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SYMBOLUM

Mito Immaginario Realtà

A cura di
DIANA DEL MASTRO

5
In copertina:
Particolare della Porta d’oro zecchino del Palazzo Reale di Fes in Marocco
Questa monografia viene pubblicata con i fondi di ricerca dell’Istituto di Scienze
Teologiche dell’Università di Stettino.
Monografia ta jest publikowana w wyniku wykorzystania środków finansowych na
działalność naukową Instytutu Nauk Teologicznych Uniwersytetu Szczecińskiego.

SYMBOLUM
MITO IMMAGINARIO REALTÀ
A cura di
Diana Del Mastro

Comitato di referaggio - Recenzenci monografii:


Francesco Bellino, Wiesław Dyk,
Helene Harth, Angelo Rella

Redazione a cura di Gennaro Valentino


© 2020 Istituto di Scienze Teologiche - Facoltà di Teologia - Università di Stettino
© 2020 Instytut Nauk Teologicznych Wydziału Teologicznego Uniwersytetu Szcze-
cińskiego
Correzione a cura dei singoli autori

© L’Harmattan, 2020
5-7, rue de l'École-Polytechnique
75005 Paris
http://www.editions-harmattan.fr
ISBN 978 2343207629

© AGA Arti Grafiche Alberobello, 2020


70011 Alberobello (I - Ba)
Contrada Popoleto, nc - tél. 00390804322044
www.editriceaga.it - info@editriceaga.it
ISBN 978 8893551786

6
GENNARO VALENTINO
(Uniwersytet Szczeciński)

CONVERSAZIONE CON UN FIGLIO MAI NATO


LA COSTRUZIONE DI IDEE ATTRAVERSO
LA NARRAZIONE DELL’AUTOBIOGRAFIA
DI DACIA MARAINI

La scrittrice Dacia Maraini, in una lettera scritta nel 1996 per la


rivista Nuovi Argomenti1, dal titolo Un clandestino a bordo, rammenta
la tragica esperienza dell’interruzione della sua gravidanza al settimo
mese, raccontando le sue idee inerenti l’aborto, fenomeno rosa tra i
più discussi dai movimenti femministi di quei decenni, e tuttora di
grande attualità. L’epistola è indirizzata all’amico Enzo Siciliano, tra
l’altro committente della stessa e direttore responsabile della rivista
già dal ’72.
La tematica dell’aborto, affrontato e studiato con ineluttabile im-
pegno dalla stessa scrittrice, dopo circa venticinque anni riemerge
esplicitamente nel suo ultimo racconto, Corpo felice, corredato dal
sottotitolo Storie di donne, rivoluzioni e di un figlio che se ne va.
Ciò che unisce questi due scritti è l’adozione da parte della Ma-
raini del genere letterario dell’autobiografia, attraverso cui, se in Un
clandestino a bordo sviluppa solo il tragico tema dell’aborto, in Corpo
felice tratteggia diversi torni di tempo autobiografici. Attraverso lo
studio comparato dei lavori della scrittrice, cerchiamo, dunque, di

1
Questa rivista fu fondata nel 1953 da Alberto Carocci e Alberto Moravia.
Successivamente, sarà Pier Paolo Pasolini con Enzo Siciliano (a cui è indirizzato
lo scritto menzionato) e Attilio Bertolucci ad esserne i direttori. Dapprima con
cadenza bimestrale fino al 1982, oggi viene edita trimestralmente e vede nel
comitato direttivo anche figure come Arnaldo Colasanti, Furio Colombo, Raf-
faele La Capria, Raffaele Manica, Giorgio van Straten, oltre che la stessa Dacia
Maraini. La lettera che si cita nel testo è stata edita nella quarta serie che con-
sterà di 12 fascicoli.

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mettere in rilievo la sua idea sull’aborto, focalizzando l’attenzione
sui vari contesti narrativi che vi fanno da sfondo.
Nelle prime battute di Un clandestino a bordo, Maraini descrive
quel tragico evento come
un esproprio, qualcosa di non voluto e non aspettato che ha spez-
zato in me una attesa felice, che non si è mai conclusa con un in-
contro, l’incontro con l’altro da me. Il clandestino a bordo della mia
nave è scomparso prematuramente nel buio della notte senza lasciare
una traccia, un nome, un ricordo2.

