il nome di concept store. Si parla, in questo contesto, di marke ng esperienziale,
ovvero di un marke ng che condensa tu gli elemen del marke ng mix in un luogo – il punto
vendita – al ne di creare l’esperienza d’acquisto migliore possibile per il cliente.
Il medesimo approccio di marke ng esperienziale è stato fa o proprio anche dai sogge
distribu vi che hanno voluto evolvere il proprio ruolo da semplici super ci di vendita a luoghi di
intra enimento e di creazione di valore.
Un’applicazione dello schema di analisi in o ca di costruzione semio ca è presentata al capitolo
11 dedicato al caso studio Liv’in De’ Longhi Store.
1. Edi cio
- Ubicazione: il punto vendita può essere ad esempio ubicato in pieno centro ci à o all’interno
di una zona commerciale piu osto che nell’immediata periferia.
- S le archite onico: l’edi cio può avere un design moderno, pensiamo agli Apple Store
2. Soglia
- Vetrina: può svolgere diversi ruoli: a rarre l’a enzione dei passan , comunicare promozioni
pensate in o ca cive a, essere “locus informa vo” (pensiamo ad alcune agenzie immobiliari)
o “locus entertainment” (pensiamo ad alcuni pun vendita di ele ronica di consumo).
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- Modalità di ingresso: può essere presente una grande porta scorrevole sempre aperta o con
apertura comandata da fotocellula, oppure una piccola porta, anch’essa aperta o chiusa. È
scien camente provato che una porta aperta incen va il cliente a entrare e quindi favorisce
acquis /vendite di impulso.
3. Percorso di fruizione
- Indo o: l’azienda può decidere di far percorrere al cliente il suo mondo possibile a raverso
un preciso e non modi cabile i nerario. Ne sono un esempio lampante Autogrill e Ikea.
- Non indo o: una volta entrato nel punto vendita il cliente è libero di andare in ogni direzione
e di crearsi un suo percorso di visita in base alle sue esigenze e preferenze.
4. Disponibilità della merce
- Intensiva: il cliente si trova di fronte a un grande insieme di prodo , tra loro vari e ripetu .
- Selezionata: solo una parte della merce è visivamente esposta.
- Fruibile: il cliente può avere un conta o ta le e non solo visivo con la merce senza
l’intermediazione del personale di vendita.
- Non fruibile: il personale di vendita è il tramite obbligato per il conta o ta le del cliente con
il prodo o. Le gioiellerie ne sono un esempio.
5. Strumen di comunicazione
- Corporate: l’azienda a erma la propria immagine di brand a raverso strumen cartacei e/o
audiovisivi.
- Di prodo o: dove il prodo o cela alla vista alcuni elemen di valore importan non può essere
solo la targhe a prezzo ad accompagnarne l’esposizione. Anche in questo caso gli strumen
u lizzabili sono di diversa natura.
6. Zone di accoglienza e dialogo: esse sono presen e valorizzate nei casi in cui l’interazione con il
personale di vendita è importante e può protrarsi a lungo oltre che nelle situazioni in cui si vuol
costruire un’esperienza d’acquisto cortese e accomodante.
7. Elemen di servizio: il punto vendita può o rire degustazioni, liste nozze, musica dal vivo e tu o
quello che la fantasia del professionista può trovare coerente alla strategia marke ng.
8. Gadgets, bags: al termine dell’esperienza d’acquisto il punto vendita è solito dare un piccolo
omaggio a ricordo e rinforzo dell’esperienza d’acquisto e a tes monianza di essa verso altri: il
cliente che u lizza una borsa con il logo di un punto vendita ne diventa il migliore dei tes monial.
I temporary store sono invece pun vendita pensa per vivere nello spazio di pochi mesi. Possono
essere realizza nelle ci à così come negli stessi FOC per perseguire tre obie vi tra loro molto
diversi:
1. valorizzazione di brand e/o lancio prodo o: il temporary store è in questo caso concepito
come un “evento allargato”. Mira a creare grande visibilità e alta risonanza, con l’opportunità di
lavorare non solo sulla leva di comunicazione (come è pico degli even ) ma anche su quella di
prodo o;
2. supportare le vendite stagionali: mol brand con prodo dall’alta stagionalità u lizzano i
temporay store per massimizzare i propri sforzi nel momento di massima richiesta della
Domanda.
3. lo sviluppo di poli che commerciali intensive: se un punto vendita o un’azienda vogliono
promuovere occasioni come lo “svuota tu o”, ad esempio per prodo par colarmente data
o di prossima scadenza, possono decidere di u lizzare dei temporary store anche per non
contaminare l’immagine di brand e l’esperienza d’acquisto che eventualmente hanno costruito
in opportuni concept store.
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I temporary store stanno trovando sempre più spazio in ci à anche per e e o


