Il fotografo Amir Zaki (1974) trova ispirazione nelle impurità e nelle deformazioni che contaminano il patrimonio architettonico di Los

Angeles, come in queste ville progettate da Richard Neutra negli anni Sessanta (pag. 32), disconosciute dai suoi eredi.
885 Photographer and artist Amir Zaki (1974) draws inspiration from the mutations and impurities in the architectural heritage of the city of Los Angeles, such as these houses designed by Richard Neutra in the ’60s (p. 32), later disavowed by his descendents.
Periodico mensile/Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 1, DCB - Milano

rivista mensile di architettura, design, arte e informazione

monthly review of architecture, design, art and information
ottobre/october 2005 www.domusweb.it
¤ 8.50 italy only
b ¤ 18.20 - f ¤ 16.00 - d ¤ 18.50 - a ¤ 22.70 - nl ¤ 13.90 - p ¤ 16.10
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usa usd 29.95 - j yen 3,780 (inc.tax)
 Il fotografo Amir Zaki (1974) trova ispirazione nelle impurità e nelle deformazioni che contaminano il patrimonio architettonico di Los Angeles, come in queste ville progettate da Richard Neutra negli anni Sessanta (pag. 32), disconosciute dai suoi eredi.
885 Photographer and artist Amir Zaki (1974) draws inspiration from the mutations and impurities in the architectural heritage of the city of Los Angeles, such as these houses designed by Richard Neutra in the ’60s (p. 32), later disavowed by his descendents.
Periodico mensile/Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 1, DCB - Milano

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 885
THOUGHTS
ON NEW ORLEANS
 Marco Belpoliti
885
I D
l disastro fa parte dell’architettura. Nelle nostre città il crollo, la catastrofe,
l’inondazione, il tornado, il ciclone, tutti gli stati eccezionali prodotti dallo
scatenarsi delle forze della natura o dall’azione furiosa di singoli e gruppi,
sono diventati condizioni consuete e quasi quotidiane a causa dell’incuria,
dell’insipienza, dell’imperizia umana, per via di un urbanesimo cresciuto a di-
smisura ben oltre il suo punto critico. Dovremo abituarci al disastro?
Probabilmente sì. Dobbiamo cominciare a considerarlo uno stato permanente
e duraturo delle nostre città in cui la parte morta e caduca convive con
quella vitale.
Le città non muoiono più, non si estinguono, non diventano, salvo casi ra-
rissimi, città fantasma, città di rovine e macerie, ma parti di loro nascono e
muoiono continuamente in un incessante movimento. Roma è stata, e conti-
nua ad essere ancor oggi, la prima città del disastro. Ma anche Napoli, l’an-
tica città di Athena, vive in uno stato di collasso continuo senza estinguersi.
Sui fianchi del suo vulcano, il Vesuvio, si estende una città del disastro su cui
incombe da un secolo la catastrofe; è abitata da oltre centomila persone che si
muovono, lavorano, dormono immediatamente sotto la sua bocca eruttiva.
Ma anche in California, nelle città costruite lungo canali di scolo, dentro valli
franose, sul ciglio di colline o nei pressi di boschi pronti a incenerirsi, il disa-
stro è uno stato continuo. Costruire oggi significa misurarsi con questo
evento, considerarlo un fatto possibile, anzi probabile.
New Orleans, città d’acqua, città fragile, abbandonata a se stessa da un po-
tere politico e imprenditoriale cinico, non morirà. Seppure sfregiata e ferita,
colpita quasi a morte dall’incuria dei suoi amministratori, è ancora una città
viva. Il suo progetto futuro includerà la catastrofe come evento possibile, sep-
pure terribile e doloroso. Nessuna città del Pianeta può vivere fuori da questo
cono d’ombra, ma nessun crollo sarà mai definitivo. Non abbiamo più spazio
per costruire altrove, per far risorgere le città vive lontano da quelle morte.
Viviamo in un tempo penultimo, un tempo in cui la fine non finisce di finire.
Bisogna cominciare a immaginare le nostre città secondo una nuova visione,
oltre la catastrofe, con occhio asciutto e cuore puro.
Marco Belpoliti, saggista e scrittore, svolge attività giornalistica per quotidiani e settimanali.
La sua ricerca è orientata prevalentemente verso la letteratura italiana contemporanea, ma an-
che ai temi della percezione visiva, l’arte contemporanea, il colore. Presso Einaudi ha pubbli-
cato L'occhio di Calvino (1996), Settanta (2001), Doppio zero (2003), Crolli (2005) e cu-
rato l'edizione delle Opere (1997) di Primo Levi.
Denise Scott Brown
V W
eder morire una grande città alla televisione provoca uno strano miscuglio
di emozioni. Proviamo straniamento e angoscia: straniamento perché ve-
diamo la distruzione attraverso il piccolo scherno e olimpici elicotteri, e
angoscia perché proviamo e immaginiamo, ancor più che vederla, l’agonia di uo-
mini e animali che annegano e muoiono di fame. Ma per un architetto, un urba-
nista o un progettista ambientale, si aggiungono ulteriori dimensioni. Noi che cer-
chiamo di comprendere la città come un insieme di sistemi, vediamo quei sistemi
separarsi. Per prima la topografia, perché compare un nuovo dato di fatto, da tre
a sei metri sopra il precedente livello del suolo. I trasporti e i servizi, un’infra-
struttura urbana, un’intera economia, una cultura che era unica e viva, e la mi-
riade di raggruppamenti e legami tra cittadini, sono tutti sommersi e dispersi. Noi
architetti conosciamo il Vieux Carre e Jackson Square ma non ne sappiamo più
nulla, e vediamo solo rottami e legni alla deriva, cumuli di assi frantumate e rami
spezzati, scarti dell’uragano e dell’inondazione.
Ma mentre la città si dissolve sotto i nostri occhi, mentre il paese e il mondo va-
cillano sotto il colpo, ci si rivela la dimensione del ruolo di New Orleans in un’e-
conomia globale e regionale. Dalla sua piana sul Golfo del Messico, alla foce del
Mississippi, questa città controlla più rapporti di quanti avremmo pensato, entro
i nostri confini e con il resto del mondo. Di fronte a una popolazione decimata e
dispersa, al caos della catena di comando e al crollo della legalità, come possiamo
reagire se non provando un senso di soprannaturale irrazionalità, vedendo pren-
dere decisioni insensate in un momento insensato? E tuttavia noi urbanisti siamo
formati a comprendere i valori delle persone e dei gruppi e a osservare se le loro
azioni e reazioni non siano perfettamente valide dal loro punto di vista. Per noi,
nell’incertezza del futuro, la logica del saccheggio da parte degli affamati è am-
missibile. Ma come capire le ragioni di chi rifiuta di trasferirsi, nonostante gli av-
vertimenti di un ambiente mortalmente rischioso? Forse un vecchio pensionato
che non ha bisogno di lavorare o una persona al riparo che al momento ha da
mangiare ha ragione a cercare di rimanere. In una città lontana da dove verrà il
prossimo pasto? Che sicurezza avrà? Se parte, la morte sarà più vicina? E una
magra pensione sufficiente al sostentamento di chi possiede una casa può diven-
tare totalmente inadeguata in un appartamento d’affitto in una città estranea,
isaster is something architecture must constantly confront. Our cities are
witness to buildings collapsing due to man’s neglect and because of natural
catastrophes like tornados, hurricanes and floods. The fury of nature and/or
the unleashed anger of terrorist individuals and groups have become a “normal” and
almost daily fact of life. This situation has become evermore dangerous due to man’s
cavalier attitude of foolish neglect and because of uncontrolled urban development,
already well beyond its critical mass. So have we become accustomed to disasters?
Perhaps. Nonetheless, it seems clear that we have to begin to consider catastrophe
“routine” and not exceptional, to prepare for a permanent and lasting state of
danger in our cities in which archaic “patches” live side by side with the modern
hustle and bustle.
Cities don’t seem to actually die, they just fade into ghost towns comprised of ruin
and rubble. However, parts of cities do die but then they are reborn in a constant
dance of destruction and construction. Rome falls into that category, just another
disaster city as it always has been and continues to be today. But it’s not alone. Na-
ples, too, Athens’s ancient colony, lives on the brink of disaster but doesn’t die. On
the slopes of its volcano, the mighty Vesuvius, more than one hundred thousand
people live, work, play and sleep right underneath its nose! But since this has been
the case for more than a century, why worry? Let’s talk about California, where ho-
mes are built along drainage canals and in valleys just waiting for landslides or on
top of hills which could easily tumble and near forests prone to fiery blazes. Disa-
ster seems to be a constant factor of today’s life and construction needs to face this
challenge and realise that catastrophe is not only possible, it’s quite probable.
And then there’s New Orleans. Made of water, poverty, abandonment and grace-
ful fragility, she’s a victim of political and business cynicism. She’s scarred and lim-
ping but she’ll survive and phoenix-like rise from her watery ashes. And though
her future will still be in the shadow of disaster, she’ll move forward and, like most
cities throughout the world, the collapse of New Orleans won’t be final. The si-
tuation is clear: there’s no more room to build so we can’t get away from the sha-
dow. We’ll have to learn to live this way, dry our eyes and look to a future beyond
catastrophe. We’re living in a time of ending where the end never stops.
Marco Belpoliti, essayist and writer, works as journalist for newspapers and weekly magazines.
He mainly focuses on contemporary Italian literature as well as on visual perception, contempo-
rary art and colours. He published by Einaudi L'occhio di Calvino (1996), Settanta (2001), Dop-
pio zero (2003), Crolli (2005) and he curated the edition of Opere (1997) by Primo Levi.
atching a great city dying on television engenders an uncanny
mixture of feelings. We feel disassociation and anguish – disas-
sociation through viewing destruction via a small screen and
Olympian helicopters; anguish through sensing and imagining, even more
than seeing, the agony of humans and animals which are drowning and
starving. But for an architect, urbanist or environmentalist, there are added
dimensions. We who try to understand the city as a set of systems are seeing
those systems come apart. Topography goes first, as a new datum is set th-
ree to six metres above the former ground level. Transportation and utili-
ties, an urban infrastructure, a whole economy, a culture that was unique
and vibrant, and the myriad patterns and associations of citizens are all
drowned and dispersed. We architects know about Vieux Carre and Jack-
son Square, but we hear nothing of them and see only shards and drift
wood, mounds of splintered planks and broken branches, flotsam of the
hurricane and flood.
But as the city dissolves before us, as the country and the world stagger
from the blow, we come to understand the magnitude of the role of New
Orleans in a global and regional economy. From its central saucer on the
Gulf at the foot of the Mississippi River, this city controls more relation-
ships than we could have thought possible within our own borders and
with the rest of the world. Seeing a population devastated and dispersed,
seeing the chaos of command and control and the breakdown in law and
order, how can we react other than with a sense of uncanny illogicality as
we watch crazy decisions being taken in a crazy time? Yet we planners are
trained to try to understand the values of people and groups and to see if
their actions and reactions are not perhaps valid from their own viewpoint.
For us, given an unknown future, the logic of looting for food can be con-
ceded. But how shall we understand the reasoning of those who refuse to
move, despite the warnings of a deadly environment? Perhaps an elderly
pensioner with no need for a job, or a person in a shelter who is being fed
right now, has reason to try and stay. In a distant city where will the next
meal come from? How can she be sure? Will she be dead sooner by lea-
lontano dagli amici e dai parenti. Non dobbiamo considerare il rifiuto a
trasferirsi una cosa stupida o demente; noi probabilmente faremmo lo stesso.
E comunque ci piacerebbero quelle case, così belle in quel quartiere che era po-
vero e ora è devastato.
A proposito delle gravi lacune nel coordinamento tra vari livelli di governo al ve-
rificarsi dell’emergenza: c’è dietro una lacuna di volontà politica. Negli Stati Uniti
di oggi pochi considerano lo stato come una risorsa per il paese, una rete di si-
curezza nei momenti di pericolo e un amico dei poveri. Benché si sappia come si
sia storicamente sviluppato questo scetticismo, dovremmo riflettere se oggi non
occorra rivederlo. Revisioni di questo genere ne abbiamo attraversate durante la
Grande Depressione e poi con il movimento dei diritti civili negli anni Sessanta.
Ma l’oscillazione del pendolo si è invertita negli anni Settanta e oggi perfino certi
democratici mettono in questione il ruolo di un potere centrale forte, specialmente
se è nelle mani dei repubblicani. Tuttavia l’esperienza recente dimostra che,
quando il colpo è forte, quando le esigenze sono sovraregionali o vanno oltre le
possibilità del governo locale, ci piaccia o no, occorrono una presenza, una
pianificazione e un’operatività centrali. È una posizione oggi poco diffusa, ma
dopo Katrina forse sono maturi i tempi per ripensare, ancora una volta, il ruolo
dello stato centrale.
Che cosa succederà? Che sarà dei rapporti sociali che ora si sono spezzati, della
gente che se ne è andata in Texas o in Pennsylvania? In passato i movimenti di po-
polazione erano causati dalla guerra, dalla carestia e dall’oppressione. Gli effetti
di queste migrazioni, dall’Europa orientale o dall’Italia, per esempio, incidevano
sulla cultura degli Stati Uniti. Nel territorio i flussi di dispersione attraverso il
fiume Mississippi contribuivano a diffondere la musica e la cultura afroameri-
cane, le capacità industriali e commerciali meridionali e le più recenti competenze
tecniche lungo il fiume verso tutto il mondo. Quale diffusione di competenze e di
identità si potrà riscontrare negli anni, che possa risalire allo sgombero forzato di
popolazione e di attività imprenditoriali di Katrina?
Bisogna ricostruire New Orleans? Dato il livello di rischio della sua posizione to-
pografica perché dovremmo permetterlo? Tuttavia la posizione strategica della
città e i collegamenti che il suo sito fornisce a livello regionale, nazionale e inter-
nazionale potrebbero pesare sulla decisione. Ho il sospetto che non ci siano al-
ternative alla costruzione in questo luogo di un grande porto. Houston, Miami
e Memphis potrebbero fare da surrogati per un po’, ma nessuna può avere la ca-
pacità di collegamento strategico di New Orleans. La ricostruzione selettiva, op-
pure a qualche distanza, o la ristrutturazione del territorio prima della ricostru-
zione della città sono soluzioni praticabili. Ma sono convinta che qualcosa in que-
sto luogo si farà, anche se ci vorranno anni. La geografia e l’economia, non gli ur-
banisti o i politici, determineranno i risultati.
Qual è il nostro compito di architetti, di progettisti dell’ambiente e di urbanisti?
Anche la nostra professione ha mostrato delle lacune? Pochi tra noi sono abituati
a considerare la città come una regione dal punto di vista economico e ambientale
e a studiarla come una sovrapposizione di sistemi e discipline concettuali. Ten-
diamo a seguire i nostri interessi particolari: gli architetti quelli fisici ed estetici, i
progettisti ambientali quelli naturali e gli urbanisti quelli politici e amministrativi.
Nessuno può dire che il paese e i politici non fossero stati avvisati del rischio am-
bientale che minacciava New Orleans. Esiste la prova che era stato descritto con
la massima evidenza. Ma il governo guardava dall’altra parte. E tuttavia gli ur-
banisti che tendono a pensare in due dimensioni, a considerare la città un’“eco-
nomia spaziale”, una serie di configurazioni, dovranno imparare a pensare in
tre dimensioni, e alla svelta, per salvare la vita alle città, perché in certe situazioni
la topografia fa la differenza tra la vita e la morte. In questo caso devono fare
causa comune con i progettisti ambientali, e gli architetti devono dare il loro con-
tributo, perché sono stati formati a pensare per sezioni.
Personalmente ritengo che in occasione di questa emergenza catastrofica abbiamo
chiesto più del lecito, in termini di coordinamento, ai vari livelli di governo. È di-
sgustoso vedere un giornalista della BBC fare la morale a chi cerca di salvare la
pelle criticando l’abbandono dei morti. E se qualcuno dei soccorritori in qual-
che momento non aveva molto da fare perché il coordinamento tattico si era in-
terrotto, anche questo forse si può perdonare. Ma l’iniziale carenza di un’ade-
guata risposta dell’amministrazione pubblica va profondamente criticata e oc-
corre riformulare alle radici programmi di controllo e coordinamento centrale nei
momenti di emergenza.
Bisogna farlo subito. E, ancor prima che ci si senta ‘pronti’ a ricominciare a ela-
borare programmi, gli urbanisti devono fare il loro lavoro. Miliardi di dollari sa-
ranno spesi molto presto nelle opere di soccorso. Urbanisti, architetti e progetti-
sti ambientali devono aiutare il governo a riflettere su come questi miliardi, di cui
oggi c’è tanto urgente bisogno per i soccorsi, vadano usati, proprio ora, in modo
funzionale anche a una successiva ricostruzione razionale. Da qualche parte ar-
chitetti, urbanisti e progettisti ambientali dovrebbero mettersi a riflettere sul fu-
turo di New Orleans, come il gruppo Mars rifletteva su Londra e gli urbanisti di
Rotterdam e di altre città europee facevano progetti per la ricostruzione sotto le
bombe. Dov’è il promotore di un ripensamento fantasioso ma realistico?
Denise Scott Brown, architetto, urbanista, teorica, scrittrice e docente, con Robert Venturi partecipa
a un vasto spettro di progetti di architettura dello studio Venturi, Scott Brown & Associates (VSBA),
di cui è responsabile per i progetti di pianificazione e progettazione urbana. Sotto la sua direzione, i
progetti urbanistici elaborati da VSBA si sono segnalati per la capacità di unire in modo originale i
requisiti sociali, economici e politici alle qualità funzionali ed estetiche dell’architettura.
ving? A small pension that can support a homeowner may become totally
inadequate in a rented apartment in a strange city, far from friends and re-
latives. We don’t need to see the refusal to move as stupid or demented; we
might do the same ourselves. And we could love their houses on any terms,
so beautiful are they in this poor district that has now been ravaged.
As for the serious failures of coordination between various levels of go-
vernment at the onset of the emergency, behind these lies a failure of will.
In the United States today, few see government as a resource for the nation,
a safety net in times of danger, and a friend of the poor. Although we un-
derstand the history of the development of this scepticism, we should con-
sider whether it should now be reassessed. We had such reassessments du-
ring the Great Depression and again with the Civil Rights movement in the
1960s. But the pendulum swung in the 1970s, and today even Democrats
question the role of a big federal government – especially if it is in the
hands of the Republicans. Yet recent experience shows that when great for-
ces hit, when needs are supra-regional or beyond the means of state go-
vernment, like it or not, federal planning and action will be needed. There
was little acceptance for this idea but now, post-Katrina, the time may be
ripe to once more rethink the role of government.
What of the future? What of the patterns now broken, the people gone to
Texas or Pennsylvania? In the past, population movements were caused by
war, famine and oppression. The effects of these migrations, from Eastern
Europe or Italy, were registered on the culture of the United States. Within
the country, earlier patterns of dispersion via the Mississippi River helped
to convey African-American music and culture, southern industrial and bu-
siness skills, and latter-day technical know-how down the river to the
world. What spreading of skills and identities will be traced in years to
come from Katrina’s enforced decamping of population and enterprise?
Should New Orleans be rebuilt? Given its topographical perils, why should
we permit this? And yet the city’s strategic location, and the connections its
site provides regionally, nationally and internationally, might force the de-
cision. I suspect there is no alternative to reconstructing a great port there.
Houston, Miami and Memphis might pinch hit for a while, but none can
provide the strategic connectivity of New Orleans. Rebuilding selectively,
or at some distance, or reforming the landscape before rebuilding the city,
are possibilities. But I believe something will happen in this place, even if it
takes years. Geography and economics, not planners or politicians, will de-
termine the results.
What of our tasks as architects, environmentalists and planners? Have our
professions, too, been found lacking? Very few of us are accustomed to
considering the city as an economic and environmental region, and to
studying it as a series of overlapping systems and disciplines of thought.
We tend to follow our own interests – architects for the physical and the
aesthetic, environmentalists for the natural, and planners for the political
and procedural.
No one can say that the country and the politicians were not warned of the
environmental perils threatening New Orleans. The evidence is there that
these were graphically described. But government looked the other way. Yet
planners who tend to think in two dimensions, who consider the city as a
“spatial economy” and as a series of patterns, will need to learn to think in
three dimensions. They need to do so quickly in order to save the lives of ci-
ties because in some situations topography is life or death. They should
make common cause with environmentalists as well as with architects.
I personally feel we have asked more than was feasible by way of coordi-
nation from the different levels of government during this worst of cata-
strophes. The sight of a priggish BBC reporter accosting people fighting
to rescue the living and castigating them for leaving the dead is distaste-
ful. And if some of the rescuers were not intensely occupied some of the
time because detailed coordination had broken down, this, too, can be for-
given. But the lack of an adequate governmental response early on should
be profoundly criticised, and plans for governmental leadership and coor-
dination in times of emergency need to be deeply rethought.
This should be done now. And, even before people feel “ready” to start re-
planning, planners should be making plans. Billions of dollars will be spent
very soon on rescue work. Planners, architects and environmentalists
should be helping government to consider how these billions, needed now
so urgently for rescue, can be used in a way that will work toward eventual
rational rebuilding. Somewhere, architects, planners and environmentali-
sts should be thinking of the future of New Orleans just as the Mars group
thought about London and planners in Rotterdam and other European ci-
ties made plans for rebuilding even as the bombs were dropping. Where is
the sponsor for an imaginative but realistic re-thinking?
Denise Scott Brown is an architect, urban planner, theorist, writer and educator. With Robert
Venturi, she works on a broad range of architecture projects at Venturi, Scott Brown & Asso-
ciates (VSBA). She is principal-in-charge for projects in urban planning and design. Under her
direction, VSBA’s urban planning projects have achieved distinction by linking social, economic
and political requirements imaginatively to the functional and aesthetic qualities of architecture.
Fumihiko Maki
S I
i tratta di una situazione apocalittica, come dimostra il fatto che ora molti abi-
tanti di New Orleans potrebbero decidere di vivere altrove. La città perderà
gran parte della sua popolazione, in un esodo che porterà a una drastica ridu-
zione della sua massa critica. Per dirla in tutta franchezza, New Orleans non è più
abitabile. Ci si chiede così se valga la pena intraprendere lo sforzo di ricostruire. Sa-
rebbe ovviamente un altro discorso se il governo americano decidesse di investire mi-
liardi di dollari. Ma se anche questo accadesse, come si potrebbe usare il denaro in
modo ottimale? Certo, una decisione del genere rappresenterebbe una scelta mi-
gliore di quella di dare duemila dollari a famiglia, anche se non c’è dubbio che la
gente abbia bisogno di soldi subito, per iniziare a rimettere insieme i pezzi della pro-
pria vita. In tutta onestà, comunque, credo che nessuno abbia idea di che cosa fare,
ma tutti vogliono apparire sinceramente interessati alla tragedia, così per prima cosa
hanno cominciato distribuendo denaro. Allo stesso tempo, però, ho visto che le di-
scussioni sul cosa fare non hanno ancora preso alcuna direzione… I fatti dell’undici
settembre, sappiamo bene, hanno prodotto un danno gestibile, tanto che è stato su-
bito possibile parlare di ricostruire qualcosa, buono o cattivo che fosse. Ma New
Orleans è un discorso diverso: la città è stata colpita con una violenza inaudita, come
se si fosse trattato di un violento terremoto. Sinora, nei secoli, molte città che ave-
vano subito violenti terremoti sono state ricostruite. L’acqua, invece, può distruggere
le fondamenta della società. Si tratta di qualcosa di completamente diverso, perché
i terremoti distruggono le infrastrutture, mentre le acque di New Orleans hanno
cancellato il tessuto sociale. E questa per me è una differenza fondamentale. Il tes-
suto sociale di una città sta cedendo o ha ceduto; perciò, le misure che abbiamo
preso nei casi di terremoto qui non possono essere applicate. New Orleans può es-
sere messa nella stessa categoria di Chernobyl: una città che diventa inabitabile.
Fumihiko Maki nasce a Tokyo nel 1928, studia con Kenzo Tange all’Università di Tokyo, dove si
laurea nel 1952. Si trasferisce negli Stati Uniti per specializzarsi alla Cranbrook Academy of Art di
Bloomfield Hills e quindi presso la Graduate School of Design della Harvard University; qui insegna
dal 1962 al 1965. Ritornato in Giappone, nel 1965 fonda a Tokyo lo studio Maki and Associates.
Maki si definisce un modernista. Realizza opere in Giappone, Stati Uniti, Europa ed elabra un senso
estetico apprezzato in tutto il mondo. Nel 1993 riceve il Pritzker Architecture Prize.
Manuel DeLanda
M A
entre meditiamo sui tragici eventi di New Orleans e di altre città affac-
ciate sul Golfo del Messico, i problemi di responsabilità, inevitabilmente,
finiscono per gravitare sempre più intorno all’azione dell’uomo: ci si
chiede così se molte vittime dell’uragano abbiano preso consapevolmente la deci-
sione di rimanere in città dopo che era giunto l’ordine di evacuazione, oppure se
non abbiano avuto scelta. Se era possibile, inoltre, che le agenzie governative re-
sponsabili dei soccorsi agissero con maggior rapidità, oppure se il ritardo era inevi-
tabile. A quale livello dell’amministrazione – federale, statale o locale – competeva
infine la responsabilità di un’azione rapida ed efficiente? Si tratta di domande ugual-
mente importanti, particolarmente se poste in relazione ai tempi brevi con cui vanno
organizzati gli interventi di soccorso. Ma le questioni legate a responsabilità non ri-
conducibili all’uomo, quella di Katrina e del Mississippi tra le altre, occupano a loro
volta uno spazio rilevante, particolarmente quando si torna a ragionare sul lungo
periodo. Nella loro natura di entità autonome, sia gli uragani sia i fiumi sviluppano
una forma di azione materiale e causale, fatto che noi stessi riconosciamo, almeno
in parte, ogni volta che assegniamo loro un nome proprio. Quella posta da questi
“agenti non umani” è una questione di controllo da parte dell’uomo: data la loro
potenziale forza distruttiva, è indispensabile per noi ottenere un certo controllo sulle
acque e sul rapido spostamento dei venti. Ma, data l’inerente non linearità e il com-
plesso comportamento causale di tali entità, è ragionevole presumere di poterle con-
trollare in ogni circostanza? Dovremmo forse rapportarci con loro nello stesso
modo in cui ci comportiamo con piante e animali ormai addomesticati, ovvero
aspettandoci di poter controllare ogni aspetto del loro comportamento e della loro
evoluzione? O dovremmo invece adottare un’attitudine molto più prudente e ri-
spettosa, che combini un certo grado di controllo con un adattamento del nostro
stesso comportamento nei loro confronti? L’Army Corps of Engineers (il genio mi-
litare statunitense), una delle organizzazioni che ha trattato queste problematiche
per decenni, mostra un’attitudine piuttosto rigida, che predilige il controllo, incli-
nazione tipica di molti organismi militari. Ma una tale disposizione non fa distin-
zioni tra gli agenti materiali che operano in modo lineare e quelli la cui azione non
lineare piega il nostro tentativo di domarli. Per questo, ragionando a lungo termine,
modificare la nostra attitudine organizzativa nei confronti di problemi per loro na-
tura complessi potrebbe dimostrarsi tanto importante quanto costruire nuove dighe
e argini, o ricostruire le nostre città.
Manuel DeLanda, filosofo messicano, è autore di libri e saggi pubblicati in diverse riviste e raccolte.
È docente alla Columbia University, School of Architecture, dove tiene due seminari: “Philosophy
of History: Theories of Self-Organization and Urban Dynamics”, e “Philosophy of Science: Thinking
about Structures and Materials”.
t was an apocalypse because now many citizens may decide to live so-
mewhere else. They are their losing population. The exodus will lead to the
loss of critical mass. Cynically speaking, New Orleans is no longer habita-
ble for them. The question is whether the rebuilding effort will be worth it.
It would be ideal if the American government poured in billions of dollars, but
how would we put the money to use? Obviously it’s better than giving, say,
two thousand dollars to victims to start out. Of course, they need that money
right now in order to start rebuilding their lives. Honestly, I don’t think any-
body has an idea.
They want to be seen as benevolent and therefore are trying to give money
to each person in need. But at the same time I saw that discussions about this
had still not been resolved. When 9/11 happened it was manageable damage
because you could rebuild something, good or bad. But New Orleans is diffe-
rent. The city was struck with such force, as if it were hit by a big earthquake.
Now throughout history many cities visited by earthquakes could be rebuilt.
But water can destroy the foundations of a society. That is something quite
different. An earthquake destroys the physical commodities. But the water
in New Orleans started to destroy the social fabric. That was for me a signifi-
cant difference. The social fabric of the city is collapsing or has collapsed. So,
the types of measures we have taken in the case of big earthquakes could not
be applied here. So you can put New Orleans on the same scale as Chernobyl:
the city is becoming uninhabitable.
Fumihiko Maki was born in Tokyo in 1928. He studies together with Kenzo Tange at the Tokyo
University and graduates in 1952. He moves to the USA to specialise at the Cranbrook Academy of
Art of Bloomfield Hills and then at the Graduate School of Design of the Harvard University where
he teaches from 1962 to 1965. Once back in Japan, in 1965 he founds in Tokyo the Maki and As-
sociates Studio. Maki considers himself as a modernist. He creates works in Japan, USA, Europe and
his aesthetics is appreciated all over the world. In 1993 he is given the Pritzker Architecture Prize.
s we meditate on the tragic events in New Orleans and other towns
along the coast of the Gulf of Mexico, questions of agency will
inevitably gravitate towards human agency: Did the people that got
trapped make a conscious decision to stay behind after the evacuation
orders had been given, or did they have no choice? Could the government
agencies responsible for these people have reacted faster, or was a delay
inevitable? At what level of government, (federal, state, or local), was the
responsibility for fast and efficient action located? These are all important
questions, particularly in the short time scales at which the relief efforts
must be conducted. But questions of non-human agency, the agency of
Katrina and the Mississippi River among others, also loom large, particu-
larly at longer time scales. As self-organized entities, both hurricanes and ri-
vers possess a material or causal form of agency, a fact that is partly
recognized by us when we give them proper names. The question these non-
human agents pose is one of human control: given their potential destructive
power we certainly need to have some control over the flooding waters and
rapidly moving winds.
But given the inherently non-linear and complex causal behaviour of these
entities, is it reasonable to assume we can always control them? Should we
relate towards these non-human agents in the same way we do towards
domesticated animals and plants, that is, by expecting that we can control
every aspect of their behaviour and evolution, or should we adopt a much
more careful and respectful attitude, in which a certain degree of control is
mixed with an accommodation of our own behaviour towards them?
The U.S. Army Corps of Engineers, one of the organizational agents that has
dealt with these questions for decades, has a rather inflexible attitude
towards control, an attitude characteristic of many military institutions.
But this attitude does not make a distinction between material agents that
behave linearly and those whose non-linear form of agency defies our
attempts at domestication. In the long term changing our organizational
attitude towards inherently complex problems may be as important as
building new dams, levees, and reconstructing our cities.
Mexican philosopher Manuel DeLanda is the author of several books and numerous philo-
sophical essays published in academic journals. He teaches two seminars at Columbia Univer-
sity’s School of Architecture: “Philosophy of History: Theories of Self-Organization and Ur-
ban Dynamics”, and “Philosophy of Science: Thinking about Structures and Materials”.
L’edilizia
della città IV A R I O S T E A S . P. A .

The building V
VI
VII
VIII
B E R T O L O T T O P O R T E S . P. A .
C E L S I U S I TA L I A S . R . L .
CERAMICA FIORANESE
CERAMICA SANT’AGOSTINO

of a city IX
X
XI
XII
D U R AV I T I TA L I A S . R . L .
GOCCIA ILLUMINAZIONE S.R.L.
GUNNEBO ENTRANCE CONTROL S.P.A.
I B R U B I N E T T E R I E S . P. A .
XIV HIDRA S.R.L.
XV IL MARMO S.R.L. I
XVI JOLLY MOTOR INTERNATIONAL S.P.A.
XVII N I C E S . P. A .
XVIII PA L L A D I O T R A D I N G S . R . L .
XIX P O R TA R R E D O S . R . L .

Schede
XX V I T R E A L S P E C C H I S . P. A .
XXI Z E C C A P R E FA B B R I C AT I S . P. A .
Oggetti
C eramiche, porte, camini,
sanitari, marmi, sistemi di
automazione, rubinetterie,
chiusure speciali, dispositivi di
controllo, rivestimenti, profili in
acciaio, pannelli di chiusura,
vetri fotosensibili… la qualità
dell’architettura e dell’interior
design spesso viene veicolata
a reazione
da piccoli elementi di dettaglio,
oggetti, parti del costruito o
sistemi tecnologici, talvolta
marginali, posti “ai bordi” o
non sufficientemente messi a
fuoco nello sviluppo del
progetto architettonico tout
court, ma determinanti nel
poetica
caratterizzare lo spazio vissuto
attraverso la forma, i particolari
o le proprietà simboliche, ma
soprattutto attraverso il loro
uso: costante, quotidiano,
spesso silenzioso.
Nella maggioranza delle
circostanze (anche se talvolta
The poetic
è esattamente l’opposto) il
disegno che contraddistingue
queste minute parti di spazio
non si fa notare per la
ridondanza o l’accentuazione
dei tratti compositivi ma
appare al contrario asciutto e
lineare, privo di enfasi e
reactions
connotato, piuttosto, da una
grande attenzione per il
complesso mondo dei dettagli
e delle superfici, dalla scelta o
dall’accoppiamento dei
materiali, dalle soluzioni di
finitura, dalla tecnica
costruttiva. Anche se spesso
of objects
possiamo scorgere nella
filigrana della forma, quando
non già nel nome di battesimo,
l’impronta di tratti celebri del
design, in un certo qual modo
la matrice formale di questi
oggetti edilizi, che si
potrebbero chiamare “di
rifinitura”, va ricercata più a
monte, nella semplicità degli
elementi primari – come
l’acqua o il fuoco –, ancestrali e
incessanti generatori di forme
e significato che spesso in essi
sono contenuti, veicolati,
messi a nostra disposizione.
La possibilità di conformare
l’ambiente che abitiamo a
nostra immagine e
somiglianza, unita alla
necessità di fornire risposte
adeguate alle nuove esigenze
di sicurezza e comfort,
passano sempre più
attraverso la verifica e il
confronto con tali oggetti e
con i loro attributi: proporzione
e dimensionamento,
matericità e prestazione sono
punti cardinali che ci
consentono di orientarci nelle
scelte offerte da un mercato
insieme ricercato e
pulviscolare, ricco di variazioni
nella forma e nel colore.
E forse, nella nostra ricerca tra
i dettagli potremmo ritrovare
alcune sensazioni restituite a
Le Corbusier da quegli objet
trouvé che amava raccogliere
lungo i bordi dell’acqua:
“…frammenti di elementi
naturali, pezzetti di pietra,
schegge di legno… esprimenti
leggi fisiche e uno straordinario
potenziale poetico…” .
A destra e in copertina:
Mario Piazza, Lungo la città,
illustrazione
Right and on the cover:
Mario Piazza, Lungo la città,
drawing
C eramics, doors,
chimneys, bathroom
fixtures, marble works,
automation systems, faucets,
special closures, security
systems, claddings, metal
coverings, casing panels,
photosensitive glass… quality
architecture and interior
design are frequently sparked
by tiny details. Sometimes a
mere piece or part of a
construction or of specific
technology; which seems
marginal or “out of sight”, and
certainly not centre stage
enough star in the
development of the
architectural project, manages
to play a determining role in
characterizing a space
through its form,
idiosyncrasies or symbolic
qualities, but most of all
through its use: constant,
daily, frequent, silent.
In most cases (even if at times
it is exactly the opposite) the
same idea that distinguishes
these minute parts
accentuates design features,
not by being redundant or
accenting highlights. On the
contrary, it appears simple and
linear, without undue
emphasis, but with an
appreciable and undying
attention to the complex world
of details and surfaces, from
choosing and matching
materials to construction and
finishing techniques. Even if
we frequently scour diligently
to discover the unknown
elements of form, much of
what we find retains that
celebrity imprint that somehow
always centres in design, even
when it is not mentioned
directly. In some ways this
matrix of building materials
could be referred to as a
“touch of refinement”, and
should be sought at its root,
amidst the simplicity of
primary elements – such as
water and fire –, those
ancestral and incessant
generators of form and
meaning, brought forth and
put at our disposition. The
ability to change the
environments that we live in,
adapting them to our own
needs in look and feel, united
with the desire to provide
adequate answers to new
requirements in safety and
comfort, is always more
present in our choice of
attributes: proportion and size,
material and performance,
these are the cardinal
elements that allow us to
direct ourselves amidst the
plethoric offerings of a studied
and refined market, rich with
choices of form and colour.
Maybe, as we search for the
edge we will be able to find
some of the sensations
rediscovered by Le Corbusier
in those objet trouvé which he
loved to gather at the water’s
edge “...fragments of natural
elements, pieces of stone,
slivers of wood… expressing
the laws of physics and an
extraordinary poetic
potential…”.
III
Schede
 Nuovi materiali, Le linee del legno
nuove superfici Lines in wood
New materials,
new surfaces 1
1

Il variegato mondo delle pietre da sempre ha fornito spunti per l’architettura e, più in
generale, per lo sviluppo delle forme e la definizione degli spazi. Bellezza e resistenza del-
la pietra possono oggi essere unite alla praticità di approvvigionamento e alla inalterabilità
nel tempo grazie alle riproduzioni in fabbrica, realizzate con grande attenzione da società
leader del settore come Ariostea, che sono in grado di restituire ad altissima fedeltà i ca-
ratteri di questa materia arcaica e affascinante: dalle gradazioni di colore e tono fino ai gio-
chi delle venature. Questi risultati sono possibili grazie a un impegno costante nella ricer-
ca, all’impiego di tecnologie d’avanguardia e di materie prime completamente naturali e
biocompatibili, garantendo il pieno rispetto dell’ambiente in cui l’uomo vive.
Tra le più recenti novità high-tech Ariostea si segnalano il Porfido, disponibile in tre varianti
nelle finiture di superficie (dallo strutturato tradizionale al prelevigato e al nuovo ed elegan-
te levigato lucidato), e i marmi con finitura honed, dalla seducente superficie liscia e vellu-
tata che rievoca quella delle statue antiche.
The variegated world of stone has always provided architecture with new ideas for
the design of forms and the definition of space. Nowadays, you may have both the beauty
and resistance of stone, its wide availability and its unchangingness for a long time – espe-
cially when factory-reproduced with great care by leader stone manifactures such as
Ariostea, a leader in the sector –, are able to faithfully express the features of this archaic
and fascinating material: from its shades of color to its sinuous pattern of ‘veins’. Ariostea
is able to achieve these excellent results because of its constant commitment to resear-
ch, its use of avant-garde technology and its insistence on high quality, bio-compatible
and wholly natural raw materials assuring full respect to our environment. Ariostea’s latest
high-tech production includes Porfido (porphyry), available in three finishes (structured in
the traditional way, pre-polished and, the newest one, an elegant polished and shiny fini-
sh) besides velvety smooth honed marble which is reminiscent of ancient statues.
Quante volte abbiamo percepito la qualità di un luogo attraverso il disegno, la for-
ma, i dettagli di elementi marginali, posti “ai bordi” ma decisivi nel dare un carattere allo spa-
zio? Contraddistinte da un design asciutto e classico, e da un’elevata qualità nelle finiture
e nell’accoppiamento dei materiali, le porte della linea Doga appaiono come un’efficace so-
luzione all’esigenza di connotare qualitativamente gli ambienti di vita o di lavoro. L’imprinting
formale è ottenuto attraverso una particolare soluzione nel disegno dell’impiallacciatura, rea-
lizzata a venatura verticale per i montanti e a venatura orizzontale per le traverse (è anche
possibile scegliere l’inserimento di inserti in alluminio o in trancia di legno). L’impiallacciatura
è prevista in tranciato di essenze legnose pregiate – spessore mm 7 con angolari senza vi-
ti a vista per i rivestimenti delle porte blindate di qualsiasi tipo – mentre la robustezza della
struttura interna per le porte normali è garantita da un sistema di tipo alveolare in kraft, pres-
sato a caldo con fogli piani e calibrati in fibra di legno.
How many times have you sensed the true quality of a place through its design, form,
or little details that are “out of sight”, yet decisive in defining its overall character?
Known for pure and classic design, quality finish and choice of materials, Doga line doors
provide an effective way to add a quality touch to the home or office. The formal impulse
of the line derives from specially designed wood veneer, the veining climbs up vertical pie-
ces and spreads across horizontal parts (aluminium or wood inserts are also available).
Choose from a wide selection of precious wood veneers – 7 mm thick with edge boards
that have concealed screws for covering all types of security doors – the internal strength
of regular structure doors is guaranteed with Kraft honeycomb cores, heat pressed cali-
brated wood fibre with full sheet overlays.

2 Nell’immagine si possono 1 Ambientazione di un ingresso

apprezzare le linee della porta con porta (sulla destra) modello
modello Doga – collezione Doga in ciliegio e (centrale) porta
Auckland – in ciliegio. Il telaio blindata della stessa linea con
perimetrale è in listellare di abete, rivestimento impiallacciato con
impiallacciato con la stessa tranciato dogato in ciliegio.
essenza e completo di 3 Nell’immagine il modello Doga
guarnizioni di battuta con anima Horizont, in Rovere Wengè, con
rigida; il battente è costituito da intarsi in alluminio su telaio TC/U7
un telaio perimetrale in massello silver. Doga Horizont è disponibile
di legno essiccato con bordo anche per blindata, scorrevole, in
sagomato, mentre il rivestimento versione impiallacciata e/o
delle battute perimetrali è laccata.
realizzato con tranciati di essenze
legnose pregiate. I coprifili 1 An entryway with a Doga model
vengono fermati a incasso senza door in cherry wood (on the right)
chiodi. La verniciatura – opaca and (in the middle) a security door
trasparente – è realizzata con from the same line with staved
prodotti ecocompatibili. cherry veneer.
3 In the photo is the Doga
2 In the photo you can admire the Horizont model, in Wenge Oak
lines of Doga model doors – and aluminium inlay with TC/U7
Auckland Collection – in cherry. silver frame. Doga Horizont is
The door frame is constructed available with a veneered and/or
from spruce, complete with a painted surface for security and
rigid inner moulding that is sliding doors.
veneered with the same wood,
the door frame is made from kiln-
dried wood with bevelled edges,
while the veneer of the jambs is
realized in precious wood. The
door moulding mounts flush
without any need for nails. The
paint – transparent opaque – is
made from ecologically
conscious products.

2 3

2 3

1 Tre recenti novità high-tech Ariostea, in 1 The new high-tech Ariostea materials,
ARIOSTEA S.p.A. senso orario: Crema Marfil, Porfido strutturato clockwise: Crema Marfil, structured Porfido BERTOLOTTO PORTE S.p.A.
IV Via Cimabue 20 e Porfido levigato. and polished Porfido. Circonvallazione G. Giolitti 43/45 V
42014 Castellarano (RE) 2 Uso in esterno di lastre Albino Light in un 2 The use, in exterior, of Albino Light slabs in a 12030 Torre San Giorgio (CN)
T +39 0536 816811 edificio residenziale (progetto di Giovanni residential building (project by Giovanni T +39 0172 912811
F Italia +39 0536 816838 Mistretta). Mistretta). F +39 0172 912800
F Export +39 0536 816858 3 Il Palavela di Torino, ristrutturato su progetto 3 The Palavela in Turin, restructured staff@bertolottoporte.com
di Gae Aulenti e Arnaldo De Bernardi, è tra le according to a project by Gae Aulenti and
mktg@ariostea.it www.bertolottoporte.com
Schede

Schede
sedi delle prossime olimpiadi invernali. La Arnaldo De Bernardi, which will be one of the
www.ariostea.it
pavimentazione interna è in Ardesia facilities for the next Winter Olympics. The
Bordeaux. floors in the interior are in Ardesia Bordeaux
(wine-colored slate).
 Il camino e la stufa. Nuovi orizzonti
Mobili o sculture? per il mosaico
Fireplace and heater. New horizons
Furniture or sculpture? 1
for mosaic 1

Ancestrale e contemporaneo, essenziale o complesso, il camino e la stufa sono da
sempre, per proprietà simboliche e valenza architettonica, centro della casa e del suo pro-
getto. La consapevolezza sul ruolo formale, costruttivo, allegorico di tali elementi contrad-
distingue e qualifica l’attività di Celsius Italia, azienda che racchiude in un solo nome tre fra
i marchi più significativi del mercato internazionale di settore. Se la gamma Focus è carat-
terizzata dall’uso dell’acciaio a vista e da un design che pare generato dalla fiamma, i pro-
dotti Hase si distinguono per una reinterpretazione di temi e materiali tradizionali, come il
rivestimento in maiolica realizzato a mano, Rüegg infine propone con innumerevoli varian-
ti il classico camino da incasso.
Seppur differenziati nella matrice figurativa – che si avvicina, rispettivamente, più all’instal-
lazione scultorea, al mobile o alla vera e propria ‘parte’ di casa – i modelli presenti sui tre
diversi cataloghi sono uniti da un saldo connubio tra sicurezza, rendimento e risparmio
energetico.
Ancestral yet contemporary, straightforward or complex, fireplaces and wood-burning
stoves represent the symbolic and architectural centrepiece of the home. Genuine under-
standing of their formal constructive role is one of the elements that distinguishes Celsius
Italia, a qualified company carrying three of the most important brands on the international
market, all under one name. The gamut of Focus products is characterized by the use of
steel and a flame-style design, Hase offers subtle variations on more classic themes with the
use of traditional materials, such as hand-glazed ceramic tiles and Rüegg proposes scores
of classic built-in fireplace styles.
Though they differ in form – one resembling a piece of sculpture, another furniture-like in its
appearance, and yet another that seems ‘part’ of the home – the models presented in the-
se three catalogues are united in substance through safety, heat output and energy savings.
Patterns di ColorLab è espressione di un modo originale di intendere la materia e di
interpretare il concetto di mosaico. Ceramica Fioranese arricchisce così la linea Lab con
qualcosa che va al di là del semplice concetto di decoro: è design, colore, moda, arte.
La costante ricerca estetica condotta da Ceramica Fioranese è ora approdata al progetto
Patterns, originale lettura del mosaico che ben esprime lo spirito sperimentale della serie
ColorLab. Matericità e disegno della ceramica prendono così forma in tre linee di mosaici
che si prestano a molteplici soluzioni compositive e, in base ai colori e alla posa prescelti,
sono in grado di dare vita, di volta in volta, a figure completamente differenti: Bubbles, fiori
a quattro colori, giocati in orizzontale o in verticale a seconda del gusto, scegliendo fra le
dodici tonalità in gamma nella serie; Waves, onde geometriche e stilizzate, disponibili in
tre abbinamenti dove si alternano Black, White, Silver, Golden, Apple green, Red e Sand;
Stripes, ossia righe, larghe e strette, proposte nelle stesse varianti colore di Waves a cui
si aggiunge un intenso Violet blue.
Patterns, by ColorLab, provides a new way of viewing materials and gives a new in-
terpretation to the concept of mosaics. Ceramica Fioranese enriches the Lab line with
that little extra something that goes beyond the simple concept of decor: it is design,
colour, fashion, art. Ceramica Fioranese’s ongoing aesthetic exploration has brought
about the creation of Patterns, the original mosaic concept that best expresses the inno-
vative spirit of the ColorLab series. The ceramic deign is expressed in three mosaic lines
which are perfect for different style environments. Depending on the colours and prede-
fined position, they give rise to completely diverse patterns: Bubbles, four-coloured flow-
ers, which can be placed horizontally or vertically, whichever you prefer, is available in
twelve different shades; Waves, geometric-stylised waves, is available in three-colour
schemes Black, White, Silver, Golden, Apple green, Red and Sand; Stripes, wide or nar-
row stripes of colour, is proposed in the same varied colour schemes of Waves with the
addition of an intense Violet blue.

1 Saphir Gigante 500 – ultimo frutto della
ricerca e dell’innovazione tecnologica Rüegg
– con le sue grandi dimensioni di 118 cm di
lunghezza per 43 cm di altezza, garantisce ai
progettisti le più audaci combinazioni
architettoniche, nel segno dello stile.
3 Hase: Modello Modena, la prima stufa con
tre vetrate. Rigorosa attenzione alle
problematiche del riscaldamento ambientale
e al mantenimento di processi produttivi
tradizionali sono alla base della produzione
Hase; grazie al riscaldamento a legna
controllato dall’aria queste stufe garantiscono
una elevata riduzione delle emissioni di CO2.
1 Saphir Gigante 500 – Rüegg’s latest
technological innovation – with ample
dimensions measuring 1818 cm in width and
43 cm in height, it guarantees designers
daring architectural combinations while
adhering to the golden rules of taste and
style.
3 Hase: Modena Model, the first wood-
burning stove with three large windows. Great
attention to heating capacity and traditional
production methods are the mark of Hase
products; thanks to air-controlled wood heat,
these wood-burning stoves reduce carbon
dioxide emissions.

2 3

2 Realizzati dall’artista francese Dominique 2 Realized by artist Dominique Imbert, Focus 1 Quattro modi di intendere il mosaico, dove 1 Four different ways of perceiving mosaics,
CELSIUS ITALIA s.r.l. Imbert i camini Focus sono oggi veri e propri fireplaces are authentic pop cult objects, in forma e colore si prestano a composizioni where form and colour lend themselves to CERAMICA FIORANESE
VI Corso Emanuele Filiberto 8 oggetti di culto, capaci di dialogare con il touch with the world of contemporary art. The originali e danno vita a figure differenti: original creations giving rise to: Bubbles, Via Cameazzo 25 VII
23900 Lecco mondo delle forme e dell’arte range of products is divided into three Bubbles, Stripes, Waves. Stripes, Waves. 41042 Fiorano Modenese (MO) - Italy
T +39 0341 220376 contemporanea. La gamma dei prodotti si categories: central/hanging, built-in and wall- 2 Stripes, righe larghe e strette, proposte in 2 Stripes, wide or narrow, proposed in three T +39 0536 993511
F +39 0341 220187 divide in tre tipologie: centrali/sospesi, da mount models. tre abbinamenti cromatici per ridisegnare e different colour schemes for redesigning and F (Italia) +39 0536 993556
info@celsiusitalia.it incasso e da parete. personalizzare le superfici del bagno. personalizing bathroom surfaces. F (Export) +39 0536 832611
www.celsiusitalia.it info@fioranese.it
Schede

Schede
www.fioranese.it
www.color-lab.it
 Gli abiti in ceramica Le pure geometrie
della casa del bagno
Dressing the home The purity of bathroom
in ceramics 1
geometry 1

La possibilità di conformare lo spazio che abitiamo a nostra immagine e somiglian-
za passa sempre attraverso la cruna dell’ago del confronto con il complesso mondo dei
dettagli e delle superfici. Proporzioni e dimensionamento, colore e pastosità, punti cardi-
nali, che genericamente consentono di orientarci nella scelta dei rivestimenti, indirizzano
anche la ricerca e la varietà di soluzioni proposte dalla ceramica Sant’Agostino, da oggi
presenti sul mercato con le nuove serie Work e Open Country.
La serie Work, in Gres porcellanato colorato tutta massa, è composta da diverse tipologie
di materiali – distinte nelle tipologie pietra, cotto o legno – che possono essere impiegate
singolarmente ma anche essere integrate fra loro creando particolari soluzioni compositive
nei rivestimenti delle pareti o delle pavimentazioni.
La serie Open Country è invece realizzata con cottoforte in pasta bianca nel formato di
12,5 x 32,5 cm ed è composta da 5 tinte base ciascuna delle quali è disponibile in raffi-
nate variazioni di tonalità chiara o scura.
The decision to adapt our living space, to change it so that it better conforms to
our own needs in look and feel, starts to become complicated when we are confronted
with the complex world of details and surfaces. The cardinal qualities that guide us, allow-
ing us to orient ourselves in the choice of surface coverings – size and proportion, tone
and colour – also give rise to the myriad solutions proposed by Sant’Agostino ceramics,
including their two new lines Work and Open Country.
The Work line, in Gres through-colour body porcelain, is designed to resemble specific
types of stone, terracotta or wood – which can be used separately or even together,
blending some of one and a bit of another to offer an extensive array of creative solutions
for resurfacing walls or floors. The Open Country series are white-body tiles which mea-
sure 12.5 x 32.5 cm and are available in an array of lighter or darker shades of five refined
colour schemes.
La geometria pura si compone di oggetti armonici primari, elementi forse antichi co-
me l’acqua cui sono accomunati dalle immagini di atavici riti di pulizia e purificazione.
Forse questa è la prima, ancestrale, immagine che ci appare osservando come, nel nuo-
vo progetto di Philippe Starck per Duravit, cerchi, quadrati e rettangoli prendano corpo in
figure e forme essenziali di cubi, cilindri e coni, che si compenetrano con l’elemento fluido
che scorre sulla loro superficie.
I diversi pezzi che compongono la serie per il bagno sintomaticamente battezzata Starck
X – 16 pezzi ceramici, 5 mobili e tre diverse versioni di vasche – possono essere combi-
nati tra loro, giocando sul carattere scultoreo e agendo sull’ambiente del bagno come in
uno spazio espositivo. Altrettanto raffinati sono i dettagli come per la grande vasca a cen-
tro stanza in acrilico, all’esterno della quale sembra correre un fossato d’acqua traslucido.
Listelli di legno lineari resistenti all’acqua, posti sul bordo del fossato, danno un aspetto
confortevole a questo paradiso acquatico.
Pure geometry is comprised of primary objects reminiscent of ancient rituals using
water as an element for cleanliness and especially for purification.
This is the first vision which comes to mind when seeing the new design project by Philippe
Starck for Duravit: circles, squares and rectangles combined in essential cubes, cylinders
and cones which are penetrated by the fluid element flowing over and into their surfaces.
Sixteen ceramic ‘pieces’ comprise the Starck X series which includes 5 pieces of furniture
and three different tub versions. These elements can be combined among themselves in a
sculptural play which sees the bathroom almost as an exhibit space. The details and acces-
sories for the Starck X series are equally refined: we see a large acrylic tub in the center of
the bathroom and surrounding and flowing over it is a ‘mote’ of crystal clear water. Water-
proof wooden slats on the borders of the ‘mote’ make this water paradise even more tempt-
ing and inviting...

2 4

1 Nell’immagine si può apprezzare la serie
Work, nelle varianti: tipologia legno a tonalità
Rovere Grigio per il rivestimento orizzontale e
tipologia pietra nella tonalità travertino Navona
per le superfici verticali. Quattro le tonalità di
legno disponibili: oltre al Rovere Grigio quella
scura e calda del Rovere Wengè, quella
chiara e calda del Rovere Chiaro e infine
quella quasi decapata del Rovere Bianco.
4 Serie Work nel raffinato abbinamento di
cotto chiaro Mantovano, a pavimento, e della
calda pietra Leccese a parete. Per la tipologia
cotto è anche disponibile il tono più intenso
Toscano.
1 In the photo, various hues of the Work
series: grey oak-coloured wood type for
resurfacing horizontal spaces and Navona-
travertine stone type on the vertical surfaces.
Four different shades are available: after grey 3-4 I lavabi possono avere il disegno di un
oak, the contrasting warm tones of Wenge parallelepipedo, dotato di comodi cassetti
oak, the delicate and inviting Light Oak and dagli interni vivacemente colorati, oppure
the subtle White Oak. possedere una forma di cilindro o cono che
4 The Work series with a classy blend of light fuoriesce da un podio in ceramica.
Mantova terracotta, on the floors, and warm
Lecce stone type on the walls. Various 3-4 The basins can be parallelepipeds,
shades of terracotta tiles are available equipped with useful drawers with their
including the more intense Tuscan hue. interior in lively colors, or they can be cylinder
or cone-shapes which crown ceramic
columns.

3 4

2 La serie Open in una raffinata soluzione per 2 The Open series in a refined solution for the 1 I sanitari della linea Starck X sono generati 1 The sanitary fixtures of the Starck X series
CERAMICA SANT’AGOSTINO il bagno. Nella linea sono disponibili diverse bathroom. The line offers many types of dalla purezza della geometria, che epitomize geometrical purity. In the photo, we DURAVIT Italia S.r.l.
VIII Via Statale 247 tipologie di decori e pavimenti coordinati in decors and coordinated flooring in caratterizza tutta la serie. Nell’immagine la see an acrylic tub in center of the bathroom. Via Faentina 213 IX
44047 S. Agostino (FE) monoporcellana nel formato 33,3 x 33,3 cm. homogeneous 33.3 x 33.3 cm sized tiles. vasca in acrilico da centro stanza: grazie a un A remote control permits the adjustment of a 48010 Fornace Zarattini (RA)
T +39 0532 844111 3 Nell’immagine l’impiego, nell’ambiente 3 In the photo, two colours from the Open telecomando è possibile giocare con i colori e play of lights and reflections on water. T +39 0544 509711
F +39 0532 846113 domestico della cucina, di due variazioni Country line have been used in a kitchen con i riflessi dell’acqua. 2 Shower trays with a base in wooden F +39 0544 501694
info@ceramicasantagostino.it cromatiche di Open Country. La serie è environment. The series is available in five 2 Piatti doccia con pedana in legno quadrati e squares and corners: cm 100x100, 140x90, info@it.duravit.com
disponibile in cinque ricercate tonalità di refined colours, with lighter or darker shade angolari da cm 100x100, 140x90, 160x90. 160x90.
www.ceramicasantagostino.it www.duravit.it
Schede

Schede
colore, sia nella versione chiara che scura variations available (Anis/Denim –
(Anice / Denim – Artic / Metal – Panna / Arctic/Metal – Cream/Grain – Custard/Melon
Grano – Crema / Melon – Cedro / Salice). – Citron/Willow).
 Un Triangolo di luce Le nuove barriere
A Triangle of light del Sole 24Ore
The new gates
1
to Sole 24Ore 1

Tra gli elementi capaci di connotare maggiormente lo spazio e più adatti a restitui-
re dignità urbana e interesse a parti della città, sicuramente la luce occupa un posto privi-
legiato. Non a caso il programma Triangolo City, idea originale di Goccia per illuminare gli
spazi aperti, nasce con una grandissima molteplicità di possibili installazioni e combina-
zioni delle sue parti, adattando la propria conformazione alle necessità più svariate dei di-
versi ambienti.
L’ampia scelta di sorgenti luminose e la possibilità di direzionare il fascio in varie posizioni
permette di combinare una grande adattabilità del sistema con la massima flessibilità d’u-
tilizzo. Oltre al palo a 4 montanti, che consente di installare fino a 4 lampade o bracci a
90°, è oggi disponibile un nuovo palo a 2 montanti, ideale per l’illuminazione su lati con-
trapposti. Nello stesso tempo un nuovo tipo di braccio sviluppato da Goccia consente di
direzionare con precisione la luce, permettendo la rotazione della lampada sul piano ver-
ticale. La durata in esterni è garantita dal trattamento anti UV di finiture e colore.
Of the elements capable of better defining an area, restoring urban dignity and re-
newing interest in parts of the city, one of the most important is light. Triangolo City, an in-
novative idea by Goccia for lighting urban and residential areas, was designed with a va-
ried array of installation applications. By combining arms and fittings, it is possible to adapt
the shape, conforming it to meet the necessities of all kinds of environments. The ample
choice of luminaries, with adjustable beams for directional lighting, combine the winning
combination of an incredibly adaptable system with maximum flexibility. Together with the
four-studded support pole version, which provides space for up to four lamps placed at
90° angles, now there is also a two-studded version available, which is ideal for front and
backlighting. At the same time Goccia’s new arm design allows you to vertically rotate the
beam for aiming the light with precision. Durable weatherproof quality is guaranteed with
a UV protective finish and colour.
Molto spesso per garantire la sicurezza di un luogo lo si costruisce con dispositivi
di controllo degli accessi che stridono con le proprietà architettoniche e le esigenze dina-
miche dello spazio. Concepite per l’ingresso principale della sede del Sole-24 Ore, re-
centemente ristrutturata da Renzo Piano, le barriere Hidden Gate sono state progettate
con l’obiettivo di fondere esigenze di sicurezza, caratteristiche estetiche e agevolazione
dei flussi pedonali. Non a caso i loro dispositivi permettono l’accesso all’utente autorizza-
to al minimo contatto fisico ma allo stesso tempo costituiscono un ostacolo insormonta-
bile per chi è privo di autorizzazione; la larghezza del passaggio, inoltre, consente l’ac-
cesso ai disabili nello stesso varco utilizzato da tutti gli utenti. Il modello GlasStile S, in-
stallato come uscita di emergenza, unisce la qualità delle ante a battente in cristallo e del-
le finiture in acciaio inox satinato alla tecnologia del motore servoassistito che consente di
adattare la velocità di apertura al passo di chi l’attraversa.
Security devices to control entry access are frequently built in complete contrast
with a building’s architectural style and dynamic space requirements.
Designed for the main entrance of the newspaper Sole-24 Ore, which was recently re-
structured by Renzo Piano, Hidden Gate barriers were conceived with the objective of fu-
sing security, aesthetic beauty and pedestrian traffic. The devices are built to permit autho-
rized users entry access with a minimum of physical contact, while at the same time crea-
ting an insurmountable obstacle for those without authorization; the width of the gate also
provides entrance for the disabled. The GlasStile S model, installed as an emergency exit,
unites quality swinging-crystal doors and grained stainless steel with automatic assisted-
motor technology for regulating the gate’s opening velocity to the pace of who is passing
through.

2 3 4

1 Il braccio di Triangolo City consente alla 1 Triangolo City’s arm design allows 1 Sobrie ed eleganti, le barriere Hidden Gate 1 Subtly elegant, the Hidden Gate barriers
GOCCIA ILLUMINAZIONE S.r.l. lampada una rotazione di 45°. for 45° of rotation. sono state insignite del premio Excellent were awarded the Excellent Swedish Design GUNNEBO ENTRANCE CONTROL S.p.A.
X Via E. Fermi 59/65 2 Modello a due montanti impiegato in un 2 Two-studded model used in a parking lot. Swedish Design per il disegno industriale. prize for industrial design. Via A. Volta 15 XI
25020 Poncarale (BS) parcheggio. La struttura e il corpo illuminante, The robust body and housing of the Le ante in cristallo per la sede del Sole-24 Ore, The crystal doors at Sole-24 Ore are perfectly 38015 Lavis (TN)
T +39 030 2640761 molto robusti, sono interamente in alluminio luminaries is constructed entirely from robustissime ma perfettamente trasparenti, robust and completely transparent allowing T +39 0461248900
F +39 030 2640271 estruso e pressofuso. Vasta la scelta di corpi extruded die cast aluminium. The choice of non sottraggono luminosità all’ambiente. for a luminous environment. F +39 0461248999
Numero Verde 800-169530 illuminanti e di diffusori (a lente di Fresnel, a luminaries and diffusers (with a Fresnel lens, 2 Le barriere Hidden Gate sono prodotte 2 Hidden Gate barriers are incredibly flexible info@italdis.com
diamante, con vetro liscio e griglia). diamond, with smooth glass and guard) con una notevole flessibilità per soddisfare le and able to satisfy a wide variety of needs; in
info@goccia.it www.gunneboentrance.com
Schede

3-4 Immagini diurna e notturna. Sul palo a 4
www.goccia.it
montanti si possono impiegare fino a quattro
lampade, direttamente (1) o con bracci (2) per
meglio direzionare la luce.
3-4 Day and night time photos. On the four-
studded pole, you can fit up to four lamps
directly (1) or with arms (2) to aim the light
better.
specifiche esigenze; nell’immagine – la sede
di Milano del Sole-24 Ore – i varchi sono stati
realizzati con finiture in legno che si
armonizzano con i dettagli dell’interno.
Schede
the photo – Sole-24 Ore’s Milan site – the
gate has a wood finish that blends in perfectly
with the building’s interiors.
 3 La nuova proposta di IB Rubinetterie
appare caratterizzata in maniera decisa

Il leggero fluire dell’acciaio dall’unione tra le dimensioni estremamente

contenute di ciascun componente.
Designer: Maurizio Duranti

The buoyant flow of the steel 3 The new proposal by IB Rubinetterie is

characterized by the extremely contained size
of all its components.
Designer Maurizio Duranti

Talvolta, oltre alla forma e ai materiali, la profondità del progetto di design va ri-
cercata nella capacità che possiede l’oggetto di evocare immagini presenti nella memoria
attraverso le sensazioni restituite dall’uso. Nel caso della serie di rubinetterie Loveme que-
sto aspetto assume il ruolo di vero e proprio incipit progettuale: grazie infatti a un sistema
a getto d’acqua diretto – ovvero privo della mediazione di un aeratore – sarà sufficiente gi-
rare una manopola (una coppia di cilindri in acciaio cromato, saldati tra di loro a 90 gradi)
o azionare l’asta del miscelatore (un solo cilindro puro, più allungato) perché alla nostra
mente venga richiamata l’immagine di cristallina fluidità con cui l’acqua sgorga, naturale,
dalla sorgente. Forma e tecnologia, disegno e materiali – estremamente curati in ogni det-
taglio – sono stati concepiti in maniera innovativa e intrigante, trasformando il ruolo della
rubinetteria: non più oggetto marginale di complemento, ma vero e proprio elemento d’ar-
redo del bagno. Nello stesso tempo le forme del prodotto non appaiono pesanti e di dif-
ficile collocazione, ma al contrario, il design asciutto e le linee semplici e prive di enfasi ne
esaltano la versatilità e la capacità di adattamento a qualsiasi tipo di ambiente. Tale spic-
cato equilibrio del progetto è dovuto principalmente a una concezione della morfologia di
ogni elemento come la conseguenza di un’esigenza funzionale: così, per esempio, la par-
te posteriore del rubinetto assume un profilo arrotondato per seguire la forma della car-
tuccia, mentre la bocca si allarga lievemente assecondando il fluire dell’acqua, ed è leg-
germente concava per gestire al meglio lo scorrimento a bassa pressione.
La serie Loveme viene proposta da IB Rubinetterie in numerose versioni, pensate sia per
installazioni da esterni che da incasso e adatte a essere associate a diversi sanitari: dal la-
vabo-bidet al lavabo alto o a quello da muro, dalla doccia alla vasca isolata o da muro; nel-
la linea è anche disponibile un raffinato gruppo bordovasca da terra, che si armonizza con
l’essenzialità formale della gamma.
Sometimes, beyond form and material, the depth of design must be sought in the
object’s capacity to evoke images of memory through the sensations engendered by its
use. For the Loveme faucet line, this aspect is a primary one. In fact, because of its sy-
stem of direct water flow – without the mediation of an air system – the user needs only to
turn one of its two chrome faucets – welded at 90 degrees – to activate its mixer (a single
elongated cylinder) and this naturally brings to mind the flow of crystal clear water from its
fount.
Form and technology, design and materials – carefully attended to in every detail – have
been conceived of in an innovative and intriguing way. The role of the faucet has been, in
fact, transformed: no longer a complement but, now, a true object of design for the bath-
room. At the same time, the object’s presence discretely enhances the ambience making
it easily included in any bathroom decor. Its clean and simple lines, void of emphasis, exalt
its versatility and its capacity to enhance all bathroom styles. Its equilibrium of design is
born of the concept which sees the shape of each element as a consequence of formal
aesthetic values. For example, the back of the faucet is round, to suit the shape of the car-
tridge, while the mouth of the faucet gently widens to accompany the flow of water and is
slightly concave for easier use at low water pressure. The Loveme series is proposed by
IB Rubinetterie in numerous versions both for installation in standing and built-in fixtures
and can be used in many bathroom fixtures including the washbasin/bidet, the high, stan-
ding washbasin and the wall-mounted washbasin, the shower stall and the bathtub,
whether standing alone or placed against the wall. The Loveme line includes a variety of
beautiful tub-borders which compliment the essential lines of the Loveme range.

1, 2 La bocca del rubinetto si allarga

lievemente agevolando lo scorrimento
dell’acqua ed è leggermente concava per
gestire al meglio i flussi a bassa pressione; il
profilo arrotondato della parte posteriore
segue la forma della cartuccia. Nella foto la
versione con miscelatore monocomando per
lavabo e lavabo alto.
Grazie al sistema a getto d’acqua diretto,
privo di un aeratore, l’acqua fuoriesce con la
naturalezza con cui sgorga pura dalla
sorgente.

1, 2 The mouth of the faucet gently widens to

accompany the flow of water and is slightly
concave to better suit low water pressure
flow. The round shape of the back of the
faucet suits the shape of the cartridge. In the
photo: the single-control mixer version for
washstands and high-standing washstands.
Because of its direct water flow system,
without an aerator, water flows in the same
way it flows from its natural source.

4 5

4-5 La raffinatezza del concept progettuale e

la rigorosa geometria del design dei due IB RUBINETTERIE S.p.A.
modelli Loveme per bordovasca: Via dei Pianotti 5/7 XII
rispettivamente da terra e da muro. 25068 SAREZZO (BS)
T +39 030 802101
4, 5 The refined concept and clean geometry F +39 030 803097
of the design of Loveme’s two bathtub info@ibrubinetterie.it
borders for standing and wall-mounted tubs.
www.ibrubinetterie.it

Schede
1 2
 Tra morbide Oltre il minimalismo
ceramiche Beyond minimalism
The comfort
of ceramic tiles 1 1

Hidra Ceramica inizia la propria attività produttiva nel 1989 ed è oggi, tra le aziende
del distretto industriale di Civita Castellana, una delle protagoniste per la produzione di ar-
ticoli sanitari e per l’arredo bagno. Con impianti tecnologicamente all’avanguardia, con l’im-
pegno costante nella ricerca e i continui investimenti in risorse umane ha conseguito ec-
cellenti standard qualitativi per il raggiungimento del sodalizio tra la classica tradizione ce-
ramica e le tendenze più innovative del design. Hidra propone un costante aggiornamen-
to delle sue collezioni. Tra le novità per il Cersaie 2005 presenta, quale ampliamento del
programma Tao, progettato da Carlo Urbinati, i nuovi lavabi da appoggio: due grandi ovali
da 60 e 75 cm e uno rotondo con il diametro di 60 cm. Questi elementi, parte integrante
della gamma Tao, sono caratterizzati da una grande semplicità formale a testimonianza
della predilezione del designer Carlo Urbinati per le forme ergonomiche, quale concetto
guida per un modo di creare coerente e riconoscibile come fatto funzionale e quindi este-
tico. Il sanitario monoblocco da terra con cassetta alta è l’altra novità appartenente alla col-
lezione Loft di Hidra Ceramica, una soluzione che si inserisce armoniosamente in un ba-
gno contemporaneo, dove i vari elementi sono orientati verso il design.
Hidra Ceramica began its tile production in 1989 in the industrial district of Civita
Castellana and, today, it is a protagonist in the production of sanitary fixtures and bath-
room decor. Hidra’s commitment to research, its investments in human resources and its
avant-garde technology have led to the achievement of exceptionally high tile production
standards which merge tradition and innovation while excelling in innovative design.
Hidra constantly updates its production and, for the 2005 Cersaie exhibition, the designer
Carlo Urbinati extends the Tao collection to include three new basins: two countertop oval
ones (60 cm and 75 cm) and a round basin with a diameter of 60 cm. These basins are
an integral part of the Tao series and are characterized by their clear essential lines testify-
ing to the preference by designer Carlo Urbinati for ergonomic shapes as a guiding princi-
ple for both function and aesthetics.
The single freestanding w.c. with high water tank is a perfect complement to the contem-
porary bathroom. This is another new addition to the exciting designer elements of the
Loft collection by Hidra Ceramica.
Due forse le tendenze stilistiche che hanno esercitato negli ultimi tempi una mag-
giore, opposta, influenza sull’universo del design. Se, da un lato, il mondo puro e astratto
delle forme minimal si segnala da anni come una forte presenza, dall’altro nuove esigenze
di differenziazione e sogno trovano sempre più risposte in un insieme ricercato e pulvisco-
lare di variazioni formali e cromatiche.
Il mix di colori e morfologie appare come l’aspetto dominante della ricerca progettuale de
Il Marmo, tra le poche azienda italiane nel settore dei lavorati in marmo e granito che abbia
creato una propria nicchia di mercato (realizzando, tra gli altri, interni per Fendi, Iceberg,
Gucci, Trussardi). La compenetrazione di lusso e natura genera marmi dai sapori floreali,
che richiamano tonalità e ambienti di lontane civiltà, in una ricca profusione di superfici lu-
cide e opache, quasi neo-barocche. Tra le ultime novità in catalogo: il lavabo Merisi, ergo-
nomico e lapideo prodotto di benessere, e il piatto doccia Reni, dalla sezione complessa,
che occulta la linea di connessione tra due blocchi di pietra (designer: Paolo Schianchi).
Two opposite trends have influenced design in recent years. One is the pure, abstract
style of minimalism while the other expresses a new desire for infinite variation in a kalei-
doscope of dream-like colors and fantasy shapes.
Il Marmo is a protagonist of this new trend and its designs are a vibrant chromatic and
morphological mixture. It is one of the few Italian companies, in the marble and granite sec-
tor, to have created its own market niche. Il Marmo has designed interiors for Fendi,
Iceberg, Gucci and Trussardi, among others, and has succeeded in combining luxury with
nature by giving its marble an almost floral character, reminiscent of ancient civilizations, in
a profusion of shiny and opaque – almost neo-baroque – surfaces.
Its latest catalogue includes the Merisi wash-basin, which has an ergonomic shape epi-
tomizing wellness, and the complex Reni shower tray which discretely hides the connec-
tions between two blocks of stone (designer: Paolo Schianchi).

2 3

1 L’immagine mette in risalto le forme 1 The photo highlights the ergonomic shape 1 Morbide onde e sinuose curve in marmo 1 Marble waves and soft curves emphasize
HIDRA S.r.l. ergonomiche del lavabo Tao, concetto guida e of the Tao basin which is the guideline and sottolineano i giochi di forme del lavabo the play of shapes of the Merisi basin IL MARMO S.r.l.
XIII Via Falerina 31 E matrice del progetto di Carlo Urbinati. La serie matrix for Carlo Urbinati’s project. The Tao Merisi, firmato: Il Marmo. designed by: Il Marmo. Via Scimmia 15 XIV
01033 Civita Castellana (VT) Tao si compone di due grandi ovali da 60 e 75 series includes two large oval basins (60 and 2 La sezione del piatto doccia Reni inganna 2 The Reni shower tray challenges the 37036 S. Martino Buon Albergo (VR)
T +39 0761 518181 cm e uno rotondo con il diametro di 60 cm. 75 cm) and a round basin (diameter: 60 cm). l’occhio dell’osservatore, che non è in grado observer to find the connections between T +39 045 8799212
F +39 0761 517133 2 Le forme concave della linea Tao si 2 The concave shapes of the Tao line are a di cogliere la linea di connessione tra due two blocks of stone. F +39 045 8780807
info@hidra.it armonizzano naturalmente con quelle natural match for the convex shapes of Loft. blocchi di pietra. 3 Elegance, color and high quality materials ilmarmo@ilmarmo.it
convesse dei sanitari Loft. Nella produzione di The Hidra production is inspired both by 3 Raffinate modanature unite a eleganti unite in the Artemisia bathtub to take center
www.hidra.it www.ilmarmo.it
Schede

Hidra si fondono la classica tradizione
ceramica e le tendenze più innovative del
design, con eccellenti standard qualitativi.
classical traditional ceramics and by the most
innovative designer trends and it always
delivers excellent quality standards.
Schede
sfumature di tono e colore. L’immagine stage in the refined bathroom.
evidenzia tutte le qualità della materia e della
lavorazione nella vasca da centro stanza
Artemisia.
 Tutta la casa
a portata di dito
The whole house at the
flip of a switch
Notoriamente la quotidiana pratica di controllo dei meccanismi di schermatura o di chiu-
sura della casa o di uno spazio di lavoro è un’operazione impegnativa, che spesso ne-
cessita di troppo tempo e fatica. Partendo da questa considerazione Jolly Motor
International presenta oggi i suoi nuovi dispositivi via radio, grazie ai quali l’automazione
domestica diventa facile e veloce e la gestione di un numero elevato di tapparelle e tende
da sole non costituisce più un problema. I sistemi proposti sono arricchiti di varie funzioni
di grande utilità, che vanno dalla centralizzazione di più motoriduttori alla funzione timer,
dalla ricezione dei segnali emessi dai sensori di vento, sole e pioggia, alla gestione degli
allarmi antieffrazione. Tra le ultime novità del catalogo Jolly, tre innovative trasmittenti: Kat
T, che unisce alta tecnologia e design accattivante; TX Baby, dalle dimensioni estrema-
mente ridotte, e Sal Timer, con funzione di controllo a tempo; notevoli infine le prestazioni
del telecomando Tx Radium, capace di comandare separatamente fino a 6 motori.
1 Just by one hand
The day to day management of security or locking mechanisms for the house or
office is a hassle, a notoriously tiring and time-consuming operation.
That is why Jolly Motor International is now presenting new radio-controlled models.
Thanks to their advancements, domestic automation is fast and easy; even managing mul-
tiple rolling shutters and awnings is no longer a problem. These systems are equipped with
a host of practical functions that range from the centralization of more geared motors and
timer functions to receiving signals from wind, sun and rain sensors and managing burglar
alarms. Among the newest arrivals in the Jolly catalogue are three innovative transmitters:
Kat T, uniting high technology and cool design; TX Baby, super-reduced size, and Sal
Timer, with delay timer control, as well as the remote control Tx Radium boasting note-
worthy performance capable of separately commanding up to 6 motors.
Controllare lo spazio?
Basta una mano
Commanding space?
Con l’aumentare delle soluzioni tecnologiche messe a disposizione dal mercato,
in parallelo alle nuove esigenze di sicurezza, comfort, e privacy l’intera gestione degli ap-
parati di automazione degli ambienti domestici o di lavoro si è fatta via via sempre più com-
plessa e difficile da gestire.
Oggi, però, attraverso la combinazione di più unità di trasmissione – fino a ben 11 differen-
ti – NiceWay è in grado di fornire soluzioni su misura per il controllo di sistemi automatizza-
ti: dai comandi di apertura/chiusura di porte, cancelli, tende o tapparelle, fino ai sistemi di
irrigazione e di illuminazione. Con un solo comando radio – dal peso e dalle dimensioni ri-
dottissime: solo 18 g e 16 cmq – è finalmente possibile gestire un intero sistema com-
plesso, non solo della casa ma anche di uffici, residence o alberghi. All’altissimo livello tec-
nologico, che garantisce anche un’ampia durata nel tempo, si affiancano le dinamiche so-
luzioni stilistiche nel design del prodotto, che risalta per la moderna essenzialità delle linee,
di un’eleganza quasi minimale, e per le briose varianti cromatiche dei diversi modelli.
With new technologies constantly arriving on the market and new requirements re-
garding safety, comfort and privacy, managing all of the automatic apparatus in a domes-
tic environment is becoming more and more difficult.
Today, however, with even more transmitter modules – up to eleven different – NiceWay is
able to provide personalized solutions to automated systems: from opening/closing
doors, gates, awnings or roller shutters, to activating irrigation systems and lights. With
one single remote control – small and lightweight: only 16 square centimetres weighing in
at 18 grams – it is finally possible to manage an entire complex system from the home,
the office, or hotel. High-level technology guarantees long-term quality and the dynamic
product design style, with sleek and modern lines for minimalist-style elegance, is further
enhanced by the festive colours of the varying models.