Le considerazioni di questo scritto formeranno quello che sarà il


saggio introduttivo al romanzo breve di Joseph Conrad, The Secret
Sharer3, che proprio in quel periodo veniva tradotto dalla stessa Ma-
raini. È evidente che l’immagine che la scrittrice ha del figlio per-
duto, considerato alla stregua di un clandestino a bordo di una nave,
derivi dal racconto di Conrad in cui si racconta di come un capitano
decida di salvare un naufrago tenendolo nascosto nella sua cabina
all’insaputa dei marinai. La metafora figlio–clandestino viene raffor-
zata da tre paragoni considerabili autoreferenziali e accumulabili, ma
tuttavia analizzabili singolarmente, in cui compaiono le figure prin-
cipali di questo primo lasso di tempo narrativo.
In riferimento al primo paragone, giacché la stessa Maraini figura
come primo termine, pare chiaro di essere in un contesto di massima
autoreferenzialità. La scrittrice si accosta al giovane capitano raccon-
tato da Conrad, sottolineando elementi che vivono in entrambi. Ciò
che li lega, oltre ad essere la libertà di accogliere o meno l’oggetto
del desiderio, è il potere decisionale che ambedue possiedono, non
solo su se stessi, ma soprattutto su ciò che bramano di avere. Difatti,
come il capitano può decidere in qualsiasi momento l’avvenire del
naufrago (l’epilogo rivelerà il suo rilascio vicino la riva per metterlo

2
D. MARAINI, Un clandestino a bordo, Rizzoli, Milano 2002, p. 13.
3
Questo romanzo è un racconto scritto nel 1909 e pubblicato nel 1911
sull'Harper's Magazine; nel 1946 l'Einaudi editore la pubblica con il titolo di
Il coinquilino segreto, episodio della costa.

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in salvo), così Maraini può controllare il destino della creatura che
porta in grembo. È ovvio che questo concetto non è limitabile alla
sola Maraini, ma in generale è estendibile alla donna, detentrice di
un potere storicamente riconosciuto, ossia la possibilità di procreare.
In merito a ciò, Maraini sostiene che esso si tratti «di un potere che
ha perso la sua vera essenza, ma che rimane nell’ombra come il mito
di una forza recondita e vitale»4.
Il secondo paragone mette a confronto il feto accolto nel ventre
della scrittrice con il naufrago salvato dal capitano. Feto e naufrago sono
elementi passivi dello storytelling, personaggi che vivono in funzione e
per mezzo dei veri protagonisti, rispettivamente Maraini e il capitano.
L’ultimo paragone si lega in maniera nitida al secondo ed è con-
notabile con il termine naveventrecorpo5, vocabolo coniato dalla scrit-
trice, ponendo a confronto la nave di Conrad al proprio ventre.
L’univerbazione dei tre termini –nave, ventre e corpo– ripropone gli
elementi bersaglio della tematica affrontata, creando un’immagine
sublime che spinge il lettore ad interrogarsi sul rapporto ospite–ospi-
tante in riferimento alla madre e al futuro nascituro, che nelle righe
immediatamente successive viene alterato nella relazione occupante–
occupato. Su questa seconda visione –diremmo negativa–, il feto da
ospite diventa occupante, nel senso etimologico del termine latino ini-
quus possessor, ossia di possessore non avente diritto. Pertanto, la fi-
gura della donna non come angelo del focolare o difensore della prole,
ma come procreatrice – quindi madre – viene messa in discussione
dalle proprie incertezze e da un senso di rigetto provato nei confronti
della creatura che si porta in grembo. Difatti Maraini scrive:
A volte la futura madre può anche avere delle tentazioni di ri-
volta, di rifiuto: chi è questo intruso che vuole accampare diritti sul
mio ventre? Chi è questo prepotente che pretende di vivere a spese
delle mie energie, del mio sangue, del mio ossigeno?6.

