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Appunti di Metodi Matematici della Fisica

Note per il corso del secondo semestre


del secondo anno della Laurea in Fisica

Rodolfo Figari e Ra↵aele Carlone

5 giugno 2018
2
Indice

1 Analisi Complessa 7
1.1 Richiami sui numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.1.1 Algebra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.1.2 Geometria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.1.3 Esercizi sui numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . 13
1.2 Funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.2.1 I polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
1.2.2 La funzione esponenziale e le funzioni trigonometriche . 23
1.2.3 La funzione logaritmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
1.2.4 Potenze e radici in notazione esponenziale . . . . . . . 27
1.2.5 Esercizi sulle funzioni di variabile complessa . . . . . . 28
1.3 Teorema e Formula di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
1.3.1 Teorema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
1.3.2 Formula di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
1.4 Funzioni analitiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
1.5 Singolarità isolate e Serie di Laurent . . . . . . . . . . . . . . 48
1.6 Classificazione delle Singolarità Isolate . . . . . . . . . . . . . 49
1.6.1 Il teorema dei residui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
1.6.2 Calcolo di Integrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
1.7 Esercizi su calcolo di integrali e di somme di serie . . . . . . . 55

2 Operatori lineari in Spazi di Hilbert 67


2.1 Geometria degli Spazi di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
2.1.1 Richiami sugli Spazi Vettoriali . . . . . . . . . . . . . . 67
2.1.2 Metriche invarianti per traslazione e Norme . . . . . . 69
2.1.3 Prodotto scalare e Spazi di Hilbert . . . . . . . . . . . 72
2.1.4 Famiglie ortogonali e basi . . . . . . . . . . . . . . . . 77
2.2 Funzionali Lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

3
4 INDICE

2.3 Operatori lineari I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84


2.3.1 Operatori lineari limitati . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
2.3.2 Aggiunto di un operatore limitato. Operatori isome-
trici, unitari e di proiezione. . . . . . . . . . . . . . . . 88
2.3.3 Esercizi sugli operatori limitati . . . . . . . . . . . . . 91
2.4 Operatori non limitati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
2.4.1 Gli operatori di creazione e annichilazione . . . . . . . 95
2.4.2 Esercizi sugli operatori non limitati . . . . . . . . . . . 96

3 Misura e Integrazione 103


3.1 Misura (teoria astratta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
3.2 Integrazione (teoria astratta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
3.2.1 Definizione di integrale su p⌦, ⌃, µq . . . . . . . . . . . 110
3.3 Tre teoremi della teoria dell’integrazione . . . . . . . . . . . . 114
3.4 Misura prodotto e teorema di Fubini . . . . . . . . . . . . . . 116
3.5 Spazi LP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
3.6 Alcune proprietà di Lp pRn q . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
3.7 Gli spazi L2 pIq , I Ä R intervallo di R . . . . . . . . . . . . . 129
3.7.1 I Polinomi di Legendre . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
3.7.2 La base trigonometrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132
3.7.3 Applicazione del Teorema di Plancherel alla
disuguaglianza isoperimetrica [P] . . . . . . . . . . . . 139
3.8 Trasformata di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142
3.8.1 Le funzioni dello spazio SpRn q e le loro trasformate di
Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
3.8.2 Trasformata di Fourier delle funzioni di DpRn q . . . . . 149
3.8.3 La base di Hermite in L2 pRq . . . . . . . . . . . . . . . 153

4 Operatori lineari in spazi di Hilbert II 157


4.1 Spettro di operatori lineari chiusi su H . . . . . . . . . . . . . 157
4.2 Il teorema spettrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168

5 Distribuzioni 179
5.1 Spazi di funzioni test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180
5.2 Lo spazio delle distribuzioni D1 . . . . . . . . . . . . . . . . . 183
5.3 Calcolo di↵erenziale in D1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 190
5.4 La trasformata di Fourier in S 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . 197
5.5 La convoluzione tra distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . 203
INDICE 5

5.6 Equazioni di↵erenziali della Fisica Teorica . . . . . . . . . . . 208

A Successioni, serie numeriche e serie di potenze 233


A.1 Definizioni sulle successioni numeriche a valori reali . . . . . . 233
A.2 Successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234
A.3 Serie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234
A.4 Convergenza uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236
A.5 Serie di potenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236

B Teorema di Cauchy 239


6 INDICE
Capitolo 1

Analisi Complessa

1.1 Richiami sui numeri complessi


1.1.1 Algebra
All’insieme R2 delle coppie di numeri reali si può dare la struttura di campo
1
introducendo le due operazioni:

somma z1 ” px1 , y1 q, z2 ” px2 , y2 q, x1 , y1 , x2 , y2 P R

z1 ` z2 ” px1 ` x2 , y1 ` y2 q

prodotto z1 ” px1 , y1 q, z2 ” px2 , y2 q, x1 , y1 , x2 , y2 P R

z1 z2 ” px1 x2 ´ y1 y2 , x1 y2 ` x2 y1 q

La commutatività, associatività e la distributività tra le due operazioni di


somma e prodotto di numeri complessi sono provate riportandole alle analo-
ghe proprietà valide per i numeri reali. È un utile esercizio provarle

commutatività z1 ` z2 “ z2 ` z1 ; z1 z2 “ z2 z1

associatività z1 ` pz2 ` z3 q “ pz1 ` z2 q ` z3 ” z1 ` z2 ` z3

z1 pz2 z3 q “ pz1 z2 q z3 ” z1 z2 z3
1
per la definizione di campo vedi per esempio ([M])

7
8 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

distributività pz1 ` z2 q z3 “ z1 z3 ` z2 z3

L’elemento neutro per la somma è l’elemento p0, 0q e ogni coppia z ” px, yq


ammette uno ed un solo opposto ´z ” p´x, ´yq.
L’elemento neutro per il prodotto è l’elemento p1, 0q e ˆ
ogni coppia z ” px, ˙
yq
1 x y
diversa da p0, 0q ammette uno ed un solo inverso “ ,´ .
z x2 ` y 2 x2 ` y 2
Il campo cosı̀ costruito verrà indicato con C e denominato campo dei
numeri complessi
L’insieme dei numeri complessi della forma px, 0q è naturalmente isomorfo a
R e viene indicato come il sottoinsieme dei numeri complessi reali.
Il sottoinsieme dei numeri complessi della forma p0, yq è analogamente iso-
morfo ad R e indicato come il sottoinsieme dei numeri complessi puramente
immaginari.
Del numero complesso z ” px, yq, x verrà chiamata la parte reale (spesso
indicata con Re z) ed y la parte immaginaria (spesso indicata con Im z).
Come è noto la notazione più utilizzata per i numeri complessi è quella che
si ottiene introducendo il simbolo ı, unità immaginaria

- usando la notazione z ” px, yq ” x ` ı y

- assumendo distributività di questa “somma” rispetto al prodotto

- assumendo la regola ı ı “ ´1

Ricordiamo che un campo K si dice totalmente ordinato se su K è definita


una relazione binaria § riflessiva, antisimmetrica e transitiva (un ordine) che
sia anche totale, cioè tale che per ogni z1 , z2 P K accade che z1 § z2 oppure
che z2 § z1 . Verificare che
Il campo dei numeri reali R é totalmente ordinato.
Il campo dei numeri complessi cosı̀ costruito non è totalmente ordinato.
In C esiste la soluzione (in e↵etti le soluzioni) di z 2 “ ´1 essendo

p0, 1qp0, 1q ” ı ı ” p´1, 0q ” ´1 “ p´ıq p´ıq “ p0, ´1qp0, ´1q

In C è possibile definire una coniugazione che ad ogni z “ px, yq ” x ` ıy P C


associa il suo complesso coniugato z ” px, ´yq ” x ´ ı y con la proprietà
che z “ z (involuzione).
1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 9

Il modulo o valore assoluto di un numero complesso z ” px, yq ” x ` ı y


è definito come la radice quadrata positiva di x2 ` y 2
a ?
|z| “ x2 ` y 2 “ z z

È facile verificare le seguenti uguaglianze e disuguaglianze


z`z z´z
i) Re z “ , Im z “
2 2ı
ii) pz1 ` z2 q “ z1 ` z2

iii) z1 z2 “ z1 z2

iv) |z1 z2 | “ |z1 | |z2 |

v) ´|z| § Re z § |z|, ´|z| § Im z § |z|

vi) |z1 `z2 |2 “ |z1 |2 `|z2 |2 `2 Repz1 z 2 q § |z1 |2 `|z2 |2 `2|z1 ||z2 | “ p|z1 |`|z2 |q2

vii) |z1 ` z2 | • ||z1 | ´ |z2 ||


La disuguaglianza vi) (disuguaglianza triangolare) assicura che il valore
assoluto sia una norma (ne parleremo estesamente nel capitolo 2.1.2) in C
essendo:
@z P C, |z| • 0 e inoltre |z| “ 0 ñ z “ 0
e
@z1 , z2 P C |z1 ` z2 | § |z1 | ` |z2 |
x1 y1
con l’uguaglianza verificata solo nel caso in cui “ con z1 ” px1 , y1 q e
x2 y2
z2 “ px2 , y2 q.
In C è quindi definibile una distanza

distpz1 , z2 q “ |z1 ´ z2 | “ |z2 ´ z1 | @z1 , z2 P C

che coincide con la distanza euclidea in R2 :


a
distrpx1 , y1 q ´ px2 , y2 qs “ px1 ´ x2 q2 ` py1 ´ y2 q2 .

È noto che, rispetto a questa distanza, R2 e quindi C è completo: ogni suc-


cessione di Cauchy in C è convergente ad uno (e uno solo) elemento di C.
Potrebbe venire la curiosità di verificare la possibilità di definire un prodotto
10 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

commutativo in dimensioni maggiori di 2 e di dare la struttura di campo a


Rn . La risposta è fondamentalmente negativa 2 .

1.1.2 Geometria
Ogni elemento z “ x ` ıy P C può essere rappresentato come un punto
del piano euclideo di coordinate x, y rispetto ad un sistema di assi carte-
siani ortogonali. Il nome piano complesso si riferisce a questa particolare
rappresentazione dell’insieme dei numeri complessi.
Ogni numero complesso è rappresentato nel piano complesso da un vetto-
re del piano (il segmento orientato che congiunge l’origine con il punto di
coordinate px, yq). Si noti che il vettore non è “applicato” e non dipende
dall’origine scelta (ogni segmento orientato che si ottenga per traslazione
parallela rappresenta lo stesso vettore).
La somma di numeri complessi coincide, in questa rappresentazione, con la
somma vettoriale (regola del parallelogramma); parte reale e parte imma-
ginaria rispettivamente con le componenti x e y; il valore assoluto con la
lunghezza del vettore.
La rappresentazione geometrica suggerisce che al numero complesso z ”
x ` ı y possano essere associate le coordinate polari piane del corrispondente
vettore: px, yq ùñ p⇢, ✓q

x “ ⇢ cos ✓ y “ ⇢ sin ✓
z “ ⇢pcos ✓ ` ı sin ✓q
a y
⇢ “ |z| “ x2 ` y 2 tan ✓ “
x

con 0 § ⇢ † 8, 0 § ✓ † 2 ⇡. (Si noti che la tangente dell’angolo ✓ non


specifica univocamente l’angolo ✓. Anche i segni di x e y sono necessari per
individuare univocamente l’angolo).

È possibile definire un prodotto e dare una struttura di campo a Rn n ° 2 ? Vedere


2

le voci quaternioni, ottetti (o ottonioni) e sedenioni su Wikipedia


1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 11

Im

y cos z=x+i y

sin

x Re

Se z1 ” p⇢1 , ✓1 q e z2 ” p⇢2 , ✓2 q la regola per il prodotto di due numeri


complessi si scrive, nelle nuove coordinate

z1 z2 ” ⇢1 ⇢2 pcos ✓1 cos ✓2 ´ sin ✓1 sin ✓2 q ` ı ⇢1 ⇢2 pcos ✓1 sin ✓2 ` sin ✓1 cos ✓2 q

ovvero
z1 z2 “ ⇢1 ⇢2 rcosp✓1 ` ✓2 q ` ı sinp✓1 ` ✓2 qs
dove la somma degli angoli va intesa come “modulo 2⇡”. Il prodotto di due
numeri complessi, identificati tramite le loro coordinate polari, si ottiene dun-
que moltiplicando i moduli per ottenere il modulo del prodotto e sommando
gli angoli (modulo 2⇡) per ottenere la coordinata angolare del prodotto. In
particolare se z1 “ z2 ” z si ha

z 2 “ ⇢2 pcosp2✓q ` ı sinp2✓qq

e applicando il risultato più volte

z n “ ⇢n pcospn✓q ` ı sinpn✓qq.

In particolare per ⇢ “ 1 (i numeri complessi del cerchio unitario attorno


all’origine) si ottiene la formula di de Moivre

pcos ✓ ` i sin ✓qn “ cospn ✓q ` ı sinpn ✓q.

Per definire la radice n-sima di un numero complesso cercheremo le solu-


zioni di
⇠n “ z
12 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

con ⇠ “ p|⇠|, q, z “ p|z|, ✓q. Si dovrà quindi avere |⇠|n pcospn q ` ı sinpn qq “
|z|pcosp✓q ` ı sinp✓qq, che ammette n soluzioni:

ˆ ˆ ˙ ˆ ˙˙
1 1 ✓ 2⇡ ✓ 2⇡
⇠ ” z “ |z|
n cos
n `k ` ı sin `k k “ 0, 1, ..., n ´ 1
n n n n

Ci sono quindi n radici n-esime del numero complesso z. Tutte sono sul
1 2⇡
cerchio di raggio |z| n e di↵eriscono in angolo di .
n
Come alcuni autori sottolineano (vedi ad esempio [AHL]) l’interpretazio-
ne geometrica appena accennata e i risultati sull’espressione del prodotto e
dell’elevamento a potenza si basano su definizioni geometriche di angoli e
delle loro funzioni trigonometriche. In una introduzione puramente analitica
le stesse quantità dovrebbero avere una definizione indipendente dagli enti
geometrici.
Nel prossimo paragrafo forniremo l’introduzione analitica. La rappresenta-
zione geometrica verrà comunque estesamente utilizzata per il suo carattere
fortemente intuitivo.
Una di↵erente rappresentazione geometrica (che appena accenniamo, vi-
sto che non la utilizzeremo) si ottiene mettendo in corrispondenza i punti del
piano con i punti della “sfera di Riemann” . Le relazioni:

2Repzq
x1 “
|z|2 ` 1
x1 ` ıx2 2Impzq
z“ x2 “ 2
1 ´ x3 |z| ` 1
|z|2 ´ 1
x3 “ 2
|z| ` 1

definiscono la trasformazione dei punti z del piano complesso nell’insieme


delle triple px1 , x2 , x3 q (esclusa la tripla p0, 0, 1q) di una sfera tridimensionale.
La corrispondenza geometrica è indicata in figura dove si nota che i punti con
x3 ° 0 corrispondono ai punti del piano esterni al cerchio equatoriale, mentre
i punti con x3 † 0 corrispondono ai punti del piano interni o sul bordo del
cerchio equatoriale.
1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 13

z
y

x'

z'
z x

L’insieme di tutti i punti della sfera (compreso il “polo nord” p0, 0, 1q) sono
in corrispondenza biunivoca con i punti del piano complesso esteso, ottenuto
aggiungendo al piano complesso il “punto all’infinito”, i cui intorni sferici
aperti sono definiti come i punti esterni alle sfere chiuse di centro l’origine.