3 La ridottissima trasmittente TX 3 The reduced size of the TX

Baby possiede una comoda
clip sul retro che funge sia da
pulsante di comando che da
aggancio a taschino.
4 La nuova trasmittente Kat T
unisce all’alta tecnologia un
design innovativo e
accattivante.
Baby transmitter has a dual-
purpose clip on the back,
which serves as the command
button as well as a pocket clip. 2
4 The new Kat T transmitter
unites high technology and
innovative cool design.

4 5

1 Grazie ai suoi 12 canali di trasmissione Tx 1 Thanks to its 12 transmission channels, the 1 Sistema NiceWay. Al centro il modulo 1 NiceWay System. In the centre the transmitter
JOLLY MOTOR INTERNATIONAL S.p.A. Radium 12 Channel può comandare Tx Radium 12 Channel can separately trasmettitore, ai quattro lati i coloratissimi module, on the four corners the brilliantly NICE S.p.A.
XV Viale Caproni 13 - Zona Industriale separatamente fino a 6 motori (6 comandi command up to 6 motors (6 commands for supporti portatili nelle diverse versioni. I coloured portable supports in various versions. Via Pezza Alta 13, Zona Industriale Rustignè XVI
38068 Rovereto (TN) dedicati per la salita e altrettanti per la raising and another 6 for lowering). The moduli trasmettitori a 1, 3, 6, 9 canali The 1, 3, 6, 9 transmitter modules can manage 31046 Oderzo (TV)
T +39 0464 484400 discesa). Il telecomando è dotato di un remote control is equipped with a back-lit possono gestire singoli automatismi, gruppi o single automations, groups or multi-groups, T +39 0422 853838
F +39 0464 430087 display retro-illuminato che rende la lettura dei display making it quicker and easier to read. multigruppi mentre il modulo a 240 canali con while the 240 channel module with display is F +39 0422 853585
info@jollymotor.net dati semplice e immediata. 2 The Sal Timer transmitter, with a display è in grado di gestire addirittura 80 able to handle up to 80 different groups and 70 mktg@niceforyou.com
2 La trasmittente Sal Timer, con programmable timer for raising and lowering, gruppi e 70 multigruppi differenti. different multi-groups.
www.jollymotor.com www.niceforyou.com
Schede

programmazione temporale dei comandi di
salita e discesa, si fa apprezzare anche per il
design semplice e pulito.
is also pleasing to the eye with its clean and
simple design.
2-3-4-5 Realizzato con raffinati materiali
antiurto e finiture estremamente curate,
NiceWay è disponibile con diversi supporti:
da tavolo (2-3), tavolo o portatile (4), portatile
(5) oppure con placche a muro (1).
Schede
2-3-4-5 Crafted from durable shockproof
materials with attention to finishing details,
NiceWay is available with several supports: table
(2-3), table or portable (4), portable (5) or with
wall brackets (1).
 Minimalismo d’acciaio
Minimal steel
È probabilmente nei dettagli costruttivi dell’architettura e dell’interior design che l’ap-
proccio minimalista, più una vera e propria visione del mondo che un semplice stile, è riu-
scito maggiormente a portare a termine la propria mission essenziale e razionalista.
La consapevolezza dell’importanza figurativa – oltre che funzionale – che un elemento “mi-
nimal” come il serramento in acciaio può esercitare sugli spazi costruiti è alla base del mo-
dus operandi progettuale di Palladio Trading & Engineering. Dopo il successo della serie
5020, Palladio propone oggi la nuova serie 5010, caratterizzata da un profilo tubolare dal-
l’ingombro visivo esilissimo – ottenuto grazie a una larghezza della cassa del telaio ridotta a
soli 10 mm – che richiama il tradizionale ferrofinestra ma garantisce in più la qualità dell’ac-
ciaio da 2 mm di spessore. Gli elevati standard di durata nel tempo e di resistenza agli agen-
ti atmosferici sono garantiti inoltre dal sistema di saldatura in continuo con riporto di zinco;
nello stesso tempo l’innovativo sistema a scudo termico garantisce un altissimo isolamento.
It is probably in the details of architectural structure and interior design that
you find the essential and rationalist essence of minimalism incorporated as way of look-
ing at the world, more than as a simple trend in style.
The understanding of the figurative importance – beyond simple practicality – that a “mini-
mal” element such as steel-frame construction can have, is the basis of modus operandi
for planning at Palladio Trading & Engineering. After the success of the 5020 series, Palla-
dio is proud to present the new 5010 series, characterized by its tubular shape and its
slim unobtrusive size – thanks to the casement frame being reduced to only 10 mm –
making it similar to traditional steel-frame windows while guaranteeing quality 2 mm thick
steel. High product standards make it durable and weather resistant. Protected by its
continuous weld zinc galvanized construction; it is also equipped with an innovative ther-
mal shield that guarantees high quality insulation.
Quell’invisibile varco
per un altro spazio
The invisible passage to
another space
Chiudere, separare, specializzare le funzioni dello spazio senza dichiarare in ma-
niera evidente la presenza di un varco di separazione, di una soglia di passaggio costitui-
sce un passo di grande valenza architettonica (insieme simbolica e funzionale) nel con-
tempo semplice ma complessa da realizzare. L’innovativo sistema L’Invisibile-Chiusure
Speciali è in grado di rispondere in modo articolato a tale esigenza: dalla chiusura o se-
parazione di più ambienti al nascondimento di impianti o canalizzazioni, dall’occultamento
di ripostigli alla creazione di armadiature di qualsiasi tipo. Il sistema consente di realizzare
modelli su misura di porte e pannelli, che si possono inserire in muri o pareti di cartongesso
di vario spessore e quindi rivestire in diversi materiali. La struttura è formata da un pannel-
lo in MDF da 19 mm e da un nucleo in lega di alluminio estruso che, sostituendo il tradi-
zionale sistema a cassonetto (imbotte-stipite), permette l’allineamento all’intonaco e l’eli-
minazione delle cornici coprifilo, consentendo al pannello/porta di scomparire interamen-
te alla vista.
To close, separate, or create an area for a specific use in a way that is simple and
without the evident presence of a threshold or of a passageway, holds great architectural
value (symbolically and functionally), but at the same time is difficult to create.
The innovative system L’Invisibile-Special closures can respond accurately to these
needs: whether closing or separating environments, hiding an installation or canalization,
concealing repositories, or creating closets of any type. The system permits the realization
of any size door or panel to be placed inside structural support walls or dividing walls of
varying thickness and then covered with other materials.
The structure is formed by a 19 mm MDF panel and a core of extruded aluminium alloy
eliminating the traditional box system and allowing for flush mount doors without jambs
that make the panel/door disappear entirely.

1 L’Invisibile-Chiusure Speciali si allinea

perfettamente all’intonaco, scomparendo
completamente nel disegno della parete
(eventualmente può essere predisposto un
sistema di apertura a chiave).
La struttura del nucleo in alluminio garantisce
la perfetta planarità del pannello con tutti i tipi
di intonaco o di cartongesso ed elimina ogni
eventuale problema di screpolatura.

1 L’Invisibile-Special closures allows for flush

mount doors that disappear completely
inside the wall itself (optional key opening
system is also available). The structure of the
aluminium core guarantees the perfect flat
alignment of the panel with all types of plaster
or sheetrock completely eliminating any future
risk of cracking.
2

3
3 Gli innovativi sistemi di chiusure a totale
invisibilità di Portarredo – Invisibile, Ventolo e
Nicchio – sonoraccolti sotto l’unico marchio
L’Invisibile, insieme alle singole specifiche; a
Battente, a Bilico Verticale, Chiusure Speciali.

3 The innovative system of invisible closures

by Portarredo – Invisibile, Ventolo and Nicchio
– are all gathered together under the single
brand L’Invisibile with individual features; push
1 3 1 2 and pull, overhead swing, special closures.

1 Oltre alla linea essenziale, dagli ingombri 1 Beyond its simple and elegant design, it 2 Il sistema L’Invisibile-Chiusure Speciali può 2 L’Invisibile System-Special closures can be
PALLADIO TRADING S.r.l. minimi, la serie 5010 risponde a esigenze di saves space; the 5010 series answers your essere rivestito in diversi materiali (in ceramica covered with a variety of materials (with PORTARREDO S.r.l.
XVII Via A. Boito 25/31 funzionalità nel tempo e offre garanzie di needs by saving you time while offering nell’immagine). Il nucleo in alluminio è munito ceramic in the photo). The aluminium core is Via G. Mameli 20, Zona Industriale XVIII
31048 San Biagio di Callalta (TV) sicurezza e d’isolamento termico e acustico. practicality and security as well as thermal and di zanchette perimetrali che ne facilitano il equipped with fish-tail clamps making it 40062 Molinella (BO)
T +39 0422 7969 2 Nell’immagine in esploso si possono acoustic insulation. posizionamento in parete e l’anta è easier to position inside the wall and the door T + 39 051 887751 r.a. - 6900532
F +39 0422 796969 apprezzare in dettaglio i particolari 2 The magnified photo shows the details of predisposta con cerniere apposite che ne is equipped with special hinges that F + 39 051 6903821
info@palladiotrading.com dell’esclusivo Scudo Termico Palladio®. Il the special and exclusive Thermal Shield garantiscono la corretta apertura/chiusura. guarantee perfect aperture/closure each and info@portarredo.com
profilo 5010 può essere isolato termicamente Palladio®. The 5010 model can be thermally every time.
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Schede

anche a infisso già installato.
3 Dettaglio del profilo tubolare 5010. La
larghezza della cassa del telaio è ridotta
rispetto alla Serie 5020: solo 10 mm.
Schede
insulated to previously standing structures.
3 Details of the tubular 5010 design. The
width of the casement frame is smaller than
the 5020 Series: a mere 10 mm.
 I molteplici effetti Parola d’ordine:
della trasparenza versatilità
The many effects of Word of the day:
transparency 1
versatility 1

Se c’è un aspetto che contraddistingue il poliedrico universo dell’architettura contempora-
nea è la presenza ricorrente di soluzioni formali basate su effetti di trasparenza, matericità
o trama.
In tale contesto ben si inseriscono le proprietà di prodotti come il vetro Madras®, pensato
da Vitrealspecchi non solo come un rivestimento con precise qualità prestazionali ma an-
che e soprattutto come elemento compositivo capace di caratterizzare spazi interni, pro-
spetti o corpi in aggetto. Grazie a speciali processi di incisione chimica, che non alterano
le caratteristiche di resistenza della lastra e la mantengono temperabile, stratificabile e cur-
vabile, il vetro viene dotato di particolari textures di superficie, anche realizzate su specifi-
ca indicazione. Le proposte offerte si distinguono per varietà: dalla sericità tattile di Eco-
Sat®, vetro satinato con trasmissione luminosa perfettamente uniforme, alla leggerezza di
Lievemadras®, fino alla ricchezza di sfumature di Silk Vetroseta®. Le dimensioni delle la-
stre sono da 1.800//2.550x3.210 mm, gli spessori da 3 a 19 mm, anche già stratificati.
If there is one aspect that sets the multifaceted universe of contemporary architecture
apart from the rest, it is the reoccurring presence of ideas that blossom from the effects
of transparency, feel or texture. In this same context we find quality products such as
Madras® glass, designed by Vitrealspecchi not just as a quality external covering, but as
a special design element capable of lending character to interiors, facades and three-di-
mensional surfaces. Thanks to special chemical-etching processes, which maintain the
resistance of the sheet so that it remains workable, even for layers and curves, glass fea-
tures specially designed textures and surfaces; however, custom designs are also avail-
able on request. The wide range of available products offers ample variety. Products in-
clude the satiny touch of Eco-Sat® brushed glass, perfectly uniform and luminous, light-
weight Lievemadras®, and the rich shades of Silk Vetroseta®. The dimensions of the
plates are 1,800//2,550x3,210 mm with a variable width from 3 to 19 mm, including lay-
ered glass.
Piz è un sistema innovativo per il rivestimento di edifici civili e industriali. La struttura è
posta in opera mediante fissaggio meccanico di guide in lega leggera su cui è impegnato
il pannello Zecca, formato da un paramento in malta cementizia fibrorinforzata modificata,
accoppiata a una lastra di materiale isolante. Il sistema Piz può essere montato con sem-
plici operazioni su qualsiasi superficie, senza alcuna preparazione o pulizia particolare del-
la parete supporto, risultando comodo ed economico sia per le nuove costruzioni che per
gli interventi di ristrutturazione. Il vasto assortimento di colori e finiture consente la massima
libertà progettuale, con possibilità espressive ed esiti estetici estremamente vari e adatti a
ogni contesto. Tre le finiture: liscio, rustico e granigliato; 40 i colori. Notevoli le prestazioni:
traspirabilità e resistenza agli agenti atmosferici, al fuoco (classe 1 certificata), agli urti e al-
l’abrasione. Il fissaggio meccanico garantisce il miglior comportamento alle escursioni ter-
miche; il paramento cementizio, colorato in massa con ossidi minerali, assicura la massi-
ma stabilità cromatica. Piz è qualitativamente riconosciuto con “Certificazione Prodotto” n.
P028 secondo ICMQ e CSTB Avis Technique n. 2/05-1126 francese.
Piz is an innovative cladding system for civil and industrial buildings. The structure
is installed by mechanically fixing light alloy runners, which bear the Zecca panels. This
consists in a modified fibre-reinforced cement mortar surface coupled with a sheet of in-
sulating material. The Piz system can be mounted simply on any surface without the need
for preparation or special cleaning of the supporting wall, thus proving convenient and
inexpensive both for new constructions and in restructuring operations. The vast assort-
ment of colours and finishes offers great design freedom, with extremely varied possibili-
ties of expressions and aesthetic results suitable for any context. It comes in three finishes:
smooth, rustic and crushed stone as well as 40 colours. The performance is remarkable:
it transpires and is resistant to atmospheric agents, fire (class 1 certified), shocks and
scratches. The mechanical fixing guarantees the best reaction to temperature ranges; the
concrete surface, coloured en masse with mineral oxides, assures maximum colour sta-
bility. Piz is classified with the “Product Certification” num. P028 according to French ICMQ
and CSTB Avis Technique num. 2/05-1126.

2 2 3

1 Il rivestimento di facciata della nuova sede 1 The covering of the facade of the new 1 Una delle più recenti realizzazioni con il 1 One of the most recent applications using
VITREALSPECCHI S.p.A. Siemens di Erlangen (Germania), progettata Siemens headquarters in Erlangen sistema di pannelli Piz per il rivestimento Piz panels for outdoor coverings: Turin’s ZECCA PREFABBRICATI S.p.A.
XIX Via 4 Novembre 95 da Wolker Staab Architekten BDA, è stato (Germany), designed by Wolker Staab esterno: il Palaghiaccio di Torino per le Palaghiaccio for the Winter Olympics 2006. Via dei Molini 22 XX
22066 Mariano Comense (CO) realizzato con lastre di vetro verde Madras Architekten BDA, and constructed with 10 Olimpiadi Invernali 2006. 2 The bicolour coverings for a new hotel in 23010 Cosio Valtellina (SO)
T +39 031745062 Silk Vetroseta® da 10 mm. mm green Madras Silk Vetroseta® glass 2 Rivestimento bicolore per un nuovo hotel a Cuneo. T +39 0342 606060
F +39 031743166 2-3 Nel confronto delle immagini si può plates. Cuneo. 3 Terracotta effect for this building in Milan. F +39 0342 606080
info@vitrealspecchi.it apprezzare la variazione di luce e tonalità del 2-3 By comparing the two photos you can 3 Effetto cotto per questo edificio a Milano. Piz panels are available in 40 colours and Piazza Mentana 3
vetro, che può oscillare, nelle diverse ore del appreciate the light and tone variations in the I pannelli Piz sono disponibili in 40 colori e tre three finishes, smooth, rustic and grained.
www.vitrealspecchi.it 20123 Milano
Schede

giorno e della notte, dal classico verde
Siemens a un verde argentato. I colori del
vetro sono “in pasta”, quindi inalterabili.
Schede
glass, which can oscillate from day to night finiture: liscio, rustico e granigliato.
piz@zecca.com
from classic Siemens green to silver. The
colours of the glass are ‘embedded’, and www.zecca.com
therefore will not change in time. www.piz.it
 domus 885 - L’ediliziadella città / The building of a city
901 ARIOSTEA S.P.A.
902 BERTOLOTTO PORTE S.P.A.
903 CELSIUS ITALIA S.R.L.
904 CERAMICA FIORANESE
905 CERAMICA SANT’AGOSTINO
906 DURAVIT ITALIA S.R.L.
907 GOCCIA ILLUMINAZIONE S.R.L.
908 GUNNEBO ENTRANCE CONTROL S.P.A.
909 IB RUBINETTERIE S.P.A.
Numero di codice
inserzionista
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Nome/Name
Cognome/Surname
Via/Street
Città/Town
Prov/State/Region Nazione/Country
XXI
Telefono/Telephone
E-Mail
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Professione/Profession
Servizio gratuito lettori
Free enquiry service
910 HIDRA S.R.L. Per ricevere ulteriori informazioni sugli
inserzionisti inserire il loro numero di codice,
911 IL MARMO S.R.L. barrare la casella desiderata e spedire la
cartolina alla Editoriale Domus presso l’indirizzo
912 JOLLY MOTOR INTERNATIONAL S.P.A. indicato sotto. Tutte le richieste saranno evase
se spedite entro otto mesi dalla data della
913 NICE S.P.A. rivista.
914 PALLADIO TRADING S.R.L. ■ To receive further information on advertisers,
insert their code number, check the
915 PORTARREDO S.R.L. appropriate boxes and mail the form to the
address below. All requests will be fulfilled if
916 VITREALSPECCHI S.P.A. sent within eight months of this issue.
917 ZECCA PREFABBRICATI S.P.A. Direzione Pubblicità Servizio gratuito
lettori P.O. Box 13080
20130 Milano (Italia)
Documentazione Indirizzo Distribuzione Punti vendita Richiesta di Ai sensi della Legge 675/96 sulla Privacy, la
Literature Address Distribution Selling points contatto diretto
informiamo che i suoi dati, raccolti con la
Request for compilazione in questa scheda, saranno
direct contact trattati con modalità prevalentemente
informatiche. Nel rispetto delle norme di
sicurezza essi verranno trasmessi alle Aziende
da lei indicate le quali provvederanno a inviarle
il proprio materiale pubblicitario. Tuttavia, in
caso di rifiuto da parte sua al conferimento e al
trattamento dei suoi dati non potremo dare
corso a tali adempimenti. I suoi dati potranno
essere utilizzati dall’Editoriale Domus e dalle
Società collegate per la promozione
commerciale di riviste o di altri prodotti. A lei
competono tutti i diritti previsti dall’articolo 13
della Legge 675/96. Responsabile del
trattamento è l’Editoriale Domus S.p.A.,
via Gianni Mazzocchi 1/3,
20089 Rozzano (MI).
■ In compliance with Privacy Law 675/96, we
inform you that your data, gathered when this
card was compiled, will be treated with
computing procedures, mainly. They will be
transmitted by us, in conformity with security
norms, to companies indicated by you, which
will take care of sending you their advertising
material. However, if you should refuse to
permit the transmission and processing of
your data, we shall be unable to carry out the
above procedures. Your data may be used by
Editoriale Domus and associated companies
for the commercial promotion of magazines or
other products.You are entitled to all the rights
provided for by article 13 of Law 675/96.
In charge of data processing:
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Editoriale Domus S.p.A.,
Via Gianni Mazzocchi 1/3,
20089 Rozzano (Milan).
Cap/Postal Code
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Informazione aziendale / Manufacturer’s information
Quadro Rex Electrolux: il forno che riscalda la fantasia
L’incontro tra opposti – da una parte
l’astrazione delle leggi che regolano
il danzare armonico di quadrati e
rettangoli aurei, dall’altra il caldo
insieme di norme e consuetudini
ergonomiche che scaturiscono dal
quotidiano affaccendarsi domestico
– appare come principio primario
nel design dei forni Quadro, tra le più
recenti creazioni di casa Rex
Electrolux.
Quadro si presenta come un cubo ad
altissima tecnologia, nel quale la
pulizia delle forme e la composizione
rigorosa in alluminio e vetro del
frontale-interfaccia – unico lato del
volume che risulta sempre visibile –
rispondono a esigenze di facile e
immediata comprensione dei
comandi, e assolvono nel contempo
alla domanda di bellezza che sempre
rivolgiamo agli oggetti che appaiono
tutti i giorni al nostro sguardo.
La finestra della porta, a filo, ne
mantiene la superficie continua e
lineare, mentre grazie al comodo
programmatore elettronico Touch
Control, in posizione centrale, sarà
sufficiente sfiorare i tasti per
impostare tutte le funzioni
disponibili: dal metodo/durata alla
temperatura di cottura, dai
dispositivi di sicurezza che bloccano
il funzionamento a oltranza, fino a
un comodo ricettario elettronico
(previsto per i modelli Touch Control
a due livelli). Notevolissimi i
contenuti prestazionali. Forno in
classe A per efficienza energetica,
Quadro consente di ottenere ottimali
cotture del cibo, pur riducendo al
massimo il consumo di tempo e di
elettricità. Grazie al sistema High
Performance Flow System, brevettato
da Rex, tutti i modelli della linea
integrano due esclusive innovazioni:
la ventola decentrata e la
Condensation Box, posizionata nella
parte superiore della cavità del
forno. Attraverso una naturale
circolazione dell’aria, quest’ultimo
dispositivo recupera i vapori liberati
dagli alimenti, mantenendo in
condizioni costanti di umidità
l’ambiente di cottura; nello stesso
tempo, la ventola decentrata
migliora notevolmente la
circolazione forzata d’aria calda,
conservando la temperatura del
forno perfettamente uniforme e
consentendo di ottenere una cottura
rapida e omogenea delle nostre
preparazioni più fantasiose.
Quadro, modello Multinove Touch ■ Quadro, Multinove Touch Control
Control Porta Libro FLQ 0200 XE: il Porta Libro FLQ 0200 XE model: the
sistema di apertura unisce comodità ed opening system unites commodity and
eleganza, mentre l’ampia finestra elegance, whereas the large central
centrale – in vetro ipotermico con window – in hypothermic glass with
cristallo interno termoriflettente - thermo-reflecting internal crystal –
permette di verificare costantemente la allows for constant checking of food
cottura dei cibi. Il forno è dotato di un cooking. The oven is equipped with a
grill basculante, che può essere tilting grill, which can be easily
agevolmente reclinato per facilitare le reclined to facilitate cleaning up
operazioni di pulizia
 Quadro Rex Electrolux: the oven which warms up fantasies

■ The encounter between opposites:

on one side the abstraction of the
laws which regulate the harmonic
dancing of golden squares and
rectangles, on the other side the
warm blending of ergonomic habits
and norms which originate from
daily domestic work.
This encounter appears as the
primary principle in the design of the
Quadro ovens, among the most
recent creations of Rex Electrolux.
Quadro presents itself as a high-
technology cube, in which the
neatness of the forms and the
rigorous aluminum and glass
composition of the frontal interface –
the only side of the volume which
always results visible – respond to
the needs of an easy and immediate
understanding of the commands
and, at the same time, conform to
the demand for beauty which we
constantly require from the objects
which appear every day in front of us.
The door’s window, which is in clean
lines, preserves the continuous and
linear surface, whereas thanks to the
handy Touch Control electronic
programmer, situated in a central
position, it will be sufficient to skim
the button to set all of the available
functions: from method/time until
cooking temperature, from the
security devices which block the
indefinite running, up to a handy
electronic recipe program (designed
for the Touch Control models at two
levels). The performance contents
are remarkable. Energy efficiency
Class A oven, Quadro allows for
optimal cooking, despite reducing
time and electricity consumption to
the utmost. Thanks to the High
Performance Flow System, patented
by Rex, all of the models integrate
two exclusive innovations: the
decentralized fan and the
Condensation Box, positioned in the
upper part of the oven’s cavity.
Through natural circulation of the
air, this device recovers the vapors
released by the food, keeping in
constant moisture condition the
cooking environment; at the same
time, the decentralized fan
drastically improves the forced
circulation of warm air, thus
perfectly conserving a uniform
oven’s temperature and allowing to
achieve the rapid and homogenous
cooking of our most imaginative
preparations.

In alto: dettaglio del programmatore
elettronico multilingue Touch Control a
due livelli, con display a cristalli liquidi.
Il sistema integra un comodo ricettario
elettronico: è sufficiente selezionare
una delle ricette e il forno imposta
automaticamente la modalità, la
temperatura e la durata ideali ad
ottenere i migliori risultati di cottura
■ Above: Detail of the electronic
multilingual programmer Touch Control
at two levels, with liquid crystal
display. The system integrates an easy-
to-use electronic recipe program: it is
sufficient to select one of the recipes
and the oven automatically sets the
ideal mode, temperature and duration
to obtain the best cooking results
Il sistema di apertura tradizionale
dell’elegante modello Quadro
Alluminio FMQ 0200 XE: in caso di
necessità la porta può essere estratta.
Tutti i modelli Quadro integrano un
sistema di sicurezza che impedisce al
forno di funzionare a oltranza e di
sprecare energia, oppure che ne blocca
l’accensione per evitare che i bambini
possano scottarsi
■ The horizontal-hanging opening
system of the elegant model Quadro
Alluminio FMQ 0200 XE: in case of
necessity the door can be removed. All
of the Quadro models integrate a
security system which prevents the
oven from functioning indefinitely and Rex Electrolux
therefore waste energy, and also blocks Corso Lino Zanussi, 26
the switching on, thus preventing 33080 Porcia (Pordenone)
injury to children www.rexbuilt-in.it
Pronto Rex 0434558500

Informazione aziendale / Manufacturer’s information Informazione aziendale / Manufacturer’s information

 Irsap: Le linee che riscaldano
Esistono probabilmente due tipi
di calore: esiste un calore dei
corpi, che scandisce i bioritmi
ed è indispensabile alle
condizioni di vita e di crescita,
ed esiste un calore dei segni e
delle emozioni, altrettanto
necessario, che affida la propria
trasmissione alla capacità di
conduzione sensibile delle forme.
Esito di un’esperienza
quarantennale nella progettazione
1 2
1. Cless. La curvatura dei collettori –
unica nel suo genere – crea effetti
prospettici particolari. Disponibile in
varie altezze e larghezze
2. Le linee essenziali e astratte di Arpa
racchiudono una struttura tubolare in
acciaio – dal diametro di 18 mm. Per
soddisfare richieste di maggiore resa
calorica, Arpa è proposto anche in
versione con doppia sequenza di tubi ai
lati del collettore
3. La classica figura di Tesi (prodotto dal
1967) esalta il carattere e la personalità
delle zone a giorno della casa. Grande la
varietà di misure prodotte: 5 profondità,
18 altezze, lunghezza illimitata
e nella produzione di radiatori in
acciaio tubolare, i modelli
dell’ampia gamma Irsap riescono
a combinare l’efficienza termica
con una risposta adeguata ai
desideri figurativi e alle esigenze
formali dei diversi ambienti.
Il sistema di qualità aziendale
Irsap è certificato UNI EN ISO
9001: le rese di tutti i prodotti
Irsap sono misurate secondo le
norme EN 442.
■ 1. Cless. The unique curve of the
collectors creates particularly graceful
effects. Available in a variety of
heights and widths
2. The essential and abstract lines of
Arpa enclose a tubular steel structure
with an 18 mm diameter. To satisfy the
need for greater heating efficiency, Arpa
is also available with a double sequence
of tubes on the sides of the collector
3. The classical beauty of Tesi (in
production since 1967) exalts the
character and personality of the daytime
areas of the home. Tesi is produced in a
wide variety of measurements: 5 depths,
18 heights and unlimited lengths
3 ash-wood and ebony
Irsap: The lines which generate warmth
■ There are two types of warmth: and producing tubular steel
the heat generated by people radiators and the wide range of
and their individual bio- products combines thermal
rhythms, indispensable for life efficiency with beauty to
and growth, and the heat create a precious addition to
generated by emotions and any room.
signs which is also indispensable The high quality standards of
and which entrusts its Irsap are backed by the UNI EN
transmission to the conduction ISO 9001 certificate and the
capacity of forms. efficiency of all Irsap products is
Irsap has had more than 40 measured in compliance to
years of experience in designing EN 442 standards.
IRSAP SPA
Via delle Industrie 211
45031 Arquà Polesine (RO)
T +39 0425 466611
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Informazione aziendale / Manufacturer’s information
Ludwig, un mobile sorprendente
La credenza Ludwig, il nuovo
mobile contenitore presentato da
Acerbis International nel 2005, si
caratterizza per l’innovativo
sistema di apertura contemporanea
Dual-Flap®, sia dell’anta sia di una
parte del coperchio.
Ecco come il progettista descrive la
nascita del nuovo prodotto:
“Mi sono chiesto come dovesse
essere un nuovo concetto di mobile
credenza. Un mobile rivolto al
futuro, ma allo stesso tempo sintesi
dell’esperienza accumulata in tutti
questi anni dedicati al mondo del
mobile. Ho immaginato una forma
semplice, un volume puro, quasi
astratto, dove l’assenza di inutili
dettagli desse massimo risalto al
valore della materia, al pregio della
finitura. Un mobile in cui l’uso di
materiali diversi, enfatizzati dalla
luce e sapientemente accostati
all’acciaio lucido dei fianchi e della
base, definisse di volta in volta
un’emozione diversa, da cogliere
con la vista e con il tatto. La
ricchezza dei riflessi della laccatura
lucida, l’elegante sobrietà del
Ludwig, progettato da Lodovico
Acerbis, si caratterizza per l’innovativo
sistema di apertura contemporanea
Dual-Flap®, sia dell’anta sia di una
parte del coperchio. Le finiture del top
e dell’anta possono spaziare dal laccato
opaco o lucido, a vari tipi di rovere, al
frassino olivato fiammato, all’ebano
■ Ludwig, designed by Lodovico
Acerbis, is characterized by Dual-Flap®,
an innovative and contemporary
opening system, which allows access
by the panel and parts of the cover.
The top finish and the panel finish are
available in opaque or shiny lacquer,
as well as various types of oak, olive
rovere, il fascino dell’ebano, la
bellezza naturale delle venature del
frassino olivato, enfatizzata
selezionando ed accoppiando con
cura l’impiallacciatura, che è anima
del tronco dell’albero e ‘corteccia
del mobile’. Ho pensato inoltre che
il mobile, tanto sorprendente da
chiuso, dovesse sorprendere anche
da aperto per la tecnologia e la
praticità d’uso. Ecco quindi che con
un semplice ed unico gesto, mentre
la grande anta ruota verso il basso
arretrando parzialmente,
misteriosamente una parte del top
si solleva aprendo completamente
alla vista il contenuto della
credenza. Lo spazio interno,
rischiarato da una doppia fila di
punti luminosi, l’ho immaginato
come un unico grande vano, aperto
e liberamente fruibile da ogni lato,
ed organizzato con leggeri telai
in metallo cromato, ripiani
trasparenti e cassetti. Mi sono
chiesto come dovesse essere un
nuovo concetto di mobile credenza.
Ho realizzato Ludwig”.
Lodovico Acerbis
Ludwig, a surprising piece of furniture
■ The Ludwig cabinet, Acerbis
International’s new innovation
presented in 2005, is characterized
by its innovative Dual-Flap®
opening system, which allows
cabinet access by the panel or by
the cover. In the words of the
innovative new product’s designer:
“I asked myself how a new
kitchen cabinet should be.
A piece of furniture that looks
towards the future, while at the
same time incorporating a
synthesis knowledge acquired
during years of experience in
furniture making.
I imagined a simple shape, pure
abstract volume stripped of
useless details, to emphasize its
high quality materials and
refined finish. A piece of furniture
where the use of different
materials, cleverly coordinated to
emphasize light, such as shiny
steel on the sides and base,
produces a new emotion that is
pleasing to the eye and begs to
be touched.
The richly reflecting natural gloss
Informazione aziendale / Manufacturer’s information
finish, the elegant sobriety of
classic oak, the charm of ebony
and the naturally beautiful
graining of olive ash-wood,
emphasize the veneer and animate
the ‘furniture covering’.
I thought that a piece of furniture
that was so impressive when
closed, should be equally as
inspiring when it is open, thanks
to its technological superiority
and practicality.
With just one simple gesture,
the large front panel tilts down
and retracts slightly, while the
top rises up to reveal the contents
of the cabinet. Inside, a double
line of recessed lights illuminate
the cabinet interiors which are
designed as a single, large
compartment that is open and
accessible from every direction.
The space is organized with two
thin frames, transparent glass
shelves and drawers.
I asked myself how a new kitchen
cabinet should look, and I realized
Ludwig”.
Lodovico Acerbis
ACERBIS INTERNATIONAL SPA
Via Brusaporto, 31
24068 Seriate (BG) Italy
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 885
Ottobre/October 2005. Sommario/Contents:
Copertina Cover Amir Zaki
01 Calendario Calendar A cura di/Edited by Elena Sommariva, Luigi Spinelli
14 Ettore Sottsass. Foto dal finestrino Pictures from a window
16 Michael Maltzan. Prisms Tre progetti dell’architetto californiano sulla relazione tra interno e esterno Three designs by Californian
architect Michael Maltzan on the relationship between private and public space. A cura di/Edited by Joseph Grima, Karen Marta, Matteo Poli
32 Amir Zaki. Neutra Disavowed 38 Livia Corona. Sale House Le foto delle case di Richard Neutra manipolate digitalmente da Amir Zaki e le
immagini di Livia Corona di 2-4-6-8 Studio di Morphosis, ampliato da Johnston Marklee Architects, dimostrano, come suggerisce Rastignac,
che nessuna architettura a Los Angeles raggiungerà mai l’immortalità Amir Zaki’s digitally manipulated photographs of Richard Neutra
houses and Livia Corona’s images of Thom Mayne’s 2-4-6-8 Studio, become the Sale House by Johnston Marklee Architects, demonstrate, as
Rastignac suggests, that no building in Los Angeles will achieve immortality as a “classic”. A cura di/Edited by Joseph Grima e/and Karen Marta
46 Bruno Latour. Scienziati interessati e fatti discutibili Interested scientists and disputable facts La scienza è oggettiva? Dialogo tra
filosofi Is science objective? A conversation between philosophers
48 Texile design/1 – Le sete dell’anima Silks of the soul Antiche stoffe raccolte da un parroco-artista Ancient brocades and damasks collected
by a parish priest and artist. Testo di/Text by Don Battista Marello. A cura di/Edited by Rita Capezzuto. Fotografia di/Photography by Fabio Esposito
56 Texile design/2 – Nanni Strada. Vestire di luce Dressing in light Un materiale vibrante e reattivo alla luce per costruire abiti rituali
A vibrant fabric that reacts to light for religious garment. Fotografia di/Photography by Francesco Radino. A cura di/Edited by Francesca Picchi
62 Texile design/3 – Boontje, il ricamatore Boontje, the embroiderer Broccati e damaschi in versione digitale A digital version of
brocades and damasks by Tord Boontje. A cura di/Edited by Francesca Picchi. Fotografia di/Photography by Casper Sejersen
68 Interview: Bruce Conner Hans Ulrich Obrist e Gunnar B Kvaran intervistano l’artista americano Hans Ulrich Obrist and Gunnar B
Kvaran interview Bruce Conner. A cura di/Edited by Loredana Mascheroni
72 Beatriz Colomina. Friends of the Future Una conversazione con Peter Smithson, nella sua casa di Londra, nel giugno 2000
A conversation with Peter Smithson, on June 2000, in his home in London. A cura di/Edited by Karen Marta, Loredana Mascheroni
80 nicole_fvr/2A+P. Round Blur Una rotonda stradale a Torino diventa il luogo di sperimentazione di una nuova formula di spazio
pubblico A roundabout in the heart of Turin becomes the site for an experimental park. Testo di/Text by nicole_fvr/2A+P.
Fotografia di/Photography by Paolo Rosselli. A cura di/Edited by Rita Capezzuto
88 Superluoghi Superplaces Una riflessione a proposito di due potenti metafore della globalizzazione On a couple of compelling
metaphors for globalisation
94 Mobile landscape Una ricerca di Carlo Ratti (MIT) per governare le risorse urbane in tempo reale MIT’s SENSEable City Laboratory creates
a real-time census for the management of the city’s resources. Testo di/Text by William J. Mitchell. A cura di/Edited by Loredana Mascheroni
100 Constant. Le radici di New Babylon New Babylon’s roots Domus ricostruisce le origini della prima utopia nomade della storia
dell’architettura Domus reconstructs the origins of architecture’s first nomadic utopia. Testo di/Text by Francesco Careri.
Fotografia di/Photography by Armin Linke. A cura di/Edited by Francesco Careri (stalker/osservatorio nomade), Elena Sommariva
114 Future Systems. Future school Capsule scolastiche con parametri spaziali e didattici innovativi School-capsules that uncover new
spatial and didactic possibilities. Fotografia di/Photography by Soren Aagaard. A cura di/Edited by Rita Capezzuto
118 Australian Bypass Un nastro d’acciaio disegna il paesaggio ai bordi di Melbourne A steel ribbon embraces the landscape on Melbourne’s
outskirts. Fotografia di/Photography by John Gollings (courtesy of Vic Roads), Peter Hyatt, Robert Owen. A cura di/Edited by Rita Capezzuto
122 Innesto d’arte Art Graft Koo Jeong-A. Senza titolo Untitled
129 Post-it: Libri Books A cura di/Edited by Gianmario Andreani
138 Rassegna: Nuovi bagni The new bathroom A cura di/Edited by Maria Cristina Tommasini. Immagine di copertina/Cover image: Hase by Gelatin
158 Panorama
161 El Topo: Roman Ondák A cura di/Edited by Maurizio Cattelan, Massimiliano Gioni e/and Ali Subotnick (Wrong Gallery)
 © Gamma
rivista fondata nel 1928 da Gio Ponti/review founded in 1928 by Gio Ponti

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Pittsburgh – U.S.A.
Frank Lloyd Wright:
Renewing the Legacy
1.10.2005 – 15.1.2006
Carnegie Museum, 4400 Forbes Avenue
T +1-412-6223131
www.cmoa.org
Presentare due edifici icona firmati da
Frank Lloyd Wright con un occhio rivolto
al futuro. È il tentativo di Raymund Ryan,
curatore per l’architettura al Carnegie
Museum, che alle fotografie d’epoca e ai
disegni originali della Martin House di
Buffalo, nello Stato di New York, e della
Price Tower di Bartlesville, in Oklahoma,
affianca due nuovi progetti. Dietro a
entrambi c’è una mano femminile:
Toshiko Mori nel primo caso e Zaha
Hadid per il secondo. “Tutte e due le
progettiste”, spiega Ryan, “hanno creato
edifici su misura per i luoghi, che si
ispirano alle strutture originali”. E.S.
To present two icons of architecture
signed by Frank Lloyd Wright – with an
eye to the future – is the attempt being
made by Raymund Ryan, curator of
architecture at the Carnegie Museum. He
has added two new projects to the
historical photographs and original
drawings of the Martin House in Buffalo,
New York, and to the Price Tower of
Bartlesville, Oklahoma. There is a
woman’s hand behind both of these
projects: Toshiko Mori for the first one
and Zaha Hadid for the second. Ryan
explained: “Both architects have created
buildings that are tailored to their site, that
are inspired by the original Wright
structure”. E.S.
Osaka – Giappone/Japan
International Design
Competition Osaka 2005
1.10.2005 – 31.10.2005
3-1-800, Umeda 1- Chome Kita-Ku
Foundation e promosso in Italia da Aedo-
to.com, che quest’anno approda alla sua
undicesima edizione. L’invito ai designer è
a trovare nuove soluzioni per ridurre al
minimo lo spreco di energia anche nel
quotidiano e contribuire a realizzare una
vita piacevole e, al contempo, sostenibile.
In palio, quattro premi che vanno da
1.500 a 15.000 dollari. I vincitori saranno
annunciati in febbraio. E.S.
Energy is the leit-motif of the contest,
proclaimed by the Japan Design
Foundation and promoted in Italy by
Aedo-to.com, which this year sees its
eleventh edition. The designer’s invitation
is to find new ways of reducing to a
minimum the waste of energy in daily life,
while contributing to living in a happy way
which is also sustainable. Four prizes are
to be awarded which range from 1,500 to
15,000 dollars. The winners will be
announced in February. E.S.
Milano – Italia/Italy
The Keith Haring Show
Fino a/Until 29.1.2006
Triennale, viale Alemagna 6
T +39-02-724341
www.triennale.it
“Un giorno, viaggiando in metropolitana,
vidi un pannello nero vuoto: avrebbe
dovuto ospitare una pubblicità. Subito,
ho pensato che fosse il luogo ideale per
disegnare. Sono salito in superficie, ho
acquistato una scatola di gessetti bianchi.
Sono tornato giù e ho iniziato a
disegnarci sopra”. Inizia così la carriera
di Keith Haring. Dieci anni in tutto, dal
1980 al 1990, nei quali però è riuscito
con i suoi graffiti a cambiare il volto di
più di un paesaggio urbano, a dare vita a
un linguaggio universale fatto di segni,
icone, linee e simboli e a diffondere un
concetto democratico dell’arte.
Attraverso un centinaio di dipinti,
disegni, sculture, opere su carta e seicento
fotografie, l’ampia antologica curata da
Gianni Mercurio e Julia Gruen ripercorre
quel frenetico decennio. E ricorda l’artista
a quindici anni dalla scomparsa. E.S.
“One day, riding in the subway, I saw
this empty black panel where an
advertisement was supposed to go. I
immediately realized that this was the
perfect place to draw. I went back above
more than one urban landscape with his
graffiti. He breathed life into a universal
language comprised of signs, icons, lines
and symbols and gave birth to a
democratic concept of art. The anthology
exhibition by Gianni Mercurio and Julia
Gruen presents a hundred paintings,
sketches, sculptures and works on paper
along with six hundred images to retrace
that frenetic ten-year period and to
commemorate this artist fifteen years
after his death. E.S.
s-Hertongenbosch
Olanda/The Netherlands
Gijs Bakker and Jewelry
Fino a/Until 1.1.2006
Stedelijk Museum, Magistratenlaan 100
T +31-73-6273680
www.sm-s.nl
“Io i gioielli non li indosso, li guido”. In
questa frase, dell’olandese Gijs Bakker, è
racchiuso il suo approccio alla materia.
Traducendo: concept, tecnica, ricerca di
forma e materiale possono trasformare il
gioiello da elemento decorativo in vero e
proprio progetto di design. Negli anni,
Bakker ha messo insieme una notevole
collezione, che viene presentata in parte
nella monografica e nel catalogo
pubblicato dal museo olandese. Un
omaggio a 45 anni di progetti. E.S.
“I don’t wear jewels, I drive them”. In
this phrase the Dutch Gijs Bakker sums up
his approach to matter. He believes that
concept, technique and the research into
form and matter can change a piece of
jewelry from a decorative element into a
true object of design. Through the years,
Bakker has put together a notable
collection and part of it is being presented
in the monograph and catalogue by the
Dutch museum in a homage to 45 years of
design projects. E.S.
Paris – Francia/France
show will be one of the most exhaustive
reviews ever of the Dada movement,
which between 1916 and 1924
transformed the industrial product into an
object of design, while spreading the use
of performance art and sound poetry.
After Paris, the show will go to
Washington and New York. E.S.
Milano – Italia/Italy
In viaggio con Fontana,
Gio Ponti, Boetti…
Il mondo di Lisa Ponti
6.10.2005 – 12.11.2005
Palazzo delle Stelline, corso Magenta 61
Appassionata collezionista, artista e
autrice (di scritti e poesie). Intellettuale
vivace e al centro degli scambi e degli
incontri d’arte e cultura così frequenti
nella Milano del Novecento. Lisa Ponti,
figlia di Gio, fondatore di Domus, è al
centro della mostra curata da Elena
Pontiggia, la prima di un ciclo dal titolo
“La passione per l’arte. Collezioni”.
In mostra, una sessantina di opere
provenienti dalla sua collezione privata:
tra gli altri, Agnetti, Campigli, Fontana,
Boetti e Christo, del quale viene presentata
un’opera realizzata apposta per Domus, la
rivista alla quale Lisa ha per decenni legato
il suo nome. Un percorso fatto anche di
scritti, poesie e documenti fotografici. E
che comprende, infine, una rarità:
l’introvabile libro-strenna, edito da Gio
Ponti per il Natale 1941, con poesie di Lisa
e disegni di De Chirico, Sironi, Martini,
Campigli e De Pisis. E.S.
Passionate collector, artist and author
(of essays and poems) with a lively intellect
and a presence at the center of the art and
cultural encounters so frequent in the
Milan of the 20th century: Lisa Ponti, the
daughter of Gio Ponti, is the subject of the
exhibition by Elena Pontiggia. “A Passion
for Art. Collections”, the first of a series.
The exhibition is showing about sixty
Notizie dal profondo Nord
Uno sguardo non convenzionale all’architettura e
all’urbanistica, un modo innovativo di presentare
i materiali d’archivio e una rete di fertili collaborazioni.
Sono questi i cardini del nuovo corso del Centro Canadese
di Architettura di Montréal, che il neo-direttore
Mirko Zardini anticipa a Domus.
Quale sarà la prossima mostra?
La prima iniziativa, in partenza a ottobre (e si protrarrà
fino a settembre 2006, ndr), si intitola “Sense of the City”.
Sarà dedicata alla percezione della realtà urbana attra-
verso i sensi. Non ci limiteremo però a risvegliare l’atten-
zione sulla percezione sensoriale: vogliamo anche porre le
basi per un nuovo atteggiamento progettuale, una specie
di “sensorial urbanism”. E offrire una visione complessiva
alle numerose ricerche che si stanno sviluppando attorno
a questi temi: per esempio, l’acustica urbana e il control-
lo degli odori.
Si conferma quindi un approccio ancora più concreto…
Invece di fornire risposte, preferiamo porre nuove do-
mande, avviare discussioni e riflessioni. Coinvolgendo non
solo il mondo accademico, ma anche gli architetti e, in
modo più esteso, la società contemporanea. Ci interessano
i problemi dell’architettura e dell’urbanistica, il loro ruo-
lo nella società di oggi, con particolare attenzione alle
tematiche di carattere sociale, politico ed ecologico. Par-
tiamo con due vantaggi: l’esperienza accumulata dal CCA
in oltre venticinque anni di attività e il fatto che occupi u-
na posizione periferica. Due fattori che ci permettono di os-
servare la realtà geopolitica con uno sguardo ‘diverso’.
Altre iniziative in cantiere?
Una piccola mostra con gli studenti del MIT sulle possibili
trasformazioni dei nuovi dormitori di Steven Holl; una
mostra su Gossage; una ‘rassegna’ dedicata ai libri di ar-
chitettura, nella quale partiremo dal formato di un volume
per capire le scelte di rappresentazione; una serie di pic-
coli interventi temporanei di allestimento paesaggistico at-
torno al CCA. E questo tanto per cominciare…
Tanti progetti presuppongono ampi budget…
Come molte istituzioni culturali, anche il CCA deve affrontare
il problema della riduzione delle risorse. Per non rinuncia-
re a fare ricerca, abbiamo deciso di avviare tutta una serie
di collaborazioni. Con la Columbia University, per esempio,
con la quale stiamo avviando un progetto di ricerca sugli
archivi. La prima iniziativa prenderà spunto dalla mostra
“Out of the Box”: ne presentere-
mo alcune parti, in particolare
Cedric Price e Gordon Matta-
Clark. Un’altra collaborazione è
quella con la London School of
Economics di Londra, con la
quale dallo scorso anno orga-
nizziamo le “Stirling Lectures”
sulla città contemporanea. La
prima edizione si è conclusa con
News from the deep North
A non-conventional look at architecture and city planning
and an innovative way to present materials in the archive a-
long with a new network of prestigious collaborators: these
are the features of the Montréal’s new Canadian Centre for
Architecture course which its new director, Mirko Zardini,
talked to Domus about.
When will the next exhibition be held?
The first one, called “Sense of the City”, will begin in October
(and will continue up to September, 2006 ). The show will
focus on sensorial perception of the urban context. We won’t
limit our endeavor to only just calling attention to sensori-
al perception: we want to lay the foundation for a new
planning approach, a sort of “sensorial urbanism”. We
want to offer a full view of the numerous studies which are
being developed around these themes: for example, urban
acoustics and odor control.
You confirm, therefore, that the approach is becoming
more concrete…
Instead of providing answers, we prefer to ask new ques-
tions and to launch more debates and reflection. We want to
not only involve the academic world, we want to involve the
architects and, in a broader sense, contemporary society.
We’re interested in architectural and city planning issues
and their role in today’s world with a special focus on
themes of a social, political and ecological nature. We’re be-
ginning with two advantages: the experience CCA has
gained in more than 25 years of activity and the fact that we
occupy a peripheral position. These two elements allow us to
look at the geo-political reality in a ‘different’ way.
Do you have any other initiatives in preparation?
A small exhibition with the MIT students on the possible
ways to transform the new Steven Holl dorms; a Gossage ex-
hibition; a show dedicated to books about architecture
where we’ll begin with looking at the format of the volume
to understand the choice of the material represented; a se-
ries of small temporary shows in the landscape surrounding
the CCA. And that’s just the beginning…
So many projects must mean there’s a generous budget…
Like many other cultural institutions, the CCA, too, must con-
front the problem of dwindling resources. In order to not have
to forego research, we’ve opted to launch a whole series of
collaborations. For example, we’re working with Columbia U-
niversity on a research project on archives. Our first initiative is
inspired by the “Out of the Box” exhibition and we’ll present
some of its parts especially
Cedric Price and Gordon
Matta-Clark. Another collab-
oration is with the London
School of Economics with
which we’re organizing the
“Stirling Lectures” about the
contemporary city. The first
lecture in this series conclud-
ed with a conference by Ted-

© West 8/Jeroen Musch

E-mail: compe2005@jdf-compe.com
www.jdf.or.jp/eng/compe/index.html
L’uso dell’energia è il tema portante del
concorso, bandito dalla Japan Design
Photo Zaha Hadid Architects
ground and bought a box of white chalk,
went down and did a drawing on it”. This
was the beginning of Keith Haring’s
career. In only a ten year period, from
1980 to 1990, he changed the face of
dAdA
5.10.2005 – 9.1.2006
Centre Pompidou
place Georges Pompidou
T +33-1-44781233
www.centrepompidou.fr
Era dal 1966 che in Francia non si metteva
in mostra il dadaismo. Sarà quindi anche
per controbilanciare il lungo oblio che il
Centre Pompidou si è deciso a mettere in
piedi una rassegna enciclopedica sulla
materia: mille opere di cinquanta artisti,
da collezioni private e pubbliche. Sarà, lo
garantisce il curatore Laurent Le Bon, una
delle riletture più esaustive del movimento
che, tra il 1916 e il 1924, trasformò
l’oggetto industriale in opera d’arte,
diffuse le performance e inventò la poesia
sonora. Dopo Parigi, altre due tappe:
Washington e New York. E.S.
France hasn’t had a Dada exhibition
works from Lisa Ponti’s private collection
which includes works by Agnetti,
Campigli, Fontana, Boetti and Christo.
Christo realized this work especially for
Domus, the magazine which Lisa Ponti has
linked her name to for decades. The
exhibition’s path is comprised of writing,
poetry and photographs and it includes the
rare Christmas 1941 book by Gio Ponti
with poems by Lisa and drawings by De
Chirico, Sironi, Martini, Campigli and De
Pisis. E.S.
Milano – Italia/Italy
Multiplo_2. Multipli,
molteplici, moltiplicati
6.10.2005 – 18.11.2005
N.O. Gallery, via Matteo Bandello 14
T +39-02-4989892
www.nogallery.it
la conferenza di Teddy Cruz e in
autunno pubblicheremo il sec-
ondo bando al quale aderire.
(Intervista
di Elena Sommariva)
democratica di cultura”, spiega il curatore
Stefano Coletto. Sono stati invitati a
partecipare autori riconosciuti a livello
internazionale (come Francis Alys, Pierre
Huyghe, Isaac Julien, William Kentridge,
Paul McCarthy, Pipilotti Rist e Anri Sala),
ma anche alcuni giovani talenti tutti
ancora da scoprire. E.S.
The second event dedicated to signed
multiples is dedicated entirely to video art.
A look at reproducibility following the
digital revolution. “Multiplying works of
video art and publishing them at
reasonable prices means starting from a
democratic notion of culture”, explains
curator Stefano Coletto. Invited to take
dy Cruz and in autumn, the
second call for participation
will be published.
(Interview by
Elena Sommariva)
presenta infatti un’analisi, quasi
scientifica, condotta su 1.500 coppie di
artisti, fratelli e sorelle, dal Medioevo ai
nostri giorni. La carrellata – 250 opere in
tutto – ha inizio nell’VIII secolo, con le
sorelle belghe Harlinde e Relinde che
illustravano i manoscritti nel convento di
Maaseik, prosegue con i fratelli Albrecht (e
Hans) Dürer e si conclude con Marcel (e
Suzanne) Duchamp. E.S.
München Art is a family affair, according to
Germania/Germany exhibition curator León Krempel and he
Family Affairs may well be right. In support of his theory
he is presenting a show which is almost a
19.10.2005 – 8.1.2006 scientific analysis conducted on 1,500 artist
Haus der Kunst, Prinzregentenstrasse 1 brother and sister couples from the Middle

since 1966 but now, maybe to compensate
for this long lull, the Centre Pompidou is
putting together a massive show with
1,000 works, from private and public
collections, by 50 artists. Curator of the
exhibition, Laurent Le Bon, says that this
Il secondo appuntamento con i multipli
d’autore è interamente dedicato alla video
art. Una riflessione sulla riproducibilità
dopo la rivoluzione digitale: “Moltiplicare
opere di video arte ed editarle a prezzi
contenuti significa partire da un’idea
part are internationally renowned artists
(such as Francis Alys, Pierre Huyghe, Isaac
Julien, William Kentridge, Paul McCarthy,
Pipilotti Rist and Anri Sala), as well as a
number of younger conscripts yet to be
discovered. E.S.
T +49-(0)89-21127113
www.hausderkunst.de
L’arte è un affare di famiglia. Lo sostiene il
curatore della mostra tedesca e la tesi è
tutt’altro che azzardata. León Krempel
Ages to recent times. This panoramic view
– which includes 250 works of art – begins
in the 8th century with the Belgian sisters,
Harlinde and Relinde, who illustrated
manuscripts in the convent of Maaseik, and
continues with Albrecht (and Hans) Dürer

2 domus Ottobre October 2005 Ottobre October 2005 domus 3

 È un tributo al design italiano la grande
Giuliana Altea sente dalle mappe dell’arte per- mostra organizzata ad Atene e coordinata
ché troppo periferica per ottene- da Alessandro e Francesco Mendini con
Lettera dalla Sardegna re visibilità, senza esserlo abba- l’architetto greco Sotiris Papadopoulos.
A Letter from Sardinia stanza per beneficiare del fascino L’ambizione è quella di toccare un pubblico
dell’esotico, la Sardegna punta eterogeneo – gente comune, ma anche
Nell’ultima performance di Marcello Maloberti, realizzata in luglio ad Alghe- oggi a farvi il suo ingresso con u- addetti ai lavori e studenti – e raccontare il
ro per la mostra ‘Minyonies’, un bambino danzava il ballo sardo sul tetto di una na serie di ambiziosi progetti fenomeno del nostro design. Per questo

© Antonio Marras. Foto/Photo Enrico Accardo

macchina, al suono dell’autoradio. La scena incongrua e poetica segnalava da un museali varati dalla Giunta Re- motivo i 1.500 quadrati di superficie
lato la fondamentale estraneità dell’infanzia al mondo degli adulti, facendo del gionale guidata da Renato Soru.
São Paulo – Brasile/Brazil espositiva sono articolati secondo un
bambino il simbolo di un’alterità condivisa con l’artista e con il ‘primitivo’; dal- Chiave del programma è la crea- 6th Architecture percorso storico che parte dai riferimenti
l’altro, nella sua mescolanza di arcaico e contemporaneo, apollineo e dionisiaco, zione a Cagliari, in un contenito- Biennial in São Paulo: all’antichità, passa al lavoro dei grandi
riassumeva i contrasti che abitano la Sardegna, luogo in cui l’energia di un passa- re architettonico per il quale è al- maestri del Novecento e termina con sei
to forte convive in questo momento con quella di un presente pulsante di possi- l’avvio un concorso internazio- Living in the City piccole mostre personali centrate su
bilità. Di contrasti è fatto il lavoro di Antonio Marras, protagonista dell’avan- nale, di un grande museo dedica- altrettanti interessanti designer del
guardia della moda che ha scelto di continuare a vivere nell’isola, stabilendo ad Al- to all’arte nuragica e all’arte con- 8.10.2005 – 11.12.2005 panorama di oggi. Completa la rassegna
ghero la parte creativa di un’attività che si divide tra Milano e Parigi. Marras (pro- temporanea: un accostamento Rua Bento Freitas 306 una sezione dedicata ai designer tecnologici,
motore di ‘Mynionies’ entro il ciclo “Trama Doppia”, che lo vede dialogare ogni del tutto inedito, che vorrebbe T +55-11-32596866 una parte documentale sull’attività delle
anno con uno o più artisti) assume la tradizione alla base di un discorso sul viag- far scattare un corto circuito dal- http://bienalsaopaulo.globo.com principali fabbriche del design e infine una
gio come scambio e perdita, sulla memoria, la nostalgia, la manualità artigiana, la frizione tra l’eredità nuragica – nucleo simbolico dal forte valore identitario – ‘collezione’ dei più disparati oggetti di
dando vita a una ricerca che incrina il senso della distinzione tra arte e moda. Nel- e l’attualità, per proporre la Sardegna quale catalizzatore delle ricerche di area me- “Vivere all’interno della metropoli”. Con ricerca di giovanissimi designer. L.M.
le sue collezioni, così come nelle installazioni, la cultura sarda non è citazione ma diterranea. Un progetto che potrebbe cambiare la percezione dell’isola all’esterno, questo titolo si apre la sesta edizione della The important exhibit organized in
dato di riflessione a partire dal quale accogliere gli stimoli della contemporaneità. attirando lo sguardo su una situazione già oggi in movimento. biennale d’architettura brasiliana. Athens under the direction of Alessandro
Da premesse analoghe muove Maria Lai, i cui Libri cuciti e le Mappe ricamate han- Giuliana Altea è storica dell’arte e curatrice di mostre L’attenzione dei curatori, Pedro Cury e and Francesco Mendini, with the Greek
no inizialmente ispirato Marras. Allieva di Arturo Martini e tra le poche artiste Gilberto Belleza, sarà tutta rivolta al architect, Sotiris Papadopoulos, is a
italiane ad aver praticato fin dagli anni Settanta il recupero della manualità e del- In Marcello Maloberti’s latest show, which took place in July in Alghero as part problema dell’edilizia abitativa in America tribute to Italian design. Its goal is to reach
l’esperienza femminile, a 86 anni Lai è ancora sorprendentemente poco nota. Una of the “Minyonies” exhibition, a child performed a Sardinian dance on the roof of a Latina, tra realtà e utopia. a heterogeneous public – which includes
fondazione a lei dedicata è appena sorta a Ulassai, il paesino dell’Ogliastra dove è car accompanied by the sound of the car radio. This incongruous and poetic scene il- “Living in the City” is the title of the average people along with architects,
nata, con sede in una vecchia stazione ferroviaria, la Stazione dell’Arte, rivolta a lustrated on the one hand how fundamentally alien childhood is from the adult world, sixth edition of the Brazilian architectural designers and students – to tell them about
promuovere attività in vari campi creativi, sarà dal 2006 il centro di un percorso making the child the symbol of an otherness shared by both the artist and the “pri- biennial. The focus of its curators, Pedro the phenomenon of Italian design. For this
che collega le opere di arte pubblica create nel paese negli anni Ottanta da artisti mitive”; on the other hand, its mix of the archaic and the contemporary, the Apol- Cury and Gilberto Belleza, is wholly on the reason, the 1,500 square meters of the
come Costantino Nivola, Luigi Veronesi e la stessa Lai. lonian and the Dionysian, summed up the contrasts of Sardinia, a place in which the problem of residential housing, suspended exhibit area will be organized in a historic
Ulassai e Alghero sono solo due aspetti di un contesto in trasformazione, at- energy from a remarkable past now co-exists alongside a present pulsing with possi- somewhere between reality and utopia, in itinerary which begins with references to
traversato da fermenti che danno frutti a volte aspri, ma di solito non banali. As- bilities. The work of Antonio Marras is also one of contrasts. A leading figure in South America. ancient times and proceeds to the works of
avant-garde fashion, he chose to remain on the island and has established in Alghero the great maestros of the nineteen-
the creative end of a business that is based between Milan and Paris. Marras, the pro- hundreds. The itinerary concludes with six
moter of “Minyonies” as part of the annual series “Trama Doppia” that creates a
Athens – Grecia/Greece small one-man shows for six interesting
dialogue between artists, uses tradition as a basis from which to examine travel as a Art of Italian Design designers in the Italy of today. The exhibit
generator of exchange and loss, memory and nostalgia, and the handcrafted. This gives will also include a section focusing on
rise to work that looks to break down the sense of distinction between art and fashion. 8.10.2005 – 20.11.2005 technological designers, with
In his collections as in his installations, the Sardinian culture is not so much a reference Megaron, The Athens Concert Hall documentation about the activities of the
but something that is reflected on and which adds to contemporary stimuli. Vassilissis Sofias and Kokkali Street most important design ‘factories’ and a
Maria Lai works in a similar way. Her Libri cuciti and Mappe ricamate provided T +30-1-7282333 collection of a large variety of objects
early inspiration for Marras. A student of Arturo Martini and one of the few Italian www.megaron.gr designed by very young talent. L.M.
artists since the 1970s that has done work focusing on feminine crafts and experience,
Lai, who is now 86, is surprisingly little known. A foundation dedicated to her has
recently been established at Ulassai, the village in Ogliastra where she was born.
Housed in an old railway station, the Stazione dell’Arte aims to promote work from Robert Smithson.
various creative fields. In 2006 it will be at the centre of an event that brings together Arcipelago

© Estate of Robert Smithson/Licensed by VAGA, NY

public works of art created in the village in the 1980s by artists such as Costantino
Nivola, Luigi Veronesi and Lai herself. Manhattan
Ulassai and Alghero are just two aspects of a situation undergoing transforma- Ideata nel 1970, lo stesso anno
tion; it is a process bearing fruit which at times may be sour but is hardly ever ba- del suo famoso Spiral Jetty, la
nal. Absent from the maps of art because it is located far on the periphery to merit opera Floating Island to Tra—v-
visibility yet not far enough to be defined as exotic, Sardinia today concentrates on el Around Manhattan Island di
making its entrance with a series of ambitious museum projects launched by the re- Robert Smithson non era mai
© Greta Frau. Foto/Photo Enrico Accardo

gional government of Renato Soru. A key element in the programme is the creation stata realizzata. Il sogno del-
in Cagliari, inside a building that will soon be the subject of an international archi- l’artista statunitense era quel-
tectural competition, of a major museum dedicated to nuraghic and contemporary lo di creare una chiatta di 9 x
art. This new combination aims to create a short circuit of friction between the 27 metri ricoperta di terra, roc-
nuraghic legacy – a symbolic nucleus of great value in terms of identity – and the ce, alberi e arbusti locali che
present, putting Sardinia forward as a catalyst for research in the Mediterranean area. avrebbe dovuto circumnavigare Manhattan. L’omaggio di Smithson al Cen-
It is a project that could change the perception of the island from the outside, at- tral Park di Frederick Law Olmsted rappresenta un trasferimento simbolico del
tracting attention to a situation that already today is in movement. parco – anch’esso una creazione dell’uomo – dalla sua superficie stabile a
Giuliana Altea is an art historian and exhibit curator un’isola galleggiante. Alle 8 del mattino del 17 settembre scorso, Minetta
Brook, una fondazione per le arti, in collaborazione con il Whitney Museum
of American Art – che ha ospitato quest’anno una sua retrospettiva postuma –
and to conclude with Marcel (and Suzanne) scorso in centinaia di viaggi attorno al various means of transport by using the Lo propongono 25 delle principali gallerie ha letteralmente varato la Floating Island di Smithson. L’‘isola’ prefabbricata,
Duchamp. E.S. mondo. Per il museo del design historical Cooper-Hewitt collection with milanesi (tra gli altri, Emi Fontana, Giò trainata da un piccolo rimorchiatore, è stata ammirata da milioni di residen-
newyorkese è un modo curioso, anche se the thousands of objects collected in the Marconi, Francesca Kaufmann e Lia ti, pendolari e visitatori lungo l’Hudson e l’East River.
non nuovo, di presentare la collezione last century by the Hewitt sisters, Amy, Rumma) con una serie di inaugurazioni Sreshta Premnath
New York – U.S.A. storica. E.S. Eleanor and Sarah during their hundreds sincronizzate. Evento clou della rassegna
Yinka Shonibare Selects An exceptional curator, Nigerian of round-the-world trips. This is a curious sarà il party di sabato sera (dalle 23
Robert Smithson. Manhattan Archipelago
artist, Yinka Shonibare, has put together way, though not a new one, for this New all’alba) alla Triennale con la performance
7.10.2005 – 7.5.2006 an exhibition showing his personal view of York museum to present an historical di Franko B, riservato a 300 invitati. E.S. Conceptualized in 1970, the same year as his famous Spiral Jetty, Robert Smith-
Cooper-Hewitt National Design Museum collection. E.S. A long weekend, from midday on son’s Floating Island to Travel Around Manhattan Island was never realised. His
2 East 91st Street Friday up until Sunday evening, aimed at dream was to create a 30 x 90 foot barge, landscaped with earth, rocks, indige-
T +1-212-8498400 discovering new trends in contemporary nous trees and shrubs that would circumnavigate Manhattan. Smithson’s
http://ndm.si.edu
Milano – Italia/Italy art. 25 leading Milanese galleries homage to Frederick Law Olmsted’s Central Park is a symbolic relocation of the
Start (including Emi Fontana, Giò Marconi, park – itself a man-made creation – from its stable stratum to a floating island.
Curatore d’eccezione, l’artista nigeriano Francesca Kaufmann and Lia Rumma) At 8 am, on September 17, Minetta Brook, an arts foundation in collaboration
Yinka Shonibare mette in mostra una sua 7.10.2005 – 9.10.2005 have organised a series of synchronised with the Whitney Museum of American Art – where his posthumous retrospective
personale visione sui mezzi di trasporto, www.start-mi.net appointments. Highlight of the event will was held this year – literally launched Smithson’s Floating Island.
attingendo ai pezzi storici del Cooper- be a party on Saturday night (from 11 pm The fabricated “island” was towed by a small tugboat, and was viewed by mil-
Hewitt. A sua disposizione, migliaia di Un week-end lungo dalle 12 di venerdì until dawn) at the Triennale with a lions of residents, commuters and visitors along the Hudson and East Rivers.
oggetti che le sorelle Amy, Eleanor e Sarah fino a domenica sera, alla scoperta delle performance by Franko B, for an invited Sreshta Premnath
Hewitt hanno messo insieme nel secolo nuove tendenze dell’arte contemporanea. audience of 300 people. E.S.