della crisi: super ci di vendita vengono a ate anche per brevi periodi pur di poter valorizzare il
capitale immobiliare.
4.2 La concorrenza
L’analisi della concorrenza ricalca di pari passo quella dell’O erta.
Il professionista di marke ng ha l’obie vo di sviluppare e tenere costantemente monitorata
l’analisi della concorrenza a raverso forme di benchmark su ogni leva opera va:
• benchmark di prodo o, per evidenziare le di erenze tra il sistema prodo o aziendale e quello
dei concorren : diversi a ribu e diversi bene t ogge vi (performance) che poi si traducono in
diverse promesse sostenibili (bene t sogge vi e valori);
• benchmark di prezzo, sia sul posizionamento di prezzo sia sulle poli che com- merciali;
• benchmark distribu vo sulle diverse scelte distribu ve, le diverse penetrazioni nei merca , i
diversi presidi territoriali;
• benchmark di comunicazione per far emergere le di eren soluzioni comunica ve intraprese tra
l’azienda (O erta) e la concorrenza, sia in termini di messaggi che di mezzi e target.
I benchmark sulla concorrenza portano alla realizzazione di tabelle e/o gra ci di riferimento per la
cui ideazione il professionista di marke ng si muove con la massima libertà e crea vità, al ne di
individuare contenu di confronto capaci di generare valore anali co in o ca strategica. Per
quanto riguarda il benchmark di prodo o, sono molto u lizzate tabelle di comparazione sullo s le
di quella qui esempli cata.
Nel caso di prodo tra loro perfe amente confrontabili, il benchmark sul posizionamento di
prezzo si traduce in un semplice asse (prezzo) in cui i diversi player trovano posizione. In caso di
prodo tra loro diversi è necessario lavorare almeno a livello bidimensionale.
Per il benchmark distribu vo possiamo lavorare ad esempio con gra ci a torta per area geogra ca
o Paese, evidenziando così le quote di mercato dei diversi player; oppure per concorrente,
rappresentando quindi nel gra co a torta il peso commerciale di ogni area/Paese nell’economia dei
diversi sogge analizza .
Per il benchmark di comunicazione possiamo u lizzare il diagramma di Vaughn o le mappe
perce ve.
Sul tema della concorrenza è in ne importante focalizzarne la dis nzione in due categorie:
1. concorrenza di prodo o: dato il prodo o e il bisogno soddisfa o dell’azienda, si considerano
concorren di prodo o tu e le aziende che rispondono al medesimo bisogno con lo stesso
prodo o (inteso come pologia di prodo o).
2. concorrenza di bisogno: dato il prodo o e il bisogno soddisfa o dell’azienda, si considerano
concorren di bisogno tu e le aziende che rispondono al medesimo bisogno con un diverso
prodo o (inteso come pologia di prodo o).
Il professionista di marke ng deve tenere sempre lo sguardo aperto sulle due categorie di
concorrenza, con par colare a enzione alla concorrenza di bisogno, spesso poco monitorata: lì si
insinuano potenziali rischi e si celano interessan opportunità.
4.3 La Domanda
Il professionista di marke ng deve essere colle ore e a vatore di informazioni organizzate sulla
Domanda a par re da proge di indagine mira a speci ci scopi e organizza secondo precise
modalità.
La Domanda è un sogge o molto eterogeneo al suo interno.
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Il professionista di marke ng ha tra i suoi principali obie vi quello di agire in modo posi vo e
deciso sulla Domanda per s molarne adeguate risposte in linea con gli obie vi di business
dell’azienda. È quindi fondamentale conoscere in modo approfondito la Domanda cogliendo tu e
le di erenze di cui essa è ricca, per piani care le azioni più opportune su tu i diversi piani
individua .
Innanzitu o è centrale dis nguere tra:
1. Clien o consumatori: in tu o il capitolo ques due termini sono usa volutamente come
sinonimi.
2. Decisori d’acquisto: sono tu i sogge che decidono quale bene o servizio acquistare per sé o
per altri. I decisori d’acquisto possono quindi coincidere o meno con i clien /consumatori.
3. In uenzatori: sono tu i sogge che, per le loro competenze riconosciute, consigliano in modo
autorevole altri sogge in merito all’acquisto di un bene o servizio.
Collegandosi al tema della distribuzione, un’altra dis nzione fondamentale è quella tra:
1. sell-out: è la vendita di un prodo o al cliente nale;
2. sell-in: è la vendita di un prodo o a una gura di intermediazione.
Un’altra dis nzione di cui tener conto è quella tra Domanda a uale e Domanda potenziale.
1. La Domanda a uale dell’azienda si compone di tre categorie di clien :
- Fedeli: in una speci ca categoria merceologica acquistano sempre il prodo o
dell’azienda;
- Ballerini: in una speci ca categoria merceologica acquistano prevalentemente il prodo o
dell’azienda anche se talvolta acquistano anche prodo concorren ;
- Ballerini della concorrenza: in una speci ca categoria merceologica acquistano
prevalentemente il prodo o della concorrenza anche se talvolta acquistano anche prodo
dell’azienda.

2. La Domanda potenziale dell’azienda comprende:


- Ballerini della concorrenza: questa categoria di clien risulta condivisa con la Domanda
a uale. Se da un lato infa essi talvolta acquistano prodo dell’azienda, è altre anto vero
che il cara ere saltuario con il quale ciò avviene cos tuisce un potenziale sviluppo
commerciale;
- Non clien : possono essere non clien dell’azienda – in questo caso in una speci ca
categoria merceologica non acquistano mai il prodo o dell’azienda – oppure non clien
dell’intera categoria.

I consumatori fedeli sono un vero patrimonio per l’azienda e come tale vanno salvaguarda ,
valorizza e difesi. In questo senso possono essere coeren poli che commerciali premian nei
loro confron .
I consumatori ballerini vanno aggancia in modo più marcato con l’obie vo di farli diventare
consumatori fedeli.
Sui non clien è necessario fare un’analisi molto accurata. Esistono infa non clien che
resteranno tali perché troppo distan dal bisogno soddisfa o e dal target aziendale. Esistono
invece non clien che rapidamente possono cambiare le loro scelte d’acquisto se l’azienda sa
cogliere tale opportunità.
La classi cazione clien
Essa mira a suddividere un insieme ar colato di clien – parliamo nella quasi totalità dei casi di
contes BtoC – in tre o qua ro fasce a seconda di parametri interessan per l’azienda e
ogge vamente misurabili.
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1. La prima a vità da compiere è l’iden cazione delle variabili signi ca ve per l’azienda
2. L’azienda, sulla base della variabilità dei da della propria popolazione di clien , individua
per ciascun parametro due o tre fasce di valutazione.
3. L’azienda classi ca i clien sulla base delle loro performance nei tre indicatori. Le percentuali
di importanza precedentemente a ribuite vengono conver te in fa ori mol plica vi
4. L’azienda individua le opportune poli che per ciascuna fascia. In primo luogo l’azienda
diversi ca le condizioni di pagamento e le poli che commerciali in base alla classe
d’appartenenza.
I requisi perché tale sistema di classi cazione clien sia e cace sono quindi:
1. una corre a e trasparente informazione: tu i clien debbono essere a conoscenza delle
regole di collaborazione stabilite dall’azienda;