1.1.3 Esercizi sui numeri complessi

Esercizio (1).
Semplificare le seguenti espressioni:
? ? 1 3 ´ 2i
(a) p1`iq`ip2´iq; (b) pi´ 2qp 2`iq; (c) ; (d) .
1`i p3 ` 2iqp1 ´ 2iq

Esercizio (2).
Calcolare il modulo dei numeri complessi:
? 1 1 2´i
(a) p1 ´ iq; (b) pi ` 3q ; (c) ; (d) .
p1 ` iq 1´i 2`i

Esercizio (3).
Rappresentare in forma esponenziale e trigonometrica i seguenti numeri
complessi
1 1
a) p1 ` iq, b) i 4 , c) , d) p1 ´ 2iqp1 ` iq
1`i
14 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Esercizio (4). Calcolare le potenze z 2 , z 6 dei seguenti numeri complessi:


2 1´i
a) ? ´ i, b) `1
2`i 1`i

Esercizio (5). Calcolare le radici dei seguenti numeri complessi e


rappresentarle nel piano complesso
ˆ ˙1{4
? 1{2 1
a) p1´i 2q , b) p1´iq ,
1{3
c) , d) pp1 ` 2iqp1 ´ iqq1{5
1`i

Esercizio (6). Risolvere le seguenti equazioni e rappresentare le soluzioni


nel piano complesso
a) z 2 ` 1 i z ` 2 “ 0, b) z 2 ` i “ 0, c) z z ´ 41i “ 0, d) z 6 ´ i z 4 `
z2 ´ i “ 0

Esercizio (7). Se z1 “ 1 ` ı e z2 “ ´2 ` 3 ı trovare, nella forma z “ x ` ı y:


z1
(a) z “ z1 ` z2 ; (b) z “ z1 z2 ; (c) z “ .
z2

1
Esercizio (8). Se z “ 2 ´ 3 ı trovare
z

Esercizio (8). Valutare le potenze di ı:


? 1 ?
(a) pi ` 2q2 ; (b) 7 ; (c) p i ` 5q2 ;
i

Esercizio (10). Scrivere i seguenti numeri complessi nella forma z “ x ` ı y:


(a) ı ´ 3ı2 ` 3ı3 ; (b) ı10 ; (c) ı21 ; (d) ı106 .
1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 15

Esercizio (11). Verificare le seguenti uguaglianze e disuguaglianze

z`z z´z
i) Re z “ , Im z “
2 2ı
ii) pz1 ` z2 q “ z1 ` z2

iii) z1 z2 “ z1 z2

iv) ´|z| § Re z § |z|, ´|z| § Im z § |z|

v) |z1 `z2 |2 “ |z1 |2 `|z2 |2 `2 Repz1 z 2 q § |z1 |2 `|z2 |2 `2|z1 ||z2 | “ p|z1 |`|z2 |q2

vi) |z1 ` z2 | • ||z1 | ´ |z2 ||

Esercizio (12). Scrivere il numero complesso nella forma z “ x ` ıy:

(a) ı ´ 3ı2

(b) ´ı4 ` 2ı3 ´ 10ı2 ´ 1

(c) ıp1 ` 2ıq


5
(d) ` ı2 ´ 1
ı
1
(e) ı ` p1 ´ ıqp2 ` ıq `
1´ı

Esercizio (13). Sia z “ x ` ıy. Esprimere le seguenti quantità in termini di


x ed y:
1
(a) Re ; (b) Re z 3 ; (c) Impz 2 ` z 2 q; (d) Repı z 2 q.
z
16 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Esercizio (14). Verificare che le seguenti equazioni siano soddisfatte dalle


soluzioni indicate:
? ?
2 2 2
(a) z ` ı “ 0, z1 “ ´ ` ı (indicare l’altra soluzione)
2 2
b b b b
(b) z “ ´9, z1 “ ´ 2 ´ ı 2 , z2 “
4 3 3 3
2
` ı 32 (trovare le altre
soluzioni)

ˇ ˇ
ˇ ´1 ˇ
ˇ
Esercizio (15). Trovare un limite superiore per: f pzq “ ˇ 4 ˇ se
z ´ 2z ` 1 ˇ
|z| “ 1

?
Esercizio (16). Esprimere il numero complesso z “ ´ 2 ´ ı in forma polare

?
Esercizio (17). Calcolare z 3 per z “ ´ 2 ` ı in forma polare

Esercizio (18). Utilizzando la formula di de Moivre trovare l’espressione di


cos p4 ✓q e di sin p4 ✓q in funzione di cos ✓ e di sin ✓

Esercizio (19). Trovare le radici cubiche di z “ ı

Esercizio (20). Rappresentare nel piano complesso i seguenti aperti:


(a) Im z † 0; (b) 0 † Re z † 1; (c) |z| ° 2; (d) 3 † |z| † 4; (e) 0 §

arg z § .
3
1.1. RICHIAMI SUI NUMERI COMPLESSI 17

Esercizio (21). Si studino le curve z “ zptq indicate:

(a) z “ e1`ı 2⇡ n t con n P Z e t P r0, 1s

(b) z “ p1 ` ı tq´1 con t P r0, 1s

(c) z “ eı t 2⇡ ` e´ı t 2⇡ con t P r0, 1s


18 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

1.2 Funzioni olomorfe


Analizzeremo le proprietà di una particolare classe di funzioni complesse di
variabile complessa:
f : z P C ݄ f pzq P C,
che hanno avuto grande importanza in Fisica fondamentale ed applicata.
Esempi di funzioni complesse definite su tutto il piano complesso sono:

i) z Ñ z

ii) z Ñ Re z (inteso come il numero complesso (Re z, 0))


ÿ
n
iii) z Ñ Pn pzq “ a0 ` a1 z ` ... ` an z n “ aj z j ; aj P C, @j P t1, 2, . . . , nu
j“0

Altre funzioni sono definite solo su sottoinsiemi di C:


1 1 1
zÑ z P Czt0u; zÑ z P Czt0u; zÑ z P CzI
z z Re z
con I, asse immaginario: tz : Re z “ 0u.
Una funzione complessa f si dice continua in z0 se @" ° 0 D ° 0 tale che
|z ´ z0 | † ùñ |f pzq ´ f pz0 q| † ".
Se ⌦ è un sottoinsieme aperto di C ed f è una funzione ⌦ ùñ C, continua
in z P ⌦, @z P ⌦ allora f si dice continua in ⌦.
Una funzione complessa f definita in un intorno di z0 P C si dice derivabile
in z0 se
f pz0 ` hq ´ f pz0 q
lim ” f 1 pz0 q (1.1)
hÑ0 h
esiste finito (e non dipende da come h tenda a 0 in C).
Una funzione f da ⌦, aperto di C, in C derivabile in ogni z P ⌦ si dice
olomorfa e ⌦ si dirà il dominio di olomorfia della funzione f .
L’operazione di derivazione è evidentemente lineare ed è facile verificare che
vale la regola di Leibniz di derivazione del prodotto: se f e g sono olomorfe
in ⌦ allora @z P ⌦ si ha

pf ` gq1 pzq “ f 1 pzq ` g 1 pzq pf gq1 pzq “ f 1 pzqgpzq ` f pzqg 1 pzq


1.2. FUNZIONI OLOMORFE 19

Vale la regola di derivazione di funzione di funzione : se f è una funzione


olomorfa sull’aperto ⌦ P C e g è olomorfa nell’aperto ⌦1 P C che contiene
l’immagine di ⌦ attraverso f , allora la funzione z Ñ gpf pzqq è olomorfa in ⌦
e

pgpf qq1 pzq “ g 1 pf pzqq f 1 pzq

Vediamo come la derivabilità espressa nella (1.1) sia una richiesta molto forte
sulla funzione f . La (1.1) implica, in e↵etti, che la f sia di↵erenziabile, che
si abbia cioè 3 .

f pz0 ` hq ´ f pz0 q ´ f 1 pz0 qh “ op|h|q (1.2)

cioè che l’incremento della funzione f intorno a z0 , quando ci si “sposta”


da z0 di h (numero complesso), sia proporzionale ad h, a meno di termini il
cui modulo va a 0 più rapidamente di |h|, con un fattore di proporzionalità
che non dipende da h. Non è quindi semplicemente una richiesta di regola-
rità dell’incremento in ogni direzione, ma anche di omogeneità rispetto alla
direzione attorno a z0 .
Più in dettaglio, sia f una funzione olomorfa in ⌦ aperto di C e sia u “ Re f
e v “ Im f cosicché f pzq “ upzq`ı vpzq “ upx, yq`ı vpx, yq (dove z “ x`ı y).
Come conseguenza della derivabilità di f in z0 P ⌦, le funzioni reali di due
variabili reali u e v hanno derivate parziali rispetto a x e a y nel punto px0 , y0 q.
Prendendo rispettivamente h reale “ pp, 0q o puramente immaginario p0, pq
per p reale si ha

|f pz0 ` hq ´ f pz0 q ´ f 1 pz0 q h| “


ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ f pz0 ` hq ´ f pz0 q 1
ˇ ˇ f pz0 ` hq ´ f pz0 q 1
ˇ
“ˇ ˇ ˇ ˇ
h ´ f pz0 q hˇ “ |h| ˇ ´ f pz0 qˇˇ
h h

che dice che il modulo del membro di sinistra della (1.2) è pari a |h| per una funzione che
va a zero per h tendente a zero.
20 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

upx0 ` p, y0 q ` ıvpx0 ` p, y0 q ´ upx0 , y0 q ´ ıvpx0 , y0 q


f 1 pz0 q “ lim
pÑ0 p
Bu Bv
“ px0 , y0 q ` ı px0 , y0 q
Bx Bx
upx0 , y0 ` pq ` ıvpx0 , y0 ` pq ´ upx0 , y0 q ´ ıvpx0 , y0 q
f 1 pz0 q “ lim
pÑ0 ıp
Bu Bv
“ ´ ı px0 , y0 q ` px0 , y0 q
By By
Le derivate parziali in z0 devono quindi soddisfare le relazioni (Condizioni o
Equazioni di Cauchy - Riemann)
Bu Bv Bu Bv
pz0 q “ pz0 q pz0 q “ ´ pz0 q (1.3)
Bx By By Bx
Anticipiamo alcune proprietà delle funzioni olomorfe che proveremo in se-
guito, ma che sono intuitivamente riconducibili alla proprietà di di↵erenzia-
bilità e verifichiamo che siano proprietà verificate dai polinomi a coefficienti
complessi di qualunque grado.
Sia z0 un punto nel dominio di olomorfia della funzione f . Assumiamo per
semplicità che la derivata di f in z0 non sia nulla: f 1 pz0 q ‰ 0. Il caso generale
richiede conoscenze sulle derivate successive di una funzione olomorfa che
proveremo nei paragrafi successivi.
Si noti che f 1 pz0 q pz ´z0 q, al variare di z in un intorno di z0 interno al dominio
di olomorfia è un numero complesso le cui parti reale e immaginaria assumono
valori positivi o negativi al variare della direzione di allontanamento di z da
z0 nell’intorno. Per esempio prendendo z ´ z0 “ "f 1 pz0 q, con " numero reale
positivo, sufficientemente piccolo da garantire che z sia ancora nel dominio
di olomorfia di f , si ottiene che f 1 pz0 q pz ´ z0 q è un numero reale positivo
(trovare esempi per tutti gli altri casi). Dalla (1.2) si deduce che |f |pzq
per z in qualunque intorno sufficientemente piccolo di z0 assumerà valori sia
maggiori che minori di |f |pz0 q. Si può dunque concludere che il modulo di
una funzione olomorfa in un insieme aperto ⌦ P C non può avere un massimo
o un minimo in un punto interno a ⌦ in cui la derivata è diversa da zero.
Un analogo ragionamento porta a concludere che se z0 è uno zero di una
funzione olomorfa f e se f 1 pz0 q ‰ 0 allora esiste un intorno di z0 in cui la
funzione f è diversa da zero. z0 è dunque uno zero isolato della funzione.
1.2. FUNZIONI OLOMORFE 21

Vediamo come per i polinomi si possano estendere i risultati elencati prece-


dentemente a tutti i punti del dominio di olomorfia (anche cioè dove il valore
della derivata risulti nullo).

1.2.1 I polinomi
Notiamo preliminarmente che la funzione gpzq “ z n , per ogni n naturale, è
una funzione olomorfa su tutto C. Infatti
ÿn ˆ ˙
n n n´1 n n´j j
pz ` hq “ z ` n z h` z h
j“2
j

Si ha quindi g 1 pzq “ n z n´1 che è ancora una funzione olomorfa.


Poiché ogni combinazione lineare, a coefficenti complessi, di funzioni olomorfe
è olomorfa i polinomi di qualunque grado sono funzioni olomorfe.

Sia Pn pzq “ nj“0 aj z j un polinomio di grado n.
Le seguenti proprietà sono facili da verificare

• Pn pzq è derivabile infinite volte e la derivata pn ` 1q-sima, assieme a


tutte le derivate successive, sono nulle,

• se tutte le derivate di Pn sono nulle, allora il polinomio è la funzione


costante Pn pzq “ a0 ,

• per ogni z0 P C il polinomio Pn pzq si può scrivere come polinomio in


pz ´ z0 q
ÿ
n
Pn pzq “ Pn pz0 q ` bj pz0 q pz ´ z0 qj
j“1

(basta porre z “ pz´z0 q`z0 in Pn pzq, sviluppare le potenze e riordinare


in potenze di pz ´ z0 q)

• se Pn pzq non è costante e z0 è un suo zero (Pn pz0 q “ 0) allora esiste un


intorno Iz0 di z0 in cui Pn pzq ‰ 0 @ z P Iz0 .
Infatti deve esistere un m con 1 § m § n tale che la derivata m-
sima di Pn calcolata in z0 sia diversa da zero Pnpmq pz0 q ‰ 0 quando
Pnpkq pz0 q “ 0 @k † m.
22 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Una stima della somma di tutti i termini di grado maggiore di m


fornisce la disuguaglianza, certamente valida per |z ´ z0 | † 1

ÿ
n
m
|Pn pzq ´ bm pz0 q pz ´ z0 q | “ | bj pz0 qpz ´ z0 qj | (1.4)
j“m`1

§ K |z ´ z0 |pm`1q
per qualche K costante positiva (verificare che pn ´ jq sup |bj pz0 q|
costituisce una scelta sicura). Si ha dunque

|Pn pzq| “ |bm pz0 q pz ´ z0 qm ` Pn pzq ´ bm pz0 q pz ´ z0 qm |


ˇ ˇ
• ˇ|bm pz0 q pz ´ z0 qm | ´ |Pn pzq ´ bm pz0 q pz ´ z0 qm |ˇ
• |bm pz0 q pz ´ z0 qm | ´ K |z ´ z0 |pm`1q ° 0
dove l’ultima disuguaglianza si intende valida per |z ´ z0 | sufficiente-
mente piccolo.
In sintesi un polinomio è una funzione olomorfa che
• ammette infinite derivate,
• può essere scritta come combinazione lineare di potenze di pz ´ z0 q
nell’intorno di ogni z0 del dominio di olomorfia,
• può avere solo zeri isolati.
Vedremo che ogni funzione olomorfa soddisfa le stesse proprietà e possiede,
intorno ad ogni punto del dominio di olomorfia, la struttura di un polinomio
eventualmente di ”grado infinito” (serie di potenze).

Il rapporto tra due polinomi Pn e Qm di grado rispettivamente m e n


Pn pzq
f pzq “
Qm pzq
è genericamente una funzione olomorfa su C privato dei punti zk (isolati come
abbiamo visto) in cui si ha Qm pzk q “ 0.
Se accade che anche Pn pzk q “ 0 e l’ordine dello zero zk di Pn è maggiore o
uguale all’ordine dello stesso zero per Qn è plausibile pensare che la funzio-
ne possa essere estesa, come funzione olomorfa nel punto zk . Il caso verrà
a↵rontato durante lo studio delle singolarità isolate nella sezione 1.5.
1.2. FUNZIONI OLOMORFE 23

1.2.2 La funzione esponenziale e le funzioni trigono-


metriche
La funzione esponenziale nel piano complesso è definita come somma della
serie di potenze
ÿ8
z zn z2 z3
e ” “1`z` ` ` ... (1.5)
n“0
n! 2 6
Dalla formula di Hadamard per il raggio di convergenza (vedi appendice
A) e dal calcolo diretto della serie derivata si ha che la funzione ez
• è definita dalla (1.5) in tutto C

• è olomorfa in tutto C

• è l’unica soluzione dell’equazione f 1 pzq “ f pzq con f p0q “ 1 (provare


l’unicità)
La relazione funzionale all’ultimo punto precedente fornisce una maniera,
più semplice della prova diretta partendo dalla definizione, per dimostrare la
principale proprietà della funzione esponenziale

ez1 ez2 “ ez1 `z2 @z1 , z2 P C (1.6)


Infatti se per ogni z1 e z2 del piano complesso deriviamo rispetto a z la
funzione olomorfa f pzq ” ez ez1 `z2 ´z otteniamo

pez ez1 `z2 ´z q1 “ ez ez1 `z2 ´z ´ ez ez1 `z2 ´z “ 0

la f , come funzione delle variabili x “ Rez e y “ Imz, ha quindi derivate


parziali nulle in ogni punto del piano px, yq. È quindi costante ed eguagliando
i valori che essa assume in z “ 0 e in z “ z1 si ottiene la (1.6)
Naturalmente per valori di z reali z “ x ` ı0 la funzione ez coincide con
la funzione ex studiata in Analisi 1, come si deduce dalla coincidenza delle
serie di potenze delle due funzioni per z reale, o dal fatto che entrambe
soddisfano la stessa equazione di↵erenziale, con le stesse condizioni sulla
funzione nell’origine, sempre per z reali.
La prova delle proprietà che seguono è lasciata al lettore

• ez ‰ 0 per ogni z del piano complesso,


24 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

• ez “ ez̄ ,

• |ez | “ ex per ogni z “ x ` iy. In particolare |eıy | “ 1 per ogni y P R.

Siamo ora in grado di definire le funzioni trigonometriche (e le funzioni


iperboliche) come funzioni di variabile complessa. La definizione, indipen-
dente dalle definizioni di angolo, dovrà coincidere con le definizione classiche
per valori reali della variabile complessa z.
Siano

eız ` e´ız ez ` e´z


cos z ” cosh z ”
2 2
eız ´ e´ız ez ´ e´z
sin z ” sinh z ” (1.7)
2ı 2
Dalle definizioni precedenti, e dalla definizione di funzione esponenziale, si
ricavano facilmente le proprietà delle funzioni trigonometriche


8
ÿ z 2n z2 z4
cos z “ p´qn “1´ ` ´ ...
n“0
p2nq! 2 24
ÿ8
z 2n`1 z3 z5
sin z “ p´qn “z´ ` ´ ...
n“0
p2n ` 1q! 6 120

• eız “ cos z ` ı sin z. Si noti che le funzioni coseno e seno hanno valori
complessi. In particolare cos z e sin z non sono rispettivamente la
parte reale e immaginaria di eız come la formula precedente potrebbe
far pensare. Solo per z “ y P R si ha che cos y e sin y sono reali e sono
rispettivamente la parte reale e immaginaria del numero complesso di
modulo uno eıy “ cos y ` ı sin y.

• cos2 z ` sin2 z “ 1 per ogni z del piano complesso,

• psin zq1 “ cos z pcos zq1 “ ´ sin z

Trovare le corrispondenti proprietà delle funzioni iperboliche.


Partendo dalle serie per le funzioni seno e coseno si può provare che la fun-
zione eıy quando y P R è una funzione periodica. La tesi è la conseguenza
1.2. FUNZIONI OLOMORFE 25

della seguente successione di passaggi (la prova di alcuno dei quali è lasciata
al lettore).
Sia y ° 0

y2 y2 y4
• 1´ † cos y † 1 ´ ` per ogni y con 0 § y § 5.
2 2 24
Infatti
y2 ÿ „ y 2n y 2n`2

cos y “ 1 ´ ` ´
2 n pari•2
p2nq! p2n ` 2q!
ÿ „ ⇢
y2 y4 y 2n y 2n`2
“ 1´ ` ` ´ `
2 24 n dispari•3 p2nq! p2n ` 2q!

È facile rendersi conto che la prima parentesi quadra è strettamente


maggiore di zero per ogni n • 2 se y † 5. La seconda parentesi quadra
è quindi strettamente minore di zero per ogni n • 3 nelle stesse ipotesi
su y. Ne discende la disuguaglianza scritta precedentemente.