4 domus Ottobre October 2005 Ottobre October 2005 domus 5

 Paris – Francia/France
Le design aujourd’hui?
“Ma questa è tecnologia, mica design…”, commentava
una signora con passeggino, muovendosi tra le sale della
Galerie Sud del Centre Pompidou. E in effetti quello che
sembra emergere con più forza da questa panoramica sul
design contemporaneo è proprio una difficoltà concettuale
a definire il design stesso. L’impatto è spiazzante: lo spet-
tatore si trova a muoversi in un percorso estremamente va-
riegato ed eclettico, in cui la scelta curatoriale di separare i
progetti per ambiti di ricerca rende ancora più confusa la
fruizione. Immaginando un evento espositivo come un te-
sto, suddiviso in capitoli tematici e di cui i lavori presenta-
ti costituiscono i paragrafi, con le varie appendici, note e a-
sterischi, in “D-Day” paragrafi capitoli e note si confondo-
no in un unico spazio orizzontale che ricerca però un ordi-
ne strutturale. La suddivisione in quattro aree – attenzione
politico-sociale, scenari critici, sensi e immaginari tecnolo-
gici – resta frammentata e sproporzionata, e il visitatore cer-
ca di far quadrare la dichiarazione d’ordine iniziale nei 1.200
metri quadrati della mostra, cercando faticosamente di o-
rientarsi. Difficile crearsi inizialmente un’opinione che sap-
pia andare al di là di questa sensazione caotica, punteggia-
ta di appunti mentali su progetti interessanti, stimolanti o
semplicemente intelligenti – le cucine solari CooKit, il wa-
ter cone di S. Augustin, il Dispensaire Nomade di Tolila e
Gilliland, il Sustainable Everyday Project di Manzini e Jé-
gou, la clip The child di H5, i micrometraggi surreali di
Noam Toran o il Beauty Kit di Pleix, la riflessione sul te-
lefono cellulare di La Cecla e Savona e quella sul design so-
noro di Bergala, la panchina di terra di Bey. Il problema di-
venta linguistico. La ‘polifonicità’ della mostra, spinta fi-
no al suo estremo, fino a dare una sensazione di mancanza
di scelta, rivela un design che diventa semanticamente una
scatola elastica, capace di contenere qualsiasi cosa, o forse
addirittura niente di niente. Cosa significa design?
Dalle ricerche sulle unità abitative di emergenza al pro-
totipo della nuova Peugeot o degli iPod, da installazioni
concettuali june-paikiane a mobiles da showroom, fino a
clip prodotte da un’etichetta musicale. Grafica, architettu-
ra, video, fotografia, musica, produzione industriale, poli-
tica, arte concettuale. Ma in questo groviglio panico che
sembra comprendere tutta la realtà umana, qual è il filo
conduttore? Più che il design in senso stretto, il punto co-
mune può forse essere la sua attitudine, il fatto che oggi più
che mai si presenti totalmente nella forma di complemento
oggetto dipendente, in relazione a un’area concettuale più
che a una funzione specifica.
L’accostamento di questa infinità di materiali e suppor-
ti accatastati uno accanto all’altro sembra quindi la tradu-
zione concreta di questo sbordamento e smaterializzazione
già in atto da anni nelle diverse discipline contemporanee,
senza però quella freschezza multilinguistica e pluridiscipli-
nare che rinvigorisce la sperimentazione. Uscendo, scen-
dendo la scala mobile del Beaubourg, si ha piuttosto un in-
distinto sentimento di perdita della rotta, di ricerca convul-
sa fino a comprendere ‘n’importe quoi’ per trovare una ri-
definizione e un’identità. Necessariamente lo sguardo allo-
ra si sdoppia, rivelando possibili punti di attenzione.
Da una parte una messa a fuoco stretta sui singoli lavo-
ri presentati, presi uno per uno, estrapolati dal loro snoc-
ciolarsi quasi informativo, quasi didattico. Dall’altra un
campo largo sulla mostra nella sua totalità, prendendo atto
di questa confusione vista come indizio di qualcosa di più
complesso, di un sommovimento che investe il design e una
sua possibile ridefinizione.
Francesca Cogni
6 domus Ottobre October 2005
“This is technology, not design”, commented a lady
pushing a stroller around the rooms in the Galerie Sud at
the Pompidou Centre. What seems to emerge most strongly
from this overview of contemporary design is the actual con-
ceptual difficulty in defining design itself.
The impact is unsettling as spectators find themselves fol-
lowing a path that is extremely varied and eclectic, in which
the curator’s decision to separate projects in terms of areas of
research makes the result even more confusing.
Imagining an exhibition as a piece of writing that is divid-
ed into subject-based chapters and where the works presented
constitute the paragraphs, with various appendices, footnotes
and asterisks, in “D-Day” the paragraphs, chapters and notes
are confused in a single horizontal space that is need of order.
The division into four areas – political-social attention,
critical scenarios, the senses and technological invention – is
fragmented and badly proportioned, and visitors trying to un-
derstand the declaration of initial order in the 1,200 square
metres of exhibition have difficulty orientating themselves.
It is difficult at first to form an opinion that goes beyond
this chaotic sensation, punctuated by mental notes on in-
teresting, stimulating or simply intelligent projects – CooKit
solar kitchens; a water cone by S. Augustin; the Dispensaire
Nomade by Tolila and Gilliland; the Sustainable Everyday
Project by Manzini and Jégou; the clip The child of H5; surre-
al film clips by Noam Toran or the Beauty Kit by Pleix; a re-
flection on the mobile phone by La Cecla and Savona; and one
on sound design by Bergala, the bench in earth by Bey.
In reality, the problem becomes a linguistic one. The
“polyphonic” nature of the exhibition, pushed to the extreme
point of giving the sense of a lack of selection, reveals a design
that becomes in semantic terms an elastic box, able to contain
anything or even nothing at all. What does design mean?
There is research on everything from emergency housing
to the prototype of the new Peugeot or iPod, from conceptual
installations to showroom furniture as well as video clips pro-
duced by a music label. One finds graphic design, architecture,
video, photography, music, industrial production, politics and
conceptual art. But in this confused panic that seems to include
all human reality, where is the guiding principle? More than
just being design in the narrowest sense of the word, the com-
mon point could perhaps be its attitude, the fact that today
more than ever it presents itself in the form of a direct object
and in relation to a conceptual area more than to a specific
function.
The placing together of endless materials and supports
next to each other seems therefore a concrete translation of a
breaking down of barriers and dematerialisation that has al-
ready been occurring for some years in various contemporary
disciplines, without however that multi-linguistic and multi-
disciplinary approach that lends vigour to experimentation.
On leaving via the descending escalator at Beaubourg, one has
an indistinct feeling of a loss of direction, of fitful research that
tries to understand “n’importe quoi” in hopes of finding a re-
definition and an identity. As a result, the view multiplies, re-
vealing possible focal points.
On the one hand, there is a narrow focussing on the single
works presented. Each is taken by itself and extrapolated from
its almost informative, almost educational extraction. On the
other hand, there is a broader view that sees the exhibition in
its entirety, observing this confusion as an indication of some-
thing more complex, of a commotion that has hit design and
its possible redefinition.
Francesca Cogni
Fino a/Until 17.10.2005
D-Day. Le design aujourd’hui
Centre George Pompidou
www.centrepompidou.fr
Bellini e Ricciotti. Bellini and Ricciotti.
Un velo luminoso per l’arte A luminous veil for Islamic art
islamica del Louvre in the Louvre
Entro il 2009 il Louvre potrà contare su un dipartimento ad By 2009, the Louvre will have a wing specifically for its im-
hoc per ospitare la sua imponente collezione d’arte islami- pressive collection of Islamic art – one of the largest of its
ca: una delle più ricche del mondo, con oltre 10.000 ogget- kind – which includes more than 10,000 pieces spanning the
ti dal VII al XIX secolo. A firmare i nuovi spazi saranno Ma- 7th to 19th centuries. The new wing will be authored by Mario
rio Bellini e Rudy Ricciotti, vincitori del concorso bandito lo Bellini and Rudy Ricciotti, the winners of the contest held last
scorso anno dal museo parigino, imponendosi su ‘rivali’ di year by the Paris museum. This duo defeated ‘rivals’ of the
prestigio quali Hadid, Coop Himmelb(l)au, Faoci, Soler, il caliber of Hadid, Coop Himmelb(l)au, Faoci, Soler, the Charti-
gruppo Chartier-Corbasson-Tazdait e Moatti-Rivière. L’idea er-Corbasson-Tazdait group and Moatti-Rivière. The strong
forte del progetto si concentra nella copertura: un sottile idea behind this victory lies in the design for the covering of
velo luminoso composto da un mosaico di migliaia di pic- the wing: a floating luminous veil comprised of thousands of
coli dischi di vetro. La struttura ondulata, che sembra flut- small glass disks. This undulated structure, which will seem
tuare nel vuoto, coprirà uno spazio espositivo di 3.500 me- to flutter in the air, will cover an area of 3,500 square meters,
tri quadrati distribuito su due piani (uno interrato, l’altro a divided between two levels (one on the basement level and
livello della corte neoclassica), sul lato meridionale del mu- the other on the level of the Neoclassical courtyard) on the
seo. Al contrario di quanto succede con un normale velo, southern side of the museum. To the contrary of the usual
però, la “Cour Visconti non sarà nascosta, sarà sempre visi- role of veils, however, the “Cour Visconti will not be hidden
bile”, garantiscono i proget- but will always be visible”,
tisti. Al suo interno, il percor- the designers assured. Inside
so sarà continuo e illuminato the wing, the itinerary will be
dalla luce naturale, che fil- a continuous one illuminated
trerà dall’alto grazie a una by natural light which will fil-
speciale superficie iridescen- ter through a special irides-
te studiata in modo da poter- cent surface designed to allow
ne graduare l’intensità. Il co- the intensity of the light to be
sto complessivo dell’intera o- adjusted. The total cost for the
perazione è stimato in 50 mi- whole operation is estimated
lioni di euro. E.S. to be 50 million euro. E.S.
Rotterdam – Olanda/ pop art, dove cruciale è la relazione tra che continua nel suo tentativo di
testo e immagine. Alla copiosa rappresentare ambienti intimi e domestici
The Netherlands produzione dell’artista californiano, che a una scala inaspettata. E.S.
Olafur Eliasson attinge dalla musica, politica, religione, After the sound installation by Bruce
storia dell’arte, sport e cinema, il Nauman and the Weather Project by Olafur
8.10.2005 – 28.11.2005 Whitney dedica un’ampia rassegna con Eliasson, Rachel Whiteread will be the new
Museum Boijmans Van Beuningen una nuova opera di animazione protagonist of the “Unilever Series”. For
Museumpark 18-20 commissionata dal museo. E.S. the enormous Turbine Hall, the British
T +31-10-4419561 Raymond Pettibon works include sculptress, winner of the Turner Prize in
www.boijmans.nl drawings, writing and art books. In the 1993, conceived of a monumental work
past 25 years, he has created thousands of which continues her experimentation in the
Arcobaleni e tramonti, cascate d’acqua e, drawings which have been published on representation of intimate domestic spaces
infine, la luce di un’intera giornata paper but which also are shown in the in very unexpected scale. E.S.
condensata in pochi minuti. Da un various galleries which host his works.
decennio, Olafur Eliasson attinge ai Pettibon communicates in a new language,
fenomeni naturali per dare vita a somewhere between drawing and
esperienze sensoriali, nelle quali lo cartoons, literary citation and pop art ,
spettatore è invitato a immergersi. Una where the relationship between text and
‘magia’ ad alto contenuto tecnologico che image is an essential ingredient. This
si rinnova a Rotterdam, dove la sua ultima Californian artist gets his inspiration from
invenzione trasformerà le sale del museo music, politics, religion, history of art,
con un paesaggio di lava e un’installazione sports and cinema. The Pettibon exhibition
di luce e acqua. E.S. at the Whitney is a broad-ranging one
Rainbows and sunsets, waterfalls and which also includes a new animation work
Bologna – Italia/Italy
finally the light of an entire day condensed commissioned by the museum. E.S. Saie 2005
into just a few minutes. For a decade,
Olafur Eliasson has been drawing on 12.10.2005 – 16.10.2005
natural phenomena to create sensory Bologna Fiere
experiences that spectators are invited to T +39-051-282111
immerse themselves in. Highly www.saie.bolognafiere.it
technological ‘magic’ that can be seen
again in Rotterdam, where his latest La principale fiera italiana di edilizia,
invention will transform the galleries of arrivata all’edizione numero 41, propone
the museum with a field of lava and an una panoramica sempre più ampia: 1.850
installation of light and water. E.S. espositori presenteranno le soluzioni
London – Gran tecniche più avanzate per l’architettura e
New York – U.S.A. Bretagna/Great Britain le costruzioni. A completare i cinque
The Unilever Series. giorni di rassegna merceologica, anche un
Raymond Pettibon paio di mostre tematiche: “Saie Concrete”
Rachel Whiteread farà il punto sulle potenzialità del
8.10.2005 – 19.2.2006 calcestruzzo, “LaterSaie”, salone nel
Whitney Museum, 945 Madison Avenue 11.10.2005 – 26.3.2006 salone, sarà invece interamente dedicato
T +1-212-5707721 Tate Modern, Turbine Hall al laterizio. E.S.
www.whitney.org T +44-20-78878000 Italy’s most important construction
www.tate.org.uk fair has reached its 41st edition and is
Raymond Pettibon lavora con il disegno, proposing an ever wider view of the most
la scrittura e con i libri d’artista. Dopo l’installazione sonora di Bruce advanced solutions for architecture and
Nell’arco di 25 anni ha realizzato Nauman e il Weather Project di Olafur building. This year, 1,850 exhibitors will
svariate migliaia di disegni, su carta ma Eliasson, sarà Rachel Whiteread la nuova flock to Bologna for the five-day fair,
anche sulle pareti delle gallerie che lo protagonista della “Unilever Series”. Per which will include two interesting theme-
hanno nel tempo ospitato. E ha dato vita l’enorme sala delle turbine la scultrice events: “Saie Concrete”, all about the
a un linguaggio nuovo, a metà strada tra britannica, vincitrice del Turner Prize nel potential of concrete, and “LaterSaie”, all
disegno e fumetto, citazioni letterarie e 1993, ha pensato un’opera monumentale, about bricks. E.S.
Ottobre October 2005 domus 7
London – Gran
Bretagna/Great Britain
Diane Arbus:
Revelations
13.10.2005 – 15.1.2006
Victoria & Albert Museum
Cromwell Road
T +44-20-79422000
www.vam.ac.uk
Dopo San Francisco, approda a Londra la
grande retrospettiva dedicata a Diane
Arbus, fotografa americana tra le più
importanti artiste del XX secolo che, dopo
gli esordi come fotografa nella moda,
decise di concentrare il suo sguardo sui
diversi, sulle persone emarginate. In
trent’anni, è il primo omaggio alla sua
intensa carriera artistica e alla sua
esistenza estrema (Arbus morì suicida nel
1971). In mostra, duecento scatti, molti
mai esposti prima al pubblico, le sue
lettere, provini, taccuini, libri e alcune
macchine fotografiche. E.S.
After its success in San Francisco, the
gigantic retrospective dedicated to Diane
Arbus will land in London. The American
artist was one of the most important
photographers of the 20th
century. After a beginning in fashion
photography, she turned her focus on
misfits and outcasts. In over 30 years, this
is the first time homage is being paid to
her intense artistic career and to her tragic
life (Arbus committed suicide in 1971).
This exhibition includes 200 of her
photos (some of which have never before
been publicly shown), her letters, proofs,
notebooks and some of her cameras. E.S.
dell’agenzia londinese McCann Erickson. I
suoi lavori sono, ancora oggi, sotto gli
occhi di tutti: dai titoli delle pellicole di
James Bond (Goldfinger e Dalla Russia con
amore) alla copertina dell’album dei
Rolling Stones Let it Bleed. A 35 anni dalla
scomparsa, lo ricordano con un’ampia
retrospettiva il Design Museum e il suo
collega e amico Alan Fletcher autore
London – Gran dell’allestimento. E.S.
Bretagna/Great Britain The beginnings of Robert Brownjohn
Robert Brownjohn (1925-1970) were promising: he was
László Moholy-Nagy’s most brilliant
15.10.2005 – 26.2.2006 student. His career was striking: in 1957 at
Design Museum, Shad Thames 32, he founded his New York studio with
T +44-0870-8339955 Ivan Chermayeff and Tom Geisnar but,
www.designmuseum.org after just three years, he was already head
of the London McCann Erickson agency.
Gli esordi di Robert Brownjohn (1925- His works are still well-known today and
1970) sono promettenti: è il più brillante include the screen titles of the James Bond
allievo di László Moholy-Nagy. La carriera films, “Goldfinger” and “From Russia
è a dir poco folgorante: è il 1957 quando, with Love”, and the cover of the Rolling
trentaduenne, fonda il suo studio a New Stones album, “Let it Bleed”. Today, 35
York con Ivan Chermayeff e Tom Geisnar years after his death, he is being
ma, tempo tre anni, è già a capo remembered with a broad retrospective at
the Design Museum which is authored by
his friend and colleague, Alan Fletcher. E.S.
Eindhoven
Olanda/The Netherlands
Dutch Design Week
Design Robert Brownjohn. © Elisa Brownjohn
15.10.2005 – 23.10.2005
Design Platform Eindhoven, Clauspein 10
T +31-040-2961150
www.dutchdesignweek.nl
Una connotazione nazionale più forte, con
l’aggiunta di ‘Dutch’ al generico Design
Week, ma ambizioni sempre più
internazionali segnano la quarta edizione
della settimana del design che si svolgerà a
Eindhoven. L’interesse dei visitatori –
raddoppiati in tre anni – ha dato una vera
spinta alla manifestazione, che quest’anno
premierà anche i migliori prodotti
nazionali. Ma a consacrare la cittadina
olandese come centro propulsore del
design di ricerca saranno le numerose
iniziative previste per il 2006, quando sarà
capitale europea del design. L.M.
A stronger national identity with the
addition of ‘Dutch’ to the generic Design
Week – this year awards will also be
presented for the best Dutch products –
but with evermore international
ambitions: these are the features which
mark the fourth edition of Design Week to
be held in Eindhoven. Its popularity saw
visitors double in just three years and has
given the event further thrust. Eindhoven,
however, will see its definite consecration
as the pulsating heart of design and
experimentation with the numerous events
planned for 2006, when the city will be the
European Capital of Design. L.M.
Milano – Italia/Italy
Aperto per lavori in
corso
15.10.2005 – 23.10.2005
PAC, Padiglione d’Arte Contemporanea
via Palestro 14
T +39-02-76009085
www.comune.milano.it/pac
Le note jazz di PAF Trio formato da Paolo
Fresu, Antonello Salis e Furio di Castri
accompagnate dalla performance
dell’artista Alex Pinna. Inaugura così
“Aperto per lavori in corso”, l’esposizione
Roma – Italia/Italy
Paolo Soleri
Etica e invenzione urbana
Ethics and urban invention
Sul sito Internet www.arcosanti.org del laboratorio urbano
che Paolo Soleri sviluppa nel deserto dell’Arizona dai primi an-
ni Settanta, nella documentazione quasi quotidiana della cresci-
ta di questa straordinaria idea insediativa, si possono vedere nel-
le ultime settimane le fotografie del restauro dei modelli di pon-
ti e dighe costruiti dall’architetto, in previsione della prima gran-
de mostra italiana su Paolo Soleri che sarà finalmente aperta a
Roma negli ultimi tre mesi dell’anno, articolata in tre sezioni e-
spositive distinte per cronologia e temi.
L’Istituto Nazionale per la Grafica, che ha curato l’esposi-
zione, ospita nel Palazzo della Fontana di Trevi, con l’allesti-
mento di Sandra Suatoni e Stefano Tesoni, gran parte dei dise-
gni fino agli anni Settanta, in particolare quelli a mano libera
che corredano le formulazioni urbanistiche e architettoniche di
Soleri su rotoli di carta da spolvero lunghi fino a 50 metri. La
parte meno conosciuta è quella relativa ai progetti ‘italiani’,
che risalgono al periodo in cui l’architetto torinese non aveva
ancora lasciato la città di nascita per approdare a Taliesin pres-
so Frank Lloyd Wright, e al periodo successivo in cui, dopo
la costruzione della Dome House, Soleri è sulla costiera amal-
fitana, a Vietri sul Mare, dove realizza la Fabbrica di cerami-
che artistiche per Vincenzo Solimene.
I progetti di Soleri sul concetto di ‘arcologia’ sono espo-
sti al Maxxi, in una sezione allestita da Alessandra Vittorini e
Ester Annunziata che prende il titolo dal volume del MIT del
1969 Arcology: the City in the Image of Man, e che ripercorre
anche le proposte spaziali di Two Suns e del programma Space
for Peace. La sezione documenta inoltre i metodi costruttivi
basati sull’impiego del calcestruzzo su cumuli di terriccio con
l’intervento artistico diretto dell’architetto (earthcasting).
Alla tenace realtà di Arcosanti è dedicata le terza sezione,
della durata di un mese, presso la Casa dell’Architettura del-
l’Ordine degli Architetti romani. Accanto all’esposizione di di-
segni, plastici, fotografie di questo cantiere urbano costruito
dalle mani di tutti quelli che ne hanno vissuto un pezzo – an-
che breve – di storia, un workshop delle facoltà di architettura
romane ne ripercorre i temi e i modelli. L.S.
On the website www.arcosanti.org, dedicated to the
urban workshop Paolo Soleri developed in the Arizona
desert in the early 1970s, with its almost daily documenta-
tion of the growth of this extraordinary idea for construct-
ing a place to live, photographs have appeared over the last
few weeks showing the restoration of the models of bridges
and dikes constructed by the architect. This comes as antic-
ipation grows for a major Italian exhibition on Soleri that is
finally set to take place in Rome during the last three
months of this year. It will be organised around three
chronological sections that each deal with a different sub-
Soleri Archives, Arcosanti Mayer, Arizona, USA
ject area.
The Istituto Nazionale per la Grafica, curators of the ex-
hibition designed by Sandra Suatoni and Stefano Tesoni, pre-
sents in the Palazzo della Fontana di Trevi a large part of the
drawings carried out up until the 1970s, in particular the free-
hand ones that accompany Soleri’s urban and architectural
formulations on rolls of paper that extend over 50 metres. The
lesser-known section of the exhibit deals with the “Italian”
projects from the period when the Turin architect had yet to
leave his native city for Taliesin and Frank Lloyd Wright; it al-
so covers the time Soleri spent at Vietri sul Mare on the Amal-
fi coast following the construction of the Dome House and
where he built a ceramics factory for Vincenzo Solimene.
Soleri’s projects on the concept of “arcology” are on show
at Maxxi in a section designed by Alessandra Vittorini and Es-
ter Annunziata and which takes its title from a book produced
by MIT in 1969 Arcology: the City in the Image of Man. It also
covers the space-related projects from Two Suns and the Space
for Peace programme. This section also documents construc-
tion methods based on the use of concrete on mounds of earth
with artistic intervention lead by the architect (earthcasting).
A third section, which will last only a month, is dedicated to
the stubborn reality of Arcosanti and is on show at the Casa
dell’Architettura of the Ordine degli Architetti in Rome. Along
with an exhibition of drawings, models and photographs of
this urban building site – constructed by the hands of all those
who lived a piece, however brief, of history – is a workshop
organised by the Rome faculties of architecture that looks in-
to themes and models. L.S.
8.10.2005 – 8.1.2006
Dall’Italia a Mesa City: ricerca
di un ambiente in armonia con l’uomo
Istituto Nazionale per la Grafica, via Poli 54
Arcology: the City in the Image of Man
Maxxi, via Guido Reni 10
16.10.2005 – 15.11.2005
Arcosanti: laboratorio urbano
Casa dell’Architettura, piazza Manfredo Fanti 47
Soleri Archives, Arcosanti Mayer, Arizona, USA
Ottobre October 2005 domus 9
 New York – U.S.A.

© Eley Kishimoto
Quanto è globale How global is
Federal. By Mary Ellen Carroll il design di oggi? contemporary design?
Le mostre di architettura fanno largo uso di media visivi per simulare i progetti e Multiculturale, global sono Multicultural and global are ad-
illustrare le opere, i movimenti artistici o i periodi storici. A New York la galleria d’ar- aggettivi appropriati un po’ jectives which seem to fit almost
te e di architettura Storefront, da sempre votata a esposizioni alternative sull’am- a tutti gli ambiti, oggi. Al all of today’s environments and e-
biente urbano, è riuscita, con ‘Federal’ – la monografica dell’artista americana Mary design più che ad altri. È il specially design. This is the basic
Ellen Carroll che presenta le sue fotografie più recenti – a evitare abilmente di cadere postulato che sta alla base assumption behind the London
in queste trappole. Nelle sue immagini Carroll, invece di limitarsi a documentare o e- della mostra londinese “Im- exhibit “Import Export” (at Victo-
vocare, preferisce usare la rappresentazione architettonica per investigare le ampie port Export” (al Victoria & ria & Albert Museum, until De-
implicazioni dell’atto stesso della rappresentazione. Albert Museum, fino al 4 cember 4), which demonstrates
Il soggetto unico delle sue opere, sia che si tratti di fotografie, o del video lungo dicembre), che dimostra this tenet very pragmatically by p-
ventiquattro ore a cui sono abbinate, è il Federal Building di Los Angeles, progettato questo assioma in modo resenting the works of 14 “Eng-
nel 1970 dall’architetto americano Charles Luckman, ex CEO di Lever Brothers, lo pragmatico, presentando i lish” designers: some of whom are
stesso che ha commissionato la Lever House di Skidmore, Owings e Merrill a New lavori di 14 designer ‘ingle- foreigners who studied in London
York. Mentre filmava le facciate di questa torre modernista così ordinaria, Carroll ha si’: alcuni sono stranieri che and were adopted by the city
anche fotografato l’edificio a tutte le ore e sempre dallo stesso punto di vista. La se- hanno studiato a Londra e while others are of English origin
quenza di queste ventiquattro fotografie, scattate a distanza ravvicinata, è stata e- sono stati adottati dalla cit- but, though some of their work is
sposta lungo una parete particolarmente angusta della galleria, e il film è stato mo- tà; altri sono inglesi d’origine, vivono all’estero, ma la- for England, they live abroad. Together they are the new
strato una sola volta in una proiezione lunga ventiquattro ore, che si è svolta in un ci- Ellen Carroll. Rather than simply document or evoke, Carroll uses architectural vorano anche per la terra d’origine. Insieme sono il volto face of “made in Britain” design in all its facets: graphic art
nema di quartiere in contemporanea con l’esposizione. representation to investigate the larger implications of the act of representation del design “made in Britain” applicato in tutte le sue dec- for Alan Aboud with Sandro Sodano and Laurent Benner;
La linearità di Federal è in contrasto rispetto alla complessità della sua produ- itself. linazioni: grafico per Alan Aboud con Sandro Sodano e product design for Sebastian Bergne, Tord Boontje, Roberto
zione. Sebbene Carroll abbia continuato a fotografare il Federal Building per quindi- Carroll’s subject, in her photographs as well as in an accompanying twenty-four Laurent Benner; di prodotto per Sebastian Bergne, Tord Feo with Rosario Hurtado, Gitta Gschwendtner and Sam
ci anni, diversi ostacoli (poi paradossalmente rivelatisi dei vantaggi) sono emersi non hour cinematic portrait, is the Federal Building in Los Angeles that was designed in Boontje, Roberto Feo con Rosario Hurtado, Gitta Hetch with Kim Collin; jewelry design, ceramics and “soft
appena ha deciso di ampliare il progetto aggiungendo il film. Visto che il Federal Buil- 1970 by American architect Charles Luckman. (Luckman was the CEO of Lever Gschwendtner, Sam Hetch con Kim Collin; di gioielli, cera- objects” (cushions) design respectively for Lara Bohinc, Lub-
ding ospita gli uffici dell’FBI, della CIA, e dei Servizi Segreti statunitensi, Carroll non Brothers who commissioned Skidmore, Owings and Merrill’s Lever House in New mica e ‘soft’ (apparecchiature elettroniche?) rispettiva- na Chowdhary and Anne Kyyrö Quinn; fashion design for Kei
poteva procedere senza aver prima ottenuto un’autorizzazione da parte del governo York.) While filming the facades of the unexceptional modernist tower, Carroll pho- mente per Lara Bohinc, Lubna Chowdhary e Anne Kyyrö Ito, Suzanne Clements with Inacio Ribeiro, and Mark Eley
americano. Con paziente tenacia, Carroll si è districata nella fitta e rigida rete della tographed the building once every hour from the same perspective. The sequence of Quinn; di moda per Kei Ito, Suzanne Clements con Inacio with Wakako Kishimoto. The complex relationship between
burocrazia federale, riuscendo miracolosamente a ottenere i permessi necessari a por- twenty-four, point-blank photographs was displayed along one wall of Storefront’s Ribeiro, Mark Eley con Wakako Kishimoto. Il complesso design and globalization is investigated in a conference
tare a termine il suo progetto. Di conseguenza, l’aspetto politico è diventato parte in- unusually narrow gallery, and the film was screened once for twenty-four hours at a rapporto tra design e globalizzazione viene indagato an- which boasts two prestigious speakers. The Dutch architect,
tegrante dell’opera, che si esprime attraverso un complesso meccanismo di osserva- local theatre in conjunction with the exhibition. che grazie a una conferenza che vanta due relatori di spes- Rem Koolhaas and John Thackara, the director of Doors of
zione: essendo onesta solo in apparenza, la rappresentazione dell’edificio diventa la The straightforwardness of the exhibit belies the complexity of its production. Al- sore: l’architetto olandese Rem Koolhaas e John Thackara, Perception. The equally prestigious moderator of the confer-
manifestazione dell’autorità federale. Tuttavia, è precisamente questa autorità che though Carroll had been photographing the Federal Building for fifteen years, para- direttore di “Doors of Perception”. Moderato da Joe Kerr – ence is Joe Kerr – head of the Department of Critical and His-
galvanizza il processo artistico e la materializzazione delle immagini. doxically auspicious obstacles arose when she attempted to extend her project into a a capo del Department of Critical and Historical Studies al torical Studies at the Royal College of Arts – the debate will
Nel progetto di Carroll, il Federal Building impersonifica le organizzazioni di vi- film. This is because the building houses offices of the FBI, CIA, and U.S. Secret Ser- Royal College of Arts – il dibattito si terrà il 14 ottobre alle be held on October 14th at 2 p.m. in the conference hall of
gilanza e controllo che ospita al suo interno, istigando un rapporto di reciprocità in vice. As a result, Carroll could not proceed without authorisation from the U.S. gov- 14 nella sala conferenze del V&A. L.M. V&A. L.M.
cui chi è osservato può a sua volta ‘spiare’. Questo processo di osservazione non im- ernment. Patient and acquiescent, Carroll successfully weaved her way through a
plica sguardi furtivi, ma si fonda sulla saturazione e sulla ripetizione ossessiva. Quin- dense, intransigent web of federal bureaucracy, miraculously obtaining permission to
di Federal, nella sua indagine dei meccanismi di uniformità e noia, fa aperto riferi- execute her project. Consequently, the political become an intrinsic layer of the work, organizzata dal PAC. Un’iniziativa che va di eventi in tutto (tra mostre, conferenze, concentrandosi sul sonno e sul sogno,
mento, tra gli altri, a Andy Warhol, Walter Benjamin e Toni Negri. Stabilendo che operating as a complex viewing mechanism: duplicitously frank, the representations al di là della solita mostra. I curatori concorsi, workshop e seminari) sparsi per propongono con la loro arte un risvolto
la fissazione dell’ovvio stimola la percezione dell’astrat- of the building become manifestations of federal au- Francesca Pasini e Lucia Matino hanno la città di Gwangju. Quindici giorni per terapeutico: offrire ai visitatori un luogo
to, Carroll si adopera affinché nella sua opera “qualco- thority, yet it is precisely this authority that galvanises infatti invitato una quindicina di giovani riflettere sul futuro del design, insieme ad tranquillo per il riposo e la
sa di esistente e concreto si trasformi nel nulla, in modo the artistic process and the materialisation of the im- artisti italiani a prendere possesso degli alcuni progettisti di fama internazionale contemplazione. E.S.
che l’osservatore o il pubblico possa acquistare consa- ages. spazi del museo con le loro opere. In scena come Alessandro Mendini, autore di After passing through the threshold of
pevolezza di se stesso”. In Carroll’s project the Federal Building embodies performance, video, installazioni, “Prayer” la monumentale scultura e this London gallery, we enter a house of
Il film Federal, che comprende l’audio dei realizza- the organisations of surveillance that it hosts, instigat- animazioni digitali create spesso simbolo dell’evento. E.S. dreams. This is the latest installation by
tori e dei loro incontri mondani e che, con la sua dura- ing a reciprocity in which the “watched” can “watch direttamente sul posto. Tra le sale, sulle Design, more than any other the Russian artist couple, Ilya and Emilia
ta, sfida (vincendo la scommessa) il coinvolgimento del the watchers”. The act of viewing, however, does not scale e nell’ingresso opere di Maloberti, endeavor, has the capacity of illuminating Kabakov. The works of these artists focus
pubblico, forse favorisce un’ampia esperienza di osser- entail fleeting glances, but relies on saturation and rep- Ciracì, Vanzo, Di Maggio. E.S. our lives. This is the message from the first on sleep and dreams which even have a
vazione, implicando, per questo, uno sforzo minore ri- etition. Accordingly, “Federal” openly references Andy Jazz sounds from Paolo Fresu, Korean Design Biennial which will include therapeutic twist by offering visitors a
spetto alla sezione fotografica. Quello che invece viene Warhol, Walter Benjamin and Toni Negri, among oth- Antonello Salis and Furio di Castri (the PAF 20 events (exhibitions, conferences, place for resting and contemplation. E.S.
gestito meglio nelle fotografie è la relazione discordan- ers, in its exploration of the mechanisms of homogene- trio) accompanied by a performance by the contests, workshops and seminars)
te tra percezione e connotazione temporale. Nell’espo- ity and boredom. Positing that fixation on the obvious artist Alex Pinna mark the opening of scattered throughout the city of Gwangju.
sizione in ordine cronologico l’insieme delle fotografie stimulates perception of the abstract. In this work Car- “Aperto per lavori in corso”, the exhibition The 15 days of the Biennial will stimulate
sembra l’ingrandimento di un filmino, ma a causa sia roll strives to “take something that exists and turn it in- organised by PAC. An initiative that goes reflection on the future of design and will
dell’incrollabile immutabilità di un soggetto così auste- to nothing, so that the viewer or public becomes aware beyond the regular exhibition. Curators see the participation of internationally
ro, sia dell’incessante progressione temporale, le imma- of themselves”. Francesca Pasini and Lucia Matino have famous designers including Alessandro
gini non creano una rappresentazione piatta. In linea Federal the film, which incorporates audio of film- invited around fifteen young Italian artists Mendini, the sculptor of “Prayer”, the
con il suggerimento di Carroll che sostiene che “la du- makers and their mundane encounters, and whose to take over the museum’s spaces with their monumental piece which is the symbol of
rata crea una dimensione”, la combinazione di costan- length challenges (and undeniably conquers) its audi- work, many of which are created directly the event. E.S.
za e cambiamento nella rappresentazione fotografica ence, perhaps fosters a digressive viewing experience on site. In the galleries, on the stairs and in
del Federal Building riesce a esporre la tangibilità laten- more effortlessly than its photographic counterparts. the entrance, work by Maloberti, Ciracì,
London – Gran
te dell’elemento temporale: il tempo viene catturato, se- What the photographs more effectively articulate is a Vanzo, Di Maggio. E.S. Bretagna/Great Britain
zionato e classificato. discordant relationship between perception and time. Jeff Wall
Affrontando temi più ampi, come la soggettività, Displayed chronologically, they collectively resemble a
l’invisibilità del potere politico e la manifestazione del blown-up filmstrip. But because of the austere subject’s 21.10.2005 – 8.1.2006
tempo, e rifuggendo le convenzioni della rappresenta- unwavering immutability and the mechanical progres- Tate Modern
zione architettonica, la mostra Federal afferma il po- sion of time, the still images circumvent flat representa- T +44-20-78878000
tenziale concettuale delle mostre di architettura. Inoltre, tion. Following Carroll’s suggestion that “duration cre- www.tate.org.uk
quello che Federal suggerisce è che una mostra può ap- ates dimension”, the conflation of constancy and
profondire la portata del discorso architettonico, sia at- change in the photographic depictions of the Federal
London – Gran Dalla fine degli anni Settanta a oggi,
traverso lo sfruttamento dei mezzi visivi, sia abbrac- Building expose the latent palpability of the temporal: Bretagna/Great Britain attraverso una quarantina di opere la Tate
ciando la natura più elusiva e inafferrabile del suo sog- time is captured, dissected and classified. Ilya and Emilia Kabakov. ripercorre l’intera carriera artistica di Jeff
getto. Tackling broader issues such as subjectivity, the in-
Gwangju – Corea/Korea Wall. In mostra anche nuovi lavori che
Irene Sunwoo è una storica dell’architettura visibility of political power, and the manifestation of Gwangju Design The House of Dreams l’artista canadese ha creato apposta per
e lavora a New York time, and eschewing conventions of architectural repre- Biennale l’esposizione, oltre ad alcune icone della
sentation, Storefront’s “Federal” asserts the conceptual 19.10.2005 – 8.1.2006 fotografia contemporanea. Come la sua
Architecture exhibitions consistently use visual potential of architectural exhibitions. Moreover, what 18.10.2005 – 1.11.2005 Serpentine Gallery, Kensington Gardens personale versione dell’uomo invisibile,
media to simulate projects in order to convey oeu- “Federal” suggests is that an exhibit can further the T +82-062-6084282 T +44-020-74026075 protagonista del romanzo di Ralph
vres, movements or historical periods. Storefront for scope of architectural discourse by fully exploiting vi- www.design-biennale.org www.serpentinegallery.org Ellison, dove un uomo ritratto di spalle,
Art and Architecture, a New York gallery committed sual media, as well as by embracing the elusive nature siede solitario all’interno di uno scantinato
to alternative exhibitions of the built environment, of its subject. Il design, più di ogni altra disciplina, ha la Varcata la soglia della galleria londinese, si illuminato dalla luce di 1.369 lampadine.
deftly avoids such trappings in “Federal”, a solo ex- Irene Sunwoo is an architectural historian capacità di illuminare la nostra vita. È spalancano le porte di una casa dei sogni. “Senza luce non sono soltanto invisibile,
hibit of recent photography by American artist Mary based in New York questo il messaggio veicolato dalla prima È l’ultima installazione della coppia di ma del tutto senza forma; ed essere
Biennale del Design coreana, una ventina artisti russi Ilya e Emilia Kabakov che, inconsapevole della forma di qualcuno è

10 domus Ottobre October 2005 Ottobre October 2005 domus 11


come sperimentare la morte”, spiega nel
prologo, “Io stesso, dopo avere vissuto
vent’anni, non sono diventato vivo finché
non ho scoperto la mia invisibilità”. E.S.
With around forty works dating from
the 1970s up until the present day, the Tate
illustrates the entire artistic career of Jeff
Wall. Also on show are new works that the
Canadian artist has created especially for
the exhibition, together with a number of
icons of contemporary photography. Such
as his personal vision of the invisible man,
protagonist of the novel by Ralph Ellison,
where a man is portrayed from behind,
sitting alone inside a cellar illuminated by
the light of 1,369 lamps. “Without light I
am not only invisible, but formless as well;
and to be unaware of one’s form is to live a
death”, explains the prologue, “I myself,
after existing some twenty years, did not
become alive until I discovered my
invisibility”. E.S.
Utrecht
Olanda/The Netherlands
Utrecht Manifest 2005.
Biennial for coscentious
design
21.10.2005 – 1.11.2005
Stichting Utrecht Biënnale, Erasmuslaan 5
T +31-30-2512135
www.utrechtmanifest.nl
Architettura e design prima di tutto, ma
anche spettacolo, letteratura, dibattiti
politici e su tematiche sociali. Avrà un
carattere multidisciplinare l’evento
organizzato a Utrecht, che si propone di
passare in rassegna i principali sviluppi di
queste discipline, tutte segnate dal
modernismo, un movimento
profondamente radicato nella storia stessa
della città e rappresentato da un
personaggio come Gerrit Rietveld. L.M.
Architecture and design are the
protagonists but entertainment, literature,
and political debate about social issues,
will also have strong supporting roles in
the Utrecht event.
The Utrecht Biennial for Conscientious
Design plans to review the main
developments in all these fields which have
been heavily influenced by modernism, a
© John Gossage
movement which is deeply rooted in the
very history of this city and which is
represented by figures such as Gerrit
Rietveld. L.M.
12 domus Ottobre October 2005
number of internationally renown
photographers to Italy, including Lewis
Baltz, Stephen Shore, John Davies and
Michael Schmidt. Their images today form
a unique collection to which the
Fotomuseum has dedicated an exhibition,
curated by the director Urs Stahel. E.S.
© Jeff Wall. Collection FRAC, Champagne-Ardenne
Barcelona
Spagna/Spain
V Do.Co.Mo.Mo. Iberico
26.10.2005 – 29.10.2005
www.coac.net/docomomo5
Al centro della quattro giorni di incontri,
organizzata dal Do.Co.Mo.Mo. Iberico e
dall’Ordine degli Architetti della
Catalogna per fare il punto
sull’architettura Moderna in Spagna,
troviamo un omaggio al Gatpac, il gruppo
di architetti e tecnici spagnoli che 75 anni
fa (nell’ottobre 1930) si riunì con
l’obiettivo di promuovere il progresso
nell’architettura contemporanea. Sotto la
guida di J.L. Sert fu proprio la sezione
catalana a regalare al Paese i progetti
Winterthur urbanistici più importanti, come il plan
Svizzera/Switzerland Maciá, sviluppato in collaborazione con
Trans Emilia Le Corbusier. Al simposio, diretto da
Antonio Pizza e coordinato da Paolo
22.10.2005 – 12.2.2006 Sustersic, ne parleranno tra gli altri Oriol
Fotomuseum Winterthur Bohigas, Nuño Portas, Eric Mumford e
Gruzenstrasse 44-45 Maristella Casciato. E.S.
T +41-52-2341060 At the centre of four days of meetings,
www.fotomuseum.ch organised by the Do.Co.Mo.Mo. Iberico
and the Catalonian Institute of Architects
Documentare le trasformazioni del to look at modernist architecture in Spain,
paesaggio emiliano è da quindici anni la we find this year a homage to Gatpac, a
missione di “Linea di Confine”. Dopo group of Spanish architects and
avere raccolto l’eredità dei maestri già technicians that 75 years ago (in October
presenti sul territorio, come Luigi Ghirri, 1930) came together with the aim of
Guido Guidi e Olivo Barbieri, promoting the progress of contemporary
l’associazione dedicata alla fotografia ha architecture. Under the leadership of J.L.
invitato in Italia alcuni dei più importanti Sert it was the Catalan section that gave
autori internazionali: tra questi, Lewis the country the most important urban
Baltz, Stephen Shore, John Davies e designs, from the Maciá plan, developed in
Michael Schmidt. I loro scatti formano collaboration with Le Corbusier. At the
oggi una collezione unica alla quale il symposium, directed by Antonio Pizza and
Fotomuseum dedica un’esposizione, coordinated by Paolo Sustersic, speakers
curata dal direttore Urs Stahel. E.S. include Oriol Bohigas, Nuño Portas, Eric
The documentation of the changing Mumford and Maristella Casciato. E.S.
landscape of Emilia has been the mission
of “Linea di Confine” for fifteen years.
After having brought together the legacy
of leading figures already present in the
area, such as Luigi Ghirri, Guido Guidi
and Olivo Barbieri, the association
dedicated to photography invited a
Vicenza – Italia/Italy
Kazuyo Sejima – Ryue
Nishizawa SANAA
30.10.2005 – 29.1.2006
Basilica Palladiana di Vicenza
www.abacoarchitettura.org
Pensato dallo studio SANAA per il salone
della Basilica Palladiana, l’allestimento
della mostra organizzata da
Abacoarchitettura ricrea le condizioni
spaziali che sono alla base dell’architettura
dei giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue
Nishizawa. Sotto una luce bianchissima,
immersi in un’atmosfera quasi surreale,
troviamo disegni, foto, proiezioni e
modelli a grande scala dei loro lavori più
recenti: dal Museo del XXI secolo a
Kanazawa (premiato con il Leone d’oro
come migliore architettura alla scorsa
biennale veneziana) al quartier generale
della casa farmaceutica Novartis di
Basilea. E.S.
Conceived of by the SANAA studio
for the Basilica Palladiana fair, the layout
of the exhibition organised by
Abacoarchitettura recreates the spatial
volumes which are the basis of the
architecture by Japan’s Kazuyo Sejima and
Ryue Nishizawa. Under bright white light,
in an almost surreal atmosphere, we find
sketches, photos, projections and large
scale models of their most recent works:
from the 21st Century Museum in
Kanazawa (which was awarded the
coveted Leone d’oro as the best
architecture in the last edition of the
Venice Biennial) to the headquarters of the
pharmaceutical company, Novartis, in
Basel. E.S.
München
Germania/Germany
Porca China.
The best bid wins
Scadenza/Deadline 30.10.2005, h. 16
Ingo Maurer GmbH, Kaiserstrasse 47
T +49-89-3816060
claude.maurer@ingo-maurer.com
www.ingo-maurer.com
Il lampadario Porca China, pezzo unico
della collezione di Ingo Maurer, lodato e
conteso all’ultimo Salone del Mobile
milanese, va all’asta. “Lo cedo con un po’
di tristezza, ma per me è più importante
sostenere l’azione umana”, rimarca il
designer tedesco, che donerà il ricavato a
Medici senza frontiere, l’organizzazione
internazionale attiva in zone di guerra e in
Paesi travolti da catastrofi.
L’asta parte da un prezzo base di 45.000
euro, che potrà essere incrementato con
offerte di 2.000 euro per volta, fino al 30
ottobre. E.S.
The Porca China chandelier, a unique
piece in the collection of Ingo Maurer,
praised and contended in the last edition of
Milan’s Salone del Mobile, is going to
auction. “Giving it away makes me sad,
but the most important thing is supporting
the human actions” says the German
designer who will donate the returns to
Doctors without Borders, the international
organization which works in war zones
and in countries stricken by disaster. The
auction price begins at 45,000 euro with
an additional 2,000 euro per offer up to
October 30th. E.S.
Foto/Photo Tom Vack
Ottobre October 2005 domus 13
“Caro Ettore,
adesso ti scrivo perché sono finalmente contento.
Ho comprato un appartamento in multi-proprietà. Posso abitarlo dalla metà
di luglio alla metà di agosto e possiamo prendere il sole; un giorno io con
mio figlio e un giorno mia moglie con le due figlie perché il balcone è un
po’ piccolo e non ci stiamo tutti insieme. Ma ci abbronziamo.
Possiamo anche vedere il mare lontano ma la raffineria sulla costa
non si vede molto perché è quasi sempre affondata dentro nuvole di fumi.
Sul fondovalle c’è il supermarket molto comodo, i distributori di benzina
e le autorimesse e ci sono anche le trattorie con musica, ma non ci andiamo
spesso perché i prezzi sono alti.
Sull’altro lato della valle vediamo tante case bianche come la nostra e
quando ci sono le partite di calcio si vedono le bandiere dei tifosi.
Caro Ettore, sono davvero contento. È così bello poter vedere il cielo,
il mare ed essere circondati dalla natura.
Come va a Milano?
Ti abbraccio”

“Dear Ettore,
I’m writing to you now because I am content at last.
I have bought a time-share apartment. I can use it from mid-July to mid-
August and we can sunbathe; my son and I sunbathe one day and my wife and
our two daughters the next, because the balcony is too small to fit us all
in together. But we can get a suntan.
We can also see the sea in the distance though we can’t see much of the oil
refinery on the coast as it’s nearly always buried in clouds of smoke.
Up the valley there’s a very convenient supermarket, gas stations, garages
and restaurants with music, but we don’t go there often as they are pricey.
Across the valley we can see lots of white houses like ours and whenever
there is a football match we can see the fans’ flags. Dear Ettore, I am
really happy. It’s lovely to be able to see the sky and the sea and to be
surrounded by nature.
How’s life in Milan?
I send you a hug”

Ettore Sottsass Foto dal finestrino Pictures from a window

Ottobre October 2005 domus 15
Prisms
Tre progetti dell’architetto californiano Michael Maltzan sulla relazione tra interno e
esterno: una ricerca quasi ossessiva sul clima, sullo spazio e sul suo utilizzo che
impiega tecnologie avanzate, modelli in scala 1:1, complessi effetti ottici
High-tech materials, 1:1 mock-ups, complex optical effects: each of
Californian architect Michael Maltzan’s designs is an almost obsessive process of
experimentation on the relationship between private and public space

A cura di/Edited by Joseph Grima, Karen Marta, Matteo Poli

Oblique Actions
Intervista a Mirko Zardini
Domus Quale ruolo ha Los Angeles nel lavoro di
Michael Maltzan?
MZ Molti degli interventi di Maltzan sono su
edifici esistenti e da questo punto di vista sono
legati ad esperienze di alcuni anni fa, ad
esempio ai primi lavori di Frank Gehry.
Pensiamo ad esempio al Museo di Fresno, che
incorpora un edificio esistente in un isolato
molto articolato e complesso, unendo così
elementi diversi in un progetto che reinventa
completamente una situazione urbana. Mi
sembra che il suo lavoro sia legato all’idea che
una città come Los Angeles possa cambiare
sfruttando delle potenzialità che fino ad ora
sono rimaste inutilizzate.
Domus La presenza di Los Angeles si rivela
anche in una particolare attenzione al rapporto
tra interno ed esterno...
MZ In quasi tutti i progetti di Michael sono
presenti dispositivi che permettono un
passaggio graduale tra gli spazi interni e quelli
esterni. I suoi progetti recuperano una serie di
condizioni intermedie, normalmente
abbandonate o trascurate, grazie a cui il
rapporto tra l’edificio e il contesto urbano è
sempre molto articolato e sofisticato.
Nel caso di Fresno è ad esempio importante
non soltanto il percorso fluido che porta
all’interno dalla Piazza, ma anche il
trattamento degli spazi esterni con delle
vasche d’acqua, che sono pensate per creare
un microclima diverso, per raffreddare l’aria
nel museo. L'idea di progettare un clima è
molto interessante: un ambiente non è
soltanto un fatto puramente visivo ma è anche
legato a una condizione ambientale e alla
percezione fisica.
Domus Anche la copertura è studiata per
portare all’interno in modi diversi una
condizione esterna, per esempio la luce…
MZ La luce è presente anche grazie alla terrazza
sulla copertura. Tutti i percorsi sono fluidi e
non sono pensati in maniera meccanica, ma
sono molto articolati sia nel percorso di
ingresso, sia nel percorso di uscita. I dispositivi
ottici che Maltzan introduce per creare degli
scorci trasversali permettono infatti una
visione e soprattutto una circolazione
multidirezionale.
Domus Questa ricerca è alla base anche del
Jinhua Pavilion. Il ragionamento è simile: la
distorsione dello spazio in funzione di un
percorso fisico.
MZ Sì, alla base del progetto in Cina c’è la
ricerca di una distorsione ottica e spaziale,
introdotta sostanzialmente con due piani
inclinati che si biforcano generando una serie
di sguardi incrociati. Il tentativo di controllare
la visione e di condizionare un meccanismo
percettivo produce una circolazione
particolarmente riuscita, nonostante le
dimensioni ridotte del padiglione.
Trovo che questo tipo di ricerca sia
particolarmente rilevante, perché si fonda sulla
presenza fisica degli abitanti; è un’architettura
legata in questo senso all’idea del corpo.
In questo senso il lavoro di Michael Maltzan è
18 domus Ottobre October 2005
in relazione con la cultura di Los Angeles. Il suo
lavoro è una continuazione di questa
riflessione ma anche una ricerca che si muove
in maniera molto più sofisticata e articolata di
quanto non sia avvenuto finora.
Domus Tra gli architetti della scena
losangelina, Maltzan è uno dei pochi che stia
davvero provando ad innovare i canoni estetici
tipici della ricerca architettonica in California.
MZ L’idea di includere nella concezione del
progetto la presenza fisica dell’abitante, del
corpo, del movimento e della visione,
combinata con la ricerca sulle condizioni
atmosferiche, l’umidità, l’ombra, la
temperatura è pittosto innovativa. Si tratta di
temi che nonostante tutto si legano moltissimo
alla tradizione culturale recente di Los Angeles.
Domus Questa attenzione alla fisicità si
manifesta anche nel suo modo di lavorare?
Invece che con il computer, Maltzan lavora
moltissimo con modelli fisici, tangibili.
MZ Credo che per lui sia fondamentale questo
modo di lavorare. Al di là di come venga
prodotto, il modello è uno strumento che
permette di controllare le condizioni legate
all’abitare e al clima assai meglio di quanto
non si possa fare affidandosi esclusivamente ai
disegni prodotti in maniera digitale o manuale.
La ricerca del controllo degli spazi e
dell’ambiente attraverso i modelli ha infatti
come sua diretta conseguenza la padronanza
effettiva degli aspetti fisici di un progetto.
Domus Un atteggiamento che si riflette anche
nella ricerca sui materiali: la produzione dei
modelli in scala 1:1 delle facciate o delle texture
consente e introduce una grande fisicità nei
progetti di Maltzan.
MZ Nei suoi ultimi progetti, questa idea di una
visione diretta del manufatto comprende
anche la pelle degli edifici: sono involucri che
incominciano ad essere trattati in maniera
molto più sofisticata attraverso
sperimentazioni sui materiali dei pannelli, che
vanno dall’acciaio alla fibra di carbonio. È un
tentativo – diverso – di controllare anche la
luce. Un’idea dell’involucro molto legata
all’idea di un controllo ambientale.
Domus Una sorta di fase di ‘post-rendering’...
Le immagini ottenute attraverso un modello
fisico derivano infatti da un immaginario
digitale, riconducibile all'estetica dei
rendering.
MZ I progetti di Maltzan sono una somma di
tutte queste tecniche. Credo che i disegni da soli
non riescano a restituire, come spesso capita in
questi casi, la complessità delle situazioni che
vengono create; sono più degli strumenti di
verifica. Al contrario, i modelli hanno un ruolo
fondamentale in questo tipo di concezione degli
spazi. Non è un caso che i modelli non siano
esclusivamente legati all’oggetto in sé o allo
spazio interno, ma riguardino anche lo spazio
urbano, inglobando diversi pezzi dell’esistente
(a volte basta semplicemente un intonaco,
un’immagine...), manipolato in maniera più o
meno sofisticata.
1. Book Bar, Jinhua
Architecture Park
Domus Quale tipo di committenza sostiene i
lavori di Maltzan ?
MZ Credo che, grazie all’esperienza della sede
temporanea del MoMA Queens di New York, la
sua committenza sia cambiata e oggi sia
composta da musei e anche da privati legati al
mondo dell’arte, e che tenda a diventare
sempre più una committenza pubblica. Ma non
dimentichiamo che Maltzan ha già lavorato
molto con committenti pubblici. È un dato
interessante, perché di solito pensiamo che Los
Angeles sia il luogo per antonomasia del
privato, mentre in realtà sta diventando una
città in cui la componente pubblica gioca un
ruolo sempre più importante. Pensiamo ad
esempio alla committenza per le piccole
biblioteche (che rappresenta un sistema molto
particolare di trasformazione della città) o a
quella per il sistema delle scuole. Questa
committenza, per così dire pubblica, definisce
una condizione urbana diversa da quella a cui
noi possiamo generalmente pensare. Ad
esempio viene data una particolare attenzione
– a partire dall'influenza dell’every day
urbanism/every day architecture – verso quegli
spazi generalmente non considerati che sono
importanti per una condizione di vita collettiva,
informale, come i parcheggi, i piccoli club, i
piccoli spazi da cui Maltzan trae vantaggio,
incorporandoli nei suoi progetti, rafforzandone
così la presenza urbana e collettiva.
Domus Anche nella Leona Residence ci sono
degli spazi che sono in un certo senso
“pubblici”. Tutta la casa è circondata da una
galleria d'arte per gli ospiti...
MZ La Leona House, in termini di programma,
riflette bene la ricerca di Maltzan per realizzare
la fluidità tra spazi diversi. È una casa che da
una parte ha un programma pubblico – una
collezione d’arte – e dall’altra una dimensione
di vita totalmente privata. Questi due elementi
coesistono in maniera felice all’interno del
medesimo intervento: è una casa molto
‘urbana’, che riproduce all’interno dell’edificio
delle gerarchie e dei meccanismi solitamente
associati a altre tipologie urbane.
Domus C’è una prospettiva internazionale nel
suo lavoro?
MZ Maltzan sta partecipando a concorsi in
Canada, sta seguendo il progetto in Cina, è
presente anche in Europa. Sarà interessante,
nei prossimi anni, capire come questa sua
competenza e cultura losangelina si
svilupperanno a contatto con situazioni così
diverse.
Mirko Zardini
Architetto, vive tra Milano e Montreal, dove è stato da poco
nominato direttore del CCA (Canadian Centre for Architecture).
“Per il tipo di struttura, è stato necessario costruire
il padiglione in un cantiere navale. La sua forma spezza
il programma in due: una libreria da una parte ed una
sala di lettura dalle pareti perforate dall’altra”.
“Due to the nature of its structural system, our pavilion
is being assembled in a shipyard. Its double-perspectival
form splits the programme into two parts: a bookstore
on one side and an ‘amphitheatre’-like reading room
with perforated walls on the other.”
 Oblique Actions
C C Intervista a Mirko Zardini
Domus What role does the city of Los Angeles
play in the work of Michael Maltzan?
Mirko Zardini Many of Maltzan’s projects deal
with existing buildings and from this point of
view they are linked to experiences from a
number of years ago, for example the early work
of Frank Gehry. Take the Fresno museum, which
Sezione/Section A-A
incorporates an existing building into a highly
A articulated and complex block to bring together
different elements in a scheme that completely
Il progetto originario in cemento reinvents an urban situation. It seems to me
B armato è stato rivisto in funzione that his work is linked to the idea that a city like
+
_ 0.00 delle condizioni del sito. Grazie Los Angeles can change, exploiting potential
alla struttura in acciaio, l’edificio
that up until now has remained unused.
+
_ 0.00 è sufficientemente leggero per
‘galleggiare’ sul terreno instabile
vicino alla riva del fiume Domus The presence of Los Angeles is
The architect’s original design in
particularly apparent in the relationship
concrete had to be revised due to between the interior and exterior.
the nature of the site which it was
to be built. Thanks to its steel MZ In almost all of Michael’s projects, devices
+2.30 DN
frame structure, the building is
Mezzanine
are present that allow a gradual passage
sufficiently light to ‘float’ on the
waterlogged ground next to the between internal and external spaces. His
river projects retrieve a series of intermediary
Entrance conditions, normally abandoned or neglected,
UP
Bookstore/ thanks to which the relationship between the
Cafe
building and the urban context is always highly
Reading
articulate and sophisticated.
Area
In the case of Fresno, what is important is not
+2.30 just the fluid route that leads into the piazza but
also the treatment of the external spaces with
pools of water that have been designed to
A create a microclimate that naturally cools the air
in the museum. The idea of designing a climate
is very interesting. Spatial experiences are not
Sezione/Section C-C
only visual - they are also linked to
environmental conditions and physical
perception.
Domus The roof has also been designed to draw
the exterior into the interior in different ways,
B for example through the modulation of
daylight…
MZ Light is an important feature of the building,
particularly thanks to the roof terrace. All the
routes are fluid and are not designed in a
mechanical fashion but are very articulated for
both the entrance and the exit. Maltzan adopts
visual strategies to allow multi-directional
vision and, above all, circulation.
Domus This approach is also at the basis of the
Jinhua Pavilion. The logic is similar, the
distortion of space in relation to a physical
Sezione/Section B-B
route.
MZ Yes, optical and spatial distortion is at the
basis of the project in China, which featured
two inclined floors that branch off to generate a
“A Jinhua, appena a sud di Shanghai, l’artista cinese Ai Wei Wei sta series of crossover views. The attempt to control
vision and condition a perceptive response
coordinando la trasformazione di più di un miglio della riva del fiume results in a particularly successful circulation
despite the small size of the pavilion. I find that
in un “giardino di architetture”. Un gran numero di programmi culturali this kind of approach is quite relevant because
è sparpagliato in diversi padiglioni lungo il percorso...” it is founded on the physical presence of the
inhabitants; it is architecture that is closely
“In Jinhua City, not too far south of Shanghai, Chinese artist Ai Wei Wei linked with the idea of the body. In this sense
the work of Michael Maltzan relates to projects
is overseeing the transformation of a 1,5-mile stretch of riverbank into an closely tied to the Los Angeles architectural
scene. His work is a continuation of this
‘architecture park’. A variety of cultural programmes is scattered through thinking, but it’s an approach that moves in a
much more sophisticated and articulate
a number of small pavilions along its length...” direction compared to its antecedents.
22 domus Ottobre October 2005
Domus Among architects in L.A., Maltzan is one
of the few who is genuinely trying to overhaul
the aesthetic canons associated with Californian
architecture.
MZ The idea of including the physical presence
of the inhabitant, the body, movement and
vision in the conception of the project, along
with working on atmospheric conditions such as
humidity, shade and temperature, are quite
innovative themes. Themes that, despite
everything, are very much linked to the recent
cultural tradition of Los Angeles.
Domus Does this attention to physicality also
surface in his working methods? Instead of
using the computer, Maltzan works a great deal
with physical, tangible maquettes.
MZ I think this way of working is crucial for him.
The maquette is a tool that allows for much
better control of conditions linked to living and
climate than can be achieved by just using
drawings produced digitally or manually.
Working on controlling spaces and
environments via the use of models enables one
to effectively master the physical aspects of a
design.
Domus An approach that is also reflected in his
use of materials: creating 1:1 mock-ups of
facades or textures allows for a considerable
degree of control over the final result in terms of
atmosphere and detail.
MZ In his more recent projects, this idea of a
direct vision of the finished project also includes
the building’s skin. His understanding of the
materiality of surfaces is extremely
sophisticated, mainly because he regularly
experiments with everything from steel to
carbon fibre. It is also a way of controlling
lighting conditions. There’s a notion of the
surface that is very much linked to the idea of
environmental control.
Domus It seems like a kind of “post-rendering”
phase. The images obtained through the
physical model derive in fact from digital
imagery that makes reference to the aesthetics
of rendering.
MZ Maltzan’s projects are the sum of all these
techniques. I think that, as often happens in
these cases, drawings alone cannot convey the
complexity of the situations that are created;
they are just tools used for verification. On the
contrary, models have a fundamental role in
this kind of conception of space. It is not by
chance that the models are not exclusively
linked to the building itself or to interior spaces
- they also relate to urban space, bringing in
different existing elements (sometimes it
requires only the rendering, an image).
Domus What type of client supports Maltzan’s
work?
MZ I think that thanks to the experience of the
temporary site for MoMA Queens in New York,
his client base has changed; today it consists of
public institutions, museums and private clients
that are in some way linked to the art world. But
let’s not forget that Maltzan has worked a lot
with the public sector. This is an interesting fact
because usually we think of Los Angeles as a
place dominated by the private sector whereas
in reality it is becoming a city in which the
public component plays an increasingly
important role. Think for example of the
commissioning of small libraries (an unusual
but powerful strategy for transforming the city)
or projects for the school system. The public
client defines an urban condition in a way
that’s different from what we are accustomed
to. For example, particular attention is paid –
starting with the influence of everyday
urbanism/everyday architecture – to those
spaces that generally do not receive much
consideration but that are important for
collective, informal life such as carparks and
small clubs. Maltzan turns such small spaces to
his advantage, incorporating them into his
designs and reinforcing as such the urban
presence of his projects.
Domus In Leona House there are also spaces
that are in a certain sense “public”. The whole
house is surrounded by an art gallery for the
guests...
MZ Leona House, in terms of a plan, clearly
demonstrates Maltzan’s intention in creating
fluidity between different spaces. It is a house
that on the one hand has a public purpose – an
art collection that is occasionally open to visitors
– and on the other a very private side. These
two elements coexist happily within the same
intervention: it is an “urban” house that
reproduces inside the building hierarchies and
mechanisms usually associated with other
urban typologies.
Domus Is there an international perspective in
his work?
MZ Maltzan is taking part in competitions in
Canada, working on a project in China and is
also present in Europe. It will be interesting in
the coming years to see how his work in Los
Angeles will develop through contact with such
diverse situations.
Mirko Zardini
is an architect. He lives and works between Milan and Montreal,
where he was recently nominated Director of the CCA (Canadian
Centre for Architecture).
Ottobre October 2005 domus 23
2. Fresno Metropolitan Museum

“Sono partito dall’idea di progettare uno spazio pubblico

contenuto, ma date le condizioni ambientali e il paesaggio
di Fresno mi è sembrato che la cosa migliore fosse di renderne
permeabile il perimetro, sollevando tutto lo spazio espositivo
dal suolo e lavorando sulla pancia dell’edificio, che diventa
così una quinta facciata”.
“I started out with the idea of designing a self-contained
public space, but due to Fresno’s climatic conditions I realised
it would be better to increase the building’s permeability
by lifting the exhibition spaces off the ground and working
on the belly, which therefore becomes a fifth facade.”
“I profili frastagliati della copertura, che permettono
di dosare la luce all’interno delle sale, mimano
esplicitamente l’effetto dell’evaporazione dell’acqua
sotto il sole cocente della California...”.
“The roof’s uneven surface, which allows for the
modulation of daylight on the interior, is reminiscent
of the optical illusions caused by water evaporating
under the blistering Californian sun...”
26 domus Ottobre October 2005
3. Leona Residence, Los Angeles “Il progetto nasce dall’esigenza del committente di avere
all’interno di una residenza privata una grande galleria
d’arte occasionalmente aperta al pubblico. Trovo che
l’arte contemporanea sia poco addomesticabile;
progettare una residenza in funzione di uno spazio
espositivo è stata una grande sfida”.
“The design was determined by the client’s desire to
incorporate a space to exhibit his own art collection,
occasionally open to the public, into his private residence.
Bringing together contemporary art and a domestic
environment can be a considerable challenge.”
 Progetto/Architect
Michael Maltzan

Jinhua Book Bar Pavilion

Localizzazione/Location
Jinhua City, China
Realizzazione/Completion
2005
Superficie/Area
120 m2
Committenti/Client
Jindong New District Construction Headquarters
of Jinhua City
Responsabili progetto/Design team
David Gwinn, Nadine Quirmbach, Tim Williams
Gruppo di progettazione/Project Team
Melanie Freeland, Yasushi Ishida, Gabriel Lopez,
Stacy Nakano, Edward Ogosta, Teh Park, Nick
Sowers
Strutture/Structural engineering
Guy Nordenson and Associates
Paesaggio/Landscape
Fake Design

Fresno Metropolitan Museum

Localizzazione/Location
Fresno, California
Termine dei lavori/Completion
2007
Area
7050 m2 + 1880 m2 ristrutturazioni/renovation
Committenti/Client
Fresno Metropolitan Museum
Responsabili progetto/Design team
Patrick Hwang, Thomas Goffigon,
Steven Hsun Lee,
Ed Ogosta, Stacy Nakano
Gruppo di progettazione/Project Team
Wil Carson, David Gwinn, Yong Kim,
Gabriel Lopez,
Bill Mowat, Nadine Quirmbach,
Denitsa Todorova,
Tim Williams
Strutture/Structural engineering
Guy Nordenson and Associates
MEP
Ove Arup & Partners California Ltd.
Ingegneria civile/Civil engineer
Provost Pritchard Engineering Group

Leona Residence
Gruppo di progettazione/Project Team
Pianta generale/Site plan Tim Williams, Melanie Freeland,
Yasushi Ishida, Steven Lee, Mark Nagis,
Ed Ogosta, Hiroshi Tokumaru
Strutture e MEP/Structural and MEP
Ove Arup & Partners California,Ltd.
Ingegneria civile/Civil engineer
KPFF Consulting Engineers
Landscape
Tom Leader Studio

Sezione nord-sud verso est/North-south section looking east

[
Una video-intervista di Michael Maltzan è
disponibile su www.domusweb.it

Sezione nord-sud verso ovest/North-south section looking west

A video interview with Michael Maltzan is
available at www.domusweb.it ]
30 domus Ottobre October 2005
Courtesy of the artist and Perry Rubenstein Gallery, New York
Neutra
Amir Zaki

Disavowed A cura di/Edited by Joseph Grima, Karen Marta

Ottobre October 2005 domus 33

Il 10/01/05 10:54 AM, Amir Zaki <aaz@pacbell.net> ha scritto:
Buongiorno Sig. Neutra. Ho recentemente fotografato alcune ville sulla Oakfield Drive (credo la via si chiami
così). Si trovano vicino al Beverly Glen, a valle, non lontano da Sherman Oaks e Studio City. Tutte con un forte
sbalzo. Il proprietario di una delle 12 ville su quella strada mi ha detto che il progetto originale era di
Neutra. Non mi è stato possibile verificarlo. Mi può dire ciò che sa su un eventuale coinvolgimento di Neutra in
questi progetti?
______________________________________________________________________________
Il 10/01/2005, at 1:46 PM, Dion Neutra ha scritto:
I progetti originali sono nostri, ma li abbiamo disconosciuti quando le nostre segnalazioni riguardo alcune
mancanze strutturali sono state ignorate.
NON CHIAMI QUESTI PROGETTI NEUTRA! [Sono comunque state bastardizzate da modifiche successive].
Dion Neutra, architect, AIA, FISD, Executive Consultant
Neutra Institute for Survival Through Design
2440 Neutra Place, Los Angeles, CA 90039
Phone/Fax: 323 666 1806 Website: www.neutra.org E-mail: dion@neutra.org
______________________________________________________________________________
Il 10/01/05 2:24 PM, Amir Zaki <aaz@pacbell.net> ha scritto:
Gentile Sig. Neutra. Grazie del chiarimento. La ‘bastardizzazione’ a cui lei si riferisce (io la chiamo entropia
architettonica) è appunto uno dei miei interessi nel fotografare queste strutture. E’ stato di grande aiuto.
Amir Zaki
34 domus Ottobre October 2005
On 1/10/05 10:54 AM, Amir Zaki <aaz@pacbell.net> wrote:
Hello Mr. Neutra. I recently photographed a few homes on Oakfield Dr. (I think that's the correct street name).
They are located off of Beverly Glen, on the valley side of the hill, close to Sherman Oaks and Studio City. They
are severely cantilevered. I was told by an owner that the 12 homes on that street are all originally Neutra
homes. I have not been able to verify this or not. Can you tell me what you know about Neutra's involvement with
these structures if any?
______________________________________________________________________________
On Jan 10, 2005, at 1:46 PM, Dion Neutra wrote:
1/10/05 We originally designed these, but disavowed them when announced construction deficiencies were not
addressed.
DO NOT CALL THESE NEUTRA PROJECTS! [They have since been bastardized by remodels anyway].
Dion Neutra, architect, AIA, FISD, Executive Consultant
Neutra Institute for Survival Through Design
2440 Neutra Place, Los Angeles, CA 90039
Phone/Fax: 323 666 1806 Website: www.neutra.org E-mail: dion@neutra.org
______________________________________________________________________________
On 1/10/05 2:24 PM, Amir Zaki <aaz@pacbell.net> wrote:
Dear Mr. Neutra. Thank you for clarifying. The 'bastardization' that you refer to (I think of it as
architectural entropy) is precisely one of my interests in photographing these structures. You have been very
helpful.
Amir Zaki
Ottobre October 2005 domus 35
Genuine Authentic
Rastignac
In Delirious New York, Rem Koolhaas sostiene che
l’architettura di Manhattan è un esempio
paradigmatico di sfruttamento della densità e
congestione urbana. Los Angeles necessita di una
definizione diversa. Qui la regola è ‘diluizione’.
Quest’architettura estensiva ha due caratteristiche
distinte. Dal cielo, la crescita urbana, o meglio
suburbana, è straordinariamente omogenea: miglia
e miglia di case unifamiliari allineate sul territorio
per appezzamenti ampi e ordinati. A livello della
strada, s’incontra invece un caos stilistico che vede
semplici case di legno con le facciate tappezzate dai
più disparati elementi decorativi che riflettono il
gusto eclettico del proprietario. Un censimento degli
eccentrici revival stilistici di Los Angeles
includerebbe una pagoda giapponese, un maniero
francese, un palazzo persiano e una stravagante
architettura fiabesca dai tetti spioventi e i vetri
piombati. Los Angeles offre infatti un’ampia varietà
di surrogati e sostituti.
L’integrità architettonica è qui un concetto incerto,
mentre la fedele riproduzione è considerata
sufficiente. Contrariamente alle apparenze, esiste
però un’architettura autentica, una tipologia
edilizia che appartiene al luogo e che risale al
periodo di fondazione della città. Gli Spagnoli, ai
quali apparteneva il territorio denominato a quel
tempo Alta California (1769 – 1821), introdussero l’uso
della costruzione in ‘adobe’ (un impasto di terra
argillosa che si applica per strati successivi fino a
creare spessi muri asciugati dal sole, ndr) per
edificare le missioni ecclesiastiche e le sedi
amministrative. Questo genere edilizio ebbe un
riscontro più duraturo nel deserto del sud ovest, in
particolare a Santa Fe, nel New Mexico, sede di uno
stupendo chiostro d’epoca coloniale spagnola
realizzato con spessi muri in adobe che
caratterizzano tutt’oggi l’architettura di questa città.
La tecnica in adobe era invece meno indicata per
essere utilizzata nella California del sud, a causa del
rischio sismico cui è soggetta e delle torrenziali
piogge invernali. I pochi frammenti ancora esistenti
dell’architettura originaria di Los Angeles sono
divenuti col tempo pressoché insignificanti:
decretati “monumenti storici”, sono visitati forse da
comitive scolastiche o appassionati di storia che
seguono piccole e polverose insegne stradali che li
36 domus Ottobre October 2005
conducono ai cosiddetti “monumenti viventi della
storia della California”. Ciò che vi è d’autentico è stato
ridotto a pittoresco storico. Tuttavia un simulacro
della tradizione degli adobe si ritrova in quasi tutti i
quartieri urbani ed è costituito dalle abitazioni in
tegole rosse, definite dagli immobiliaristi fin dagli
anni Venti “case Mission Style”.
Durante il secolo scorso, gli architetti svilupparono un
secondo nucleo d’architettura autentica e
caratteristica di Los Angeles. Il modernismo della
California meridionale si caratterizzò come
un’espressione più rilassata del linguaggio
dell’eminente International Style.
Contemporaneamente Frank Lloyd Wright costruiva
le ville in blocchi di cemento come monumentali
templi Maya. I risultati di queste sperimentazioni del
XX secolo non ebbero però un ampio riscontro. Il
Modernismo a Los Angeles fallì, e la città a tutt’oggi
non sa cosa fare con questo ristretto gruppo di
autentiche architetture moderniste. Alcune, come la
Hollyhock House di Wright o la casa-studio degli
Eames, classico esempio delle Case Study Houses,
sono state restaurate con cura, trasformate in
monumenti e aperte al pubblico – messe in mostra
così, come con le missioni ecclesiastiche. Altre icone
moderniste, quelle più affascinanti, sono state
trasformate in celebrità cinematografiche. La Ennis
House di Wright fa da sfondo alla fantascienza
distopica di Blade Runner; la Harvey Aluminum
House di John Lautner figura nella commedia
alternativa Il Grande Lebowski come rifugio di un
magnate del cinema pornografico. L’elemento
autentico in questo caso è stato assorbito nel
pittoresco filmico con atteggiamento tipicamente
losangelino. Sono convinto che le abitudini e le
tendenze dell’industria del cinema – con la sua
stravagante fantasia e continuo flusso – siano state
delle costanti che hanno influenzato l’approccio
verso l’ambiente costruito. I set cinematografici sono
creazioni immaginarie, da smantellare, risistemare e
ricostruire secondo le necessità contingenti o le
voglie di chi ne è responsabile in quel momento. Ma
anche le abitazioni, qui, sono solo parzialmente
meno provvisorie. Mary Pickford e Douglas Fairbanks,
vere superstar, si costruirono un falso maniero
baronale che divenne, al culmine del loro successo
negli anni Venti, una delle abitazioni più famose
d’America. Alla fine degli anni Ottanta, Pia Zadora
comprò Pickfair, sventrò l’edificio e lo ricostruì per
soddisfare la sua visione idiosincratica del glamour
del tempo antico. E così via, fino ad oggi, quando
personaggi del mondo del cinema, rappresentanti
di un’influente élite economica, continuano a
rimodellare edifici preesistenti per soddisfare i loro
capricci (basti pensare che i permessi edilizi per il
restauro delle abitazioni richiedono il
mantenimento di un muro soltanto dell’edificio…).
Rowan & Williams, progettisti di successo,
dimostrano come possa essere fluida la distinzione
tra immaginazione cinematografica e realtà
architettonica. Entrambi hanno lavorato come
scenografi hollywoodiani finché una ricca e famosa
star, entusiasta delle loro ambientazioni filmiche, li
ha incaricati di progettarle un palazzo andaluso
sulle colline di Hollywood. Sembra insomma che
l’architettura a Los Angeles sia stata svincolata dal
rigore della pratica accademica con le sue riflessioni
teoriche e storiche.
In questo flusso d’immaginazione e temporaneità,
l’architettura si è invece trasformata in
un’esercitazione estemporanea. Come
maliziosamente insinuano le foto manipolate
digitalmente da Amir Zaki delle case di Richard
Neutra, i proprietari a Los Angeles si sentono
autorizzati a rimuovere qualunque pezzo originale
della casa che non gli aggrada più – anche se questo
compromette l’originaria integrità architettonica. Se
persino un emblema architettonico come lo Studio
2-4-6-8 di Thom Mayne è divenuto la Sale House di
Johnston Marklee Architects, questo ci fa pensare
che nessuna architettura a Los Angeles raggiungerà
mai l’immortalità divenendo un ‘classico’, un
oggetto concluso e compiuto unicamente in base
alle scelte del suo creatore. Ovviamente anche lo
stesso Mayne, un radicale degli anni Sessanta, è
scettico verso gli architetti che pretendono di offrire
risposte o soluzioni autoritarie. Egli descrive il suo
operare come un processo che trionfa nella natura
temporanea dell’edificio ‘concluso’. Un punto di
vista che molto adatto a Los Angeles, dove
l’architettura tenta spasmodicamente d’essere
affermazione ultima, ma riesce solamente ad
improvvisare idee sul “temporaneo-
contemporaneo”.
Genuine Authentic
Rastignac
In Delirious New York, Rem Koolhaas proposed
that “Manhattan’s architecture is a paradigm
for the exploitation of congestion”. Los Angeles
requires a different formulation. Here the
paradigm is one of “dilution”. This kind of
supply-side architecture has two
characteristics. From the air, the urban—
actually suburban—growth looks remarkably
homogeneous: miles upon miles of single-
family dwellings arrayed across the landscape
in orderly, spacious plots. At street level, there
is stylistic chaos: a basic wood-frame structure
includes a hodgepodge of decorative elements
slapped on the front to suit the owner’s eclectic
taste. A survey of the eccentric revivalist styles
of Los Angeles architecture would include
Japanese pagoda, French chateau, Persian
palace, and the fantastical “storybook
architecture” with its gabled roofs and leaded
windows. Los Angeles offers a collection of the
ersatz.
Architectural integrity is a slippery concept,
where the genuine reproduction is often good
enough. Nonetheless, contrary to appearances,
there is an authentic architecture, a building
style specific to the place and time of the city’s
founding. The Spanish, who owned what was
then called Alta California (1769 -1821), brought
with them adobe construction methods to build
their religious missions and bureaucratic
outposts. This style had a more lasting effect in
the desert southwest, most famously in Santa
Fe, New Mexico, home to a marvellous Spanish
colonial courthouse with adobe walls many feet
thick that still today sets the architectural tone
for that city. Adobe construction was less
ideally suited to Southern California’s seismic
activity and torrential winter rains. The few
existing remnants of L.A.’s first tradition have
been largely consigned to irrelevance: they are
designated by the state as “historic
landmarks”, visited perhaps by school groups
and history buffs who follow small, dirt-coated
highway signs to these so-called “living
monuments to California’s past”. What is
authentic has here been reduced to the
historical picturesque. A simulacrum of the
adobe tradition, however, can be seen in
nearly every neighbourhood thanks to the red- representatives of an influential economic
tile houses developers have described, since élite, continue to rebuild earlier buildings to
the 1920s, as “Mission style homes”. suit their whims. (Building permits to
In the last century, Los Angeles architects “remodel” a house require that only one wall
developed a second authentic architecture. of the original structure be preserved). Rowan
Southern California Modernism found its own & Williams, a successful design firm, proves
voice as a distinctive, laid-back dialect of the how fluid the distinction between cinematic
International Style’s elevated vocabulary. fantasy and architectural reality can be. The
Contemporaneously, Frank Lloyd Wright built firm’s two principals worked as Hollywood set
his concrete-block houses in the manner of designers until a rich movie star, delighted by
monumental Mayan temples. The results of this their stage settings, hired them to build an
20th century experiment did not find a wide Andalucian palace in the Hollywood Hills.
audience. Modernism failed in L.A., or vice- Architecture in L.A., it would seem, has been
versa, and today the city doesn’t quite know cut loose from the rigors of academic training
what to do with the handful of genuine with its historical and theoretical
Modernist houses that remain. Some, like considerations.
Wright’s Hollyhock House and the classic Case In such a flux of fantasy and impermanence,
Study Eames House, have been carefully architecture becomes something like an
restored and opened to the public as extemporaneous exercise. As Amir Zaki’s
landmarks—placed in vitrines, as it were, like digitally manipulated photographs of Richard
the earlier church missions. The more Neutra houses slyly imply, Los Angeles
glamorous of these modernist icons have been homeowners give themselves license to remove
turned into cinematic celebrities. Wright’s whatever bit of the original house no longer
Ennis House provided a backdrop for the suits their purposes—even if that means
dystopian fantasy Blade Runner while John undermining the very foundation of a
Lautner’s Harvey Aluminum House doubles as building’s original architectural integrity. And
the lair of a porn mogul in the offbeat comedy that a recent landmark such as Thom Mayne’s
The Big Lebowski. The authentic, in this 2-4-6-8 Studio can become the Sale House by
instance, has been subsumed by the cinematic Johnston Marklee Architects suggests that no
picturesque in a peculiarly Angeleno way. building in Los Angeles will achieve immortality
The habits and proclivities of the movie as a “classic”, a complete and finished object
industry—its extravagant imagination and shaped by the unique choices of its creator. Of
constant flux—have been, I believe, a constant course Mayne himself, a former Sixties radical,
factor in shaping Los Angeles’s attitude towards is skeptical of any architectural practice that
the built environment. Film sets are fungible claims to produce authoritative solutions. He
fantasy creations, to be stripped, refitted and has described his work as a process that exults
re-constructed according to the needs of the in the provisional nature of the “finished”
moment or the whims of the person in charge. building. It’s a stance that seems particularly
Houses are hardly less provisional. Mary well suited to Los Angeles, where architecture
Pickford and Douglas Fairbanks, the original fitfully strives to make a definitive statement
superstars, built a faux baronial manor that but succeeds only in improvising on the
became, at the heyday of their popularity in the temporary contemporary.
1920s, one of America’s most famous houses. In
the late 1980s, Pia Zadora bought Pickfair and
gutted the house, rebuilding it to satisfy her
idiosyncratic vision of Old World glamour. And
so it continues up to the present day as
members of the film community,
© J.Paul Getty Trust. Used with permission
Ottobre October 2005 domus 37
 Livia Corona

Sale House

Costruito fra il 1978 e il 1981, il 2-4-6-8 Studio è stato il

primo progetto dello studio Morphosis di Los Angeles a
raggiungere la fama internazionale. Un recente
ampliamento, realizzato dallo studio Johnston Marklee e
documentato dalle immagini di Livia Corona, testimonia il
flusso di cambiamento perpetuo che trasforma perfino le
architetture più celebri della città californiana
Built between 1978 and 1981, the 2-4-6-8 Studio was the first
project by Los Angeles firm Morphosis to achieve international
fame. A recently-completed extension by Johnston Marklee,
documented by Livia Corona’s photographs, bears witness
to the flow of change from which even the city’s most
hallowed architecture cannot escape