2. la misurabilità delle performance: la classi cazione, le poli che di erenziate e le transizioni


dei clien tra una fascia e l’altra sono governate da da e processi precisi e inconfutabili;

3. la fermezza e la mo vazione aziendale: tu e le persone coinvolte nel sistema di vendita


devono essere consapevoli che la classi cazione clien nasce per perseguire un ideale di
corre ezza professionale nell’equilibrio tra do ut des e di garanzia del miglior servizio: se
l’azienda ha mol clien non può garan re un servizio eccellente a tu se non a cos molto
eleva .

L’analisi dei bisogni


Il conce o di bisogno è centrale in tu o il pensiero di marke ng.
La Domanda acquista perché mossa da un bisogno, l’azienda e la concorrenza
vendono perché i loro prodo sono soluzioni a bisogni.
I bisogni che la Domanda manifesta possono essere di vari pi:
1. bisogni percepi : la Domanda ha chiara coscienza del proprio bisogno. Sono stanco, penso che
ho voglia di uscire a cena con mia moglie, sento la necessità di tenermi in forma: ques sono
bisogni percepi ;
2. bisogni laten : la Domanda ha bisogni di cui non è al momento pienamente cosciente ma che
possono essere a va da uno s molo esterno: incrocio una persona che mangia un gelato e
improvvisamente lo desidero anche io, vedo uno spot televisivo e nasce un interesse nuovo
verso un prodo o.
I bisogni possono poi essere classi ca in:
1. bisogni generici;
2. bisogni speci ci.
I bisogni generici sono quelli che accomunano tu gli uomini nel tempo e
nello spazio. Essi sono sta studia e classi ca dal celebre psicologo statunitense Abraham
Maslow in una stru ura piramidale a cinque livelli:
1. bisogno di sussistenza, collegato alla sopravvivenza siologica dell’individuo: mangiare, bere,
dormire;
2. bisogno di sicurezza, del non vedere cioè minacciata la propria incolumità;
3. bisogno di socialità: sappiamo che l’uomo è de nito “animale sociale” ed ha pertanto bisogno
di essere parte di una o più comunità;
4. bisogno di riconoscimento sociale: nelle comunità in cui è inserito l’uomo ha bisogno di sen rsi
riconosciuto, di essere importante per qualcuno e per qualcosa, di avere un ruolo;

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5. bisogno di autorealizzazione, di dare quindi piena espressione dei propri talen , dei propri
desideri per raggiungere i propri obie vi.
Perché Maslow ha collocato le cinque categorie dei bisogni generici in piramide?
La risposta è nella relazione che le lega. La teoria dell’autore è, infa , che una categoria di bisogno
non può essere soddisfa a se non sono sta precedentemente soddisfa i livelli inferiori.
Le persone mantengono traccia indelebile nel loro inconscio del piacere raggiunto dalla
soddisfazione di una categoria di bisogno generico. Nei periodi di crisi ciò causa frustrazione
perché tale impronta mnemonica funge da costante termine di paragone con una realtà
peggiorata.
I bisogni speci ci sono invece condiziona dalle variabili spazio e tempo. Essi rappresentano i
bisogni precisi che le persone avvertono e che si possono ricondurre a una delle cinque categorie
dei bisogni generici.
Il marke ng non può creare nuovi bisogni generici poiché essi sono connatura nella dimensione
umana.
In merito ai bisogni, le azioni di marke ng possono invece:
1. creare e alimentare nuovi bisogni speci ci collega ai propri prodo .
2. aumentare il grado di percezione di un bisogno, generico o speci co, coerente con il proprio
prodo o.
3. diminuire il grado di percezione di un bisogno, generico o speci co, marcato da un
concorrente.
4. agire sulle priorità, ovvero sul ranking dei bisogni che ciascuna persona ha.
Segmentazione e target della Domanda
Le fasce (o per meglio dire i segmen ) di mercato sono oggi concepi secondo una visione
bidimensionale rappresentabile su un piano cartesiano. Nell’asse delle ascisse sono riporta i
diversi bisogni soddisfa da una categoria prodo o. Nelle ordinate è riportato il prezzo dei
prodo , inteso come corrispe vo economico che egli paga per l’u lità ricevuta.
La misura dell’u lità
Abbiamo poco fa u lizzato l’indicatore “u lità” come unità di misura della soddisfazione e del
piacere che il cliente o ene dall’acquisto di un prodo o.
Molto spesso al posto di tale indicatore è u lizzato in modo improprio il conce o di qualità.
La qualità è la capacità di un prodo o di rispondere a un bisogno. In questo senso si dis ngue
ne amente dal conce o di eccellenza che prevede una valutazione del prodo o su base di
parametri ogge vi e non sogge vamente determina .
L’u lità del cliente è data dalla somma delle u lità che egli trae da ciascuna variabile signi ca va.
Le singole u lità sono date dalle valutazioni delle soddisfazioni mol plicate per il loro grado di
importanza o signi ca vità.
U lità (U) = ∑ (Valutazioni signi ca vità singole variabili x Valutazione soddisfazione singole
variabili)
Il grado di importanza o signi ca vità di ciascuna variabile è dato dal prodo o tra il valore
a ribuito alla variabile stessa e quello assegnato alla macro variabile di appartenenza. Si parla in
questo caso, quindi, di signi ca vità ponderata.
Signi ca vità ponderata = (valutazione signi ca vità della variabile) x (valutazione signi ca vità
macro variabile di appartenenza).
L’analisi del vantaggio compe vo
Dall’analisi incrociata della signi ca vità per il cliente e della valutazione d’azienda il professionista
di marke ng può determinare anche un altro elemento fondamentale nella costruzione di una
visione chiara e ni da del territorio compe vo: il vantaggio compe vo.
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Se l’u lità è uno studio che a erisce completamente alla Domanda, l’analisi del vantaggio
compe vo crea invece connessione e sinergia tra due sogge del territorio compe vo:
Domanda e O erta.
Ogni azienda lavora su diversi aspe e a raverso molteplici leve per competere nel mercato,
conquistare nuovi clien , vincere le proprie s de.
È però empiricamente dimostrato che il mercato, inteso come insieme della Domanda a uale e
potenziale, riconosce ogni azienda per un insieme limitato ma per lui fondamentale di
cara eris che.
L’analisi del vantaggio compe vo assume valore sopra u o in o ca di valutazione della bilancia
d’inves mento aziendale: ogni azienda ha interesse a inves re di più nelle variabili più importan
per la vendita, meno nelle altre.