• Per y “ 2 la disuguaglianza si legge ´1 † cos y † ´1{3 che, essendo


cos 0 “ 1, ùñ D y0 † 2 : cos y0 “ 0 . In y0 di conseguenza sin y0 “
˘1.

• Se ne deduce che eı y0 “ ˘ı ùñ e4ı y0 “ 1. 4 y0 è quindi un periodo


della funzione eı y .

• Al lettore resta da mostrare che 4 y0 è il più piccolo e unico periodo


della funzione.

.
Il periodo può essere ora definito 2 ⇡ fornendo, in questo modo, una defi-
nizione di ⇡ indipendente dalla geometria. Si deducono quindi le relazioni
fondamentali tra il numero e e il numero ⇡
ı⇡ ı3⇡
e2 “ı eı⇡ “ ´1 e 2 “ ´ı eı2⇡ “ e0 “ 1
La funzione eıy trasforma biunivocamente l’intervallo 0 § y † 2⇡ nel cerchio
unitario |z| “ 1 percorso in senso antiorario, per poi ripetersi periodicamente
in ogni intervallo 2⇡j § y † 2⇡pj ` 1q per ogni j ‰ 0 intero.
26 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

La rappresentazione polare di un numero complesso corrisponde, in questo


schema, alla decomposizione
z
z “ |z| “ |z|eı✓ “ |z| pcos ✓ ` ı sin ✓q
|z|
z
dove ✓ è l’unica soluzione in r0 , 2⇡q dell’equazione “ eı✓
|z|

1.2.3 La funzione logaritmo


Definiamo la funzione logaritmo log z come la funzione inversa dell’esponen-
ziale. Si avrà dunque
z
⇠ “ log z se accade che e⇠ “ z cioè se eRe ⇠ “ |z| e eıIm ⇠ “
|z|

La parte reale di ⇠ è quindi il logaritmo reale del numero positivo |z|. La parte
z
immaginaria di ⇠ è una delle infinite soluzioni dell’equazione eıIm ⇠ “ che
|z|
di↵eriscono tra loro per multipli di 2 ⇡. Definiremo ognuna di queste soluzioni
arg z.
La funzione logaritmo è dunque la funzione a più valori

⇠ “ log z “ log |z| ` ı arg z


Si noti che è possibile definire la funzione logaritmo come funzione a un solo
valore restringendo ad esempio arg z ad uno degli intervalli r2⇡j , 2⇡pj ` 1qq
(la scelta j “ 0 si dirà determinazione principale del logaritmo). In questo
caso però la funzione non riassume, a |z| fissato, gli stessi valori quando l’ar-
gomento aumenta di 2 ⇡. Un dominio in cui la funzione logaritmo è continua
non può essere quindi tutto il piano complesso. È necessario togliere al piano
una semiretta qualunque uscente dall’origine, per esempio la semiretta dei
reali positivi.
1
Si provi che nel dominio cosı̀ definito la funzione è olomorfa e plog zq1 “ .
z
Si specifichi inoltre in che senso valgono le uguaglianze

log pz1 z2 q “ log z1 ` log z2


arg pz1 z2 q “ arg z1 ` arg z2
1.2. FUNZIONI OLOMORFE 27

1.2.4 Potenze e radici in notazione esponenziale


Se un numero complesso z è espresso in notazione esponenziale z “ |z| eı arg z
la sua potenza j-sima, per j intero si scrive

z l “ |z|l eı l arg z
definita @z P C se l ° 0 e @z ‰ 0 se l † 0. Per ogni l la funzione z l è
evidentemente periodica, di periodo 2 ⇡{|l|, nell’argomento di z.
La funzione inversa (radice m-sima), per m ° 0 si otterrà risolvendo in z
l’equazione
1 arg z 1 1 arg z
⇠ m “ z ùñ |⇠| “ |z| m , arg ⇠ “ ùñ z m “ |z| m eı m
m
Se ✓ è il valore di arg z compreso tra 0 e 2 ⇡, arg m
z
potrà assumere gli m valori
arg z ✓ 2⇡
distinti “ `  “ 0, 1, . . . , pm ´ 1q. La funzione radice m-sima
m m m
è quindi una funzione a m valori. Per definirla come funzione monodroma è
necessario specificare un intervallo di ampiezza 2 ⇡ a cui vengono ristretti i
valori di arg z, per esempio 0 § arg z † 2⇡.
Si noti però che la funzione cosı̀ ottenuta non assume gli stessi valori, a parità
ı2⇡
di |z|, quando arg z “ 0 e quando arg z Ñ 2⇡ essendo 1 “ eı 0 ‰ e m . Come
nel caso del logaritmo, la funzione radice non è olomorfa in tutto il piano
complesso, privato dell’origine (dove non è derivabile), ma solo nel piano
privato di una semiretta che congiunge l’origine con l’infinito, per esempio
la semiretta dei reali positivi. In tale dominio di olomorfia la sua derivata è
1 1 1
pz m q1 “ z ´1` m per z ‰ 0.
m
Potenze non intere di numeri complessi possono essere definite tramite
le funzioni esponenziale e logaritmo. Le funzioni cosı̀ definite potranno es-
sere monodrome o polidrome a seconda delle funzioni che utilizzeremo per
definirle

xz ” ez log x z P C, x P R` zt0u è una funzione monodroma


z ⇠ ” e⇠ log z z, ⇠ P C è una funzione polidroma
1 p
z r ” pz p q q z P C r “ P Q con p e q interi
q
che è una funzione polidroma se p{q non è un numero intero
28 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

dove log x, nella prima definizione, si intende il logaritmo reale del numero
positivo x e Q, nella terza definizione, indica l’insieme dei numeri razionali.
Le funzioni polidrome z r e z ⇠ , ristrette a domini del piano complesso dove
rispettivamente la radice q-sima e il logaritmo sono monodrome e olomorfe,
definiscono corrispondenti funzioni olomorfe.

1.2.5 Esercizi sulle funzioni di variabile complessa

Esercizio (1). Provare che se f è continua in ⌦ P C aperto, allora le funzioni


Re f , Im f , |f |, f n con n “ 2, 3, ... sono continue in ⌦.

Esercizio (2). Provare che se f e g sono continue in ⌦ P C aperto, allora le


funzioni f ` g, f g sono continue.

Esercizio (3). Verificare se e dove le funzioni indicate sono olomorfe :

(a) f1 pzq “ z̄ f2 pzq “ Rez f3 pzq “ Imz


Imz 2
(b) f pzq “ se z ‰ 0 e f p0q “ 0
|z|2
(c) f pzq=z Rez

Esercizio (4). Scrivere in funzione di z e z la funzione

x3 ´ y 3 x3 ` y 3
f pzq “ ` i
x2 ` y 2 x2 ` y 2
Verificare se e dove la funzione è olomorfa.
1.2. FUNZIONI OLOMORFE 29

Soluzione.
Consideriamo la retta y “ c x con c numero reale. Calcoliamo il limite della
f pzq per z Ñ 0 lungo la direzione y “ cx.

f pzq ´ f p0q p1 ` iq ´ c3 p1 ´ iq
lim “
zÑ0 z p1 ` c2 qp1 ` icq

La funzione non è olomorfa nell’origine poiché la derivata dipende dalla


particolare direzione.
Verifichiamo se valgono le condizioni di Cauchy-Riemann.
Nell’origine si ha che
Bu Bv Bu Bv
“ “ “´ “1
Bx By By By

In un intorno dell’origine le condizioni di C.R. si riducono a :


$ Bu Bv
& Bx ´ By “ 0 " 2
x ` 2xy ´ y 2 “ 0
݄
% Bu Bv x2 ´ 2xy ´ y 2 “ 0
By
` Bx
“ 0

e sono soddisfatte solo per px, yq “ p0, 0q. Vediamo cosa accade, in un
intorno dell’origine alle derivate parziali. Si consideri la derivata parziale
della u:
Bu x4 ` 3x2 y 2 ` 2xy 3
“ .
Bx px2 ` y 2 q2
Lungo la direzione y “ c x la derivata parziale assume il valore costante
Bu 1 ` 3c2 ` 2c3
“ . I suoi limiti nell’origine dipendono quindi dal particola-
Bx p1 ` c2 q2
re valore di c, ovvero dalla direzione della semiretta lungo la quale si calcola
il limite. La derivata esiste nell’origine ma non è ivi continua.
Le condizioni di C.R. sono dunque necessarie, ma non sufficienti a garantire
l’olomorfia della funzione nell’origine. Come vedremo nella prossima sezio-
ne parte reale e immaginaria delle funzioni olomorfe hanno derivate parziali
continue di ogni ordine. Dalla prova di questo risultato dedurremo che la con-
tinuità delle derivate parziali prime è, assieme alle validità delle condizioni
di C.R., condizione necessaria e sufficiente perché una funzione sia olomorfa
in un punto.
30 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Esercizio (4). Provare che se la funzione f non è costante nel suo dominio
di definizione ⌦ e assume solo valori reali o solo valori immaginari allora
non è olomorfa.

Esercizio (5). Provare che se la funzione olomorfa f è tale che |f |, o Re f ,


o Im f sono costanti nel dominio di olomorfia allora la funzione f è costante.

Nota 1. Alcuni autori usano notazioni di↵erenti per la determinazione


principale della funzione logaritmo (log) e per la funzione, a molti valori,
inversa della funzione ez (Log). Le due definizioni sono le seguenti


log z ” log |z| ` i arg z 0 † arg z † 2⇡

definita nel piano complesso privato dell’asse reale positivo.


Log z ” log z ` 2k⇡i

per k P Z intero positivo, negativo o nullo.

Ogni valore di k definisce una diversa determinazione del logaritmo nel pia-
no complesso privato dell’asse reale positivo. Le determinazione prinicipale
è qualche volta definita nel piano complesso privato dell’asse reale negativo

log z ” log |z| ` i arg z ´ ⇡ † arg z † ⇡

e potrebbe alternativamente essere definita nel piano complesso privato di


qualunque semiretta che congiunga l’origine con il punto all’infinito.
1.3. TEOREMA E FORMULA DI CAUCHY 31

Esercizio (6). Date le due definizioni calcolare

• logp2 ` iq

• logp´2 ` iq

• log rp2 ` iqp´2 ` iqs

Verificare in quale senso va inteso che

Logpz wq “ Log z ` Log w

controllare che, in tale senso,

Logp´zq ` Logp´zq “ Log z ` Log z

ma
2Logp´zq ‰ 2Log z

1.3 Teorema e Formula di Cauchy


Dimostreremo nel seguito che la derivata di una funzione olomorfa nell’aperto
⌦ P C è ancora olomorfa. Iterando il risultato si deduce che una funzione
olomorfa è infinitamente derivabile e che quindi la sua parte reale cosı̀ come
quella immaginaria hanno derivate parziali continue di tutti gli ordini.
Se diamo per acquisito questo risultato, è immediato provare:
Teorema 1. Sia ⌦ un aperto di C, e sia f pzq “ upzq ` ı vpzq : ⌦ Ñ C
olomorfa. Allora u e v sono armoniche, cioè sono di classe C 2 (ovvero
hanno derivate parziali continue fino al secondo ordine) e

r 2 u “ r2 v “ 0 in ⌦ (1.8)

Si ha inoltre che le 1-forme !1 ” u dx ´ v dy e !2 ” v dx ` u dy in ⌦ sono


chiuse
Dimostrazione. Dalle relazioni di Cauchy-Riemann (1.3) si ha che, in ⌦:

B2u B2u B Bv B Bv
r2 u ” ` 2 “ ´
Bx 2 By Bx By By Bx
32 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Per il Teorema di Schwarz, essendo le derivate parziali seconde continue (nelle


ipotesi di infinita di↵erenziabilità della funzione olomorfa f ) , si può scam-
biare l’ordine di derivazione di v, ottenendo r2 u “ 0 in ⌦. Analogamente si
dimostra che r2 v “ 0 in ⌦.
È immediato verificare che d2 !1 “ d2 !2 “ 0 in ⌦ ( chi non voglia usare
il linguaggio delle forme di↵erenziali e preferisca il linguaggio dell’analisi
vettoriale, può verificare che i rotori dei due campi vettoriali pExp1q “ u, Eyp1q “
´vq e pExp2q “ v, Eyp2q “ uq sono entrambi nulli in ogni punto di ⌦). 4

1.3.1 Teorema di Cauchy


Sia ⌦ un aperto di C e sia P ⌦ una curva regolare a tratti. Con questo
intenderemo che

• è l’immagine in ⌦ di un intervallo della retta reale (che per como-


dità sceglieremo sempre r0 , 1s) tramite una funzione complessa zptq “
xptq ` ıyptq, t P r0 , 1s (qualche volta useremo la notazione ptq per la
funzione complessa che parametrizza la curva),

• x e y sono funzioni di↵erenziabili a tratti: a meno di un numero finito


di valori del parametro t le funzioni x e y hanno cioè derivate continue.
Nei punti di singolarità devono comunque esistere le derivate destra e
sinistra (che possono essere diverse).

• Non esistono valori del parametro t in cui z 1 ptq “ 0 Ñ x1 ptq “ y 1 ptq “ 0.


4
Viceversa, se la regione ⌦ è semplicemente connessa (la definizione si trova alla pagina
successiva del testo), e u : ⌦ Ñ R è armonica, allora esiste una funzione armonica v (detta
armonica coniugata di u), tale che f ” u ` ı v è olomorfa in ⌦. (Analogamente, ´u è
armonica coniugata di v). ´ ¯
B
` Bu ˘
Poichè infatti r2 u “ 0, si ha By ´ Bu B
By “ Bx Bx . Questo unitamente al fatto che l’aperto
⌦ è semplicemente connesso, implica che la forma di↵erenziale ´ Bu Bu
By dx ` Bx dy è esatta in
⌦; ovvero esiste v : ⌦ Ñ R (determinata a meno di una costante additiva) tale che:
ˆ ˙ ˆ ˙
Bv Bv Bu Bu
rv ” , “ ´ ,
Bx By By Bx

in ⌦. Quindi valgono le condizione di Cauchy-Riemann (1.3), ovvero f è olomorfa in ⌦.


1.3. TEOREMA E FORMULA DI CAUCHY 33

Diremo che la curva è orientata nel verso che va da zp0q a zp1q


Se tp⌧ q è una funzione strettamente crescente da r0, 1s in r0, 1s la curva può
essere ri-parametrizzata, con la stessa orientazione, col parametro ⌧ tramite
l’equazione parametrica zptp⌧ qq. Assumeremo sempre che le funzioni che
definiscono le ri-parametrizzazioni siano derivabili con derivate continue.
Una curva regolare a tratti di dirà semplice se non si auto-interseca: zpt1 q “
zpt2 q se e solo se t1 “ t2 (estremi esclusi).
Una curva semplice si dice chiusa se zp0q “ zp1q. Se zptq descrive una curva
semplice chiusa , zp1´tq descrive la stessa curva percorsa nel verso opposto
(qualche volta indicata con ´ ).
I soli casi che considereremo in seguito sono quelli di curve che sono unioni di
curve semplici e, più spesso, unioni di curve semplici chiuse. Nel caso di curve
chiuse di cui venga specificato solo l’insieme dei punti e non l’orientazione,
intenderemo con l’insieme dei punti percorso in senso anti-orario (e quindi
con ´ l’insieme dei punti percorso in senso orario).
L’integrale di una funzione continua f : ⌦ Ñ C lungo la curva semplice
è definito da ª ª1
f pzq dz ” f pzptqq z 1 ptq dt (1.9)
0

ovvero, posto z ” x ` ı y e f ” u ` ı v,
ª ª ª ª ª
f pzq dz ” f pzq dx ` ı f pzq dy “ pu dx ´ v dyq ` ı pu dy ` v dxq
(1.10)
L’integrale esteso all’unione di curve semplici è definito essere la somma degli
integrali relativi alle singole curve semplici.
Ricordiamo alcune definizioni e proprietà relative ai sottoinsiemi aperti del
piano complesso e alle curve regolari (a tratti) nel piano.