Ottobre October 2005 domus 39

Bruno Latour
a se non siamo d’accordo su tante questioni politiche, c’è sempre
M una soluzione: fare riferimento all’oggettività della scienza.
Per lo meno lì non si discute.
- Mah, non ne sono così sicuro; hai mai letto quel che dice la storia della
scienza di Galileo, Newton, Pasteur?
- Scusa, dimenticavo che hai una passione per questo genere di storiacce.
Ma anche se il sentiero della scienza non è piano e diritto, per lo meno,
una volta che il polverone si è depositato, non c’è più da discutere.
Abbiamo la certezza.
- Sì, ma finché siamo dentro il polverone, oggi, in fatto di certezze che
arriveranno più tardi, che c’è di tanto straordinario nel tuo appello ai
fatti indiscutibili? Non hai mai sentito parlare delle discussioni sul
riscaldamento del pianeta, oppure sull’esaurimento del petrolio,
sull’espressione genica, sulle cellule staminali? Per non parlare
degli OGM.
- Be’, ma queste sono questioni scientifiche serie che avrebbero potuto
essere risolte se soltanto non fossero state mischiate a questioni politiche,
posizioni ideologiche, forza bruta, avidità di multinazionali e via dicendo.
Io dico solo: non confondiamo l’arena politica con la ricerca scientifica.
- Ma è proprio tenerli distinti, il punto! Nessuno è d’accordo con questa
bella, pulita separazione tra fatti concreti e mere affermazioni. In realtà la
stessa distinzione è il più abusato degli artifici retorici. Ti ricordi di
Powell alle Nazioni Unite quando proclamava l’esistenza di armi di
distruzione di massa? “Questi sono fatti, cari miei, non mere
affermazioni…”. Beh, guarda un po’ che fatti.
- Ma Powell era un politico! Io sto parlando di scienza, di fatti scientifici,
come, non so, “l’acqua bolle a 100 gradi”; questo per lo meno non si può
discutere ed è vero dovunque.
- Finché la pressione è costante, sì; e finché possiedi un termometro tarato
e funzionante. Ma vedi, questa non è un’affermazione scientifica.
- “L’acqua bolle a 100 gradi” non è un’affermazione scientifica?
- No, perché non è interessante, non è nuova, non è all’avanguardia della
ricerca, appartiene decisamente al passato, è patrimonio della tradizione.
Se vuoi renderla nuovamente scientifica devi tornare indietro nella storia,
alla fine del Settecento, in un quartiere di Parigi, vicino la casa di
Lavoisier all’epoca in cui la taratura dei termometri era un affare serio.
E lì sarebbe una faccenda vaga proprio come i fatti che vengono prodotti
oggi, e altrettanto carica di interesse.
- Io sto parlando di certezze e tu parli di interesse!
- Certo, perché quelli come te, che vogliono appellarsi alla scienza per
appianare le dispute politiche, propongono sempre come esempio
prediletto dati di fatto freddi, passati, noiosi, privi di interesse e
totalmente irrilevanti…
- Ma tutto il metodo scientifico si fonda sul mantenersi freddi, distanti e
disinteressati in mezzo ai più grandi e appassionati sconvolgimenti.
Si chiama ‘oggettività’, nel caso te ne fossi dimenticato.
- Ho paura che tu ti stia confondendo con la rigida piega del labbro dei
gentiluomini inglesi dei romanzi vittoriani. Che c’entra l’oggettività
scientifica con la freddezza e la distanza?
- Eccome se c’entra. È proprio ciò che ti permette di prendere le distanze
dalle passioni. È la fonte della distinzione tra scienza e ideologia.
- Si vede che non conosci molti ricercatori. Hai mai visto uno scienziato
che produce una nuova scoperta prendendo nettamente le distanze dal
suo oggetto? Freddo come un ghiacciolo? Tanto indifferente, tanto
disinteressato da infischiarsene dei risultati?
46 domus Ottobre October 2005
Scienziati
interessati
e fatti
discutibili
- Certo che gliene importa, perché sono affascinati dai risultati, perfino
fanatici nella ricerca. Guarda che ne conosco certi che vorrebbero
alzarsi di notte per tornare nel loro laboratorio ma non lo fanno per
influenzare, o distorcere o manipolare i fatti. È questo che chiamo
essere disinteressati.
- Ah, quindi vuol dire che la loro oggettività proviene da ciò che
osservano, non dal loro stato mentale interiore, dalla loro virtù etica,
dal loro sangue freddo.
- Va bene, va bene, ho parlato troppo presto, sì, diciamo che abbiamo
degli scienziati appassionati che attendono con acuto interesse certi
risultati che emergono lentamente dai loro esperimenti accuratamente
controllati. Sei contento?
- Molto, perché non sarà mai il caso di “l’acqua bolle a 100 gradi”…
- Forse no ma, come hai detto, lo è stato in passato.
- Giusto, alla seduta dell’Académie des Sciences di Lavoisier, quando il
punto di ebollizione dell’acqua mandò in ebollizione tutta l’Europa
scientifica.
- E lo affermo tanto più decisamente perché non modifica la mia
affermazione che se solo avessimo più fatti oggettivi scientifici la politica
non sarebbe così ridicolmente vaga.
- Se non che ora l’aggettivo ‘scientifico’ dipende dal tempo: “L’acqua
bolle a 100 gradi” era scientifico nel Settecento, non lo è più perché non è
importante né interessante rispetto allo stato attuale delle cose. Quanto
all’aggettivo ‘oggettivo’…
- Non metterti a fare il relativista postmoderno, per amor del cielo.
I fatti oggettivi esistono, che ti piaccia o meno.
- Non ti agitare… ti ricordi le tue prediche sulla distanza e l’oggettività?
L’oggettività oggi è pertinente, dato che sei d’accordo con me, agli
esperimenti che producono risultati attesi con intensa attenzione e
fortemente discussi.
- Io non l’ho mai ammesso!
- Certo che sì, l’hai detto quando ti sei reso conto che l’oggettività non era
il nome di uno stato mentale, ma un accadimento relativo agli
esperimenti. ‘Oggettivo’ non indica qualcosa che sta in te o negli
scienziati, ma fuori di loro.
- Ma certo! Dove mi vuoi portare? Se si tratta di minare le affermazioni
della scienza, ti avverto, non ti seguo, qualunque cosa tu faccia.
- Bel metodo scientifico! Però io non stavo ‘minando’ un bel niente, stavo
solo stabilendo un semplice punto.
- E cioè?
- Che noi tutti guardiamo contemporaneamente con intenso interesse ai
risultati di esperimenti in cui siamo tutti impegnati e che non sono affatto
pacifici. Questa è l’oggettività.
- Che vuoi dire con ‘noi’? Per caso sei diventato uno scienziato?
- No, ma sono parte degli esperimenti come un bel miliardo di miei fratelli
terrestri, senza dimenticare parecchi miliardi di animali e triliardi di
vegetali, microbi, virus e via dicendo… Ci siamo tutti dentro.
- Questa è ancora politica, discussioni, proprio quello cui cercavo di
sfuggire attraverso l’uso della scienza oggettiva.
- Questo era per me il punto. Non puoi esimerti ma puoi collaborare
con i ricercatori trovando il modo giusto di parlare di fatti discutibili.
- Questa non è più oggettività.
- L’oggettività è quel che capita agli oggetti confusi e collettivi.
- Ma per questo gli scienziati devono essere disinteressati.
- No, gli scienziati devono essere interessati.
Interested
scientists
and disputable
facts
n spite of the fact that we disagree so much on political issues, there is
I always a solution: resorting to objective science. At least with that,
there is no discussion.
- I am not so sure. Have you ever read any history of science that dealt
with Galileo, Newton or Pasteur?
- Sorry, I forgot you have a crutch for these kinds of dirty stories.
But if the path of science is not smooth and straight, at least once the
dust has settled there is no longer a need for discussion. We are certain
about that.
- Yes, but since we are in a cloud of doubt today about all the certainties
to be produced later, what’s so great about your appeal to undisputable
facts? Ever heard of the disputes around global warming, the end of
petroleum, gene expression or stem cells? Oh, and let’s not forget
about GMOs.
- But those are serious scientific questions that could have been settled if
only they had not been mixed up with political issues, ideological
commitments, brute force, corporate greed and so on. My point is this:
let us not confuse the political arena with scientific research.
- But keeping them distinct is exactly what is at stake! No one agrees on
this nice and clean separation between hard facts and mere assertions.
Actually, this distinction itself is the most abused rhetorical ploy.
Remember Colin Powell at the United Nations claiming the existence of
weapons of mass destruction: “These are facts my friends, not mere
assertions”? Well, so much for facts.
- But Powell was a politician! I am talking about science, scientific facts,
like, I don’t know, “water boils at 100 degrees Celsius”; at least this is
not going to be disputed, and it is true everywhere.
- As long as pressure is constant, yes, and as long as you have a
calibrated functioning thermometer. But this is not a scientific
statement.
- “Water boils at 100 degrees Celsius” is not a scientific statement?
- No, because it’s not interesting; this is not new, it’s not at the forefront
of research, it’s part of the past. If you want to get scientific again, you
would have to go back in history, say late 18th century Paris near
Lavoisier’s mansion at the time when the calibration of thermometers
was a big thing. And there it would be just as cloudy as the facts being
produced today, and just as interesting.
- I am talking about certainty and you speak of interest!
- Of course, because people like you, who want to appeal to science to
quiet political disputes, always propose as their favourite example cold,
past, boring, uninteresting and totally irrelevant matters of fact.
- But scientific method is all about remaining cold, distant and
disinterested even in the midst of the greatest and most passionate of
debates. In case you’ve forgotten, it’s called being ‘objective’.
- I am afraid you are confusing this with all that stiff upper lip stuff of
the English gentleman from Victorian novels. What does scientific
objectivity have to do with coldness and distance?
- Just about everything. It allows you to distance yourself from
your passions. This is the origin of the distinction between science
and ideology.
- Obviously you don’t have many researchers as friends. Have you
ever seen a scientist make a new discovery by being utterly
distant from the matter at hand, by being cold as a cucumber
about it? Are they indifferent, so disinterested by the results that
he/she would not care at all about the results?
- But of course they care; they are fascinated by the results and fanatical
about their research. Mind you, I know some who get up at night to go
back to their labs, but they don’t do that to influence, distort, or
manipulate the data. This is what I mean by being disinterested.
- Ah! So it means their objectivity comes from what they look at, not
from their inner state of mind, their moral virtue, their cold blood.
- Okay, fine, I was being a bit flippant. Yes, let’s say that we have
passionate scientists expecting with an intent interest some results
that are slowly coming out of their carefully monitored experiments.
Are you happy?
- Very, because this will never be the case with “water boils at 100°”.
- Maybe not but, as you said, it was the case in the past.
- Right, at Lavoisier’s Académie des Sciences session when the boiling
point of water made the whole of scientific Europe boil over.
- I grant you that all the more easily because it makes no difference to
my argument that if only we had more scientific objective facts, politics
would not be so ridiculously erratic.
- Except now the adjective ‘scientific’ is time-dependent: “Water boils at
100°” was scientific in the 18th century; today it is no longer so because
it’s not relevant or interesting to the present state of affairs.
As for the adjective ‘objective’…
- For heaven’s sake, don’t play the postmodern relativist. There are
objective facts that you either like or not.
- Don’t get so excited. Remember your sermons about distance and
objectivity? Objectivity now refers to experiments which are going to
produce intensely expected and highly disputed results.
- I never granted you that!
- Yes you did. You said it yourself when you realised that objectivity was
not the name of a state of mind, but what happened to experiments.
‘Objective’ means not something in you or in the scientists, but
out of them.
- But of course! Where are you leading me with this? If it is to weaken
the claims of science, I warn you, I won’t follow you whatever
you prove.
- So much for the scientific method! But I was not ‘weakening’
anything; I was just trying to make a simple point.
- Namely?
- That we are all simultaneously watching with intense interest the
results of experiments in which we are involved and that are in no way
settled. That’s objectivity.
- What do you mean by ‘we’? Have you become a scientist by chance?
- No, but I am part of these experiments along with several billions
of my fellow humans, not forgetting of course the billions of animals
and zillions of vegetables, microbes, viruses and so on. We are all
part of this.
- That’s politics again, disputes, exactly what I tried to escape through
the use of objective science.
- This was my point. You can’t escape but you can collaborate with the
researchers in finding the right way to discuss disputable facts.
- That’s no longer objectivity.
- Objectivity is what happens to confusing and collective objects.
- But for that scientists have to be disinterested.
- No, scientists have to be interesting.
Ottobre October 2005 domus 47
 Texile Design / 1 Testo di/Text by

Le sete dell’anima La collezione del parroco-artista don Battista Marello raccoglie

antiche stoffe ecclesiastiche realizzate nella “Real Colonia
di San Leucio”
Don Battista Marello
Fotografia di/Photography by
Fabio Esposito

Silks of the soul

A cura di/Edited by
Parish priest and artist Don Battista Marello’s unique Rita Capezzuto
collection of textiles includes ancient brocades, chalice veils
and damasks made in the “Royal Colony of San Leucio”

48 domus Ottobre October 2005


Tessuti sacri antichi
Don Battista Marello
Quanti giungono per la prima volta al borgo di
San Leucio sono attratti dalla struttura
dell’abitato, dal costruito. La chiarezza degli
edifici realizzati secondo moduli abitativi,
luminosi per colore e semplicità compositiva, ne
indica la loro funzione: i quartieri operai, la
fabbrica annessa alla piccola reggia, assieme
alla cappella reale formano la Colonia ideata da
Ferdinando IV per la tessitura della seta.
Nella piccola città ideale, il telaio con la sua
mole, avvolto in un alone di sacralità, costituiva
lo strumento di lavoro e quindi di sussistenza
per la comunità: una macchina straordinaria,
una vera architettura movente, capace di
produrre tessuti, damaschi e broccati, pochi
palmi al giorno, tanto essi erano elaborati.
È toccato a me, giunto a San Leucio come
parroco, rimanere coinvolto in questo mondo
posto fuori dal tempo, testimonianza ancora
intatta dell’archeologia industriale. È stato un
amore a prima vista, accompagnato dalla
convinzione dell’urgenza di salvare gli attrezzi
della tessitura rimasti sul territorio e di ricercare
antichi arredi liturgici andati in disuso.
Negli anni ha preso corpo una raccolta
considerevole per quantità e qualità, una
collezione di esemplari di manifatture ed
epoche diverse. Confezionati in tinte dalle varie
tonalità, questi abiti sacri sono realizzati
secondo quattro colori fondamentali: bianco,
rosso, verde e viola, che corrispondono ad
altrettanti periodi liturgici.
Lusso e devozione si sposano in questi reperti
serici, che sono testimonianza di una liturgia e
rappresentazione scenica che coinvolgeva nella
sua teatralità. La preghiera trasformava i
partecipanti in oranti, e gli abiti sacri in
strumento per un’emozione collettiva
sollecitata anche da giochi di luci, ombre,
suoni; il tutto esaltato dal ritmo di elementi
architettonici, colonne, lesene, volte, cupole.
Un’architettura che, spesso, ha lasciato la sua
impronta nei tessuti, divenendone motivo di
ispirazione: antiche rovine, archi trionfali,
giardini di delizie, piccole pagode, etc., e che
altre volte si confondono con motivi floreali
astratti nel celebre tessuto ‘bizarre’. Il motivo
dominante delle stoffe resta comunque il fiore,
in fili d’oro e d’argento.
Si configura una sorta di contaminazione dei
paramenti sacri. Spesso gli abiti sontuosi che i
nobili donavano alle chiese erano trasformati in
arredi per le celebrazioni o per ‘vestire’
immagini venerate. Così l’edificio sacro
assurgeva a luogo ideale in cui poter ammirare
tessuti splendenti per tecnica di esecuzione e
preziosità di materiali, e nel contempo a
contenitore per conservare quei manufatti e
farli rivivere nelle diverse festività dell’anno.
Don Battista Marello, sacerdote-artista, parroco della Real
Colonia di San Leucio dal 1973. Curatore della sezione museale
della Diocesi. Collabora con il Comune di Caserta per la
realizzazione del Museo di archeologia industriale del
Belvedere
50 domus Ottobre October 2005
Alle pagine precedenti, dall’alto a sinistra in senso orario:
Ancient holy cloths • Pianeta, sec. XVII (ultimo quarto).
Don Battista Marello Broccato in oro e argento, tipo ‘bizarre’.
• Velo, Venezia, sec. XVIII. Broccato su fondo damascato.
• Pianeta, Italia, sec. XVIII.
Lampasso con broccato in argento.
• Metodo per la Scuola Normale, 1789.
Many arriving for the first time in the village of Manuale per la Scuola del Belvedere.
• Particolare della porta per il Duomo di Casertavecchia,
San Leucio are attracted by the structure of the opera di don Battista Marello.
houses, the town’s so-called “built fabric”. The • Interno della chiesa del Belvedere.
“clear-cut” nature of the buildings can be
Pagina a fronte, dall’alto in basso e da sinistra a destra:
attributed to a sustainable living model that is • Petra Blaisse, designer olandese che opera negli ambiti
marked by bright colours and compositional del paesaggio, degli interni e del tessile,
simplicity. The workers’ neighbourhoods, the in conversazione con don Marello nel maggio scorso.
factory connected to the small palace and the • Don Battista Marello.
• Passamaneria, San Leucio, sec. XX. Seta policroma.
royal chapel were all part of a silk production • Velo da calice, San Leucio, sec. XVII.
centre dreamed up by Ferdinand IV. Lampasso con intervento in oro a spolino.
This small ideal city, its frame wrapped in a halo • Pianeta, Francia, sec. XVIII.
of sacredness, constituted an instrument of work Broccato tipo ‘Revel’ su fondo color zafferano
and provided a livelihood for the community. It
Previous pages, from top, left, clockwise:
was an extraordinary machine, an architecture • Late 17th-century chasuble in a ‘bizarre’-type
born of reason whose aim was to produce fabrics, brocade of gold and silver.
damasks and brocades so elaborate that only a • 18th-century Venetian veil.
few pieces a day were made. Brocade on a damask background.
• 18th-century Italian ‘lampasso’
Coming to San Leucio as a parish priest made a
chasuble cloth with silver brocade.
big impression on me. It feels like being part of a • Method for the Scuola Normale, 1789.
world that is outside of time, an intact witness to Used also by the Scuola del Belvedere.
industrial archaeology. For me, it was love at first • Detail of door to the Dome of Casertavecchia
sight. But it was coupled with an urgent need to by Don Battista Marello.
• Interior of the Belvedere church.
save the area’s remaining textile machinery and
to seek out the ancient liturgical decorations that Opposite, from top to bottom and from left to right:
• Dutch landscape, interior and textile designer Petra Blaisse
had fallen into disuse. Over the years, a
in conversation with Don Battista Marello last May.
considerable collection had been amassed in • Don Battista Marello.
terms of quantity and quality. Made in dyes of • 20th-century San Leucio trim in multi-coloured silk.
different shades, these sacred garments were • 17th-century San Leucio chalice veil
created using four basic colours (white, red, in ‘lampasso’ cloth with gold lace.
• 18th-century French chasuble with ‘revel’ brocade
green and purple) that corresponded to the on a saffron coloured background
liturgical periods. Luxury and devotion came
together in these silk relics, bearing witness to a
liturgy and performance that was absorbing for
its theatrical quality. Prayer transformed the
participants into devout figures, and the sacred
garments transformed them into an emotional
force marked by light, shadow and sound that
was exalted by the rhythm of architectural
elements, columns, and pilasters.
It is an architecture that has often left its mark on
the fabrics as well as acted as a source of
inspiration. There are ancient ruins, triumphal
arches, gardens of delights, small pagodas, and
so on. At times these designs are confused with
abstract floral patterns in the celebrated
‘bizarre’-type fabric. However, the fabric’s most
important motif remains the flower decorated
with gold and silver threads.
What emerges here is a kind of contamination of
the sacred vestments. The sumptuous garments
that the nobility often donated to the church
were transformed into decorations for
celebrations or to ‘dress’ venerated images.
Consequently, the sacred building became an
ideal place in which to admire the splendid
fabrics for their workmanship and preciousness
as well as a container in which to preserve this
handiwork so it could be brought to life during
the various festivals throughout the year.
Artist-priest Don Battista Marello, who has been pastor of
the Royal Colony of San Leucio since 1973, is curator of the
diocese’s museum. He is also working with the town of
Caserta to create a museum of industrial archaeology in the
Belvedere
Alle pagine precedenti, dall’alto a sinistra in senso orario:
• Velo da calice, San Leucio, sec. XVII.
Damasco in seta a due colori.
• Abito per dama, Italia, sec. XVII.
Ricamo in argento su laminato in oro.
• Velo, Venezia, sec. XVIII (prima metà). Broccato in oro e
argento, sete colorate su fondo laminato.
• Piviale, Francia, sec. XVIII.
Broccato in oro e argento e sete colorate.
In queste pagine, dall’alto a sinistra in senso orario:
• Velo da calice, San Leucio, sec. XVIII (ultimo quarto).
Damasco con interventi a spolino in oro.
• Pianeta, Napoli, sec. XVIII (ultimo quarto).
Ricamo in oro su laminato in argento.
• Museo del Belvedere.
Veduta del Padiglione (sec. XIX) con i telai a mano jacquard.
• Museo del Belvedere, Padiglione.
Corpo centrale del telaio a mano.
• Manifattura di Giuseppe De Negri a Sala (Caserta),
macchina del reparto filatura.
• Manifattura di Giuseppe De Negri a Sala (Caserta),
aspi con filato di seta
Previous pages, from top left clockwise:
• 17th-century San Leucio chalice veil damask
in two silk colours.
• 17th-century Italian dress
with silver embroidery on agolden cloth.
• Early 18th-century Venetian veil. Brocade in gold and silver,
with coloured silk on a laminated background.
• 18th-century French ceremonial priest’s cape in gold
brocade, silver and dyed silk.
These pages, from top left clockwise:
• Late 18th-century San Leucio chalice veil in damask
with golden thread.
• Late 18th-century Neapolitan chasuble
in embroidered gold on silver cloth.
• Belvedere Museum: a view of the 19th century Pavilion with
the handlooms used to weave the jacquard pattern.
• Belvedere Museum, Pavilion:
the central part of a handloom.
• Factory by Giuseppe De Negri in Sala (Caserta):
a machine in the spinning section.
• Factory by Giuseppe De Negri in Sala (Caserta):
spools of silk thread
La collina di San Leucio con il suo Belvedere domina
dall’entroterra la Reggia di Caserta. Nella seconda metà del
Settecento, su questo sito panoramico prese vita, per volere del
re Ferdinando IV, uno dei rari esperimenti urbanistici di
stampo illuminista in Italia.
Su disegno di Francesco Collecini, il palazzo del Belvedere,
preesistente, venne convertito in un complesso che ospitava un
opificio della seta, una chiesa e una scuola, oltre agli
appartamenti reali e all’abitazione del parroco. Intorno sorse,
sempre su progetto del Collecini, un borgo operaio modello. La
vita della Real Colonia di San Leucio era regolamentata da un
Codice delle leggi, che, secondo lo stesso monarca, avrebbe
consentito “il buon Governo” della comunità: un apparato
normativo che da un lato tutelava la colonia in termini di
istruzione, assistenza e avviamento al lavoro, dall’altro
instaurava un forte regime di controllo. Nelle ambizioni reali,
San Leucio doveva essere la prima tessera di un progetto
urbano molto più ampio che prevedeva la creazione di
Ferdinandopoli, una vera e propria città sviluppata intorno
all’industria della seta. Benché questo programma fosse poi
fallito, la manifattura di San Leucio è divenuta uno dei
principali poli di produzione di tessuti serici.
The hill of San Leucio with its Belvedere palace dominates Ringraziamo Anniina Koivu e gli architetti Raffaele Cutillo
the landscape of Reggia di Caserta. In accordance with the e Beniamino Servino che hanno partecipato all’incontro con
wishes of King Ferdinand IV, in the second half of the don Battista Marello a San Leucio il 13 maggio 2005
eighteenth century this panoramic site was witness to one of
With thanks to Anniina Koivu and architects Raffaele Cutillo
the rare experiments in town planning in Italy during the
and Beniamino Servino that partecipated in the meeting
Enlightenment. A design by Francesco Collecini refurbished
with Don Battista Marello in San Leucio on May 13, 2005
the existing Belvedere palace to create a silk factory, a
church, a school, royal apartments and a priest’s residence.
Around this a model workers’ village was built. The life of the
Royal Colony of San Leucio was regulated by a code of laws
that according to the monarch allowed for “good
government”. There was a legal apparatus which protected
the colony’s educational system and its social assistance and
work programmes, and also established strict controls.
According to royal ambitions, San Leucio was to be the first
piece in a broader urban project that included the creation of
Ferdinandopoli, a city that would develop around the silk
industry. Although this grander project ultimately failed, the
factory at San Leucio became a major centre for the
production of silk fabrics.
Vestire di luce Dressing in Light

Texile Design / 2
Impiegando procedimenti tecnici dell’industria tessile
più avanzata, Nanni Strada ha messo a punto
un materiale vibrante e reattivo alla luce per costruire
un abito rituale che esprime l’immaterialità del sacro.
L’autrice racconta a Domus la storia del progetto
Using the most advanced technical procedures that
the textile industry has to offer, Nanni Strada engineered
a vibrant fabric that reacts to light. Out of this she
Fotografia di/Photography by
constructed a religious garment that expresses Francesco Radino
the immateriality of sacredness. Strada spoke to Domus A cura di/Edited by
about the project’s background Francesca Picchi
Abiti rituali
L’invito a ripensare la casula, abito rituale indos-
sato durante le funzioni religiose, è stato un’occa-
sione per portare alle estreme conseguenze un ap-
proccio che inconsciamente mi sono portata dietro
in tutti i progetti: usare strumenti di produzione
industriale, e in particolare le lavorazioni legate al
processo tessile, come un linguaggio poetico.
Questo progetto rientra in un interesse più ampio sul
tema degli abiti ‘rituali’.
La casula è infatti anch’essa un abito rituale. Il nome
significa casupola, capanna, perché i monaci, non
avendo né chiesa, né casa, viaggiavano con soltanto
questo mantello indosso nel quale dormivano, vive-
vano, pregavano...
La casula fungeva loro da protezione.
...
Dialogando con i responsabili del progetto, e con
monsignor Santi in particolare – il mio interlocutore
diretto – mi ha colpito il rigore dei codici che rego-
lano ogni singolo momento della celebrazione litur-
gica. Ogni elemento mi ha profondamente affasci-
nato per il suo valore immateriale. Piuttosto che
lavorare sulla simbologia dei colori ho preferito
quindi rivolgere il mio interesse al tema della rifles-
sione della luce e in particolare proprio alla quantità
di luce riflessa. Così mi sono potuta concentrare sul-
l’idea di brillantezza e di vibrazione della luce.
Nei paramenti sacri l'oro è sempre stato molto
usato, però si trattava comunque di un tessuto, di un
intreccio di fili, di lamine di metallo... In tempi più
moderni è stato introdotto il lurex, una fibra che
possiede una grande brillantezza e che è molto usata
nell’alta sartoria, negli abiti da sera, con risultati
sofisticati e anche volgari.
La mia idea è stata quella di ‘laminare’ la superficie
del tessuto per ottenere un effetto non tessile, ma
metallico, di brillantezza e di luce.
Il tessuto come superficie mutante
Il trattamento di superficie è un tema che mi ha sem-
pre appassionato; tempo fa sono stata in contatto
con Limonta, azienda leader di questo tipo di tratta-
menti.
Il tessuto prodotto manualmente, o industrialmente,
assume il suo aspetto materico nel processo di trat-
tamento. In questa fase può succedere di tutto…
esistono trattamenti complessi di floccatura, resina-
tura, coagulazione... si possono trasformare stuoie in
cachemire morbidissimi con la garzatura, oppure
cambiare la superficie di un tessuto spazzolandolo
con i cardi…
Si può intervenire sulla superficie del tessuto trasfe-
rendogli qualità di altri materiali – carta, plastiche,
metalli – trasformandolo in materiale mutante; in
qualche modo favorendo un processo di ibridazione.
Nella lavorazione di accoppiamento, ’fogli’ tessili,
o di materie diverse, vengono uniti tra loro. Questa
fusione avviene per calandratura, facendo passare i
tessuti in cilindri che girano vorticosamente renden-
Nel quadro del dibattito per il rinnovamento delle
espressioni artistiche coinvolte nella liturgia cattolica
sollevato in occasione di Koinè (la rassegna di arredi,
oggetti liturgici e componenti per l’edilizia di culto)
Nanni Strada è stata invitata a disegnare la casula,
la veste indossata per officiare le cerimonie sacre durante
l’anno liturgico. Casula significa letteralmente piccola casa,
capanna, per la memoria insita nella sua forma.
La ricerca di una forma di espressione lirica che evocasse
valori immateriali attraverso processi tessili e industriali
caratterizza il progetto di quest’abito rituale che ha potuto
contare sulla consulenza scientifica della Conferenza
Episcopale Italiana
58 domus Ottobre October 2005
doli più o meno lucidi, semplicemente calibrando il
numero dei passaggi e la velocità dei cilindri.
Sto lavorando da tempo sul tema dell’ibridazione di
elementi diversi e su quella che considero “l’eleganza
dell’ibrido”: unire mondi differenti nelle fasi del pro-
getto è oggi quello che più mi interessa...
Analogia con la musica
Quando ho incominciato a immaginare questa veste,
è stato del tutto naturale prendere come riferimento
la musica. Ho pensato a quando si ascolta un con-
certo in una chiesa. In quello spazio, fatto di luce e
penombre, il suono cambia: è un fenomeno di riso-
nanza, di vibrazione, di rapporto con la distanza... il
coro ad esempio è spesso collocato dietro l’altare per
creare una frattura, una separazione da chi ascolta…
Non so quanto tutto ciò abbia agito inconsciamente
su di me quando ho incominciato a pensare a que-
st’abito. I diversi gradi di brillantezza, i livelli di lu-
minosità e la diversa percezione legata alla vibra-
zione della luce, sono infatti una componente im-
portante di questo progetto.
Componenti dell’abito
Questa veste è fatta di due strati, sono due vesti che
si sovrappongono in maniera assolutamente libera.
La veste esterna in un primo tempo doveva essere
materica. La mia idea era di avere una materia po-
vera, come il feltro, la lana, con un certo peso... que-
sto però si scontrava con le richieste dei prelati, che
prediligono invece vesti molto leggere per consentire
una certa scioltezza di movimento.
Lo strato esterno è stato dunque realizzato in un tes-
suto molto basico, con un comportamento cascante.
La veste esterna è quindi di seta, ed è bianca: il colore
della liturgia per tutto l’anno. La veste interna invece
è legata ai colori dell’anno liturgico, che sono l’oro,
il verde, il rosso, il viola e – solo per il rito ambro-
siano – il rosaceo.
Decoro
Avevo visto un tessuto realizzato con dei tagli laser, a
elementi verticali, che istintivamente mi ha fatto pen-
sare a un motivo gotico. Mi piaceva l’idea che questi
tagli lasciassero appena intravedere, in maniera
quasi impercettibile, la brillantezza della veste in-
terna. Volevo che questa visione si amplificasse con
il movimento, seguendo i gesti di colui che officia la
cerimonia, come se la veste interna, emanando que-
sto speciale grado di brillantezza, fosse un’anima
nascosta che si rivela appena…
Il disegno a tagli è stato realizzato con il computer
e al principio aveva rapporti regolari... Poi ho inco-
minciato a togliere, a spostare, ad accorciare, ad al-
lungare i tagli. Il disegno appare uniforme, ma in
realtà contiene delle impercettibili variazioni che gli
conferiscono grazia e delicatezza.
...
Nella fase di laminatura della veste interna abbiamo
operato sui livelli di brillantezza, per ottenere un ma-
teriale vibrante, che reagisse alla luce. Quest’opera-
zione di ricerca è stata ardua per un produttore non
abituato ad assecondare le richieste del designer.
Realizzare un tessuto brillante, e chiedere poi di ab-
bassarne la lucentezza, ripassarlo un’altra volta nella
macchina fino ad ottenere il lucore attutito… tutto
questo non è stato facile.
Quello che ricercavo nell’incertezza di questi pas-
saggi di pressione, calandratura, di vaporizzazione,
di calore, era arrivare a una brillantezza attutita, che
trascendesse la realtà della materia stessa.
Geometrie generatrici
Non so spiegare il mio rifiuto per tutto ciò che è sar-
toriale… il punto a mano, il “fatto su misura”, la
maglia, l’uncinetto, gli abiti aderenti in taglia… Il
mio era ed è un rifiuto dell’oggetto in sé in quanto
espressione di una cultura dell’abito costruito sulle
forme anatomiche di un corpo-manichino ‘abbi-
gliato’, a cui tutti si devono adeguare.
Il primo taglio netto con questa tradizione è stato di
rifiutare la sartoria e quel tipo di vestiti che ricalcano
un corpo inventato, e di contrapporvi la geometria,
lo sviluppo in piano, a partire dall’osservazione di al-
tre culture e dell’Oriente in particolare. E, alla fine
degli anni Sessanta, quest’approccio era davvero
dirompente: significava ribaltare il tavolo.
Dipingere con le macchine
Ho sempre provato una forte emozione andando in
fabbrica. Guardare macchinari smisurati dove
entra da una parte un tessuto che ne esce completa-
mente modificato. Osservare questi processi genera
di continuo dei ragionamenti sulle possibilità espres-
sive della produzione meccanica.
Fin dai primi progetti degli anni Settanta, dal primo
abito realizzato in modo completamente automa-
tico, l’idea di poter introdurre in questi processi una
qualità di tipo estetico, tangibile o immateriale, mi
ha sempre appassionato...
In fondo le cose più importanti che ho fatto sono le-
gate all’uso non convenzionale di questi macchinari:
è un po’ come se si cercasse di “dipingere con le mac-
chine”.
...
L'idea di ricercare un linguaggio poetico, una forma
di espressione lirica legata all’immaterialità attra-
verso processi tessili e industriali, caratterizza anche
questo progetto.
I miei ‘Torchons’ ad esempio – gli abiti da viaggio e
gli stropicciati che ho presentato nell’86 – sono nati
da un errore portato alle estreme conseguenze, che si
è trasformato in elemento di bellezza.
È un momento di grazia quando si riesce a vedere
in un percorso prefissato, o dato per acquisito, una
via d'uscita; quando si intravede una possibilità in un
passaggio trascurato: è la forza del progetto.
Frammenti di una conversazione con Nanni
Strada avvenuta a Milano, martedì 6 settembre
Ritual garments
The invitation to rethink the “casula”, a ritual gar-
ment worn during religious ceremonies, provided a
chance to take to the extreme an approach that I
have unconsciously used in all my designs. It invol-
ves using the tools of industrial production and in
particular operations connected to making textiles
as a sort of poetic language.
The casula is actually a ritual garment. The name
comes from casupola, or capanna (shelter or hut),
because the monks, being without a church or a
home, travelled wearing only the cloak in which
they slept, lived and prayed. The casula helped to
protect them.
...
I have always been struck by the strict codes that re-
gulate every single moment of the liturgical celebra-
tion. Each element deeply fascinated me for its im-
material value. Rather than working on the symbo-
lic nature of the colours, I preferred to concentrate
on the amount of light reflection.
In this way I was able to work on the brilliantness
and vibration of light. Gold has been used a great
deal in sacred garments, but it is a metal that
needs to be woven into the fabric. However, in
modern times we see the use of a metallic yarn cal-
led Lurex. It is very shiny and used a lot in haute
couture to decorate evening wear, producing re-
sults that are both sophisticated and vulgar. My
idea was to “laminate” the surface of the material
in order to obtain an effect that is shiny and more
metallic.
Fabric as a mutant surface
Surface treatment is something that has always
excited me. A while back I was in contact with Li-
monta, a leading company in this area. Fabric
produced manually or industrially assumes its
textural effect in the treatment process. In this
phase anything can happen – straw mats can be
transformed into soft cashmere with teaselling,
the surface of a fabric can be changed by brushing
with teasels. Complex treatments exist for
flocking, resining, coagulation. It is possible to al-
ter the fabric’s surface and give it the qualities of
other materials (paper, plastic, metals) and/or
transform it into a mutant material, creating a
kind of process of crossbreeding. In the process of
coupling, textile “leaves” or different materials
are joined together. This fusion occurs by calen-
daring, passing the fabrics through cylinders that
whirl round as well as altering the brightness sim-
ply by calibrating the number of passages and the
speed of the cylinders.
...
I have been working for some time on crossbreeding
different elements and what I consider to be “the ele-
gance of the hybrid”. Today I want to bring together
different worlds at the design phase because that is
what interests me the most.
During Koinè, an exposition of liturgical furniture, objects
and components for the construction of religious buildings,
a debate took place on the renewal of artistic expression
in Catholic liturgy.
It was on this occasion that Nanni Strada was invited
to design a “casula”, the garment designed to celebrate
sacred ceremonies during the liturgical year. “Casula”
literally means “small house” or “shed”, referring
to the origins of its shape.
The search for a shape for lyric expression evoking
immaterial qualities by means of industrial textile
procedures led to the design of this ritual garment.
Its creation benefited from scientific consultancy
with the Conferenza Episcopale Italiana
An analogy with music
When I started imagining this garment, it was
quite natural to use music as a reference. I thou-
ght about what goes on when you listen to a con-
cert in a church. In this space made up of light
and shadow as well as changes in sound, it is all
about a resonance, a vibration, a relationship
with distance. For example, the choir is often pla-
ced behind the altar to create a fracture, a sepa-
ration from those listening. I don’t know to what
extent this influenced me unconsciously when I
began thinking about this garment. The different
degrees of brilliance, levels of luminosity and the
different perception linked to the vibration of the
light are all important components of this design.
The composition of the garment
This garment is made in two layers; two garments
are superimposed on one another quite freely. In
the beginning the outer garment was supposed to
have more texture. My idea was to use a cheap
material like felt or wool that had some weight to
it. However, this didn’t fit the needs of the prela-
tes, who prefer lightweight garments that allow
a certain fluidity of movement. The outer gar-
ment was therefore made from a simple silk ma-
terial that flowed much better. The colour white
was chosen because it represents the liturgy for
the whole year. The internal garment is linked to
the colours of the liturgical calendar which are
gold, green, red, purple and – for the Ambrosian
ritual – rose.
Decor
I had seen a fabric made with laser cutting with
vertical elements that instinctively made me think
of a gothic pattern. I liked the idea that these cuts
revealed slightly, almost imperceptibly, the bril-
liance of the garment underneath. I wanted this
effect to be emphasised with movement so as to
follow the gestures of the person carrying out the
ceremony, as if the garment beneath, emanating
this special brilliance, is a hidden soul that has
just been revealed.
… this project. For example, my “Torchons” collec-
The pattern of cuts was made on the computer at
regular intervals. Then I started to take out,
move, shorten and lengthen the cuts. The design
looks uniform but in reality contains impercepti-
ble variations that give it grace and delicacy.
… in a path that is prefixed or taken for granted, a
In the laminating phase of the inner garment we
worked on the levels of brilliance so as to obtain
a vibrant material that reacted to light. This re-
search was very hard for a producer who wasn’t
used to following the requests of a designer.
Making a shiny fabric and asking then to lessen
the brightness, passing it through the machine
another time to obtain a more subdued effect, all
this wasn’t easy. What I was looking for in the un-
certainty of these steps involving pressure, calen-
daring, vaporising and heat treatment was to
achieve a kind of deadened brightness that tran-
scended the reality of the material itself.
Generating Geometries
I don’t know how to explain my rejection of
everything sartorial, be it the hand stitching, the
“made-to-measure”, the knitting, the crochet, the
tight fitting clothes. Mine was and is a rejection of
the object as an expression of a culture in which
the garment is constructed on anatomical forms
of a “dressed” mannequin-body that everyone
has to adapt to.
The first clean break with this tradition was to
reject tailoring and the kind of clothing that is an
imprint of an invented body. I responded with
geometry, with a flat look that was taken from
observing other cultures, particularly the Far
East. At the end of the 1960s this approach was
quite new and something of a breakthrough since
it upset the status quo.
Painting with machines
Going to a factory has always filled me with a
strong emotion. I watch giant machines where fa-
bric enters and then a completely different one co-
mes out the other end. Watching these processes
over and over makes me think about the expres-
sive possibilities of mechanical production.
…
Starting with the first 1970s designs, where the
garment was produced entirely by machine, I
have been excited by the idea of being able to in-
troduce a kind of aesthetic, be it tangible or im-
material, into these processes. In the end the most
important things that I have done are linked to
the unconventional use of these machines. For
me, it is a bit like trying to “paint with machi-
nes”.
...
The idea of seeking a poetic language, a form of
lyrical expression linked to immateriality through
textile and industrial processes, also characterises
tion – travel garments and crumpled pieces that
I presented in 1986 – was the result of an error
that wound up being transformed into something
quite beautiful.
It is a moment of grace when you manage to see
way out; when you see a possibility in a neglected
step, this is the strength of design.
Fragments of a conversation with Nanni Strada
Milan, Tuesday 5 September 2005
Ottobre October 2005 domus 59
 Nanni Strada, dress designer, ha portato per prima i temi
del design e della produzione industriale nei territori
per convenzione consacrati alla moda.
Dopo la prima collezione etnologica del ‘73, nel ‘74
ha progettato il “manto e la pelle”, una ricerca sulle
componenti primarie di progettazione dell’abito come rifiuto
delle regole sartoriali tipiche dello stilismo, che ispira
agli studi dell’etnografo Max Tilke. Nel ‘79 vince il Compasso
d’Oro per il primo abito al mondo senza cuciture.
Nel 1986 con gli abiti da viaggio ‘Torchons’, dà inizio alla
ricerca sulla comprimibilità dell’abito e il suo uso ‘nomadico’
Nanni Strada, dress designer, was the first to take the
themes of design and industrial production onto territories
consecrated by convention to fashion. After the first
ethnological collection in 1973, in 1974 she designed the
“cloak and the skin”, an investigation into the primary
components of the design of clothing, rejecting the sartorial
rules typical of fashion design and taking inspiration from
studies by ethnographer, Max Tilke. In 1979 she won the
Compasso d’Oro for the first garment in the world without
seams. In 1986 with her travel garments “Torchons”, she
began working on the compressibility of clothing and its
“nomadic” use

60 domus Ottobre October 2005


Texile Design / 3
Nel nuovo progetto di tessuti per la casa, Tord Boontje
ricerca una versione contemporanea e digitale
di ricami broccati e damaschi... manufatti tipici
della tradizione tessile
In his new designs for textiles for home furnishings,
Tord Boontje recreates a contemporary and digital
version of embroideries, brocades and damasks,
handwork typical of the textile tradition
Boontje, il ricamatore
885 Boontje
A cura di/Edited by
Francesca Picchi
Fotografia di/Photography by
Casper Sejersen
Boontje, the embroiderer
I sistemi innovativi di burn-out, taglio laser
e stampa digitale sperimentati da Kvadrat
in questa collezione di tessuti per la casa
riportano il flusso di segni che escono dalla mano
di Tord Boontje direttamente sul tessuto.
Come avviene convenzionalmente per la carta,
nei tessuti Shadow e Wilderness la stampante
digitale trasferisce sul tessuto i disegni
direttamente dal file digitale, senza ulteriori
passaggi.
Nel modo in cui Boontje usa le tecnologie
di stampa più sofisticate, c'è infatti un'idea
della decorazione come registrazione di un flusso
continuo che tende a sfuggire la fissità di
un pattern ripetuto a intervalli regolari. È come
se, attraverso questi processi diretti di stampa,
Boontje determinasse una sorta di scrittura
automatica che dà libero corso al suo
immaginario.
Nello stesso modo, anche attraverso
le tecniche di taglio laser applicate ai tessuti
hi-tech riesce a determinare un sistema
di registrazione continua di segni. Giocando
sulla trasparenza infatti, la luce filtra attraverso
i lembi dei piccolissimi tagli disegnando
ghirigori floreali che alludono a una natura
sognata, modello di libertà nella crescita, come
alternativa alla monotonia della ripetizione
meccanica. Grazie alla dilatazione dei moduli
secondo cui si ripete il decoro (che sono lunghi
3 metri) nella sovrapposizione dei pattern che
si rincorrono lungo la tela Boontje innesca
un modello di crescita che progredisce
lungo la direzione di stampa, determinando
varianti che non si ripetono mai identiche nella
stessa forma.
La disinvoltura con cui Boontje tratta motivi Il decorativismo domestico di Boontje si ispira alla libertà
estranei sia alla tradizione moderna che a quella del vestire. Nel suo progetto per Kvadrat si serve
di tecnologie tessili sofisticate per declinare il suo immaginario
di origine postmoderna (che alludeva alla
fantastico.
superficie decorata come campo di energia
attiva) rivela l’impegno a definire un codice
Boontje guarda ai manufatti tessili e al loro sistema decorativo
come componente ‘soft’ per definire lo spazio e introdurre
decorativo contemporaneo ampiamente nel mondo domestico colore, movimento e gusto per
accessibile, capace di parlare con tutti perché il travestimento.
pesca nella memoria. I fiori, gli animali fiabeschi,
Nella foto in basso a sinistra il nuovo studio di Boontje
a Bourg-Argental, un villaggio nella campagna di Lione
la vegetazione rigogliosa descritta
Boontje’s domestic decoration is inspired by the same feeling
minuziosamente ricorrono nel suo mondo
figurato come la trama di un racconto visivo
of freedom as getting dressed up. In his project for Kvadrat,
Boontje uses sophisticated textile technology to differentiate
che fluisce senza inizio né fine, come una its imaginative patterns.
calligrafia destinata a non interrompersi. Boontje sees textile products and their decorative
Il lavoro di Boontje si ispira in buona parte characteristics as a “soft” element to define space
and introduce colour, movement and changeability.
al piacere di giocare con la moda, come emerge Below left, Bootje’s new atelier in Bourg-Argental, a village
nel progetto Doll Chair per Moroso, dove Boontje, in the countryside outside of Lyons.
nell’assimilare le proporzioni di una sedia
a quelle del corpo umano, ha lavorato insieme
ad Alexander McQueen per creare abiti di alta
sartoria da far indossare alle sedie. Anche
in questo progetto di tessuti per Kvadrat Boontje
si ispira alla libertà del vestire, come lui stesso
spiega: “In generale ci piace cambiar d’abito
perché fa parte della nostra identità; nell’arredo
invece abbiamo perso quel tipo di piacere legato
ai tessuti, alle qualità dei materiali, dei colori,
delle texture, in definitiva al travestimento. Nella
casa non mostriamo lo stesso divertimento che
abbiamo con i vestiti... eppure c'è solo poca
distanza tra il nostro corpo e lo spazio che
abitiamo… Avrebbe senso trattare l’ambiente
non solo come qualcosa che deve avere
un’apparenza rispettabile per i vicini, e pensarlo
invece come uno spazio personale da considerare
come parte del nostro carattere…”.
F.P.
In this collection of fabrics for the home,
the innovative burn-out, laser cutting and
digital printing systems employed by Kvadrat
register the flow of symbols that emerge from
the hand of Tord Boontje directly onto the
material. As with paper, in the Shadow and
Wilderness fabrics the digital printer transfers
the designs onto the fabric from the digital file
without any additional steps.
In Boontje’s highly sophisticated printing
technology, there is the idea of decoration
as the recording of a continual flow that tends
to eschew the fixed nature of a repeated pattern
at regular intervals. It is as if, through these
direct printing processes, Boontje has a kind
of automatic writing that allows him to set
a course for his imagination. Using laser cutting
techniques on high tech fabrics, he also
manages to create a system that continuously
registers symbols. Playing with transparency,
light filters across the flaps of tiny cuts drawing
floral swirls that allude to a dreamy reality,
a freedom to grow which is an alternative to the
monotony of mechanical repetition.
Thanks to the modules where decoration
is repeated up to three metres, to the
randomness of the cut and to the
superimposing of patterns, Boontje sets up a
print model that progresses to create
unexpected effects that are never repeated
twice. The ease with which Boontje treats motifs
that are extraneous to the modern and post-
modern tradition – and which allude to the
decorated surface like
an active field of energy – reveals an attempt
to define a contemporary decorative code able
to speak to everyone. The flowers, the fairy-tale
animals, the exuberant vegetation described
in detail all reappear in his illustrated world
like the plot of a visual story that flows without
a beginning or end, a sort of calligraphy
destined never to be interrupted.
The work of Boontje is inspired in large part by
playing around with fashion
as he himself declared in his design of the
Doll Chair for Moroso. In that piece Boontje
assimilated the proportions of a chair to those
of the human body as part of a collaboration
with Alexander McQueen to create haute
couture garments for chairs. The same applies to
this textile project for Kvadrat, where Boontje
draws inspiration from the freedom to dress up.
He explains it by saying: “We enjoy fashion,
we enjoy our clothes. It’s part of our identity,
part of our character. We have forgotten
what fabric feels like, forgotten the pleasure
clothes give us. It makes sense to treat your
own space with respect, to be presentable for
when your neighbours come to visit. It’s your
personal space and you should treat it as part
of your character.”
F.P.
La gamma cromatica di Magic funziona da sfondo per ulteriori
sviluppi decorativi come avviene nei tessuti Heaven Scent,
Sleeping Rose, e Happy, nella pagina a lato.
Nella foto in basso si distingue il pallet di colori.
I pattern stampati a rilievo con pigmenti di cui si legge
la trama dagli effetti madreperlacei, riproducono con linee
di diverso spessore il disegno a tralci di rose.
La dilatazione del modulo, lungo 3 metri, rompe l’uniformità
del flusso della decorazione dando vita a sovrapposizioni
random.In Boontje l’idea di contemporaneità del decoro
si esprime nella composizione dei contrasti: la memoria rococò
dei disegni fatti a mano convive con le sgranature dei segni
che riproducono un effetto pixel di derivazione digitale
nel tessuto Nectar, nella pagina a fianco in basso a destra,
realizzato con tecniche di burn-out
The “Magic” colour palette is used as a basis for the decorative
motifs of the fabrics Heaven Scent, Sleeping Rose, and Happy,
seen at right. Below, the colour palette. The patterns
are printed in relief with textured pigments. Mother-of-pearl
effects trace the outline of rose shoots with lines of different
thicknesses. Dilation of the module, which is 3 metres long,
breaks the uniformity of the decoration’s flux by means
of random layering.
Boontje’s idea of contemporary décor is expressed in
a composition of contrasts. Hand-drawn motifs with a hint
of rococo are mixed with the grain of a digital pixel effect
for the Nectar fabric (facing page, lower right), which is made
using the burn-out technique.
Dopo il diploma all’Eindhoven Academy e gli studi
al Royal College of Art di Londra, Boontje apre
con la compagna Emma Woffenden uno studio
a Peckham, alla periferia di Londra, dove
incomincia a lavorare sulla sofisticazione
delle forme aprendo a nuovi usi oggetti familiari
e quotidiani, dedicandosi al tema del riciclo
e del ready made. Realizza la collezione
Rough-and-Ready: un kit di tavole di legno
pre-tagliate per costruire mobili basati su
una semplicità costruttiva al limite del rustico,
in cui normali coperte funzionano da imbottitura.
Dopo la nascita della figlia Evelyn,
i suoi progetti si aprono a un immaginario
romantico e fiabesco in cui Boontje combina
tecnologie sofisticate e materiali innovativi
con motivi fino ad allora tipici dell’artigianato:
ricamo, intagli, disegno si mescolano in una
fluente ipersensibilità decorativa

After gaining a diploma from Eindhoven Academy

and studying at the Royal College of Art in London,
Boontje set up a studio with his partner Emma
Woffenden in Peckham, London, where he began
working on the sophistication of forms, opening
familiar and everyday objects up to new uses
around the theme of recycling and the ready
made. He created the collection Rough-and
Ready, a kit of pre-cut pieces of wood for building
furniture based on a constructional simplicity on
the verge of rustic, with normal covers functioning
as upholstery. After the birth of his daughter
Evelyn, his designs began to embrace a romantic
and fairy tale world in which Boontje combines
sophisticated technology and innovative materials
with patterns that up until now have been typical
of the hand crafted: embroidery, engraving,
drawing blend together in a fluent decorative
hyper-sensibility

Il tema delle ombre in Shadow , a destra in alto, si ispira ai

decori Karakusa, un pattern tradizionale giapponese che
contiene un’idea di crescita nel tema floreale. I tralci di fiori
riprodotti con stampa digitale su fibra hi-tech TreviraCS
sembrano aleggiare come ombre proiettate su tela leggera.
Il tessuto Pressed Flowers, a destra in basso, impiega
tecniche di burn-out, mentre, a sinistra, nel tessuto Eternal
Summer, Boontje sembra recuperare le lavorazioni a intaglio
dei suoi primi lavori adattandole alle tecnologie di taglio
laser di tessuti hi-tech.
The theme of Shadow (above, right) is inspired by Karakusa
decorations. Karakusa is a traditional Japanese pattern that
expresses the idea of growth in a floral way. Vine shoots that
are digitally printed on high-tech TreviraCS fabric seem to
flutter like shadows projected on a sheer cloth.
The Pressed Flowers fabric (at right, below) is made using the
burn-out technique. For Eternal Summer, Boontje seems to
reach back to the cut-out technique of his initial work,
adapting it to laser cut technology.

Ottobre October 2005 domus 67

 Hans Ulrich Obrist
Gunnar B Kvaran Interview 10
5 Gennaio Ore Bruce Conner
2005 11.05 San Francisco, U.S.A.
January 5 Temperatura Casa dell’artista/
2005 10° House of the artist

BOMBHEAD, di Bruce Conner, 1989/2002, getto d’inchiostro

pigmentato, vernice acrilica/a pigmented ink jet, acrylic paint
 Pagina accanto, dall’alto: BRUCE AND JEAN
CONNER: JUST IN CASE, 1964, foto di Edmund
Shea corretta da Bruce Conner 2005
(© Bruce Conner e Edmund Shea); RIPPLES,
di anonimo, penna e inchiostro
su carta Strathmore, August 22, 1999.
In questa pagina: SPIDER LADY, di Bruce
Conner, 1959. Reggicalze, calze di nylon, ruota
di bicicletta, telaio di finestra in legno e tenda
avvolgibile, zanzariera, foto di rivista, scatola
di cerotti, spago, mozziconi di sigaretta,
sigillo doganale in piombo su corda, tessuto,
pellicola per film, puntina, unghie, ecc.
70 domus Ottobre October 2005
Opposite page, from the top: BRUCE AND JEAN
CONNER: JUST IN CASE, 1964, photo by
Edmund Shea revised by Bruce Conner 2005
(© Bruce Conner and Edmund Shea);
RIPPLES, by Anonymouse, pen and ink on
Strathmore paper, August 22, 1999.
This page: SPIDER LADY by Bruce Conner, 1959.
Garter belt, nylon stockings, bicycle wheel,
painted wood window frame, window shade,
window screen, magazine photograph,
Band-Aid box, twine, cigarette stubs, lead
customs seal on string, fabric, celluloid
filmstrip, tack, nails etc.
Ottobre October 2005 domus 71

Beatriz Colomina
Friends of the Future:
una conversazione con /a conversation with
Peter Smithson
A cura di/Edited by
Karen Marta, Loredana Mascheroni
72 domus Ottobre October 2005
Beatriz Colomina Il 1956 è un anno nel quale tu e
Alison faceste un sacco di cose: la House of
the Future, Patio and Pavilion, la Appliance House,
l’ultimo incontro del CIAM, a Dubrovnik,
del quale fu responsabile il Team 10… Raccontami
qualcosa di quel momento.
Peter Smithson Finimmo la Hunstanton School
nel 1954. Ci trovammo così ad avere molto tempo
a disposizione e ci erano anche rimasti dei
soldi: potevamo quindi portare avanti dei progetti
per conto nostro, senza bisogno di clienti.
B.C. Vuoi dire che tutto il lavoro fatto negli anni
dell’Independent Group fu prodotto senza
committenti e senza entrate?
P.S. Sì. L’Independent Group ci occupava una
sera ogni due mesi, e non ci andavamo nemmeno
sempre. Negli scritti sul gruppo è sempre stata
trascurata la figura di Toni del Renzio, che è ancora
vivo e che all’epoca lavorava come grafico per una
rivista di moda rivolta al trade di cui ora ricordo solo
che aveva un taglio molto informale. Toni portò
nel gruppo un certo grado di consapevolezza circa la
vera forza della pubblicità, della moda, quando
operano nel mondo dell’arte, considerazioni che
erano sicuramente Il tema di quel momento.
E poi Tony rese palese la necessità di riconoscere
come l’arte popolare, che ha sempre influenzato
l’arte ‘alta’, si fosse trasferita in un’altra sfera.
Ci fece considerare la pubblicità come arte popolare.
Quando una nuova forma fa il suo ingresso
nell’ambiente artistico, il fatto che sia accettata,
che si prenda una posizione nei suoi confronti
non è una pura coincidenza. Ma, naturalmente, si
potrebbe dire che il modo in cui la nuova
arte popolare entrò nell’arte americana fu diverso:
accettarono quel tipo di iconografia per
quello che era. Mi riferisco sia a Andy Warhol sia
all’uomo che faceva quadri a pallini…
B.C. Lichtenstein.
P.S. Sì. Dove c’è un passaggio immediato
dell’immagine popolare alla forma d’arte. Loro
non si limitavano a copiare: misero in atto una
trasformazione. Sotto sotto, non volevano prendere
posizione: volevano ‘celebrare’ i loro soggetti.
Per Alison e per me, invece, era l’opposto: osservare
l’arte non era esattamente una questione di
celebrare alcunché. Prendevamo posizione, perché
ciò avrebbe creato imbarazzo. Prendere le cose
con grande facilità è una forma di eclettismo, nel
senso che bisogna essere terribilmente irrequieti.
L’architettura contemporanea, per esempio
tanta dell’architettura olandese di oggi, è eclettismo
degli anni Venti.
B.C. Come avete cominciato a interessarvi di
immagini popolari, tu e Alison?
P.S. All’epoca ci arrivavano due tipi di immagini
popolari. Uno attraverso Eduardo Paolozzi
e il suo interesse per la grafica delle riviste, per le
immagini usate nella pubblicità dei giornali
statunitensi. L’altro, l’arte popolare superstite,
attraverso Nigel Henderson, che fotografava quel
tipo di immagini che sarebbero più tardi comparse
nel lavoro di Peter Blake. Ti faccio un esempio
americano: se ti trovi in una zona povera e ti imbatti
in un negozio di proprietà di un italiano,
di un tedesco o di uno spagnolo, il modo in cui è
organizzata la vetrina, in cui gli oggetti sono
disposti, è una forma d’arte superstite. Bene, ciò
esisteva anche qui nella cultura del
“corner-shop”, del negozio giù all’angolo:
giornalai, negozi di caramelle e tutto il resto.
B.C. E Nigel fotografava tutto ciò.
P.S. Sì. Questo naturalmente faceva parte del
meccanismo che mise in moto l’idea che inventare
una nuova casa significasse inventare una
nuova strada. Perché la strada di fine Ottocento, dei
primi del Novecento, era il luogo in cui i bambini
vivevano, dove la gente s’incontrava per parlare,
nonostante il clima non fosse dei migliori.
La strada era il palcoscenico della vita. Percepire che
l’invenzione di un nuovo tipo di casa equivalesse
all’invenzione di un altro tipo di strada, di un altro
palcoscenico, o forse a qualcosa che non lo era,
non implicava – proprio come per l’arte popolare –
affermare che alla strada andava data una nuova
vita. Si trattava piuttosto di pensare a quello
che essa rappresentava, e a ciò che avrebbe potuto
essere il suo equivalente nel momento in cui essa
non fosse più servita... a quel che accade se la
strada muore. Al CIAM 8 pensavano che comunità e
‘piazza’ fossero la stessa cosa, ma la comunità
e la piazza non sono uguali, e ciò rappresentava
un altro tipo di eclettismo.
B.C. Parlando di strade, mi ha sempre colpito questa
foto di te e Alison, Eduardo e Nigel per strada,
con le sedie, come se la strada fosse un salotto.
P.S. Dove hai trovato questa foto? Non conosco
questa versione. È un’immagine meravigliosa.
È il mondo di quei tempi. C’erano pochissime auto
ed era possibile usare la strada in questo modo.
B.C. Dove vi trovavate?
P.S. Oh, qui in fondo alla strada. Possiamo fare
due passi e ti mostro il posto...
B.C. Abitavate già qui?
P.S. No, abitavamo in quella via.
B.C. La strada della fotografia?
P.S. Sì: Limerston Street. Da lì ci siamo trasferiti
prima in fondo alla strada, poi qui.
B.C. Così vi siete spostati all’interno di una
zona molto limitata. Si tratta di un quartiere chic,
non è vero?
P.S. Ma non lo era a quei tempi. C‘erano molti
affittacamere. Giovani in ogni stanza.
Riscaldamento a gas. Gente di ceto medio, non
ricchi. C’era un grande miscuglio di gente diversa,
come le sedie nella foto. C’era la galleria di
Beatriz Colomina 1956 is a year in which Alison
and you did a lot of things: The House of the
Future, Patio and Pavilion, the Appliance House,
the last CIAM meeting, in Dubrovnik,
for which Team 10 was responsible... Tell me
something about that moment.
Peter Smithson Hunstanton School was finished
in 1954. We had a lot of time and we had
some money left over. Therefore there was the
possibility of doing spontaneous work,
without a client.
B.C. What you did during the Independent
Group years was all without pay or commission?
P.S. Yes, the Independent Group was an evening
every two months, and we did not always go.
The thing that has been very neglected in all the
writings about the Group is this chap who
is also still alive called Toni del Renzio. He
worked for a fashion magazine as a layout guy.
It was intended for people in the trade.
I don’t know what is it called. It was very fast
and loose. He brought a level of reality
about the real force of advertising, fashion,
operating in the arts, which of course
was the big thing of the period. The recognition
that the popular arts, which had always
influenced the fine arts, had moved into
another sphere. To see advertising as
a popular art. When a new form enters the art
ambiance, it is not a coincidence accepting it,
taking a position with regard to it. But of
course, you could say the way the new popular
art entered American art was different.
They accepted the kind of iconography of the
popular thing raw. I mean both Andy Warhol
and the man who makes pictures made of dots...
B.C.Lichtenstein.
P.S. Yes, where there is a straight shift of the
popular images into an art form. There was a lot
of extremely difficult moves. They were
not just copying it. There was a transformation.
But nevertheless, underneath, they were
not taking a position, they were celebrating.
Whereas certainly for Alison and me, the
question of observation of the arts was not
exactly a question of celebrating.
We take a position. Because there would be an
embarrassment about it. To take too easily
is a form of eclecticism, that is, you’ve got to be
terribly nervous. Contemporary architecture,
for example, a lot of Dutch architecture now, is
eclecticism of the ’20s.
B.C.How did you and Alison get interested in
popular images?
P.S. Two lots of popular images were coming to
us at the time. One through Eduardo
Paolozzi being interested in magazine pictures,
the advertising images in American magazines.
And the other one, the surviving popular arts,
through Nigel Henderson, who was
Nella sua casa a Londra, nel
photographing those kinds of images that later giugno 2000, Peter Smithson
appeared in Peter Blake. I give an American
example: if you are in a poor area, and you find
si abbandona ai ricordi
a corner-shop with an Italian, German or legati all’Independent Group,
Spanish owner, the way the window is ordered,
items are ordered, is a surviving art form.
alla House of the Future,
Well, that existed in corner-shop culture here. all’esperienza della guerra e
News agents, sweet shops, and all that.
B.C. And Nigel was photographing that.
all’importanza dell’amicizia
P.S. Yes. That of course was part of the trigger On June 2000, Peter Smithson
that set off the idea that the invention of a
new house is the invention of a new kind of
in his home in London
street. Because the street in the late 19th, reminished about the
early 20th century was where the children were,
and where people talked and all that,
Independent Group, the
despite the climate being against it. The street House of the Future, the
was the arena of life.
To perceive that the invention of another sort of
experience of war and the
house was the invention of another kind of importance of friendship
street, of another arena, or maybe not an arena,
wasn’t – exactly as I was saying about
popular arts – a question of saying the street
must be revived.
It is a matter of thinking what the street did,
and what is the equivalent of it if it is
no longer necessary, if the street is dead. At CIAM
8 they thought community equaled piazza.
Community doesn’t equal piazza, and that
was another kind of eclecticism.
B.C. Speaking of streets, I have always been
struck by this photograph of you and Alison,
Eduardo and Nigel, where you are in the street,
with chairs, as if the street were a living room.
P.S. Where did they get this picture?
I don’t know this version. It is a marvelous
image. This is the world of that time.
That is, the number of cars was small. It was
just possible to use the street in this way.
B.C. Where are we?
P.S. Oh, it is just down the road.
We can take a walk now and I can show you...
B.C. You were already living here?
P.S. No. We were living in that street.
B.C. The street in the photograph?
P.S. Yes, Limerston Street. From there we moved
first down the street, and then here.
B.C. So you moved within a very small area. But
this is a kind of fancy neighborhood, isn’t it?
P.S. But it wasn’t so at that time. Rooming
houses. Young people in every room. Gas fire.
Some middle-class people, not rich.
Peter Smithson, Eduardo Paolozzi, Alison Smithson
There was a very strong mixture, like with the e Nigel Henderson fotografati in Limerston Street, 1956 (foto
chairs in the picture, of different kinds of di Nigel Henderson)
people. Peggy Guggenheim had a gallery here Peter Smithson, Eduardo Paolozzi, Alison Smithson, and
and Nigel’s mother was running the gallery for Nigel Henderson photographed on Limerston Street, 1956
her. So therefore his childhood was surrealism. (photo: Nigel Henderson)
Ottobre October 2005 domus 73

In alto: Alison e Peter Smithson nello studio di Cato Lodge, 1973.
Pagina accanto, dall’alto: Simon Smithson sul bancone della
cucina nella House of the Future, marzo 1956; Alison
Smithson con Simon a bordo della loro Jeep a Regent Park,
luglio 1955
Top: Alison and Peter Smithson in their studio
at Cato Lodge, 1973.
Opposite page, from top: Simon Smithson on the kitchen
counter of the House of the Future, March 1956; Alison
Smithson with Simon in their Jeep in Regent Park, July 1955.
(courtesy of the Smithson Family Collection, London,
Simon Smithson, Samantha Target and Soraya Smithson)
74 domus Ottobre October 2005
Peggy Guggenheim, mandata avanti dalla madre
di Nigel. Per questo, la sua infanzia fu segnata dal
Surrealismo. Poi, durante la guerra, diventò
un pilota della guardia costiera, e volava su verso la
Norvegia. Fu così che incontrò Eduardo,
perché Eduardo era stato dapprima in un campo di
concentramento, credo perché straniero e, in
quanto italiano, nemico. Poi entrò nell’esercito, nel
Pioneer Corps. Perciò entrambi ottennero delle
borse di studio ed entrambi si iscrissero alla Slade
School of Art, dove divennero amici.
B.C. E tu e Alison? Dove eravate durante la guerra?
P.S. Alison era giovane. Non fu coinvolta
attivamente nella guerra. Fu mandata a Edimburgo
con la nonna perché la sua casa nel
Tyne era in pericolo. Tuttavia ci fu un periodo di
bombardamenti aerei, dei quali fece esperienza.
Scrisse a questo proposito un pezzo incredibilmente
bello. Ricevette una lettera da alcune bambine
di una scuola, che le chiedevano se poteva
raccontare le sue esperienze della guerra, e lei buttò
giù due pezzi molto commoventi. Uno è la
descrizione del modo in cui i riflettori scovano un
aereo e di come questo cerca di sfuggire loro. L’altro
parla di aerei che volano così bassi che puoi
vedere il pilota. E dei libri che ha lasciato, i tre più
usati parlano di ricognizione aerea. In quei tempi i
bambini sapevano riconoscere gli aerei come
fossero farfalle. Quel che proprio non so è perché,
se si trovava a South Shield, che è sul fiume Tyne,
proprio nei giorni di maggior pericolo, sia stata
allontanata quando l’emergenza era terminata.
B.C. Alison ha affermato da qualche parte che
durante la guerra sua nonna a Edimburgo riceveva
delle riviste americane.
P.S. Sì, sua nonna riceveva The Ladies Home Journal
mentre una sua prozia The Woman’s Home
Companion. Questo perché un suo secondo cugino
era professore allo Smith, o in qualche altro college
di prestigio, credo responsabile della biblioteca.
Lei inviava pacchi di cibo e c’è da presumere che The
Ladies Home Journal facesse parte di un “pacco
culturale”. Anche durante la guerra quella
rivista aveva i più fantastici inserti pubblicitari per
una marca di farina. Per ricollegarmi a quello
che stavamo dicendo riguardo a Toni del Renzio,
intendo dire che erano pregevoli perché la
tecnica usata per produrli era incredibile. Conservo
ancora alcuni ritagli.
B.C. Vuoi dire che Alison li conservava?
P.S. Sì. Altri li hanno usati per spiegare ciò di cui ci
occupavamo allora, così come stai facendo tu ora.
B.C. Ma anche voi avete usato immagini
straordinarie nei vostri articoli. Immagini tratte
dalle pubblicità americane di automobili, o della
carta igienica.
P.S. Auto, cibo e mobili.
B.C. Cibo? Che tipo di cibo? Perché cibo? Cos’ha di
importante il cibo?
P.S. Sai, immagini di frutta, farina Pilsbury… credo
che tu non conosca queste immagini.
B.C. Certo che le conosco. Ogni volta che sfoglio
le riviste di quel periodo penso che le pubblicità
erano straordinarie.
P.S. Secondo me, quel che Alison intendeva
veramente dire quando parlava di The Ladies Home
Journal durante la guerra era che, per lei,
l’impatto personale della pubblicità americana era
in un certo modo l’eco o la ripetizione di esperienze
precedenti: le pubblicità degli anni Quaranta erano
davvero la continuazione di ciò che accadeva negli
anni Trenta. Pensa all’importanza dell’esperienza
surrealista di Nigel quand’era bambino.
B.C. Con sua mamma.
P.S. Sì. Ciò che Alison voleva dire è che il suo
contatto con la pubblicità americana avvenne
quand’era bambina. Ossia che non si
trattava di qualcosa che era stato imparato dai libri.
B.C. Così non furono solo Nigel e Eduardo a essere
interessati alle riviste popolari. La stessa Alison in un
certo modo portava con sé quell’interesse.
P.S. Sì. L’influenza della pubblicità americana è
stata interpretata in un modo preciso: si credeva che
negli anni Cinquanta avesse un grande potere di
attrazione perché rappresentava il lusso estremo
per persone che erano reduci da una certa povertà,
dovuta alla guerra. I razionamenti di certi
alimenti e della benzina si protrassero sino alla fine
degli anni Cinquanta: non si aveva certo quella
sensazione che abbiamo oggi, cioè che a questo
mondo ci sia troppo. Allora, c’era il senso di quanto
fosse meraviglioso che così tante cose fossero
disponibili da qualche parte. Tutto ciò produsse la
grafica che rappresentava quel mondo in
termini di pubblicità, in particolare per le
automobili. Perché era un momento d’oro per uno
styling veramente esotico. Potresti pensare
che stiamo parlando soltanto della Cadillac, ma
ovviamente ciò valeva anche per le Chevrolet, le
Ford e tutto il resto. Da Raymond Lowey in poi.
B.C. Ma ora stai parlando di designer famosi…
P.S. Già, il romanticismo della linea aerodinamica,
Norman Bel Geddes e Raymond Lowey. Voglio
dire che lo stile dei tardi anni Cinquanta era uno
sviluppo del lavoro di gente che era venuta prima,
Lowey e Norman Bel Geddes, che lavorarono
negli anni Venti e Trenta. Anni in cui c’era quasi un
“romanticismo privato” riguardo alle linee
aerodinamiche. Gli anni Cinquanta resero quel
romanticismo qualcosa di popolare. Si trattava di
una delle arti popolari e lo stile delle automobili
era fantastico. L’attività dell’Independent Group
non rappresentava altro che un’osservazione
di quel fenomeno. Un po’ come fecero Hamilton e
Peter Blake, che presero entrambi quelle immagini
al naturale anche se tratte da fonti differenti:
Hamilton dalla pubblicità americana e Peter Blake
dalla cultura anglosassone del “corner-shop”. Ma si
trattava di uno strano collage, non di una
trasformazione significativa. Diversamente da ciò
che fece Andy Warhol, che per me rappresenta
il vero Pop, quello dove non hai a che fare soltanto
con una lattina di fagioli bolliti sul tavolo.
Warhol ha operato una trasformazione. Ho letto da
qualche parte che aveva lavorato per un produttore
di scarpe, per il quale realizzava i disegni per
la pubblicità. Penso si trattasse di un modo molto
comune per cominciare degli artisti americani:
come artisti commerciali, acquisendo perciò delle
fantastiche capacità grafiche. Trattavano l’arte
popolare come un dato di fatto. Quando disegni
scarpe per venderle, tratti con l’arte popolare
attivamente e non da osservatore: come l’uomo che
incide i caratteri sulla matrice di stampa. Ecco:
Andy Warhol componeva caratteri sulla matrice...
B.C. E per quanto riguarda te e Alison, Nigel e
Eduardo? Se prendi Parallel of Life and Art, non è
che ci siano poi moltissime immagini popolari.
Per quanto l’eccesso di immagini in qualche modo
catturi la nuova realtà di allora.
P.S. Noi abbiamo reagito con quello che
consideravamo appropriato, le risorse per produrre
immagini che non erano disponibili alla
generazione precedente: fotografia, foto aeree,
microfotografia…
B.C. Immagini ai raggi X…
P.S. Roba semiscientifica, come l’uomo che
fotografava l’uomo che cammina. Non mettevamo
una particolare enfasi sulla pubblicità. Quelle
immagini alle quali noi abbiamo contribuito, come i
raggi X della Jeep, non erano per la pubblicità.
B.C. Dove l’avevate trovata?
P.S. Credo si trattasse della rivista Life, che aveva un
formato molto grande. I suoi reportage fotografici
erano molto forti. Anche Paris Match aveva
un formato molto grande. Si trattava di un periodo
molto ricco per quanto riguarda il materiale visivo.
Quel tipo di formato ora è scomparso del tutto.
And then, during the war, he was a pilot, coastal
command, flying up towards Norway.
And that is how he met Eduardo, because
Eduardo had been first of all in a concentration
camp, I believe, because he was an enemy
alien, he was Italian. But then he worked in the
army, in the Pioneer Corps. Therefore both of
them would have scholarships and both went to
the Slade School and there they became friends.
B.C. How about Alison and you? Where were you
during the war?
P.S. Alison was young. She was not in the war.
She was sent to Edinburgh with her
grandmother because her own home on the
Tyne was in danger. There was a period
of aerial bombardment, which she experienced.
She wrote a fantastically good piece about it.
Some girls school wrote to her asking whether
she could describe her experiences during the
war, and she knocked out these
two very touching pieces. One is a description of
the way the searchlights find an aircraft and
how it struggles to escape. And the other one,
where the planes were flying so low that you can
see the pilot. And from the books she left,
the three most used are about airplane
recognition. Children of that time were able to
identify planes like butterflies. What I don’t
quite know is why, if she was in South Shield,
which is on the Tyne, at the time of
maximum danger, why she was sent away later.
B.C. Alison said somewhere that her
grandmother in Edinburgh was getting American
magazines during the war.
P.S. Yes she was sent The Ladies Home Journal
and her great aunt The Woman’s Home
Companion. Because a second cousin was a
Professor at Smith, or some smart college,
in library management or something like that.
And she sent food parcels and presumably
The Ladies Home Journal was a cultural parcel.
Even in the war time, it had the most
fantastic advertisements for flour. Which is, to
repeat the thing about Toni del Renzio,
remarkable because the technical expertise
used to produce it was unbelievable. I still have
some of the clippings.
B.C. Alison kept clippings of the magazines?
P.S. Yes. they were used by other people
to explain what we were talking about then.
Like you are doing now.
B.C. But you yourselves also used some quite
extraordinary images in your articles.
Images from American advertisements of cars,
or toilet paper...
P.S. Cars, food and furniture.
B.C. Food? what kind of food? why food? what
about food?
P.S. You know, pictures of fruit, Pilsbury flour...
You may not know such images.
B.C. Oh, I do know. Every time I go through the
magazines of that period I think the
advertisements are stunning.
P.S. I think the argument Alison was making
when she was talking about The Ladies Home
Journal during the war time was that, for her,
the personal impact of American advertising was
in a way an echo or repeat of previous
experiences, that advertisements in the 1940s
were really a continuation of the ’30s.
It is all very interesting given Nigel’s experience
of surrealism when he was a child.
B.C. From his mother.
P.S. Yes. The point that Alison was making is that
the experience of American advertising
came to her as a child. That is, that it wasn’t
something learned from books.
B.C. So it was not just Nigel and Eduardo that
got you interested in popular magazines.
Alison had it already in herself, in a way.
P.S. Yes, the way the influence of American
advertising has been interpreted is that
the attraction of it in the 1950s was that it
represented a level of luxury because of the
relative deprivation from war. Rationing
didn’t end here until the 1950s. Various items of
food and petrol and so on were still restricted.
Therefore there was not the sense you now feel
about our world that generally there
is too much. What there was was a sense of how
wonderful it was that so many things were
available somewhere. And spun off that is the
graphics that represented this, in terms
of advertising, particularly for the motor car.
Because it was a high time of really exotic
styling. You would think we are only talking
about Cadillac but of course it was
common to Chevrolet and Ford and all of that.
From Raymond Lowey on.
B.C. But now you are talking about name
designers...
P.S. Yes, the romanticism of the streamliners,
Norman Bel Geddes and Raymond Lowey.
I mean this styling of the late 1950s was a spin
off of earlier people, Lowey and Bel Geddes
from the 1920s and 1930s. Then it was almost a
private romanticism about streamliners, but the
1950s made that romanticism a popular one.
That was one of the popular arts and the style of
the car was so fantastic. What the Independent
Group was about was just to look at the
phenomenon. And the distinction I make
between Hamilton and Peter Blake is that they
took that imagery raw, from different sources.
Hamilton from American advertising and Peter
Blake from English corner-shop culture. But
there was just a strange collage, not a significant
transformation, which is what I try to distinguish
from Andy Warhol, who I regard as real Pop,
where you are not dealing with a baked-bean
can on the table. There is a transformation.
Andy Warhol, somewhere I read, worked for a
shoe company, making the drawings for the
advertisements of their shoes. I think it is a very
common way of beginning for American artists,
to begin as a commercial artist, therefore they
acquire fantastic graphic skills. These artists are
dealing with the popular art as a fact.
When you are drawing shoes to sell, you are
dealing with a popular art not as observed
but doing, like the man who carves the lettering
on the wheel. That is, Andy Warhol was carving
letters on the wheel.
B.C. And how about Alison and you, Nigel and
Eduardo. If you take the Parallel of Life
and Art, it is not that there are too many popular
images there. Although the excess of
images somehow captures the new reality.
P.S. We responded with what we thought
was appropriate, the resources of imagery
that were not available to the previous
generation: photography, aerial photography,
micro-photography…
B.C. X-ray images…
P.S. …quasi-scientific stuff, like the man who
photographed men walking. There was not
a particular emphasis on advertising. The ones
that we particularly contributed, like the
X-ray of a Jeep, were not advertisements.
B.C. Where did you get it from?
P.S. I should imagine from Life magazine. The
format of Life was very large. Their photographic
reportage was very strong. Paris Match was
also a large format. It was a period rich in visual
material. Now these very large formats have
completely disappeared.
B.C. So all these big images in magazines, glossy
advertisements and journalism were a major
Ottobre October 2005 domus 75