Capitolo 5 - Le cinque vie strategiche


Esistono cinque macro vie strategiche che l’azienda può percorrere per trovare la propria
collocazione ideale nel mercato:
1. strategia di leadership di prodo o;
2. strategia di leadership di prezzo;
3. strategia di marcatura di segmento;
4. strategia di following;
5. strategia Oceano Blu.
5.1 Strategia di leadership di prodo o
L’azienda mira a entrare al primo posto nella top of mind dei clien , ad acquisire la quota di
mercato di maggioranza, a essere percepita come il sogge o più autorevole del se ore. È una
scelta forte per pochi.
L’azienda pone il punto di leva al centro della categoria. Tale a ermazione signi ca che il punto di
leva coincide con una variabile centrale nella valutazione dell’intera categoria prodo o.
5.2 Strategia di leadership di prezzo
Se nella strategia di leadership di prodo o il punto di leva è collocato su una variabile al centro
della categoria – variabile che assume signi ca diversi a seconda dello speci co se ore
d’appartenenza – nel caso di questa via strategica il punto di leva è collocato sempre e comunque
sulla variabile prezzo.
La strategia di leadership di prezzo, invece, può essere di grande e cacia. Così come può esistere
un solo vero leader di mercato, anche in questo caso esiste un solo posto u le: chi lo occupa ha il
merito di aver compiuto una scelta ne a e forte, contribuendo a de nire in modo chiaro promessa
e target.
La strategia di leadership di prezzo è spesso usata nell’ambito della creazione di un secondo brand,
spin-o del marchio principale dell’azienda. In questo modo l’azienda si garan sce i vantaggi di una
posizione signi ca va preservando il valore aggiunto del marchio principale.
5.3 Strategia di marcatura di segmento
Immaginiamo la leadership di prodo o come la conquista e il presidio di un grande territorio, una
nazione o un impero. Il leader, possiamo dire, “regna” nella capitale, ponendo il punto di leva nella
variabile al centro della categoria. Nessun altro può occupare il centro della categoria, se non
scalzando il leader. Gli altri sogge possono ambire alla leadership in un territorio più contenuto e
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speci co, facendo leva su una variabile ai margini della categoria. Nella metafora, possono ambire
a diventare feudatari. È questo il caso della strategia di marcatura (o leadership) di segmento.
5.4 Strategia di following
Esiste un solo leader che “regna” nella capitale ponendo il punto di leva al centro della categoria.
Chi vuole occupare quello stesso territorio deve scalzare il leader, a rontandolo. La strategia di
following non si applica all’inseguimento solo di un leader, ma di qualsiasi azienda concorrente.
Un’azienda ado a una strategia di following quando pone il suo punto di leva, il suo fa ore
compe vo, sullo stesso elemento di un concorrente di riferimento allo scopo di imitarne la
strategia e l’approccio opera vo.
Il follower può avere due obie vi:
1. superare il leader per diventarlo egli stesso;
2. restare un follower
Esempi pag 173
5.5 La strategia Oceano Blu
Aspe fonda vi del modello Oceano Blu
La strategia Oceano Blu prevede di porre il focus della compe zione in un’altra categoria.
Gli autori u lizzano la metafora dell’oceano per descrivere il territorio compe vo: le aziende
hanno l’opportunità di abbandonare gli oceani nei quali sono solite competere, cara erizza da un
alto tasso concorrenziale e una Domanda limitata, per approdare in un nuovo oceano
incontaminato e carico di pesce. Dall’oceano rosso – simbolo del sangue prodo o dall’aspra
compe zione – all’oceano blu.
Il primo step di analisi prevede di individuare le variabili chiave sulle quali si fonda la compe zione
tra le aziende concorren , così come la percezione dei clien . Le variabili iden cate vengono
riportate sull’asse delle ascisse di un piano cartesiano. L’asse delle ordinate è invece rappresentato
da una scala di valori da 0 a 5, dove lo zero indica un valore assente e cinque il valore massimo. Il
gra co che ne deriva prende il nome di quadro strategico.
Il secondo step prevede una valutazione, nella scala da 0 a 5, delle variabili riportate nelle ascisse,
rispe o sia alla propria azienda sia ai concorren .
Una volta terminata questa fase di analisi, l’azienda è chiamata a concentrarsi su uno speci co
studio della Domanda.
Quando questo avviene, nel migliore dei casi l’analisi ha per ogge o i consumatori fedeli e
ballerini.
L’obie vo strategico è infa quello di modi care la propria curva del valore in modo da segnare
una di erenza ne a rispe o ai concorren , che nel modello in esame prende il nome di
divergenza. L’azienda, sulla base dell’analisi e e uata, può modi care la propria curva del valore
a raverso un insieme di qua ro azioni che prende il nome di framework delle qua ro azioni:
• aumentare;
• diminuire;
• creare;
• eliminare.
Il modello insegna poi che l’azienda deve fare par colarmente enfasi su una variabile sulla quale
porre il suo focus. Tale variabile sarà caposaldo e pietra angolare del nuovo posizionamento
dell’azienda nel suo oceano blu. Il nuovo posizionamento sarà sinte zzato da una tag line
avvincente, ovvero da una formula di sintesi capace di riassumere in poche parole tu o il valore
della nuova strategia aziendale.
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5.6 Integrazione dei modelli Oceano Blu e 3D-ing


Oceano Blu e 3D-ing non solo potevano convivere, ma sembravano fa l’uno per l’altro.
1. 3D-ing ha la forza di rappresentare in forma organizzata e precisa le risultanze di analisi
complesse e ar colate. Oceano Blu non mostra come il lavoro di analisi possa preparare il
terreno in modo ada o all’ideazione strategica.