• un sottoinsieme aperto ⌦ di C si dice connesso se non esistono due suoi


sottoinsiemi aperti disgiunti la cui unione coincide con ⌦. Chiameremo
regione ogni sottoinsieme aperto, connesso, non vuoto di C;

• (un risultato fortemente intuitivo, ma di difficilissima dimostrazione,


asserisce che) se è una curva semplice chiusa allora R2 zt u è l’unione
34 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

di due componenti aperte connesse di cui è frontiera. Una è limitata


e verrà indicata interno di e una illimitata indicata come esterno
di ;

• due curve semplici 1 e 2 nella regione ⌦ si dicono ⌦-omotope se


possono essere trasformate con continuità una nell’altra ”restando” in
⌦. Dovrà cioè esistere una funzione : r0, 1s ˆ r0, 1s Ñ ⌦ continua
nella prima variabile (che indicizza le curve), regolare a tratti nella
seconda (che descrive ciascuna curva), tale che p0, tq “ 1 ptq @t P r0, 1s
e p1, tq “ 2 ptq @t P r0, 1s;

• una curva chiusa in ⌦ si dice ⌦-omotopa ad un punto se può es-


sere deformata con continuità in ⌦ fino a ridurla ad un punto di ⌦
(limsÑ1 ps, tq “ z0 P ⌦ @t, P r0, 1s nelle notazioni precedenti);

• una regione ⌦ in cui ogni curva chiusa è ⌦-omotopa a un punto è detta


semplicemente connessa.
Sia ⌦ una regione di C e sia f una funzione olomorfa in ⌦. Siano !1 e
!2 le 1-forme associate alla f come indicato nel teorema 1). Se le ipotesi di
continuità delle derivate parziali della parte reale u e immaginaria v della
f (che abbiamo considerato valide nella prova del teorema 1) fossero valide,
le due forme sarebbero chiuse e ciò permetterebbe di provare, utilizzando
teoremi classici dell’analisi vettoriale, il
Teorema 2 (Teorema Integrale di Cauchy). Sia ⌦ una regione di C, sia
f : ⌦ Ñ C olomorfa in ⌦, e sia una curva semplice chiusa (risp. una
unione di curve semplici chiuse), ⌦-omotopa a un punto (risp. ciascuna
⌦-omotopa a un punto). Allora
ª
f pzq dz “ 0 (1.11)

Il teorema ha vari corollari fondamentali (provarli)


Corollario 3. Sia ⌦ una regione di C, sia f : ⌦ Ñ C olomorfa, e 1 , 2 siano
due curve semplici ⌦-omotope tra loro, con punti iniziali e finali coincidenti
( 1 p0q “ 2 p0q e 1 p1q “ 2 p1q). Allora
ª ª
f pzq dz “ f pzq dz (1.12)
1 2
1.3. TEOREMA E FORMULA DI CAUCHY 35

Corollario 4. Sia ⌦ una regione di C, sia f : ⌦ Ñ C olomorfa, e 1 , 2


siano due curve semplici chiuse ⌦-omotope tra loro. Allora
ª ª
f pzq dz “ f pzq dz (1.13)
1 2

Dalla definizione di regione semplicemente connessa e dal teorema 2 di-


scende il

Corollario 5. Sia ⌦ una regione semplicemente connessa di C, sia f : ⌦ Ñ C


olomorfa in ⌦, e sia una curva semplice chiusa (risp. una unione di curve
semplici chiuse). Allora ª
f pzq dz “ 0 (1.14)

Si noti che se ⌦ non è semplicemente connesso la tesi del teorema di


Cauchy non è sempre valida come dimostra l’esempio paradigmatico della
funzione 1{z definita e olomorfa nella regione ⌦ “ Czt0u. In questo caso
infatti si ha ª
1
dz “ 2⇡ı (1.15)
z
per ogni curva regolare a tratti che non passi per l’origine e tale che l’o-
rigine appartenga al suo interno (vedi il calcolo esplicito nella sotto-sezione
successiva).
Il teorema che segue caratterizza le condizioni per cui gli integrali di una
funzione complessa siano gli stessi su curve semplici in ⌦, con punti iniziali
e finali coincidenti, anche quando le curve non siano ⌦-omotope tra loro

Teorema 6. Sia ⌦ un aperto di C connesso, sia f : ⌦ Ñ C f “ u ` ıv


continua, e si fissi z0 P ⌦. Per ogni z P ⌦, sia z una curva regolare a tratti
in ⌦ congiungente z0 con z (ovvero z : r0, 1s Ñ ⌦, z p0q “ z0 , z p1q “ z), e
si ponga
ª1
F pzq :“ f p z ptqq z1 ptqdt
0

Condizione necessaria e sufficiente perché l’integrale non dipenda dalla curva,


ma solo dai punti iniziali e finali è che F sia olomorfa. In tal caso F 1 “ f
in ⌦.
36 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Dimostrazione. Condizione sufficiente: Sia F :“ U ` ıV olomorfa in ⌦ e


BU BV
F 1 “ f in ⌦. In ogni punto z di ⌦ si ha allora f “ pzq ` ı pzq “
Bx Bx
BU BV
´ı pzq ` pzq. Esplicitamente
By By
ª1 ª1„ ⇢
1 BU BV
f p z ptqq z ptqdt “ p ptqq ` ı p ptqq x1 ptqdt
0 0 Bx Bx
ª1„ ⇢
BU BV
` ´ı p ptqq ` p ptqq ı y 1 ptqdt “
0 By By
ª1„ ⇢
BF 1 BF 1
“ p ptqq x ptq ` p ptqq y ptq dt “ F pzq ´ F pz0 q
0 Bx By
che naturalmente non dipende dalla curva che congiunge z0 a z.
Condizione necessaria: Calcoliamo la di↵erenza F pz ` hq ´ F pzq per valori
reali e puramente immaginari di h. Per h reale prolunghiamo una qualunque
curva tra z0 e z con il segmento di retta, parallela all’asse reale, che congiunge
z a z `h. Parametrizzando quest’ultimo tratto di curva come xptq “ x`t h “
Rez ` t h, yptq “ y “ Imz per t P r0, 1s, con f pzq “ upzq ` ıvpzq, otteniamo
(vedi definizione 1.9)
ª
1 1 1
pF pz ` hq ´ F pzqq “ rupxptq, yq ` ıvpxptq, yqsh dt
h h 0
Poiché per ogni y sia u che v sono funzioni continue di x e quindi di t,
dal teorema della media integrale discende che esistono due valori t1 e t2 di
t P r0, 1s tali che
1
pF pz ` hq ´ F pzqq “ upx ` ht1 , yq ` ıvpx ` ht2 , yq
h
Dall’equazione precedente, definendo F “ U ` ıV , si deduce che, quando h
tende a zero,
BU BV 1
pzq ` ı pzq “ lim pF pz ` hq ´ F pzqq “ upzq ` ıvpzq “ f pzq
Bx Bx hÑ0 h

Lo stesso calcolo fatto per h “ ıs per s reale fornisce


ª
1 1 1
pF pz ` ısq ´ F pzqq “ r´vpx, yptqq ` ıupx, yptqqss dt
ıs ıs 0
1.3. TEOREMA E FORMULA DI CAUCHY 37

con yptq “ y ` s t. Nel limite per s che tende a zero si ha ancora


BV BU 1
pzq ´ ı pzq “ lim pF pz ` ısq ´ F pzqq “ upzq ` ıvpzq “ f pzq
By By sÑ0 ıs

La funzione F è quindi olomorfa e F 1 “ f .

La condizione necessaria del teorema precedente è spesso riportata in


letteratura come
Teorema 7 (Teorema di Morera). Sia ⌦ un≥ aperto di C semplicemente con-
nesso, sia f : ⌦ Ñ C continua, tale che f pzqdz risulti uguale a 0 per
ogni curva semplice chiusa. Si fissi z0 P ⌦ e, per ogni z P ⌦, sia z una
curva regolare in ⌦ congiungente z0 con z (ovvero z : r0, 1s Ñ ⌦, z p0q “
z0 , z p1q “ z). Si ponga
ª1
F pzq :“ f p z ptqq z1 ptqdt
0

Allora F è olomorfa,(U e V hanno derivate parziali continue che soddisfano


le condizioni di Cauchy Riemann) e F 1 “ f in ⌦. In particolare, nelle nostre
ipotesi, f stessa risulta olomorfa.
Osservazione 8. Sfortunatamente la prova delle proprietà di regolarità di
una funzione olomorfa verrà data nel prossimo paragrafo utilizzando il teo-
rema di Cauchy. Non possiamo quindi utilizzare le proprietà dimostrate nel
teorema 1) sulle forme !1 e !2 poiché la dimostrazione fa uso della regolarità
delle funzioni olomorfe.
In e↵etti sarebbe sufficiente dimostrare la continuità delle derivate parziali
della parte reale e della parte immaginaria di una funzione olomorfa nella
seguente forma: se f “ u ` ı v è olomorfa nella regione ⌦ ùñ esistono e
sono continue in ⌦ le derivate parziali di u e v. In questo caso i risulta-
ti elencati sopra sarebbero conseguenza del teorema di Stokes applicato alla
curva e al suo interno.
Una dimostrazione diretta della continuità delle derivate parziali di u e v per
una funzione f “ u ` ı v olomorfa nella regione ⌦ risulta molto difficile. La
più semplice alternativa è di dimostrare il teorema di Cauchy senza utilizzare
alcuna proprieta di continuità delle derivate parziali di u e v, ma la sola
olomorfia ( e quindi la di↵erenziabilità) di f .
Nell’appendice sono riportati alcuni dettagli della dimostrazione classica di
Goursat.
38 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Qui di seguito indicheremo la linea di dimostrazione del Teorema di Cauchy


data da Alphors.
1. Se Q è un qualunque quadrato nel piano complesso, con lati paralleli
agli assi, gli integrali estesi al perimetro del quadrato delle funzioni
f pzq “ C , con C costante complessa, e f pzq “ z sono nulli (provarlo).
Questo implica che per ogni quadrato Q di centro z0 si abbia
ª ª
f pzq dz “ rf pzq ´ f pz0 q ´ f 1 pz0 qpz ´ z0 qs dz (1.16)
Q Q

dato che abbiamo sottratto al membro di sinistra integrali nulli.


2. Dalla proprietà di di↵erenziabilità (1.2) della funzione f dedurre che
per ogni ✏ ° 0 esiste un l tale che il modulo dell’integrale della f sul
quadrato Ql di lato l risulti più piccolo di ✏l2 . Infatti il modulo
? della
funzione integranda è un infinitesimo di ordine superiore a l{ 2 e la
lunghezza del dominio di integrazione è 4l.
3. Poiché l’integrale della f esteso a un qualunque quadrato Q di lato L si
può scrivere come somma di integrali su quadrati comunque piccoli che
“pavimentano” il quadrato Q (vedi figura 1.1 ), provare che l’integrale
esteso a Q è più piccolo di ✏L2 per ogni ✏ ° 0 ed è quindi nullo.
4. Ogni curva chiusa, regolare a tratti, è approssimabile con il perime-
tro esterno del poli-parallelepipedo costituito dalle celle di un retico-
lo quadrato contenute all’interno della curva (vedi figura 1.1) quindi
l’integrale della f esteso alla curva è nullo.

Q i

Figura 1.1: L’integrale della f sul perimetro di Q è uguale alla somma degli integrali
sul perimetro dei Qi . L’integrale della f sul perimetro del poli-parallelepipedo è uguale
alla somma degli integrali sul perimetro dei quadrati al suo interno e approssima il valore
dell’integrale lungo la curva
1.3. TEOREMA E FORMULA DI CAUCHY 39

1.3.2 Formula di Cauchy


Per ogni z P C ed ogni R ° 0, denoteremo con BR pzq il cerchio con centro
z e raggio R, e con CR pzq la sua circonferenza. Nelle integrazioni lungo una
circonferenza verrà sempre inteso che l’orientamento è antiorario.

Teorema 9 (Formula di Cauchy). Sia ⌦ una regione di C, sia f : ⌦ Ñ


C olomorfa, e sia una curva semplice chiusa, ⌦-omotopa ad un punto,
orientata in senso antiorario. Allora
ª
1 f p⇠q
f pzq “ d⇠ @z interno a (1.17)
2⇡ı ⇠ ´ z

Dimostrazione. Si fissi z interno a , e sia " ° 0 tale che B" pzq Ä ⌦ e che
B" pzq sia interno a . Le curve e C" pzq risultano p⌦ztzuq-omotope. Per il
Teorema integrale di Cauchy si ha quindi
ª ª ª ª
f p⇠q f p⇠q 1 f p⇠q ´ f pzq
d⇠ “ d⇠ “ f pzq d⇠ ` d⇠.
⇠´z C" pzq ⇠´z C" pzq ⇠´z C" pzq ⇠´z
(1.18)
Per " Ñ 0 quest’ultimo integrale tende a 0, poiché la lunghezza di C" pzq tende
a 0 e l’integrando è limitato, dal momento che f è di↵erenziabile. Inoltre
parametrizziamo C" pzq con ⇠ptq “ z ` " ei t , si ha
ª ª 2⇡
1 1 d ` it ˘
f pzq d⇠ “ f pzq " e dt “ 2⇡ i f pzq
C" pzq ⇠´z 0 " eit dt

passando al limite per " Ñ 0 in (1.18), si ottiene quindi la formula di Cauchy


(1.17).

Osservazione 10. Per ogni z esterno a , l’integrando della (1.17) è una


funzione olomorfa di ⇠ in B" pzq; pertanto l’integrale è nullo, per il Teorema
di Cauchy.

Una semplice generalizzazione della formula di Cauchy è data nel corollario


(nella figura che segue sono esemplificate le ipotesi del corollario. Le zone
riempite in nero sono insiemi chiusi non appartenenti all’insieme di olomorfia
della funzione f )
40 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

A0
0

1 2

A1

A2
3

A3

Corollario 11 (Teorema e Formula di Cauchy generalizzati). Sia ⌦ un aper-


to di C e sia f : ⌦ Ñ C olomorfa. Sia t 0 , 1 , ..., M u un insieme finito di cur-
ve semplici chiuse di C, non intersecanti, regolari a tratti ed orientate in sen-
so antiorario. Denotato con An l’interno della curva n per n “ 0, 1, ..., M ,
inoltre sia

§
M §
M
An Ä A0 , A0 z An Ä ⌦, Am X An “ H @ m, n ‰ 0, m ‰ n.
n“1 n“1

Allora
ª M ª
ÿ
f p⇠qd⇠ ´ f p⇠qd⇠ “ 0 (1.19)
0 n“1 n

ª M ª
1 f p⇠q 1 ÿ f p⇠q §
M
f pzq “ d⇠ ´ d⇠ @z P A0 z An . (1.20)
2⇡ı 0
⇠´z 2⇡ı n“1 n
⇠´z n“1

Dimostrazione. La prova del corollario dovrebbe risultare evidente dalla fi-


gura nella quale è disegnata una curva ⌦-omotopa a 0 che di↵erisce dall’u-
nione delle curve semplici chiuse n , n ° 0, per archi percorsi due volte con
orientazioni opposte.
1.3. TEOREMA E FORMULA DI CAUCHY 41

A0
0

1 2

A1

A2
3

A3

L’integrale della funzione f su tale curva risulta quindi identico a quello


su 0 per il teorema di Cauchy e, allo stesso tempo, a quello sull’unione delle
curve semplici chiuse n , n ° 0 .

Un importante corollario della formula di Cauchy per funzioni olomorfe


è il

Corollario 12 (Principio del massimo). Se f(z) è olomorfa e non costante


in una regione ⌦ del piano complesso, allora il suo valore assoluto non ha
massimo in ⌦.

Dimostrazione. Sia z0 un punto interno a ⌦ e sia r ° 0 tale che il disco


Br pz0 q di centro z0 sia contenuto in ⌦. Dalla formula di Cauchy
ª ª 2⇡
1 f p⇠q 1
f pz0 q “ d⇠ “ f pz0 ` reı✓ qd✓
2⇡ı Cr pz0 q ⇠ ´ z0 2⇡ 0

La funzione al centro del disco è quindi la media dei valori che la funzione
assume sulla circonferenza. In particolare
ª 2⇡
1
|f pz0 q| § |f pz0 ` reı✓ q|d✓
2⇡ 0

Se |f pz0 q| avesse un massimo, per r sufficientemente piccolo, i valori del mo-


dulo della funzione sul cerchio di raggio r attorno a z0 dovrebbero essere tutti
strettamente inferiori a |f pz0 q| implicando la disuguaglianza |f pz0 q| † |f pz0 q|
evidentemente assurda.
42 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

La formula di Cauchy, quando si prenda la funzione costante f p⇠q “ 1


(certamente olomorfa su tutto C), diventa
ª
1 1
1 “ d⇠ @z interno a
2⇡ı ⇠ ´ z
ª
1 1
0 “ d⇠ @z esterno a
2⇡ı ⇠ ´ z
ª
1 1
´1 “ d⇠ @z interno a
2⇡ı ´ ⇠ ´ z
per ogni curva semplice chiusa in C.
Se è un’unione finita di curve semplici chiuse, l’integrale, esteso a , a fissato
z, fornisce il numero intero che si ottiene aggiungendo una unità per tutte
le curve che contengono z al loro interno e sono percorse in senso antiorario,
sottraendo una unità per tutte le curve che contengono z al loro interno e
sono percorse in senso orario. L’integrale fornisce quindi il numero di giri,
con segno, che la curva fa intorno a z; le curve che non contengono z danno
naturalmente contributo nullo.

Esempio Sia la curva chiusa con rappresentazione parametrica zptq “


r eı4⇡t con r reale positivo e t P r0, 1s. Si tratta del cerchio di raggio r attorno
all’origine percorso due volte il senso antiorario. Si noti che l’equazione para-
metrica non descrive una curva chiusa semplice (ha infinite intersezioni), ma
è l’unione di due curve chiuse semplici. l’integrale definito sopra vale quindi
2 per ogni z P Br p0q e vale 0 per ogni z esterno alla circonferenza.

Definizione Chiameremo indice della curva (unione di curve semplici


chiuse) rispetto al punto z P C il numero intero
ª
1 1
Indp , zq ” d⇠
2⇡ı ⇠ ´ z

1.4 Funzioni analitiche


Una funzione f : ⌦ Ñ C è detta analitica se per ogni z0 P ⌦ esistono un
° 0 ed una successione tcn pz0 qu8
n“0 di numeri complessi tali che B pz0 q Ä ⌦
e 8
ÿ
f pzq “ cn pz0 q pz ´ z0 qn @z P B pz0 q. (1.21)
n“0
1.4. FUNZIONI ANALITICHE 43

Come è noto una serie di potenze è infinitamente derivabile all’interno del


suo cerchio di convergenza, e le derivate della somma possono essere calcolate
derivando termine a termine, ovvero
8
ÿ
plq n!
f pzq “ cn pz0 q pz ´ z0 qn´l @z P B pz0 q, @l P N (1.22)
n“l
pn ´ lq!