In questa pagina, dall’alto: Toni del Renzio, dalla rivista Ark
20, autunno 1957, con sovrapposta una carta velina gialla con
un’immagine di donna ; disegni di Teddy Tinling per
l’abbigliamento degli abitanti della House of the Future, 1956.
Nella pagina accanto, dall’alto: Alison e Peter Smithson,
Vertical Tube of Unbreathed Private Air, diagramma della
House of the Future, 1955-56; House of the Future, veduta
sul patio con lavabo e raccoglitore di acqua piovana.
This page from top: Toni del Renzio from theArk 20, Fall 1957,
with overlay of yellow transparent paper with image of
woman; drawings of clothes for the inhabitants of the House
of the Future by Teddy Tinling, 1956.
Opposite, from top: Alison and Peter Smithson, Vertical Tube
of Unbreathed Private Air, diagram of the House of the
Future, 1955-56; House of the Future, view onto the patio of
wash basin and rainwater holder.
(courtesy of the Smithson Family Collection, London, Simon
Smithson, Samantha Target and Soraya Smithson)
76 domus Ottobre October 2005
B.C. Così tutte queste grandi immagini delle riviste,
la pubblicità patinata e il giornalismo ebbero una
considerevole influenza su di voi dopo la guerra. Ma
tornando alla guerra: dove trascorresti quegli anni?
P.S. La guerra per me significò principalmente
scuola. Dato che il corso di architettura era diviso in
una prima parte di tre anni e un’altra di due, il
mio professore chiese all’ufficio della leva militare
di deferire il mio arruolamento di modo che potessi
sostenere gli esami del terzo anno. Così entrai
nell’esercito quando avevo diciannove anni e ne
uscii a ventidue. Conosci i Royal Engineers? Sono
detti Sappers, da ‘saps’, le trincee che scavavamo.
Io fui mandato alla scuola per l’addestramento dei
giovani sappers, che era fantastica. In seguito venni
addestrato come ufficiale. Dopo lo sbarco in Europa
si sapeva quante vittime ci sarebbero state. C’era
abbastanza gente della mia generazione, così io fui
inviato in Birmania, per la guerra col Giappone.
Voleva dire entrare a far parte dei Madras Sappers
and Miners, dell’esercito indiano. Fui inviato al
quartier generale di questa divisione, dove venivi
trasformato da soldato inglese in soldato indiano. Si
trattava di un’idea interessante. Per tutto il periodo
che trascorsi in Birmania mi trovai a una notevole
distanza dal fronte, al quartier generale avanzato
dell’esercito cioè sempre a circa trenta chilometri
dalla linea di fuoco. Fu cosa assai poco eroica.
B.C. Deve comunque averti lasciato dei segni...
P.S. Fu un’esperienza indimenticabile. La cosa
sorprendente per me erano i macchinari
di guerra, il ponte Bailey, i veicoli, la Jeep.
B.C. Mi pare che tu abbia avuto una Jeep anche
dopo la guerra. Ma torniamo al 1956. Trovo molto
interessante il fatto che in quello stesso anno
faceste due progetti in apparenza così diversi dal
punto di vista estetico come House of the Future e
Patio and Pavilion. Eppure Alison ha affermato che
facevano parte della stessa ricerca, che “entrambi
riflettevano sui diritti di ciascuna abitazione ad
avere aria ‘irrespirata’ “. Mi affascina molto anche
questo disegno, questo diagramma che avete
realizzato e che riguarda l’idea di “aria irrespirata”.
Mi puoi spiegare qualcosa al riguardo? So che
parlate del giardino, ma non posso fare a meno di
pensare che c’è anche qualcos’altro. Che cosa si
intende quando si parla di spazio privato definito
come “aria irrespirata”? È in qualche modo
collegato con la guerra? O ha a che fare con la
preoccupazione di quegli anni riguardo all’aria,
all’igiene, alla tubercolosi, all’aria fresca e così via?
Guardando alla pubblicità statunitense di
quegli anni, si vede che iniziava a comparire l’aria
condizionata. Quindi l’aria è qualcosa di molto
importante che deve essere condizionato, e che
diventa così parte dell’essenza dello spazio privato.
E oggi ci sono tutte queste dispute con le linee aeree
riguardo alla mancanza di aria ‘irrespirata’, che
sono in realtà battaglie per lo spazio privato.
P.S. Immagino che stessimo osservando tutto quello
che accadeva e provando a immaginare quel che
ne sarebbe scaturito. Quel che è curioso riguardo ad
House of the Future e agli altri progetti è che sono
dello stesso anno… Bene, la critica che Peter
Banham ci rivolgeva negli anni Cinquanta era che
eravamo preoccupati solo dei valori architettonici,
non di quelli che lui pensava rappresentassero il
futuro dell’architettura – come invece Buckminster
Fuller – quali il minimo peso e temi correlati. Ma la
cosa interessante fu che sebbene le questioni che
affrontavamo fossero realmente architettoniche –
spazio, forma, luce, eccetera – il nostro approccio
non era stilistico. La linea guida di Team 10 era che il
primo dovere di un edificio è nei confronti del
tessuto stesso, da intendersi non solo come “tessuto
fisico” quanto piuttosto texture e gente, al servizio
dei quali si deve lavorare. Se si tiene questo
come punto di partenza, è impossibile ricadere
nella stessa formula formale. In ogni lavoro ci sono
debolezze formali, perché non c’è una coerenza
interna. Nella House of the Future, il cui
disegno si deve interamente ad Alison, la coerenza
formale è straordinaria.
B.C. Banham ha affermato anche che House of the
Future fu il primo esperimento di architettura Pop.
P.S. Non l’ho mai considerata in quel modo.
Affrontava questioni come studiare la forma del
tetto in modo tale che il sole, passando sopra il
bagno, penetrasse in soggiorno. La House of the
Future viene solo ‘interpretata’ come Pop.
B.C. Ma, dal punto di vista estetico, non somiglia
a nient’altro che avete fatto. Quale fu l’ispirazione
formale?
P.S. L’ispirazione tendeva a essere negativa.
Una volta che la decisione di costruirla in plastica
era stata presa, c’era da affrontare il problema del
rumore, una volta che venisse considerata come
una casa di città. Per questo motivo, la struttura
doveva essere pesante. Così la plastica venne usata
come impregnante su una base di calcestruzzo
solido, una soluzione robusta ed economica allo
stesso tempo. Cos’altro c’era nel settore delle case in
plastica? Naturalmente c’erano esempi come la
casa Monsanto, ma si trattava fondamentalmente
di bungalow. Se vogliamo riportare la questione a
livello di critica, per inventare una casa devi
inventare una strada. Si rimane sempre bloccati dal
fatto di non sapere che cosa sia una strada
alternativa. Devi costruire tutta l’ambientazione in
cui situare questa casa. Perciò, prendi
il caso opposto – pareti pesanti e sguardo rivolto
all’interno – e ne restringi l’uso, consciamente,
dicendo che è pensata per coppie giovani senza
figli, o con bambini piccoli, così come accade
quando vivi in Mews londinesi. Quindi, non si tratta
di una casa familiare. Perciò ne puoi fare la regia,
partendo dal presupposto che le città sono
assolutamente zeppe di forme abitative alternative
come risultato del fatto che si sono evolute.
Sei stata a Phoenix, in Arizona?
B.C. Certo.
P.S. Dieci miglia per sei, e sempre lo stesso
problema. Ma noi abbiamo fatto la considerazione
opposta. Ossia, questa casa sarebbe esistita
all’interno di una matrice nella quale ci sarebbero
state molte scelte. Questa non è una casa
per tutti. È solo per una certa classe di persone.
L’ideologia era molto precisa: quel che esiste ora
come prototipo sarà disponibile a tutti tra
venticinque anni. Tutto questo si è rivelato essere
più o meno vero: controllo dell’aria, dell’umidità,
della luce, le nuove cucine, la refrigerazione…
B.C. La casa doveva essere anche un prototipo in
senso più radicale. Diversamente dalle abitazioni
americane di quel periodo, fatte in serie, questa era
più simile a un’automobile, nel senso che l’intera
struttura, invece dei suoi componenti, sarebbe stata
prodotta in serie, e che cambiare qualsiasi cosa al
suo interno – come credo Alison abbia detto –
sarebbe stato come mettere nella propria auto un
vano portaoggetti più grande del dovuto.
Una scelta che sarebbe stata più complessa
e costosa che sbarazzarsi della vecchia auto e
comprarne una nuova.
P.S. Certo, era come un’automobile, o un
aeroplano. Ovvero, non appena la serie
era terminata, il capitolo si chiudeva. Bisognava
andare avanti. Tuttavia era strano perché
la tua vita di tutti i giorni funziona in modo
opposto. La casa di famiglia è sempre la casa di
famiglia, va avanti nel tempo.
B.C. Ma l’assunto di quel progetto era che ci
saremmo sbarazzati della casa allo stesso modo in
cui lo facciamo con un’automobile.
Introduceva il concetto di consumo
nell’architettura. L’idea dell’usa e getta.
P.S. Ecco delle immagini della House of the Future.
Una vista che mostra lo schermo in vetro che
influence on you after the war. But how about
the war itself. Where were you?
P.S. The war was mostly school for me. Because
the architecture course was first three years and
then two more years, my professor asked the
conscription people to defer it so I could sit for
my third-year examination. So I entered the
army when I was 19 and I left when I was 22. You
know the name of the Royal Engineers, they are
called the Sappers, after the saps, the trenches
that used to be dug. Well, I went to the basic
school for training young men to be Sappers,
which was fantastic. From there I went to officer
training. Once the landing had been made in
Europe they knew what the casualties would
likely be. They had enough men, so my
generation was sent to the Japanese war, in
Burma. For me, it was Madras Sappers and
Miners. I was in the Indian army. I went to the
depot of this organization, where they
converted you from an English soldier to an
Indian soldier. It is a nice idea. The whole time I
was in Burma we were a long way from the
front, with the advanced headquarters of the
army, which is always about thirty miles from
the fighting. Therefore I was very unheroic.
B.C. But it must have affected you.
P.S. Yes, it was a fantastic experience. The
amazing thing for me was the machinery of
war – the Bailey Bridge, the vehicles, the Jeep.
B.C. You even had a Jeep yourself after the war.
Returning to 1956. I am fascinated that in that
very same year you did such different projects as
the House of the Future and Patio and Pavilion.
Apparently completely different aesthetically.
But then Alison said somewhere that they are
both part of the same research, that “both
reflected upon each dwelling’s right to
unbreathed air”. I am also fascinated by this
drawing, this diagram you made about the
“unbreathed air”. Can you explain something to
me about this? I know you are talking
about the yard, but I cannot help myself but
think what else is going on here.
What is this business of private space defined
as “unbreathed air”? Is it related to the war in
some way? or does it have to do with the
preoccupations of those years about the air, and
hygiene, tuberculosis, fresh air, and so on? Also
when you look at advertisements in America in
those years, they are introducing air
conditioning. So air is a very important thing
that has to be conditioned. Conditioned air
becomes part of the essence of private space.
And now there are all these battles
with airplane companies about the lack of
“unbreathed air”, which I think
are really battles about private space.
P.S. I guess we were watching everything that
was happening and trying to imagine where it
was going to go. The curiosity of the House
of the Future and the other projects being in the
same year... Well, Peter Banham’s critique
in the ’50s was that we were concerned only
with the architectonic value, not with
those values that he thought were the future for
architecture, like Buckminster Fuller,
minimum weight, all of that. But the peculiar
thing was that although the issues were indeed
architectonic – pace, form, light etc. – those
issues were not approached stylistically. The
main thrust of Team 10 is that the first duty of a
building is to the fabric itself and that fabric is
not just the physical fabric, it is the texture, the
people, and you have to be the servant of that. If
that is the starting point, you don’t end up
with the same formal formula. In every work
there are formal weaknesses, not being
internally self-consistent. In the House of the
Future, which was entirely Alison’s design,
the formal consistency is extraordinary.
B.C. Banham also said that the House
of the Future is the first experiment in Pop
architecture.
P.S. I never thought about it that way. The issues
she was dealing with, like the shaping of the
roof so that the sun comes in over the bathroom
into the living room, these are the issues we
normally deal with. It is only interpreted as Pop.
B.C. But aesthetically, it looked like nothing else
you ever did. What was the inspiration formally?
P.S. The inspiration tended to be negative.
Once the decision has been made to make it of
plastic, there was a noise problem if it is
a city house, a town house. Therefore, it would
have to be heavy. So the plastic is used
as an impregnation of a solid plaster, something
cheap and heavy. What else was in plastic
houses? Of course, there were things like the
Monsanto house, but they were all bungalows.
Then you come to the critical thing, to invent a
house you have to invent a street.
You are always stuck with not knowing what
the alternative to street is. You have to construct
the ambiance in which the house exists.
Therefore, you take the opposite case, heavy
walls and looking inwards and you restrict
its use, consciously, to say it is for young people
without children, or with small children,
like living in the Mews here. That is, it’s not
a family house. Therefore you can direct
it, on the assumption that old cities are
absolutely full of alternative forms of housing
because they have evolved.
Have you been to Phoenix, Arizona?
B.C. Yes, I have.
P.S. 10 miles by 6 miles, the same problem. But
we made the opposite assumption. That is,
this house would exist in a matrix where there
will be many choices. This is not a house for
everyone. It is only for this class of person. The
ideology was quite strict. What exists now
as prototype will be available to everybody in 25
years. And it turned to be more or less true:
controlled air, humidification, lighting under
control, all the kitchen stuff, refrigeration.
B.C. The house was also supposed to be a
prototype in a more radical sense. Unlike the
mass produced American houses of the period,
this was more like a car, in the sense that the
whole thing would be mass-produced,
rather than the parts, and that to change
anything in it, as I think Alison said,
would be like trying to get a bigger glove
compartment for your car. That is, more
complicated and more expensive than getting
rid of the whole thing and buying another car.
P.S. Yes, it was like a car, or an airplane.
That is, once the series had been finished, that
was it. You have to move on. But it was strange
because one’s real life is the opposite. The
family house is still the family house, it goes on.
B.C. But the presumption of that project is that
we will throw it away in the same way that we
will throw away a car. It brings the expendable
into architecture. The throw away concept.
P.S. Here are some pictures of the House of the
Future. With the glass screen going across
the face of the courtyard, the assumption is that
you can see the person in the bathroom.
B.C. Yes, from the courtyard. But the courtyard
is private.
P.S. Therefore it assumes that the occupants are
young people, when the body is still beautiful.
B.C. Can you tell me something about these
models with these extraordinary outfits, what
was that about?
P.S. The client commissioned them...
Ottobre October 2005 domus 77
Peter Smithson, con la moglie Alison, ha formato la più
formidabile partnership architettonica britannica della metà
del Novecento. Come giovani soci del CIAM e come
membri fondatori del Team 10 si sono battuti per la causa del
Modernismo negli anni Sessanta e Settanta, ed è grazie
alle loro polemiche – e ai loro progetti – che sono state poste
le basi per il New Brutalism e per il Movimento della Pop Art
degli anni Sessanta. Il progetto architettonico più significativo
della coppia è stata la Secondary School di Hunstanton,
Norfolk (1949-1954). In quanto membri dell’Independent
Group (con Nigel Henderson ed Eduardo Paolozzi)
hanno creato due installazioni per mostre oggi famose:
Parallel of Life and Art (1953) e Patio & Pavilion (1956).
78 domus Ottobre October 2005
attraversa la facciata sul cortile. L’idea
è rendere visibile la persona che si trova in bagno.
B.C. Dal giardino. Ma il giardino è uno spazio
privato.
P.S. Perciò si dà per scontato che gli occupanti della
casa siano gente giovane, corpi ancora belli.
B.C. Puoi dirmi qualcosa di questi modelli e dei loro
abiti straordinari? Qual è il significato di tutto ciò?
P.S. Fu il cliente a commissionarli…
B.C. Il Daily Mail?
P.S. Sì. Molto intelligente. Lo stilista era lo stesso
che vestiva gli appassionati di tennis che andavano
a Wimbledon. Perciò, quello che lui parlava
era il linguaggio del movimento. Recentemente, ho
stampato le fotografie che io stesso scattai
durante la costruzione che mostrano gli attori e la
gente comune insieme e ho pensato che la gente
comune sembrava assolutamente ridicola. Si tratta
di quasi trenta persone che fumano la pipa,
indossano un vestito e in mezzo a loro quali c’erano
quattro modelli.
B.C. Quindi voi non avete avuto nulla a che fare
con questi attori e con i loro abiti?
P.S. Non abbiamo avuto nulla che fare né con gli
abiti né con la scelta degli attori.
B.C. Erano fantastici. Esiste un plastico della casa?
P.S. C’era un plastico, un esemplare in cartone.
Fu realizzato da Ideal Homes, non lo facemmo noi.
Noi non abbiamo mai, eccetto che in
circostanze particolarmente difficili, realizzato
plastici. Io li odio.
B.C. Facevate solo disegni. In termini di aspetto,
alcuni hanno paragonato la House of the Future al
bagno di Buckminster Fuller, a causa della superficie
continua e del fatto che è stampata in un unico
blocco. La differenza è ovviamente che la House of
the Future è di plastica. Un mio studente ha
detto che somiglia a un “TV dinner”, uno di quei
vassoi con comparti arrotondati di misura diversa.
P.S. Si ispirava a un luogo che si trova nel sud della
Francia, Les Baux, dove pare di essere in Tunisia.
Un luogo dove hanno scavato le case nella roccia e
producono contenitori di pietra persino per lo
spazzolino da denti. Abbiamo copiato consciamente
da due fonti: una fu Les Baux, l’altra la colorazione
di Paradise Garden, che è un dipinto tedesco.
B.C. Vedo. Ma il tavolo esagonale e il giardino chiuso?
P.S. Ma lì parliamo piuttosto di influenze
consapevoli.
B.C. Sì ma forse ce n’è anche qualcuna
inconscia, come i “TV dinner” che Alison doveva
aver visto nel Ladies Home Journal.
P.S. Ecco la famosa foto di Simon (seduto al bancone
della House of the Future), con uno sguardo
sospettoso. Ma i bambini accettano ogni cosa...
B.C. I bambini sono stati un tema importante per voi
due, e suppongo particolarmente per Alison.
Fu lei a fare delle osservazioni riguardo al fatto che
la casa si pulisce da sé – avendo questa superficie
continua, poteva essere pulita molto velocemente –
e presenta angoli arrotondati, diversamente
dai mobili degli anni Cinquanta che lei sosteneva
essere letali per i bimbi.
P.S. Grazie al materiale di cui era fatta: cemento
mescolato a plastica. La finitura era la stessa
modo di quando si versa cemento su serrande di
metallo: si ottiene una superficie molto liscia.
B.C. Dove fu costruita? In sito?
P.S. Fu come lavorare in teatro. Non era vera.
Era fatta di compensato. Era come uno di quei
vecchi aeroplani prodotti con una serie di sagome
sopra le quali si infila una guaina di rivestimento.
La casa fu prodotta in dieci giorni. Gli operai che
lavoravano per la mostra erano incredibilmente
veloci. Non fu un prototipo. Fu come disegnare
una maschera, come lavorare per il teatro,
il che è straordinario. Tutte le mostre hanno una vita
di qualche settimana, ma in realtà continuano
per sempre. Come il padiglione di Barcellona prima
che venisse ricostruito.
Beatriz Colomina è docente di architettura nonché fondatore e
direttore del Program in Media and Modernity
all’Università di Princeton. Tra le sue pubblicazioni si segnalano
Architectureproduction (1988), Sexuality and Space (1992)
e Privacy and Publicity: Modern Architecture as Mass Media
(1994) e Cold War Hothouses (2004). Un suo saggio
sulla House of the Future degli Smithson è contenuto nel
catalogo Alison and Peter Smithson: From the House
of the Future to a House of Today, a cura di Dirk van den Heuvel
e Max Risselada (010 Publishers, Rotterdam 2004).
B.C. The Daily Mail?
P.S. Yes. Very intelligent. The man who dressed
tennis people for Wimbledon. Therefore, the
language he was speaking was of movement.
Recently, I printed my own pictures, taken
during the construction, which show the actors
and ordinary people together and I thought that
the ordinary people looked absolutely
ridiculous. It is almost thirty people smoking
pipes, in suits, and mixed in were four models.
B.C. So you didn’t have anything to do with
these actors or with their dresses?
P.S. No, we had nothing to do with the clothing
nor with the choice of actors.
B.C. They were wonderful. Is there a model of
the House?
P.S. There was a model. A cardboard model.
The Ideal Homes made it. We didn’t make
a model. We never, except under duress, make
models. I hate models.
B.C. You only make drawings. In terms of the
look of it, some people have compared
the House of the Future to Buckminster Fuller’s
bathroom, because of the continuous surface
and the fact that it is all molded as one unit.
Except that the House of the Future is plastic, of
course. A student of mine said the house
looks like a TV dinner, one of these trays with
different rounded compartments.
P.S. It was based on a place in the South of
France, Les Baux, which is like in Tunisia,
where they carved the houses out of the rock
and there is a container cut in the rock for
everything, for your toothbrush, for example.
In conscious terms there were two
cribs, one was Les Baux, and the other was
the coloration of Paradise Garden, which is a
German painting.
B.C. I see that, but also the hexagonal table and
the enclosed garden…
P.S. But those are the conscious influences.
B.C. Yes but maybe there is the unconscious one
too, like the TV dinners that Alison must have
seen on the Ladies Home Journal.
P.S. Here is the famous photograph of Simon
[sitting on the counter of the House
of the Future], looking suspicious, but young
children accept everything. Peter Smithson, with his wife Alison, formed the most
B.C. Children were an important theme for both formidable British architectural partnership of the
of you, I suppose particularly for Alison. She mid-twentieth century. As young members of CIAM and as
founding members of Team 10 they proselytised the cause of
made some comments about the house being
Modernism throughout the 1960s and 1970s, and by their
self cleaning – because of the continuous polemics – and designs – laid the foundation for the New
surface it could be wiped clean very fast – and Brutalism and the 1960’s Pop Art Movement. The couple's first
having round corners, unlike 1950’s furniture, significant building was their Secondary School in
which Alison said was lethal to toddlers. Hunstanton, Norfolk (1949-1954). As part of the Independent
P.S. Thanks to the material of which it was made Group (with Nigel Henderson and Eduardo Paolozzi) they
from, plaster with plastic admixture. produced two now famous exhibition installations: Parallel
of Life and Art (1953) and Patio & Pavilion (1956).
The finish would as when you have ordinary
concrete cast on metal shutters, very smooth.
B.C. Where was it made? On site?
P.S. It was made like in the theater. It wasn’t
real. It was made of plywood. It was like
an early airplane where you make a series of
forms then you run the skin over them.
The house was made in 10 days. The exhibition
contractor was fantastically fast. It was
not a prototype. It was like the design for a
masque, like theater. Which is extraordinary.
Like all exhibitions, they live a life
of say a week or four weeks in reality but then
they go on and on forever. Like the Barcelona
Pavilion before it was reconstructed.
In queste pagine: alcuni degli ‘abitanti’ della House
of the Future si trattengono in camera da letto,
accanto alla vasca da bagno autopulente, nello spogliatoio,
e ancora in camera.
These pages: some of the ‘inhabitants’ of the House of the
Future lingering in the bedroom, by the self-cleaning
bathtube, in the dressing room, and in the bedroom again.
(courtesy of the Smithson Family Collection, London,
Simon Smithson, Samantha Target and Soraya Smithson).
Beatriz Colomina is a Professor of architecture and
founding director of the Program in Media and Modernity
at Princeton University. She is the author of
Architectureproduction (1988), Sexuality and Space (1992),
Privacy and Publicity: Modern Architecture as Mass Media
(1994), and Cold War Hothouses (2004). An essay by Colomina
on the Smithson’s House of the Future was published
in the catalogue Alison and Peter Smithson: From the House of
the Future to a House of Today, edited by Dirk van den
Heuvel and Max Risselada (Rotterdam: 010 Publishers, 2004).
Ottobre October 2005 domus 79
Round Blur
Una rotonda stradale nel cuore di Torino diventa il luogo di
sperimentazione di una tipologia mista di verde pubblico, con fiori
artificiali, prati di asfalto bianco, manti di perline di vetro.
Un progetto di nicole_fvr / 2A+P, gruppo di giovani architetti romani
A roundabout in the heart of Turin becomes the site for an experimental
park. Nicole_fvr / 2A+P, a group of young Roman architects,
indulges in a mix of artificial flowers, expanses of white asphalt and
a shower of glass beads

Testo di/Text by
Nicole_fvr/2A+P
Fotografia di/Photography by
Paolo Rosselli
A cura di/Edited by
Rita Capezzuto
Autoritratto collettivo
2A+P è uno studio di architettura con base a
Roma. Il nostro lavoro, dal 1998, si è sempre
mosso tra critica operativa e sperimentazione
progettuale, con la costruzione di iniziative
editoriali e un lavoro di ricerca condotto
attraverso progetti, concorsi e installazioni.
È difficile per noi collocarci all’interno del
panorama architettonico italiano. Quello che
abbiamo di fronte è un paesaggio sfaccettato e
in alcuni aspetti ancora in pieno sviluppo, che
presenta realtà diverse tra loro sia per gli
strumenti che utilizzano che per le dinamiche
che innescano.
Dopo aver sviluppato il ciclo della rivista 2A+P,
con tre numeri monografici (Body, Home e
Landscape) che valutavano uno scenario
internazionale, nel 2003 abbiamo realizzato in
collaborazione con Marco Brizzi e Luigi
Prestinenza Puglisi gr – la generazione della
rete, un libro che intendeva avviare una prima
indagine sui principali nodi generativi di una
rete architettonica italiana, proliferante di
visioni, pratiche, ricerche e sperimentazioni.
Il nostro studio, come un cluster nel territorio,
propone una visione dell’architettura come
processo di trasformazione, di strategie tese a
riconfigurare le relazioni e i possibili equilibri
tra gli aspetti ambientali, naturali, sociali ed
energetici.
Lo scenario che stiamo osservando necessita di
un’attitudine progettuale capace di intervenire
nelle zone di tensione e capire le dinamiche di
trasformazione del territorio. Una nuova
iniziativa che stiamo portando avanti è
‘romalab’, una rete di studi e critici di
architettura che attraverso una serie di
esplorazioni si propone di sviluppare una
conoscenza reale della città recente ed
elaborare una visione per la città futura.
Molti dei nostri lavori indagano sul significato
dello spazio pubblico come suolo produttivo. La
comprensione di questo fenomeno vuole
verificare la possibilità di innescare meccanismi
di relazione, attraverso la ricerca di spazi capaci
di stabilire un contatto tra l’uomo e il territorio.
Nel progetto elaborato con Tommaso Arcangioli
per gli orti urbani di Corviale, abbiamo cercato
di affermare il ruolo centrale del suolo, sia per le
potenzialità generative di un nuovo rapporto
con il territorio, che come spazio di relazione.
Una esperienza dove abbiamo potuto
82 domus Ottobre October 2005
sperimentare nuove strategie nella costruzione
di un progetto e che, attraverso un laboratorio
con i cittadini, ci ha permesso di sviluppare un
primo avvicinamento alle pratiche di
progettazione partecipata.
Attraverso un processo di riterritorializzazione,
che contribuisce ad innescare un contatto
intimo e sensibile tra l’uomo e la natura, lo
spazio pubblico diventa per noi un luogo
produttivo, di relax, coltivazione, relazioni e
gioco, punto di aggregazione e di conoscenza.
Proprio su questo tema stiamo sviluppando una
ricerca, Deep Ground, che intende indagare il
valore del suolo urbano e naturale.
Stiamo lavorando in questi mesi ad un progetto
in Spagna, Suelo específico, selezionato
all’interno di Idensitat per lo sviluppo di
pratiche creative nello spazio pubblico di Calaf,
un paese di 3.500 abitanti della Catalogna.
Oggi Calaf sta vivendo un’importante crescita,
provocata dai nuovi network di comunicazione,
dalla proliferazione di centri industriali e dalla
domanda di nuove abitazioni, fattori che
comporteranno un nuovo contesto culturale e
sociale. Rispetto a questo scenario, ci siamo
posti alcune domande. Cosa è il suolo urbano?
Può la coltivazione diventare uno strumento di
relazione per gli abitanti? Cosa è la nuova
sostenibilità urbana?
Lavorare sulla crescita di una piccola città
rappresenta un’importante occasione per
riconsiderare l’urbanizzazione come uno
strumento operativo, processuale e non
deterministico.
Dopo una prima indagine conoscitiva, con
l’aiuto dell’amministrazione comunale, stiamo
ora cercando di realizzare un’opera pubblica, la
riconversione di uno dei pochi spazi verdi
all’interno di Calaf. Non solo un progetto
architettonico, ma un dispositivo relazionale.
L’obbiettivo, attraverso la comunicazione e la
sensibilizzazione della cittadinanza, è quello di
strutturare un processo che ci permetta, con la
partecipazione degli abitanti, di organizzare un
cantiere pubblico.
Sempre in Spagna, stiamo ultimando un
progetto di concorso per un insieme di
abitazioni autosufficienti; in questo caso è lo
spazio domestico che da privato si conforma in
spazio di relazione, assorbendo tutte le attività
condivisibili in spazi di sharing.
Collective self-portrait
2A+P is an architectural practice based in Rome.
Since 1998, our work has always gravitated
between operative criticism and design
experimentation, with publishing initiatives and
research work carried out through design
projects, competitions and installations.
It is difficult for us to place our work within the
Italian architectural scene. What we have before
us is a many-sided landscape that in some ways
is still very much in development; it presents
realities that differ from one another both for the
instruments that they employ and for the
dynamics that they create.
After having developed the 2A+P magazine series
with three monographs “Body, Home and
Landscape”, that assessed the international
scene, we collaborated in 2003 with Marco Brizzi
and Luigi Prestinenza Puglisi and put together “gr
– la generazione della rete”, a book that
intended to start off with an initial exploration
into the principal generating nodes of an Italian
architectural network. It examined the
proliferation of visions, practices, research and
experimentation taking place.
Our studio, like a cluster in the territory, puts
forward a vision of architecture as a process of
transformation, of strategies stretched to
reconfigure the relationships and possible
equilibrium between environmental, natural and
social aspects. The current state of affairs requires
us to have an approach to design which is able to
intervene in areas of tension and understand the
dynamics of transformation in a given territory. A
new initiative that we are working on is romalab,
a network of architectural studios and critics that
through a series of explorations of the latest city
aims to develop a real knowledge of the recent
city and develop a vision for the future city.
Much of our work examines the meaning today of
public space as productive ground. By
understanding this phenomenon via research
into spaces, we hope to establish mechanisms for
connecting man and territory. In the project
developed with Tommaso Arcangioli for the urban
allotments at Corviale, a one kilometre-long
building on the outskirts of Rome, we tried to
affirm the central role of the ground, both for the
generative potential of a new relationship with
the territory and as a space for forming
relationships. We were able to experiment with
new strategies in the building of a design project
Round Blur
Progetto/Architects:
nicole_fvr / 2A+P architettura – Tommaso Arcangioli,
Gianfranco Bombaci, Lorenzo Castagnoli,
and that, through a workshop with the citizens, Domenico Cannistraci, Pietro Chiodi, Matteo Costanzo,
allowed us to approach the practice of Valerio Franzone, Angelo Grasso
participated design. Collaboratori/Collaborators:
Through a process of reterritorialisation, which Valter Canuto (logistica/logistics),
contributes to establishing close and sensitive Marco Galofaro (modello/model),
contact between man and nature, public space Nuova Dalmi s.a.s. (prototipi catafiori/catafiori prototypes)
becomes for us a productive place for relaxation, Comunicazione/Communication:
Associazione a.titolo, Zebra (grafica/graphic)
cultivation, forming relationships and playing. It
Realizzazione/Realisation:
is a place of aggregation and knowledge. It is on Città di Torino/Municipality of Turin – Servizi Tecnici,
precisely this theme that we are developing a Settore Grandi Opere del Verde Pubblico
research project called Deep Ground, whose aim Committenti/Clients:
is to examine the value of urban and natural Associazione Artegiovane in collaborazione
ground. con/in collaboration with Torino Incontra,
Fondazione CRT, Compagnia di San Paolo e/and GTT
Localizzazione/Location:
At the moment we are working on a project in
Corso Unione Sovietica e/and Strada D. Drosso, Torino
Spain known as Suelo específico. It is part of Progetto/Design: 2003
Idensitat, a creative development plan for the Completion/Completamento: 2005
public space of Calaf, a village with 3,500 Superficie/Surface area:
inhabitants in Catalonia. Calaf is today 1400 m2 (diametro/diameter 42,3 m)
experiencing an important period of growth Costo/Cost: ¤ 68.000
brought about by new communication networks,
by the proliferation of industrial centres and by
the demand for new houses. These factors will
bring about a new cultural and social context.
With respect to this case we asked ourselves a
number of questions: What is urban ground? Can
cultivation become a tool for connection for the
inhabitants? What is new urban sustainability?
Working on the growth of a small city represents
an important opportunity to reconsider
urbanisation as an operative tool, something
which is related to process rather than
deterministic. After an initial exploration to
acquaint ourselves with the place, and with the
help of the town council, we are now attempting
to build a public work that involves the
conversion of one of the few green spaces in
Calaf. It’s not just an architectural project but a
tool for creating relationships. The aim, through
communicating with and sensitising the people
of the town, is to structure a process that allows
us, with the participation of the inhabitants, to
organise a kind of public building site. Elsewhere
in Spain we are concluding a competition for a
group of self-sufficient homes. Here the issue is
domestic space and how the private arena
becomes a place for connecting and absorbing
appropriate.
Ottobre October 2005 domus 83
 COLORAZIONE PELLICOLE RIFRANGENTI CATAFIORI
THE COLOURING OF THE REFRACTIVE FILM Mentre nel suolo naturale piante di erica crescono nel manto
erboso, elementi artificiali abitano il suolo inerte. Come gli
elementi naturali sbocciano dal terreno, i catafiori, fiori
C 100% M 0% Y 0% K 0%
artificiali assemblati con pellicole catadiottriche e steli
metallici, sorgono dall’asfalto.
Nelle ore notturne, la piazza vive della luce riflessa del
C 50% M 50% Y 0% K 0% traffico intenso che la circonda. Nelle stagioni rigide, in cui
l’aspetto naturale sfiorisce, la piazza continua a presentarsi
come un luminescente dedalo di colori.
Attraverso l’ibridazione tra artificiale e naturale, la
C 0% M 100% Y 0% K 0%
percezione del tempo e dello spazio, l’alternarsi del giorno e
della notte, il succedersi delle stagioni, diventano sfocati,
incerti, in continuo cambiamento.
The natural grass provides a place for heather, but artificial
elements ‘growing’ from the man-made ‘ground’ compete
with them for attention. Like natural flowers rising from the
DISTRIBUZIONE E ALTEZZE CATAFIORI/THE DISTRIBUTION AND HEIGHT OF THE ‘CATAFIORI’
earth, the catadioptric ‘catafiori’ assembled with film and
192 catafiori h cm 30 metal stems, rise from the asphalt ‘earth’.
At night the rotunda reflects the intense traffic around it
62 catafiori h cm 70
and, in winter, when natural plants sleep, the rotunda
72 catafiori h cm 50 continues to offer a luminescent array of colour.
By hybridizing the natural with the artificial, time, space and
the cycle of seasons have become blurred and uncertain, as
they remain in constant flux.

Altezza/Height: 30 cm Altezza/Height: 50 cm Altezza/Height: 70 cm

Mod. testa/head: Mod. testa/head: Mod. testa/head:
TULIPANO/TULIP verticale/vertical: verticale/vertical:
ROSA/ROSE TULIPANO/TULIP
inclinato/slanted: inclinato/slanted:
TULIPANO/TULIP ROSA/ROSE

Pianta/Plan

erica arborea erica carnea erica cinerea

SUPERFICIE/SURFACES
Il suolo della rotonda, un manto morbido di asfalto che
raccorda la zona piana interna al cordolo laterale rialzato, è
ricoperta da una vernice bianca rifrangente con perline di
vetro premiscelate, la stessa utilizzata per le strisce
pedonali. Le zone naturali, aiuole circolari allineate rispetto
ad una griglia di 4 m, creano delle lenti fiorite, che da cerchi
di prato sintetico nelle parti più esterne si rigonfiano sempre
più avvicinandosi alla parte centrale. Le essenze floreali
scelte, tre tipi di erica, formano una gradazione di colore che
MATERIALS
dal bianco passa al viola.
The ground in the round central area has an asphalt
superficie catadiottrica bianca/white catadioptric surface
covering which connects the flat interior to the raised curbs
done in white refractive paint with pre-mixed glass beads.
prato sintetico/synthetic lawn
These are the same beads used for the zebra crossing stripes.
The ‘nature’ areas are round flower beds surrounded by a 4-
erica arborea
metre grill with a synthetic lawn on the outside perimeter
and with flower beds which swell ever higher from the
erica carnea
outside to the centre. The different types of heather create
erica cinerea shades of colour ranging from white to purple

Foto di/Photo by nicole_fvr / 2A+P

84 domus Ottobre October 2005 Ottobre October 2005 domus 85
 Superplaces

A proposito di due potenti metafore

della globalizzazione
On a couple of compelling metaphors
for globalisation
Qualche mese fa Google ha messo in rete un sito
(http://earth.google.com) che consente di visualizzare
l’intero globo terrestre e zoomare – attraverso una sequenza
di immagini satellitari – su una qualsiasi delle sue parti:
continenti, aree metropolitane, città, quartieri, isolati, case,
tetti… In realtà, nel sito solo poche aree urbane vengono
rappresentate con una definizione di pixel sufficiente a
rendere verosimile l’effetto di close-up. Molte parti del
mondo –quelle più povere e periferiche e quelle invece così
ricche da potersi proteggere da qualsiasi visione sinottica
(come gli “obiettivi sensibili” del terrorismo in nord
America)- sono infatti a bassissima definizione. Sono zone
sfumate, imprecise.
Tuttavia, una cosa è certa: abbiamo finalmente una
rappresentazione convincente e accessibile a tutti della
globalizzazione. Il mondo è un unico spazio da
perlustrare, a colpi di mouse, in casa propria: un campo
libero per il voyeurismo individuale.
Ma cosa ‘vediamo’ quando ci avviciniamo con il mouse agli
spazi locali del globo? Vediamo soprattutto potenza;
vediamo riflessa sullo schermo la potenza visiva della
tecnologia satellitare. Qualcosa che gratifica la nostra
illusione di aver conquistato un punto di vista impersonale
e oggettivo sul mondo, anestetizzando la caducità del
nostro sguardo individuale. Vediamo in azione la potenza
tecnica e le nostre velleità, ma l’informazione effettiva
che ci viene fornita da questo atlante del mondo è davvero
scarsa. Come dice Paul Virilio, i media trasmettono oggi
emozioni piuttosto che informazioni. Una volta superata la
fascinazione muscolare delle tecnologie satellitari,
ci vuole infatti poco ad accorgersi che i simulacri di spazio
locale proposti da Google sono solo delle povere
decalcomanie bidimensionali, poco più interessanti di
una cartolina sbiadita. Pezzi lisci di territorio entro uno
spazio globale altrettanto liscio.
Zoomando non possiamo che mettere a fuoco delle fette di
un mondo piatto, potenzialmente percorribili in lungo
e in largo da flussi di merci, immagini, persone. Dove le
differenze spaziali e le asperità del territorio, se
non fosse per un problema di densità di pixel, sarebbero
quasi sparite.
Questo effetto di globalizzazione “a bassa definizione”,
questa illusione di un mondo dove lo spazio è liscio e nudo,
visibile da tutti, ha un secondo effetto importante.
Che riguarda le percezione della cronaca, il modo in cui
ci sentiamo partecipi – e in un certo senso effettivamente
lo siamo - di quanto accade ogni giorno nel mondo.
Se in un mondo globalizzato divenuto finalmente
accessibile e visibile anche da casa propria, la cronaca non
sembra infatti avere più confini, la mappa di Google offre
la sensazione di poter andare ancora più in là, ci illude di
poter afferrare ‘tutto’ di tutti gli spazi del mondo.
Se la rete delle informazioni in tempo reale sembrava già
raggiungerci e avvolgerci come una schiuma – la schiuma
della cronaca globale del mondo – grazie all’atlante
di Google oggi possiamo anche vedere con i nostri occhi
i luoghi della cronaca. Riceviamo una notizia e
possiamo subito zoomare sullo spazio in cui è avvenuta.
Rispetto alla stessa notizia, possiamo essere
simultaneamente sia destinatari passivi che attivi osservatori.
Google Earth è la trascrizione geografica di quella
pervasività della Rete così ben descritta da Manuel Castells.
Il nostro sguardo arriva dappertutto.
Ma le cose non stanno per davvero così. Non solo, come
ben sappiamo, nella maglia della cronaca veicolata dai
mass media ci sono ancora ampie zone d’ombra, buchi e
voragini. Ma soprattutto il mondo dei mass media è ancora
ben lontano dallo sfruttare l’enorme potenziale tecnologico
delle rappresentazioni satellitari e virtuali dei territori.
L’utopia di un occhio sull’intero mondo, capace di scrutarne
ogni singola parte, è ancora – e forse per fortuna – tale.
Sembra anzi che i mass media siano costretti a ricorrere
sempre di più, quando si tratta di raccontare un fatto – un
delitto, un successo, una catastrofe, una guerra, un amore
– alla forza simbolica di un gruppo ristretto di luoghi.
A pensarci bene, nel mondo globalizzato c’è oggi un
piccolo gruppo di spazi e edifici che attraggono e
assorbono quasi tutta la cronaca (politica, economica,
culturale, ludica, sportiva...) del mondo. Un mondo che
sembra diventato più grande, ruota in realtà attorno ad un
piccolo gruppo di spazi/icona della contemporaneità.
Ciascuno dei quali ha una sua vita, una sua origine, una sua
forma privilegiatadi rappresentazione. Sono come Giganti.
Immensi, solitari, volubili, famelici. Pochi e potentissimi,
stanno ben fermi al loro posto, aspettando che il nostro
pensiero li intercetti, entri nel loro pesante cono d’ombra.
Non si tratta di architetture di grandi dimensioni. Piuttosto
di edifici e spazi ‘grandi’ nella loro funzione di poderosi
attrattori mediatici, condensatori di cronaca e di vita
quotidiana. Si attivano nel nostro immaginario – e in
quello dei media – non appena scatta una certa cornice di
codificazione dei fatti della cronaca. Ci appaiono di colpo
quando sintonizziamo il pensiero su un tema, una
questione, un conflitto. Sono i protagonisti (quasi ‘viventi’)
della nostra vita; personificano la cronaca geopolitica.
Operano come grandi simulacri della vita quotidiana; come
delle immense antenne e insieme potenti parafulmini del
nostro immaginario.
Molti di questi Superluoghi sono sorti all’improvviso dalla
cronaca politica internazionale. Ground Zero è un vuoto
occupato da un pieno ancora informe, il simbolo di una
nuova fase della storia presente, apertasi dopo l’11
settembre. Piazza Tienanmen resta il simbolo di ciò che
cambia e non cambia in Oriente. Chernobyl delle catastrofi
della tecnologia. Guantanamo delle contraddizioni delle
politiche antiterroristiche occidentali.
Altri giganti sono legati al pensiero religioso, o ai grandi
eventi della fede. La grande Piazza del Vaticano si mette in
scena con una visione planimetrica, le grandi braccia del
Bernini aperte per accogliere i pellegrini. La Mecca, luogo
mitico dell’Islam, si rappresenta dall’alto. Un altro gigante
a due teste unisce in pochi metri quadri la spianata delle
Moschee e il Muro del Pianto. Le sue due teste non smettono
di guardarsi, ma è quasi impossibile vederle insieme.
Altre antenne dell’immaginario collettivo nascono dalle
grandi retoriche del turismo d’affari globale. Come le
Petronas Tower a Kwala Lumpur o l’hotel Burj Al Arab, sorto
dalle acque di Dubai assieme alle sue due ancelle-
arcipelago: The World e The Palm. O la nave da crociera
Queen Mary II, città ludica in navigazione perenne.
Altri ancora – per la verità pochi – di questi Superluoghi
sono nati dalle cronache mondane dell’architettura, come
il Museo Guggenheim di Bilbao, simbolo planetario della
competizione tra le città per accaparrarsi quote del turismo
culturale. Il Guggenheim è un involucro senza interno – così
almeno viene veicolato nell’immaginario – che ha
sostituito e annichilito il suo analogo parigino del
Beaubourg nel catalizzare l’idea di una competizione
tra le città globali.
Altri superluoghi si rappresentano invece come interni,
come la grande sala della Borsa di New York, la sala
di controllo di Cape Canevaral, il catino circolare dello stadio
Maracana di Rio de Janeiro.
Addirittura, alcuni giganti, più giovani, cominciano
a rappresentare la parte del mondo ancora in ombra, come
gli immensi campi profughi che si formano ciclicamente
ai confini del Ruanda o la piramide in rovina del Ryugyong
hotel di Pyongyang, in Corea del Nord.
I Giganti sono i pochi luoghi attorno ai quali ruotano i sogni,
le aspettative e gli incubi di milioni di abitanti del pianeta.
Sono le ‘figure’ ricorrenti della recita mediatica del mondo.
Nei prossimi anni, si deciderà il futuro simbolico del
mondo. Ma sulla scena vediamo oggi solo due concorrenti.
Da un lato, la metafora di un mondo liscio e continuo,
totalmente visibile, percorso in lungo e in largo da flussi
inarrestabili, che ha nella Rete la sua icona e in Google
Earth il suo simulacro. Dall’altro lato, la metafora – costruita
dai media – di un mondo punteggiato da poche
antenne insaziabili e solitarie; un mondo dove svettano
pochi Giganti dell’immaginario collettivo, che
arginano e catalizzano le nostre energie simboliche.
Ma sta a noi – a chi descrive, rappresenta, progetta lo spazio
abitato – decidere se accontentarsi o meno delle retoriche
di queste due potenti strategie di rappresentazione
della globalizzazione. Entrambe sono infatti tracotanti e
semplificatorie, riducono la ricchezza del mondo fingendosi
di rappresentarla per intero. Entrambe non colgono la
dimensione locale della globalizzazione; la prima, trattando
lo spazio locale come una semplice ‘porzione’ del tutto; la
seconda prendendolo in considerazione solo quando
si manifesta come una caricatura eccessiva e monotematica
del mondo.
Noi sappiamo invece che i flussi materiali che scorrono nel
mondo – di merci, di uomini – scorrono inevitabilmente in
un universo di spazi locali dotati di asperità e corrugazioni,
che li registrano e assorbono. E che anche i flussi
immateriali di immagini e informazioni – o i flussi monetari
– passano inevitabilmente nella cruna dell’ago dello
spazio locale: hanno terminali fisici e concreti dove i flussi
prendono forma, atterrano, restano impigliati. Gli uni
e gli altri trovano sul loro cammino confini, bordi, barriere;
si infilano in imbuti e strettoie; si propagano in
radure che si aprono dentro i luoghi fisici del mondo abitato.
Lo spazio locale è oggi uno scrigno straordinario
per decifrare le energie che scorrono nel mondo. Che si
intrecciano, si aggomitolano, si rannicchiano
avvinghiate attorno ad un edificio, ad uno spazio pubblico,
ad una città. Ma non bisogna accontentarsi di guardare
solo gli spazi dove le energie si presentano in forma pura
e semplificata. Bisogna cercarle nella quotidianità dei nostri
comportamenti spaziali. Oltre i monumenti/simbolo
del senso comune. Oltre le architetture dello star system.
Oltre le mitologie dei media.
Per capire e raccontare la globalizzazione dobbiamo
indagare gli spazi della cronaca quotidiana, dobbiamo
scovare luoghi “carichi di mondo” e raccontarli.
Quello che cerchiamo di fare nelle pagine di questa rivista.
Questo testo è un estratto dell’intervento di Stefano Boeri a TED Global, conferenza
multidisciplinare tenutasi a Oxford il 12-15 luglio 2005 (www.ted.com)
A few months ago Google set up a website
(http://earth.google.com) that allows you to view
and zoom in on any part of the terrestrial globe through
a sequence of satellite images, be it a portion
of a continent, metropolitan area, city, neighbourhood,
housing block, home, or terrace. In reality, only
a small number of urban areas are represented on the
website with sufficient pixels to make the close-up
effect realistic. Many parts of the world – the poorest as
well as those that are so rich they can shield themselves
from any synoptic viewing (such as the “sensitive
targets” of terrorism in North America) – have a very low
definition. These are blurred and undetermined areas.
In any case, one thing is certain: we finally have
a convincing representation of globalisation that is
accessible to everyone. The world is a single
space to explore with the click of a mouse from your
home, a free field for individual voyeurism.
But what do we “see” when we close in on the globe’s
local spaces with the mouse? Above all we see
power; reflected in the screen we see the visual strength
of satellite technology. It’s something that gratifies our
illusion of having conquered an impersonal and
objective perspective on the world and anaesthetises the
vanity of our individual view. We see in action
technical power and our velleities, but the effective
information that is supplied by this three-dimensional
atlas is somewhat scarce. As Paul Virilio point outs,
the media transmits emotion rather than information.
Once overcome with the muscular fascination of
satellite technology, it is not long before we realise that
the simulacra of local space brought to us by Google
Earth are poor two-dimensional decalcomanias, little
more interesting than a faded postcard. Smooth
pieces of territory within an equally smooth global
space. Zooming in we can only focus on pieces of
a flat world, potentially navigable by flows of goods,
images and people, where differences and un
evenness in the territory, were it not for a problem of
pixel density, would be almost negligible.
This “low-definition” globalisation, this sweetening
illusion of a world where space is smooth, naked
and visible to all, has an important secondary effect that
relates to the perception of current events, the way in
which we feel part of – and in a certain sense effectively
we are – what happens every day around the world.
In a globalised world that has finally become accessible
and visible from one’s own home, the news no longer
seems to have boundaries.
And yet the Google Earth map offers the sensation of
being able to go just a tiny bit further. It gives us
the illusion of knowing “everything” in all the spaces
of the world. If the information network in real time
already seemed to envelop us like foam, the foam
of global news, thanks to the 3D atlas today we can see
with our own eyes the places in the news.
We receive a story and we can immediately zoom in on
the space where it took place. With respect to
this information, we simultaneously feel like passive
recipients and active observers. Google Earth
is the geographical transcription of that pervasiveness
of the Net so well described by Manuel Castells.
We can see everywhere.
But things aren’t really like that. As we know all too well, the
news spread by the mass media still contains large shadowy
areas, holes and vortexes. And the mass media is still a long
way off from exploiting the enormous technological potential
of satellite and virtual representations of the world’s
territories. The utopia of an eye on the whole world, capable
of scrutinising every bit of it, remains – perhaps luckily – just
an idea. When it comes to recounting an event, be it a crime,
an achievement, a catastrophe, a war or a love story,
it seems that the mass media is increasingly forced to resort
to the symbolic strength of a limited group of places.
In examining the globalised world today, there is a small
group of spaces and buildings that attract and absorb
almost all the world’s news (political, economic, cultural,
trivia, sports). While the world appears to have gotten bigger,
in reality it revolves around a small group of icon-spaces
belonging to contemporaneity, each of which has its own life,
origins and privileged form of representation.
They are like giants: immense, solitary, changeable and
ravenous. Few in number and very powerful, they
are firmly fixed in their place, waiting for our thoughts to
intercept them and enter their heavy umbra.
They are not large-scale constructions. Instead, these
buildings and spaces are “large” in their function as mighty
media attractors, condensers of news and everyday life.
They activate our imagination – and that of the media – as
soon as a certain codified framework is released by the
facts of the news. They suddenly appear to us when we tune
our thoughts into a subject, problem or conflict. They
are the almost “living” protagonists of our life, personifying
the geopolitical news. They act as the great simulacra
of everyday life, like immense and powerful antennae.
Many of these super-places have risen unexpectedly from
the international political news. Ground Zero is a void
occupied by a filling still unformed, the symbol of a new
phase in current history that dawned after 9/11;
Tiananmen Square a symbol of what changes and doesn’t
change in the Far East; Chernobyl a sign of technological
catastrophe; Guantanamo a symbol of the contradictions
in the West’s anti-terror policies.
Other giants are linked to religious thought or great occasions
of faith. The grand Vatican Square takes centre stage with a
planimetric vision, Bernini’s great arms open to welcome
pilgrims; Mecca, the mythical place of Islam, is represented
from above. Another two-headed giant brings together in
just a few square metres the al-Aqsa mosque and the Wailing
Wall. Its two heads will never cease to look at one
another but it is almost impossible to see them together.
Other antennae of the collective imagination have arisen
from the great rhetoric of global business tourism, such as the
Petronas Towers in Kuala Lumpur or the Burj Al Arab hotel
that rose up from the waters off Dubai together with its two
archipelago maids: the World and the Palm. Or there
is the Queen Mary II cruise ship, a city for entertainment in
perpetual motion.
Some – in reality only a few – of these super-places have
been born from architectural world news, such as the
Guggenheim in Bilbao, a planetary symbol of the competition
between cities to raise the stakes in cultural tourism.
The Guggenheim is a casing without an interior – at least
that’s how it appears in the imagination – that has replaced
and obliterated its analogous Parisian forerunner, the
Beauborg in catalysing the idea of a competition between
global cities. Other super-places are instead represented as
interiors, such as the Wall Street trading floor, mission control
at Cape Canaveral, the circular basin of the Maracana
stadium in Rio de Janeiro. Some younger giants even begin to
represent a part of the world still in the shadows,
such as the immense refugee camps that regularly form on
Rwanda’s borders or the ruined pyramid of the
Ryugyong hotel in Pyongyang, North Korea. The giants are
the few places around which revolve the dreams,
expectations and nightmares of millions of the planet’s
inhabitants. These are the recurring
“figures” of the media’s performance to the world.
In the coming years, the symbolic future of the world will be
decided. However, on the scene today we see that
there are only two competitors. On the one hand, there is the
metaphor of a smooth and continuous world that is totally
visible and that can be travelled in length and breadth by an
unstoppable flow, a world which has the Net as its icon and
Google Earth as its simulacrum. The other view - constructed
by the media – is one of a world punctuated by a few
insatiable and solitary antennae, a world where a few giants
stand out in the collective imagination and check the flow of
and catalyse our symbolic energy.
It is up to us – those who describe, represent and design the
space we inhabit – whether or not to content ourselves with
the rhetoric of these two powerful strategies of representing
globalisation. Both are actually arrogant and oversimplified
matters; they reduce the richness of the world by pretending
to represent the whole of it. Both fail to capture the local
dimension of globalisation: the first by treating local space
simply as a “portion” of the whole; the second by
taking it into consideration only when it manifests itself as an
excessive, monothematic caricature of the world.
Yet we know that the material flow that runs around the
world – of goods and people – in fact runs inevitably in a
universe of local spaces endowed with unevenness and
wrinkles that register and absorb them. And the immaterial
flow of images and information – or the flow of money – also
passes inevitably through the eye of local space. They have
physical and tangible terminals where the flow takes shape,
lands, and remains entangled. Both find in their path
confines, borders, barriers; they get stuck in funnels and
bottlenecks; they propagate in clearings and openings in the
physical places of the inhabited world. Local space is
today an extraordinary treasure-chest for deciphering the
energies that run throughout the world, energies that
interweave, curl up, huddle and cling around buildings,
public spaces and cities. But one shouldn’t content oneself
with looking just at the spaces where energy presents
itself in a pure and simplified form. We need to look for it in
the everydayness of our spatial behaviour, beyond symbolic
monuments in the shared sense, beyond architecture’s star
system,beyond the mythology of the media. To understand
and describe globalisation we have to examine events from
our daily news, uncover places “loaded with world”
and describe them. That is what we seek to do in the pages
of this magazine.
This text is an abstract of Stefano Boeri’s speech at TED Global, a multidisciplinary conference
held in Oxford on July 12-15, 2005 (www.ted.com)
Ottobre October 2005 domus 93
Mappare il paesaggio artificiale delle radiofrequenze per effettuare un censimento elettronico istantaneo. Testo di/Text by
La ricerca del SENSEable City Laboratory del MIT aiuterà a governare le risorse urbane in tempo reale
By mapping artificial landscapes created by radio-frequency, MIT’s SENSEable City Laboratory creates a real-
time census that will help optimising the management of the city’s resources
William J. Mitchell
A cura di/Edited by
Loredana Mascheroni Mobile landscape

La città in tempo reale
William J. Mitchell
Le tecniche di recente sviluppo per la
mappatura delle radiofrequenze hanno aperto
nuove interessanti strade alla rilevazione
e alla comprensione della configurazione dinamica
delle attività urbane.
Da sempre, ovviamente, siamo immersi
in un paesaggio di radiofrequenze: un vasto
campo elettromagnetico con onde di varia
frequenza e ampiezza esiste fin dal Big Bang.
Ma, dato che non veniamo al mondo forniti di
radioricevitori integrati, fino al XIX secolo esso non
è divenuto parte del nostro ambiente percepito.
Poiché radiotrasmettitori e radioricevitori
sono stati inventati contemporaneamente, la
rilevazione e la prima mappatura di questo
paesaggio coincisero con le sue prime costruzioni
artificiali. Per i pionieri della radioastronomia,
l’obiettivo era la mappatura su scala cosmica del
paesaggio naturale delle radiofrequenze. Ma
i pionieri della comunicazione senza fili volevano
arrivare a qualcosa di molto diverso: produrre
e rilevare strutture artificiali di onde radio dotate
di utilità e di senso per l’uomo. All’improvviso,
come risultato dei loro sforzi, è venuto alla luce un
nuovo, effimero genere architettonico legato alla
proliferazione delle antenne.
Uno dei primi grandi luoghi di produzione fu
fondato a Wellfleet, nel Massachusetts, dove
Guglielmo Marconi usò per la prima volta le onde
radio per trasmettere un messaggio telegrafico
senza fili attraverso l’Atlantico, nel gennaio 1903.
L’apparecchiatura di Marconi consisteva in
una massiccia costruzione con quattro torri alte 60
metri, una rete di cavi nel cielo, una tensione di
20.000 volt e un rumoroso trasmettitore.
Da questo luogo si diffondevano nello spazio, alla
velocità della luce, sfere di confusi disturbi
elettromagnetici destinate a essere rilevate a
Poldhu, in Cornovaglia.
Nell’arco di un secolo, le apparecchiature radio si
sono rimpicciolite di parecchi ordini di grandezza,
tanto che possiamo facilmente tenere in tasca
trasmettitori e ricevitori portatili. Siamo diventati
antenne ambulanti. La terra si è coperta di reti
radio mentre il nostro ambiente sta diventando
fitto di riferimenti e sensori a radiofrequenza.
I segnali radio che ci scorrono intorno sono
diventati sempre più vari e raffinati. Il paesaggio
artificiale delle radiofrequenze oggi arriva
dovunque ci sia uno stanziamento umano. Ha una
parte indispensabile nella nostra vita di
ogni giorno e la sua configurazione è sempre più
strettamente correlata con i nostri abituali
comportamenti quotidiani.
È da queste considerazioni che Carlo Ratti
e i suoi colleghi del MIT, oltre a pochi altri gruppi di
ricerca sparsi per il mondo, di recente hanno
iniziato a mappare questo territorio e a esplorare
i modi complessi in cui esso si sovrappone alle
aree edificate e urbane. Un’impresa che richiede
una notevole raffinatezza tecnica e teorica.
Talvolta si inizia con misurazioni sul campo, in altri
casi si prende le mosse da data base che sono il
sottoprodotto dei sistemi di comunicazione senza
fili. Grazie a tecniche di GIS (Graphic Information
System, “sistemi informativi grafici”), gli insiemi di
punti che costituiscono i dati vengono analizzati
e i risultati vengono espressi in forma di mappe
generate dal calcolatore. Adottando adeguate
convenzioni grafiche, i risultati non solo forniscono
visioni sorprendenti degli andamenti delle
attività architettoniche e urbane, ma possono
96 domus Ottobre October 2005
Pagine precedenti: mappatura dell’attività dei cellulari
nell’arco di 24 ore a Graz. Il progetto viene presentato alla
mostra “M-City”, a cura di Marco De Michelis, presso la
Kunsthaus di Graz, dal 1° ottobre 2005 all’8 gennaio 2006.
In questa pagina, pianta e viste assonometriche e
isometriche dell’attività dei cellulari a Graz: i tracciati fluidi
degli utenti (colonna di sinistra, immagine al centro); i punti
di origine e di destinazione delle chiamate da cellulare
(colonna di sinistra in basso); l’intensità dell’attività dei
essere anche esteticamente pregevoli. cellulari (colonna a destra).
Diverse le tipolgie di mappe che si possono
ottenere: la più semplice indica semplicemente Previous pages: plan view of cellphone activity during 24
l’area di copertura del segnale (i fornitori hours in Graz. The project will be shown at the
di servizi di telefonia cellulare, per esempio, spesso “M-City” exhibition (curator: Marco De Michelis), Kunsthaus
Graz, October 01, 2005 - January 08, 2006.
realizzano mappe di questo genere). Ci sono poi This page: plan, axonometric and isonometric views of
molti tentativi di mappare la distribuzione degli cellphone activity in Graz: mobile tracking of users
hotspot Wi-Fi (i punti dove un collegamento senza (left column middle); origins and destinations of cellphone
fili consente a chi vi si trova di accedere a Internet calls (left column bottom); intensities of cellphone activity
(right column).
dal proprio computer, ndr) nelle aree urbane
e rurali. La serie di queste mappe mostra la crescita
nel tempo – spesso spettacolare – delle
infrastrutture della telecomunicazione senza fili:
se vengono confrontate con altri dati sono
in grado di dimostrare la relazione tra
i servizi di comunicazione senza fili, la densità
demografica e la topografia.
Un altro tipo di mappa indica l’attività degli utenti.
Le mappe di Graz realizzate da Ratti, per esempio,
sono state create sulla base dei tabulati dei
fornitori di servizi di telefonia cellulare e sono in
grado di mostrare in quali punti si telefona in
ogni specifico momento della giornata. Forniscono
inoltre una buona – per quanto non perfetta –
indicazione di dove si formano concentrazioni di
popolazione, momento per momento, dato
che molte persone portano con sé il telefonino e lo
usano regolarmente. Se organizzate in serie
temporali o animate, queste mappe forniscono la
visione particolareggiata dei flussi giornalieri
di popolazione attraverso le strade e gli edifici
della città, un obiettivo mai raggiunto prima.
Analoghe mappe del campus del MIT
(http://ispots.mit.edu), prodotte sulla base dei dati
del server della rete informatica, indicano
in quali punti i membri della comunità del MIT si
collegano con il servizio Wi-Fi: offrono in
questo modo un’immagine immediata dei flussi
di circolazione in un senso e nell’altro,
nel corso della giornata, tra dormitori, aule,
laboratori, mense e zone di ricreazione.
Ma ci si potrebbe spingere anche oltre: sarebbe
possibile analizzare nei particolari le strutture dei
flussi di informazione digitale inviati e provenienti
da specifiche zone di servizio, e rilevare andamenti
caratteristici di posta elettronica, navigazione
in rete, prelevamento di brani musicali… oppure
sapere chi se ne sta semplicemente seduto da
qualche parte senza far nulla. Ciò consentirebbe di
iniziare a mappare non solo le fluttuazioni della
densità demografica, ma anche i cambiamenti dei
comportamenti del lavoro e del tempo libero.
La portata di queste ricerche è ampia e apre nuovi
orizzonti. È un nuovo modo di realizzare e
presentare un censimento urbano: non a intervalli
decennali, ma istantaneamente. A mano a mano
che le apparecchiature elettroniche che ci
portiamo addosso si fanno più raffinate, a mano a
mano che le reti senza fili diventano più pervasive,
che i riferimenti e i sensori elettronici si moltiplicano,
questo tipo di rilevamento statistico in tempo reale
diventerà sempre più particolareggiato e sempre
più comune. Aprirà straordinarie nuove possibilità
alla ricerca e alla pianificazione urbanistica,
e fornirà la base per un governo adeguato in
tempo reale delle risorse urbane.
Ma, come ogni forma di rilevazione statistica, essa
rappresenta anche una potenziale minaccia
alla privacy: per questo servirà mettere a punto un William J. Mitchell insegna arti e scienze dell’architettura
e dei media alla School of Architecture and Planning del MIT, di
attento quadro normativo di tutela. Alla ricerca cui è stato preside. Attualmente è a capo del gruppo Smart
di un punto di equilibrio socialmente accettabile Cities del Media Laboratory del MIT. Tra i suoi libri ricordiamo:
tra controllo sociale e sfera personale. City of Bits e Placing Words, pubblicato di recente.
Ottobre October 2005 domus 97

In questa pagina. Nelle due immagini in alto, da sinistra:
punti di origine e di destinazione delle chiamate tra cellulari
durante una giornata di sperimentazione nell’agosto 2005;
tracciati del cellulare di tre persone durante due giorni di
sperimentazione nell’agosto 2005. Nelle quattro immagini in
basso: mappatura del traffico di cellulari nella zona
di Graz durante una giornata di test nello scorso agosto,
tra le 15.00 e le 16.30. I colori bianco/viola indicano valori
alti; il nero, valori bassi.
Pagina a fianco: quattro momenti che indicano l’attività dei
cellulari mappata dal SENSEable City Laboratory
98 domus Ottobre October 2005
This page. Two top images, from left to right: origins and
destinations of calls between cells during a sample day in
August 2005; cellphone tracking of three people during two
sample days in August 2005. Four images from the bottom:
cellphone traffic map of the Graz region in plan view for a
sample day in August 2005 between 15:00 and 16:30 -
white/violet = high values, black = low values.
Opposite pages: four moments of the cellphone activity
mapped by the SENSEable City Laboratory.
The real time city
William J. Mitchell
Recently developed techniques for mapping
the radio-frequency landscape have opened up
exciting new ways of revealing and
understanding dynamic activity patterns in cities.
We have always, of course, inhabited a radio-
frequency landscape – a vast field of
electromagnetic waves with varying frequencies
and amplitudes. It has been there since the
Big Bang. But, because we don’t come equipped
with built-in radio receivers, it did not
become part of our perceived environment until
the nineteenth century.
Since radio transmitters and receivers were
invented simultaneously, the detection
and initial mapping of this landscape coincided
with the first artificial constructions within it.
For pioneering radio astronomers, mapping the
natural radio-frequency landscape at a cosmic
scale was the interesting thing. But the pioneers
of wireless communication wanted to
do something quite different – to produce and
detect artificial structures of radio waves
that had human use and meaning. Suddenly,
as a result of their efforts, a new,
ephemeral kind of architecture emerged around
proliferating antennas.
One of the earliest major production points
was at Wellfleet, Massachusetts, where
Guglielmo Marconi first used radio waves to
transmit a wireless telegraph message across
the Atlantic in January 1903. Marconi’s
apparatus was a massive construction of four
60-meter towers, a web of wires in the sky, a
20,000-volt power supply, and a noisy
spark-gap rotor. From this point, spheres of
messy electromagnetic disturbance
expanded out into space at the speed of light,
to be detected at Poldhu in Cornwall.
Over the century since, radio apparatus has
shrunk by orders of magnitude, so that we can
easily carry portable transmitters and receivers
in our pockets. We have become walking
antennas. Wireless networks have blanketed
the earth, and our surroundings are growing
dense with tiny radio-frequency tags and
sensors. The radio signals that flow around
us have become increasingly varied and
sophisticated. The artificial radio-frequency
landscape now reaches to wherever there
is human habitation. It plays an indispensable
role in our everyday lives, and its
configuration is increasingly closely correlated
with our daily activity patterns.
Recently, Carlo Ratti and his colleagues, and a
few other research groups scattered around the
world, have begun to map this landscape, and
to explore the complex ways in which it overlays
buildings and urban areas. This enterprise
demands considerable technical and theoretical
sophistication. Sometimes it begins with field
measurements, and in other cases it starts with
databases that are by-products of the operation
of wireless telecommunication systems.
Using GIS (Geographic Information System)
techniques, the sets of data points are analyzed
and the results are expressed in the form of
computer-generated maps. When appropriate
graphic conventions are employed,
the results not only provide striking insights
into architectural and urban activity patterns,
they can also be very beautiful.
The simplest type of map to result from this
process just shows signal coverage. Providers of
cellular telephone service, for example, often
produce maps showing where service is
available. And there have been numerous
efforts to map the distributions of Wi-Fi
hotspots across urban and rural areas.
Sequences of these maps illustrate the growth –
often dramatic – of wireless telecommunication
infrastructure over time. When combined with
other data, they can demonstrate the
relationship of wireless service to demographic
patterns and topography.
Another type of map shows user activity. Ratti’s
maps of Graz, for example, are created from the
logs of cellular telephone providers. They show
where people are making calls at any particular
moment during the day. Since many people
carry cellphones and use them regularly, this
provides a good (though not perfect) indication
of where concentrations of population are at
any moment. Arranged in time series or
animated, these maps provide – for the first
time – detailed illustrations of the daily flows of
populations throughout the streets and
buildings of cities.
Similar maps of the MIT campus
(http://ispots.mit.edu), produced from the
server logs of the computer network, show
where members of the MIT community are
logged in to Wi-Fi service. They vividly depict
the flows of population back and forth, during a
day, among dormitories, classrooms,
laboratories, and dining and recreation areas.
In principle, it should be possible to go a step
further by analyzing the detailed structures of
the flows of digital information to and from
particular service zones and detecting patterns
characteristic of emailing, Web surfing,
downloading music files, just sitting around
doing nothing, and so on. This would begin to
allow the mapping not only of fluctuating
population densities, but also of changing
patterns of work and recreation.
All this amounts to a new way of taking and
presenting a census of a city – not at intervals of
years or decades, but instantly. As the electronic
devices that we carry become more
sophisticated, as wireless networking becomes
more ubiquitous, and as electronic tags and
sensors proliferate, this sort of real-time
census-taking will become finer-grained,
increasingly accurate, and increasingly
commonplace. It will open up extraordinary
new possibilities for urban research and
planning, and it will provide the foundation for
responsive real time management of a city’s
resources.
Like any form of census taking, it is also a
potential threat to privacy, and it will need to
be conducted within a carefully constructed
framework of privacy safeguards. In the coming
decades, it is likely to become a locus of fierce
debate about the socially acceptable balance
SENSEable City Laboratory,
between surveillance and personal privacy.
Massachusetts Institute of Technology,
Cambridge, MA
Carlo Ratti (Director), Daniel Berry, Andrea Mattiello,
Eugenio Morello, Andres Sevtsuk
Gruppo di design aggiuntivo/Additional design team:
William J. Mitchell is professor of architecture and media David Lee, Xiongjiu Liao, Jia Lou,
arts and sciences and former dean of the School of Architecture Sonya Huang, Daniel Gutierrez
Hanno collaborato/In collaboration with:
and Planning at MIT. Currently he directs the MIT Media
Laboratory’s Smart Cities group. His books include City of Bits A1 - Mobilkom Austria
and the recent Placing Words. GIS data provided by GIS Steiermark
Ottobre October 2005 domus 99
 Constant
e le radici di New Babylon/
and New Babylon’s roots
New Babylon, il progetto di Constant di "una città per
l'homo ludens", di un "campo nomade su scala planetaria",
nasce nel 1956 ad Alba, nell'accampamento dei sinti piemontesi
accolti dal pittore Pinot Gallizio sui suoi terreni.
Cinquant'anni dopo, Domus è tornata in quei luoghi per ricostruire
le origini della prima utopia nomade della storia dell'architettura
Constant’s “city for homo ludens”, New Babylon,
was a “nomad camp on a planetary scale”.
It was born in 1956 in Italy, at Alba, in a settlement
of Piedmontese gypsies on the land of painter Pinot Gallizio.
Fifty years later, Domus visits the site to reconstruct the origins
of architecture’s first nomadic utopia