4
D. MARAINI, Un clandestino a bordo, cit., p. 12.
5
Ivi, p. 6.
6
Ivi, p. 9.

311
L’incertezza della donna, che la porta a considerare come occu-
pante la creatura che dimora nel proprio ventre, deriva dal sentirsi
vittima della propria onnipotenza. Giacché generatrici, le donne
hanno un potere assoluto, ossia il potere di vita o di morte. Ecco
perché nel corso del tempo le donne hanno lottato per il diritto al-
l’aborto; perché acquisendo sempre più consapevolezza del potere
assoluto che possedevano, se ne sono ben riguardate dal renderne
vano l’esercizio, tutelandolo attraverso il diritto all’aborto. Secondo
Umberto Galimberti, questo potere di onnipotenza della donna è
genetico e l’ha indotta «alla fantasia pazzesca di poter cambiare gli
uomini», –obiettivo evidentemente non raggiunto, a causa del fatto
che– «gli uomini possiedono un tasso ridottissimo di psiche»7.
Ci sia concessa un’ultima considerazione sui tre paragoni finora
analizzati. Dicevamo –per l’appunto– della loro accumulabilità. In
tal senso, Maraini compie un gesto intellettuale di mirabile agilità,
individuando una similarità tra il parto materno e il rilascio del nau-
frago, elementi riconducibili ad una sovrapposizione del secondo e
terzo paragone. «Sembra proprio la descrizione del parto: bisogna li-
berare il bambino senza distruggere la madre»8, dice la scrittrice ri-
ferendosi alla scelta del capitano di liberare il naufrago vicino alla
riva prima di ordinare la manovra di virata, nell’attimo immediata-
mente precedente allo schianto sulle rocce.
L’immagine naveventrecorpo conduce il lettore ad un drastico di-
stacco dall’astrattezza, lo forza a ricomporre il proprio pensiero, trac-
ciando la strada all’inevitabilmente genesi di un concetto concreto,
materiale, ossia il corpo, che individua con esattezza il centro nevral-
gico da cui si originano i giudizi della Maraini sull’aborto. Non a
caso, non c’è da stupirsi che i titoli dei capitoli di Un clandestino a
bordo comprendano la parola corpo: corpo a corpo, corpo di bambina,
corpo violato (ecc.); come non c’è da stupirsi che, tra questi, il capi-
tolo conclusivo riporti il titolo dell’ultima opera della scrittrice, per

7
Cfr. U. GALIMBERTI, Eros e Psiche, AlboVersorio, Senago, 2012.
8
D. MARAINI, Un clandestino a bordo, cit., p. 10.

312
l’appunto Corpo felice, pubblicata a fine 2018.
Difatti, nelle ultime pagine di Un clandestino a bordo, la Maraini
si interroga sul significato di corpo felice, e più precisamente cosa sia
essenziale o meno ad un corpo per essere felice. Tuttavia, essendo
ella stessa consapevole della difficoltà di definire la nozione di felicità,
si affida alla teoria freudiana, secondo la quale la felicità del corpo
femminile è individuabile nella sua passività vaginale contro l’infan-
tile attività clitoridea. Lo psicanalista inquadrava il tema della felicità
come il tentativo da parte dell’uomo di agguantare una quantità di
piacere possibile9. Dunque, viene da sé che il raggiungimento della
felicità soggiaccia ad altri fattori, esterni alla donna, quindi non in
essa rintracciabili.
Questa domanda, che la scrittrice pone a metà degli anni No-
vanta, viene esplicitamente riproposta dopo più di vent’anni nella
sua ultima opera, Corpo felice, in cui sembrerebbe approdare ad una
risposta differente.
In quest’opera Maraini svela al lettore la propria intimità raccon-
tando il drammatico evento che le ha segnato la giovinezza ed evi-
dentemente l’intera vita. Le numerose campagne per la legalizzazione
dell’aborto sono caratteristiche dell’impegno civile della scrittrice,
che tuttavia ha dovuto affrontare il dramma di un aborto spontaneo
di un figlio fortemente voluto, la cui «perdita è stata una mutila-
zione»10. In Corpo felice racconta di come quel giorno la corsa in
ospedale era stata vana, nonostante l’allarmismo della suora che
l’aveva soccorsa per ore fino all’arrivo del medico che, a quel punto,
aveva potuto soltanto constatare la morte del feto. La descrizione
delle sensazioni di quel giorno è indicativa del contenuto di Corpo
felice: «Un giorno non ho sentito più il ballerino, non ho avvertito i
suoi sospiri divertiti, ho perso la sua voce silenziosa»11, e qualche rigo

9
Sigmund Freud ne Il disagio della civiltà asserisce che è l'inconscio ad es-
sere l'attore principale della ricerca della felicità, e che la coscienza agisce sui
canoni del vivere civile. Essa, attraverso la sublimazione tenta di contrastare i
moti pulsionali inferiori.
10
D. MARAINI, Corpo felice. Rizzoli, Milano 2018, p. 49.

