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• Titolo originale era Comedi'a, ma nel 1555 era aggiunto l'aggettivo divina
• Si consiste di 100 canti suddivisi in 3 cantiche: inferno 34 (uno introduttivo),
purgatorio 33, paradiso 33 ed e scritto in terzine di endecasillabi
• Ha il valore simbolico del numero 3(trinita'), dei suoi multipi e del numero 10
• Domina la concezione geocentrica o tolemaica secondo cui la terra è una sfera
immobile al centro dell’ Universo (il sole ruota intorno); è divisa in emisfero delle
terre al nord, ed emisfero delle acque al sud
• I due emisferi sono collegati
dalle colonne d’ Ercole.
Attorno alla Terra ruotano 9
cieli; il X (Empireo) è
invece immobile, appagato
della presenza di Dio
• L'opera puo' interpretarsi in
4 sensi: letterale, allegorico,
anagogico, morale (e
figurale)
L'inferno
• Dante immagina d'essersi
smarrito in una selva oscura (vita
peccaminosa)
• Cerca si uscire e s'arrampica (penje se) per
un colle (vita virtuosa) ma viene impedito
(spriječen) da 3 fiere (vizi umani): LONZA
- lussuria (požuda), LUPA - cupidigia
(pohlepa), LEONE - superbia (oholost)
• Virgilio lo aiuta per intercessione
(posredovanje) di Beatrice che lo invita al
viaggio oltremondano (dalla porta
dell'inferno - per cerchi concentrici - da
Lucifero - e risalendo lungo il suo corpo -
fino al purgatorio)
L'ultima cantica della Divina Commedia si presenta come una sfida tecnica per Dante. Se le
prime due, Inferno e Purgatorio, erano più narrative, e in queste la poesia di Dante
raggiungeva la sua immediata comunicatività, nel Paradiso le figure si disincarnano e le
immagini diventano più complesse da trasmettere, e Dante mette alla prova la sua capacità di
trasmettere per iscritto i concetti teologici, che le anime dei beati comunicano a Dante in
questa cantica. È una poesia filosofica che si traduce in immagini. Il tentativo di tradurre in
parole l'esperienza metafisica e trascendente del Paradiso appare impossibile. E proprio il
tema dell'impossibilità è oggetto della poesia stessa di Dante: "Trasumar significar per verba
non si poria" (I, 70).
Nell'ultimo canto del Paradiso Dante sfida la massima proibizione, cioè la descrizione del
principio divino, di Dio. Nei primi versi si trova l'invocazione di San Bernardo di Chiaravalle
alla Madonna: un'invocazione nel momento più difficile concettualmente dell'intero poema.
San Bernardo invita poi Dante a guardare in alto. Dante contempla al culmine del desiderio la
luce, presenza costante di tutto il Paradiso. Dante esprime la sua difficoltà di esprimere a
parole e di ricordare con certezza la visione di Dio. Per spiegare questo concetto Dante si
trova a utilizzare due similitudini: la prima legata al mondo dei sogni, quando si cerca di
ricordare il sogno che ha provocato nel nostro animo un'emozione; la seconda legata alla
natura, quando la neve si scioglie al sole, lasciando una piccola traccia bagnata. L'immagine
di Dio è l'insieme delle immagini del mondo e di tutto ciò che nell'universo si "squaderna".
Nella profonda luce Dante sembra vedere tre cerchi di colore diverso e si rispecchiano l'uno
nell'altro come i colori nell'arcobaleno. Guardando i cerchi, vede in essi un'immagine che
assume la forma umana. Una visione che appare incomprensibile, che solo la Grazia permette
a Dante di capire infine. Tuttavia il poeta non può comunicare a parole ciò che ha compreso.
Il Paradiso si chiude con l'immagine delle stelle e di Dante che viene avvolto nell'immagine
stessa che sta guardando.
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore
associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e
Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il
manifesto e La Stampa-Tuttolibri.