Testo di/Text by
Francesco Careri
Fotografia di/Photography by
Armin Linke
A cura di/Edited by
Francesco Careri
(stalker/osservatorio nomade),
Elena Sommariva
Note sull’urbanismo unitario
Francesco Careri
Il primo agosto scorso è morto Constant. Lascia al
mondo dell’arte e dell’architettura una molteplice
e contraddittoria eredità: c’è chi di New Babylon
“ha copiato solo le forme senza prenderne i con-
tenuti”, come lui stesso mi aveva detto a propo-
sito di tante architetture opulente che offrono
un’immagine ludica e colorata al neocapitalismo
trionfante. C’è chi ha continuato la strada utopica
e visionaria del nomadismo antiarchitettonico –
forse l’aspetto più affascinante di New Babylon –
e penso alla Walking City di Archigram, alle gri-
glie energetiche di Superstudio fino alle recenti e
a volte ridicole versioni del neo-pop digitale. E,
ancora, c’è chi costruisce reti informatiche, realiz-
zando New Babylon in scala digitale; chi ne speri-
menta la vita liberata in occupazioni, autogestioni
e nuove comunità; chi ripropone l’approccio crea-
tivo e interdisciplinare dell’urbanismo unitario
cercandovi risposte per l’attuale città multicultu-
rale. Questa ultima strada, che era alle fonda-
menta di New Babylon, offre oggi possibilità im-
pensabili all’epoca dei situazionisti, forse troppo
impegnati a costruirne la teoria e lo spazio, troppo
poco alla ricerca di un luogo, di un terreno con-
creto in cui mettersi in campo.
Proviamo a ripartire da Alba cinquanta anni dopo,
da quella comunità di sinti piemontesi ai quali Pi-
not Gallizio aveva donato un terreno e Constant
un progetto: l’idea di non imporre ai nomadi
un’urbanità sedentaria, ma al contrario di pren-
derne a modello lo stile di vita per proporre al
mondo intero un diverso modo di abitare lo spa-
zio. La storia è andata però in un altro modo. La
rivoluzione non è arrivata e quella società multi-
culturale che avrebbe dovuto costruire New Baby-
lon si trova oggi tra le discariche delle zone più
periferiche delle nostre città e dei nostri pensieri.
Il campo dei nomadi di Alba non è stato per i si-
tuazionisti un “terreno di gioco e di partecipa-
zione”. L’urbanismo unitario, che lì aveva trovato
un campo concreto su cui giocare, non ci ha gio-
cato, non si è messo in campo. Malgrado i pro-
clami per un’arte collettiva da applicare allo spa-
zio urbano, i situazionisti non sono riusciti a tro-
vare un terreno comune dove sperimentare le ca-
pacità dei singoli membri: quelle da costruttore di
reti di Asger Jorn, abile seduttore e potenziale re-
gista di tante squadre interdisciplinari da met-
tere in campo; quelle di costruttore di senso di Guy
Debord, capace di caricare di significati politici e
filosofici gli aspetti che mano a mano emergono
102 domus Ottobre October 2005
dal campo; quelle da costruttore di spazi di Con-
stant capace di tradurre in poesia tridimensionale
le qualità dello spazio nomade; quella di costrut-
tore di relazioni di Pinot Gallizio, capace di intes-
sere fili tra la realtà concreta del campo nomadi
e il mondo politico e culturale di Alba. Capacità
ancora oggi fondamentali per trasformare spazi
complessi. L’urbanismo unitario non è sopravvis-
suto alle espulsioni, alle dimissioni e alle vanità
artistiche dei suoi singoli membri. I concetti di an-
tibrevetto e di non autorialità, seppure ben for-
mulati, non sono stati spesi proprio lì dove sareb-
bero serviti per attivare processi creativi di trasfor-
mazione collettiva e partecipata.
Oggi, seppur in misura ancora insufficiente, lo
scenario sembra mutato. Ci sono amministrazioni
che affrontano situazioni difficili e atrofizzate non
con le usuali procedure urbanistiche, ma affidan-
dosi alle possibilità dell’arte pubblica e in molti
cominciano a ricevere da queste operazioni bene-
fici e ritorno politico. Il mondo culturale con fon-
dazioni, centri d’arte e università comincia a im-
pegnare risorse in questa direzione. Negli studenti
inizia a nascere un desiderio di mettersi in campo
piuttosto che al computer, di partecipare da vicino
alle trasformazioni del territorio portando le pro-
prie capacità a servizio della collettività, di ren-
dersi utili a chi ne ha bisogno piuttosto che agli
studi professionali dello star-system griffato. Ma
c’è bisogno delle persone giuste, che sappiano ve-
ramente lanciarsi nella creatività collettiva supe-
rando l’autorialità, la firma, il brevetto, che sap-
piano costruire reti, estrapolare significati, fornire
visioni, costruire relazioni e istigare processi tra-
sformativi. I campi nomadi sono i luoghi simbolo
delle peggiori realtà urbane in cui da secoli ab-
biamo relegato l’altro. Sono passati cinquant’anni
e siamo sempre lì, sulle rive del Tanaro a doman-
darci se abbia senso progettare un campo no-
made, se abbia senso progettare l’instabile, il
transitorio, l’incerto. È chiaro che se non la si af-
fronta in termini culturali, la progettazione di
questi spazi rimarrà ai tecnocrati di partito, agli
approfittatori o peggio alle questure.
Il campo nomadi di Alba continua a essere una
scommessa per tutti.
Francesco Careri, architetto, è tra i fondatori di stalker/osserva-
torio nomade, laboratorio d’arte urbana. È autore del volume
Constant. New Babylon, una città nomade (Testo & Immagine,
Torino, 2001). Dal 2005 insegna Arte Civica alla Facoltà di Ar-
chitettura dell’Università di Roma Tre
Una biografia
Constant Anton Nieuwenhuys nasce nel 1920 ad Amsterdam
dove studia alla scuola dei Gesuiti e alla Scuola di Arti
Industriali. Nel 1948, con Karel Appel e Guillaume Corneille,
crea la rivista Reflex e l’Experimentele Groep in Holland, che
più tardi confluirà nel movimento CoBrA (Copenaghen,
Bruxelles, Amsterdam) fondato con il pittore danese Asger
Jorn e il poeta Christian Dotremont e di cui sarà uno dei
membri più attivi. Tempo tre anni e il movimento si scioglie,
Constant comincia a dedicarsi a mini-architetture ludiche e
partecipa alla grande opera dei play ground di Amsterdam,
diretta dall’amico Aldo van Eyck, che lo mette in contatto con
le frange che si oppongono al funzionalismo.
Nel 1956 partecipa al “Laboratorio Sperimentale del Bauhaus
Immaginista” aperto ad Alba da Jorn e Pinot Gallizio. Qui
conosce la teoria della deriva dei lettristi parigini e visita
l’accampamento dei sinti (comunità nomadi) piemontesi,
accolti da Gallizio nei suoi terreni. È l’inizio di New Babylon,
una città costruita nel divenire dai suoi abitanti transitori, la
prima utopia nomade della storia dell’architettura. Tornato
ad Amsterdam, Constant costruisce la scultura Ruimtercircus
(circo spaziale) e un modello del campo per i nomadi di Alba.
Comincia così la serie dei plastici che descrivono le atmosfere
di New Babylon: la costruzione arancione, il settore giallo, il
settore orientale, il settore rosso. Dal 1958 al 1960 partecipa
all’Internazionale Situazionista lavorando principalmente
alla teoria dell’urbanismo unitario, l’attività ludico
costruttiva in cui tutte le arti concorrono alla costruzione
dello spazio urbano.
Uscito dal movimento, Constant decide di proseguire da solo
sulla strada dell’urbanismo unitario: New Babylon cresce e
diventa sempre più labirintica. Apre uno studio insieme al
figlio Victor e a quattro assistenti, partecipa a mostre
internazionali e tiene conferenze in diverse scuole di
architettura. Nel 1966 rappresenta l’Olanda alla Biennale di
Venezia; nel 1969 pubblica il libro De Opstand van de Homo
Ludens (La rivolta dell’Homo Ludens) e conclude la fase dei
plastici. New Babylon continua a essere presente nella sua
pittura fino al 1974, quando dopo la mostra al
Gemeentemuseum dell’Aja, decide di trasferire l’intero
archivio al museo, liberando l’atelier, per consacrarsi
esclusivamente alla pittura. Negli anni dell’anti-arte
trionfante Constant ritorna ai classici, alla mitologia,
all’iconografia e al colore di Tiziano, Delacroix e Cézanne.
Lentamente, appaiono delle ombre, dei personaggi, poi
delle figure, fino ad arrivare a un figurativo che nasce
dall’astrazione del colore. Continuerà per sempre a dipingere
e a considerarsi un pittore. F.C.
Progetto per il campo nomadi di Alba, acciaio inossidabile,
plexiglas, olio su legno/Design for the nomad camp of Alba,
stainless steel, plexiglas, oil on wood, 1957. Foto/Photo Rob
Kollaard, Gemeentemuseum
Notes on unitary urbanism
Francesco Careri
Constant died this past August first. He left the
world of art and architecture a multi-faceted and
contradictory inheritance. There are architects
who have copied from his New Babylon “only the
shapes without the content”, as he told me once
in speaking about the many opulent pieces of ar-
chitecture that try to attach a playful and colour-
ful image to today’s victorious neo-capitalism.
There are those who continued down his utopian
and visionary road of anti-architectural noma-
dism (possibly New Babylon’s most fascinating
aspect) – see Archigram’s Walking City, Superstu-
dio’s energy grids, and the more recent and so-
metimes ridiculous versions of digital neo-pop.
There are also people who build information
networks in order to make a digital adaptation of
New Babylon; people who experiment with a li-
berated lifestyle in their professions and in their
self-management of new types of communities;
and people who revisit the creative and interdi-
sciplinary approach of unitary urbanism in search
of answers for today’s multicultural cities. Today
this last road, which was a New Babylon funda-
mental, offers possibilities that were unheard of
in the days of Situationist thought, which was
perhaps too focused on constructing its own
theory and space and not focused enough on
looking for a place, a concrete area where it could
do fieldwork.
Let us try to go back to Alba (Italy) fifty years ago,
where Pinot Gallizio had given some land to the
Sinti gypsies of Piedmont. The project consisted in
not imposing a sedentary way of life upon an iti-
nerant people but rather the opposite – taking
their itinerant way and proposing it as a model
for everyone else, a new way to inhabit the
world. But things went in a different direction.
The revolution did not come. Today’s multicultu-
ral society, the one that was supposed to build
New Babylon, finds itself living among the dumps
in the extreme periphery of the city and of our
minds. The camp for the gypsies of Alba did not
become a Situationist “playground of participa-
tion”. Unitary urbanism, which had found a con-
crete field to play on, wound up not playing on
that field. Moreover, it did not even come out
onto the field.
Despite their call for collective art that was appli-
cable to urban spaces, the Situationists did not
succeed in finding common ground where they
could experiment with the talents of their indivi-
dual members. Asger Jorn had ability as a buil-
der of networks; he was a charmer and a poten-
tial director of the many interdisciplinary teams
that needed to work together. Guy Debord was a
builder of meaning, able to lend political and
philosophical meaning to aspects surfacing du-
ring the process. Constant was a builder of spaces,
able to translate the qualities of nomadic space
into three-dimensional poetry. Pinot Gallizio was
the builder of relationships, proficient at in-
terweaving the project’s different threads that
looked to reconcile the concrete reality of the gy-
psy camp with the political and cultural worlds of
Alba. These fundamental skills are still needed to-
day in order to transform complex spaces. Howe-
ver, unitary urbanism did not survive the expul-
In alto, a destra e nelle pagine di apertura: il primo modello
di New Babylon, 1957/Top, right and previous pages: the first
maquette for New Babylon, 1957. Foto/Photo Francesco Careri
sions, resignations and artistic vanity of its indi-
vidual members. The concepts of anti-copyright
and non-authority, although well formulated,
were not applied in places where they could have
helped activate creative processes of collective
and pro-participant transformation.
Now the scene appears to have changed, even if
it has to an insufficient degree. There are city ad-
ministrations that confront difficult situations of
decline by avoiding standard urban-planning
formulas and instead make use of the possibilities
of public art. In many cases, they are starting to
see results and positive political consequences
from these actions. The cultural world, with its
foundations, art centres and universities, is be-
ginning to commit resources. As for the students,
a spark of desire has set off an urge among many
to select fieldwork over sitting in front of a com-
puter; to participate up close in the transforma-
tions of the territory; to offer their talents for the
good of the community; and to make themsel-
ves useful to people in need instead of partici-
pating in the star-system of designer-name prac-
tices.
There is a need for the right kind of people, those
that know how to get involved in creative com-
munity design; those who know how to bypass
authoritarian limits, signatures and copyrights;
those who know how to build networks, extrapo-
late meanings, supply visions, construct relation-
ships and instigate transformational processes.
Gypsy camps are symbolic of some of the worst
urban developments to have taken place over the
centuries. Fifty years have passed and we are still
there on the banks of the Tanaro River. We ask
ourselves if it makes sense to design a gypsy
camp, if it makes sense to design something un-
stable, something transitory, something uncer-
tain. It is clear that if this issue is not confronted
at a cultural level, the design of these places will
remain in the hands of technocrats from politi-
cal parties, opportunists or, worse still, the secu-
rity police. The gypsy camp in Alba continues to be
a wager for everyone.
Francesco Careri, architect, is a founding member of the
stalker/osservatorio nomade urban art workshop. He has wrote
the book Constant. New Babylon, una città nomade (Testo &
Immagine, Torino, 2001). Since 2005 is a Research Professor in
the Faculty of Architecture of the University of Roma TRE, where
he teaches Civic Art
A Biography
Constant Anton Nieuwenhuys was born in 1920 in
Amsterdam, where he studied at a crafts school and at the
Rijksacademie. In 1948, with Karel Appel and Guillaume
Corneille, he created Reflex magazine and the Experimentele
Groep Holland (Dutch Experimental Group). That group later
became part of the CoBrA movement (Copenhagen, Brussels,
Amsterdam) which was founded with Danish painter Asger
Jorn and poet Christian Dotremont. Constant became one of
its most active members. Three years later, the movement
dissolved and Constant began devoting his time to making
playful architectures and participating in an extensive
project to design playgrounds for the city of Amsterdam
through a commission organised by his friend Aldo van Eyck.
It was van Eyck who introduced Constant to architectonic
avant-gards that opposed functionalism.
In 1956, he participated in the “Movement for an Imaginist
Bauhaus”, which was organised in Alba (Italy) by Asger Jorn
and Pinot Gallizio. It was there that he became acquainted
with the Theory of the Dérive thanks to contact with the
avant-garde Parisian Lettrists. He visited the gypsy camp of
the Sinti people, welcomed by Gallizio to stay on his land.
This was the beginning of New Babylon, Constant’s open-
ended creation of urban surroundings (to be made by their
itinerant inhabitants) and the first time in the history of
architecture that a vision based on nomadic culture had
been designed. After returning to Amsterdam, Constant
constructed his Ruimtercircus (spatial circus) sculpture and
the model of the gypsy camp for the itinerant inhabitants of
Alba. This is how he started the series of sculptures that
describe the atmosphere of New Babylon: the orange
building, the yellow sector, the oriental sector, and the red
sector. From 1958 to 1960, he became part of the
Internationale Situationniste (Situationist International)
where he worked on the theory of unitary urbanism, a
playful kind of construction activity where all the arts
converged in the building of urban surroundings.
After quitting the movement, Constant decided to continue
his unitary urbanism project alone. As a result, New Babylon
became larger and increasingly labyrinthine. He opened an
atelier with his son Victor and four assistants, participated in
international exhibitions and held conferences in different
architecture schools. In 1966 he was the Dutch representative
at the Venice Biennale; in 1969 he published the book De
Opstand van de Homo Ludens (The Revolt of Homo Ludens)
and ended his model-making phase. New Babylon
continued to be a subject of his paintings until 1974. That
year, after an exhibition at the Gemeentemuseum in The
Hague, he decided to transfer the entire project’s archives to
the museum, freeing his atelier so he could dedicate himself
exclusively to painting. During the years of anti-art’s
triumph, Constant focused on the classics, mythology,
iconography and the research on clour by Titian, Delacroix
and Cézanne. Slowly, shadows started to appear – human
shapes that led to a figurative style originating in the
abstraction of colour. He continued to paint and considered
himself a painter. F.C.
Ottobre October 2005 domus 103
Agosto 2005, karaoke al campo nomadi di Alba/August 2005, karaoke in the Alba nomad camp
Pellegrinaggio ad Alba
Francesco Careri, Armin Linke e Luca Vitone.
Alba, dicembre 1956
“Gli zingari che si fermavano per qualche
tempo nella piccola città piemontese di
Alba avevano preso da molti anni l’abitu-
dine di costruire il loro accampamento
sotto la tettoia che ospitava una volta alla
settimana il mercato del bestiame. Qui ac-
cendevano i loro fuochi, attaccavano le loro
tende ai pilastri per proteggersi e per iso-
larsi, improvvisavano ripari con casse e ta-
vole abbandonate dai commercianti. La ne-
cessità di ripulire la piazza del mercato
dopo tutti i passaggi dei gitani aveva por-
tato il Comune a vietarne l’accesso. Si erano
visti assegnare in compenso un pezzo di ter-
reno erboso su una riva del Tanaro, il pic-
colo fiume che attraversa la città: un an-
fratto dei più miserabili. È là che sono an-
dato a trovarli, in compagnia del pittore Pi-
Sessione di lavoro al I Congresso Mondiale degli Artisti Liberi/Work session at the First
Congress of Free Artists, Alba, 1956. In primo piano da sinistra/Foreground from left
Franco Garelli, Gil Wolman, Asger Jorn, Constant, Elena Verrone, Pinot Gallizio,
Ettore Sottsass jr., Piero Simondo. Archivio Gallizio, Torino
106 domus Ottobre October 2005
not Gallizio, il proprietario di questo ter-
reno scabro, fangoso, desolato che gli era
stato affidato. Di quello spazio tra le rou-
lotte, che avevano chiuso con tavole e bi-
doni di benzina, avevano fatto un recinto,
una “città dei gitani”. Quel giorno ho con-
cepito il progetto di un accampamento per-
manente per i gitani di Alba e questo pro-
getto è all'origine della serie di maquettes di
New Babylon. Di una New Babylon dove si
costruisce sotto una tettoia, con l'aiuto di
elementi mobili, una dimora comune; un’a-
bitazione temporanea, rimodellata costan-
temente; un campo nomade alla scala pla-
netaria”. (Racconto della visita di Constant
e Gallizio al campo dei nomadi di Alba, du-
rante un soggiorno presso il Laboratorio
del Bauhaus Immaginista, in: Constant,
New Babylon, Haags Gemeentemuseum,
Den Haag, 1974).
Alba, luglio 1957
Pinot Gallizio, dopo aver difeso più volte i
nomadi in consiglio comunale, affigge nelle
vie di Alba un manifesto dal titolo L’uomo
è sempre l’uomo e annuncia l’inizio della
“grande battaglia per la sosta degli zin-
gari”. Il manifesto mostra le foto di Gallizio
con i nomadi, ora al mercato ora in riva al
Tanaro. Con un’inedita ed efficace perfor-
mance di comunicazione estetica e politica,
Gallizio entra in campo con il ruolo di ar-
tista pubblico. Ne seguono polemiche sulla
stampa locale contraria ad affidare il nuovo
campo agli artisti del Bauhaus Immaginista.
Roma, dicembre 2004
La signorina Giulia Liberti Sebaste, amica
di Giors Melanotte, il figlio di Gallizio re-
I nomadi ad Alba, sulle sponde del fiume Tanaro, 1956/
Gypsies in Alba on the bank of River Tanaro, 1956. Archivio
Gallizio Torino
A lato/Left: incontro di Pinot Gallizio con la
comunità nomade/Pinot Gallizio meets the
gypsy community, Alba, 1956.
Archivio Gallizio, Torino
Sotto/Below: Pinot Gallizio con gli
orecchini come re degli zingari/
Pinot Gallizio wearing earrings in king
of the gypsies style, Alba, 1956.
Archivio Gallizio, Torino
centemente scomparso, contatta Osserva-
torio Nomade a proposito di un imminente
sgombero del campo di Alba e di una que-
relle sul terreno che Gallizio aveva regalato
nel 1949. Sembra che il campo sia in riva al
fiume e che ci siano gli stessi sinti piemon-
tesi che Constant aveva incontrato nel
1956, forse quel terreno è loro. Organiz-
ziamo una spedizione in camper per verifi-
care sul luogo, ma poi tutto si arena.
Utrecht, 1 agosto 2005
Muore Constant. Sua figlia Martha
Nieuwenhuijs ci dà la triste notizia e ne se-
guono intensi scambi telefonici. Domus ac-
cetta la proposta del viaggio ad Alba.
(continua a pagina 108)
A pilgrimage to Alba
Francesco Careri, Armin Linke and Luca Vitone
Alba, December 1956
“For many a year the gypsies who stopped
awhile in the little Piedmontese town of
Alba were in the habit of camping beneath
the roof that, once a week, on Saturday,
housed the livestock market. There they lit
their fires, hung their tents from the pillars
to protect or isolate themselves, improvised
shelters with the aid of boxes and planks left
behind by the traders. The need to clean up
the market place every time the Zingari pas-
sed through had led the town council to for-
bid them access. In compensation, they were
assigned a bit of grassland on the banks of
the Tanaro, the little river that goes through
the town: the most miserable of patches! It’s
there that in December 1956 I went to see
them in the company of the painter Pinot
Gallizio, the owner of this uneven, muddy,
desolate terrain, who’d given it to them.
They’d closed off the space between some
caravans with planks and petrol cans,
they’d made an enclosure, a “Gypsy Town”.
That was the day I conceived the scheme for
a permanent encampment for the gypsies of
Alba and that project is the origin of the se-
ries of maquettes of New Babylon. Of a
New Babylon where, under one roof, with
the aid of moveable elements, a shared re-
sidence is built; a temporary, constantly re-
modelled living area; a camp for nomads on
a planetary scale.” (During their period at
the laboratory of the “Movement for an
Imaginist Bauhaus”, Constant visited the
gypsy encampment in Alba with painter Pi-
not Gallizio. This text has been published
in: Constant, New Babylon, Haags Ge-
meentemuseum, Den Haag, 1974).
Alba, July 1957
Pinot Gallizio, after having often defended
the gypsies at the city council, put up posters
on the Alba walls entitled Man is always
man and announced the beginning of his
battle to defend the gypsy encampment.
This manifesto shows pictures of Gallizio
with the gypsies in the livestock market and
on the banks of the Tanaro. With this ori-
ginal and effective aesthetic and political
Asger Jorn, Constant, Giovanni Bruno, Jack Callone nel bistrot di Bruno/
at Bruno’s bistrot, Alba, 1956. Archivio Gallizio, Torino
performance, Gallizio took on the role of
public artist. But the subsequent editorial
in the local press criticise assigning of the
camp design to the artists of the Movement
for an Imaginist Bauhaus.
Rome, December 2004
Miss Giulia Liberti Sebaste, a friend of Giors
Melanotte, the son of Gallizio, recently de-
ceased, contacts the Osservatorio Nomade
about the imminent clearing of the Alba gy-
psy camp and about a lawsuit concerning
the land which Gallizio had donated in
1949. The camp is on the river bank and the
same Piedmontese gypsies which Constant
had met in 1956, are implying that the land
might be theirs. We were to organize a trip in
our camper to verify the situation but then
nothing came of it.
Utrecht, 1 August 2005
Constant dies and his daughter, Martha
Nieuwenhuijs, gives us the sad news in a se-
ries of intense phone calls. Domus accepts
the proposal to go to Alba but it is already
summer and we aren’t able to organise the
great Osservatorio Nomade caravan. In the
meantime, three of us go: Francesco Careri,
the photographer Armin Linke and the ar-
tist Luca Vitone.
Turin-Alba,
29 August 2005
3 pm: We arrive at Martha’s home in Turin
in the San Donato area and she warmly wel-
comes us and shows us family photo albums
and various catalogues. The pictures are
splendid and, sometimes, they’re accompa-
nied by humorous comments from Con-
stant which tell a little story. We get our
scanner out and get down to work. In the
photos, Constant is always smiling and fun
loving. Sometimes he’s standing on a chair
or dressed up like a muskeeter. He was
always ready to entertain his extended fa-
mily which epitomized freedom shared in a
natural way with Asger Jorn, and in line
with the New Babylon concept expressed in
the home. The album tells many stories:
Alba, Albisola, Cosio d’Arroscia. In Paris,
there was a house Jorn had built with a
worker/priest where you entered from the
bathroom, and passed by the tub and basin
to get to a series of sliding doors in the Riet-
veld style. In Amsterdam, there were gypsy
parties at Constant’s house where he im-
provised music with his friend Jan Kalkman
and the Kabani orchestra, which still plays
in the Capitan Zeppo restaurant. Martha
says: “He’s always been a sort of gypsy”
and Francesco says that Constant had told
him that nomad blood ran in his veins th-
Constant ‘moschettiere’/Dressed up like a
musketeer, 1965 c. Archivio Constant
rough a maternal ancestor who had married
a French ‘Manu’ girl. Martha, then shows
us a fantastic photo of Johannes Theodorus
Petrus Cornelissen, Constant’s maternal
grandfather who looks just like Gallizio
wearing earrings in king of the gypsies style.
We leave for Alba.
8:10 pm: We’re late and we immediately
head for the encampment on the banks of
the Tanaro. The architect of the future
camp, Sandro Lazier, and his assistant,
Paolo Ferrara, are our guides. Our reference
person is Alessio who comes to meet us at
the entrance. We receive a warm welcome.
Loud music is blaring from several loud-
speakers and later we learn that some kids
were having a karaoke session. After a
quick walking tour of the camp we sit on a
porch drinking coffee. Armin takes pictu-
res while Francesco and Luca show the pic-
tures of Pinot Gallizio with the gypsies to see
if anyone recognises them. Among all the
confusion, a grandmother is identified in the
photos along with some distant cousins but,
at times, the gypsies even take Gallizio him
(continues on page 110)
Constant, il figlio Victor e l’assistente
Johnny/Constant, his son Victor and
assistant Johnny, 1965 c. Archivio Constant
Ottobre October 2005 domus 107
(continua da pagina 106)

È estate e la grande carovana di Osservatorio
Nomade non si riesce ad organizzare, intan-
to partiamo in tre: Francesco Careri, il foto-
grafo Armin Linke e l’artista Luca Vitone.
Torino-Alba,
29 agosto 2005
ore 15.00: arriviamo alla spicciolata da
Martha che abita a Torino nella zona di
San Donato. Ci accoglie molto gentilmen-
te e ci mostra vecchi cataloghi e album di
famiglia. Sono foto bellissime, a volte con
commenti di Constant, didascalie spiritose,
piccoli racconti. Apriamo lo scanner e co-
minciamo a lavorare. Constant appare
sempre ridente, festaiolo, ludico; ora in
piedi su una sedia; ora vestito da moschet-
tiere, sempre pronto a far divertire la sua
grande famiglia allargata, un esempio di
vita liberata condivisa con naturalezza con
Asger Jorn, quasi una sperimentazione di
New Babylon tra tante mura domestiche.
Dagli album vengono fuori le storie. Alba,
Albisola, Cosio d’Arroscia. Parigi, la casa
che Jorn aveva costruito con un prete ope-
Dall’album di famiglia. A sinistra: Constant con la scimmietta Boumibol /Snapshots from
Constant’s family album. Left: Constant with monkey Boumibol, 1965 c. Archivio Constant
raio, si entrava dal bagno passando accan-
to alla vasca e al lavandino, e poi seguiva-
no tutte porte scorrevoli, alla Rietveld.
Amsterdam, le feste tzigane a casa Con-
stant, dove lui improvvisava con l’amico
Jan Kalkman e l’orchestra Kabani, che an-
cora suona nel ristorante Capitan Zeppo.
“È sempre stato un po’ gitano”, dice
Martha e Francesco racconta che lui gli a-
veva detto che in famiglia scorreva sangue
nomade, che un avo materno aveva sposa-
sono altoparlanti che diffondono una mu-
sica molto alta, più tardi scopriamo che
sono i ragazzi che fanno un karaoke. Do-
po un rapido giro a piedi ci ritroviamo in
una veranda a bere caffè. Armin scatta le
foto. Francesco e Luca mostrano i libri
con Pinot Gallizio tra i nomadi per vede-
re se si riconosce qualcuno. In realtà non si
capisce molto bene, a volte trovano una
nonna, a volte dei lontani cugini, altre vol-
te riconoscono in Gallizio un loro paren-
te… L’anno 1956 sembra appartenere ad
altre generazioni. Nessuno ha un diretto
ricordo di Pinot. Lo conoscono perché il
loro campo si chiama Villaggio Pinot Gal-
lizio e all’ingresso c’era il cartello con la
foto con gli orecchini, alcuni credevano
che fosse un loro avo importante. È tutto
sparito con l’alluvione del ’94 che ha can-
cellato il campo senza fare vittime, per for-
tuna. Il fiume è assassino e un anno fa un
bambino è annegato. L’acqua è il vero pro-
blema, tutti sanno che quella è un’area e-
sondabile e che può sempre arrivare il mo-
mento di mettere tutto nei camper e scap-
pare. Ci parlano di Amilcare de Bar, detto
Taro, un loro parente scampato da Au-
schwitz e poi diventato un personaggio
pubblico ad Alba fino a rappresentare i
sinti piemontesi a Ginevra, era lui il riferi-
mento di Pinot, ora vive a Cuneo. Cerchia-
mo di spiegare chi siamo, cosa vorremmo
fare e soprattutto perché loro siano diven-
tati la più famosa comunità nomade della
storia delle avanguardie. Quando capisco-
no che siamo quelli che dovevano venire in
camper per sostare nel loro campo si di-
Il nonno materno di Constant/
Constant’s maternal grandfather, 1900 c.
Archivio Constant
Alba-Torino,
30 agosto 2005
ore 7.50: Ci ripresentiamo quando il sole
comincia ad alzarsi. Il campo si sta sve-
gliando, è tenuto bene, ha una grande stra-
da-piazza centrale che senza soluzione di
continuità entra nei soggiorni delle case.
Sono famiglie allargate e molto imparen-
tate tra loro, così le frontiere tra le case,
come quelle tra spazi pubblici e privati o
tra spazi interi ed esterni, sono assoluta-
mente fluide. Dappertutto è pieno di og-
getti che sembrano non appartenere a nes-
suno e che in realtà appartengono a tutti,
oggetti pubblici e domestici: lavandini,
barbecue, altalene, sedie dondolo, scale.
La città è un villaggio-casa. Mentre la ca-
sa-villaggio è un soggiorno all’aperto con
intorno tettoie multifunzionali che copro-
no cucine, verande, roulotte, camion,
macchine e magazzini, tutto sembra essere
contenuto sotto. Sembra di essere in una
New Babylon concreta.
ore 10.10: arrivano i carabinieri, ci con-
trollano i documenti e se ne vanno. Ci spie-
gano che è una visita quotidiana, c’è una
persona agli arresti domiciliari. Ma qui
quasi tutti lavorano, fanno i muratori, rac-
colgono ferro vecchio e la novità è la nasci-
ta di alcune cooperative che prendono ap-
palti dal comune per piccoli lavori e la cura
dei giardini pubblici. Continuiamo a per-
derci nel campo e a interagire attraverso le
vecchie foto, un efficacissimo strumento di
relazione. La signora Jolanda si affaccia in
veranda e dice che quei nomadi con Galli-
zio non sono loro, che lui non c’entra con
questo campo, che quelli che lo hanno fat-
to sono suo padre Orlando de Colombi, in-
sieme a don Modesto Savoiardo e il mae-
stro Ernesto Prunotto. Prima, loro erano
Foto/Photo Martijn Van der Molen, Amsterdam
dall’altra parte del fiume, oltre la ferrovia,
dove adesso c’è la Ferrero e affittavano da
un certo Marino. Adesso qui è sicuramente
meglio, c’è l’ospedale vicino e c’è la scuo-
la. Ci stupiscono quanti ci dicono che an-
che loro sono persone, esseri umani che
mangiano, vivono e si ammalano. Alcuni
vorrebbero traslocare in normali apparta-
menti piuttosto che trasferirsi vicino al car-
cere, come gli hanno proposto. Accanto al-
le infelici ironie ci sono dei problemi reali,
ci sono donne e anziani che vanno solo a
piedi e laggiù sarebbe tutto irraggiungibi-
le. Potranno andare al carcere, al canile o al
cimitero, che bella prospettiva! E se invece
ci mettessero vicino all’ospedale?
ore 11.20: andiamo a Mussotto, il quartie-
re lì accanto. Don Modesto Savoiardo è in
ospedale per un malore, cerchiamo quindi
di trovare il maestro, Jolanda ha detto che
lui sa tutto, che li ha visti crescere tutti. Il
maestro Prunotto vive in un elegante villi-
no, è sui cinquanta ben portati e ci raccon-
ta la storia della comunità che ha seguito
con grande impegno dalla fine degli anni
sessanta, da quando andando a pescare sul
fiume era lentamente diventato amico di
Orlando, il padre di Jolanda. Ci spiega che
il campo di Gallizio in realtà non è questo,
che lui aveva dato un terreno sulla riva op-
posta di dove sono adesso, alla Pontina,
dove ora c’è la piscina comunale. Nel 1967
erano 12 famiglie con 10-12 figli a testa e
sicuramente stavano nella riva opposta,
ma in un tratto più su, di fronte alla fab-
brica della Ferrero. Era un pantano. Lui e
il parroco sono andati a parlare con i no-
madi, hanno scelto il posto, hanno scritto
il regolamento interno e hanno fatto co-
struire docce, bagni, e altri servizi purtrop-
po distrutti dai nomadi stessi. Una volta
entrati al campo hanno avuto la residenza,
fatto molto importante per lavorare in re-
gola, per le carte d’identità, per l’assistenza
sanitaria. Racconta di quanto è stata diffi-
cile la scolarizzazione, che i bambini anda-
va a prenderli lui stesso per portarli a scuo-
la, che il suo sogno era fare una scuola al
campo, pomeridiana, aperta anche ai geni-
tori. Adesso le cose vanno meglio, tutti
vanno a scuola volentieri, sono invitati al-
le feste dei compagni, e questo fa superare
molte barriere anche ai genitori. Insomma,
qui dove sono starebbero anche bene, è
stato fatto un percorso di integrazione du-
rato trent’anni, ma il problema è il fiume, e
alla prossima piena potrebbe succedere un
disastro e tutti lo sanno. Vivere così è una
scelta difficile e sono molti quelli che vo-
gliono smettere, soltanto 20 famiglie con-
tinuerebbero in un nuovo campo. Secondo
il maestro si doveva affrontare il problema
con i comuni vicini e trovare una soluzione
2
1
3
4
Lo studio di fattibilità per il nuovo campo nomadi redatto da Sandro Lazier/Sandro Lazier’s
feasibility study for the new lencampment for the gypsy communities: 1. nuovo campo
nomadi/new encampment; 2. casa circondariale/district penitentiary; 3.campo di sosta
temporaneo/short-term encampment; 4. installazione di land art/land art installation
dilizi e standard regionali. Il progetto rece-
pisce dall’attuale campo le tettoie multifun-
zionali e lo spazio pubblico del piazzale
centrale che forse è troppo separato dalla
circolazione sul retro. Le abitazioni sono
tutte uguali e si capisce che, forse per difet-
to di tempo o di attitudine, è mancato un
contatto diretto che avrebbe prodotto una
differenziazione in base alle famiglie della
comunità. Il progetto comprende anche u-
na zona di sosta per i nomadi in transito e
una grande installazione di land art che co-
pre la vista del campo per chi entra in città.
Ma il vero problema è la sua collocazione:
una zona non ancora completamente al ri-
paro da inondazioni e che necessita co-
munque di grossi lavori per essere messa in
sicurezza. Andiamo a vedere. Il terreno è in
campagna, in un’area collegata molto ma-
le, tra l’autostrada, una discarica e il canile,
soprattutto accanto al carcere: il muro del
nuovo campo sorgerebbe a pochi metri da
una recinzione con tanto di torrette di guar-
dia agli angoli. Una scelta, quella del Co-
mune, davvero infelice. Purtroppo su questi
temi le politiche di destra e di sinistra si e-
quivalgono per la loro ipocrisia: la strategia
è spostarli fuori città, in posti difficilmente
accessibili, lontani dalla vista della gente
per bene, vicino ai quartieri più difficili e ai
loro simili, cosi si sommano problemi ad al-
tri problemi. E questo trattamento è riser-
vato anche a comunità oramai felicemente
insediate da più di vent’anni e che stanno
procedendo verso un’integrazione nel ri-
spetto delle diversità. Questa situazione di-
mostra che né la politica né l’architettura
da sole sono oggi in grado di entrare in un
campo nomade, come peraltro in molti te-
mi complessi che ci pone la nuova città
multiculturale. Non si può che affrontali in
termini culturali, con un approccio parteci-
pato e interdisciplinare, su questo gli artisti
e gli architetti del Bauhaus Immaginista ci
avevano visto giusto.
ore 17.00: Continuiamo a cercare in diver-
si luoghi il terreno di Gallizio. Luca vede
La bandiera Eppur si muove sulla tettoia del mercato di Alba (fotomontaggio)/The Eppur si
muove (But they’re still moving onwards) flag on the roof of the marketplace in Alba
(photomontage). Foto/Photo Luca Vitone
nella tettoia del mercato nel centro di Alba,
dove i sinti piemontesi si riparavano ai
tempi di Constant, il luogo dove installe-
rebbe la bandiera Eppur si muove indice di
un nomadismo libertario. Rientriamo a
Torino. Ci aspetta Francesca Comisso che
ha avuto difficoltà a raggiungerci ad Alba.
È esperta di Gallizio e ha recentemente la-
vorato alla pubblicazione degli scritti del-
l’artista e di molti documenti provenienti
dall’archivio Gallizio. Ci dice che ad oggi
non ha mai visto né sentito citare docu-
menti che provino dove era il campo di Pi-
not e che questo dono non era probabil-
mente mai stato ufficializzato con un atto;
se così fosse, i nomadi sarebbero proprie-
tari di un terreno sul fiume, il che magari
potrebbe cambiare le loro sorti. Francesca
ci mostra, nella sezione del libro dedicata
agli zingari, le interrogazioni di Gallizio al
Comune in difesa dei nomadi, gli articoli
sul giornale Le nostre tôr contrarie a dare
l’incarico al Bauhaus Immaginista e una
lettera che Constant scrisse a Gallizio nel
1961, quando entrambi erano oramai fuo-
ri dall’Internazionale Situazionista. Qui
Constant propone di continuare insieme a
lavorare al progetto “che sarebbe una pri-
ma realizzazione dell’urbanismo unitario”.
Fantastichiamo di ricominciare da lì, dal
campo dei nomadi di Alba, di salvarli dal
carcere attraverso l’urbanismo unitario, di
mettere in atto il progetto di Constant e
Gallizio, magari non costruendo filologi-
camente il plastico del ’57, ma riproponen-
done l’approccio ludico e costruttivo, quel-
la attitudine di Gallizio di “stare in cam-
po”, quella capacità di Constant di “pro-
gettare l’improgettabile”. Forse basterebbe
alzare il terreno e ripararlo con gli argini,
magari coinvolgendo nella costruzione le
cooperative recentemente nate nel campo.
Si potrebbe costruire “un terreno di gioco
e di partecipazione” e insieme al parroco,
al maestro e all’architetto, ricostruire il
nuovo campo di tettoie, proprio lì dove so-
no sempre stati, ad Alba, in riva al Tanaro.
Amsterdam-Alba, 1961
«Mio caro Pinot,
grazie mille per la biografia che contie-
ne davverodelle bellissime illustrazioni!
Poiché tu lì parli della “città degli zinga-
ri”, bisognerebbe veramente considerare
le possibilità di realizzazione di questo
progetto, sarebbe una prima realizzazio-
ne dell’urbanismo unitario.
So che presto esporrai ad Essen da Van
de Loo. Se ci andrai, vorrei incontrarti al
vernissage e ne parleremo insieme.
Il mio affetto alla signora e a Giorgio.
Con amicizia
Constant»1
1.Giorgina Bertolino, Francesca Comisso e Maria
Teresa Roberto, Pinot Gallizio. Il laboratorio del-
la scrittura, Charta, Milano, 2005, p. 232. Il testo
originale della lettera è in francese

to una ragazza di famiglia manush france-
se. Martha, quasi a confermare, ci mostra
una straordinaria foto di Johannes Theo-
dorus Petrus Cornelissen, il nonno mater-
no di Constant. Sembra la foto di Gallizio
con gli orecchini che fa “il re degli zinga-
ri”. Partiamo per Alba.
ore 20.10: siamo in ritardo e ci dirigiamo
subito all’accampamento in riva al Tana-
ro, ci fanno strada l’architetto del futuro
campo Sandro Lazier e il suo assistente
Paolo Ferrara. Il nostro riferimento è A-
lessio che ci viene incontro all’ingresso.
Veniamo accolti molto cordialmente. Ci
mostrano più fiduciosi. Francesco scrive u-
na dedica nel suo libro su Constant e New
Babylon e ne fa dono a tutto il campo. Lo
ricevono con molta cortesia ma non sem-
brano particolarmente eccitati all’idea di a-
bitare in quelle immagini colorate, forse
troppo oltre ogni idea di ‘casa’ anche per
un nomade. Descriviamo il plastico del
campo nomadi progettato nel 1957 per lo-
ro: un circo sinti, un grande sistema di tet-
toie mobili sotto cui appendere teli, feltri,
pareti mobili e tutto ciò che si può costrui-
re e smontare seguendo i desideri e le ne-
cessità del momento. Ancora un bicchiere
e andiamo in albergo.
Constant e il cane Waldo/Constant and his
dog Waldo, 1986. Archivio Constant
più generale, ma era istituzionalmente dif-
ficile. Ci conferma che dopo una lunga
contrattazione il campo andrà vicino alla
casa circondariale, che quello è veramente
l’unico terreno libero, in pianura e vicino
al fiume.
ore 12.30: ufficio di Sandro Lazier, l’archi-
tetto che ha redatto lo studio di fattibilità
relativo al collocamento e corredo di un
nuovo campo per l’accoglimento delle co-
munità nomadi. È un uomo affabile, fran-
co e simpatico che conosce bene New
Babylon, ma si è trovato a progettarla in Agosto 2005, il campo nomadi di Alba/August 2005, the gypsy encampment in Alba Nel campo i confini tra spazi pubblici e privati sono fluidi/
soli due mesi e all’interno di regolamenti e- In the nomadic encampment the boundaries between public and private are blurred
(continues from page 107)
self for one of their relatives… It seems
1956 belonged to a different generation.
Nobody at the camp has any direct memo-
ries of Pinot. They know about him becau-
se their camp is called “Pinot Gallizio Villa-
ge” and there’s a picture of Pinot wearing
earrings at the entrance to the camp. Some
of them believe that Pinot was an important
ancestor of theirs. Everything vanished in
the 1994 flood which destroyed the camp,
but fortunately did not take any lives. The
river’s a killer and last year, a child drowned
in it. Water is the real problem and everyo-
ne knows that at any moment they’ll have
to throw everything in their campers and
flee. The gypsies talk to us about Amilcare
de Bar, referred to as ‘Taro’, a distant rela-
tive of theirs who fled from Auschwitz. He
became an important public figure in Alba
and represented the Piedmontese gypsies in
Geneva. He was Pinot’s contact and today
he lives in Cuneo. We told the gypsies about
ourselves and what we wanted to do; we
explained to them how they have become
the most famous nomadic community in
the history of the avant-garde. When they
realise that we are the ones who were sup-
posed to come to their camp, they are mo-
re trusting of us. Francesco writes a dedica-
tion in his book about Constant and New
Babylon and donates it to the camp. They
accept it courteously but don’t seem to be
very thrilled about living in all those colour-
ful “structures” which might seem too far
removed from the idea of a ‘home’ even for
a nomad. We describe the model of the no-
mad camp designed in 1957 for them. It is a
Rom circus with an important system of
mobile ‘roofs’ under which movable walls,
curtains and objects can be arranged, and e-
verything can be set up and taken down de-
pending on one’s desires or particular needs
at the time. We have another drink and then
go back to the hotel.
Alba-Turin,
30 August 2005
7.50 am: We return to our gypsy friends
only when the sun has come up. The camp
is waking up; it’s a clean, well-kept en-
campment with a large central piazza and
path which crosses the thresholds of the gy-
psy homes with no barriers. Gypsy families
are large and extended and everyone is rela-
ted to everyone else, therefore the borders of
their public and private areas are absolutely
fluid. Objects are everywhere and they don’t
seem to belong to anyone because they ac-
tually belong to everyone. These objects in-
clude: sinks, barbecues, swings, rocking
chairs and ladders. The gypsy city is a villa-
ge-home and a home-village, a true open-
space living area surrounded by multifunc-
tional roofs which cover kitchens, porches,
trailers, trucks, cars, machines and storage
areas. Everything is contained under and
we’re thrilled at seeing a living and tangible
New Babylon.
10:10 am: The Carabinieri come to check
our documents and leave. We’re told that
this is a daily occurrence and there’s even
someone under house arrest. Here, almost
everyone works in construction or by col-
lecting old metal to be recycled. The impor-
tant new is that some cooperatives have
Da sinistra: ritratto di Constant con dedica inviato a Pinot Gallizio (Archivio Gallizio, Torino);
Constant nel suo studio e nella sua casa di Amsterdam (Archivio Constant)/From left: inscribed
photo, sent by Constant to Pinot Gallizio (Archivio Gallizio, Torino); Constant in his studio
and in his house, Amsterdam (Archivio Constant)
been created and they get jobs from the city.
These are usually small jobs and include
taking care of the public parks. We continue
to roam around the camp and to interact
with the Rom through old photos, a very ef-
fective prop for striking up relationships.
Mrs Jolanda looks over her porch and tells
us that they aren’t the nomads in the photos
with Gallizio and that Gallizio has nothing
to do with this camp. She goes on to say
that this camp was created by her father,
Orlando de Colombi, along with Don Mo-
desto Savoiardo and Ernesto Prunotto.
Before, they had camped on the other side
of the river, beyond the railroad tracks whe-
re the Ferrero factory is located and that
they had rented the land from a certain Ma-
rino. But, she continued, they were better
off here because there was a hospital and a
school nearby. Isn’t it surprising to hear that
gypsies are people, too? Normal human
beings that need food and somewhere to li-
ve and sometimes, they even get sick. Some
of the gypsies would prefer to live in normal
apartments rather than be moved next to
the prison in accordance to the latest city
proposal. Besides the obvious irony of loca-
ting nomadic and free people next to hu-
man cages, there were also a number of real
problems: women and elderly people who-
se only transport was walking would be
placed in an environment where everything
was unreachable. Well, they could walk to
the dog pound or the cemetery… But what
a great prospect that would be! What was
wrong with putting them near the hospital?
11:20 am: We go to Mussotto, a nearby nei-
ghbourhood. Don Modesto Savoiardo is in
the hospital. We decide to look for a tea-
cher, because Jolanda said that a maestro k-
new everything about everyone because he
watched them grow up. Maestro Prunotto
lives in an elegant single house. He’s about
50 but still looks rather young. He tells us
the story of the community which he has
been involved with since the late sixties. He
used to go fishing on the river bank and gra-
dually became good friends with Orlando,
Jolanda’s father. He tells us that the Gallizio
camp isn’t really this one and that he had
donated a piece of land on the opposite
bank of the river from where the encamp-
ment is now, on the Pontina road near whe-
re the public swimming pool is located. In
1967, there were 12 families with 10-12
children each. He was certain that they we-
re on the opposite bank but farther up, op-
posite the Ferrero factory. That location
was a bog. He and the parish priest went
there to talk to the gypsies. They chose the
place and wrote the rules for the camp and
they had showers, bathrooms and other fa-
cilities built. But these were later destroyed
by the nomads, themselves. Once the no-
mads entered the camp they obtained Ita-
lian residency papers, which were very im-
Constant nel suo studio di Amsterdam/Constant in his studio in Amsterdam,
1995 c. Archivio Constant
portant because this led to legal work, an i-
dentity card and health services. He spoke
about how difficult schooling was for the
children and that he would go and pick
them up and take them to school, himself.
His dream was a school in the encampment
which would be open even in the afternoon
and where the parents were also welcome.
Now, things are better. All the children are
happy to go to school and they are invited
to the parties held by their classmates. This
allows their parents, too, to overcome a se-
ries of difficult hurdles. In short, the Alba
gypsies would be happy to remain where
they are because, after 30 years, they’ve fi-
nally achieved a certain degree of integra-
tion. The problem is the river. Its next full ti-
de could bring disaster, as everyone knows.
This is a hard life and many of the Rom fa-
milies are tired of it. In fact, only about 20
families would continue to live gypsy style
in a new camp. According to the maestro,
this problem should be dealt with by the
nearby townships. A comprehensive solu-
tion must be found even though it’s an in-
stitutional headache. He confirmed that af-
ter some lengthy negotiations the camp
would be moved near the district peniten-
tiary, the only free space left which is on a
flat level and near the river.
12:30 pm: We are in the office of Sandro
Lazier, the architect who conducted the fea-
sibility study for the new location of an en-
campment for the gypsy communities. He’s
a nice guy who says what he means and is
pleasant to be with. He knew all about
New Babylon, but he found himself having
to design the camp in just two months and
within the confines of strict building regu-
lations and regional standards. During the
project, he realised that the multifunctional
roofs for the present camp and the public a-
rea of the central plaza would be too far a-
part from the circulation at the back of the
camp. The homes are all alike and, either
for lack of time or effort, the direct contact
needed to differentiate homes in accordan-
ce to the families comprising the commu-
nity wasn’t achieved. The project also in-
cludes a parking area for nomads in transit
with a huge installation of land art – whi-
ch hide the view of the camp for those ente-
ring the city. But the real problem is the
camp’s location: an area still not safe from
flooding and which requires enormous
work to keep it out of harm’s way. Let’s
take a closer look at it: it’s in the countrysi-
de and lacks efficient public transportation;
it’s between the dump and the dog pound
and very close to the prison; and one wall
of the new camp would be only a few me-
ters away from the prison wall with guard
towers at its corners! We believe that this
township has truly made a poor selection!
Unfortunately, the debates by left and right
wing factions on this type of issue are per-
vaded by hypocrisy. The strategy of politi-
cians is to move the gypsies out of the city
and out of the sight of the nice people to
places which are hardly accessible and whi-
Dovunque si trovano oggetti che appartengono a tutti: lavandini, barbecue, altalene.../
Objects are everywhere. They belong to everyone: sinks, barbecues, swings, ladders...
ch are close to the most problematic areas
in the surroundings. And so, even greater
problems are added to the basic ones. This
treatment is even applied to happily establi-
shed gypsy communities who have been
‘settled’ here for more than 20 years and
who are working their way towards an in-
tegration which respects differences. Once
again, this situation proves that today
neither architecture nor politics can, by
themselves, solve the plight of Rom camps
nor for that matter the other complex pro-
blems of multi-culturalism that the contem-
porary multi-cultural city faces. These is-
sues must be faced in a cultural way with an
interdisciplinary approach where the
keyword is participation. At the very least,
the artists and architects of the Imaginist
Bauhaus had seen the light.
5:00 pm: We’re still looking for Gallizio’s
former land in various places. Luca focuses
on the roof of the marketplace in the centre
of Alba – where the gypsies sought shelter
when Constant was alive. Luca thinks that
this would be a great place to fly the Eppur
si muove (But they’re still moving onwards)
flag, a sign of freedom and nomadism. We
return to Turin. Francesca Comisso, who
had problems in joining us at Alba, is wai-
ting for us. She’s an expert in all things rela-
ted to Gallizio. She recently collaborated in
preparing many of the artist’s writings for
publication, along with other documents
from the Gallizio archive. She tells us that
she has never seen nor heard of documents
which prove where Pinot’s camp was loca-
ted and that the donation had probably ne-
ver been made official with the stipulation
of a notarised act. If that had been the case,
the nomads would own land on the river
and that ownership might even change their
fate. Francesca shows us the section of the
book dedicated to the gypsies where Galli-
zio’s testimony at the town council in de-
fence of the Rom is reported. He shows us
the articles in the newspaper, Le nostre tôr,
against giving Imaginist Bauhaus the posi-
tion, and a letter which Constant wrote to
Gallizio in 1961, when both of them were
outside of the Situationist International. In
this letter, Constant wants to continue to
work with Gallizio on the gypsy camp
project which would be the “first realisa-
tion of unitary urbanism”. We dream a bit
about starting the project again. We want
to begin from the gypsy camp in Alba. We
want to save the Rom from the shadow of
the prison through unitary urbanism. We
want to realise Constant’s and Gallizio’s
project, even if the 1957 model isn’t faith-
fully reproduced, but we still want to main-
tain its playful and constructive approach.
We want to keep Gallizio’s “let’s do it” ap-
Il campo ha una grande strada-piazza centrale che entra nei soggiorni delle case/
The encampment has a large central piazza and path which crosses the thresholds homes
proach. We want to retain Constant’s abi-
lity to “design the un-designable”. Maybe
all we need to do is raise the land and pro-
tect it with “dams”. Perhaps we could in-
volve the recently constituted cooperatives
in the project. We could build “a terrain of
play and participation”, together with the
parish priest, the maestro, and the architect
we could rebuild new roofs right where
they have always been, there in Alba on the
banks of the Tanaro.
Amsterdam-Alba, 1961
Constant writes to the “Man of Alba”:
«My dear Pinot,
Thanks a thousand times for the biography
which really has some splendid illustrations!
You talk about a ‘gypsy city’ and we should
really look into the possibility of realising
this project. It would be the very first uni-
tary urbanism structure ever. I’ve heard that
you are soon to exhibit in Essen at Van de
Loo and I’d like to see you at the opening
and talk to you about it. My affectionate re-
gards to your wife and to Giorgio.
In friendship,
Constant»1
1. Giorgina Bertolino, Francesca Comisso and
Maria Teresa Roberto, Pinot Gallizio. Il labora-
torio della scrittura, Charta, Milano, 2005, p.
232. The original letter is in French.
Soggiorni all’aperto, cucine, roulotte, macchine e magazzini sotto le tettoie in lamiera/Free-standing sheet-iron roofs shelter open-air living rooms, kitchens, caravans, cars and goods

[
Una video intervista di Hans Ulrich Obrist
a Constant sarà disponibile su www.domusweb.it
A video interview by Hans Ulrich Obrist to Constant will be
available at www.domusweb.it ]
Le capsule scolastiche ideate da Future Systems si aggiungono come propaggini Fotografia di/Photography by
agli spazi scolastici tradizionali, introducendo parametri spaziali e didattici innovativi
The school-capsules devised by Future Sytems plug on to conventional buildings,
uncovering new spatial and didactic possibilities
Soren Aagaard
A cura di/Edited by
Rita Capezzuto Future school
Il progetto si propone di creare un nuovo scenario per l’attività
didattica, svincolato dalle condizioni scolastiche tradizionali.
Due unità sono state attualmente realizzate per una scuola
primaria e una secondaria di Richmond: ognuna ha una
superficie di 100 m 2 e può ospitare al massimo trenta studenti.
Sezione longitudinale/Longitudinal section
Sezione trasversale/Cross section
È dotata di toilette , servizi e spazi ausiliari autonomi rispetto This project will create a new teaching/learning envronment bathrooms, services and auxiliary areas which are
al corpo principale della scuola. Una grande terrazza si apre freed from traditional binds. So far, two units have been independent of the main school structure. A large terrace
davanti all’ingresso della capsula (sopra), mentre il guscio realized in Richmond – one for primary and the other for opens onto the entry of the unit (see photo above). The unit’s
esterno, prodotto in GRP (Glass Reinforced Plastic), è decorato secondary classes. Each unit has a surface area of 100 m2 exterior shell is in GRP (Glass Reinforced Plastic) decorated
con disegni degli stessi alunni for a maximum of 30 students. Each unit is equipped with with the drawings created by the schoolchildren themselves
Progetto/Architect: Future Systems
Committente/Client: Richmond Upon Thames Borough Council
Impiantistica/Services engineering: BDSP
Strutture/Structural engineering: Techniker
Analisi della struttura e del materiale composito/Structure
and composite material analysis: White Young Green
Estimo/Quantity surveyors: Faithful and Gould
Gestione progetto/Project management: Faithful and Gould
Impresa di costruzione/Contractor: Diespeker
Costo di due unità/Cost of two units: £1.OOO.OOO
Completamento/Completion: 2004
Fondato nel 1979, lo studio Future Systems è diretto da Jan
Kaplicky e Amanda Levete, che lavorano con un gruppo di
venti persone. La loro progettazione si ispira all’osservazione
della natura e alle nuove tecnologie industriali.
Attualmente sono impegnati nel progetto di una stazione
della metropolitana di Napoli in collaborazione con l’artista
Anish Kapoor.
Future Systems, formed in 1979, is led by two principals, Jan
Kaplicky and Amanda Levete, working with a team of 20
people. Its innovative designs are inspired both by
observation of nature and by technologies transferred from
other industries. Future Systems are currently working on a
subway station in Naples in collaboration with the artist
Anish Kapoor. Pianta/Plan
Un nastro d’acciaio disegna il paesaggio ai bordi di Melbourne, Fotografia di/Photography by
superando con una grande curva una nuova autostrada
A steel ribbon embraces the landscape on Melbourne’s outskirts
by way of a sweeping arc over a new freeway
John Gollings (courtesy of Vic Roads),
Peter Hyatt, Robert Owen
A cura di/Edited by
Rita Capezzuto
Australian Bypass

Foto di/Photo by John Gollings (courtesy of Vic Roads)

 Foto di/Photo by John Gollings (courtesy of Vic Roads)
Foto di/Photo by Peter Hyatt
Nel 2003 il gruppo di progettisti australiani guidato da Taylor
Cullity Lethlean vinse il concorso lanciato dal Governo
federale per la creazione di due elementi paesaggistico-
infrastrutturali relativi a un nuovo asse stradale nella zona
Foto di/Photo by John Gollings (courtesy of Vic Roads)
nord di Melbourne: un collegamento pedonale tra le due
aree che risultavano tagliate dalla strada (nelle pagine
precedenti e sopra), e una serie di barriere antirumore
(a sinistra). Sono state così realizzate due soluzioni che
segnano il territorio, sollecitando soprattutto la percezione
dinamica di chi percorre l’autostrada.
Foto di/Photo by Peter Hyatt
Il passaggio a ponte ha un lungo e sinuoso sviluppo ai lati del
piano d’asfalto, con densità e inclinazioni diverse. Un taglio
nella struttura di acciaio nel punto curvo del sovrappasso
permette di inquadrare dall’interno il centro di Melbourne.
Le barriere antirumore sono costituite da pannelli in acrilico
traslucido e da una serie di stecche leggermente ruotate che
proteggono il microclima del parco lineare adiacente
120 domus Ottobre October 2005
In 2003, Australian design team led by Taylor Cullity
Lethlean won a competition launched by the Australian
Federal government to build two landscape interventions
for a new highway on the northern edge of Melbourne.
They created a pedestrian passageway to link two areas
separated by the road (shown on the previous pages and
above) and a series of sound barriers (on the left).
The two solutions realisedby the architects give highway
travellers a dynamic perception of the landscape.
The overpass is a sinuous element along the asphalt road
that varies in thickness and inclination and includes
a cut-out in the curved steel structure above the road to
provide views of downtown Melbourne.
The sound barriers are made of translucent acrylic panels
with slightly curved “ribs” to protect the micro-climate of
the adjacent park
Foto di/Photo by Peter Hyatt
Foto di/Photo byRobert Owen
Progetto/Architect: Taylor Cullity Lethlean
con/with Tonkin Zuilakha Greer e/and Robert Owen
Gruppo di progettazione di/Project team of Taylor Cullity
Lethlean: Scott Adams, Perry Lethlean, Nick Loschiavo,
Kris Green, Trish Hollo, Tom Stefanowski, Ofri Gilan,
Carl Turk, Craig McLean, Simone Bliss
Gruppo di progettazione di/Project team of Tonkin Zulaikha
Greer: Peter Tonkin, Neil Mackenzie, Heidi Pronk, Kon Vourtzoumis
Strutture/Structural engineering: Meinhardt
Illuminotecnica/Lighting: Webbs
Estimo/Cost planning: DCWC
Acustica/Acoustics: Bassetts
VRML: Nexus Landscape Consultants
Progettazione paesaggistica/Landscape design: Vic Roads
Costruzione/Construction: Abi Group
Sistemazione paesaggistica/Landscape construction:
Eco Dynamic
Committente/Client: Vic Roads
Costo/Cost: A$ 16 milioni/million (per la barriera antirumore
e il ponte/for the noise attenuation and the bridge)
Progetto/Design: 2003
Completamento/Completion: 2005
Ottobre October 2005 domus 121
 Innesto d’arte Art Graft Koo Jeong-A

”
Koo Jeong-A Senza titolo ”
Koo Jeong-A Untitled

casa house
cerniera zip
casa casa
ousssa ousssa
rifugio bunker
stanza room
studio studio
armadio closet
capanno hut
chilocaloria therm
terrazza terrasse
caverna cave
grotta grotto
salone salon
tenda da campeggio tent
yacht yacht
sotto un albero di fico under a fig tree
pentola pot
auto da campeggio camping car
rolls royce rolls royce
una candela a candle
autobus bus
motorino scooter
nelle tue braccia in your arms
cima della collina top of the hill
montagna mountain
rododendro rhododendron
foresta di pini rossi red pine tree forest
ombrello umbrella
specchio mirror
monte rosa monte rosa
tenda curtain
poltrona arm chair
mai sarà capito ever gonna understand
onda wave
inferno hell
aeroplano airplane
algometrico algometric
mar rosso red sea

” ”
Koo Jeong-A è nata a Seoul nel 1967 ma vive e lavora a Parigi. Le sue
installazioni, poeticamente focalizzate su elementi e materiali quasi
insignificanti della vita quotidiana, in realtà alludono a temi dell’arte
concettuale e della performance.
Jeong-A ha esposto i propri lavori al Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris
(1994 e 1997), al Moderna Museet di Stoccolma (1998) e al Centre Georges
Pompidou di Parigi (2004), tra gli altri. Tra le mostre collettive ricordiamo:
la Biennale di Venezia (1995, 2001 e 2003), la Biennale di Kwangju (1997),
l’International Triennale of Contemporary Art di Yokohama (2001)
e la Biennale di Sydney (2004).
Koo Jeong-A was born in Seoul on 1967 but she lives and works in Paris.
Her installations allude to the histories of Performance and Conceptual
art while poetically highlighting seemingly unimportant everyday items
and materials.
Jeong-A has had solo exhibitions at the Musée d'Art Moderne de la Ville
de Paris (1994 and 1997), Moderna Museet in Stockholm (1998), and
Centre Georges Pompidou in Paris (2004), among other venues. Among
the group exhibition we remember: the Venice Biennale (1995, 2001 and
2003), Kwangju Biennale (1997), International Triennale of Contemporary
Art in Yokohama (2001) and Biennale of Sydney (2004).
Ottobre October
Post-it 10
Libri/Books

Libri Books
A cura di/edited by Gianmario Andreani
Quesiti ancora aperti
su Piacentini
Queries are still open
on Piacentini
Architetture di Marcello Piacentini.
Le opere maestre
Mario Pisani
Con una prefazione di Sandro Benedetti
Clear, Roma 2004 (pp. 148, ¤ 29,00)
Tra le due guerre la figura di Marcello
Piacentini era notissima; il suo ruolo di
organizzatore della cultura architettonica,
dispensatore di incarichi, arbitro di
concorsi, stava alla pari con quello di
architetto; le sue opere erano altrettanto
conosciute, anche fuori dai confini
nazionali. Dopo la guerra le frange
progressiste della critica ne decretavano la
condanna, morale e culturale, sancendo
un ostracismo che, di fatto, non trovava
una reale rispondenza nei ruoli e nelle
attività che l’architetto continuerà ad
esercitare fino alla sua morte, avvenuta
nel 1960.
“Marcello Piacentini: morì nel 1925”,
titolava Bruno Zevi su L’Architettura
cronache e storia (n. 58, 1960)
all’indomani della morte dell’architetto,
impostando, con l’acuta parzialità critica
che lo contraddistingueva, la duratura
immagine storiografica di Piacentini.
Prima come rinnovatore del gusto
architettonico nazionale, sull’orizzonte
francese, tedesco e austriaco; mentre
dopo il 1925 le sue opere, secondo le
parole di Zevi: “rimangono vistose e
tristemente note. Nella storia del costume,
riflettono la dittatura fascista, ne sono
l’emblema […], una sequenza di folle
retorica e cinismo”. L’equazione tra
l’architettura di Piacentini e l’ideologia
fascista cristallizzava in maniera definitiva
una realtà dai confini ben più incerti e
contraddittori.
Porre una stretta relazione tra forme
dell’architettura e ideologia – fascista o di
altra natura politica o etica che fosse – era
esattamente quello che Piacentini aveva
strenuamente cercato di evitare. Fin dal
suo fortunatissimo volume Architettura
d’oggi (Roma 1930), l’obiettivo era stato
quello di porre una mediazione tra le
correnti avanguardiste e quelle
conservatrici della cultura architettonica,
cercando un punto di equilibrio bilanciato
dalle diverse occasioni in cui era più o
meno lecito l’utilizzo di un determinato
linguaggio.
La cultura architettonica, nelle intenzioni
di Piacentini, doveva essere dibattuta in
un ambito strettamente disciplinare.
Quello che l’architetto tentava di
perseguire, non solo con la sua azione
diretta, ma anche attraverso le riviste –
Architettura è dal 1932 sotto la sua
direzione – e il suo ruolo accademico, era
lo sviluppo e la diffusione di un linguaggio
architettonico appropriato e dignitoso;
memore delle tradizioni ma non ignaro
dell’avanguardia; adatto ad un livello
tecnologico consueto; esente – nella sua
accezione diffusa – dal perseguire la
130 domus Ottobre October 2005
soluzione eccezionale e attento piuttosto
a fornire un modello facilmente
trasmissibile.
Alcuni di questi obiettivi erano del resto
comuni agli schieramenti più
intransigenti dell’avanguardia;
soprattutto quello di un linguaggio
comune e diffuso era uno degli elementi –
pur secondo differenti modelli ideali –
che tentava di perseguire Giuseppe
Pagano. E proprio tale prerogativa
costituirà il terreno di confronto tra
Piacentini (che certo vi aggiunge il peso
del suo forte potere di contrattazione) e
l’architetto istriano, e con la generazione
dei giovani architetti sostenuti dallo
stesso Piacentini, dei quali, non bisogna
dimenticarlo, facevano parte anche
Giovanni Michelucci e Luigi Piccinato.
Ma la differenza tra Pagano, o un
intellettuale prestato all’architettura
come Pier Maria Bardi, e Piacentini, era
proprio la volontà di legare
indissolubilmente un linguaggio formale
– e per i primi due si tratta del
razionalismo – a un significato politico;
Bardi fu addirittura autore del
celeberrimo pamphlet Rapporto
sull’architettura per Mussolini (Roma 1931)
in cui si auspicava dal regime la chiara
legittimazione di una determinata “arte
di stato”, ovvero fascista. Piacentini
polemizzerà con i conservatori a oltranza,
sarà attaccato dai modernisti più rigorosi,
ma troverà sempre una strategia d’azione
in cui elaborare il proprio progetto. Si
riserverà spesso l’intervento in aree
centrali delle città italiane – come a
Brescia, Torino, Genova – con un ben
determinato linguaggio formale, ma
appoggerà Michelucci e il Gruppo Toscano,
per esempio, nella realizzazione della
stazione di Firenze (1932-35) e chiamerà
altri architetti, tra cui lo stesso Michelucci
e ancora Pagano, per la città universitaria
di Roma (1932-35).
Gli ultimi anni del regime, a partire dal
1938, con la vicinanza sempre più
incombente della Germania, la
promulgazione delle leggi razziali,
l’autoritario giro di vite che il fascismo
impose alla nazione, determinarono
cambiamenti profondi. Nel dopoguerra
sotto la connotazione di “architettura
fascista” venne riconosciuta con fastidio
quella retorica ufficiale e monumentale
che spesso aveva visti Piacentini tra i suoi
fautori. Quella che era stata
un’aspirazione della gran parte degli
architetti tra le due guerre – essere gli
architetti del fascismo – venne ricondotta
solo all’immagine più superficialmente
legata a quel periodo. E Piacentini, che
aveva cinicamente usato il suo rapporto
col regime per garantirsi il potere
necessario a compiere il suo progetto
disciplinare, venne identificato come un
forte sostenitore ideologico del fascismo.
La complessità del ruolo di Piacentini è del
tutto assente nel lavoro che Mario Pisani
dedica alle opere maestre dell’architetto
romano. Il volume, che non è certo un
testo pionieristico sull’opera di Piacentini,
non si sofferma minimamente sul ruolo di
organizzatore della cultura architettonica
strenuamente perseguito dal suo
protagonista. In questo senso rimane di
gran lunga più ricco di suggerimenti
l’ormai non recente testo di Mario Lupano
Marcello Piacentini (Roma-Bari 1991),
piuttosto che l’ancora più datato ma
sempre autorevole volume di Giorgio
Ciucci Gli architetti e il fascismo (Torino
1989) o il più recente testo di Paolo
Nicoloso Gli architetti di Mussolini (Milano
1999).
Del tutto assente anche il tema della
responsabilità politica dell’architetto, sul
quale si era soffermato Sandro Scarrocchia
in Albert Speer e Marcello Piacentini
(Milano 1999), anche se l’ambiguo titolo
del volume – un espediente retorico per
argomentare il confronto – celava la
realtà di due situazioni ben differenti.
Poco indagato anche il tema del rapporto
di Piacentini con la cultura tedesca e
austriaca, che sostanziava il volume di
Arianna Sara De Rose Marcello Piacentini.
Opere 1903-1926 (1995).
L’attenta cura grafica e redazionale del
volume non supplisce alla mancanza di
nuovi apporti – critici, documentari e
bibliografici – sugli edifici presi in esame
da Pisani. Finanche la scelta delle opere
maestre lascia qualche dubbio, dal
momento che sono stati inclusi lavori di
modesta entità – come La Quirinetta
(1925) o la villa Piacentini alla Camilluccia
(1930-32), entrambe a Roma – e sono
invece assenti importanti lavori come
quelli di piazza della Vittoria a Brescia
(1928-32), del secondo tratto di via Roma a
Torino (1934-38) o del grattacielo di piazza
Dante a Genova (1937-41).
Inoltre se una delle possibili chiavi di
indagine si sarebbe potuta concentrare
sull’attività strettamente progettuale di
Piacentini – rifacendosi anche
simbolicamente alla sua provocatoria
‘indifferenza’ ideologica – perché
limitarla a queste poche opere e
soprattutto senza chiedersi qual era il
ruolo effettivo di Piacentini? Qual era il
suo grado di partecipazione a uno sforzo
progettuale ripartito su una grande mole
di lavoro, gestita contemporaneamente
dai più studi aperti dallo stesso architetto?
Quanti e quali erano i suoi collaboratori
nell’attività professionale? Quesiti che il
volume non pone minimamente,
appellandosi ad una sorta di necessaria
revisione di giudizio sull’opera di
Piacentini, per sottrarlo a un presunto
oblio di cui sostanzialmente l’architetto
non è mai stato vittima.
Roberto Dulio
Architetto
Between the two World Wars,
Marcello Piacentini’s fame was very
widespread. His different roles as an
organizer of cultural architectural
activities, a distributor of commissions
and a judge of competitions stood on a
par with his role as an architect. His work
was well-known even beyond Italy’s
national boundaries. After the war, critics
belonging to the progressive fringe
announced their moral and cultural
disapproval of Piacentini, sanctioning his
ostracization in a way that, compared to
the facts, did not correspond to the reality
of his functions and the professional
activities that he continued to exercise
until his death in 1960.
“Marcello Piacentini: morì nel 1925”
(“Marcello Piacentini Died in 1925”) was
the title Bruno Zevi chose for his article in
L’Architettura cronache e storia (Issue 58,
1960), written the day after Piacentini’s
death. With the acute critical partiality
that was characteristic to him, Zevi laid
the foundations for a historiographic
image of Piacentini that lasted. First, he
was a renovator of Italy’s taste in
architecture by opening it up to exposure
from France, Germany and Austria. Then,
according to Zevi, after 1925, Piacentini’s
work “became grandiose and acquired a
bad reputation. In Italy’s history of
usages, his work reflects the fascist
dictatorship and is its emblem […]: a
sequence of insane rhetoric and
cynicism.” The equation between
Piacentini’s architecture and fascist
ideology crystallized conditions that had
very uncertain and contradictory
borderlines, in a definitive way.
Setting up a close relationship between
the forms of architecture and an ideology
(be it fascist or of another political or
ethical nature) was exactly what
Piacentini had courageously tried to
avoid. Since his successful book
Architettura d’oggi (Rome, 1930), his
objective had been to bring mediation
between avant-garde and conservative
currents in architectural culture, seeking a
point of equilibrium that was balanced by
the different occasions upon which it was
more or less legitimate to use a
determined language.
In Piacentini’s intentions, architectural
culture was strictly to be debated in a
disciplinary sphere. The goal that
Piacentini tried to pursue, not only by
means of his direct actions, but also
through magazines (Architettura was
under his direction from 1932) and his
academic work, was the development
and circulation of an appropriate and
dignified architectural language
(respectful of tradition but not
unacquainted with the avant-garde),
suited to the customary level of
technology, absent (in its diffused
meaning) from the quest for exceptional
solutions and, instead, more focused on
furnishing an easily transmittable model.
Several of these objectives were common
to the more intransigent formations of the
avant-garde, however. Especially the one
of building a common and wide-spread
language was a direction that Giuseppe
Pagano tried to follow, albeit along
different ideological lines. And it was
precisely this prerogative that constituted
the battlegrounds between Piacentini
(who certainly had the added weight of
his powerful negotiation skills) with the
Istrian Pagano and with the generation of
young architects that Piacentini himself
supported, to which, we mustn’t forget,
also Giovanni Michelucci and Luigi
Piccinato belonged.
But the difference between Pagano (or
another figure, an intellectual who lent
himself to architecture: Pier Maria Bardi)
and Piacentini was precisely the desire to
indissolubly link a formal language (and
for the former two, it was rationalism) to a
political meaning. Bardi was the actual
author of the famous pamphlet Report on
Architecture (Rapporto sull’Architettura)
for Mussolini (Rome, 1931), through which
the regime wished for a clear
legitimization of a determined “State art”,
meaning fascist. Piacentini polemicized
with conservatives to the bitter end. He
was attacked by the more stringent
modernists, but always found a strategy of
action that allowed him to elaborate his
projects. He frequently reserved for
himself projects in the central parts of
Italian cities, like in Brescia, Turin and
Genoa, which he executed with a well-
determined formal language. But he
backed Michelucci and the Gruppo
Toscano, for example, in the building of
the train station in Florence (1932-35) and
called in other architects (Michelucci and
Pagano, among others) to design the
university city of Rome (1932-35).
The last years of the regime, from 1938 -
with Germany’s increasingly impending
presence, the promulgation of racist laws,
the authoritarian rigidity that fascism
imposed on the country – brought about
profound changes. After the War, it was
with dislike that the official and
monumental rhetoric that often counted
Piacentini among its promoters was
recognized to have the connotation of
“fascist architecture”. What had been the
aspiration of most architects between the
two Wars – to be the architects of fascism
– was reduced only to an image that was
superficially tied to that period. And
Piacentini, who had cynically used his
relationship with the regime to guarantee
himself the necessary power to achieve his
disciplinary aims, was identified as a
strong ideological supporter of fascism.
The complexity of Piacentini’s role is
completely absent in the publication that
Mario Pisani dedicates to the opere
maestre (most important works) of this
Roman architect. The book, which is
certainly not a pioneering text on
Piacentini’s work, does not at all consider
the role of organizer of architectural
culture that his subject so bravely
pursued. In this sense, the by now not-
so-recent writings by Mario Lupano in
Marcello Piacentini (Rome-Bari, 1991) are
far richer in contemplation, as are the
even older writings by Giorgio Ciucci in Gli
architetti e il fascismo (Turin, 1989), or
those by Paolo Nicoloso in his more recent
Gli architetti di Mussolini (Milan, 1999).
The issue of the architect’s political
responsibility is another element that is
entirely missing in Pisani’s book. Sandro
Scarrocchia took this subject into
consideration in Albert Speer e Marcello
Piacentini (Milan, 1999), although the
book’s ambiguous title – a rhetoric
expediency to discuss the comparison –
hid the reality of their two completely
different situations. Also the relationship
that Piacentini had with German and
Austrian culture is little explored, a theme
that substantiated the book Marcello
Piacentini. Opere 1903-1926 (1995) by
Arianna Sara De Rose.
The careful crafting of the book’s graphics
and editing does not make up for its lack
of fresh critical, documentary and
bibliographic contributions pertaining to
the buildings that Pisani examines. Even
his choice of the opere maestre leaves
some doubt. Work of modest entity was
included, such as La Quirinetta (1925) and
the villa Piacentini at Camilluccia (1930-32)
– both in Rome – and on the other hand,
some important work is not featured in
the book, such as the Piazza della Vittoria
in Brescia (1928-32), the second part of the
Via Roma in Turin (1934-38) and the high-
rise on Piazza Dante in Genoa (1937-41).
Moreover, even if one of the possible keys
to examining Piacentini could have been
to concentrate strictly on his projects
(which might have worked as a symbolical
excuse for Pisani’s provocative ideological
“indifference”), why would he limit this
examination to these few buildings? And
especially, why would he do so without
asking himself what Piacentini’s effective
role was? What was his level of
participation in a design effort that was
spread out over a great mass of work,
contemporaneously managed by several
offices founded by the same architect?
How many collaborators did he have in his
professional practice and who were they?
These are the queries that his book does
not satisfy in the least, appealing as it
does to some kind of needed revision of
the judgment of Piacentini’s works
in order to relieve him from a presumed
oblivion of which substantially this
architect was never a victim.
Roberto Dulio
Architect
Imparare da Montréal
Learning from Montréal
The 60s: Montréal Thinks Big
A cura di André Lortie
CCA-Douglas & McIntyre, Montréal-
Vancouver-Toronto 2004
(pp. 216, $ cad 55.00)
In un articolo intitolato Downtown in 3D,
pubblicato nell’estate 1959 su
Architectural Forum, Peter Blake scrisse
che Montréal stava per diventare “la
prima città del XX secolo in nord America”
grazie non soltanto alla sua rete di negozi
sviluppati su più livelli, ai suoi sistemi di
trasporto e ai suoi percorsi pedonalizzati
ma anche alla “felice combinazione di
pianificazione scientifica, iniziativa
privata e fortuna”. Oltre quindici anni
dopo, nel 1975, scrivendo di
Megastructures, Reyner Banham ritenne
che, grazie anche a operazioni come
Habitat 67, era ormai possibile parlare di
megacity Montréal.
A chi visita oggi la splendida città sulle rive
del San Lorenzo riesce forse difficile
scorgere tali caratteri. La storia politica ed
economica del Canada (e del nord
America) ha portato al centro
dell’attenzione internazionale Toronto,
città dove si sono concentrati i maggiori
investimenti degli ultimi decenni.
Montréal è stata tenuta lontana da questi
processi di sviluppo (con le buone o con le
cattive) e, tuttavia, è riuscita a coltivare
un’identità assai vitale, frutto della
commistione di lingue e culture diverse,
così come dell’energico intervento
d’imprese pubbliche e private che fanno
capo a élite assai più diversificate di
quanto farebbe intuire il pessimo luogo
comune di una città in mano a francofoni
antimoderni. Per constatare quanto
rimane degli anni Sessanta, nonostante le
trasformazioni successive, basta prendere
il métro e scendere a una delle stazioni del
centro, Peel ad esempio, testimonianza
d’un eccezionale sforzo di
modernizzazione, per alcuni versi
incompiuto, per altri ancora oggi
esemplare.
Prodotto in occasione d’una ricca
esposizione su questi anni gloriosi,
patrocinata nei mesi scorsi dal Centre
Canadien d’Architecture (CCA), il volume
curato da André Lortie, montréalais di
nascita e francese d’adozione, racconta
bene una storia dai molteplici attori, dagli
sviluppi non banali. Aperto e chiuso da
fotografie aeree di Olivo Barbieri, che
paiono descrivere la città come una sorta
di terrain vague su cui poggiano modellini
di plastica un po’ avveniristici un po’
ingenui, il libro alterna saggi critici a
schede documentarie, utili per fissare dati
cronologici, quantitativi, topografici e
prosopografici.
Un’introduzione di Phyllis Lambert,
direttore fondatore del CCA (ma, in via
indiretta, anche protagonista di talune
vicende narrate), segna le tappe d’uno
sviluppo che, a tratti, appare poco meno
che trionfale. Tali ottimismi paiono
temperati dal saggio del sociologo Marcel
Fournier che, anticipando agli anni
Cinquanta la scintilla del rinnovamento,
Ottobre October 2005 domus 131