313
dopo «A quel bambino, con cui mi ero abituata a parlare in un lin-
guaggio tutto nostro e segreto, ho continuato a rivolgermi con dol-
cezza per non lasciarmi andare alla inerzia della disperazione»12. È
da questo punto che narrativamente inizia la conversazione con il fi-
glio morto che lei battezzerà con il nome di Perduto –o Perdu, come
se poi il semplice diminutivo potesse alleggerire il peso della sua di-
partita–.
Nella struttura narrativa, gli elementi caratterizzanti l’intera opera
sono due: le conversazioni che lei ha con il foglio Perdu e la memoria
di donne famose riportata attraverso brevi dissertazioni di tematiche
sociali, storiche, letterarie, che si intrecciano tra loro creando il
campo da gioco in cui il lettore si muove.
È bene soffermarci con maggiore perizia sul primo dei due ele-
menti. Il rapporto tra figlio e madre si esplica in conversazioni ori-
ginate quasi sempre dalla curiosità di lei di conoscere i perché di
alcuni modi di fare del figlio, dove si interroga molte volte il difficile
rapporto del ragazzo con l’altro sesso.
C’è da precisare, innanzitutto, che la Maraini pone in evidenza
che il dialogo tra i due inizia già quando accudiva la creatura in
grembo, durante il periodo della gravidanza in cui, obbligata dai me-
dici al completo riposo, aveva trascorso mesi a leggere montagne di
libri, condividendo i racconti con il futuro figliolo. Il vero rapporto
tra i due inizia nel momento in cui Maraini rivolge le prime parole
al figlio nato morto, dopo che il medico ne accerta il decesso. In esse
si sente tutta la drammaticità della tragedia che la donna sta vivendo;
parole che intendo riportare per intero: «Dove sei? […] Dove vai
amore mio? Aspetta un momento, che vengo con te, dammi la
mano, che ti tengo stretto, non voglio che te ne vai lontano da me,
dammi la mano, aspetta»13. Quello che, nella sala parto, sembra es-
sere anche agli occhi delle infermiere il delirio di una madre straziata

11
Ivi, p. 50.
12
Ivi, p. 51.
13
Ibidem.

314
dal dolore, in verità, si configura come il primo incontro con il figlio
mai nato, che nel romanzo lei immagina di accompagnare fino all’età
di vent’anni, momento in cui termina la narrazione.
A seguito di una valutazione approfondita in merito a questa
unione immaginata dalla madre, ci siamo posti delle semplici do-
mande che si legano fortemente allo studio effettuato per questo con-
tributo e tramite cui possiamo approfondire i temi in esso analizzati,
ossia: quanta sostanza c’è in questa unione? Qual è il senso che la
Maraini vuole dare a questo congiungersi? Come sono giudicabili
alcune affermazioni della scrittrice, considerando che si mette a nudo
di fronte al lettore raccontando il dramma più grande della propria
vita. Insomma, che forma ha questa unione immaginaria tra madre
e figlio? Le considerazioni avanzate hanno dato come risultato una
serie di risposte essenziali, in cui l’elemento assunto come strumento
per gli spunti di riflessione è stato il tempo, considerato nella veste
più generica, in senso lato.
Dacché da un punto di vista fisico sembra chiaro che questa
unione non abbia consistenza, poiché immaginaria, tutte le consi-
derazioni in riferimento all’unione sono a regime dei contenuti delle
conversazioni, delle immagini create dalla penna della scrittrice e
delle parole usate che ne suggellano la forza (non ci è concesso di ef-
fettuare qui un’analisi linguistica del racconto). Sottostando a questa
tipologia di analisi, che vede la possibilità dell’unione tra i due in
funzione del tempo, si possono stanare elementi utili a rintracciare
una nuova prospettiva della Maraini del concetto di aborto, ben di-
versa da quella esposta in Un clandestino a bordo.
Difatti, crediamo che, affinché ci sia un’unione tra diversi ele-
menti – che siano persone o concetti, esperienze o giudizi – sia ne-
cessario che il congiungimento e l’incastro di questi avvenga negli
stessi tempi, di modo che le diversità sfumino man mano in favore
delle uguaglianze. Pensiamo alle intuizioni, per esempio: se nascendo
non si incontrano nel tempo con le condizioni che ne permettono
l’applicabilità nella realtà, allora esse rimarranno intuizioni sterili.
Intendiamo dire, che gli elementi in principio separati, devono re-
cuperare quello strappo di tempo che li divide e che, se non viene