2. 3D-ing non fornisce una visualizzazione chiara dell’impianto strategico, mentre il quadro
strategico è un o mo strumento di presentazione e condivisione.

3. Oceano Blu è molto e cace nella capacità di far comprendere le necessarie azioni
sull’O erta per divergere dalla concorrenza; esso però nel quadro strategico non mostra le
risultanze dell’analisi della Domanda: quanto sono signi ca ve le diverse variabili riportate
nell’asse delle ascisse? E come sono state
selezionate? A par re da quale insieme?

4. Nel quadro strategico convivono variabili tra loro molto diverse, da aspe
molto tangibili del prodo o no a en tà valoriali.
3D-ing conne e invece le risultanze dell’analisi dell’O erta, della Domanda e della
concorrenza ponendo il confronto su livelli seman ci tra loro avvicinabili, grazie all’u lizzo
della laddering analysis e della sua suddivisione nei qua ro livelli (a ribu , bene t ogge vi,
bene t sogge vi e valori).

5. 3D-ing non consente la visualizzazione degli indici di performance dell’azienda e della


concorrenza sulle diverse variabili della laddering analysis, mentre Oceano Blu è
par colarmente funzionale in questo a raverso il quadro strategico e le curve del valore.

Non si tra a qui di unire due approcci di lavoro sulla base dell’idea platoniana delle due mezze
mele. Ciascun modello è in sé nito ed e cace ma non per questo chiuso. I due modelli possono
diventare una splendida unità senza che nessuno dei due perda la sua splendida singolarità.

Capitolo 6 - Produci ciò che puoi vendere: la laddering analysis per l’R&D
6.1 La cultura marke ng per l’R&D
Anche l’R&D è prima di tu o una forma men s. È l’intera organizzazione che deve essere
proie ata quo dianamente in un processo evolu vo: ges re il presente con l’intento e la
mo vazione a espanderlo, estenderlo, a farlo crescere ed evolvere: dall’operatore del centralino
all’amministratore delegato.
L’R&D è patrimonio organizza vo, non proprietà privata dell’imprenditore visionario né
dell’ingegnere appassionato.
Suggerisco tre pun fermi sui quali innestare una fer le cultura aziendale per sviluppare un R&D
marke ng oriented:
1. sapersi porrre in ascolto;
2. saper lavorare in team;
3. superare il conce o di innovazione.
Punto primo: sapersi porre in ascolto
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Tu e le aziende sono abituate a monitorare la concorrenza. In forma stru urata o meno, questo
sguardo all’esterno è quanto meno imposto da logiche commerciali: ogni area manager o gura
simile si trova nella maggioranza dei casi a dover promuovere la propria o erta rispe o alle
soluzioni alterna ve in mano al cliente.
Oltre alla concorrenza esistono, secondo il modello 3D-ing, altri due sogge fondamentali verso i
quali porsi in ascolto: la Domanda e l’O erta.
Ascoltare la Domanda signi ca superare il modello secondo cui la funzione commerciale ene i
rappor con i clien , “è sul mercato” e quindi possiede le conoscenze ada e su di essa. È
necessario cioè passare a modelli dove l’ascolto della Domanda è stru urato e costante, a uato su
regia marke ng a raverso il fondamentale media della funzione commerciale.
Le stesse gure sono anche protagoniste delle a vità di ascolto sull’O erta. Essi possono fornire
importan indicazioni aggiun ve rispe o a quanto indicato dal personale interno.
Punto secondo: saper lavorare in team
Il professionista di marke ng è parte integrante del team e strumento di orientamento e
condivisione dell’intero processo di lavoro. Poco può fare, se non dare il buon esempio, in o ca di
team building e di team working: ques temi esulano dalla competenza marke ng. Egli però non
può non tenere presente che la capacità di lavorare veramente in team è requisito sine qua non
per un e cace processo di R&D marke ng oriented ed è pertanto chiamato a vigilare su tale
aspe o e a segnalare, se necessario, alla Direzione la necessità di intervenire in tal senso.
Punto terzo: superare il conce o di innovazione
Conne ere in modo stabile promesse e reason why è un caposaldo per il marke ng. Il
professionista di marke ng è chiamato a fare in modo che ciò diven anche un principio di
riferimento basilare per l’R&D.
Il limite principale del conce o di innovazione tanto promosso e agognato è la mancanza di una
solida connessione a un principio di miglioramento.
Questa breve ricerca e analisi deriva dall’evidenza di come in azienda si ragioni spesso
sull’innovazione appia endola sul conce o di cambiamento.
Un cambiamento è innovazione quando perme e l’introduzione o il miglioramento sensibile di una
promessa signi ca va. Se il cambiamento rimane un tecnicismo per gli adde ai lavori non è
innovazione.
Se il cambiamento perme e un vantaggio che per lo stakeholder è di poco rilievo – nel modello
3D-ing lo de niremmo scarsamente signi ca vo - non è innovazione.
6.2 La laddering analysis come strumento di design d’o erta
Nel capitolo 2, la laddering analysis è de nita come lo strumento che perme e di ges re e me ere
in relazione unità informa ve tra loro diverse dal punto di vista logico e seman co, creando valore
aggiunto dalla loro interconnessione. Abbiamo poi analizzato come i primi due livelli della
laddering analysis (a ribu e bene t ogge vi) racchiudano le reason why di un’azienda o di un
prodo o, mentre i secondi due livelli (bene t sogge vi e valori) ne esprimano le promesse.
Conne ere promesse e reason why signi ca dare forza a entrambe. Le reason why si ra orzano in
termini di capacità di prospe va e di visione. Le promesse acquistano stabilità. In termini tecnici
abbiamo cioè visto uno sviluppo della laddering analysis top-down.
L’u lizzo della laddering analysis come strumento per l’R&D ne prevede, al contrario, uno sviluppo
down-top.
Al marke ng spe a, di norma, lo “start” del processo di R&D marke ng oriented. Gli elemen di
avvio sono le risultanze anali che raccolte dal sistema d’ascolto, primi fra tu gli elemen di
signi ca vità classi ca nei bene t ogge vi, nei bene t sogge vi e nei valori.
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Capitolo 7 - Il piano marke ng opera vo
7.1 Il requisito fondamentale per la piani cazione opera va
Prima di entrare nel de aglio della stesura del piano marke ng opera vo, è corre o introdurre
quello che è il requisito fondamentale per una buona piani cazione opera va: la coerenza tra le
azioni opera ve messe in campo.
È interessante invece rimarcare come la de nizione del posizionamento strategico sia il primo e
imprescindibile strumento per la garanzia della coerenza delle azioni opera ve che l’azienda andrà
ad ado are. Mol esempi di mancata coerenza tra azioni opera ve nascono inequivocabilmente
dalla mancanza di una solida e chiara strategia, formalizzata e condivisa con tu gli a ori
interessa . Ogni PMO deve prendere origine dalle categorie d’analisi a rontate nella parte
dedicata al marke ng strategico: qual’è la promessa? quali le reason why? qual è il brand
character? per quale target? quali sono i fa ori di dis n vità e di signi ca vità?