riapre la questione del valore che ha
avuto, per Montréal e il Québec, la
cosiddetta révolution tranquille, processo
pacifico di rinnovamento della società e
delle culture, ormai con le dimensioni del
mito storiografico, che ha visto la
definitiva affermazione di borghesie
urbane affrancate dal potere della Chiesa
cattolica anche (ma non soltanto, insiste
Fournier) grazie al ruolo di ceti intellettuali
e artistici in precedenza meno attivi o
visibili.
André Lortie s’è assunto il compito di
scrivere il saggio di maggior impegno nel
volume, con intelligenza intitolato alle
“singolarità d’un archetipo
metropolitano”. In particolare, l’autore
rileva l’ampiezza dello spettro degli
interventi urbani. La quantità di
interventi è impressionante: dalla
periferia al centro, dalle infrastrutture
viarie alla città commerciale sotterranea,
dall’internazionalismo apparentemente
facile del business district di Place Ville
Marie alla difficile corporate identity del
Complexe Desjardins, dall’utopia sociale
delle case a buon mercato Jeanne-Mance
all’ambiziosa operazione culturale di
Place des Arts, fino all’evento dell’Expo 67,
con accluso il complesso residenziale
Habitat 67 di Moshe Safdie, forse tra le
icone più resistenti dell’architettura
occidentale nel secondo Novecento.
Lortie, tuttavia, è attento a tener distinte
le due sponde del fiume, i luoghi
dell’esposizione dagli spazi della città,
accentuando soprattutto di quest’ultima
l’importanza delle trasformazioni. Grazie
all’intreccio di “planned use, social
practices and image”, di “pragmatism
and theory”, le megastrutture di
downtown riescono ad acquistare una
credibilità che in nessun altro contesto le
sperimentazioni dei vari Peter Cook, Zvi
Hecker o Yona Friedman avevano
raggiunto. “Quel che accadde a Montréal
fu del tutto eccezionale”, conclude lo
studioso, accennando peraltro alla breve
durata di tali processi.
A quest’analisi segue nel volume
l’inconsueta trascrizione d’un dibattito a
tre voci – del curatore medesimo, di Jean-
Louis Cohen e di Michael Sorkin – svoltosi
il 17 febbraio 2004 e intitolato, con
esplicito e ironico riferimento all’opera di
Venturi, Learning from Montréal. Le idee
sono molte, così come le immagini e le
intuizioni intelligenti: ciò nonostante,
forse, i tre convenuti avrebbero potuto
trarre qualche conclusione in più
dall’analisi d’un lungo decennio che, se
ha portato Montréal da città a metropoli, è
132 domus Ottobre October 2005
stato poi in fretta dimenticato o
contraddetto nelle sue spinte più
innovative. Alla fine degli anni Sessanta la
città sembrava destinata a proseguire
lungo una traiettoria di sviluppo con pochi
confronti, e invece entrò – ma per quali
motivi, interni o esterni? – in una fase di
declino lento, anche se mai traumatico. Le
promesse, in effetti, furono mantenute
soltanto in parte: per misurare la distanza
tra città desiderata e città realizzata, basta
soltanto visitare in sequenza l’area
dell’Expo 67 e quel che rimane del parco
per le Olimpiadi del 1976 che, nonostante
gli sforzi di riabilitazione recenti, rimane
un monito terribile per tutte le
amministrazioni che credono di
modernizzare le città solo attraverso la
moltiplicazione dei grandi eventi.
Un cenno finale merita l’apparato
iconografico del volume, di straordinaria
ricchezza, distribuito lungo quattro filoni
tematici (Struttura e società, Luoghi e
attori, Percezioni, Expo 67). È una
ricostruzione ammirevole, che non
soltanto di per sé (ri)apre fertili traiettorie
di ricerca – innanzi tutto, sulla
circolazione dei modelli architettonici e
urbani della tarda modernità – ma
restituisce anche la varietà e vastità delle
immagini statistiche, letterarie, artistiche
di Montréal anni Sessanta, grazie a
numerosi fondi archivistici e bibliotecari,
in particolare a quelli leggendari del CCA,
miniera inesauribile per provare a
costruire una storia non soltanto
morfologica o figurativa, ma finalmente
culturale della (o delle) città.
Sergio Pace
Professore di Storia dell’architettura al
Politecnico di Torino
In an article entitled “Downtown in
3D”, published in summer 1959 in
Architectural Forum, Peter Blake wrote
that Montreal was about to become “the
premiere 20th-century city of North
America”, not only for its multi-level
stores, transportation systems and
walking streets, but also for its “felicitous
combination of scientific planning,
private initiative and luck”. In 1975, over
fifteen years later, Reyner Banham wrote
in his book on Megastructures that,
thanks to projects like Habitat 67, it was
possible to define Montreal as a Megacity.
To those visiting this splendid city on the
banks of the Saint Lawrence River, it might
prove difficult to see what Blake and
Banham were talking about. Canada’s
political and economic history (and that of
the United States) made the city of Toronto
become the center of international
attention, and this is where the largest
investments of recent decades have
gravitated. Montreal was held back from
these developmental processes (either by
its own choice or because it was forced to),
but nonetheless found itself in the
circumstances to cultivate quite a
vivacious identity. This was a result of the
mixing of different languages and
cultures, and the injection of
entrepreneurial energy from public and
private companies led by elites that are
quite a bit more diversified than would
appear from the city’s negative stereotype
as a place that is in the hands of anti-
modern French-speaking individuals. To
see how much remains of the ’60s,
despite successive transformations, it is
enough to take the métro and get off at
one of the central stations. Peel, for
instance, testifies to an exceptional effort
in modernization – one that in some ways
is incomplete and in other ways still
exemplary today.
This book, edited by André Lortie, was
produced on the occasion of an
impressive exposition illustrating these
glorious years, presented by the Canadian
Center for Architecture (CCA). Lortie, who
was born in Montreal but teaches in
France, tells the story well. Its players are
many and its implications never trite. The
book begins and ends with aerial
photographs by Olivo Barbieri, depicting
the city as a kind of terrain vague upon
which little plastic models are placed that
are half futuristic and half naïve. Critical
essays are alternated with documentary
charts that establish chronological,
quantitative, topographical and
prosopographical data in an efficient way.
An introduction written by Phyllis
Lambert, the CCA’s founding director and
(indirectly) a protagonist of several of the
narrated issues, revisits the phases of the
city’s development, which at times comes
across as being only slightly short of
triumphant. This optimism is somewhat
tempered in an essay written by
sociologist Marcel Fournier, who, in
tracing the city’s spark of renewal back to
the ’50s, re-addresses the issue of what
the so-called Quiet Revolution (Révolution
Tranquille) meant for Montreal and
Quebec. This peaceful renewal process
changed their society and cultures, and
has now taken on the dimensions of a
historiographic legend that saw the rise of
the urban middle class freed from the
power of the Catholic church, partly (but
not only, insists Fournier) thanks to the
role that intellectual groups and artists
started to play and who were formerly less
active or less visible.
André Lortie took on the task of writing the
most wide-ranging essay, dedicated to
intelligently exploring the “singularities of
a metropolitan archetype”. In particular,
the author reviews the far-reaching scope
of Montreal’s urban-development
operations. Their quantity is impressive –
from the periphery to the center, from
infrastructural roads to the city’s
underground commercial area, from the
seemingly easy internationalism of the
business district of Place Ville Marie to the
difficult corporate identity of the
Complexe Desjardins, from the low-cost
social-housing utopia of the Habitations
Jeanne-Mance to the ambitious cultural
operation of Place des Arts, all the way up
to the Expo 67 event that featured the
residential complex “Habitat 67” by
Moshe Safdie, which might be one the
most durable icons of western
architecture in the second half of the 20th
century.
However, Lortie is careful to distinguish
between the two sides of the river, the
exposition places and the city spaces,
especially accentuating the importance of
the latter’s transformations. Thanks to the
interweaving of “planned use, social
practices and image” and “pragmatism
and theory”, Montreal’s downtown
megastructures were able to acquire a
level of credibility that experiments by
designers with the caliber of Peter Cook,
Zvi Hecker and Yona Friedman did not
reach in other contexts. “What happened
in Montreal was entirely exceptional”,
concludes scholar Lortie, although he
alludes to the short duration of this
process.
Following this analysis, the book features
an unusual kind of transcription: a three-
way round-table discussion between the
exhibition’s curator Lortie, Jean-Louis
Cohen and Michael Sorkin. Their
discussion took place on February 17th
2004 and, in explicit and ironic reference
to Venturi’s book, was called Learning
from Montreal. Ideas abound, and so do
imagery and intelligent intuition. Despite
this, the three participants could have
possibly come to a few more conclusions,
based on the analysis of a long decade
that not only brought Montreal from being
a city to a metropolis, but also was quickly
forgotten and contradicted in its most
innovative thrusts forward. At the end of
the ‘60s, the city seemed destined to
pursue a developmental trajectory that
was beyond comparison. Instead, it
headed into a phase of slow and
untraumatic decline. Why? For internal or
external reasons? Promises were only
partly kept. In order to measure the gap
between the city aspired to and the city
built, one might first visit the Expo 67
grounds and then what remains of the
1976 Olympic park. The latter, despite
recent rehabilitation efforts, remains a
terrible admonition for all administrations
that believe that cities can be modernized
by the sole multiplication of large events.
The extraordinary richness of the book’s
illustrations deserves a final mention.
They are divided into four main topics: the
structure of the city and its society; specific
places and the personalities that played a
role there; literary perceptions of Montreal
and Expo 67. This admirable
reconstruction not only (re)opens fertile
paths for research (the circulation of
architectural and urban planning models
from the latter part of the modern age, for
one), but also illustrates the variety and
vastness of statistic, literary and artistic
impressions of Montreal from the ’60s,
thanks to numerous archival and library
funds - in particular the legendary CCA
funds: an inexhaustible goldmine in the
attempt to construct the different parts of
Montreal’s morphological and figurative
history as part of a complex cultural
phenomenon.
Sergio Pace
Professor of History of Architecture at the
Turin Polytechnic
Ferrater tra meccanismi
formali e radici culturali
Ferrater: Formal
Mechanisms and
Cultural Roots
Carlos Ferrater. Recent work
2G, n. 32, 2004
Editorial Gustavo Gili, Barcelona (pp. 144)
Carlos Ferrater, una delle figure
professionali più significative del pur
ampio panorama culturale catalano
contemporaneo, articola una posizione
sull’architettura che è nel contempo
punto di arrivo di fili tesi da alcuni suoi
predecessori e nucleo generativo di
posizioni culturali e professionali di una
serie di giovani e giovanissimi architetti
catalani, come ad esempio lo studio
Aranda Pigem Vilalta. L’ampio ed
approfondito saggio critico di Josep Maria
Muntaner suddivide in quattro parti la
produzione architettonica di Ferrater,
enumerando contenitori, morfologie
urbane, volumi e strade, paesaggi
frammentari. Esse non costituiscono una
sequenza di maturazione della teoria e
dell’opera, perché non sono disposte in
successione temporale, ma definiscono
una sorta di ‘motori’ differenziati della
genesi progettuale che si alternano
oppure vengono utilizzati
contemporaneamente; Muntaner li
definisce, con efficacia, “meccanismi
formali”. Pur non potendo essere
classificata come eclettica, l’architettura di
Ferrater alterna infatti la frammentazione
dei volumi e delle facciate alla gestione
stereometrica delle volumetrie, la sotto-
costruzione dei suoli artificiali alla
giustapposizione dei volumi puri nello
spazio. Ciò che coordina in un’unica
poetica questi nuclei è il rapporto con la
fisicità dell’opera e dei contesti, con la
costruzione e con i materiali che
nell’autore catalano sono sempre austeri
e poco inclini a declinazioni
estemporanee. Un perfetto esempio di
questo atteggiamento è rappresentato
dalla realizzazione del Giardino Botanico
di Barcellona e della sede dell’Istituto
Botanico. Mentre il giardino si articola per
parti e frammenti triangolari, determinati
sia dai percorsi pedonali che da una
sapiente movimentazione ‘artificiale’
dell’altimetria del terreno, l’Istituto è
costituito da un volume lineare, molto
asciutto, caratterizzato dalla presenza di
una parte in aggetto, rivestita di legno
scuro e sostenuta da volumetrie
retrostanti in cemento a vista, che
sovrasta e guarda l’intero complesso
botanico. Potremmo azzardare l’ipotesi
che, come Le Corbusier accostava ai
volumi puri gli oggetti a reazione poetica
come le promenades architecturales
oppure i volumi plastici, così Ferrater
alterna frammento e stereometria,
sempre all’interno di quel complessivo,
rigoroso, esprit de système fondato sulla
fisicità dell’architettura che non lo
abbandona mai. Seguendo la tassonomia
delineata da Muntaner possiamo
individuare nel ‘meccanismo’ del
‘contenitore’ o meglio del gioco
stereometrico dei volumi “sous la
lumière” il richiamo alla radice della
tradizione razionalista e modernista. Le
opere più significative di questa
persistenza sono gli studi cinematografici
a San Just Desvern, Barcellona, del 1997,
che risentono fortemente della tradizione
del razionalismo catalano prebellico,
segnatamente del GATCPAC, ed il Club
nautico di Girona, del 1991. Il nucleo
generativo morfo-tipologico è utilizzato
da Ferrater nella progettazione dei grandi
insiemi urbani, come nei tre isolati per la
Villa Olimpica di Barcellona del 1992 ed, in
generale, ogni qual volta l’architettura
coinvolga di fatto e strettamente il
rapporto con la forma urbana compatta.
La terza linea indicata da Muntaner è
rappresentata dalla giustapposizione di
volumi semplici coordinati da assi di
percorrenza, come il Real Club de Golf di
Terrasa, realizzato nel 2004, sistema
articolato di padiglioni, vagamente
miesiani, connessi da un asse centrale. Il
quarto ‘meccanismo’, i paesaggi con
volumi frammentati, è forse il più
affascinante ed è utilizzato quando
l’architettura è posta in diretto contatto
con una ‘natura’ che viene re-
interpretata ed artificializzata attraverso
gli strumenti della progettazione
architettonica. In questo caso avviene che
l’edificio si faccia paesaggio, ma anche, al
contrario, che il paesaggio si faccia
architettura. L’esempio più clamoroso,
purtroppo non realizzato, è costituito dal
progetto di rimodellazione della parte
culminale del Montjuic, a Barcellona.
Esso, basato sulla definizione di linee di
forza che innervano triangolazioni del
terreno, rinvia a molte suggestioni: dalla
Alpine Arkitektur di Taut alle prime
cartografie territoriali basate
sull’applicazione delle triangolazioni. Un
progetto più recente che prosegue la
stessa linea operativa è costituito dal
Concorso per il Museo delle Confluenze a
Lione, del 2000, nel quale il reticolo che
ordina e dispone i frammenti, che
Muntaner definisce spazi frattali, si
articola su tre dimensioni, dando luogo a
spazi aperti, semi-aperti e chiusi.
L’intento è di “monumentalizzare il
luogo” invece che “cancellarlo dietro un
edificio monumentale”, disponendovi
una griglia ordinatrice, anch’essa
tridimensionale, formata da “muri
piegati” che delimitano e scandiscono
questa sorta di grande spazio interno-
esterno. La monografia raccoglie ed
illustra ampiamente una serie di progetti
e realizzazioni di Ferrater delle quali
sembra opportuno citare le principali e
più recenti. Il Centro di servizi sociali posto
all’interno di un tipico isolato urbano
barcellonese tra le vie Ali Bei e Roger de
Flor, del 2003, recupera a percorso
pedonale interno il tracciato della vecchia
carretera di Horta ed inserisce, come
articolazione verticale volumetrica del
patio interiore, un edificio molto leggero e
luminoso che si integra nella trama
quadrangolare che scandisce la sequenza
delle pavimentazioni. Esso vive di un
raffinato trattamento della luce, per il
quale l’interno appare luminoso e guarda,
dal basso verso l’alto, gli edifici circostanti
attraverso ampie vetrate orizzontali,
mentre dall’esterno è percepito come uno
spazio chiuso per il quale Ferrater inventa,
sul lato principale, un pan de verre
alquanto misterioso, chiuso totalmente
da pannelli verticali di giorno ma aperto
di notte sullo spazio interno come una
sorta di lanterna prismatica. L’edificio di
abitazioni e studio di architettura situato
in Carrer Balmes, nel pieno della Ensanche
de Cerdá, interpreta il tradizionale edificio
entre medianeras - facciata stretta e corpo
edilizio allungato verso il patio interno e
inserito tra le altre costruzioni - in
maniera esemplare. Il fronte principale,
su strada, è interpretato attraverso la
costruzione di una sorta di pre-facciata
composta da pannellature di vario genere
e materiali, alternate, che precede i
serramenti e gli apparati di chiusura e
protezione dalla luce. I pannelli, alti un
piano e modulati orizzontalmente
secondo un ritmo sincopato, sono in
grigliato ligneo, chiaro, in pietra grigia,
dalla superficie trattata e cangiante, e in
vetro quelle esposte alla strada e alla luce,
a parte il piano terreno e il mezzanino che
sono trattati al contrario con ampie
superfici vetrate. L’insieme genera un
senso di dinamicità e,
contemporaneamente, di tranquillità.
Dall’interno la sequenza delle
pannellature differenziate costruisce un
meraviglioso gioco di luci ed ombre, di
sottili fessurazioni e di grandi superfici.
Anche le tradizionali chiostrine - patii
interni ridotti e chiusi tra i muri
dell’edificio - sono reinterpretate come
giardini segreti, delimitati da ampie
vetrature. È infine doveroso segnalare un
progetto di concorso che articola
dinamicamente il paesaggio urbano, il
waterfront di Benidorm, Alicante, del
2002. La passeggiata a mare è tutta in
cemento bianco ed incorpora anche gli
elementi dell’arredo urbano ed i
dispositivi di connessione con la spiaggia.
La sequenza di livelli e di piani sovrapposti
e l’andamento ondeggiante del fronte
marittimo generano secondo Ferrater un
insieme di “superfici alveolate e morbide
che creano luci ed ombre”. Esso definisce
una soglia dinamica che si interpone,
anche verticalmente, tra la battigia e il
fronte urbano. Il confronto con il Passeig
Marítim barcellonese è inevitabile.
Ottobre October 2005 domus 133
‘Entrambi definiscono un eccellente
waterfront, più composto ed urbano,
palme permettendo, quello di Barcellona,
più dinamico e divertente quello di
Benidorm. Per concludere, può essere
utile citare, per ripensarla e meditarla,
una frase inserita, in fondo alla
monografia, nei Retazos, letteralmente
frammenti, pezzetti: Buscar el momento
cuando la forma se establece y cómo su
desarrollo aleatorio puede hacerla
atemporal, ovvero trovare il momento in
cui la forma si stabilizza e come il suo
sviluppo possa renderla atemporale.
Fabrizio Zanni
Docente di Progettazione architettonica al
Politecnico di Milano
Carlos Ferrater is one of the most
significant professional figures in the
wide panorama of contemporary Catalan
culture. He articulates a position on
architecture that represents both a point
of arrival for threads laid out by some of
his predecessors, and a generative
nucleus of cultural and professional
positions for a series of young and very
young Catalan architects, such as the
Aranda Pigem Vilalta studio.
The extensive and detailed critical essay
by Josep Maria Muntaner subdivides
Ferrater’s architectural production into
four parts, listing containers, urban
morphologies, volumes, streets and
fragmentary landscapes. These do not
constitute a progressive sequence of his
theory and work because they are not
arranged in chronological order. They
instead define kinds of differentiated
“motors” behind the origin of design that
are alternated or used simultaneously.
Muntaner incisively defines them as
“formal mechanisms”. Although it cannot
be classified as eclectic, the architecture of
Ferrater alternates the fragmentation of
volumes and facades with the
stereometric management of volumetry,
and the sub-construction of the artificial
ground is juxtaposed with pure volumes
in space. What coordinates these poetics
into a single core is the relationship with
the physicality of the work and contexts,
with the construction and the materials
that in the Catalan architect are always
austere and scarcely inclined to
extemporary declinations. A perfect
example of this approach is represented
134 domus Ottobre October 2005
by the realisation of the Botanic Gardens
in Barcelona and the offices of the Botanic
Institute. The garden is articulated by
triangular parts and fragments that are
defined by pedestrian paths and the
skilful “artificial” handling of the
ground’s altimetry. The Institute, on the
other hand, is made up of a very dry linear
volume characterised by the presence of
an overhanging part faced in dark wood
and supported by bare concrete
volumetries behind. This towers above
and looks out over the entire botanic
complex.
We could venture the hypothesis that
Ferrater alternates fragment and
stereometry in the same way that Le
Corbusier contrasted pure volumes with
poetically charged objects like the
promenades architecturales or the plastic
volumes. This always occurs within the
overall and rigorous esprit de système
based on the physicality of architecture
that never abandons him. Following the
taxonomy outlined by Muntaner, we can
identify a call to the roots of rationalist
and modernist tradition in the
“mechanism” of the “container” or
rather the stereometric play of volumes
“sous la lumière”. The cinematic studies
at San Just Desvern in Barcelona in 1997
are the most significant works of this
persistence, and are heavily influenced by
the Catalan pre-war rationalist tradition,
particularly GATCPAC and Girona’s nautical
Club in 1991. Ferrater uses the morpho-
topological generative nucleus in the
design of large urban complexes, such as
in the three blocks for the Villa Olimpica in
Barcelona in 1992 and, in general, every
time architecture directly and strictly
involves a relation with the compact
urban form.
The third line Muntaner indicates is
represented by the juxtaposition of
simple volumes organised by travel axes,
such as the Real Club de Golf in Terrasa
realised in 2004. It is an articulated
system of vaguely Mies-style pavilions
connected to a central axis. The fourth
“mechanism” (landscapes with
fragmented volumes) is possibly the most
fascinating and is utilised when
architecture is placed in direct contact
with “nature” that has been
reinterpreted and made artificial through
the instruments of architectural design. In
this case the building becomes landscape,
but conversely the landscape also
becomes architecture. The most
sensational example, unfortunately
unrealised, is constituted by the project
for remodelling the top part of the
Montjuïc in Barcelona. Based on the
definition of lines of force that innervate
triangulations of the ground, it refers to
many suggestions: from Taut’s Alpine
Arkitektur to the first territorial
cartographies based on the application of
triangulations. A more recent project that
pursues the same operative line can be
seen in the Competition for the
Confluence Museum in Lyons in 2000.
Here, the grid that organises and arranges
the fragments, which Muntaner defines as
fractal spaces, is articulated in three
dimensions, producing open, semi-open
and closed spaces. The intention is to
“monumentalise the place” instead of
“blotting it out behind a monumental
building”, using a three-dimensional grid
of “folded walls” that delimit and mark
this sort of large internal-external space.
The monograph gathers and widely
illustrates a series of Ferrater’s designs
and realisations, of which it seems
appropriate to mention the principal and
more recent ones. The Social Services
Centre, placed in a typical city block in
Barcelona between Ali Bei Street and
Roger de Flor Street in 2003, recovers the
route of the old Carretera di Horta with an
interior pedestrian walkway, and inserts a
very light and luminous building as a
volumetric vertical articulation of the
internal patio, which integrates into the
quadrangular network marking the
sequence of floorings. It lives on a refined
treatment of light, due to which the
interior appears luminous and looks
upwards at the surrounding buildings
through sweeping horizontal windows.
From the outside it is perceived as a closed
space for which Ferrater invents a
somewhat mysterious pan de verre on the
main side. This is totally enclosed by
vertical panels by day, but opened on the
interior space at night like a sort of
prismatic lantern.
The residential building and architectural
studio situated in Carrer Balmes, in the
middle of the Ensanche de Cerdá,
interprets the traditional entre
medianeras building (narrow facade with
the building’s body stretched towards the
internal patio and inserted between the
other constructions) in an exemplary
manner. The main street frontage is
interpreted through the construction of a
sort of pre-facade composed of alternated
panelling of various kinds and materials.
This precedes the doors, windows and
shutters that also offer protection from the
light. The one-storey-high panels are
modulated horizontally following a
syncopated rhythm. They are in light-
coloured wooden grating and grey stone,
with treated and iridescent surfaces as
well as the glass panelling exposed to the
street and the light (except for the ground
floor and the mezzanine which are
instead treated with wide glazed
surfaces). The overall impression is one of
energy but at the same time tranquillity.
From the inside the sequence of
differentiated panelling constructs a
marvellous play of light and shade, of
subtle cracks and large surfaces. The
traditional chiostrine (reduced internal
patios enclosed by the walls of the
building) are reinterpreted as secret
gardens delimited by broad windows.
Lastly, it is right to point out a
competition design that dynamically
articulates the urban landscape: the
waterfront in Benidorm, Alicante, in
2002. It is made entirely of white concrete
and also incorporates the urban
furnishing elements and the means for
accessing the beach. According to Ferrater
the sequence of overlapping levels and
flat surfaces and the undulating
progression of the seafront generates a
combination of “alveolar and soft
surfaces that create light and shade”. It
defines a dynamic threshold that is also
vertically interposed between the
foreshore and the city. Comparison with
Barcelona’s Passeig Marítim is inevitable.
Both set out excellent waterfronts.
Barcelona’s is more composed and urban
(palm trees permitting), while
Benidorm’s is more dynamic and
entertaining.
In conclusion, it may be useful to cite a
phrase included at the end of the
monograph in the Retazos (literally
fragments or pieces) as food for thought:
“Buscar el momento cuando la forma se
establece y cómo su desarrollo aleatorio
puede hacerla atemporal”, or rather,
discover the moment when the form is
stabilised and how its development can
make it timeless.
Fabrizio Zanni
Professor of Architecture at the Milan
Polytechnic
Trasparenza: la
costruzione di un mito
Transparency: The
Construction of a Myth
The Transparent State. Architecture and
politics in postwar Germany
Deborah Ascher Barnstone
Routledge, London et al. 2005
(pp. 304, £ 80.00)
Come si rappresenta agli occhi del mondo
uno stato come quello tedesco dopo il
1945?
Deborah Ascher Barnstone si cimenta con
uno dei temi più dibattuti in Germania,
nato praticamente all’alba della
Repubblica Federale stessa.
Il libro percorre attraverso tre esempi le
vicende dell’architettura del vetro nel
corso dei decenni e individua la
trasparenza del materiale come efficace
metafora dello stato democratico, sintesi
degli intenti di architettura e politica: la
sala per le sessioni plenarie (‘Plenarsaal’)
del Parlamento di Bonn di Hans
Schwippert (1949), la Plenarsaal su
progetto di Günther Behnisch (1972-1992)
che sostituì quella di Schwippert e
l’ampliamento del Reichstag di Norman
Foster (1999).
Un proposito ambizioso, quello di
Barnstone, e un’idea quantomeno
accattivante in un momento in cui la città
di Bonn offre il percorso attraverso l’ex
quartiere del governo come attrazione
turistica ribattezzata come “La strada
della democrazia” (!), un’operazione
dall’aspetto più che altro promozionale e
che non mette in risalto a sufficienza i
singoli edifici.
Se il discorso teorico sulla trasparenza si
regge interamente sul suo valore
simbolico, già la copertina del libro – un
chiaroscuro a forti contrasti tratto da
Spazio, tempo e architettura di Sigfried
Giedion – è una metafora di come la
convergenza tra espressione di
architettura e politica sia un percorso
lastricato di contraddizioni e paradossi.
Nelle prime pagine si asserisce che la
trasparenza assoluta – che non è
categoria politica, a dispetto dello storico
glasnost – rimanga irraggiungibile per
ovvie ragioni. Un’architettura trasparente
come immagine della democrazia si
realizzerebbe se il cittadino potesse
vedervi attraverso ciò che accade
all’interno, come mostra nel libro
un’immagine che ritrae i cittadini il
giorno dell’entrata in funzione della
Plenarsaal di Schwippert assiepati a una
parete in vetro. Un edificio istituzionale
però non può essere accessibile a tutti in
ogni sua parte, così un sistema politico. E
non è forse vero – aggiungiamo noi – che
il vetro è anche una barriera? È
l’immagine della democrazia nella sua
metafora cristallina solo una trappola per
curiosi?
Perplessità e dubbi genera soprattutto la
struttura del libro, che manca di
omogeneità. L’articolazione del testo
risente dell’economia sbilanciata del
volume, che va a discapito dei tre esempi
cui vengono dedicate solo 120 delle 254
pagine complessive. L’autrice rimane in
superficie quando non dovrebbe, mentre
va in profondità senza giovare alla causa.
Se i primi due capitoli sono una storia
dell’architettura del vetro in Europa e in
Germania, in cui il concetto di
trasparenza spunta qua e là come un
fenomeno carsico, sono in seguito le
descrizioni dei singoli edifici ad essere
troppo particolareggiate. Viste le
premesse enunciate nell’introduzione, a
che serve soffermarsi tanto sulla
morfologia degli edifici, sul concorso per il
Reichstag (quando, soprattutto per
quest’ultimo progetto, la bibliografia non
manca)?
Si sa che ognuno degli esempi citati è
un’aggiunta a edifici preesistenti, ma
nulla accenna al loro contesto urbano,
come se la democrazia di Bonn e poi di
Berlino non avesse altre sedi, come se il
Parlamento fosse l’unico luogo in cui si fa
politica.
Inoltre nell’illustrazione del dibattito tra
architettura e politica sulla trasparenza
non c’è traccia di dialettica: fin dagli anni
Cinquanta l’opinione più diffusa
associava la Plenarsaal di Schwippert a
una serra, in cui la politica stagna (vedi
anche il catalogo della mostra “Zwei
deutsche Architekturen” uscito quasi
parallelamente a questo libro). Attraverso
fonti d’archivio Barnstone riabilita la
figura di Schwippert, per il quale la
Plenarsaal era trasparente e fragile come
la nuova repubblica e che fu colui che
realizzò il difficile equilibrio tra lo slancio
verso una nuova architettura e il veto di
Adenauer di fronte a ogni esperimento in
architettura.
Se politica e architettura istituzionale ai
tempi di Schwippert non andavano poi
molto d’accordo, la sintonia sembrò
manifestarsi con il progetto di Behnisch.
Orgoglioso dello stato repubblicano
tedesco che ormai si era affermato come
potenza mondiale, l’architetto sembrò
aver tradotto in vetro il noto discorso del
socialista Adolf Arndt tenuto all’Akademie
der Künste di Berlino nel 1960 (il cui
nuovo edificio è di Behnisch, è in vetro ed
è stato inaugurato il 21 maggio scorso,
nda) “Die Demokratie als Bauherr”
ovvero “La democrazia come
committente”.
Certamente non si tratta di una
coincidenza, ma un episodio non è
sufficiente a giustificare la convergenza
tra politica e scelte figurative
nell’architettura istituzionale, né a fare
da base al leitmotiv di cui Barnstone
dissemina il saggio, l’”Ideology of
Transparency”. È pur vero che questo
termine nell’ambito anglosassone viene
utilizzato più spesso che, ad esempio, in
italiano. Ciononostante, il significato non
cambia, e che in Germania ci sia stata
un’ideologia della trasparenza non si può
dire. Il linguaggio teorico degli architetti,
che molto probabilmente è posteriore
alla prassi, è, semmai, poetico.
Inoltre, posto che l’architettura del vetro
in Germania abbia uno stretto legame
con la rappresentanza politica, il
cosiddetto mito della trasparenza in
Germania non si è diffuso, non ha
generato movimenti. Non è, invero,
nemmeno un mito, non fa parte
dell’immaginario quotidiano tedesco,
anche se spesso Barnstone menziona
accanto a politici e architetti, con un tono
apodittico e generico, i ‘tedeschi’, il
popolo “con la più forte memoria
collettiva”.
Tra i capitoli su Behnisch e Foster si snoda
una sorta di manuale di storia politica
della Germania tra le due guerre di livello
scolastico (un riassunto a scopo didattico
per lettori non tedeschi?); l’ennesimo
resoconto della storia del Reichstag si
ferma alla caduta nel regime nazista, non
si dice che l’edificio è stato utilizzato
anche durante la guerra fredda. Questo
particolare è minimo, ma, omesso,
contribuisce allo squilibrio dell’ultimo
capitolo intorno alla funzione
dell’edificio in vetro e al suo rapporto con
la memoria collettiva: si ha l’impressione
che il Reichstag evochi nella memoria
storica del “popolo tedesco” sempre e
solo il regime di Hitler o la Repubblica di
Weimar.
E, in generale, è da notare non solo che
questo capitolo sarebbe dovuto essere il
primo, in modo da proiettare il lettore
subito in medias res, ma che in questa
sede sarebbe stato auspicabile un
intervento che mettesse a fuoco la vera e
propria “questione tedesca”: l’immagine
dello Stato all’interno e all’esterno in
funzione di una nuova rappresentazione
dell’identità nazionale, un’immagine
che al di fuori simboleggiasse una
Germania cambiata dopo il 1945, che non
rimanesse però estranea ai suoi cittadini
e facesse capo alle sue radici culturali e
alla sua memoria collettiva, cercando al
contempo di fare fronte a uno scomodo
passato prossimo sotto il segno della
svastica.
In tal modo Barnstone avrebbe illustrato
brillantemente il legame tra gli architetti
‘trasparenti’ del dopoguerra e i loro padri
spirituali, da Taut al Neues Bauen – qui
accennato in maniera poco decisa.
Ambizioni deluse? A questo racconto si
vorrebbe credere, se non fosse diluito in
tanto materiale accessorio e non cercasse
di semplificare il tutto, lasciando in bocca
un dolciastro sapore di “political
correctness” a tutti i costi che genera nel
lettore uno scetticismo insormontabile.
D’altro canto l’autrice coglie di riflesso
l’attualità del concetto di trasparenza e le
sua molteplici valenze. In tempi di
controllo antiterrorismo – la ricostruzione
del Reichstag sembra appena ieri – la
prospettiva di antiquata sociologia dello
spazio sintetizzata da Barnstone con “You
can control what you can see” forse non è
innovativa come base teorica del suo
libro, ma sembra senz’altro appropriata
per descrivere l’intento di ogni stato che si
vuole mostrare democratico cercando il
controllo sui suoi singoli cittadini. Ovvero:
From the Transparent State to the
Transparent Citizen.
Donatella Cacciola
Assistente museale a Bonn
How has the German nation
presented itself to the world since 1945?
Deborah Ascher Barnstone has taken on
one of the most debated issues in
Germany, one that practically originated
with the dawning of its Federal Republic.
The book looks at three examples to
illustrate developments in glass
architecture over the course of the
decades, identifying its transparency as
an effective metaphor of the democratic
state and a synthesis of Germany’s
architectural and political intent. The
examined instances are: the hall for
plenary sessions (Plenarsaal) of the
Bundestag Parliament in Bonn, designed
by Hans Schwippert (1949); the Plenarsaal
according to Günther Behnisch (1972-
1992), which replaced Schwippert’s
creation; and the Norman Foster
renovation of the Reichstag (1999).
Barnstone’s aim is as ambitious as it is
fascinating, if we consider that the city of
Bonn is currently offering tourists a visit
through the former government district.
The operation is dubbed “The Road to
Democracy” (!) and is more promotional
than educational, lacking as it does in
sufficient emphasis on the individual
buildings.
Just as the book’s theoretic discourse is
entirely based on symbolic values, its
cover - a chiaroscuro photograph with
strong contrasts from “Space, Time and
Architecture” by Sigfried Giedion – is a
metaphor for how the convergence
between the expressions of architecture
and politics is a path paved with
contradictions and paradoxes. On its first
pages, the author asserts that absolute
transparency (which is not a political
category, despite the historical glasnost)
remains unattainable for obvious reasons.
Transparent architecture as the image of
democracy would become a fact if citizens
could see what is happening inside, like
the book’s cover, which shows citizens
lined up in front of a glass wall on the day
that Schwippert’s Plenarsaal was taken
into use. But an institutional building
cannot be accessible in all its parts, and
neither can a political system. And is it not
true, we add ourselves, that glass is also a
barrier? Could the image of democracy in
its crystalline metaphor be just a trap for
curious people?
Perplexities and doubts are especially
generated by the book’s structure, which
lacks in homogeneity. The text’s
articulation suffers under the book’s
unbalanced economy, which works to the
disadvantage of the three examples: only
120 of its 254 pages are dedicated to
describing them. The author remains
superficial when she should not, then
goes to great depths without furthering
the book’s cause. If the first two chapters
are a history of glass architecture in
Europe and Germany in which the concept
of transparency arises here and there in a
spotty manner, the successive
descriptions of the individual buildings
tend to be too detailed. Considering the
premises enunciated in the beginning,
what use is there to dwell so much upon
the buildings’ morphology and the
Reichstag competition, while there is no
lack of bibliographic references, especially
Ottobre October 2005 domus 135
for this last project? We know that each of
the cited examples is an addition to pre-
existing buildings, but there is no mention
of their urban context, as if the democracy
of Bonn and Berlin had no other locations,
and as if the Parliament were the only
place where politics were dealt with.
Besides this, in the description of the
debate between architecture and politics
on transparency, there is not a trace of
dialectics: since the ’50s, public opinion
associated Schwippert’s Plenarsaal with a
greenhouse inside which politics
stagnated (see the catalogue to the
exhibition “Zwei deutsche Architekturen”
that came out almost parallel to this
book). Barnstone uses archive material to
rehabilitate Schwippert’s reputation, to
whom the Plenarsaal was as transparent
and fragile as the new republic, and who
succeeded in attaining the difficult
balance between aspiration to a new kind
of architecture and the Adenauer veto
regarding all experimentation in
architecture. Although politics and
institutional architecture during
Schwippert’s era did not get along very
well, harmony seemed to manifest itself
between them for the Behnisch project.
Pride in the fact that the German
republican state had become a world
power made Behnisch’s project seem to
be a glass translation of socialist Adolf
Arndt’s lecture at the Akademie der Künste
in Berlin in 1960, “Die Demokratie als
Bauherr” (When Democracy is the
Commissioner). [Author’s note: The Art
Academy’s new glass building designed by
Behnisch was inaugurated this past May
21st] This is certainly no coincidence, but
one episode is not sufficient to justify
convergence between politics and
figurative decisions in institutional
architecture, or to be the basis of the
leitmotiv that Barnstone uses for her essay
“Ideology of Transparency”. It is also true
that the word “transparency” is used
more often in English-speaking cultures
than, say, in Italian. Nonetheless, its
meaning is not different, and it cannot be
said that Germany has embraced an
ideology of transparency. The architects’
theoretic language, which is very probably
subsequent to practice, could be
considered “poetic”. Moreover, even if
glass architecture in Germany has had a
close connection to political
representation, the so-called legend of
transparency in Germany did not spread,
did not generate any movements. In
truth, it is not even a myth and does not
belong to the day-to-day German image,
although besides mentioning politicians
and architects, Barstone often speaks in
an apodictic and generic way of “the
Germans”, the people “with the strongest
collective memory”.
In the chapters on Behnisch and Foster,
there is the unwinding of a kind of
scholastic manual to Germany’s political
history between the two World Wars.
Could this be an educational summary for
non-German readers? This umpteenth
report on the history of the Reichstag stops
at the beginning of the Nazi regime and
does not mention that the building was
also used during the Cold War. This is a
small detail, but when omitted, it
contributes to the lack of balance of the
last chapter on the functions of glass
buildings and their relationship to
collective memory. One gets the
impression that the Reichstag only and
always evokes the Hitler regime or the
Weimar Republic in the historical memory
of the “German people”.
And, in general, it must be remarked that
136 domus Ottobre October 2005
not only should this chapter have been
the first one of the book, in order to
project the reader in medias res, but that
this would have been a good location for a
focus on the real “German issue”: the
image of the State from the inside and on
the outside, in its function of new
representation of national identity, an
image that beyond symbolizing a
Germany that is changed after 1945, did so
without being extraneous to its citizens,
leading their cultural roots and collective
memory, attempting at the same time to
face up to an uncomfortable recent past
under the sign of the swastika.
In that way, Barnstone would have
brilliantly illustrated the link between the
post-war “transparent architects” and
their spiritual fathers, from Taut to Neues
Bauen. Now, they are but sketchily
presented.
Deluded ambitions? One would like to
believe in this tale, if it weren’t diluted by
so much excess material and if it didn’t try
to simplify everything, leaving a
saccharine taste of political correctness
at-all-costs that generates an
insurmountable skepticism in the reader.
On the other hand, the author does grasp
the current topicality of the transparency
concept and its multiple facets. In these
times of anti-terrorist control (the
Reichstag rebuilding seems like only
yesterday), the perspective of antiquated
sociology of space that is summarized by
Barnstone with “You can control what you
can see”, might not be innovative as the
theoretic base of her book, but it
definitely seems appropriate to describe
the intent of all states that wish to show
their democracy while trying to control its
individual citizens. In other words, from
the Transparent State to the Transparent
Citizen.
Donatella Cacciola
Museum assistant, Bonn
De Lucchi e la
comunicazione
De Lucchi’s Focus on
Communicating
Michele De Lucchi.
Comincia qui e finisce là
Fiorella Bulegato, Sergio Polano
Electa, Milano 2004 (pp. 327, ¤ 45,00)
La figura di Michele De Lucchi può essere
collocata nel panorama dei fenomeni
culturali del design italiano della seconda
parte del Novecento, qui inteso come
ambito estensivo dell’architettura
contemporanea che si carica di forti valori
espressivi e comunicativi, di
sperimentazioni disinibite, di
provocazioni e di valori didascalici dove gli
artefatti interagiscono con l’ambiente
circostante attraverso una equilibrata
coniugazione del trinomio
forma/funzione/materia. La sua poetica è
sintetizzata in 48 album e quaderni di
disegni e schizzi, custoditi con attenzione
nello studio milanese, dai quali
apprendiamo come bisogna amare
l’industria in ogni modo, anche quando
“l’industria non fa niente per venire
incontro al design e non fa niente per
venire incontro al mondo stesso”.
Nella seconda metà degli anni Settanta
appaiono significative le sue
sperimentazioni sull’architettura radicale
dove alcune proposte “culturalmente
impossibili” aprono la mente a nuovi
progetti più disinvolti e anticonformisti
che rappresentano, forse, negli anni, il filo
condutture dell’espressione di Michele De
Lucchi. La reazione al Good Design della
scuola di Ulm si concretizza nei suoi
progetti verso le linee del Nuovo Design
italiano più attento a quella “dichiarata
emozionalità” e a quella “allegria
materica” per cui gli artefatti non sono più
costituiti solo da belle forme, ma
divengono “un sistema di comunicazione,
un mezzo di espressione, uno strumento
di business e soprattutto una forma di
educazione”. Il Nuovo Design investe gli
oggetti di colore, decorazione, ironia, in
un connubio tra designer e azienda, dove
la tecnologia assume un aspetto fresco e
rassicurante che allontana il concetto
tradizionale, radicato ormai nella
memoria collettiva, di esternazione delle
proprietà tecniche, di opacità dei colori e
di rigore delle forme. La ricerca mira ora a
disegnare oggetti dalle forme gentili,
divertenti, con colori tenui che nascono
dalla combinazione di pochi componenti
dalle semplici geometrie: viene esaltato
più l’aspetto plastico-figurativo piuttosto
che quello funzionale, liberando il
pensiero progettuale dai preconcetti di
tipo meramente funzionale-razionalista
non senza una forte carica provocatoria.
Nella produzione degli anni Ottanta è
assai significativa l’adesione al gruppo
Memphis, e quindi il già consolidato
rapporto con Ettore Sottsass, utile a capire,
come afferma lo stesso De Lucchi, “il
valore della provocazione, il senso di
cercare sempre qualcosa di nuovo e
diverso, l’importanza di mettere sempre
tutto in discussione, le consuetudini
soprattutto e non solo quelle estetiche-
formali, la consapevolezza che una
qualche rivoluzione la si può fare anche
disegnando piatti, tavoli e sedie”.
In questo periodo la creazione della
lampada Tolomeo per Artemide può
essere rappresentativa di un rapporto
continuativo con l’azienda tuttora in
corso: la rivisitazione della tradizionale
“lampada da tavolo per gli architetti”
viene qui reinventata con il contributo alle
soluzioni tecniche di Giancarlo Fassina. Le
tradizionali molle, utili alla
movimentazione della lampada, sono
nascoste all’interno dei bracci mentre
due sottili cavi di acciaio in vista sono
collegati ad esse attraverso due pulegge di
nylon. La leggerezza dell’apparecchio così
rivisitato, l’alternanza di superfici di
alluminio opache e lucide, il gioco di
“sottili equilibri”, il cappello troncoconico
rotante forato alla sommità, nonché tutte
le versioni declinate nelle sue varianti
tipologiche e dimensionali, fanno della
lampada Tolomeo l’oggetto dell’azienda
più diffuso negli ultimi vent’anni.
L’esperienza Olivetti si configura come
un’ampia parentesi (1979-2002)
dell’attività di De Lucchi ed è significativa
per tutto il suo percorso di designer: egli
mantiene l’impostazione iniziale data da
Ettore Sottsass nel disegnare e coordinare
progetti di computer, laptop, registratori
di cassa, stampanti, fax, tastiere, video,
chioschi multimediali… lasciando una
impronta felice, quanto riconoscibile,
nella storia dell’azienda. Alla fine degli
anni Ottanta inizia a progettare i primi
monitor per PC realizzati con il tubo
catodico per arrivare poi alla produzione
del computer portatile Philos che
manifesta, secondo il progettista, la
maggiore ricchezza di dettaglio di questa
famiglia, cui seguono i fax multifunzionali
e le stampanti dalle linee sinuose e le
superfici arrotondate per giungere alla
produzione di chioschi multimediali
dall’aspetto amichevole e accattivante,
una sorta di totem monolitici con un
computer self-service all’interno che
interagisce con il cliente per fornire servizi
e informazioni.
Negli anni Novanta i progetti sono
orientati verso la proposta di archetipi, il
recupero e l’uso dei materiali tradizionali
e dei colori naturali: nasce Produzione
Privata, una sorta di bottega
rinascimentale che coinvolge piccole e
medie imprese artigianali italiane
nell’uso di tecniche tradizionali e antiche
(ma anche innovative) per produrre una
serie di oggetti di design fuori
dell’industria, sperimentando nuove
espressioni figurative che hanno alla base
una intensa ricerca di materiali e tecniche
di fabbricazione.
La ricerca nel campo dell’organizzazione
dei nuovi spazi di lavoro e l’evoluzione del
concept dei luoghi dedicati al rapporto
con il pubblico sono alla base dei progetti
per le filiali della Deutsche Bank,
caratterizzate da ‘cabine’ componibili che
ospitano le sale di consulenza, mentre nel
rifacimento delle biglietterie e dei travel
center della Deutsche Bahn si avverte un
gioco di equilibri tra la volontà di conferire
ordine e identità ai nuovi spazi e adattare
l’intervento nel rispetto di luoghi
architettonici predefiniti. Le nuove
biglietterie devono comunicare efficienza,
comfort, trasparenza e familiarità con il
cliente, ottenuta in questo caso anche
grazie all’uso dei colori tenui e insieme di
materiali tradizionali e innovativi. Le
esperienze del secondo millennio
continuano la ricerca nell’organizzazione
dei luoghi di lavoro tra cui spiccano i
progetti per Enel e Poste Italiane. Nel
primo caso il contributo del progettista
spazia dal disegno del nuovo contatore
domestico, all’architettura, al progetto
degli spazi interni, alla grafica, con il fine
di comunicare la nuova immagine e la
propria identità con una maggiore
attenzione all’impatto comunicativo delle
proprie attrezzature sul paesaggio e sulla
vita dell’uomo. La conversione delle
vecchie tecnologie produttive in impianti
a ciclo combinato turbogas assicura ora un
minor impatto ambientale ottenuto grazie
anche al restyling del contenitore
architettonico risolto bene in virtù delle
esperienze dettate dall’industrial design
quando De Lucchi propone i colori di terra
per i corpi bassi e quelli dell’aria per gli
elementi alti con il fine di smaterializzare i
volumi più verticali, oppure quando usa il
policarbonato trasparente per il
rivestimento delle ciminiere con lo scopo
di alleggerirle e, allo stesso tempo, di
accentuarne la riconoscibilità e la stretta
funzionalità. Gli interventi per Poste
Italiane rientrano nell’area del “design di
servizio” che comprende non solo il
ridisegno dei componenti di arredo, ma
anche e soprattutto, come afferma De
Lucchi, “i parametri cosiddetti soft, cioè la
luce, il colore, il calore, l’odore e, via via,
il senso dell’accoglienza, dell’efficienza,
della piacevolezza, del comfort, ecc.”. Le
componenti dei nuovi uffici postali sono
già entrate a far parte dell’immaginario
collettivo e possiamo dire che hanno
raggiunto bene gli obiettivi predefiniti
mirati a risolvere gli aspetti ergonomici,
antropometrici e non ultimo l’impatto
psicologico dell’utente.
Piercarlo Crachi
Architetto
Michele De Lucchi’s creative
productivity can be considered to be one
of the cultural phenomena of Italian
design in the second half of the twentieth
century. With “Italian design” I refer to
the extensive sphere of contemporary
architecture that is charged with strong
expressive and communicative features,
uninhibited experimentation,
provocation and educational values,
where artefacts interact with their
surroundings by means of a carefully
balanced three-way combination of
form-function-material. The poetry of his
productivity is summarized in 48 drawing
albums and sketchbooks, carefully
preserved in his Milanese studio. From
them we can learn that we should love
the design industry without reserve, even
though “the industry does not do
anything to favour design, nor does it do
anything to favour the world itself.”
In the latter half of the ’70s, De Lucchi’s
experiments with radical architecture
seem to have heralded the type of
expression that was to represent the
fundamental basis of his work throughout
the years. It was when a series of
“culturally impossible” proposals opened
his mind to new projects that were less
self-conscious and more anti-conformist.
His reaction to “Good Design” as preached
by the Ulm school is illustrated by the
projects he made in the Italian Nuovo
Design style, which focused on an “open
emotionality” and a “material
cheerfulness” that would result in
artefacts that were no longer just
beautiful shapes but “a communications
system, a means of expression, a business
tool and above all a form of education.”
Nuovo Design infused objects with colour,
decoration and humour in a union
between designers and manufacturers
where technology became a fresh and
reassuring means to do away with
traditional concepts that were rooted in
collective memory. It led to
externalization of technical properties,
mat colours and uncluttered lines. This
was when research aimed at designing
objects featuring friendly, amusing shapes
with soft colours that originated in the
combination of a few simple geometric
elements. Plasticity and figurative aspects
received more emphasis than
functionality, freeing design-thought
from preconceptions that were merely
functional and rationalistic and adding a
provocative electrical charge.
For his ’80s design production, De Lucchi’s
adhesion to the Memphis design group
played a significant role. As De Lucchi
himself affirms, his strong relationship
with Ettore Sottsass was useful in
understanding “the value of provocation,
the continuous drive for something new
and different, the importance of always
putting things up for discussion, especially
habits (and not only aesthetic and formal
ones), and the realization that a
revolution of some kind can even be made
by designing plates, tables and chairs.”
During that period, his creation of the
Tolomeo lamp for Artemide can be seen as
an instance of a continuous relationship
with a manufacturer that still proceeds
today. De Lucchi’s redesign of the
traditional “table-lamp for architects”
was reinvented with the contribution of
technical solutions by Giancarlo Fassina.
The traditional springs used to give the
lamp different positions are hidden inside
the arms, while two thin steel cables on
the outside are connected to them by two
nylon pulleys. The fixture’s light
appearance, its alternating surfaces of
mat and shiny aluminium, the play of
“subtle equilibriums”, the rotating conical
shade that ends with a flat perforated
surface, and all its versions for different
sizes and types, make the Tolomeo lamp
Artemide’s best-selling item of the past
twenty years. De Lucchi’s experience at
Olivetti (1979-2002) created a wide
opportunity for his professional activities
and was important for the whole course
he adhered to as a designer. At Olivetti he
maintained the initial design outlook
given by Ettore Sottsass in designing and
coordinating projects for computers,
laptops, cash registers, printers, faxes,
keyboards, video recorders and
multimedia kiosks. De Lucchi left a
positive and recognizable stamp on the
company’s history. At the end of the ’80s,
he commenced the designing of the first
personal computer monitors with
cathode-ray tubes. He moved on to the
production of the Philos portable
computer, which according to De Lucchi
has the richest detail of the whole family
of its type. Then followed multifunctional
fax machines, sinuous printers with
rounded surfaces and multimedia kiosks
with friendly and intriguing looks, a kind
of monolithic totems with a self-service
computer inside offering clients services
and information. In the nineties, De
Lucchi focused his projects on the proposal
of archetypes, the rediscovery and use of
traditional materials and natural colours.
This led to the founding of his
“Produzione Privata” collection, bearing
resemblances to a renaissance atelier.
Here, De Lucchi worked with small and
medium-sized Italian companies using
traditional and ancient craftsmanship
techniques as well as innovative
procedures. A series of design objects were
crafted without the design industry,
experimenting with new figurative
expression based on intense research of
materials and manufacturing techniques.
De Lucchi’s exploration of new types of
office surroundings and the evolution of
concepts pertaining to interaction with
the public lie at the base of his work for
the Deutsche Bank branch offices. His
project consists of modular “booths” that
house consultancy rooms.
His project for the ticket offices and travel
centres for Deutsche Bahn feature a
playful balance between the will to confer
order and identity to the new spaces, and
the need to adapt the project to different
predefined architectural locations. The
new ticket offices communicate efficiency,
comfort, transparency and familiarity with
the client. This is obtained by the use of
soft colours and a mix of traditional and
innovative materials.
His experiments in the second millennium
continue with research on the
organization of workplaces such as those
for Enel and Poste Italiane. For the former,
he revamped domestic metres and
designed architecture, interiors and
graphics, aiming to communicate Enel’s
new image and identity by committing
himself to heightened attention for the
communicative impact of certain
equipment on people’s environment and
lives. Enel’s conversion from old
production technologies to combined-
cycle turbo gas plants meant less impact
on the environment. De Lucchi also
restyled the company’s architecture by
using the best of his experience in
industrial design, using earth tones for the
low buildings and airy colours for the tall
volumes. He aimed at dematerializing the
vertical buildings, also using
polycarbonate for the cladding of the
smoke stacks in order to make them
lighter. At the same time, the effect
accentuated their recognizability and
strict functionality.
De Lucchi’s work for Poste Italiane focused
on “service design”. This includes not only
the redesign of its furniture, but also
decisions regarding so-called “soft”
elements, meaning lighting, colour,
warmth and odour which, according to De
Lucchi, are so important because they
determine “a feeling of being welcome, a
feeling of efficiency, the perception of
pleasant impressions and comfort”. The
new Post Office components have already
become part of our collective imagery and
we can say that they have gone well
beyond reaching their objectives to
resolve the ergonomic and
anthropomorphic aspects of receiving
customers. Best of all, they have had a
positive psychological impact upon the
people.
Piercarlo Crachi
Architect
Ottobre October 2005 domus 137
Gelatin, Hase di Cristina Romano
Hase nasce nel 1991. Gelatin l’immaginava come un’enorme lepre caduta dal cielo
sull’asfalto di una città, ma in un secondo momento gli artisti scelsero un luogo
remoto, da raggiungere a piedi. Oggi Hase appare all’improvviso, dopo aver
percorso un lungo sentiero. Immerse nelle Alpi Marittime le sue eccezionali
dimensioni diventano un elemento variabile a seconda della posizione nello spazio
di chi osserva. Visibile dalle alture tutt’intorno al colle, Hase s’inserisce nel
paesaggio con armonica proporzione senza alcuna pretesa di dominarlo. Sdraiata al
suolo, resta in tutta la sua solitudine. Cinquanta signore cominciarono nel 1999 a
lavorare a maglia per preparare il rivestimento in lana rosa. Le grandi pezze di lana
stese sul terreno vennero riempite di paglia e così Hase prese forma. Tutta la valle ne
parlava, tanto che gli artisti per inaugurarla hanno organizzato una giornata di
festa. Hase è una traccia e un segno della realtà domestica e quotidiana che nel
contesto naturale mantiene tutto il suo senso di affettività; oltre a percorrerne il
perimetro si può salire e camminare sulla superficie lanosa e dall’alto della sua
Ottobre October 10
pancia osservare il paesaggio intorno. Rassegna
Nuovi bagni a cura di/edited by
➤ p 141
The new bathroom Maria Cristina Tommasini

Gelatin, Hase di Cristina Romano

Hase was conceived in 1991. Gelatin pictured it as an enormous hare that had fallen from
the sky onto the asphalt of a city, the artists decided afterwards on a remote location
that had to be reached on foot. Today, Hase appears quite suddenly after having
travelled along a long path. Immersed in the Marittime Alps its exceptional dimensions
become an element that varies according to the observer’s position in space. Visible
from the high ground around the hills, Hase fits into the landscape with a harmonious
proportion with no claim to dominate it. Stretched out on the ground, it rests in all its
solitude. Fifty women began knitting in 1999 to prepare the pink wool cover. The large
woollen pieces extended on the ground were filled with straw and Hase began to take
shape. It was the talk of the valley, so much so that the artists organised a day’s holiday
for the inauguration. Hase is a trace and symbol of domestic everyday reality that in the
natural context maintains all its sense of affectivity; as well as walking round its
perimeter you can climb up and walk on the woollen surface and from the top of its
tummy observe the surrounding landscape.
➤ p 141

138 domus Ottobre October 2005

NUOVI BAGNI THE NEW BATHROOM Hase ci obbliga a muoverci nello
spazio per averne una visione com-
Spa, salus per acquam. Niente di più vero. A partire dall’abc dell’igiene, il lavarsi le Today’s spa, salus per aquam is much more than just a place to engage in the abc’s pleta.
mani, per prevenire contagi e malattie. La salute è anche il benessere che un bagno e of cleanliness, as we can see in the furniture/home-fixtures expo at Milan’s Salone Il suo grande cuore, con gli intestini
una tonificante doccia possono dare quotidianamente. Parlare dei nuovi bagni - del Mobile where the contemporary designer bathroom has a starring role. In these le arterie e gli altri organi interni
quelli che oramai sono esposti a pieno titolo anche al Salone del Mobile di Milano, con pages we’re offering our readers a summary of the new potential of the bathroom fuoriusciti da un fianco, la rende
un’offerta di cui diamo in queste pagine un resoconto - significa soffermarsi sul ruolo where waterfall faucets bring, mixed with air, shimmering with the colors of light, viva e allontana definitivamente
dell’acqua nella cultura dello ‘starbene’. Erogata da rubinetti/cascata, mischiata cool and fresh, or warm and relaxing, water to our daily shower or bath in joyful l’idea di trovarci di fronte a un
all’aria, vaporizzata, aromatizzata, colorata dalla luce, l’acqua scorre nei nostri bagni abundance. The ancient Romans so loved their thermal baths that they built them semplice pupazzo.
in allegra abbondanza. I romani amavano talmente le terme da costruirne in tutti i wherever they sojourned. These spas were social meeting points besides being Nel corso del tempo la sua forma
luoghi in cui sono passati; gli edifici termali erano un luogo d’incontro oltre che di delights for the body and many of the projects for the contemporary bathroom are muterà: vi cresceranno piante, la
cura del corpo. Molti dei nuovi progetti suggeriti in questo servizio fanno proprio conceived of in just this spirit. Today’s bathroom has become a wellness center sua pelle si lacererà e gli animali ne
questo spirito: il bagno è diventato un centro benessere nel quale ci si rilassa e si where one relaxes or collects energy to confront his/her daily tasks by reading a faranno il loro rifugio. Gelatin con
riacquistano le energie, talvolta leggendo un libro o riflettendo su un’opera d’arte. book or contemplating a work of art while bathing. But will the water return to the quest’opera spinge a visualizzare
Ma l’acqua ritornerà ai fiumi, ai prati sui quali giace il coniglio Hesa? MCT rivers and fields where the Hase rabbit plays? MCT Hase come momento di passaggio,
trasformazione e nutrimento per
Per gli indirizzi completi delle aziende vedi/For complete addresses of the manufacturers see: www.domusweb.it
vite future. Cristina Romano

FONTE AXOR STARCK X

DESIGN: GIULIO CAPPELLINI
Lavabo circolare di dimensioni
generose, da posizionare in centro
stanza o accostato ad una parete, Fonte
riprende l’immagine dei vecchi fonti
battesimali o delle fontane da giardino
dell’Ottocento. Tutto è giocato sulle
proporzioni: la profonda conca,
sostenuta dalla colonna centrale, ha
spessori importanti, ingentiliti da bordi
arrotondati. Particolare attenzione è
stata rivolta all’uso della ceramica,
riletta con texture e coloriture nuove.
■ Fonte, a large round washbasin that
can be placed in the middle of a room
or near the wall, recalls old baptismal
fonts or the garden fountains of the
1800s. It is characterized by the
particular proportions of its deep basin
and the central pedestal, the thickness
of the ceramic softened by the rounded
borders, new textures and finishes.
CERAMICA FLAMINIA DESIGN: PHILIPPE STARCK AXOR HANSGROHE
01033 Civita Castellana (Viterbo) In Italia: HANSGROHE
T +39-0761542030 La nuova rubinetteria prosegue la 14019 Villanova d’Asti (Asti)
www.ceramicaflaminia.it riduzione all’essenziale aperta dal T +39-0141931111
designer dieci anni fa con la prima www.hansgrohe.it
collezione disegnata per Axor. Il
miscelatore da lavabo ha un erogatore
quadrangolare (150 x 150 mm x H 100
mm) che poggia su un corpo di
miscelazione cilindrico (Ø 46 mm). La
leva di miscelazione a joystick è sottile,
cilindrica, in linea con il corpo del
miscelatore e arretrata rispetto
all’ampia superficie dell’erogatore. La
bocca eroga una “lama d’acqua”.
■ The new Axor Starck X taps continue
the designer’s focus on essentialism,
which he started ten years ago with his
first collection for Axor. The washbasin
mixer tap features a square spout
(150 x 150 mm x H 100 mm) that is set
on a cylindrical tap body (Ø 46 mm).
The joystick-style mixing lever –
slender and cylindrical – is aligned
with the body of the tap but set back
with respect to the wide surface of the
spout. Water virtually cascades from
the spout.

STARCK X HANSACANYON Gelatin (Ali, Florian, Tobias, Wolfgang), Hase,

DURAVIT ITALIA DESIGN: PHILIPPE STARCK
48010 Fornace Zarattini (Ravenna)
T +39-0544501698 Il carattere scultoreo dei lavabi Starck X
www.duravit.it ne fa dei pezzi unici, inconfondibili ed
inimitabili. Vasi e bidet hanno forma
cubica. I lavabi alti 89 cm, cilindrici o
conici, salgono su un podio in ceramica,
senza interferire con le linee dolci del
progetto nel suo complesso. I lavabi
rettangolari da 57 cm poggiano invece
su sostegni metallici, come quelli da
110 cm, a due bacili, disponibili in
bianco, giallo o platino.
■ The sculptural quality of Starck X
washbasins makes them unique,
unmistakable and inimitable. The
toilets and bidets are cubical. The
cylindrical or conical washbasins,
which are 89 cm high, rise on a ceramic
podium but do not interfere with the
soft lines of the overall project. The 57-
cm rectangular washbasins are instead
set on metal supports, like the 110-cm
double-basin type, available in white,
yellow or platinum.
DESIGN: BRUNO SACCO,
REINHARD ZETSCHE
Il rubinetto è dotato di un motorino
elettrico, grazie al quale basta sfiorare
un tasto posto sulla base per attivare il
comando di erogazione dell’acqua. Le
funzioni sono attivate per mezzo di una
tastiera. Particolarmente nuova la
bocca, con la parte superiore
orizzontale e aperta, che permette di
vedere lo scorrere dell’acqua al suo
interno; sulla bocca stessa compare una
colorazione dal blu al rosso, a seconda
della temperatura dell’acqua.
■ The Hansacanyon tap is fitted with
an electric motor: just touch a button
at the base and water begins to flow.
The functions are activated via a
touchplate. The spout is highly
innovative. The horizontal upper part is
open so the flow of water is completely
visible, and the colour of the tap
changes from blue to red according to
HANSA water temperature.
Hansa Italiana
25030 Coccaglio (Brescia)
T +39-0307716311
www.hansa.de
2005-2025, scultura, paglia, lana, corde
Colletto Fava, Artesina (Cuneo)
Gelatin (Ali, Florian, Tobias, Wolfgang), Hase,
2005-2025, sculpture, straw, wool, string,
Colletto Fava, Artesina (Cuneo), Italy
Hase obliges us to move around in
space to have a complete vision.
Its great heart, with intestines and
arteries and other internal organs
coming out of its side, make it alive
and distance one definitively from
the notion of being in front of a sim-
ple puppet.
Over the course of time its shape will
change, plants will grow on it, its
skin will break and animals will take
refuge in it. Gelatin with this work
makes us see Hase as a moment of
passage, transformation and nouri-
shment for future lives.
Cristina Romano