315
ricucito, non li porterà mai ad unirsi.
Ciò detto, in Corpo felice, l’unione tra madre e figlio ha in sé una
contraddizione, poiché tra i due c’è sempre un elemento di contrasto
che crea uno scarto di tempo che non permette mai l’incontro dei
due personaggi, creando un rapporto che li vede sempre su piani di-
vergenti, con idee, opinioni e modi di fare differenti. I dialoghi tra i
due sono sintomatici dell’idea appena esposta. Infatti, la madre
chiede spiegazioni al figlio quando i una telefonata con l’amico, egli
disapprova gli atteggiamenti delle ragazze considerandole troppo al-
tezzose. «Perdu, ma perché parli così?». «Sei rimasta indietro
mamma, sei di un altro secolo […] oggi le ragazze sono libere e fanno
quello che vogliono»14. Nelle pagine che seguono, lo scontro tra i
due continua, sempre inerente le considerazioni sull’amica del figlio
che rincara la dose comparando gli atteggiamenti di lei a quelli di
una scimmia, con l’obiettivo di «farti impazzire di desiderio finché
non cerchi di acchiapparla»15.
Possiamo riscontrare questo distacco tra madre e figlio anche in
altri momenti della narrazione. Ad esempio, nel seguente diverbio,
il figlio dissente dalle parole della madre ribadendo la sua inadegua-
tezza di abitare il mondo:

Madre: «Eppure tuo padre è un uomo gentile. Non parlerebbe


mai così di una donna, soprattutto di una bambina che semplice-
mente fa un poco di teatro».
Figlio: «Ma quale teatro, mamma? Tu non hai capito niente,
quella vuole mettere il suo piede sulla testa di ogni maschio che in-
contra»16.

In seguito, la discussione mette in evidenza quelle che ci sem-


brano essere, da parte del figlio nei confronti della ragazza, delle vo-
lontà criminose e terrificanti, alle quali la madre reagisce con ovvio

14
Ivi, p. 118
15
Ivi, p. 119
16
Ivi, p. 122.

316
disprezzo. In questo breve torno di tempo narrativo, il dialogo tra i
due si chiude con un ultimo scambio di battute che ci pare di poter
considerare l’apice del distacco tra la madre ed il figlio:

Figlio: «Aspetta solo che le metta le mani addosso, le strappo tutti


i vestiti e la prendo con la forza, chiedo a un mio amico di filmare
tutto e poi metto il video in rete, così impara».
Madre: «Impara cosa, Perdu? Non ha già imparato abbastanza se
nella sua piccola testa è arrivata a pensare che la sola libertà a cui
abbia diritto consiste nel provocare i maschi?».
Figlio: «Mamma, non essere ingenua: quelle come lei vogliono
solo comandare […], ma io la pesto come una merda e le sputo ad-
dosso».
Madre: «Sai che ti dico, Perdu? Se continui a parlare così, non ti
riconosco più come figlio«.
Figlio: «E chi se ne frega!»17.