Il confronto tra la (1.21) e la (1.22) fornisce l’eguaglianza

f pnq pz0 q
cn pz0 q “ @n P N (1.23)
n!
che prova che la (1.21) coincide con lo sviluppo in serie di Taylor della
funzione f intorno al punto z0 .
Teorema 13 (Teorema di Analiticità). Sia ⌦ un aperto di C e sia f : ⌦ Ñ C
olomorfa. La funzione f è allora analitica in ⌦ e vale, per i coefficienti dello
sviluppo in serie di potenze attorno al punto z0 P ⌦

ª
1 f p⇠q
cn pz0 q “ d⇠ @r † dist pz0 , B⌦q, @n P N, (1.24)
2⇡ı Cr pz0 q p⇠ ´ z0 qn`1
Osservazione 14. Si noti che il teorema inverso: f analitica ùñ f olo-
morfa è una conseguenza immediata della infinita derivabilità delle funzioni
analitiche.
Dimostrazione. Sia z0 P ⌦ e sia r ° 0 un numero reale più piccolo della
distanza di z0 dal bordo della regione di olomorfia r † distpz0 , B⌦q. Per la
formula di Cauchy (1.17) si ha @z P Br pz0 q

ª ª
1 f p⇠q 1 f p⇠q
f pzq “ d⇠ “ d⇠
2⇡ı Cr pz0 q ⇠´z 2⇡ı Cr pz0 q ⇠ ´ z0 ` z0 ´ z
ª ª 8
1 f p⇠q 1 1 f p⇠q ÿ pz ´ z0 qn
“ d⇠ “ d⇠
2⇡ı Cr pz0 q ⇠ ´ z0 1 ´ z´z ⇠´z0
0
2⇡ı Cr pz0 q ⇠ ´ z0 n“0 p⇠ ´ z0 qn
ÿ8 ˆ ª ˙
1 f p⇠q
“ d⇠ pz ´ z0 qn
n“0
2⇡ı Cr pz0 q p⇠ ´ z 0 qn`1

dove la convergenza della serie geometrica è uniforme per |z ´ z0 | † r1 †


r. Per ogni z in tale disco aperto vale quindi la (1.21) con i coefficienti
44 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

dati dalla (1.24). La giustificazione del passaggio della somma da dentro a


fuori l’integrale meriterebbe qualche semplice considerazione che è lasciata
al lettore.
Corollario 15. Sia ⌦ un aperto di C e sia f : ⌦ Ñ C olomorfa. Allora, per
ogni z P ⌦, definito r come sopra, si ha
ª
pnq n! f p⇠q
f pz0 q “ d⇠ @n “ 1, 2, . . . (1.25)
2⇡ı Cr pz0 q p⇠ ´ z0 qn`1
Il valore della derivata n-sima in z0 è limitato dai valori della funzione f
su Cr pz0 q in accordo alla disuguaglianza
n!
|f pnq pz0 q| § sup |f pzq| (1.26)
rn zPCr pz0 q

Osservazione 16. Come si nota la (1.25) è formalmente ottenibile passan-


do la derivata n-sima sotto il segno di integrale nella formula di Cauchy
(1.17) (un metodo alternativo di prova sarebbe quindi quello di giustificare
tale passaggio)
ª „ n ⇢
pnq 1 B f p⇠q
f pzq “ d⇠.
2⇡ı Cr pz0 q Bz n p⇠ ´ zq z“z0
Dimostrazione. La formula per f pnq pz0 q si ottiene semplicemente confrontan-
do la formula (1.24) con la (1.23) ; la stima (1.26) si ottiene maggiorando
il modulo dell’integrale con l’estremo superiore del modulo della funzione
integranda per la lunghezza della curva.

Siamo ora in grado di dimostrare alcuni teoremi fondamentali dell’analisi


complessa. Diremo che una funzione olomorfa che ha C come dominio di
olomorfia è una funzione intera
Corollario 17 (Teorema di Liouville). Se la funzione intera f è limitata,
allora è costante
Dimostrazione. Supponiamo che f intera sia limitata su tutto C. Sia M
tale che sup |f pzq| † M . Per ogni r reale positivo la (1.26) applicata alla
zPC
circonferenza di raggio r e la (1.23) implicano che
M
|cn p0q| † @n “ 1, 2, . . . , @r ° 0 (1.27)
rn
1.4. FUNZIONI ANALITICHE 45

Poiché la disuguaglianza rimane vera comunque grande sia r si conclude che


tutti i coefficienti cn p0q n “ 1, 2, . . . sono nulli e che la funzione f è uguale al
valore costante c0 p0q.
Un corollario fondamentale del teorema di Liouville è il seguente
ÿ
n
Corollario 18 (Teorema fondamentale dell’algebra). Sia Pn pzq “ aj z j
j“0
(con an ‰ 0) un polinomio di grado n • 1. Allora esistono n numeri
complessi z1 , . . . , zn , le radici di Pn , tali che è verificata l’uguaglianza

Pn pzq “ an pz ´ z1 q ¨ ¨pz ´ zn q @z P C (1.28)


Se i coefficienti di Pn sono reali l’insieme delle radici è costituito da numeri
reali o da coppie di numeri complessi coniugati, con la stessa molteplicità
come zeri del polinomio. Se z1 , . . . zk sono le radici reali e ⇠1 , ⇠1 , . . . , ⇠m , ⇠m
le radici complesse (k ` 2m “ n), si ha dunque l’eguaglianza

π
m
Pn pzq “ an pz ´ z1 q ¨ ¨pz ´ zk q pz ´ ⇠i qpz ´ ⇠¯i q @z P C (1.29)
i“1

Dimostrazione. Per assurdo, se P non si annullasse in nessun punto, allora


1{P pzq sarebbe una funzione olomorfa, quindi limitata sui sottoinsiemi limi-
tati di C. In particolare in ogni disco Br p0q esisterebbe un estremo superiore
Kr dei valori del modulo di 1{P pzq, per ogni r. Scriviamo il polinomio nella
forma
ÿn „ ⇢
n an´j n an´1 ´1 a0 ´n
Pn pzq “ an z “ an z 1 ` z ` ... z (1.30)
a zj
j“0 n
an an

Si può scegliere r ° 0 abbastanza grande perché si abbia |Pn pzq| • M |an |rn ,
per ˇqualche ˇ M reale maggiore di 0 e per ogni z : |z| ° r. Si avrebbe quindi :
ˇ 1 ˇ (
sup ˇˇ ˇ § max Kr , M ´1 |an |´1 r´n .
P pzq ˇ
La funzione 1{P pzq sarebbe allora intera e limitata su tutto C, quindi costante
per il teorema di Liouville, contro l’ipotesi che il grado del polinomio sia
maggiore di zero.
Il polinomio ha quindi almeno una radice z1 nel piano complesso. Il compito
di concludere per induzione la prova del teorema è lasciato al lettore.
46 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Teorema 19. Sia ⌦ una regione di C e siano f e g due funzioni olomorfe


in ⌦. Le seguenti a↵ermazioni sono equivalenti

a) f “ g;

b) l’insieme tz P ⌦|f pzq “ gpzqu in cui le due funzioni sono uguali ha un


punto di accumulazione in ⌦;

c) esiste un punto z0 P ⌦ in cui tutte le derivate di f e di g sono uguali:


f pnq pz0 q “ g pnq pz0 q @n “ 0, 1, 2, . . . .

Dimostrazione. Che aq ùñ bq è evidente.


Per provare che bq ùñ cq, è sufficiente provare che se la funzione olomorfa
h “ f ´ g ha uno zero z0 che è punto di accumulazione di zeri della stessa
funzione, allora tutte le derivate di h sono nulle in z0 .
Supponiamo, per assurdo, che cosı̀ non sia e sia m il più piccolo dei naturali
per cui hpmq pz0 q ‰ 0. Si avrebbe allora

8
ÿ hpjq pz0 q
hpzq “ pz ´ z0 qm pz ´ z0 qpj´mq ” pz ´ z0 qm hm pzq (1.31)
j“m
j!

La funzione hm è olomorfa e quindi continua in un intorno di z0 . È


inoltre diversa da 0 in z0 . Esiste allora un intorno di z0 in cui hm e quindi h
è diversa da 0, contro l’ipotesi che z0 sia un punto di accumulazione di zeri
della funzione h.
cq ùñ aq. Per ogni m consideriamo l’insieme ⌦m dei punti di ⌦ in cui la
derivata m-sima della funzione h “ f ´ g risulta nulla. La continuità di hpmq
£8
assicura che ⌦m sia un insieme chiuso. L’insieme ⌦m dei punti di ⌦ in
m“0
cui si annullano tutte le derivate della h è quindi chiuso.
Se z0 è un punto in cui tutte le derivate della h si annullano lo sviluppo di
Taylor della funzione attorno a z0 ha tutti i coefficienti nulli. La funzione h
8
£
è quindi nulla in tutto un intorno di z0 . L’insieme ⌦m è dunque anche
m“0
aperto.
1.4. FUNZIONI ANALITICHE 47

8
£
Poiché la regione ⌦ è connessa e, per ipotesi, ⌦m non è vuoto, tale
m“0
insieme non può che coincidere con tutto ⌦. Ne discende che h “ 0 in tutta
la regione, che vale cioè la aq.

Osservazione 20. Abbiamo dimostrato che le funzioni complesse di variabi-


le complessa infinitamente di↵erenziabili (è sufficiente in e↵etti che lo siano
una volta) sono analitiche e hanno quindi una serie di Taylor convergente
alla funzione stessa nell’intorno di ogni punto del dominio di olomorfia. La
situazione è molto di↵erente per le funzioni reali di variabile reale: è facile
infatti dare esempi di funzioni derivabili n volte ma non pn ` 1q volte e di
funzioni infinitamente derivabili la cui serie di Taylor ha raggio di conver-
genza nullo o non converge alla funzione stessa. Un esempio di quest’ultimo
caso è dato dalla funzione da R a R

1
´
hpxq “ e 1´x2 se |x| § 1 e hpxq “ 0 se |x| ° 1 (1.32)

hpxq ha infinite derivate continue in tutti i punti. Tutte le derivate della h


sono nulle nei punti x “ ˘1. Le serie di Taylor attorno a questi due punti
hanno quindi tutti i coefficienti nulli e convergono alla funzione nulla, che
naturalmente non coincide con hpxq nell’intorno di x “ ˘1. Analogamente,
la naturale estensione al piano complesso della funzione h
1
´
hpzq “ e 1´!z!2

ha derivate parziali continue in tutti i punti di C ma non è olomorfa in alcun


intorno dell’asse reale.

Osservazione 21. Abbiamo dimostrato che due funzioni olomorfe che coin-
cidano in un insieme di punti della regione di olomorfia che abbia anche un
solo punto di accumulazione coincidono su tutta la regione. In questo sen-
so ogni funzione olomorfa è caratterizzata in maniera unica (anche se non
esplicita) dai suoi valori in un sottoinsieme della regione di olomorfia con
almeno un punto di accumulazione, per esempio un arco di curva semplice
di lunghezza positiva, comunque piccola. La formula di Cauchy fornisce un
esempio in cui i valori della funzione all’interno di una curva semplice chiusa
sono esplicitamente espressi in termini dei valori sulla curva.
48 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

1.5 Singolarità isolate e Serie di Laurent


Teorema 22 (Teorema di Laurent). Siano z0 P C, 0 § R1 † R2 § 8, si
indichi con BR1 ,R2 pz0 q la corona circolare tz P C : R1 † |z0 ´ z| † R2 u, e sia
f : BR1 ,R2 pz0 q Ñ C olomorfa. Definiamo ck pz0 q tramite l’uguaglianza (1.24)
ª
1 f p⇠q
ck pz0 q ” d⇠ (1.33)
2⇡ı Cr pz0 q p⇠ ´ z0 qk`1
estesa a tutti i k P Z e con R1 † r † R2 .
Allora
ÿ ÿ8 8
ÿ
f pzq “ k
ck pz0 q pz ´z0 q “ n
cn pz0 qpz ´z0 q ` c´n pz0 qpz ´z0 q´n (1.34)
kPZ n“0 n“1

@z P BR1 ,R2 pz0 q


Entrambe le serie convergono e la convergenza è uniforme per R1 † r1 §
|z| § r2 † R2 . Esse sono rispettivamente chiamate parte regolare e parte
singolare dello sviluppo di Laurent di f attorno a z0 .
Osservazione 23. Se f è analitica in tutto il cerchio BR2 pz0 q, allora lo
sviluppo in serie di Laurent è ridotto alla sua parte regolare; infatti in tal
caso per ogni n • 1 la funzione f p⇠q{p⇠ ´ z0 q´n`1 è olomorfa in Br pz0 q per
R1 † r † R2 , e quindi c´n pz0 q “ 0 per il Teorema di Cauchy.
Dimostrazione. Per ogni z tale che R1 † |z ´ z0 | † R2 , siano r1 , r2 ° 0 tali
che R1 † r1 † |z ´ z0 | † r2 † R2 ; la (1.20) con 0 “ Cr2 pz0 q e 1 “ Cr1 pz0 q
fornisce l’uguaglianza
ª ª
1 f p⇠q 1 f p⇠q
f pzq “ d⇠ ´ d⇠ (1.35)
2⇡ı Cr2 pz0 q ⇠ ´ z 2⇡ı Cr1 pz0 q ⇠ ´ z
Con lo stesso procedimento utilizzato nella prova del Teorema 13, il primo
integrale in (1.35) si dimostra uguale alla prima delle serie in (1.34).
Per studiare il secondo integrale notiamo che
ˇ ˇ
ˇ ⇠ ´ z0 ˇ r1
ˇ ˇ
ˇ z ´ z0 ˇ “ |z ´ z0 | † 1 @⇠ P Cr1 pz0 q,

Converge quindi la serie geometrica


ÿ8 8
ÿ
1 1 1 p⇠ ´ z0 qm pz ´ z0 q´n
´ “ ⇠´z0 “ “
⇠´z z ´ z0 1 ´ z´z m“0
pz ´ z0 qm`1 n“1 p⇠ ´ z0 q´n`1
0

che dà origine alla seconda serie delle (1.34).


1.6. CLASSIFICAZIONE DELLE SINGOLARITÀ ISOLATE 49

1.6 Classificazione delle Singolarità Isolate


Sia R ° 0 e sia f : BR pz0 qztz0 u Ñ C olomorfa. Il comportamento della
funzione attorno a z0 può essere solo uno dei tre seguenti
i) esiste il limzÑz0 f pzq P C
ii) esiste il limzÑz0 |f pzq| “ 8
iii) nessuno dei due casi precedenti è verificato.

Il caso i) sussiste se e solo se f è limitata in BR pz0 qztz0 u, ovvero se e solo se


la parte singolare dello sviluppo di Laurent è identicamente nulla. Ponendo
f pz0 q ” limzÑz0 f pzq “ c0 pz0 q, si ottiene una funzione olomorfa in tutto
BR pz0 q. Si dice allora che f ha in z0 una singolarità eliminabile.
Se vale la condizione ii) si dice che la funzione f ha un polo nel punto z0 .
La funzione inversa 1{f è olomorfa in Br pz0 qztz0 u, per r sufficientemente
1
piccolo (dove |f pzq| ° M ° 0) e lim “ 0. La funzione 1{f ha quindi
zÑz0 f pzq
una singolarità removibile in z0 e può essere estesa a una funzione olomorfa
su tutto Br pz0 q.
z0 è uno zero (necessariamente isolato) della funzione olomorfa 1{f cosı̀ este-
sa. Come abbiamo dimostrato esiste allora un intero positivo m tale che
la derivata di 1{f nel punto z0 è diversa da zero (tutte quelle preceden-
ti essendo nulle). Si dice che lo zero ha ordine m. Intorno a z0 si ha
1
“ pz ´ z0 qm fm pzq con fm analitica e tale che fm pz0 q ‰ 0.
f pzq
Si ha dunque che f , in un intorno di z0 , può essere scritta
1
f pzq “ pz ´ z0 q´m . Poiché 1{fm è olomorfa in un intorno di z0 la
fm pzq
funzione f ammette uno sviluppo di Laurent la cui parte singolare ha come
potenza negativa di modulo massimo quella di esponente ´m. Si dice che f
ha un polo di ordine m.
In conclusione se una funzione è olomorfa in una regione privata di un punto
e ha limite infinito in quel punto, allora la sua serie di Laurent ha parte
singolare costituita da un numero finito di termini.
La nostra discussione dovrebbe avere convinto che l’insieme dei punti di sin-
golarità di una funzione f che abbia solo singolarità di tipo polare e sia olo-
morfa in ogni altro punto di una regione ⌦ è un insieme discreto (coincidente
con gli zeri della funzione 1{f ).
50 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Nel caso iii) invece c´n ‰ 0 per infiniti interi n ° 0. Si dice che f ha in z0
una singolarità essenziale. In questo caso il limzÑz0 |f pzq| non esiste, né
finito né infinito.
Il comportamento di f in un intorno di una tale singolarità è estremamente
irregolare, come è indicato dal seguente teorema che non dimostreremo

Teorema 24 (di Picard). Sia z0 P C, R ° 0, ed f una funzione olomorfa


in BR pz0 qztz0 u. Se z0 è una singolarità essenziale per f , allora quest’ultima
assume in Br pz0 qztz0 u tutti i valori di C, salvo al più uno, per qualunque
valore di r : 0 † r † R.

Esempio Ad esempio la funzione f pzq “ e z “ 8
1
´n
n“0 z {n! ha una singola-
rità essenziale in 0 e non è mai nulla. Si prova facilmente che in ogni cerchio
di centro 0 la funzione assume tutti i valori complessi non nulli

Le singolarità isolate non esauriscono tutti i tipi di singolarità che le


funzioni olomorfe possono avere.
Abbiamo visto per esempio che le potenze a esponente razionale e il logarit-
mo di z sono certamente non olomorfe nell’origine (ogni derivata di ordine
sufficientemente elevato non è definita nell’origine). L’origine non è però una
singolarità isolata dovendosi escludere dal dominio di olomorfia anche una
semiretta uscente dall’origine, dove tali funzioni risulterebbero discontinue.

1.6.1 Il teorema dei residui


Si consideri un funzione f pzq olomorfa in un disco di raggio r privato del suo
centro BR pz0 qztz0 u e sia c´1 pz0 q il coefficiente di pz ´ z0 q´1 nello sviluppo di
Laurent attorno a z0 della funzione f . Dalla (1.33)
ª
1
c´1 pz0 q ” f p⇠qd⇠ (1.36)
2⇡ı Cr pz0 q
dove Cr pz0 q è una qualunque circonferenza di raggio r † R percorsa in senso
antiorario.
c´1 pz0 q si dirà residuo della funzione f in z0 e verrà indicato con Resz0 pf q.