7.2 Come costruire un buon piano marke ng


Un buon PMO si costruisce in cinque fasi:
1) De nizione delle variabili opera ve
Quando il professionista di marke ng comincia a lavorare per redigere un PMO si trova in una
situazione di paradosso: da un lato ha in mano la strategia dove, se fa a bene, tu o è chiaro,
nalmente cristallino, così ben delineato da sembrare vicino, come le montagne in certe giornate
limpide. Dall’altro lato c’è il foglio bianco, c’è una complessità da a rontare e in seguito da ges re.
Da una parte la mo vazione posi va a costruire il sogno, dall’altra il ragionato more che il sogno
rimanga tale, so ocato dai problemi concre del quo diano. Dopo il lavoro strategico si tra a di
a rontare un nuovo inizio.
2) De nizione delle azioni opera ve
Una volta terminata la fase 1 il professionista di marke ng si avvia alla seconda e cruciale fase. Da
essa dipenderà molto del successo o meno del PMO. Per ciascuna variabile iden cata è
necessario chiedersi cosa fare secondo l’orientamento strategico formalizzato. Il professionista di
marke ng lavora in questa fase come uno sceneggiatore: de nisce i personaggi, li arricchisce di
sfumature, descrive i luoghi, immagina i dialoghi e le sequenze delle scene. Se si a ronta con
questo spirito la stesura di un PMO non solo si raggiungono risulta assai migliori rispe o a un
approccio rigidamente logico-razionale, ma ci si riesce per no a diver re.
La raccomandazione nale legata a questa seconda fase è quella di non porsi qui problema che
legate ai tempi e ai cos (ogge o delle fasi 4 e 5). È infa opportuno mantenere lo sguardo al
mondo possibile come riferimento ideale. Senza un riferimento ideale non potremo essere in
grado di stabilire le ripercussioni dei vincoli di budget e di tempo con i quali ogni realtà si
confronta.
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3) Gerarchizzazione delle azioni opera ve
Al termine della seconda fase il professionista di marke ng si trova in mano un’ar colata lista di
a vità da intraprendere per portare l’azienda dallo stato a uale allo stato obie vo. Come
a rontarle? Con quale ordine? Abbiamo tessere di un puzzle da combinare insieme, cifre di una
combinazione da porre nel corre o ordine sequenziale.
I criteri di gerarchizzazione sono due:
• criterio temporale;
• criterio di importanza
Il primo criterio ordina le azioni in base all’urgenza con le quali debbono essere sviluppate; il
secondo in base all’importanza che esse svolgono nella costruzione del proge o strategico.