140 domus Ottobre October 2005 Rassegna domus Ottobre October 2005 141

ASOLO
DESIGN: NILO GIOACCHINI
Nata come linea di lavabi d’arredo,
Asolo si è ora trasformata in un sistema
di sanitari, completo di accessori e
mobili perfettamente coordinati.
L’insieme è caratterizzato da
nitidezza formale, cui corrispondono
infinite soluzioni compositive e
dimensionali, per ogni tipo di
architettura e stile di vita.
TAO
DESIGN: CARLO URBINATI
Il programma Tao comprende lavabi
(tra i quali i nuovi modelli tondo e
monoblocco), vaso e bidet sospesi e da
pavimento, capaci d’integrarsi con
oggetti di diversa produzione, perché
pensati come pezzi singoli, in grado di
abbinarsi a qualsiasi tipologia. Le forme
sono morbide e naturali.
■ The Tao series comprises washbasins
(including the new round and single-
piece models) and wall-mounted and
freestanding WC pans and bidets that
can be teamed with objects produced
by different manufacturers because
they are designed as individual pieces,
capable of fitting in with any style.
The shapes are soft and natural.
HIDRA CERAMICA
01033 Civita Castellana (Viterbo)
T +39- 0761518181
www.hidra.it
142 domus Ottobre October 2005
■ Conceived as a line of washbasins,
Asolo has now become a range of
sanitary fixtures, complete with
perfectly coordinated accessories and
furniture. The collection is
characterised by clean lines and is
capable of offering infinite solutions
in terms of both size and composition,
making it suitable for all kinds of
architecture and lifestyles.
CERAMICA DOLOMITE
Divisione di Ideal Standard Italia
32028 Trichiana (Belluno)
T +39-04375581
www.ceramicadolomite.it
Rassegna
MASTÈ
DESIGN: STEFANO SPESSOTTO – STUDIO DEDALO
Il programma Mastè è caratterizzato da
soluzioni e combinazioni armoniose, da
materiali e lavorazioni particolari, con il
rubinetto protagonista assoluto.
■ Established in 1995 as a tapware
producer, Geda has expanded its initial
plans to include furniture. The result is
the Mastè programme, featuring
harmonious solutions and
combinations, and particular materials
and workmanships in which tapware is
always the star.
RIVA
DESIGN: MARCELLO CUTINO,
BCF DESIGN
La collezione Riva si configura come un
vero sistema; comprende infatti, oltre
ai sanitari, una gamma di lavabi e
una serie completa di accessori e
mobili da bagno, che spiccano per il
valore estetico e funzionale.
Vaso e bidet, grazie alle loro
dimensioni contenute (50 x 30 cm),
sono veri e propri salvaspazio.
■ The Riva collection is structured like
a true system. Indeed, it not only
comprises sanitary fixtures, but also
a range of washbasins and a complete
series of bathroom furniture and
accessories, which stand out for
their beauty and practicality.
The compact dimensions of the WC
pan and bidet (50 x 30 cm) make them
real space savers.
VITRA SANITARYWARE
BATHROOM FURNITURE
34860 Istanbul (Turkey)
T +90-216-3895900
In Italia: VITRA ITALIA
20133 Milano
T/F +39-0245479475
GEDA
33080 Porcia (Pordenone)
T +39-0434923077
geda@euroin.it
FALERII
01034 Fabrica di Roma (Viterbo)
T +39-0761575033
www.falerii.it
ESPACE
DESIGN: NOA – BERTRAND
ILLERT, MICHAEL LAMMEL
Una studiata asimmetria e l’equilibrio
dei contrasti (volumi cubici bilanciati da
contorni morbidi) costituiscono i tratti
distintivi di Espace. Il programma è
progettato per realizzare un bagno su
misura, qualsiasi sia lo spazio a
disposizione. Lavabi di varie misure,
vaso e bidet asimmetrici permettono di
sfruttare gli spazi più difficili. Tra le
dotazioni, Espace prevede anche un
frigorifero.
■ The distinctive features of the Espace
range are its studied asymmetry and
harmonious contrasts (cubic volumes
balanced by soft contours). The range
has been designed to create made-to-
measure bathrooms, regardless of the
space available. Washbasins of various
sizes and asymmetric WC pans and
bidets make it possible to make
optimal use of space. The accessories
even include a fridge unit.
LOOK
DESIGN: MAKROPROJECTS
Le vasche Look si caratterizzano per
la concezione strutturale e per il
rivestimento in materiali esclusivi,
tra i quali il cuoio. Nell’esempio, la
vasca è rivestita in vetro-tex optical sky,
con top in wengè.
■ The Look baths are characterised
by their structural conception and
facing in exclusive materials,
including leather. That shown here is
covered with optical sky Vetrotex and
features a wengé top.
BANG!
DESIGN: MAURIZIO DURANTI
I sanitari della serie Bang! hanno forme
semplici ma ben caratterizzate,
appropriate ad assecondare le fasi di
modellazione, formatura e cottura ad
alte temperature, tipiche della
porcellana. Sempre bianchi all’interno,
esternamente possono essere nero
carbonio, verde petrolio, giallo cadmio
o blu cobalto. La serie comprende vari
modelli di lavabo, vaso e bidet nelle
versioni sospesa e da pavimento.
SMALL+: TWIN
DESIGN: FRANCO BERTOLI
Small+ consente di utilizzare al meglio
lo spazio del bagno, senza rinunciare al
comfort. Un esempio? Twin, sistema
integrato vaso-bidet, che accorpa in un
unico elemento due pezzi con funzioni
ben diverse.
■ The sanitary fixtures of the Bang!
range boast simple, but highly
distinctive forms, suitable for the
stages of modelling, shaping and firing
at high temperatures typical of
porcelain manufacture. All the pieces
are white on the inside, but the outside
may be coal black, petrol green,
cadmium yellow or cobalt blue. The
series comprises various models of
washbasin, WC pan and bidet in wall
and floor-mounted versions.
KERASAN
01033 Civita Castellana (Viterbo)
T +39-0761542018
www.kerasan.it
■ Small+ allows optimal use of
bathroom space without sacrificing
comfort. An example? Twin, the
integrated vase-bidet, combines two
pieces of different utility into one
single element.
IDEAL STANDARD
20145 Milano
T +39-0228881
www.idealstandard.it
Rassegna
MAKRO
35030 Rovolon (Padova)
T +39-0499910951
www.makro.it
PALOMBA COLLECTION
DESIGN: LUDOVICA + ROBERTO PALOMBA
I sei lavabi della Palomba Collection ■ The six washbasins of the Palomba
modellano con virtuosismo geometria e collection masterly model geometry
organicità. La base è un piano ceramico and organicity. The base is a
ad angoli retti che accoglie un bacino di rectangular ceramic top that houses an
forma organica, quasi come una organically shaped basin, which
laguna. L’assenza di bordi rende fluido resembles a lagoon. The lack of edges
il passaggio dall’elemento solido a ensures a fluid transition from the solid
quello liquido. La posizione to the liquid element. The asymmetric
asimmetrica del bacino crea comode position of the basin creates handy
superfici di appoggio. Le pareti della resting surfaces, while the walls of the
bacinella hanno spessore uniforme. basin are of uniform thickness. The
Mobili, luci e specchi coordinati range is completed by coordinating
completano la serie. furniture, lights and mirrors.
LAUFEN
CH-4242 Laufen (Switzerland)
www.laufen.ch
In Italia: LAUFEN ITALIA
T +39-0544509711
www.laufen.it
OPEN SPACE ® : SPACE STONE
DESIGN: ANTONIO PASCALE
Open Space® prevede cinque linee:
Space Stone, Space Concept, Space
Band, Space Wood, Space Classic.
Il lavabo qui in primo piano (linea
Space Stone) misura 105 x 41 x H 13 cm;
il fondo del bacile ha un’apertura larga
quanto il piano e alta 1,5 cm, dalla
quale parte un canale che convoglia
l’acqua ad un foro di scarico ‘nascosto’,
grande quanto una normale piletta
di scarico. I sistemi di chiusura della
piletta e di ancoraggio del sifone
sono brevettati.
■ Open Space® features five product
lines: Space Stone, Space Concept,
Space Band, Space Wood and Space
Classic. The washbasin shown in the
foreground (from the Space Stone
range) measures 105 x 41 x H 31 cm.
The bottom of the basin is as wide as
the top and 1.5 cm deep, and features
a channel that carries the water to a
“hidden” drain hole that is the same
size as a normal pop-up drain stopper. CERAMICA GLOBO
The systems for the closure of the drain 01030 Castel Sant’Elia (Viterbo)
stopper and the anchorage of the T +39-0761516568
trap are patented. www.ceramicaglobo.com
domus Ottobre October 2005 143
GALLERY
DESIGN: GIAMPIERO PEIA
Non solo rubinetti, ma l’intero
ambiente bagno: prosegue l’evoluzione
del programma Gallery, ora ampliato a
una gamma di prodotti (qui un lavabo
a stele) realizzati in Corian®.
Il materiale della DuPont continua a
mietere successi.
CRISTAL WALL
DESIGN: CARLO URBINATI
La particolarità del lavabo Cristal Wall
sta tutta nella sua ‘conca’: una lastra di
cristallo trasparente, leggermente
curvata e infilata in un supporto di
ceramica. L’oggetto appare immateriale
e l’acqua, scomparendo lungo tutta
l’ampiezza della conca, accentua
l’effetto. Il lavabo è proposto in tre
dimensioni e in versione doppia. Il
monocomando è prodotto da Hansa.
ART CERAM
01033 Civita Castellana (Viterbo)
T +39-0761599499
www.artceram.it
SISTEMA HELP
DESIGN: NICOLAS MARIA FORTEZ
Il Sistema Help, famiglia di sanitari
(lavabi, wc, bidet e piatti doccia)
concepita per offrire comodità ad
un’utenza ampia e adatta ad un utilizzo
in ambito pubblico, garantisce facilità
di accesso, semplicità di utilizzo, libertà
di movimento. I sanitari Help si
propongono come prodotti di grande
valore formale, da desiderare e non da
respingere. Il sistema ha ricevuto nel
2005 il premio Innovation Preis, il
Design Plus e l’IF International Award.
144 domus Ottobre October 2005
■ The uniqueness of the Cristal Wall
wash-basin is in its basin: a sheet of
gently curved glass held by a ceramic
support. The material presence of the
object disappears and the water which
flows in it and vanishes accentuates
the effect of evanescence. The wash-
basin is proposed in three sizes and in
a double-basin version. The single-
control faucet is produced by Hansa.
■ The Help System, a family of
sanitary-ware items (washbasins, WC
and shower trays) are conceived of to
offer comfort to everyone, everywhere
and are even suitable for use in public
wash-rooms. Help products offer easy
access with innovative design and
strong, formal lines to make them a
desirable asset to any bathroom. In
2005 the program was awarded with
the Innovation Preis, Design Plus and IF
International Award.
CERAMICA CATALANO
01034 Fabrica di Roma (Viterbo)
T +39-07615661
www.catalano.it
Rassegna
■ Not just taps, but the whole
bathroom: the evolution of the Gallery
programme continues and has now
been extended to a range of products
(a pedestal washbasin is shown here)
made from Corian®, the material
manufactured by DuPont that
continues to enjoy great success.
NOVELLO
30035 Mirano (Venezia)
T +39-041430733
www.novello.it
UN LUNGO PERCORSO/A LONG PATH
Durante il Salone del Mobile di Milano
2005, Agape ha allestito, presso lo
Spazio Corneliani, una mostra che
illustrava il “lungo percorso” di ricerca
che ha portato l’azienda a definire il
bagno in ogni sua componente. Dieci
tappe e altrettante stanze sono servite a
mettere in scena l’intero catalogo.
Nell’installazione n. 5 compaiono
sanitari e lavabo di Patricia Urquiola,
rubinetteria di Giulio Gianturco e
Benedini Associati, mobili, accessori e
complementi di Benedini Associati.
■ Agape set up an exhibition in the
Spazio Corneliani of Milan’s Salone del
Mobile 2005, illustrating “the long
path” of research which resulted in
Agape achieving precise definition of
the bathroom and all its components.
Ten stages, shown in ten rooms, show
Agape’s entire catalogue.
In installation no. 5, the sanitary
fixtures and washbasin are by Patricia
Urquiola, the faucets by Giulio
Gianturco and Benedini Associati,
while the furniture, accessories and
decor are by Benedini Associati.
CISAL RUBINETTERIA
28010 Pella – Frazione Alzo (Novara)
T +39-0322969495
www.cisal.it
SUPERELLISSE SYSTEM
DESIGN: MARCO PIVA
Le linee della serie Superellisse nascono
dall’equazione delle curve studiate da
Gabriel Lamé (1795-1870). Il variare
dell’esponente dell’equazione
determina curve differenti: una di
queste è la ‘superellisse’. Piva ne ha
fatto il motivo conduttore di un
programma per il bagno, di raffinata
geometria e realizzato con materiali di
qualità. Il lavabo è in Fire-Clay Fine,
materiale ceramico verniciato e cotto
a oltre 1.200 °C.
■ The superb lines of the Superellisse
series are inspired by the curvature
equations performed by Gabriel Lamé
(1795-1870). The variation of the
equation exponents determines
different curves and one of these is the
‘superellisse’ oval which Piva has made
the protagonist of a bathroom series.
The refined geometry of the series,
combined with high quality materials,
are guaranteed to satisfy even the most
discriminating customers. The wash-
basin is in Fine Fire-Clay, a glazed
ceramic material fired at 1,200 °C.
AGAPE
46031 Correggio Micheli
Bagnolo S. Vito (Mantova)
T +39-0376250311
www.agapedesign.it
WATERBLADE_J
DESIGN: PETER JAMIESON
Serie di miscelatori con comando
joystick. Ne fanno parte il miscelatore
per lavabo, disponibile con due
lunghezze di canna e nella versione
soprapiano, e il miscelatore per bidet.
Finiture: cromo lucido e nichel
spazzolato.
SCULTURE 2
DESIGN: STUDIO DAL LAGO
Sculture 2 è una linea di sanitari in cui
si contrappongono la concretezza della
materia – peculiarità del prodotto
ceramico – e la leggerezza delle forme.
L’architetto Dal Lago così ne parla:
“L’obiettivo della collezione è quello di
facilitare con il fruitore un rapporto
fondato sulla comunicazione di
significati, anche di natura allusiva o
simbolica, facilmente identificabili,
senza sottrarsi, tuttavia, dall’ambito
delle concrete possibilità della tecnica
moderna”.
B:ROOM
DESIGN: KEI_EN STUDIO
ENZO CALABRESE + FABIO MELIOTA
B:Room è un progetto modulare di
arredobagno costituito da pareti
verticali su cui si inseriscono piani
orizzontali ed elementi sospesi. Speciali
profili di alluminio permettono di
distanziare la parete allestita da quella
muraria: nell’intercapedine sono
ospitati il cavedio tecnico, gli impianti
idraulici e di climatizzazione,
purificazione o ionizzazione dell’aria.
I moduli sono costruiti con tecnologia
Giordano®, cioè lastronatura in essenza
pregiata di 5 mm.
■ B:Room is a modular project for
bathroom which includes vertical walls
with inserted horizontal surfaces and
suspended elements. Special
aluminum contours allow the new wall
to be separated from the existing wall
structure and the space between the
two walls holds the technical
plumbing, temperature-control, air
purification or ionization apparatus.
The B:Room modules are built using
Giordano® technology with 5mm thick
panels in high quality material.
■ Waterblade is an innovative range of RUBINETTERIE RITMONIO
mixers with joystick lever for bidet and 13019 Varallo (Vercelli)
washbasin, the latter with two spout T +39-0163560000
lengths and in the countertop version. www.ritmonio.it
Available in shiny chrome and brushed
nickel surface finishing.
TATOO
DESIGN: ELIA NEDKOV
■ Sculture 2 is a line of sanitary fixtures Tatoo è un lavabo realizzato in Corian®
which combine the tangibility of DuPont, di forma semplice e lineare,
ceramics with light, flowing lines. The modellato con una leggera curvatura,
creator of the series, the architect Dal sulla cui superficie è riprodotto un
Lago, said: “The objective of this motivo grafico, frutto di una
collection is to facilitate an allusive and lavorazione d’avanguardia.
symbolic relationship with the user Tatoo si monta a parete; un
while enhancing the tangible potential portasciugamani in acciaio inox è
of modern technology”. fissato sulla parte inferiore del lavabo;
la rubinetteria può essere montata sia a
parete sia sopra il piano stesso.
Lo specchio coordinato ha lo stesso
nome e il medesimo progettista.
■ Tatoo is a washbasin in DuPont
Corian® with clean, simple lines with a
gentle curvature. Its surface reproduces
a graphic motif which is the result of
avant-garde technology.
Tatoo is a wall-mounted basin and it
comes with a towel rail in stainless
steel that is fixed below the basin.
Its coordinated Tatoo mirror was also
HATRIA designed by Elia Nedkov.
Marazzi Group RAPSEL
41100 Modena 20019 Settimo Milanese (Milano)
T +39-059384567 T +39-023355981
www.hatria.com www.rapsel.it
TUGA 2005
DESIGN: STUDIO CARLESI DESIGN ANTONIO LUPI DESIGN
50050 Stabbia (Firenze)
Il progetto si sviluppa a partire da un T +39-0571586881
nuovo concetto di lavabo, realizzato www.antoniolupi.it
con una tecnologia la cui duttilità
permette di progettare l’arredamento
davvero “a misura”, fermo restando le
dimensioni dei bacili. Ne consegue che
il top può essere personalizzato a
seconda delle dimensioni dei mobili,
in maniera da avere una superficie
unica, senza tagli di accoppiamento.
Lunghezze massime: 180 cm per il
lavabo centrale, 160 cm per quello
laterale a sbalzo.
■ The Tuga 2005 washbasin is the
result of an innovative concept and it is
realized with advanced technology to
allow truly customized installation only
bound by the dimensions of its bowl.
Its top can be customized according to
client specifications for a smooth,
continuous surface without cuts for
junctions. Maximum length:
LISTONE GIORDANO ® 180 centimeters for the central
Margaritelli Italia washbasin and 160 centimeters for the
06089 Miralduolo di Torgiano (Perugia) corner washbasin.
T +39-075988681
www.listonegiordano.com
Rassegna domus Ottobre October 2005 145
SOQQUADRO
DESIGN: ROBERTO INNOCENTI
Miscelatore monocomando con collo
girevole, Soqquadro ha una forma
decisa, perfetta per qualsiasi ambiente,
anche il più classico. Funziona con
cartuccia a dischi ceramici. Disponibile
in altri modelli per lavabo e nei gruppi
vasca e doccia.
ALTAMAREA ®
31046 Oderzo (Treviso)
T +39-0422713212
www.altamareabath.it
ESTESA
DESIGN: PIET BILLEKENS
Modernità e praticità sono le
caratteristiche salienti di Estesa, un
programma che si presta alla
realizzazione di soluzioni su misura di
qualsiasi tipo. Due staffe in acciaio inox
satinato, regolabili in profondità da 48
a 65 cm, sostengono lavabi integrati di
cristallo o ceramica (come qui
illustrato), oppure piani con lavabi da
appoggio. Tra le due mensole si può
inserire una barra portasalviette.
146 domus Ottobre October 2005
REEF
DESIGN: ALTAMAREA
Reef è un programma di lavabi sospesi
(fissati a parete), completi di mobile
contenitore sottostante. La concezione
modulare, le linee morbide e le
dimensioni contenute ne consentono
l’utilizzo nei più diversi contesti. I
lavabi integrati (bacile e piano in corpo
unico) possono essere realizzati in tre
differenti materiali: ceramica, Corian® e
vetro. Quelli in vetro sono disponibili in
24 colori, compresi i metallizzati (rame,
oro e argento).
■ Reef is a range of wall-mounted
washbasins complete with underlying
storage unit. The modular design, soft
lines and compact dimensions make it
ideal for use in the most diverse
settings. The built-in washbasins
(featuring basin and top in a single
piece) are available in three different
materials: ceramic, Corian® and glass.
The glass models are available in 24
colours, including metallic ones
(copper, gold and silver).
■ Modernity and practicality are the
main characteristics of Estesa, a range
that is ideal for the creation of all kinds
of made-to-measure solutions. Two
satinised stainless steel brackets with
adjustable depth from 48 to 65 cm
support glass or ceramic washbasins (as
shown here), or counters surmounted
by washbasins. A towel rail can be
fitted between the two brackets.
TULLI ZUCCARI
06032 Borgo Trevi - Trevi (Perugia)
T +39-0742381555
www.tullizuccari.com
Rassegna
■ Soqquadro is a single-lever mixer
tap with swivel neck and a clean
design, which is perfect for all settings,
even the most traditional. It features a
cartridge with ceramic discs and is
available in other models for
washbasins, baths and showers.
BERTOCCI
50019 Sesto Fiorentino (Firenze)
T +39-05544929
www.bertocci.it
NEXT BY PROGETTO
DESIGN: CASTIGLIA ASSOCIATI
La collezione suggerisce un nuovo
linguaggio espressivo per la stanza da
bagno. I contenitori in legno laccato,
l’elemento lavabo in corian e il
pannello corian/specchio con luce, si
articolano in varie configurazioni,
confermando la versatilità compositiva
dei programmi Inda. La possibilità di
integrare varie tipologie di lavabo e
tipi di finiture garantisce soluzioni
originali, in cui la componente
tecnica si sposa a svariate
interpretazioni stilistiche.
■ The collection proposes a new
expressive language for the bathroom.
The lacquered wooden containers,
Corian washbasin unit and
Corian/mirror panel with light can be
combined in various arrangements,
confirming the compositional
versatility of the Inda range.
The possibility of associating various
types of washbasin and finishes
ensures original solutions, in which the
technical aspect merges with diverse
stylistic interpretations.
ZAZZERI
50012 Bagno a Ripoli (Firenze)
T +39-055696051
www.zazzeri.it
GILL
DESIGN: GIANCARLO VEGNI
Con la sua leggera struttura in metallo
cromato e le parti di vetro colorato o
rovere, il sistema Gill è un insieme dal
segno leggero che coniuga praticità
d’uso e versatilità progettuale. La
struttura è costituita da tubolari a
sezione quadrata (12 x 12 mm) su cui
sono fissati gli elementi di vetro o
rovere. Accanto ai consueti accessori,
Gill comprende mensole, carrelli, mobili
pensili e da appoggio, contenitori di
vario tipo. Per lavabi e piani si può
spaziare tra le 43 proposte a catalogo.
■ The Gill system, featuring a
lightweight chromium-plated metal
structure with coloured glass or oak
parts, is an ethereal collection that
combines practicality with design
versatility. The structure is made from
square cross-section (12 x 12 mm)
tubes to which the glass or oak parts
are fastened. In addition to the usual
accessories, the Gill range also features
shelves, trolleys, wall and freestanding
units and containers of various kinds,
while the catalogue offers a choice of
43 washbasins and counters.
INDA
21032 Caravate (Varese)
T +39-0332608111
www.inda.net
LOVE ME
DESIGN: MAURIZIO DURANTI
Rubinetteria a getto d’acqua diretto,
senza la mediazione dell’aeratore. La
serie comprende miscelatori sia esterni
che da incasso, nonché un gruppo
bordo vasca da terra. Sono dotati di
cartuccia con limitatore di portata e di
temperatura.
VOLO
DESIGN: MARCO POLETTI
L’elemento caratterizzante della linea
Volo è il top curvilineo, semplice e
versatile. Il top può essere infatti
interpretato in diversi modi, accogliere
il secondo lavabo ad altezze differenti,
posizionarsi perpendicolarmente alla
parete, come qui suggerito. Utilizzando
in modo propositivo pochi moduli
componibili, Volo riesce così a creare
numerose soluzioni, con composizioni
sia sospese che da appoggio, con lavabi
sovrapiano o in monoblocchi
termodeformati.
■ The characterizing element of the
Volo line is the spline top, simple and
versatile. The top can in fact be
interpreted in various ways, receiving
the second sink at different heights,
positioning it perpendicularly to the
wall, as suggested here. Utilizing in a
proactive way few stackable modules,
Volo manages so to create numerous
solutions, both as hanging and support
compositions, with thermoformed
single-block top-mounted basins.
REGIA
20053 Taccona di Muggiò (Milano)
T +39-0392782510
www.regia.it
■ A range of taps with direct jets,
without aerators. The series comprises
both external and built-in mixer taps
and a freestanding bath-side unit. All
feature a cartridge with flow and
temperature limiter.
EUROLEGNO
06060 Castiglione del Lago (Perugia)
T +39-07596819-1
www.eurolegno.it
CALEIDO
DESIGN: BRUNA RAPISARDA
Colore ed originalità sono le peculiarità
dei complementi d’arredo Caleido.
L’acciaio inox nella finitura matt è
abbinato a lastre di Tecnoglass® –
materiale ad alte prestazioni per
superfici solide piane e curve – o a lastre
di vetroghiaccio oppure di vetrofreddo
colorato. La collezione comprende
pensili, cassettiere su ruote e un
modulo-base da appendere al muro
profondo solo 33 cm. Le maniglie a tutta
larghezza donano agli elementi un
inconfondibile piglio.
■ Colour and originality are the
peculiarity of the Caleido
complementary furnish. Matt finish
stainless steel is combined with sheets
of Tecnoglass® – a high performance
composite material for solid flat and
curved surfaces – with Vetro Ghiaccio
(glass ice) or coloured vetrofreddo.
The collection includes cupboards,
chests of drawers on wheels and a
wall-mounted base-module that is
just 33 cm deep. The Caleido leit motif
is its full width handles which give the
items an exclusive aesthetic effect.
Rassegna
FRISBEE
DESIGN: ARTELINEA
Nascono all’insegna del cristallo
colorato i nuovi lavabi della collezione
Frisbee. Qui è suggerito un modello con
il bacile poco profondo (quasi piatto) in
cristallo nero fumé e top in cristallo
giallo. A completamento, uno specchio
curvato alla base e alla sommità; la
curvatura inferiore serve da mensola
portaoggetti.
■ The new sinks of the Frisbee
collection originate under the coloured
crystal sign. Here is a model with a not
so deep washbasin (almost flat) in
black gravel crystal and yellow crystal
top. At completion, a mirror curved at
the base and the top; the lower
curvature is used as a shelf
compartment.
PLANIT
39040 Ora (Bolzano)
T +39-0471811490
www.planit.it
IB RUBINETTERIE
25068 Sarezzo (Brescia)
T +39-030802101
www.ibrubinetterie.it
ARTELINEA
52028 Terranuova Bracciolini (Arezzo)
T +39-0559120925
www.artelinea.it
ISLAND
DESIGN: SIMONE MICHELI
Il progettista sostiene che Island, come
le collezioni Wave, Block e Block Plus, è
stata concepita “con l’intento di
rappresentare un nuovo affascinante
scenario visivo e funzionale”.
Immaginate “come eteree presenze
capaci di vibrare, magicamente sotto
l’effetto della luce naturale o
artificiale”, le nuove collezioni Planit
sono ottenute per termoformatura,
diventando “dei veri e propri manifesti
espressivi capaci di esaltare i contenuti
del corian e del metallo”.
■ The designer affirms that Island, like
the Wave, Block and Block Plus
collections, was conceived “with the
intent of representing a new
captivating visual and functional
scenario”. “Like ethereal appearances
able to vibrate magically under the
effect of the natural or artificial light”,
the new Planit collections are
thermoformed, becoming “real and
own expressive manifests, able to exalt
the contents of corian and metal”.
domus Ottobre October 2005 147
SUITE
DESIGN: BENEDINI ASSOCIATI
Suite è una nuova linea di rubinetteria
monocomando la cui linea richiama un
ramo con le sue biforcazioni. Le
dimensioni sono generose, specie nel
caso del miscelatore da pavimento per
vasca centro ambiente, qui suggerito.
Finitura: cromo.
NATIVE
DESIGN: MIRAGE ®
Native è una perfetta sinergia tra
l’estetica e la forza del granito
ceramico, materia dalle indiscutibili
performance tecniche: resiste ai graffi e
all’usura, è inassorbente, si posa e si
pulisce facilmente, ha un elevato carico
di rottura. La collezione è proposta in
diversi formati (60 x 60 cm, 30 x 60 cm,
45 x 45 cm, 30 x 30 cm, 15 x 15 cm),
nelle due superfici naturale e lappata
e in una serie di decori e pezzi speciali
in grado di soddisfare pienamente
ogni progetto.
■ Native is a perfect cooperation
between aesthetics and the strength
of ceramic granite, material with
unquestionable technical
performances: it resists to scratches
and usury, it is un-absorbent, easily
placed and cleaned and has an
elevated ultimate strength.
The collection is proposed in various
formats (60 x 60 cm, 30 x 60 cm,
45 x 45 cm, 30 x 30 cm, 15 x 15 cm),
in the two natural and lapped surfaces,
and a series of decorum and special
pieces able to fully satisfy each project.
MAMOLI
20084 Lacchiarella (Milano)
T +39-02900461
www.mamoli.com
148 domus Ottobre October 2005
■ Suite is a new line of single lever
faucets whose design reminds of a
branch with its crotches. The
dimensions are bountiful, especially in
the case of the pavement mixer for
bathtub central environment, as
suggested here. Finish: chrome.
MIRAGE ® GRANITO CERAMICO
41026 Pavullo nel Frignano (Modena)
T +39-053629611
www.mirage.it
REFIN ® CERAMICHE
42010 Salvaterra (Reggio Emilia)
T +39-0522990499
www.refin.it
FUENTE EGO-JET
DESIGN: MACO BAXADONNE DESIGN: I.S.A.
Il rubinetto Fuente ha una bocca La doccia Ego-jet eroga un getto a
squadrata e sottile, che fa sgorgare pioggia, soffice e stimolante al tempo
l’acqua come una cascatella. stesso. È dotata di sistema anticalcare
Le manopole, di foggia inusuale per un Fast Clean, composto da gommine in
rubinetto, conquistano per silicone liquido che garantiscono un
l’immediatezza e la facilità d’uso. getto sempre uniforme nel tempo e
Il progettista parla di “una forma una facile pulizia. Le linee squadrate
semplice, depurata da tutti i contenuti non inficiano l’ergonomia
non considerati indispensabili”, una dell’impugnatura.
“canna piegata come se il peso ■ The Ego-jet shower supplies a
dell’acqua la flettesse e una leva di rain–jet, soft and stimulating at the
comando che non ha niente di troppo”. same time. It is equipped with the
■ The Fuente faucet has a square- anti-limestone system Fast Clean,
shaped and thin mouth, which makes made of liquid silicon nozzles which
the water flow like a small fall. always guarantee in time a uniform jet
The knobs, of unusual shape for a and an easier cleaning. The square-
faucet, overcome by the immediacy shaped designs do not invalidate the
and the ease of use. The designer ergonomics of the handle.
speaks about “a simple form,
purified by all the contents not
considered indispensable”, a “bent
pipe as if the weight of the water
flexed it and a command lever which
has nothing more”.
Rassegna
FANTINI RUBINETTI
28010 Pella (Novara)
T +39-0322969127
www.fantini.it
FABULA
DESIGN: REFIN ®
Gres porcellanato in massa, Fabula ha il
colore e il calore della pietra leccese.
Le numerose soluzioni multiformato e i
bordi rettificati, la perfetta modularità
di accostamenti e di colore consentono
una posa a regola d’arte. Fabula è
perfetto per i rivestimenti di bagno e
cucina; nella versione strutturata,
unisce luminosità e bellezza alla
massima resistenza all’usura e al gelo,
diventando così un pavimento ideale
anche per esterni.
■ Mass glazed porcelain stoneware,
Fabula has the colour and the warmth
of the Lecce stone. The numerous
multi-format solutions and the
adjusted borders, the perfect
modularity of combinations and
colours allow a perfect pose. Fabula is
perfect for the covering of bathroom
and kitchen; in the structural version,
it unites luminosity and beauty to the
highest resistance to usury and
freezing, therefore becoming an ideal
floor also for exteriors.
I.S.A. IDROSANITARIA
Loc. Ponte Zanano
25068 Sarezzo (Brescia)
T +39-030832881
www.isaidrosanitaria.it
SOFT
DESIGN: ROBERTO + LUDOVICA
PALOMBA
Espressione di un design
contemporaneo trasversale, Soft
trasforma il rubinetto, oggetto tecnico e
funzionale, in complemento al servizio
dell’architettura. È proposto nelle
versioni tradizionale e monocomando
(qui a incasso).
CASALGRANDE PADANA
42013 Casalgrande (Reggio Emilia)
T +39-05229901
www.casalgrandepadana.com
PLAYONE 85
DESIGN: FIR ITALIA
Il monocomando Playone 85 ha corpo,
erogatore e leva ridotti ad un unico
elemento. Gli spigoli sono stati
eliminati, gli angoli smussati.
Avvicinando la leva all’erogatore, il
progetto ricercava un’unità formale e
visiva che coniugasse estetica e
funzionalità. Il disegno dell’intera
collezione – tra cui monocomando per
lavabo standard e con prolunga – si
caratterizza per l’integrazione della
leva, di dimensioni differenti a seconda
dell’articolo cui è abbinata.
PIETRE ETRUSCHE
DESIGN: CASALGRANDE PADANA
Le Pietre Etrusche, lastre in gres
porcellanato, sono realizzate con
tecniche e materiali innovativi che
traggono però ispirazione dalle pietre
naturali e dai loro cromatismi.
I numerosi formati, mosaici, decori e
pezzi speciali si associano a svariate
finiture: nove colori, su superfici
naturali e lappate. Le lastre, fornite
rettificate e squadrate, resistono alle
macchie e all’usura e sono adatte
all’utilizzo sia in ambito residenziale
che collettivo.
■ The Pietre Etrusche (Etruscan stones),
tiles in glazed gres, are manufactured
with innovative techniques and
materials which derive an inspiring
force from natural stones and their
chromatics. The numerous formats,
mosaics, decorum and special pieces
are associated to various finishing:
nine colours on natural and lapped
surfaces. The tiles, supplied rectified
and square-shaped, resist to the stains
and usury and are suitable for the use
in the residential and collective
environment.
■ The Playone 85 single lever has body,
spout and lever reduced to just one
element. The rough edges have been
eliminated, the corners smoothened.
Drawing the lever near to the supply,
the project sought a formal and visual
integration that combined aesthetics
and functionality. The design of the
entire collection – among which single
lever for standard and extended basins
– is characterized for the integration of
the lever, of different dimensions,
according to the article it is linked to.
FIR ITALIA
28010 Vaprio d’Agogna (Novara)
T +39-0321996423
www.fir-italia.it
Rassegna
■ Expression of a transversal ZUCCHETTI RUBINETTERIA
contemporary design, Soft transforms 28024 Gozzano (Novara)
the faucet, technical and functional T +39-0322954700
object, in complement to the www.zucchettionline.it
architectural service. It is proposed in
the traditional and single lever
versions (here the built-in model).
ELITE
DESIGN: MARCA CORONA CERAMICHE MARCA CORONA
41049 Sassuolo (Modena)
La serie Elite fa parte del progetto T +39-0536867200
Abitare Contemporaneo ed è ispirata www.marcacorona.it
alla pietra naturale Crème d’Algerie.
Gres porcellanato colorato in massa,
Elite è disponibile nella variante
naturale e in quella lappata (in questo
secondo caso la superficie è lucida).
Entrambe le soluzioni hanno bordi
rettificati che consentono una posa a
giunto unito. Cinque i colori (avorio,
crema, oro, rosso, grigio), quattro i
formati (45 x 45, 30 x 30, 30 x 60 e
60 x 60 cm).
■ The Elite collection is part of the
‘Abitare Contemporaneo’
(Contemporary Living) project and is
inspired by the natural stone Crème
d’Algerie. Mass coloured porcelain
stoneware, Elite is available in the
natural version and in the lapped one
(the second one with polished surface).
Both solutions have rectified borders,
which allow it to lie at united joint.
Five are the colours (ivory, cream, gold,
red and grey), four are the formats (45
x 45, 30 x 30, 30 x 60 and 60 x 60 cm).
SENA
DESIGN: GROHE
Sena colpisce per la chiarezza e
l’essenzialità del suo profilo: propone
infatti una manopola monogetto dalle
forme estremamente contemporanee,
riprese anche nell’asta. Design
all’avanguardia anche per il soffione
doccia fisso a parete, qui suggerito:
eroga un getto piacevolmente
rilassante ma allo stesso tempo
rinvigorente. Sena è dotata del sistema
Speed Clean, che impedisce la
formazione di depositi di calcare.
■ Sena strikes for the clarity and the
essentiality of its profile: in fact it
proposes a single lever nozzle of
extremely contemporary forms,
resumed also in the road bar arm.
Vanguard design also for the wall-fixed
shower head, as suggested here: it
supplies a pleasingly relaxing jet but at
the same time it is reinvigorating.
Sena is equipped with the Speed Clean
system, which prevents the formation
GROHE of limestone.
20040 Cambiago (Milano)
T +39-02959401
www.grohe.it
domus Ottobre October 2005 149

WOOD
DESIGN: MONOCIBEC
Gres porcellanato smaltato colorato in
massa, Wood elabora le varie venature
del legno. Le piastrelle permettono
soluzioni di posa differenti: una veloce
e più moderna, regolata dalle forme
quadrate (50 x 50 cm), l’altra più
articolata e complessa che sfrutta le
innumerevoli combinazioni dei formati
25 x 50 cm, a correre, e 12,5 x 50 cm,
da posare a “tolda di nave” o a “spina
di pesce”. Colori beige, bianco, grigio,
rosso e verde (qui suggerito).
■ ‘Wood’, the porcelain glazed ceramic
tile, expresses the grains of various
types of wood. These tiles allow a
number of lay-out solutions: easy and
quick for the 50 x 50 squares, more
artistic and complex – but with infinite
design potential including ‘ship deck-
effect’ and ‘fishbone’– for the 12.5 x
50 cm. Wood comes in beige, gray, red
and green (in the photo).
SAVIL RUBINETTERIE
25060 Cogozzo di Villa Carcina (Brescia)
T +39-0308900437
www.savil.it
150 domus Ottobre October 2005
WELL ZONE SHOWER PROGRAMME
DESIGN: OFFICINE NOBILI
Nel programma Well zone un solo ■ The Well zone shower program is all
blocco, con funzione termostatica, serve in a single, easy-to-install, structure
a regolare l’acqua e la sua temperatura, with a thermostat/control panel to
a selezionare le uscite e facilitare adjust water temperature, water flow
l’installazione. Il deviatore assicura la and water exit points. There are 5+5
fruizione sino a 5+5 vie d’uscita singole single water exit points with a deviator
e la selezione contemporanea delle due to permit any one of them to be
vie tra loro contigue. selected individually or two of them to
be selected simultaneously.
CONTEMPORA
DESIGN: KEOPE
La serie Contempora si caratterizza per
le sottili venature ad effetto legno e le
fenditure di colore, che danno alle
piastrelle (gres porcellanato a tutta
massa) una spiccata versatilità di
utilizzo. La grafica direzionata crea
eleganti ed equilibrati movimenti,
personalizzabili con una posa ordita o
casuale delle piastrelle. Quattro colori,
tre formati (45 x 45, 20 x 60 e 60 x 60
cm), rettificati. La finitura ‘sabbiata’
(disponibile solo per il 45 x 45 cm) è
adatta a zone ad alto traffico.
■ The Contempora series of tiles has
the subtle appearance of the grain of
wood with rifts of color to allow these
whole-body ceramic, porcelain-glazed
tiles great versatility of use. The wood
motif creates elegant and harmonious
movement and the tiles can be laid
either in standard rows or customized
to the client’s wishes in a lay-out with
a casual effect. They come in four colors
MONOCIBEC and three sizes (45 x 45, 20 x 60 and
41049 Sassuolo (Modena) 60 x 60 cm), while the ‘sanded’ finish
T +39-0536861300 (suitable for high traffic areas) is only
www.monocibec.it available in the 45 x 45 size.
MINIMO BAGNO ICE
DESIGN: SAVIL DESIGN: MARCELLO ZILIANI
Le linee semplici sono ormai un obbligo Riflessi e trasparenze imprimono alla
anche nella rubinetteria. Non fa collezione Bagno Ice, un programma
eccezione la serie Minimo, qui illustrata completo di miscelatori, doccette e
da un miscelatore monocomando per accessori per il bagno, una spiccata
lavabo. La serie offre prestazioni originalità. La lastra trasparente che
elevate; l’anima tecnologica di Minimo attraversa i diversi elementi conferisce
risiede nella cartuccia: essa regola il loro una sorprendente luminosità, che
movimento in modo silenzioso, anche a esalta l’equilibrata personalità della
portate levate. Il miscelatore è collezione. Materiali impiegati: ottone
disponibile nelle finiture cromo lucido, cromato, polimetacrilato,
cromo satinato e argento spazzolato. tecnopolimeri termoplastici.
■ Simple and clean lines are a must for
contemporary faucets and the Minimo
series leads this trend. In the photo,
the Minimo single-lever basin mixer
which offers maximum performance
because of the advanced technology of
its mixer cartridge. In fact, water flow is
silent even when the flow is heavy. The
Minimo mixer is available in three
finishes: shiny chrome, satin chrome
and brushed silver.
Rassegna
OFFICINE NOBILI
28021 Borgomanero (Novara)
T +39-0322844555
www.nobili-spa.com
CERAMICHE KEOPE
42013 Casalgrande (Reggio Emilia)
T +39-0522997511
www.keope.com
■ Reflections and transparencies make
the Bagno Ice bathroom collection
sublimely original. The transparent
sheet of high-tech material, which
connects the elements, creates
surprising luminosity which exalts the
harmony of the collection. Bagno Ice
includes mixers, shower sprays and
bathroom accessories. The materials
used are: chrome-finished brass,
polymer acrylic and thermoplastic
technopolymers.
GIOIELLI BY VISENTIN
28076 Pogno (Novara)
T +39-0322997400
www.visentin.it
CASCATA
DESIGN: BOSSINI
Soffione con getto a cascata orientabile.
Corpo in ottone, con due attacchi a
muro 1/2” M x 1/2” M. Disponibile
nelle misure 150 mm e 250 mm.
Finitura cromata. Ideale dopo un bagno
turco o una sauna.
■ Shiny brass shower spray, with
adjustable spray direction and two wall
attachments 1/2” M x 1/2” M (available
in two sizes: 150 mm and 250 mm).
Ideal for a sinfully luxurious shower
after a sauna or Turkish bath.
METAL LINE
DESIGN: CERAMICA IRIS
Metal Line è un gres porcellanato
smaltato sottoposto a cottura a 1.300
°C. Il suo basso assorbimento d’acqua
(0,04%) lo rende adatto agli impieghi
più gravosi, per pavimentazioni e
rivestimenti, sia in ambito residenziale
che commerciale. Qui è proposto nel
formato 47 x 47 cm, finitura Steel.
La collezione prevede anche il formato
66,6 x 33,3 cm.
■ Metal Line: a porcelain enamelled
stoneware subjected to glazing at
1,300° C. Its low water absorption
(0.04%) renders it equally adaptable to
more robust functions for surfaces and
coverings both in residential and
commercial settings. We present here
the 47 x 47 cm format with steel finish.
The collection also includes a 66.6 x
33.3 cm format.
NEWFORM
13037 Serravalle Sesia (Vercelli)
T +39-0163452011
www.newform-italy.com
CERAMICA IRIS
41042 Fiorano Modenese (Modena)
T +39-0536862111
www.irisceramica.it
EGON
DESIGN: NEWFORM
Il meccanismo di miscelazione di Egon è
posto al di sotto della piastra
d’appoggio: l’acqua miscelata viene
trasferita alla canna piatta attraverso
appositi micropassaggi. Tale tecnologia
permette di preservare una linea sottile
e delicata lasciando inalterata la
qualità tecnica che contraddistingue i
prodotti Newform. La serie è
disponibile nei modelli per il bagno e
per la cucina, nelle finiture cromo
lucido, satinato e spazzolato.
■ Egon’s single-lever basin mixer is
placed under the top-surface: after the
water is mixed, it reaches the flat
spout through a series of small specific
paths. This technology allows Newform
to maintain a thin and graceful line
without lessening the high technical
quality which distinguishes Newform
products. The Newform series is
available for bathrooms and kitchens
and comes in three finishes: shiny
chrome, satin and brushed.
Rassegna
BOSSINI
25014 Castenedolo (Brescia)
T +39-0302134211
www.bossini.it
VIEW
DESIGN: ATLAS CONCORDE
View s’ispira alle finiture superficiali
ottenute con la stesura a spatola di
cementi e resine. La serie prevede
infatti alcune colorazioni derivate dai
cementi naturali (grey, brown, ivory,
ice, white), da accostare a colori
sintetici a contrasto (red, orange,
green, blue). Il prodotto è realizzato con
la tecnologia della monoporosa in
pasta bianca, nei formati 30,5 x 56 cm
rettificato e 15 x 56 cm. Pavimenti
coordinati in gres porcellanato (30,5 x
30,5 cm, rettificato).
■ View, the designer floor tile in
brushed cement and resin, is available
in the natural cement colors – gray,
brown, ivory, ice and white – to be
enhanced by contrasting synthetic
colors (red, orange, green and blue).
These fine tiles are created with
advanced mono-porous, white paste
technology and are available in two
sizes: 30.5 x 56 cm and 15 x 56 cm.
Coordinated floors are in porcelain CERAMICHE ATLAS CONCORDE
stoneware available in 30.5 x 30.5 cm 41040 Spezzano di Fiorano Modenese (MO)
squares. T +39-0536867811
www.atlasconcorde.it
DARIO
RUBINETTERIE CRISTINA DESIGN: MAKIO HASUIKE
28024 Gozzano (Novara)
T +39-0322956340 “Il progetto riconsidera la tipologia
cristina@cristina.ch classica del rubinetto a monoleva,
attraverso un aggiornamento
espressivo che rinnova con chiarezza e
semplicità il rapporto fra le varie parti
che lo compongono. Corpi geometrici
che si uniscono senza soluzione di
continuità, come impone la tecnologia
della fusione del metallo, ma allo stesso
tempo mantengono formalmente la
loro autonomia”, dichiara Hasuike. La
serie comprende i consueti modelli; da
segnalare il gruppo vasca, per la forma
alternativa e l’originale deviatore.
■ “Our design takes a new look at the
classical single-lever faucet and
cleanly updates the relationships
among its various parts in a simple and
graceful way. The geometrical shapes
join together seamlessly because of the
advanced technology used for welding
metal. But at the same time, each
element maintains its independent
identity”, said designer Hasuike. The
Dario series includes a highly
innovative tub mixer.
domus Ottobre October 2005 151
WATER WALL
DESIGN: LUDOVICA + ROBERTO PALOMBA
Colonnina doccia multifunzione di
dimensioni ridotte con sedile,
accessoriabile con doccia e getti per
schiena. Progettata per essere
estremamente comoda, ma anche
d’impatto visivo ridotto. Dimensioni:
43 x 70 x H 194,5 cm.
FRANZ KALDEWEI GMBH & CO. KG
D-59229 Ahlen (Germany)
T +49-(0)2382-7850
KALDEWEI ITALIA
39042 Bressanone (Bolzano)
T +39-0472200953
www.kaldewei.com
AVEO
DESIGN: CONRAN & PARTNERS
Coordinata ai sanitari in ceramica della
omonima linea, Quaryl® Aveo è una
vasca (con e senza idromassaggio)
caratterizzata da linee morbide e
arrotondate, che ben si sposano a
quelle dei sanitari. Il pannello di
supporto, monoblocco e senza punti di
giunzione, colpisce per la sua
originalità. La sua forma guscio è
perfetta per un’installazione a centro
stanza, ma esiste anche la versione da
incasso, che lascia a vista l’alto bordo
della vasca.
■ Coordinated with the ceramic
sanitary fittings of the homonymous
line, Quaryl® Aveo is a bathtub (with
and without Jacuzzi jets) characterized
with soft and rounded lines that
perfectly match the rest of the set. The
jointless monoblock support panel is
remarkable for its originality. Its shell-
shaped form renders it perfect as a
central installation, but it also comes in
the built-in version, which leaves the
higher edge of the bathtub visible.
152 domus Ottobre October 2005
■ Small dimensioned multifunctional
shower column with seat that can be
equipped with shower and back jets.
Designed for extreme comfort, but also
for compact visual effect. Dimensions:
43 x 70 x H 194,5 cm.
CONODUO – CONOPLAN
DESIGN: ETTORE SOTTSASS
La vasca (ConoDuo) e il piatto doccia
(ConoPlan), con il loro interno conico
governato da un raggio ergonomico,
nascono, secondo il progettista, “dalla
necessità di semplificare la stanza da
bagno. L’interesse si focalizza
esclusivamente sul fare il bagno e sul
rilassarsi. Il design rappresenta una
forma geometrica chiara,
architettonica, ergonomica e
confortevole”. Scarico e troppopieno
hanno lo stesso colore di vasca e piatto.
■ The bathtub (ConoDuo) and shower
tray (ConoPlan), with their conical
interior marked by an ergonomic
radius, were born, according to their
designer, “from a need to simplify the
bathroom. The main focus of interest
being on taking a bath and relaxing.
The design represents a clear,
architectural, geometric shape which is
both ergonomic and comfortable”.
The drain and overflow are of matching
color with the bathtub and shower tray.
VILLEROY & BOCH
WELLNESS ITALIA
62010 Montecassiano (Macerata)
T +39-073329971
www.villeroy-boch.com
Rassegna
KOS
33170 Pordenone
T +39-0434363405
www.kositalia.com
DUKA
39042 Bressanone (Bolzano)
T +39-0472273100
www.duka.it
MOODY
DESIGN: AMBROGIO ROSSARI
Tra le possibilità offerte da Moody, una
collezione di lavabi personalizzabili in
vario modo, c’è anche la vasca con
acquario incorporato, una tentazione
per gli appassionati e una simpatica
curiosità per tutti. I pesciolini sono
ospitati su un lato della vasca;
l’acquario ha la stessa altezza e
lunghezza della vasca ed ha una
profondità di circa 25 cm. Materiali:
vetro temperato, base in Wilsonart e
schienale in Parapan. Proibiti i bagni
troppo caldi?
■ Amongst the possibilities offered by
Moody, a collection of various
personalised washbasins, there is also
a bathtub with an incorporated
aquarium; a temptation for aquarium
lovers and a likeable curiosity for all.
The little fishes are housed to one side
of the bathtub; the aquarium is of
equal length and height to the bathtub
with a depth of approximately 25 cm.
Materials: tempered glass, base in
Wilsonart and back in Parapan.
ENTRA
DESIGN: DUKA
Negli ultimi anni le cabine doccia si
sono sempre più adattate alle esigenze
delle persone che le utilizzano; possono
occupare più spazio di quanto sino ad
oggi è stato loro concesso e dimensioni
come 90 x 150 cm non eccedono più
ciò che viene definito ‘standard’.
Il modello Entra appartiene alla
categoria delle cabine di “grande
portata”. È disponibile in numerose
varianti o su misura, per le più diverse
situazioni architettoniche.
■ In the last few years shower
enclosures have become more and
more adapted to the needs of the
persons using them; occupying more
space than they ever have until today,
as dimensions such as 90 x 150 cm
are no longer considered out of the
standard norm. The model Entra
belongs to the “large capacity”
category. It is available in many
versions and on special order to
comply with the most varied
architectural situations.
EVEN
35012 Camposampiero (Padova)
T +39-0499303577
www.evendesign.it
REEF
DESIGN: LUDOVICA + ROBERTO PALOMBA
Con le sue minipiscine idromassaggio e
i piatti doccia a filo pavimento (qui
illustrati), la serie Reef evoca attività
presenti nelle terme romane riproposte
dalle moderne spa: bagno caldo, doccia
fredda, rilassamento e massaggio per i
muscoli, comunicazione e incontro.
BOFFI
20030 Lentate sul Seveso (Milano)
T +39-03625341
www.boffi.com
SEASIDE
DESIGN: TALOCCI DESIGN
Seaside non è solo una vasca
idromassaggio, ma un angolo di relax
da posizionare al centro
dell’abitazione. Nonostante le
dimensioni (215 x 200 cm), Seaside si
armonizza con l’ambiente grazie alle
sue forme leggere e pulite.
L’idromassaggio classico è sostituito da
un sistema blower; comandi e
rubinetteria sono celati all’interno di un
vano apribile; l’illuminazione esterna
corre lungo tutto il bordo della vasca e la
fa apparire come sospesa nel vuoto.
■ With its mini Jacuzzi pools and
shower trays and floor lining
(illustrated here) the Reef series bring
to mind leisure activities found in
Roman Baths reconsidered for the
modern spa: hot baths, cold showers,
muscle relaxation and massage,
communication and encounters.
SWIM
DESIGN: PIERO LISSONI
Le vasche Swim sono realizzate in
vetroresina (con gelcoat bianco) e
caratterizzate da rivestimenti
perimetrali in varie finiture e da vani di
contenimento laterali attrezzabili con
cassettiere in legno e ripiani in vetro.
Dimensioni versione base: 185 x 90 x H
55 cm. Dimensioni con vani laterali:
205 x 90 x H 55 cm (con vano lato
corto); 185/245 x 110 x H 55 cm (con
vano lato lungo). Le vasche sono
compatibili con i rubinetti bordovasca
delle serie proposte da Boffi.
■ The Swim bathtubs are realized in
fibreglass (with white gelcoat) and
characterized by perimeter coatings in
various finishes and with little storage
compartments at the side of the bath
which can be equipped with wooden
dressers and glass shelves. Dimensions
basic version: 185 x 90 x H 55 cm.
Dimensions with lateral openings: 205
x 90 x H 55 cm (with short side space);
185/245 x 110 x H 55 cm (with long
side opening). The bathtubs are
compatible with the deck-mounted
taps of the series by Boffi.
■ Seaside is not just a Jacuzzi, but also
a space where one can relax, to be
positioned in the centre of the room.
Despite the dimensions (215 x 200 cm),
Seaside harmonizes itself to the
environment thanks to its light and
clean forms. The classic Jacuzzi is
substituted by a blower system;
commands and taps are hidden inside
a space that can be opened; the
external illumination runs along all of
the bathtub’s border and makes it
appear as if suspended in mid air.
TEUCO
62010 Montelupone (Macerata)
T +39-07332201
www.teuco.it
Rassegna
HOESCH DESIGN
D-52034 Düren (Germany)
In Italia: HOESCH BAGNO
30038 Spinea (Venezia)
T +39-0415411988
www.hoesch.de
ROSSOVIVO
DESIGN: MASSIMO FARINATTI
Immergersi nella vasca Rossovivo è
come sprofondare nel rosso del
tramonto o nel blu del mare, mentre
l’acqua vibrante dell’idromassaggio
Airpool dona sensazioni di benessere.
La vasca, freestanding, vive in bagno,
ma anche in qualsiasi altro ambiente.
Design, colore e accorgimenti tecnici
consentono infatti un’agevole
installazione ovunque. Colori traslucidi
per sognanti percezioni visive,
ergonomia per una postura salutare e
rilassante.
■ Immersing oneself in the Rossovivo
bathtub is like plunging into the red of
the sunset or into the blue of the sea,
while the bubbly water of the Airpool
Jacuzzi offers a feeling of wellbeing.
The freestanding bathtub dwells in the
bathroom, but also in any other
environment. Design, colour and
technical arrangements in fact allow
for an easy installation anywhere.
Translucent colours for dream visual ALBATROS
perceptions, ergonomics for a healthy 33097 Spilimbergo (Pordenone)
and relaxing posture. T +39-0427587111
www.albatros-idromassaggi.com
AURA UNO
DESIGN: CARLO URBINATI
Le forme pulite e lineari danno ad Aura
Uno la perfetta adattabilità oggi
richesta ad una vasca idromassaggio.
Più contenuta nelle dimensioni rispetto
al modello già esistente, Aura Uno
dispone di alcuni accorgimenti che ne
fanno un vero strumento per ritrovare il
benessere perduto: poggiatesta,
doccetta, erogatore con deviatore
automatico e soprattutto
idromassaggio a quattro getti dorsali;
posti nello schienale, i getti praticano
un massaggio con effetto rotante.
■ Its clean and linear lines make
Jacuzzi’s Aura Uno perfectly adaptable
to any whirlpool tub. Smaller than its
predecessor, Aura Uno has a series of
accessories including a head rest, small
shower spray and a spout with an
automatic deviator. Its four new water
massage points at the back which give
a rotating-like massage, however,
make it an invigorating experience.
JACUZZI EUROPE
33098 Valvasone (Pordenone)
T +39-0434859111
www.jacuzzi.it
domus Ottobre October 2005 153
 HAMMAM
Photo Paolo Ultimpergher
DESIGN: GIOVANNA TALOCCI
Bagno di vapore tra le pareti
domestiche? Progetto Hammam lo
rende possibile. Mette, infatti, a
disposizione tutti gli elementi
fondamentali a trasformare una cabina
doccia esistente in un perfetto bagno
turco oppure a costruirne uno ad hoc.
ECLISSE
DESIGN: PIET BILLEKENS
La cabina doccia Eclisse propone
soluzioni innovative e tuttavia
estremamente semplici. Il designer,
dopo aver ridotto al minimo le parti
meccaniche, ha creato una forma “a
chiocciola” che, grazie alla particolare
disposizione delle due lastre di vetro,
trattiene perfettamente l’acqua nella
zona umida e crea un’area d’entrata
asciutta e calda. Non ci sono porte: le
due aree circolari sono unite e separate
dalle lastre curve di cristallo.
■ The Eclisse shower stall is the result
of innovative, but extremely logical,
solutions. The designer Piet Billekens
has minimised intrusive mechanical
parts and has striven for a "snail
shape" essential design, which due to
the incorporation of two glass panels
retains water well in the wet area, yet
also creates a complimentary warm
and comfortable walk-in area.
There are no doors, just two fabulous
glass panels optimising function and CESANA
easy access. 20059 Vimercate (Milano)
T +39-039635381
www.cesana.it
DOUCHE LONGUE ®
AQUARAMA DESIGN: AQUARAMA
24060 Bagnatica (Bergamo)
T +39-035683991 Entrare in una cabina Douche Longue®
www.aquaramaline.com significa poter usufruire, seduti su una
poltroncina ergonomica reclinabile, di
idromassaggio ad ugelli orientabili,
sauna vapore “quick steam”,
cromoterapia, musicoterapia hi-fi, con
eventuale collegamento wireless
all’impianto domestico, aromaterapia,
doccia tropicale... Ovviamente corredati
di tutti i dispositivi e gli accorgimenti
tecnici del caso. Un relax che... sfinisce.
■ To enter a Douche Longue® shower
stall is an experience: sitting on a
reclining ergonomic seat with
adjustable water-massage points, a
“quick steam” sauna, a hi-fi for music
therapy (or a wireless connection to the
home stereo system), aroma therapy
and a tropical shower, if so desired,
with all the state-of-the-art high tech
apparatus required, makes for very
intense… relaxation.
154 domus Ottobre October 2005
■ Hammam makes a home steam bath
possible by providing all the elements
to transform an existing shower stall
into a perfect Turkish bath or to build
one from scratch.
ACHILLE
DESIGN: CALYX
Achille (versione Digit) è una spa in
miniatura. Offre getti a cascata
(bocchette Idrolama), massaggio
cervicale e lombare (boccette Minijets),
massaggio linfodrenante sequenziale o
parziale (bocchette Idropulsar) e il
bagno di vapore (bocchette Idrovapor).
Le dimensioni (100 x 75 x H 216,5 cm)
non spaventano e danno al prodotto
una calibrata versatilità di installazione.
Smile, il tipo basic, rinuncia a Idrolama
e Minijets a favore di sei getti Idrostylo.
■ The Achille shower stall (Digit version)
is a complete though miniature spa
which provides: Idrolama waterfall
spouts and neck and back water-
massage points (Minijets spouts), along
with an either sequential or partial
lymphatic drainage massage system
(Idropulsar spouts) and a steam bath
(Idrovapor spouts). All this is in a small,
100 x 75 x H 216.5 cm, package which
gives this product a great deal of
installation versatility. Smile, its basic
version, has six Idrostylo sprays
instead of the Idrolama waterfall spouts
and Minijets.
MEGIUS
35035 Mestrino (Padova)
T +39-0499048711
www.megius.com
Rassegna
EFFEGIBI
47022 Borello di Cesena (FC)
T +39-0547372881
www.effegibi.it
CALYX IDROMASSAGGIO
33080 Porcia (Pordenone)
T +39-0434922922
www.calyx.it
SOLODOCCIA
DESIGN: DECOMA
Gli elementi strutturali del progetto
Solodoccia sono conformabili a tutti i
piatti doccia standard in commercio.
Si installano con rigorosa funzionalità e
massima adattabilità e indipendenza
dai muri, in modo rapido e sicuro.
Solodoccia dimostra come lo sviluppo
unitario del progetto formale e di
quello tecnico crei oggetti in grado di
soddisfare esigenze ben definite in
modo flessibile.
■ The structural elements of the
Solodoccia system can be adapted to all
the shower trays available on the
market. Its free-standing installation is
rigorously functional, quick and safe
and is independent of the existing wall
structure. Solodoccia confirms the
importance of the production process in
the unitary development of the formal
design with the technical design,
creating objects able to satisfy well-
defined needs in a flexible manner.
PROMED: SERIE 400
DESIGN: MM DESIGN
Serie 400 è un sistema di sedute
progettato per aiutare chi ha problemi
di mobilità. Ne fanno parte sedili per
doccia, sgabelli e un sedile da
appendere ai maniglioni di sicurezza.
Colori: bianco, cromo/bianco e
cromo/nero. A completamento, piani di
seduta lisci o antiscivolo.
GO
DESIGN: NOVELLINI
Go propone una serie di docce senza
porta, ideali per montaggio a
pavimento. Sono disponibili
configurazioni ad angolo e contro
parete, realizzate in vetro piano o
curvo, con o senza sedile di legno.
I profili sono offerti nelle finiture silver,
bianco e pergamon.
ALIBI
DESIGN: CENTRO PROGETTI
VISMARA
Box doccia con piatto rettangolare, in
nicchia di grandi dimensioni, dotato
di due ante battenti e due elementi
fissi. Le porte sono in cristallo
temperato di sicurezza trasparente,
spessore 6 mm, i profili in alluminio
anodizzato argento lucido.
Dimensioni: 160 x 90 x 195 H cm.
■ Alibi is a shower stall with a
rectangular tray in a large, comfortable
niche with two swinging doors and
two stationary elements. The
transparent doors are in 6 mm-thick
safety glass plate, while its profiles are
in shiny silvery anodized aluminum.
Size: 160 x 90 x 195 H cm.
■ Go proposes a series of door-less
shower areas which can be installed
directly on the floor and which come in
versions for flat wall or corner
installation. The structure is made of
glass – either curved or flat – and with
or without wooden seats. The
structure’s frames are available in
silver, white or ‘pergamon’ finishes.
NOVELLINI
46030 Romanore (Mantova)
T +39-03766461
www.novellini.com
VISMARAVETRO
20050 Verano Brianza (Milano)
T +39-0362992244
www.vismaravetro.it
Rassegna
■ Series 400 is a seating system for
showers which includes shower seats,
stools and a seat that hangs on safety
handles. They are designed for people
with limited mobility and they come in
white, chrome-white and chrome-
black. The series also includes benches
with a smooth or slip-proof surface.
PROVEX
39031 Brunico (Bolzano)
T +39-0474571511
www.provex-industrie.it
ALTEREGO
DESIGN: CASTIGLIA ASSOCIATI
La trasparenza del cristallo temperato
mette in primo piano la colonna
doccia, a forma di ‘L’ rovesciata.
La colonna in alluminio, perfetta per
essere attrezzata per l’idromassaggio,
si abbina con eleganza alla sottigliezza
del soffione ultra piatto. Il design
accurato si riverbera nella scelta dei
materiali: le ante sono in cristallo
(spessore 8 mm), il piatto doccia in
Teknorit, un materiale molto
resistente e dalla superficie porosa,
vellutato e antisdrucciolo, riparabile in
caso di abrasioni.
■ Crystal transparency puts this
reversed ‘L’-shaped shower column in
the forefront of the stage. Alterego is
made of aluminum which is ideal for
whirlpool. Its elegant shower head is
very flat and all the materials in
Alterego are top quality: 8mm-thick
glass doors, a shower tray in velvety
and slip-proof, ultra-resistant and
porous Teknorit (which can be repaired ALMA
in case of abrasion). 37047 San Bonifacio (Verona)
T +39-0456139411
www.almaidro.it
SHOWERARC
DESIGN: PHARO ® PHARO ®
In Italia: GLASS IDROMASSAGGIO
ShowerArc è un sistema doccia 31046 Oderzo (Treviso)
caratterizzato dal soffione centrale T +39-04227146
Radiance (diametro 180 mm), sorretto www.glassidromassaggio.it
da una struttura arcuata (diametro 93
cm) che ha su ciascun lato tre bocchette,
attivabili indipendentemente dal
soffione centrale. Selezionando
contemporaneamente i getti d’acqua
superiore e laterali, si viene avvolti da
un vero manto d’acqua, incrementato
dal getto della doccetta manuale. In
dotazione un gruppo con deviatore e
dispositivo termostatico integrato.
■ ShowerArc is a shower system in
chrome finish with a generous 180
mm-diameter central Radiance shower
head supported by an arched structure
with a 93 cm-diameter. It has three
spray nozzles on each of its sides which
can be turned on independently of the
central spray. When all the sprays are
on, one is enveloped in a cloak of
water which can be further enhanced
by the hand-shower device.
The system comes with a built-in
deviator and thermostat.
domus Ottobre October 2005 155
PLANETS
DESIGN: BARTOLI DESIGN
Due dei numerosi accessori da bagno
della serie Planets: piantana in ottone
con portarotolo e portascopino,
piantana con tre portasalviette.
Materiali utilizzati: ottone cromato e
vetro acidato.
THERMIC
3650 Dilsen (Belgium)
www.thermic.be
In Italia: THERMIC ITALIA
31046 Oderzo (Treviso)
T +39-0422714905
www.thermic.it
LINGOTTO
DESIGN: APPIANI
I due nuovi formati delle piastrelle
in bicottura della serie Lingotto
(10 x 40 cm e 2,5 x 40 cm) estendono
gli orizzonti dell’interior design aperti
da Appiani Body-Care. Le nove tonalità
disponibili, due bianchi e sette
sfumature opache dai toni caldi, creano
nuovi scenari, come quello qui
suggerito, ottenuto con piastrelle
10 x 40 cm, colore wengé.
156 domus Ottobre October 2005
ZANA-LINE
DESIGN: FREDERIK AERTS,
WIM SEGERS
Zana-Line è una gamma di radiatori di
design minimale, innovativa e con una
grande potenza termica in volumi
ridotti. La linea si caratterizza per i tubi
verticali a sezione rettangolare (45 x 20
x 1,2 mm), i due collettori orizzontali
circolari e la facilità di installazione.
Zana-Line dispone di cinque modelli,
ma esprime la massima versatilità nelle
versioni curva (ZV-R), semicircolare (ZV-
O) e ad angolo (ZV-A).
■ Zana-Line is a range of innovative,
minimalistic designed bathroom
radiators, with great termic power but
with reduced bulk. The range is
characterized by its vertical rectangular
tubes (45 x 20 x 1.2 mm), the two
horizontal circular slip rings, and by its
ease of installation. Zana-Line is
available in 5 models, but expresses its
maximum versatility in the curve (ZV-
R), semi-circular (ZV-O) and angled
(ZV-A) versions.
■ The two new formats of double-fired
tiles of the Lingotto series (10 x 40 cm
and 2.5 x 40 cm) extend the horizons of
interior design which were opened by
Appiani Body-Care. The nine available
tonalities, two white and seven opaque
and warm undertones, create new
sceneries, like the one suggested here,
obtained with tiles 10 x 40 cm, in
wengè colour.
APPIANI
31046 Oderzo (Treviso)
T +39-0422815308
www.appiani.it
Rassegna
■ Two of the numerous bathroom
accessories of the Planets series: brass
floor-stand with paper holder and
toilet brush holder, floor-stand with
three towel bars. Materials: chrome
brass and frosted glass.
AN-TRAX ART HEATING
31023 Resana (Treviso)
T +39-0423717450
www.antrax.it
ARDESIA BORDEAUX
DESIGN: ARIOSTEA HIGH-TECH
La pietra high-tech Ardesia Bordeaux
presenta un mix di tonalità che vanno
dal bordeaux al marrone al grigio scuro.
Analogamente a quanto avviene per la
pietra di cava, l’Ardesia Bordeaux
ricreata in fabbrica presenta tonalità
più smorzate ed uniformi nella finitura
di superficie strutturata, più brillanti e
con un gioco cromatico più accentuato
nella finitura ‘honed’, satinata e un po’
riflettente, frutto di una tecnologia
esclusiva sviluppata da Ariostea.
■ The high-tech Ardesia Bordeaux
stone comprises a mix of tonalities that
range from the Bordeaux to brown and
dark grey. Similarly to what happens
to the quarry stone, the tonalities of
the Ardesia Bordeaux recreated in the
workshop are more toned-down and
uniform in the structured surfaces’
finish, whilst being more brilliant and
in possesion of a more accented
chromatic interplay in the ‘honed’
finish, which is a new type of surface,
satin-finished and slightly reflecting,
the result of a new exclusive
technology developed by Ariostea.
COLOMBO DESIGN
24030 Terno d’Isola (Bergamo)
T +39-0354949001
www.colombodesign.it
SATURN
DESIGN: PETER RANKIN
Il radiatore Saturn fa proprio il design
d’avanguardia dell’industria
automobilistica. Incorporando il
maniglione portasalviette (uno degli
anelli di Saturno?) nell’elemento
scaldante, il progettista tratta
l’accessorio nella stessa maniera in cui
luci, parafanghi, maniglie delle
portiere, specchietti sono considerati
nel design di un’automobile. Eliminato
il portasalviette, il radiatore acquista
una secca semplicità (un disco di
metallo) e cambia nome, Moon.
■ The Saturn bathroom radiator makes
as its own the vanguard design of the
car industry. By incorporating the towel
ring (one of Saturn’s rings?) in the
heating component, the designer treats
the accessory in the same manner
with which lights, mudguards, door
handles and mirrors are considered in
the car’s design. Eliminating the towel
ring, the bathroom radiator gains
simplicity (a metal disk) and changes
its name, Moon.
ARIOSTEA HIGH-TECH
42014 Castellarano (Reggio Emilia)
T +39-0536816811
www.ariostea.it
ARIA
DESIGN: MARCO PISATI
Nei nuovi progetti di rubinetteria
spesso traspare la nostalgia di
cascatelle e ruscelli. Dai rubinetti
l’acqua sgorga senza apparente
interposizione di dispositivi, scorre
sulle più diverse superfici (qui in
cristallo curvato) prima di raccogliersi
in un bacile o in una vasca.
OFFICINA DELLE IDEE
Marchio di IRSAP
45031 Arquà Polesine (Rovigo)
T +39-0425466611
www.irsap.com
FAP CERAMICHE
41042 Fiorano Modenese (Modena)
T +39-0536837511
www.fapceramiche.com
MOTO
DESIGN: OFFICINA DELLE IDEE
I radiatori proposti da Officina delle
Idee parlano davvero un altro
linguaggio. I corpi scaldanti sono
interpretati dai progettisti del nuovo
marchio di Irsap in modo da esaltarne
tutte le potenzialità decorative, senza
rinunciare ad alcuna prerogativa
funzionale. I nuovi modelli (nove in
tutto) hanno una forte presenza scenica
e forme astratte oppure caratterizzate
da insoliti accostamenti di elementi
geometrici a parti ad andamento
sinuoso, come in Moto, qui illustrato.
■ The bathroom radiators proposed by
Officina delle Idee really speak another
language. The heating bodies are
interpreted by the designers of Irsap’s
new brand in order to exalt every
decorative potentiality, without giving
up to any functional prerogative. The
new models (nine in all) have a strong
scenic presence with forms which are
either abstract or else characterised by
unusual combinations of geometric
and flowing elements. Like in Moto as
illustrated here.
CREA
DESIGN: FAP CERAMICHE
Crea è un gres porcellato a pasta bianca
disponibile in piastrelle rettificate di
grande formato (30,5 x 56 cm e 15 x
56 cm) e proposto in tre cadenze
cromatiche di intensità crescente.
I colori sono: ambra, miele, vaniglia,
cobalto, azzurro, perla, cannella, rosa
e cipria. Il colore, il decoro, la materia
formano un insieme armonico di
straordinaria pienezza, che mosaici,
listelli decorati e decori a piastrella
intera completano a meraviglia.
■ Crea is a white paste glazed gres
available in finished tiles of large
format (30.5 x 56 cm and 15 x 56 cm)
and proposed in three chromatic tones
of growing intensity. The colours are:
amber, honey, vanilla, cobalt, blue,
pearl, brown, pink and powder.
The colour, the decorum, the material
form a harmonic combination of
extraordinary completeness, which
mosaics, decorated wood boards
and entire tiles decorum complete
marvellously.
Rassegna
■ The nostalgia of waterfalls and
streams often transpires in the new
taps projects. Water flows freely from
the taps without any apparent
devices interference, and flows on the
most various surfaces (here in curved
crystal) before ending in a washbasin
or a bathtub.
TUBES RADIATORI
31023 Resana (Treviso)
T +39-04237161
www.tubesradiatori.com
CERAMICA BARDELLI
20010 Vittuone (Milano)
T +39-029025181
www.bardelli.it
R.B. RUBINETTERIE BANDINI
50060 Pelago (Firenze)
T +39-0558313398
www.rbandini.it
T.B.T.
DESIGN: LUDOVICA + ROBERTO
PALOMBA
“Abbiamo progettato un oggetto che
fosse portasciugamani ma che,
volendolo inserire anche in altri
ambienti oltre il bagno, diventasse a sé
stante. T.B.T. è un tubo (ø 7 cm) cromato
che può essere usato in verticale e in
orizzontale. È un progetto di riduzione
sul concetto del calore legato al mondo
del bagno, con piccoli accorgimenti di
design ludico, per esempio sulle
manopole ecc.”. T.B.T. in versione
elettrica è usabile come una piantana.
■ “We have designed an object which
is a towel holder but which could also
become stand-alone if one wants to
include it in other environments
besides the bathroom. T.B.T. is a
chromed tube (7cm diameter) which
can be used both vertically and
horizontally. It is a project on the
reduction of the concept of heat tied to
the bathroom world, with small
arrangements of recreational design,
for example on the handles etc.”
T.B.T. electric version can also be used
as a floor stand.
BODYPARK
DESIGN: NIGEL COATES
La serie Bodypark comprende quattro
soggetti decorativi, ottenuti per
serigrafia in platino su piastrella in
bicottuta 20 x 20 cm. Le superfici
piastrellate, popolate da figure umane
quasi a grandezza naturale, diventano
una sorta di palcoscenico sul quale si
svolge un immaginario dialogo.
La stanza da bagno non è più davvero
un locale di servizio.
■ The Bodypark series includes four
decorative subjects, obtained for
serigraphy in doubled-fired platinum
tiles 20 x 20 cm. The tiled surfaces,
populated with human figures almost
at natural size, become a sort of stage
on which an imaginary dialogue is
held. The bathroom is not just a service
room anymore.
domus Ottobre October 2005 157

Vecchie e nuove credenze Old and new cupboards
L’immagine che si associa al termine
credenza è spesso di una casa
lievemente ombrosa, di un enorme
mobile di legno massiccio pieno di
centrini bianchi ricamati a mano,
qualcosa di familiare e antico. Che volto
può assumere, la ‘credenza’, nella casa
di oggi? Una delle possibili risposte ce la
fornisce Ludwig, un’elegante credenza
contemporanea, asciutta ma spaziosa,
avveniristica. Un volume puro in cui i
diversi materiali vengono enfatizzati
dalla luce interna, dove una grande
anta permette di chiudere alla vista o al
contrario aprire completamente il
contenuto all’esterno. Estremamente
158 domus Ottobre October 2005
pratica e funzionale, Ludwig fa parte
della nuova collezione 2005 Acerbis, in
cui l’immaginario tradizionale della
casa viene ripensato in linea con i nuovi
modi di vivere gli spazi domestici.
Sinus, Quadrivio, Matrix, Aerk, Airy,
Ludwig sono i nomi che l’azienda
italiana ha presentato al Salone del
Mobile di Milano, per ricreare i luoghi
che abitiamo con forme semplici e
fantasiose.
www.acerbisinternational.com
■ The picture that comes to mind in
association with the term ‘cupboard’ is
one of a house somewhat in shadow
with a heavy wooden piece of furniture,
full of hand-embroidered doilies,
something familiar and quaintly old-
fashioned. But what role can the
‘cupboard’ play in today’s home? One
answer comes from Ludwig, an elegant
contemporary cupboard, with clean
lines, plenty of space and the result of a
futuristic concept. In Ludwig, materials
are emphasized by light in its interior
and a large cupboard door permits
shutting the contents completely out of
site or, instead, allowing them to be
admired in full view. Extremely
practical and functional, Ludwig is a
part of the new Acerbis 2005 collection,
where the traditional image of home is
Panorama
reconceived of in light of our new life
styles and modern living space. Sinus,
Quadrivio, Matrix, Aerk, Airy, Ludwig
were introduced to the public by the
Italian company in Milan’s “Salone del
Mobile” (Furniture Fair) to enhance our
life styles with simple and creative
forms.
www.acerbisinternational.com
Nella foto/In the picture
Ludwig, di Lodovico Acerbis,
collezione 2005 di Acerbis.
Ludwig, by Lodovico Acerbis,
Acerbis Collection 2005
Completo da ufficio Office sets
Superfici piatte, asciutte, pulite: questo
il carattere della serie Delta di Methis.
La nuova linea sfrutta le potenzialità
dell’acciaio, del legno, del vetro per
creare forme che riescono a fondere
ambiente lavorativo e domestico.
Un’attenzione particolare per la
ceramica laminata conferisce a questa
collezione un carattere prezioso,
arricchito dalla ricerca dello Studio
Fragile sui decori. Due le tipologie Delta:
Executive, elegante e scura, per uffici
direzionali; Work, più aperta e creativa,
per un lavoro operativo e condiviso.
www.methis.com
■ Flat surfaces and clean lines. These are
Un Foster un po' Dada A somewhat Dada Foster
Qual è il cuore della casa
contemporanea? Senza alcun dubbio la
cucina, a giudicare dal progetto Place,
sviluppato da Norman Foster and
Partners per Dada. L’architetto inglese
sottolinea l’importanza di questo spazio
comune nell’ambiente domestico
all’interno del suo progetto per il
complesso edilizio Santa Giulia, a Milano.
Nell’unità abitativa tipo, spicca quindi
una cucina accogliente ma sofisticata,
tecnologica ma discreta. Centralità che
emerge anche da Tivalì, disegnato da
Dante Bonuccelli, un monoblocco chiuso,
posizionabile al centro della stanza come
accanto a una parete. Il box-cucina
Il nuovo catalogo di Rexite è pensato a
puntate, per creare un filo conduttore tra
i diversi progetti e allo stesso tempo dare
una scansione temporale, che ricorda un
procedimento di ricerca costante
nell’universo del design contemporaneo.
La prima tappa di questo viaggio
s’intitola Rexite Forniture 2005, e vede
protagonista la sua figura di spicco – Raul
Barbieri – con il suo tavolino Zanziplano
circondato dalle poltroncine Olivia.
Design essenziale, simpatico e pratico per
gli ambienti più diversi, dalla casa al
locale pubblico. www.rexite.it
■ The new Rexite catalogue is conceived
of as a ‘logbook’ to create a connecting
the features of the Delta series by Methis.
The new series brings the potential of
steel, wood and glass to full advantage to
create objects that succeed in blending
the work environment with the home.
Particular attention was given to the
laminated ceramic which gives this
collection an air of luxury enhanced by
the research carried out by Studio Fragile
resulting in decorations. Delta is
available in two versions: Executive,
elegant and dark conceived of for
executive office suites and Work, more
open and creative for shared work
activities.
www.methis.com
Giotto è una scultura, un’opera di
design contemporaneo, una riflessione
sulla vita, sull’arte, sulla
mediterraneità. Pezzo da collezione,
l’opera firmata da Alessandro Mendini è
diventata il nuovo simbolo del design
poetico attraverso il sapiente uso del
vetro dell’azienda veneziana Venini: un
lavoro realizzato in edizione
limitatissima – 119 opere numerate in
numeri arabi più 5 numeri romani –,
che rappresenterà “l’identità
contemporanea del nostro design, in
relazione al proprio passato e alle
prospettive future” nella mostra “Art of
Italian Design”. L’evento si terrà allo
Panorama
Nella foto/In the picture
Delta Work
Vetri Giotteschi The Giotto sculpture in glass
Spazio Megaron Plus di Atene, dall’8 al
20 novembre 2005 e sarà coordinata da
Alessandro e Francesco Mendini insieme
a Sotiris Papadopulos.
www.venini.it
www.megaron.gr
■ Giotto is a sculpture, a work of
contemporary design, a reflection on
life, on art and on the unique qualities
of the Mediterranean area. A collector’s
piece, this work by Alessandro Mendini
has become a symbol of poetical design
realized with the expert knowledge of
glass from the Venetian glasswork,
Venini. The sculpture is being presented
in a very limited edition – 119 pieces
diventa un contenitore, completo di tutti
gli accessori, che può essere centro
nevralgico della stanza, oppure
scomparire completamente fondendosi
con il soggiorno.
www.dadaweb.it
■ Which room is the heart of the
contemporary home? Without doubt, the
kitchen, judging by the Place project
developed by Norman Foster and
Partners for Dada. The British architect
underlined the importance of this shared
area in the modern home within his
project for the Santa Giulia group of
buildings in Milan. In the typical
apartment, we find a welcoming but
Un Zanziplano con Olivia A Zanziplano with Olivia
numbered in Arab numerals roman plus
5 in Roman – to represent “the
contemporary identity of Italian design,
with its roots in the past and its future
prospects”, in the “Art of Italian
Design” exhibition. This event will take
place at the Spazio Megaron Plus in
Athens from November 8th to 20th,
2005 and it will be coordinated by
Alessandro and Francesco Mendini with
Sotiris Papadopulos.
www.venini.it
www.megaron.gr
Nella foto/In the picture
Giotto, di/by Alessandro Mendini
sophisticated kitchen discretely
equipped with advanced technology. The
central importance of the kitchen is also
seen in Tivalì, designed by Dante
Bonuccelli, a closed single structure
which can be positioned in the center of
the kitchen or against a wall. The kitchen
block, too, is a container - complete with
all accessories - which can be the
pulsating center of the room or disappear
when not in use and blend in with the
living area. www.dadaweb.it
Nella foto/In the picture
Il monoblocco Tivalì, di Dante Bonuccelli.
Tivalì block, by Dante Bonuccelli
thread between its various projects while
at the same time placing them in a
temporal frame. This is reminiscent of the
process of continuous research in the
universe of contemporary design. The
first stage of this voyage is called Rexite
Forniture 2005, and its protagonist is
Raul Barbieri with his Zanziplano table
surrounded by his Olivia seats. The
ingredients: essential, ‘simpatico’ and
practical design, for various homes or
public areas.
www.rexite.it
Nella foto/In the picture
Zanziplano e/and Olivia
Ottobre October 2005 domus 159

Magnetti presenta la sua ultima novità
nel campo delle coperture: il sistema
Acqua-Stop. Gruppo aziendale
specializzato in edilizia, murature e
pavimentazioni, Magnetti ha
collaborato con il Dipartimento di
Ingegneria Strutturale e Geotecnica
dell’Università di Genova per realizzare
questo sistema innovativo.
L’impermeabilità dell’edificio è
garantita da un fissaggio meccanico
realizzato per induzione magnetica,
senza forature in copertura. Inoltre,
numerosi accorgimenti garantiscono un
monitoraggio costante
dell’installazione: da un diverso colore
Hortus Botanicus Hortus Botanicus
Non è semplice districare la suggestione
di un materiale come il legno dalle
esigenze funzionali che una pannellatura
deve garantire. La sicurezza rispetto alle
possibilità di incendio, una regolazione
acustica che riesca a separare senza
isolare, il rispetto dell’ambiente sia nella
lavorazione che nella manutenzione di
un materiale così delicato. Il Gustafs
Panel System nasce per rispondere a tutte
queste esigenze. Grazie a una sapiente
capacità di progettazione unita
all’attenzione ecologica, i pannelli
Gustafs rendono al legno tutta la sua
vitalità, in assoluta sicurezza.
www.gustafs.com
Rinascimento interiore Interior Renaissance
Il Master in Interior Design della Scuola
Politecnica di Design SPD, tenutosi a
Firenze da ottobre a giugno dello scorso
anno, ha rappresentato un interessante
spunto di riflessione sul rapporto tra la
cultura rinascimentale e la vita
contemporanea, attraverso il concetto
chiave di benessere. Confrontandosi su
tale tema in una città così ricca di storia,
i trenta studenti hanno sviluppato dei
progetti che tenessero conto sia del lato
fisico sia di quello spirituale, lavorando
non soltanto sul relax, ma anche
sull’idea di bellezza. Wellness in Firenze
ha dato così luce a sette proposte di
spazi ibridi, dove arte, cultura, fitness e
160 domus Ottobre October 2005
dello strato inferiore rispetto a quello
superiore per evidenziare eventuali fori,
all’assenza di fiamme libere in ogni
fase. Atossico, antiriflettente,
resistente, grazie alla colorazione
bianca ha un ridotto assorbimento di
calore. Ed è garantito per 15 anni.
www.magnetti.it
■ Magnetti has presented his latest
covering: the Acqua-Stop system. The
Magnetti group is specialized in
construction, walls and pavements and
collaborated with the Department of
Structural Engineering and Geo-
technology in the University of Genoa
for the realization of this innovative
Il legno che viene dal nord The wood from the North
intrattenimento sono stati idealmente
intrecciati nelle vecchie scuderie di via
Aretina, zona decentrata in via di
riqualificazione. Cocoon Club, Crisalide,
Feel, Te’rme, Soho, Line, C&C sono i
progetti proposti al termine dell’anno
di lavoro coordinato da Simone Micheli.
www.scuoladesign.com
■ The Master’s in Interior Design by the
Scuola Politecnica di Design SPD, held in
Florence from October to June last year,
stimulated reflection on the
relationship between Renaissance
culture and contemporary life through
the key concept of well-being. Thirty
students debated this issue in the
Panorama
Impermeabili da tetto Roof water-proofing
system. The water-proofing of the
building is guaranteed by a mechanical
fixture using magnetic induction
without having to perforate during
installation. Besides this, numerous
solutions guarantee constant
monitoring of the installation which is
comprised of two layers of different
colors in order to immediately note any
holes to form. There is no need of open-
flame apparatus during any of the
phases of its installation. It’s not toxic,
doesn’t reflect and is resistant and,
because it’s white, it has reduced heat
absorption. It’s guaranteed for 15
years. www.magnetti.it
Il concorso internazionale Hortus
Botanicus Patavinus, promosso
dall’Università di Padova, è stato vinto
dall’architetto Giorgio Strappazzon vs
Associati. Il bando richiedeva un progetto
di riqualificazione del cinquecentesco
Orto medicinale, evolutosi poi, con il
riconoscimento della medicina a scienza
pura, in un vero e proprio centro di
ricerca. L’Orto costituisce quindi un
importante strumento didattico, legato
alla città dall’area-cuscinetto di recente
acquisizione che ospiterà laboratori e
servizi. www.unipd.it
■ The international Hortus Botanicus
Patavinus contest, promoted by the
■ It isn’t easy to separate the sensations
a material like wood inspires from the
functional exigencies which panel
systems must assure: fire-prevention,
regulated acoustics able to separate
without isolating and the
environmental concerns involved both
during the production and the
maintenance of such a delicate
material. The Gustafs Panel System was
created to satisfy all these needs.
Because of expert design and strong
environmental awareness, Gustafs
panels allow wood to fully express its
vitality in absolute safety.
www.gustafs.com
historical city of Florence to develop
projects which took into account both
the physical and spiritual aspects of the
concept of wellness and focused both
on relaxation and beauty. Wellness in
Firenze, with this in mind, realized
seven projects for hybrid spaces where
art, culture, fitness and entertainment
were woven together to be located in
the old carriage houses of via Aretina, a
peripheral area in the process of re-
qualification. Cocoon Club, Crisalide,
Feel, Te’rme, Soho, Line, and C&C were
the projects proposed at the end of the
course under the direction of Simone
Micheli. www.scuoladesign.com
Chi sei? Mi chiamo Roman Ondák. Sono l’artista sbagliato. Che cosa fai? Produco arte sbagliata.
Perché lo fai? Perché vivo in tempi sbagliati. Quando è cominciato? Quando i tempi buoni sono
diventati sbagliati. Quando finirà? Quando i tempi sbagliati diventeranno buoni.
Nella foto/In the picture
La campagna pubblicitaria di Magnetti
per Acqua-Stop.
Magnetti advertising campaign
for Acqua-Stop
University of Padua, was won by architect
Giorgio Strappazzon vs Associati. The
contest was for a requalification project
for the 16th century, medicinal herb
garden which, when medicine was
recognized as a pure science, developed
into a research center. The Herb Garden,
therefore, is an important didactical
instrument which is connected to the city
by the recently acquired ‘cushion’ area to
host laboratories and services.
www.unipd.it
Nella foto/In the picture
Il progetto vincitore/the winning project
Maurizio Cattelan,
Massimiliano Gioni,
Ali Subotnick 10
cinque
El Topo* domande a
Roman Ondák
five
questions to
Nelle foto/In the pictures
Le pannellature in legno Gustafs.
Gustafs Panel System made of wood
*
El Topo (che prende il
Slowed-down Journey, 2003 nome dal film di Alejandro
Ondák ha chiesto a otto persone di Jodorowsky del 1971) è
immaginarlo e poi disegnarlo mentre cammina un progetto appositamente
in diverse città durante i suoi viaggi creato per Domus
Serie di otto disegni e prodotto da Wrong
Nella foto/In the picture
Collection Kadist Foundation, Paris Gallery. Diretto da
Feel, di/by A. Diaz Granados, A. Langer, Maurizio Cattelan,
D. Panzan, E. Perez Nafarrate Massimiliano Gioni e Ali
Subotnick, Wrong
Gallery è uno spazio non
profit dedicato
alla sopravvivenza della
sperimentazione e del
gioco a New York City.
Who are you? My name is Roman Ondák. I’m the wrong artist. What do you do? I produce wrong art.
Why do you do it? Because I live in wrong times. When did it start? When times changed from good
to wrong. When will it end? When times will change from wrong to good.

*
El Topo (which takes
Slowed-down Journey, 2003 its name from the movie
Eight people were asked by Ondák to directed by Alejandro
imagine and draw him walking in different Jodorowsky in 1971) is a
cities while on his travels project specially made
Series of 8 drawings for Domus and produced
Collection Kadist Foundation, Paris by Wrong Gallery.
Directed by Maurizio
Cattelan, Massimiliano
Gioni and Ali Subotnick,
the Wrong Gallery is
a non-profit space for
the survival of play
and experimentation
in New York City.