Osservazione 25. Si noti che il termine c´1 pz0 qpz ´ z0 q´1 è l’unico ter-
mine nello sviluppo di Laurent che è derivata di una funzione polidroma (il
1.6. CLASSIFICAZIONE DELLE SINGOLARITÀ ISOLATE 51

logaritmo di pz ´ z0 q). Tutti gli altri termini, essendo derivate di funzioni


olomorfe in un intorno di z0 (z0 escluso) hanno integrali nulli su qualunque
circonferenza Cr pz0 q, come può essere verificato direttamente.
Il residuo Resz0 pf q di una funzione f pzq in una singolarità isolata z0 viene
Resz0 pf q
quindi talvolta definito come il numero che rende la funzione f pzq´
z ´ z0
la derivata di una funzione monodroma olomorfa in BR pz0 qztz0 u.

Siamo ora in grado di provare il


Teorema 26 (Teorema dei residui). Sia f olomorfa nella regione ⌦ privata
di un insieme discreto di punti zj dove la funzione presenta singolarità isolate
(il dominio di olomorfia è dunque ⌦z Yj tzj u ). Allora
ª ÿ
1
f pzq dz “ Indp , zj q Reszj pf q (1.37)
2⇡ı j

per ogni unione di curve semplici chiuse ⌦-omotope a un punto che non
passino per alcuno dei punti zj .
In particolare se è una curva semplice chiusa, percorsa in senso antiorario,
che non passa per alcuno dei punti zj allora
ª ÿ
1
f pzq dz “ Reszj pf q (1.38)
2⇡ı j

dove la somma è estesa agli indici j tali che il punto zj si trovi all’interno
della curva .
Dimostrazione. Il teorema è una semplice applicazione della formula di Cau-
chy (1.20) all’unione della curva con cerchi Crj pzj q, attorno alle singolarità,
che non abbiano intersezioni con (per questo basterà prendere i raggi rj
sufficientemente piccoli).
Dallo sviluppo di Laurent, come abbiamo già osservato, si deduce che la
funzione f , nell’intorno di ciascuna singolarità zj , è scrivibile come
c´1 pzj q
f pzq “ F 1 pzq ` (1.39)
z ´ zj
dove F è una primitiva (monodroma) della somma della serie di Laurent pri-
vata del termine n “ ´1 (che ha invece come primitiva la funzione polidroma
logaritmo).
52 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

L’integrale di F 1 pzq lungo una qualunque curva chiusa essendo nullo, la prova
del teorema discende direttamente dalla formula di Cauchy generalizzata

La conoscenza dei residui di una funzione f olomorfa in una regione ⌦,


eccetto che in un insieme di punti isolati, permette di calcolare integrali della
funzione su curve chiuse del piano complesso.
Se in z0 la funzione f ha una singolarità essenziale l’unico modo per calcolare
il residuo della f in z0 è avere la forma esplicita dell’espansione in serie di
potenze attorno a z0 .
Ad esempio sappiamo che il residuo della funzione e1{z nell’origine è 1 poiché
ÿ8
z ´n
conosciamo l’intera serie di Laurent : e1{z “ .
n“0
n!

Se la funzione f ha un polo semplice (di ordine 1) in z0 è immediato verificare


che il coefficiente c´1 pz0 q nello sviluppo di Laurent della f è il
lim f pzq pz ´ z0 q.
zÑz0
Se la funzione f ha un polo di ordine n ° 1 in z0 allora la funzione pz ´
z0 qn f pzq è olomorfa in un intorno di z0 (in e↵etti ha una singolarità elimina-
bile in z0 e la sua estensione è olomorfa). Il coefficiente c´1 pz0 q dello sviluppo
di Laurent della f è identico al coefficiente cn´1 pz0 q dello sviluppo di Taylor
della funzione olomorfa pz ´ z0 qn f pzq. Si ha quindi

1
Resz0 pf q “ c´1 pz0 q “ lim rpz ´ z0 qn f pzqspn´1q (1.40)
pn ´ 1q! zÑz 0

Nel caso di funzioni con sole singolarità polari i residui sono quindi calcolabili
direttamente.
Chiameremo meromorfa una funzione f olomorfa nella regione ⌦ privato
di un insieme di punti in cui la funzione presenta singolarità polari (si noti
che tale insieme risulta automaticamente costituito da punti isolati).
Il calcolo di molti integrali indefiniti è, come vedremo, riportabile al calcolo
di integrali di funzioni meromorfe su curve chiuse nel piano complesso. Il
teorema dei residui permetterà di tradurre tale calcolo nella valutazione dei
residui delle funzioni stesse.
1.6. CLASSIFICAZIONE DELLE SINGOLARITÀ ISOLATE 53

1.6.2 Calcolo di Integrali


Per il calcolo esplicito di alcuni integrali rilevanti nel seguito del nostro
programma risultano necessari alcuni semplici lemmi che proviamo qui di
seguito.
Definiamo i settori del piano complesso di vertice nell’origine

S0⇥1 ⇥2 ” tz P C| ⇥1 § arg z § ⇥2 u
ì
Sia Cr “ S0⇥1 ⇥2 tz P C| |z| “ ru l’arco di circonferenza di raggio r e centro
l’origine compreso nel settore e orientato in senso antiorario.
Sia f una funzione continua dal settore S0⇥1 ⇥2 in C.

Lemma 27 (Lemmi del cerchio grande e del cerchio piccolo). Se lim z f pzq “ ↵,
zÑ8
per z nel settore, allora
ª
lim f pzqdz “ i↵p⇥2 ´ ⇥1 q (1.41)
RÑ8 CR

Se lim z f pzq “ , per z nel settore, allora


zÑ0

ª
lim f pzqdz “ i p⇥2 ´ ⇥1 q (1.42)
rÑ0
Cr

Dimostrazione. Ponendo z “ |z| ei arg z l’integrale della funzione f sull’arco di


raggio ⇢ interno al settore diventa
ª ª ⇥2 ª ⇥2
i✓
f pzq dz “ f p⇢, ✓q i ⇢ e d✓ “ i f pzq z d✓
C⇢ ⇥1 ⇥1

Poiché |z| |f pzq| è uniformemente limitata sugli archi CR e Cr nei casi conside-
rati nel lemma è possibile passare il limite sotto segno di integrale e ottenere
il risultato.

Lo stesso risultato vale naturalmente se i settori hanno vertice in un


lim pz ´ z0 q f pzq “ ↵ o zÑz
qualunque punto z0 del piano complesso e zÑ8 lim pz ´
0
z0 q f pzq “ .
54 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

CR

×
z2 ×
· zN
·
·
×
× z3
z1

-R R

Lemma 28 (Lemma di Jordan). Si consideri un arco di circonferenza CR


nel settore S0⇥1 ⇥2 0 § ⇥1 § arg z § ⇥2 § ⇡ come quello indicato in figura
(dove si è considerato il caso ⇥1 “ 0 , ⇥2 “ ⇡)
Sia f una funzione a valori complessi, definita e continua nel settore, tale
lim f pzq “ 0 per z nel settore, allora
che zÑ8

ª
lim eikz f pzqdz “ 0 k°0 (1.43)
RÑ8 CR

Dimostrazione. Data la continuità uniforme della f in ⇥1 § ✓ § ⇥2 si ha che


|f pzq| § KR , z P CR , con KR indipendente da ✓ e lim KR “ 0. Abbiamo
RÑ8
quindi

ª ª ª ⇥2
I“ e ikz
f pzqdz § |e ikz
| |f pzq||dz| § KR R e´k y d✓ (1.44)
CR CR ⇥1

Poichè in coordinate polari y “ R sin ✓ e

ª ⇥2 ª ⇥2 ª ⇡{2
´k y ´k R sin ✓
e d✓ “ e d✓ § 2 e´k R sin ✓ d✓
⇥1 ⇥1 0
1.7. ESERCIZI SU CALCOLO DI INTEGRALI E DI SOMME DI SERIE55

2 /

sin

/2

Come risulta evidente dalla figura, nella regione 0 § ✓ § ⇡{2, vale la seguente
stima sin ✓ • 2✓{⇡ e quindi
ª ⇡{2
2 KR R ⇡
I § 2 KR R e´k R sin ✓ d✓ § p1 ´ e´k R q
0 2kR

ed I Ñ 0 quando R Ñ 8 poichè KR Ñ 0.

1.7 Esercizi su calcolo di integrali e di somme


di serie
Esercizio (1).
Dire se esiste il seguente limite, con k P R
ªR
eı k x
lim dx (1.45)
RÑ8 ´R px ` ıq
56 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Esercizio (2).
Calcolare il seguente integrale reale utilizzando il teorema dei residui
ª8
cosp⇡xq
dx (1.46)
0 px ` 1q
2 2

Soluzione. Innanzitutto si osservi che la funzione integranda è una funzione


pari per cui
ª8 ª ªR
cosp⇡xq 1 8 cosp⇡xq 1 cosp⇡xq
dx “ dx “ lim dx
0 px ` 1q 2 ´8 px ` 1q 2 RÑ8 ´R px2 ` 1q2
2 2 2 2

Consideriamo la funzione
ei⇡ z
f pzq “
pz 2 ` 1q2
ed il cammino di integrazione CR del tipo in figura

CR

×
z2 ×
· zN
·
·
×
× z3
z1

-R R

Utilizzando il teorema dei residui si ha che


„ª R ª ⇢ ÿ
ei⇡ x ei⇡ z
lim dx ` dz “ 2⇡ i Reszk pf q
´R px ` 1q CR pz ` 1q
RÑ8 2 2 2 2
k

Nel membro di destra si devono naturalmente considerare solo i poli della


funzione f pzq contenuti nel semipiano superiore. Utilizzando il lemma di
Jordan, si deduce che il secondo integrale nel membro di sinistra dà contributo
nullo nel limite R Ñ 8. Essendo dispari la funzione reale sin ⇡x, l’integrale
della parte immaginaria della funzione f pzq sul cammino CR tende a 0 quando
R tende all’infinito. Il calcolo dell’integrale si riduce dunque a
ª8 ˜ ¸
cosp⇡xq ÿ
dx “ Re 2⇡ i Reszk pf q
0 px ` 1q
2 2
k
1.7. ESERCIZI SU CALCOLO DI INTEGRALI E DI SOMME DI SERIE57

L’unico polo della funzione f pzq nel semipiano superiore è un polo doppio in
z “ i.
Calcoliamo
d ei⇡z ⇡ i ei⇡z pz ` iq ´ 2ei⇡z ⇡`1
Resı pf q “ lim “ lim “ e´⇡
zÑi dz pz ` iq2 zÑi pz ` iq3 4i

Il risultato dell’integrale è quindi


ª8
cosp⇡xq ⇡
dx “ p⇡ ` 1qe´⇡
0 px ` 1q
2 2 4

Con
≥8 questo tipo di procedimento
≥8 si possono calcolare integrali della for-
ma ´8 f pxq cosp↵xqdx, ´8 f pxq sinp↵xqdx con una scelta opportuna del
cammino di integrazione, operata in modo tale da sfruttare il lemma di
Jordan.

Esercizio (3).
Calcolare il seguente integrale reale utilizzando il metodo dei residui
ª8
1
? dx
0 xpx ` 1q

Soluzione. La funzione integranda è strettamente decrescente in p0, 8q, ha


un comportamento del tipo x´1{2 in un intorno dell’origine e decresce come
x´3{2 all’infinito. Questo garantisce la convergenza dell’integrale.
Per il calcolo consideriamo la funzione integranda estesa al piano complesso
1
f pzq “ ?
zpz ` 1q

La funzione f pzq è olomorfa e monodroma nell’aperto ⌦ “ CzR` ottenuto


eliminando la semiretta r0, 8q dal piano complesso. L’asse reale positivo
risulterà ”sdoppiato” in un semiasse superiore corrispondente a ✓ “ 0 ed uno
inferiore ✓ “ 2⇡.
Consideriamo il seguente cammino di integrazione:
58 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

CR

Cr
A B
z=-1 E x
D

La funzione integranda è analitica in ⌦ (quindi in ogni punto interno all’in-


terno al cammino di integrazione), eccetto che per un polo semplice nel punto
z “ ´1 “ e⇡ i .
Si avrà che:
¿ ª ª ª ª ÿ
1
? dz “ ` ` ` “ 2⇡ı Reszk pf q “
zpz ` 1q CR ED Cr AB k (1.47)
C
“ 2⇡ıRes´1 pf q
Il cammino è dato dalla somma di quattro contributi che occorrerà valutare.
Il contributo lungo i due segmenti AB ed ED corrisponde al calcolo di due
integrali di variabile reale ma il tratto AB coincide con la parte superiore
del semiasse reale positivo (✓ “ 0), mentre il cammino ED corrisponde alla
parte inferiore del semiasse reale positivo ✓ “ 2⇡.
Su AB, z “ xei0 , e su ED si ha z “ xep0`2⇡qi “ xe2⇡ i .
ª ªr ª R ´1{2
pxe2⇡i q´1{2 2⇡i x
“ 2⇡ i ` 1
e dx “ dx
ED R xe r x`1
e ª ª R ´1{2
x
“ dx
AB r x`1
I lemmi del cerchio grande e del cerchio piccolo garantiscono che i contributi
dei due integrali su Cr e su CR si annullano per r Ñ 0, R Ñ 8 . Si ha
infatti lim z f pzq “ zÑ8
lim z f pzq “ 0 .
zÑ0
Riassumendo, nel limite r Ñ 0 e R Ñ 8 la (4.2) si riduce a
ª8
1
2 ? dx “ 2⇡ıRes´1 pf q “ 2⇡
0 xpx ` 1q
1.7. ESERCIZI SU CALCOLO DI INTEGRALI E DI SOMME DI SERIE59

Esercizio (4).
Calcolare,
ª `8 con il metodo dei residui
ˆ i seguenti integrali:
˙
cosp↵xq ?
⇡ ´↵ 2{2
(a) dx, ? e
ª 08 x2 ` 1
4
2 2
sin x ´⇡ ¯
(b) dx,
0 x2 2

Esercizio (5).
Calcolare il seguente integrale reale utilizzando il teorema dei residui:
ª8
ln x
I“ dx
0 x `a
2 2

con a ‰ 0 parametro reale.

1
Soluzione. Nella funzione integranda è una funzione pari (f p´xq “
` a2
x2
f pxq). La funzione logaritmo sappiamo essere una funzione polidroma. Con-
sideriamo il piano complesso privato della semiretta reale r0, 8q. Su tale re-
gione aperta del piano complesso possiamo definire la funzione monodroma
e olomorfa
1
gpzq “ ln z 2
z ` a2
con arg z P p0, 2⇡q in modo tale che nel limite per arg z Ñ 0 la funzione gpzq
1
coincida con la funzione gpxq “ ln x 2 .
x ` a2
Nel semipiano complesso Imz ° 0 consideriamo il cammino di integrazione
in figura

“ I Y II Y p"q Y pRq
60 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

(R)

( )

II I
-R - R x

¿ ª ª ª ª ÿ
gpzq dz “ gpzqdz` gpzqdz` gpzqdz` gpzqdz “ 2⇡ı Resz“zk pgq
I pRq II p"q k

con Imzk ° 0
ª ªR
ln x
gpzqdz “ dx
I " ` a2
x2
ª ª ´" ªR
ln |x| ` ı ⇡ ln x ` ı ⇡
gpzqdz “ dx “ dx
II ´R x `a
2 2
" x 2 ` a2
Per quanto riguarda l’integrale sul cerchio
ˇ diˇ raggio R osserviamo che cer-
ˇ 1 ˇ
tamente esiste un R0 : |z| ° R0 Ñ ˇˇ 2 ˇ § 1 ed in tale insieme la
z ` a2 ˇ |z|2
1
funzione z2 `a2 è limitata.
Quindi
ª ˇª ˇ ª ª
ˇ ˇ 1 ⇡
gpzqdz § ˇ ˇ ˇ
gpzqdz ˇ § |gpzq||dz| § 2 | ln R ` eı ✓ |R d✓
pRq pRq pRq R 0
ln R 2ı
“ ⇡`
R R
Quindi per R Ñ 8 il contributo dell’integrale sul cerchio di raggio R è
nullo. In modo del tutto analogo, osservando che la funzione integranda non
presenta singolarità nell’origine è semplice (ed analogo) dimostrare che anche
l’integrale sul cerchio di raggio " ha contributo nullo per " Ñ 0.
Quindi nel limite R Ñ 8 e " Ñ 0 si ha che
ª8 ª
ln x i⇡ 8 1
dx “ ⇡ı Resz“ıa pgq ´
0 x `a 2 0 x ` a2
2 2 2
1.7. ESERCIZI SU CALCOLO DI INTEGRALI E DI SOMME DI SERIE61

L’ultimo integrale del membro di destra può essere calcolato nuovamente


col metodo dei residui (o dalla conoscenza della primitiva della funzione
integranda) ottenendo

ª8
1 ⇡
dx “
0 x2 `a 2 2 |a|

Esercizio (6). Utilizzando il risultato precedente, calcolare l’integrale:


ª8
ln2 x
I“ dx
0 x 2 ` a2
con a ‰ 0 parametro reale.

Esercizio ? (7). Determinare possibili domini di olomorfia delle seguenti


funzioni di z
ˆ ˙ ˆ ˙
1 ? 1 1
f1 pzq “ ? f2 pzq “ z e 1{ z
f3 pzq “ z cos ? f4 pzq “ z sin ?
3{2
z z z

Dire quali delle funzioni fi possono essere estese a funzioni olomorfe su Czt0u
e, per tutti gli i per cui questo è possibile, calcolare l’ integrale della fi pzq sul
cerchio di raggio unitario attorno all’ origine percorso in senso antiorario.
62 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Esercizio (8).
Sommare la seguente serie
ÿ 1

k
ppkq
dove ppkq è un polinomio tale che sia :

• a coefficienti reali

• di grado N • 2

• con gli zeri non coincidenti con numeri interi sull’asse reale.