4) Scheduling
Si tra a qui di tradurre la gerarchizzazione, precedentemente formulata in forma “assoluta” con
valori da uno a dieci, in un chiaro piano d’azione sulle cinquantadue se mane o mul pli, nel caso
in cui il PMO sia pluriennale.
Per fare questo, ogni azione prevista nel piano deve essere stata prima temporalmente “quotata”
in qua ro fasi fondamentali:
• preparazione;
• avvio;
• durata;
• monitoraggio.
La piani cazione temporale avviene ovviamente a ritroso: se è necessario che il nuovo website sia
online a se embre, quando dovrò iniziare la preparazione dell’a vità? Per costruire uno
strumento u le al lavoro quo diano è opportuno trasferire il risultato dello scheduling su un
opportuno diagramma di Gan . Esso fungerà da riferimento per la propria to do list se manale,
per il confronto con colleghi e collaboratori, per l’aggiornamento alla Direzione.
5) Budge ng
È certamente vero che oggi più che mai i tempi di mercato impongono poli che a ente nella
ges one dei budget. Ma la ques one non a erisce a mio avviso solo a un aspe o legato alla
disponibilità di denaro quanto anche a un tema più ampio e trasversale come la responsabilità.
I diversi step di condivisione con la Direzione durante l’anno sono fondamentalmente tre, anche se
nella pra ca possono essere mol di più:
• riunione di pre budget: tra il secondo e il terzo trimestre la Direzione, sulla base dei risulta
economici a endibili per la chiusura d’esercizio, indica alla funzione marke ng il budget previsto
per l’anno successivo secondo una s ma o una forbice di valori.
• riunione di budget: nel quarto trimestre dell’anno la Direzione indica al professionista di
marke ng l’esa o ammontare del budget per l’anno successivo. Il professionista di marke ng
espone il suo piano d’inves mento a raverso il PMO.
• riunione di consun vo: al termine dell’anno il professionista di marke ng rendiconta alla
Direzione la reale esposizione di inves mento realizzata nell’anno, con un confronto rispe o al
budget previsto.
Il budget non in uenza il PMO solo a livello di ammontare economico disponibile, ma anche di
cash ow. Il professionista di marke ng deve infa chiedere alla Direzione che il budget assegnato
sia organizzato per trimestri o su base mensile così da schedulare le diverse a vità in modo tale
che l’impegno nanziario sia ges bile lungo l’intero corso dell’anno, evitando ad esempio la
presenza di eleva picchi di esposizione in uno o più mesi.
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Capitolo 8 - Lo strategic check


Il lavoro di marke ng non nisce (o per meglio dire non dovrebbe nire) con la redazione di un
PMO ben studiato e con la consegna di un bel brie ng!
Il professionista di marke ng accompagna, supervisiona e supporta l’azione opera va no al suo
compimento secondo le dire ve strategiche. Questo principio vale sia nel caso in cui l’azione
opera va sia condo a dallo stesso professionista, sia che sia svolta da altre gure interne o esterne
all’azienda.
Se il brie ng è lo strumento di avvio dell’azione opera va, il corrispe vo strumento di validazione
della stessa secondo i parametri strategici prende il nome di strategic check. Lo strategic check è
quindi l’a vità di controllo del grado di coerenza delle azioni opera ve con le dire ve strategiche
che le hanno rese necessarie.
Tanto più il brie ng è realizzato in modo professionale e accurato, secondo i principi di de nizione
del posizionamento strategico, tanto più lo strategic check sarà intui vo e immediato.
8.1 Lo strategic check, istruzioni per l’uso
Lo strategic check è l’altra faccia del brie ng. È naturale quindi dover par re da quest’ul mo per
capire come costruire un e cace strategic check. In par colare è d’obbligo risalire al cuore del
brie ng, ovvero al posizionamento strategico.
I fa ori che dobbiamo prendere in considerazione sono quindi:
• principio comunica vo – promesse e reason why;
• bisogno soddisfa o;
• tono di voce/brand character;
• target;
• via strategica prevalente.
Una volta chiari i principi cardine dello strategic check, le tecniche di indagine sono materia a
disposizione della crea vità e dell’indole personale del professionista di marke ng, purché esse
rispondano ai requisi del metodo scien co. Suggerisco qui due diversi modi che ho u lizzato e
con nuo a u lizzare, e che mi danno i risulta a esi, sia quando svolgo autonomamente lo
strategic check, sia quando lo a do per compi accademici o meno, ad altri.
1. La copy analysis. Abbiamo già visto tale tecnica nel capitolo 2. Essa consta nel far emergere
da un’azione opera va, pre amente di comunicazione, la stru ura di contenuto secondo il
linguaggio della laddering analysis. Il confronto tra quanto emerso dalla copy analysis e
quanto contenuto nel brie ng fornisce una visione inequivocabile della capacità dell’azione
opera va presa in esame di essere o meno “on strategy”.
2. L’indagine ad associazioni libere e a scelta mul pla. In questo secondo caso il professionista
di marke ng, nelle sue ves di “sperimentatore”, si avvale della collaborazione di una o più
persone che dovranno esprimere i loro giudizi senza avere alcuna conoscenza del brie ng.
Le condizioni piche di applicazione di tale tecnica sono le interviste dire e o i focus group.
Questa tecnica si stru ura in due fasi susseguen . Per pra cità nella spiegazione e
comprensione della tecnica pensiamo al caso di uno strategic check condo o su proposte
per una campagna pubblicitaria cartacea. Sempre lo stesso caso sarà poi riportato anche
so o forma di esplicito case history.
• Associazioni libere: il professionista di marke ng presenta all’intervistato la proposta
crea va. Dopo un intervallo abbastanza veloce viene chiesto alla persona di indicare
che po di tracce, mnemoniche ed emo ve, ha lasciato la comunicazione.
• Scelta mul pla: all’intervistato è proposta per la seconda volta la comunicazione
ogge o di veri ca strategica. Dopo un intervallo di tempo maggiore di quello
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precedente, il professionista di marke ng so opone all’intervistato una tabella con
una serie di elemen testuali già predispos .
8.3 Lo strategic check come strumento decisionale
L’approccio scien co al marke ng supera e abbandona il modello della grande scrivania della sala
riunioni coperta di bozze gra ci a orno alla quale crea vi e clien discutono sulla proposta che
più colpisce, che più piace.
Oggi più che mai, in un contesto dove gli errori si pagano con durezza, manager e imprenditori
avvertono in modo forte il peso del loro ruolo e delle conseguenze delle loro azioni o mancate
azioni.
Per questo mo vo, se accompagna dal professionista di marke ng a un percorso decisionale
lineare e ripercorribile, dal brie ng allo strategic check, manager e imprenditori acquisiscono
maggiore sicurezza nella loro scelta, che si traduce in maggiore velocità dei processi e maggiore
capacità di creare condivisione nei diversi team interni ed esterni all’azienda.
Ancora una volta ci tengo a ribadire che l’approccio scien co al marke ng strategico non è
alterna vo all’emozionalità né tanto meno alla crea vità, conce o che sarà ampliato nel prossimo
capitolo.
Se un’azienda punta su una strategia emozionale, ciò non esula né il professionista di marke ng né
l’imprenditore e i manager a confrontarsi con lo strategic check.
8.4 Lo strategic check come fa ore di slancio per la crea vità
Lo strategic check è uno strumento di valutazione delle idee crea ve. Esse sono una produzione
intelle uale del crea vo ed è quindi naturale e anche giusto che egli le senta come proprie, come
parte di sé. In esse ha messo il suo tempo e il suo talento.
È importante lavorare per far comprendere a tu , crea vi in primis, che lo strategic check, così
come il brie ng, è uno strumento di aiuto per il crea vo. Il brie ng costruisce lo spazio u le al
crea vo per esprimere il proprio talento, crea gli argini perché il pensiero crea vo scorra
impetuoso.