Il tentativo della madre è quello di attrarre il figlio a sé, verso le


proprie convinzioni, mentre la reazione del ragazzo è l’avversione, il
rigetto, l’allontanamento. Crediamo che le motivazioni di ciò si pos-
sano rintracciare nel fatto che l’avvicinamento non avvenga in un
tempo comune, ma al contrario, c’è un processo coercitivo in cui l’una
obbliga l’altro a pensarla nel proprio modo, e viceversa. Ciò porta
ad una conseguenza prevedibile, ossia che l’unione tra madre e figlio
è molto labile e debole, sebbene di tanto in tanto ci siano degli av-
vicinamenti vanificati, però, da atteggiamenti e modi di pensare del
figlio del tutto scriteriati.
In riferimento a ciò, una caratteristica di massima importanza è
che l’intera narrazione riporta questo ritardo di tempo che intercorre
tra i due protagonisti. A questo punto, sembra che l’azione risolutiva
che possa condurre all’unione tra madre e figlio sia l’eliminazione di
questo strappo che li divide; ricucitura che genererebbe un unico
tempo che tutti i personaggi possono abitare, creando così un piano
di incontro universale compatibile con i diversi modi di vivere il

17
Ivi, p. 123.

317
mondo, propri dei vari personaggi.
La cosa interessante è che l’annullamento di questa distanza ci
sarà attraverso due diversi elementi. Come si evince dall’estratto che
segue, infatti, la madre deciderà di lasciare che il figlio decida per sé
stesso evitando di imporgli le proprie scelte.
Da quando hai compiuto quattordici anni a quando ne hai avuti
diciotto […] Non volevo essere oppressiva, ti stavo accanto in silen-
zio, senza mai incalzarti o rimproverarti. Volevo che tu arrivassi da
solo a capire che i tuoi pensieri avevano preso una piega malsana18.

Da parte del figlio, invece, l’elemento che lo aiuta ad annullare


la distanza dalla madre è, inaspettatamente, l’amore. Nelle ultime
battute che i due si scambiano si può notare l’improvviso cambia-
mento di Perdu quando racconta di essersi innamorato di una ra-
gazza descrivendola molto simile alla madre.
Figlio: «Per la prima volta - lui dice - mamma mi emoziono solo
a sfiorarle la mano».
Madre: «E lei?».
Figlio: «Lei mi vuole, ma senza tante sdolcinatezze. Mi vuole
come vuole il suo futuro».

Secondo la madre, finalmente, nella strada che il figlio ha per-


corso, in cui «ha attraversato le pianure della grazia. E poi le gole
della gelosia. E quindi si è arrampicato sulle rocce dell’amore vero,
quello che aspira alla conoscenza e al bene dell’altro», egli ha scoperto
di essere un’altra persona: ha scoperto di essere un uomo. Da parte
del figlio, la sua crescita culminata nell’innamoramento e la libertà
di decidere in autonomia hanno ricucito quello strappo di tempo che
lo teneva lontano dalla madre su piani differenti.
In conclusione, gli elementi finora analizzati: il tempo come punto
d’incontro tra madre e figlio, la loro unione per ripianare le diffe-
renze, l’innamoramento come strumento utile ad eliminare lo scarto
di tempo tra i personaggi, conducono ad alcune considerazioni im-

18
Ivi, p. 170.

318
portanti che sfociano nel concetto di corpo felice, già esposto dalla
scrittrice in Un clandestino a bordo, ma che cambia radicalmente
nell’ultima opera. Difatti, laddove Maraini nel ‘96 individuava la fe-
licità del corpo della donna nell’essenza fisica e corporea, consegui-
bile grazie a fattori esterni ad essa, oggi il concetto di corpo felice è
descritto come «un corpo capace di partorire figli, ma anche pensieri
e desideri, progetti e sogni»19. A distanza di più di quattro lustri, la
scrittrice considera la donna come artefice della propria felicità, giac-
ché non esclusivamente vincolata alla sessualità e alla corporeità, ma
anche ad aspetti intellettuali che ne permettono la sua massima
espressione. Dunque, il potere di partorire figli, nonostante ancora
oggi sia considerato un potere della donna storicamente ricono-
sciuto, non è più uno strumento esclusivo per avere un corpo felice.
In ciò, ci pare di capire che Maraini sfumi le potenzialità del-
l’aborto, prima considerato come un provvidenziale mezzo per la tu-
tela e l’incremento del potere femminile, oggi ritenuto uno
strumento con cui la donna si asside su un piano di lotta intellettuale
dove può esprimere le proprie potenzialità intellettive in una società
in cui risuona ancora la pressante eco del patriarcato che a lungo l’ha
esclusa dalle più importanti dinamiche sociali.