Dimostrazione. Si consideri la funzione di variabile complessa:


⇡ cotp⇡ zq
f pzq “
ppzq
dove ppzq è l’estensione al piano complesso della funzione ppkq e consideriamo
l’integrale della funzione f pzq lungo il cammino indicato in figura:
y

-(n+1/2)+ni (n+1/2)+ni

-n -1 1 n x

-(n+1/2)-ni (n+1/2)-ni

Gli spigoli del quadrato sono scelti in modo tale che i lati del quadrato non
intersechino l’asse reale in alcun valore intero ed n è sufficientemente grande
da includere nel quadrato tutti gli zeri zpj della funzione ppzq.
1.7. ESERCIZI SU CALCOLO DI INTEGRALI E DI SOMME DI SERIE63

Le singolarità della funzione f pzq all’interno del cammino saranno dovute


agli zeri della funzione sinp⇡zq coincidenti con k “ 0, ˘1, ˘2, .... e agli zeri
zpj della funzione ppzq.
¿ « ff
⇡ cotp⇡zq ÿn ÿr
dz “ 2⇡ i Resk pf q ` Reszpj pf q (1.48)
ppzq k“´n j“1
C

La funzione f pzq è stata scelta in modo tale da restituire


ÿ
n ÿ
n
1
Resk pf q “
k“´n k“´n
ppkq

Per quanto concerne l’integrale sul bordo abbiamo che


ˇ ˇ
ˇ¿ ˇ ˇ ˇ
ˇ ⇡ cotp⇡zq ˇ ˇ 1 ˇ
ˇ dz ˇˇ § K sup ˇˇ ˇC
ˇ ppzq zPC ppzq
ˇ
ˇ ˇ
C

ove K è il perimetro del rettangolo e C è una costante tale che | cotp⇡zq| † C


su ogni rettangolo ed è indipendente dalle dimensioni del rettangolo stesso
(verificare la disuguaglianza). Per n Ñ 8 si ha quindi che il contributo lungo
il bordo è nullo.
Per calcolare la somma della serie
ÿ8
p´1qk
k“´8
ppkq

si considera un procedimento del tutto analogo, considerando la funzione


⇡ cscp⇡zq
hpzq “ .
ppzq
Nota 2 (Criteri di sommabilità). Analizziamo condizioni sufficienti affinché
una funzione generalmente continua in un intervallo, con un numero finito
di discontinuità, sia integrabile.
Vale il ben noto criterio del confronto: siano f e g funzioni non negative
continue nell’intervallo ra, bs, e si abbia che f pxq § gpxq, @x P ra, bs allora
se la funzione g è sommabile in tale intervallo anche f sarà sommabile; se
f non è sommabile tale sarà anche la g.
Esempi notevoli
64 CAPITOLO 1. ANALISI COMPLESSA

Consideriamo il caso di in un intervallo ra, br.


1
Si verifica che, per qualunque ↵ ° 0 la funzione è sommabile se
pb ´ xq↵
↵ † 1, non è sommabile se ↵ • 1
Consideriamo il caso di in un intervallo ra, 8r.
1
Si verifica che, per qualunque ↵ ° 0 la funzione ↵ è sommabile se ↵ ° 1,
x
non è sommabile se ↵ • 1 .
Bibliografia

[AHL] L. Ahlfors, Complex Analysis, McGraw-Hill, New York, (1979).

[M] N. Melone Introduzione ai metodi dell’Algebra Lineare, CUEN, (1998).

[ZS] D. G. Zill, P. D. Shanahan, A first course in complex analysis with


applications, Jones and Bartlett Publishers, Inc. (2003)

[Sh] M. R. Spiegel, S. Lipschutz J.J. Schiller, D. Spellman, Schaum’s outli-


nes; Complex Analysis The McGraw-Hill Companies (2009), (1964)
http://www.baileyworldofmath.org/uploads/Schaums-outline-complex-
variables.pdf

[AN] R. B. Ash, W. P. Novinger, Complex Analysis, (2004).


http://people.math.sc.edu/girardi/m7034/book/AshComplexVariablesWithHyperlinks.pdf

65
66 BIBLIOGRAFIA
Capitolo 2

Operatori lineari in Spazi di


Hilbert

In questo capitolo studieremo la geometria degli spazi di Hilbert e introdur-


remo le proprietà degli operatori limitati e illimitati negli spazi di Hilbert.
In un capitolo successivo a↵ronteremo la teoria spettrale per tali operatori.
Non distingueremo il caso di spazi di Hilbert finito dimensionale (spazi uni-
tari) da quello di spazi di Hilbert infinito-dimensionali. Commenti, richia-
mi e risultati che si riferiscono esclusivamente al caso finito-dimensionale
risulteranno in colore rosso.

2.1 Geometria degli Spazi di Hilbert

2.1.1 Richiami sugli Spazi Vettoriali

Uno spazio vettoriale è un insieme V dove siano definite un’operazione interna


(+) commutativa e associativa e un’operazione esterna di moltiplicazione
degli elementi di V per gli elementi di un campo F . (Il nostro interesse sarà
essenzialmente limitato al caso F “ C campo dei numeri complessi). Le due
operazioni, distributive una rispetto all’altra (per entrambe le operazioni su
F ), soddisfano in sintesi le seguenti proprietà :

67
68 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

1.

, PV ` “ ` PV
, ,⌘ P V ` p ` ⌘q “ p ` q ` ⌘ ” ` `⌘
D0 P V `0“ @ PV

2.
a P F, PV a PV
a, b P F , PV ap ` q “ a ` a
pa ` bq “ a ` b
apb q “ pabq

3.

se o è l’elemento neutro della somma in F e P V o¨ “0


se 1 è l’elemento neutro del prodotto in F e PV 1¨ “

Gli elementi di F saranno denominati scalari gli elementi di V vettori.


Esempi:

• pRn , Rq le n-ple di numeri reali txi ui“1,..,n (componenti del vettore x).
La somma si ottiene sommando le componenti omologhe: se x “
txi ui“1,..,n e y “ tyi ui“1,..,n allora x`y “ txi `yi ui“1,..,n e il prodotto per
uno scalare P R si ottiene moltiplicando ogni componente del vettore:
x ” t xi ui“1,..,n .

• pCn , Cq le n-ple di numeri complessi tzi ui“1,..,n , con i numeri complessi


come scalari. La somma e il prodotto per uno scalare sono definiti come
nell’esempio precedente.

• pC8 , Cq le successioni di numeri complessi tzi uiPN , con i numeri com-


plessi come scalari. Somma e prodotto definiti come nei due esempi
precedenti.

• pCpRn q, Rq le funzioni reali definite su Rn con R come campo degli scalari


(pf ` gqpxq “ f pxq ` gpxq e p f qpxq “ f pxq)

• pCpRn q, Cq le funzioni complesse su Rn con C come campo degli scalari


(somma e prodotto definiti come nell’esempio precedente)
2.1. GEOMETRIA DEGLI SPAZI DI HILBERT 69

• pM pn, Cq, Cq le matrici complesse n ˆ n con C come campo degli scalari.


Se M “ tMij u, N “ tNij u i, j “ 1, .., n allora M ` N “ tMij ` Nij u e
zM “ tz Mij u

N vettori t i u, i P V @ i “ 1, . . . , N si dicono linearmente dipendenti


se esistono tai u, ai P F @ i “ 1, . . . , N non tutti nulli, tali che

ÿ
N
ai i “0
i“1

Al contrario si dicono linearmente indipendenti se la precedente ugua-


glianza implica che gli ai sono tutti nulli.
V si dice n-dimensionale se esistono n vettori in V linearmente indipen-
denti, ma non esistono n ` 1 vettori di V linearmente indipendenti.
V si dice infinito-dimensionale se esistono n vettori di V linearmente in-
dipendenti per ogni n.

Per spazi a dimensione n, finita, ogni insieme t i u di n vettori linearmente


indipendenti costituisce una base: ogni vettore di V può essere scritto, in
maniera unica, come combinazione lineare dei vettori t i u. L’applicazione che
ad ogni vettore di V associa gli n coefficienti della combinazione lineare, che
lo rappresenta in una base assegnata, è un isomorfismo tra V e F n l’insieme
n-ple di elementi del campo. L’isomorfismo dipende naturalmente dalla base
scelta.

2.1.2 Metriche invarianti per traslazione e Norme


Diremo che una metrica è invariante per traslazione, in uno spazio vetto-
riale V , se le distanze dei punti di V da un qualunque punto x P V , assegnato,
hanno lo stesso valore delle distanze dall’origine dei vettori traslati di x. Se
si ha cioè
dpy, xq “ dpy ´ x, 0q
Ci riferiremo da ora in poi al caso in cui F “ C. Seguendo le notazioni intro-
dotte nel primo capitolo, useremo ? le notazioni z̄ per il complesso coniugato
di un numero complesso z, |z| “ z z̄ per il modulo di z e Re z, Im z e arg z
70 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

rispettivamente per la parte reale, la parte immaginaria e l’argomento di z :


z “ Re z ` i Im z “ |z| ei arg z .
Si definisce norma, in uno spazio vettoriale V , su C, l’applicazione che ad
ogni elemento di V associa il numero positivo o nullo (la sua lunghezza)
} }
} } : V Q ݄ } } P R`
con le proprietà
1q PV : } }•0 e} }“0ô “0

2q P V, a P C }a } “ |a| } }

3q @ , PV } ` } § } } ` } } pñ |} } ´ } }| § } ´ }q
In uno spazio vettoriale una norma definisce una distanza invariante per
traslazione se si pone
dpy, xq “ }y ´ x}
Uno spazio lineare V , con una norma } }, che sia completo rispetto alla
distanza indotta dalla norma (ogni successione di Cauchy in V ha un limite
in V ) si dice spazio di Banach.
Esempi:
a∞n
• pCn , Cqcon la norma euclidea (z “ tzi ui“1,..,n con }z} “ i“1 |zi | ).
2

La completezza è una immediata conseguenza della completezza di R2n


rispetto alla norma euclidea
• l2 il sottospazio
a∞vettoriale di pC8 , Cq delle successioni “ t i ui“0,1,...
8
tali che } } ” i“0 | i | † 8.
2

I vettori E pjq P l2 j “ 0, 1, . . . di componenti


pjq pjq
Ei “ 0 i ‰ j e Ej “ 1 i, j “ 0, 1, . . . (2.1)
sono infiniti vettori, di norma unitaria e linearmente indipendenti, di
l2 , che è quindi di dimensione infinita. La completezza di l2 rispetto
alla metrica indotta dalla norma deve essere dimostrata. Lo faremo nel
seguito di questa sezione.

Ricordiamo qui che gli spazi vettoriali a dimensione finita, che, come abbiamo
già osservato, sono isomorfi a Cn , sono anche omeomorfi a Cn nel senso che
vale il
2.1. GEOMETRIA DEGLI SPAZI DI HILBERT 71

Teorema 29 (Teorema di Tichonov). : se V è uno spazio vettoriale di di-


mensione finita, tutte le possibili norme sono equivalenti e lo rendono uno
spazio di Banach.

Dimostrazione. Indichiamo con }¨}V la norma nello spazio vettoriale V e con


} ¨ }n la norma in pCn , Cq. Siano tej unj“1 n vettori linearmente indipendenti
ÿn
in V . Ogni vettore P V ha quindi una rappresentazione “ j ej per
j“1
n
un’unica n-upla di numeri complessi t j uj“1 .
Consideriamo l’applicazione I che ad ogni vettore P V associa la n-upla
Ip q ” t j unj“1 P Cn (che come abbiamo già visto è un isomorfismo tra spazi
vettoriali). Dalle proprietà della norma
g g
ÿ
n fÿn fÿ
f f n
} }V § | j |}ej }V § e | j | e }ej }2 § C}Ip q}n
2 (2.2)
j“1 j“1 j“1

per qualche costante C ° 0. Se la seconda maggiorazione non risultasse


chiara vedere la disuguaglianza di Schwarz nel prossimo paragrafo. ∞
Viceversa consideriamo l’applicazione che ad ogni n-upla t j unj“1 con nj“1 | j |2 “
1 (la sfera unitaria di Cn ) associa il numero reale positivo } }V con “
ÿn
j ej . Poiché non tutti i i possono essere contemporaneamente nulli,
j“1
} }V risulta strettamente positiva e, per la disuguaglianza (2.2), è una fun-
zione continua sulla sfera unitaria. Una funzione continua in un compatto
assume il suo estremo inferiore K (in questo caso strettamente positivo) in
qualche punto del compatto. Quindi per ogni n-upla Ip q “ t j unj“1 si ha

} }V › ›
“› › •K (2.3)
}Ip q}n }Ip q}n V
ˆ ˙
dove abbiamo utilizzato il fatto che I appartiene alla sfera unita-
}Ip q}n
ria di Cn . Utilizzando (2.2) e (2.3) otteniamo l’equivalenza delle due norme

C}Ip q}n • } }V • K}Ip q}n (2.4)


72 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

Nel caso infinito dimensionale vedremo che la situazione risulta decisamente


di↵erente.

Osservazione 30. Notiamo fin da ora una di↵erenza (topologica) notevo-


le del caso infinito dimensionale, rispetto al caso finito dimensionale, che
previene la possibilità di estendere il teorema di Tichonov a spazi di Ba-
nach di dimensione infinita: in l2 , consideriamo i vettori E pjq di componenti
pjq pjq
Ei “ 0 i ‰ j e Ej “ 1. Sono tutti vettori di norma unitaria (stanno sulla
superficie della ?sfera di raggio 1 di l2 ) e la distanza di ciascuno di loro da
ogni altro vale 2. Gli E pjq costituiscono dunque una successione di vettori
in un insieme chiuso e limitato che non ha punti di accumulazione (la sfera
unitaria di l2 non è quindi compatta) contrariamente a quanto avviene negli
spazi euclidei (reali o complessi) di dimensione finita.

2.1.3 Prodotto scalare e Spazi di Hilbert


Un prodotto scalare in uno spazio vettoriale V su C è un’applicazione da
V ˆ V Ñ C che alla coppia t , u associa il numero complesso p , q con
le proprietà

1q p , ` ⌘q “ p , q ` p , ⌘q , ,⌘PV

2q p , a q “ ap , q a P C, , PV

3q p , q“p , q

4q p , q•0 con p , q“0ô “0

Se p , q è un prodotto scalare in V , } } “ p , q1{2 è una norma, come si


verifica dopo aver provato la disuguaglianza:
Disuguaglianza di Schwarz

|p , q| § } } } }

con eguaglianza valida se e solo se e sono collineari (cioè se D a P C :


a “ q.
2.1. GEOMETRIA DEGLI SPAZI DI HILBERT 73

Infatti dalla proprietà 4) del prodotto scalare discende

p ` a , ` a q • 0 @a P C (= se e solo se ` a “ 0q
p , q ` āp , q ` ap , q ` |a|2 p , q • 0
ô p , qp , q ` āp , qp , q ` ap , qp , q ` |a|2 p , q2 • 0

Scegliendo
p , q
a“´
p , q
si ha quindi

p , qp , q • |p , q|2 ` |p , q|2 ´ |p , q|2 “ |p , q|2

La disuguaglianza triangolare della norma è ora facilmente dimostrabile:

} ` }2 “ } }2 ` } }2 ` 2 Rep , q
§ } }2 ` } }2 ` 2|p , q|
§ } }2 ` } }2 ` 2} } } }
“ p} } ` } }q2

Esempi di prodotto scalare:

• in Cn
ÿ
n
p , q” i i
i“1

con ” t i ui“1,..,n ” t i ui“1,..,n

• in l2
8
ÿ
p , q” i i (2.5)
i“0

con ” t i ui“0,..,n.... ” t i ui“0,..,n......

• in pCpRn q, Cq ª
p , q“ pxq pxq dx (2.6)
Rn
74 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

Uno spazio lineare V dotato di prodotto scalare p , q che sia completo


rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare (quindi di Banach) si dice
spazio di Hilbert.
Gli spazi di Hilbert di dimensioni finite sono generalmente denominati spazi
unitari, ma, per semplicità, noi utilizzeremo sempre la denominazione di
spazi di Hilbert.

Dimostriamo che l2 è completo rispetto alla norma indotta dal prodotto


scalare (2.5).
Teorema 31 (Completezza di l2 ). l2 è completo rispetto alla norma
8
ÿ
} }2 “ | i |2
i“0

Dimostrazione. Sia pnq una successione di Cauchy di vettori in l2 . Per


definizione @✏ ° 0 Dn✏ tale che
pkq pmq
} ´ }†✏ @k, m ° n✏ (2.7)
Le successioni di tutte le componenti dei vettori pnq sono quindi di Cauchy
essendo
pkq pmq
| i ´ i | § } pkq ´ pmq }
La completezza di C garantisce che per ogni componente i esista i P C tale
pnq
lim i “ i . Rimane solo da dimostrare che il vettore di componenti
che nÑ8
8
ÿ
2
i appartiene a l , che si ha cioè | i |2 † 8.
i“0
Dalla (2.7) sappiamo che per ogni k, m ° n✏ e per ogni N si ha
ÿ
N
pkq pmq 2
| i ´ i | † ✏2 (2.8)
i“0

La disuguaglianza, essendo vera per ogni m, rimane vera quando m Ñ 8


ÿ
N
pkq 2
| i ´ i| † ✏2 (2.9)
i“0

Dalla disuguaglianza triangolare, per ogni k, si ha


g g g
fN fN fN
fÿ fÿ pkq fÿ pkq 2
e | |2 § e | ´ | ` e |
i |
2 (2.10)
i i i
i“0 i“0 i“0
2.1. GEOMETRIA DEGLI SPAZI DI HILBERT 75

Poiché entrambi i termini nel membro di destra della disuguaglianza riman-


gono finiti per N Ñ 8 la tesi è dimostrata.