Capitolo 9 - Il modello Idea per una crea vità strategicamente indo a –


brainstorming addio!
9.1 Il rapporto tra marke ng scien co e crea vità e le a uali di coltà
La vera s da è creare dialogo, commis one, scambio, in de ni va compenetrazione tra l’approccio
scien co di marke ng e la crea vità.
Il marke ng non deve limitarsi al ruolo di “giudice” o “controllore” del lavoro crea vo (con
riferimento all’a vità di strategic check). Al marke ng spe a anche il compito di accompagnare e
non solo indirizzare (“brie are”) il lavoro crea vo.
Esploriamo ora nel de aglio le diverse aree di di coltà.
1. Cosa c’è dietro all’eureka? come funziona l’impianto ele rico che fa illuminare la lampadina?
Oggi psicologi e neuro scienzia ci insegnano che il pensiero è più veloce della coscienza, per
cui ci ritroviamo le eralmente a inseguire il usso dei nostri pensieri, come surfer che tentano
di sfru are al meglio l’energia che li muove, come se il pensiero fosse una realtà a sé stante
rispe o a noi stessi. Tu o questo si conferma pienamente nel pensiero crea vo.
2. Oggi nelle aziende e nelle agenzie prevalgono fondamentalmente due diversi approcci: da un
lato l’assenza di metodo e dall’altro l’u lizzo di tecniche a ni al brainstorming. Come si diceva
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poc’anzi, il metodo più u lizzato nelle aziende e nelle agenzie è di certo il brainstorming.
A orno a un tema i partecipan sono invita a indicare parole o conce secondo le loro libere
associazioni. I limi che ho sempre trovato in questo metodo sono due:
• l’eccesso di libertà dato al pensiero individuale;
• la di coltà nel creare connessioni e sintesi tra i singoli frammen .
Per quanto riguarda il primo punto ci rifacciamo a quanto indicato a proposito della
laddering analysis: il suo vantaggio, si è de o, è quello di dare ordine a elemen diversi
sia dal punto di vista seman co che logico e in ne comunica vo. Esa amente ciò che non
avviene nel brainstorming dove elemen diversi vengono giustappos .
Questo ci proie a al secondo punto di cri ca perché, se è facile riempire un cartellone o
una lavagna di parole liberamente associate a un tema, ben diverso è u lizzarle per
creare valore.
La di coltà di comunicare e condividere il pensiero crea vo cara erizza, poi, anche la fase di
presentazione al cliente.
9.2 Il modello Idea: l’ideazione come stra cazione
L’idea è un prodo o conce uale complesso e “mul strato”. Quando parliamo di idea, quindi, non
dobbiamo intendere una singola unità di senso bensì il prodo o della sovrapposizione di molteplici
unità, ciascuna delle quali pienamente idea va.
Un’ idea nita, ovvero dotata di una manifestazione este ca propria, è sempre la concomitanza di
più idee.
Sull’idea strategica si concentra tu a la prima parte del libro. Secondo il modello 3D-ing l’idea
strategica, racchiusa nella descrizione del posizionamento strategico, è quell’idea che soddisfa i
requisi di sostenibilità, dis n vità e signi ca vità.
L’idea narra va ha lo scopo di esprimere in “narrazione” l’idea strategica.
L’idea narra va prescinde dal mezzo con il quale l’idea strategica sarà veicolata, sia esso stampa,
video o altro.
L’idea retorica ha lo scopo di de nire il linguaggio e lo s le con i quali si racconterà la storia
contenuta nell’idea narra va. Si sceglie quindi la modalità retorica con la quale approcciare e dare
stru ura alla comunicazione. In mol casi si tra a di determinare quale gura retorica u lizzare47.
L’idea prende così per la prima volta forma su uno storyboard piu osto che su un bozze o gra co.
In ne, l’idea este ca si occupa di ideare la soluzione este ca più e cace per dare piena
espressione all’idea retorica.
Il modello Idea porta, poi, sopra u o importan vantaggi nel lavoro crea vo:
1. guida ed educa il processo crea vo secondo un’o ca top-down: dall’idea strategica verso
livelli di de aglio via via crescen
2. dis ngue le diverse intuizioni che possono generarsi nel lavoro crea vo, non per forza
secondo un approccio top-down, e le valorizza dando loro la corre a collocazione;
3. per e e o di quanto indicato nei pun preceden facilita e accompagna il lavoro di team;
4. dà visibilità step by step dello sviluppo del processo crea vo, facilitando così il lavoro in più
sessioni e l’organizzazione dello stesso;
5. porta a evidenza il livello dove l’idea crea va ha più valore e dove è invece possibile
sviluppare soluzioni migliora ve.
Data l’idea strategica, il metodo crea vo Idea3 prevede di sviluppare almeno tre idee narra ve
coeren da presentare al cliente. Solo quando il cliente ha scelto un’idea narra va tra le tre o più
presentate si procede all’ideazione retorica e la stessa metodologia è seguita no all’approvazione
dell’idea este ca de ni va.
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