BIBLIOGRAFIA
BANOTTI E., La sfida femminile. Maternità e aborto, De Donato, Bari 1971.
CALVINO I., Corriere della Sera, 9 febbraio 1975.
Centro di documentazione delle donne – Bologna, Il movimento delle
donne in Emilia–Romagna. Alcune vicende fra storia e memoria
(1970–1980), Analisi, Bologna 1990.
CONRAD J., The Secret Sharer, Feltrinelli, Milano 2018.
EHRENREICH – D. ENGLISH, Le streghe siamo noi, Celuc libri, La Sala-
mandra, Milano 1975.
FALLACI O., Lettera a un bambino mai nato, Rizzoli, Milano 1976.

19
Ivi, p. 71.

319
GALIMBERTI U., Eros e Psiche, AlboVersorio, Senago, 2012.
MARAINI D., Un clandestino a bordo, Rizzoli, Milano 2002.
MARAINI D., Corpo felice, Rizzoli, Milano 2018.
MISTURA S., (Ed.), Il disagio nella civiltà, Giulio Einaudi, Torino 2010
PASOLINI P. P., Sono contro l’aborto, «Corriere della Sera», 19 gennaio 1975.

RIASSUNTO

Dacia Maraini affronta il peggio dei suoi fantasmi in un romanzo


in cui combina l’autobiografia con le voci maschili che raccontavano
la donna nel tempo, preferendo il tema del suo aborto, un dramma
che si è verificato nel settimo mese di gravidanza, come leitmotiv su
quale costruire la narrazione.
In una struttura narrativa cumulativa, lo scrittore immagina come
sarebbe stata la vita del figlio perduto, accompagnandolo nella sua
crescita fino al punto in cui diventa uomo e si allontana dall’aiuto
materno.
Ci sono innumerevoli temi: la condizione delle donne dal Medioevo
ad oggi, la capacità di sublimazione acquisita dalle donne a causa delle
condizioni sociali in cui vivevano, l’aborto, l’idea di maternità, l’antica
disputa contro la Chiesa il sesso, il fenomeno del branco, e poi il tema
del tradimento, della prostituzione, della pedofilia, dello stupro, inne-
standoli con considerazioni sulla debolezza delle donne.
Attraverso alcune voci maschili molto autorevoli (Platone, Ari-
stotele, Omero, Goethe), la scrittrice racconta la considerazione nel
passato della donna e quanto si considerasse inferiore all’uomo. Con-
tro queste voci, mette le idee di donne importanti, così come lei.
Questo articolo si concentra sulle caratteristiche narrative della
scrittura retrospettiva, poiché è autobiografica, sulla questione del
linguaggio e sulle motivazioni che hanno portato lo scrittore a im-
maginare la vita di un bambino che non è mai nato.

Parole chiave: autobiografia, donne, aborto, maternità, simbolo.

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ABSTRACT
Conversation with a Never Born Son. The Construction of Ideas
through the Narration of the Autobiography of Dacia Maraini

Dacia Maraini deals with the worst of her ghosts in a novel in


which she combines autobiography with the male voices that told
about woman over time, preferring the theme of her abortion, a
drama that occurred in the seventh month of pregnancy, as a leit-
motiv on which to build the narration.
In a cumulative narrative structure, the writer imagines what the
life of the lost son would have been like, accompanying him in his
growth up to the point where he becomes man and moves away from
maternal help.
There are countless themes: the condition of women in the Mid-
dle Ages to the present, the ability of sublimation acquired by
women due to the social conditions in which they lived, abortion,
the idea of motherhood, the age–old dispute Church against sex, the
phenomenon of the pack, and then the theme of betrayal, prostitu-
tion, pedophilia, rape, grafting them with considerations on the
weakness of women.
Through some very authoritative masculine voices (Plato, Aris-
totle, Homer, Goethe), the novelist recounts the consideration in
the past of the woman and how much she considered herself inferior
to man. Against these voices, she puts the ideas of important women,
as well as her.
This article focuses on the narrative characteristics of retrospective
writing, since it is autobiographical, on the question of language and
on the motivations that led the writer to imagine the life of a child
never born.

Key words: autobiography, women, abortion, motherhood, symbol.

321

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