Lo spazio pCpRn q, Cq delle funzioni continue da Rn a C non è invece completo


rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare (2.6). La convergenza in
“media quadratica” non è infatti sufficiente a garantire che le successioni
di funzioni continue convergano a funzioni continue. Lo spazio di Hilbert
che si ottiene completando le funzioni continue in tale norma sarà il tema
dominante del prossimo capitolo. Poiché però non abbiamo una definizione
di integrale di funzioni non continue, dovremo preventivamente costruirci una
nuova teoria dell’integrale che permetta questa generalizzazione.
Di seguito elenchiamo alcune definizioni e proprietà relative agli spazi di
Hilbert

• M si dice sottospazio di uno spazio di Hilbert H se è un sottoinsieme


lineare chiuso di H (M è quindi uno spazio di Hilbert).

• e si dicono ortogonali se p , q “ 0.

• Se M è un sottospazio di H e MK è l’insieme dei vettori di H ortogonali


a tutti i vettori di M , allora MK è un sottospazio. Infatti

– La linearità è evidente.
– La chiusura è una conseguenza della continuità in H del prodot-
to scalare: se pnq , pnq sono due successioni in H convergenti
rispettivamente ai vettori e di H allora, per n Ñ 8
pnq pnq pnq pnq
p , ´ qÑ0 p ´ , qÑ0 p ´ , ´ qÑ0

come si deduce dall’applicazione della disuguaglianza di Schwarz.

Proposizione 32. Sia H uno spazio di Hilbert e M un sottospazio di


H. Allora
H “ M ‘ MK
76 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

ovvero ogni P H si può scrivere in un unico modo come “ PM `


p1 ´ PMq con PM P M e p1 ´ PMq P MK . PM è il vettore di M a
distanza minima da .
ˆ ˙
Dimostrazione. @ P H definiamo 0 § d “ dist p , Mq ” inf } ´ } .
PM
Proviamo che esiste un vettore di M in cui l’estremo inferiore è raggiun-
to.
Per definizione di estremo inferiore, esiste una successione pnq P M con
lim } pnq ´ } “ d. Facciamo vedere che pnq è di Cauchy in H (quindi
nÑ8
in Mq.
Da un calcolo diretto:
› ›2 › ›2
› 1 pmq › › ›
› p ` pnq q ´ › ` › 1 p pnq ´ pmq q›
›2 › ›2 ›
1 › ›2 1 ›› pmq ›2
“ › pnq ´ › ` ´ › ›Ñ d2
2 2 n,mÑ8

(notare infatti che }⇠ ´ ⌘}2 ` }⇠ ` ⌘}2 “ 2}⇠}2 ` 2}⌘}2 .


1 1
Prendendo ⇠ “ p pnq ´ q e ⌘ “ p pmq ´ q si ricava la precedente
2 2
uguaglianza)
pnq pmq
Poiché p ` q{2 P M

pmq pnq 1
}p ` q ´ }2 • d2 @ m, n
2
si deduce dall’eguaglianza trovata sopra

– } pnq ´ pmq }2 m,nÑ8


݄ 0
la successione è di Cauchy ed esiste quindi un M P M tale che
pnq
Ñ M
– M P M, perché M è un sottospazio.
– } M ´ }“d

Poniamo M “ PM proiezione di su M e proviamo che ´ M P MK .


Infatti @ P M, } } “ 1

d2 “ } ´ M}
2
“ }p ´ Mq´p , ´ Mq }2 `|p ´ M, q|2 • d2 `|p ´ M, q|2
2.1. GEOMETRIA DEGLI SPAZI DI HILBERT 77

infatti p ´ Mq ´ p , ´ Mq è la di↵erenza tra e il vettore M `


p , ´ Mq P M. La sua norma deve essere quindi maggiore della
distanza di da M. Si deduce quindi

pp ´ Mq, q“0ñ ´ M P MK

La decomposizione è unica (darne una prova).

2.1.4 Famiglie ortogonali e basi


Nello spazio di Hilbert H, un insieme di vettori twµ uµPI , con I un insieme
qualunque di indici, si dice un sistema ortonormale se:
$
& 0 se µ ‰ ⌫
a) pwµ , w⌫ q “ µ⌫ “
%
1 se µ “ ⌫

Per un qualunque sottoinsieme finito di indici tµi u, i “ 1, . . . , N , dato un


in H, vogliamo dimostrare che la combinazione lineare che garantisce la
migliore “approssimazione quadratica” di è

ÿ
N
N “ pwµi , q wµi
i“1

Il calcolo diretto fornisce infatti


ÿ
N ÿ
N
0§} ´ ai wµi }2 “ } }2 ´ } 2
N} ` |pwµi , q ´ ai |2
i“1 i“1

che prova la seguente

Proposizione 33. Tra tutti i vettori di H ottenuti come combinazioni lineari


di un sistema ortonormale wµi , i “ 1, ....N di vettori quella che dista meno,
nella norma di H, da un generico P H è quella costruita con i coefficienti
ai “ pwµi , q
78 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

In particolare

ÿ
N
2 2
0§} ´ N} “ } } ´ |pwµi , q|2 (2.11)
i“1

Ricordando la definizione di proiezione su un sottospazio abbiamo quindi


N “ PM con M sottospazio chiuso contenente tutte le combinazioni lineari
dei twµi ui“1,...,N .
La (2.11) mostra inoltre che vale la disuguaglianza di Bessel: per ogni
PH
ÿN
|pwµi , q|2 § } }2
i“1

In uno spazio di Hilbert H di dimensione finita n, da n vettori indi-


pendenti si può ricavare un sistema ortogonale con il procedimento di Gram–
Schmidt: se t i ui“1,...,n è un insieme di vettori linearmente indipendenti, defi-
ÿ
k´1
nendo w1 “ 1 {} 1 } e ricorsivamente wk “ k {} k }, con k “ k ´ pwi , k qwi ,
i“1
allora i twk uk“1,...,n sono un insieme ortonormale di vettori (ovviamente in-
dipendenti). Tale insieme è una base ortonormale poiché per ogni P K

ÿ
n
“ pwi , qwi
i“1

e
ÿ
n
2
} } “ |pwi , q|2
i“1

Osservazione 34. Se invece di partire da n vettori linearmente indipenden-


ti si applicasse il procedimento di Gram–Schmidt a un insieme molto più
grande di vettori di K, che contiene n vettori linearmente indipendenti, (ad
esempio tutte le combinazioni lineari, con coefficienti che hanno parte reale e
immaginaria razionale, di n vettori linearmente indipendenti) si otterrebbero
un’infinità di vettori nulli e una base ortonormale.
2.1. GEOMETRIA DEGLI SPAZI DI HILBERT 79

Sia ora H uno spazio di Hilbert di dimensione infinita che sia separabile,
sia tale cioè che esista un sottoinsieme C di H, numerabile, che sia denso
in H.
C̄ “ H
Che la chiusura C̄ del sottoinsieme C coincida con H significa che ogni ele-
mento di H è il limite di una successione di vettori di C. In particolare, dato
un qualunque P H e un ✏ ° 0 esiste un vettore P C che dista da meno
di ✏.
Esempio L’insieme DF delle combinazioni lineari di un numero finito di
vettori del sistema ortonormale (2.1) è certamente denso in l2 . Ogni vettore
P l2 è infatti limite della successione pnq che ha le prime n componenti
uguali a quelle di mentre tutte le altre sono nulle. DF non è però nu-
merabile dato che i coefficienti delle combinazioni lineari possono assumere
qualunque valore complesso. Il sottoinsieme C di DF delle combinazioni
lineari a coefficienti con parte reale e immaginaria razionale è un insieme
numerabile, denso in DF e quindi denso in l2 .

Siano twk uk“1,2... i vettori risultanti dal procedimento di ortogonalizzazio-


ne applicato ai vettori di C.
Proposizione 35. Se P H è tale che pwi , q “ 0 per ogni i allora “ 0.
Dimostrazione. infatti, poiché C è denso in H, @ " ° 0 è possibile trovare
un vettore N P C tale che } ´ N } † ". Al passo N -simo del processo di
ortonormalizzazione si definisce
Nÿ´1
N “ N ` pwj , N q wj
j“1
con
N
wN “
} N}
N è dunque una combinazione lineare dei primi N vettori wi , da cui si
deduce l’implicazione
pwi , q “ 0 @i ñ p N, q“0
quindi
} }2 ` } N}
2
“} ´ N}
2
† "2 ñ “0
80 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

Viceversa per ogni P H definendo


ÿ
n
pnq
” pwi , qwi (2.12)
i“1

si nota facilmente che


pnq
• è di Cauchy (dalla disuguaglianza di Bessel)
pnq
• D tale che } ´ } ›Ñ 0 e si ha p ´ , wj q “ 0, @ j
nÑ8

• “ ovvero

ÿ
n
“ nÑ8
lim pwi , qwi (2.13)
i“1

Un sistema ortonormale per cui valga la (2.13) @ di H si dice una base


ortonormale (o un sistema ortonormale completo).
Se twi u è una base ortonormale, i numeri complessi pwi , q si dicono i coef-
ficienti di Fourier di in quella base.
È facile sintetizzare quello che abbiamo provato nel seguente teorema:
Teorema 36.
∞8
1. un sistema ortonormale twi u è chiuso (cioè i“1 |pwi , q|2 “ } }2 @ P
H) se e solo se è una base ortonormale;
2. un sistema ortonormale twi u è completo (cioè pwi , q “ 0 @i ô “
0) se e solo se è una base ortonormale;
3. uno spazio di Hilbert H separabile ammette sempre una base ortonor-
male numerabile.
Dimostrazione. 1) implica ovviamente 2)
I passaggi che hanno portato dalla (2.12) alla (2.13) provano che 2) implica
che il sistema ortonormale sia una base.
Se il sistema ortonormale soddisfa la (2.13), ed è quindi una base ortonormale,
la 1) è certamente vera.
Essere chiuso, completo e essere una base ortonormale sono quindi tre pro-
prietà equivalenti per un sistema ortonormale.
La 3) è stata provata nella proposizione (35).
2.2. FUNZIONALI LINEARI 81

Consideriamo l’insieme E pjq j “ 0, .., n.....dei vettori in l2 , definiti dalla (2.1).


8
ÿ
Poiché per ogni P l2 vale che pE pjq , q “ j l’uguaglianza } }2 “ |pE pjq , q|2
j“0
pjq
vale per definizione. I vettori E costituiscono quindi una base di l2 . Un
qualunque spazio di Hilbert separabile H, fissata una base numerabile, può
essere messo in corrispondenza biunivoca con l2 associando il j-simo elemen-
to della base con E pjq . È facile verificare che tale corrispondenza conserva
linearità, norma e prodotto scalare. Ogni spazio di Hilbert separabile è
quindi isomorfo a l2 . (Come per il caso finito dimensionale l’isomorfismo
cosı̀ definito è continuo ed è pertanto un omeomorfismo).

2.2 Funzionali Lineari


Se DF Ñ H è un sottoinsieme lineare (contiene tutte le combinazioni lineari
finite dei suoi elementi) di uno spazio di Hilbert H, una funzione F da DF Ñ
C che soddisfi

Fp ` q “ Fp q ` Fp q , P DF
F pa q “ aF p q a P C, PH

si dice funzionale lineare su H con dominio DF .


Negli spazi a infinite dimensioni è facile dare esempio di funzionali lineari
che non possono essere definiti su tutto H e altri che lo sono.
Es. 1) @ P H il funzionale Ñ F p q “ p , q è definito su tutto H ed
è continuo come abbiamo già visto.
Es. 2) H “ l2 , DF “ t | “ p 1 , . . . , n , 0, 0, ....q per qualche n † 8u,
ÿ8
Fp q “ i i.
i“1 ∞8
Se “ t i u8 i“1 p i“1 | i | † 8q è un generico vettore di H non è detto
2

ÿ8
che F p q “ i i sia definito (come esempio si consideri t i “ 1{iu8
i“1 ).
i“1
Lo stesso esempio può essere applicato a qualunque spazio di Hilbert
H separabile. Data una base ortonormale twi u8 i“1 , DF viene definito come
l’insieme di H che ha un numero finito di coefficienti di Fourier diversi da
82 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

8
ÿ
zero e F p q “ pwi , qi.
i“1
Si noti che in entrambi i casi DF è un insieme denso in H.

Un funzionale lineare F su DF si dice limitato se per qualche C ° 0 |F p q| §


C} }, @ P DF .
Teorema 37. Un funzionale lineare F su DF Ñ H è continuo se e solo se è
limitato.
Dimostrazione. Se F è limitato e la successione n di vettori in DF converge
a P DF , allora
|F p nq ´ F p q| “ |F p n ´ q| § C} n ´ }
e il funzionale è dunque continuo.
Sia F continuo e supponiamo che ˆ
F non˙sia limitato. Esisterebbero allora
F p iq i
vettori i P DF tali che “F • i, i “ 1, . . . , n, cioè tali che
ˆ ˙ } i} } i}
i
F • 1.
i} i }
i
Questo contraddirrebbe la continuità nell’origine poiché ›Ñ0.
i} i } iÑ8

Se un funzionale lineare F , definito su un dominio DF denso in H, è


limitato si può estendere per continuità a tutto H. Considereremo da ora in
poi funzionali continui su tutto H.
All’insieme dei funzionali lineari limitati (quindi continui) su H si può
dare la struttura di spazio (vettoriale) lineare normato definendo:
pF1 ` F2 qp q “ F1 p q ` F2 p q @ PH
paF qp q : aF p q a P C, P H
|F p q|
}F } “ sup “ sup |F p q|
0‰ PH } } } }“1

(verificare che ha tutte le proprietà della norma).


H˚ ” lo spazio di tutti i funzionali lineari limitati su H si dice spazio
aggiunto di H, o il suo duale topologico. La dimostrazione che H˚ è com-
pleto può essere data direttamente. Per H spazio di Hilbert è un’immediata
conseguenza del
2.2. FUNZIONALI LINEARI 83

Teorema 38 (Teorema di Riesz). H˚ può essere identificato con H :


@ F P H˚ esiste un (solo) P H tale che:

Fp q “ p , q @ PH

Dimostrazione. Sia N pF q “ t⇠ P H | F p⇠q “ 0u. N è un sottospazio chiuso


di H per la continutà di F . Se F non è identicamente nullo N pF q ‰ H e
N K pF q non è costituito quindi dal solo vettore nullo.
Sia ⌘ ‰ 0, ⌘ P N K pF q. Possiamo assumere che F p⌘q sia uguale a 1 (se

non lo fosse, basterebbe considerare il vettore P N K pF q).
F p⌘q
Per qualunque P H vale che F p ´ F p q⌘q “ 0. Cioè p ´ F p q⌘q P
N pF q ed è quindi ortogonale a ⌘:
ˆ ˙

p⌘, ´ F p q⌘q “ 0 ñ F p q “ ,
}⌘}2

Il teorema è dimostrato prendendo “ .
}⌘}2

Vediamo come in uno spazio di Hilbert H, a dimensione n finita, la caratte-


rizzazione di H˚ sia particolarmente semplice.
Sia n “ dim pHq † 8 e sia twi uni“1 una base ortonormale:


˜ ¸
ÿ
n ÿ
n
Lp q “ L pwi , q wi “ pwi , q Lpwi q
i“1 i“1
“ p , q

ÿ
n
se si è definito “ L̄pwi qwi
i“1

L –Ñ
84 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

• Assegnata una base twi uni“1 , sia Lj il funzionale associato al vettore wj .


Lj p q “ pwj , q da cui Lj pwk q “ jk

Ogni funzionale L può essere scritto:


˜ ¸ ˜ ¸
ÿn ÿ
n
Lp q “ L pwj , qwj “ aj L j p q
j“1 j“1

con aj “ Lpwj q.
Quindi Lj è una base per H˚ (base duale).
Il teorema di Riesz per uno spazio di Hilbert separabile può essere dimostra-
to con una semplice generalizzazione del caso finito-dimensionale utilizzando
una base ortonormale numerabile.
La prova fornita precedentemente dimostra che la separabilità non è neces-
saria perché valga la tesi del teorema di Riesz.

2.3 Operatori lineari I


2.3.1 Operatori lineari limitati
Se DT è un sottoinsieme lineare di uno spazio di Hilbert H, un’applicazione
T da DT Ñ H che soddisfi
Tp ` q “ T ` T @ , P DT
T pa q “ apT q @ a P C, P DT
si dice operatore lineare con dominio DT .
Come nel caso dei funzionali lineari, è facile dare esempi di operatori T ,
definiti in insiemi DT , densi in uno spazio di Hilbert H di dimensione infinita,
che non possono essere estesi a tutto H.
Un esempio sul quale torneremo varie volte è il seguente:
in l consideriamo la base E pjq definita nella (2.1). Consideriamo gli operatori
2

che agiscono sui vettori di base nella maniera seguente


a pj´1q
A E pjq “ jE j ‰ 0 con A E p0q “ 0
a
A: E pjq “ j ` 1E pj`1q
N E pjq “ j E pjq (2.14)
2.3. OPERATORI LINEARI I 85

(Verificare che vale l’uguaglianza N E pjq “ A: AE pjq e che AA: E pjq ´A: AE pjq “
E pjq @j)
È possibile estendere la definizione degli operatori A, A: e N a tutti i vettori
di l2 che sono combinazioni lineari di un numero finito di E pjq (che costitui-
scono un insieme denso). Non è però possibile definire tali operatori su tutto
l2 , come si deduce dal fatto che trasformano i vettori di base in vettori ? di
pjq
norma sempre più grande al crescere di j (verificare che }AE } “ j, che
cresce al crescere di j malgrado i vettori a cui A è applicato abbiano norma
unitaria).
L’operatore lineare T si dice limitato su DpT q se
}T } |p , T q|
}T } ” sup “ sup †8
0‰ PDpT q } } 0‰ , PDpT q } } } }

dove l’eguaglianza va verificata. (Utilizzeremo la stessa notazione per la


norma degli operatori e quella dei vettori, sperando che la notazione non
generi confusione).
Come per i funzionali lineari, un operatore è limitato in H se e solo se è
continuo in H (identica dimostrazione) e un operatore limitato definito su
un dominio denso in H può quindi essere definito per continuità su tutto H.
Consideremo da ora in poi solo operatori limitati definiti sull’intero spazio
di Hilbert. Si verifica facilmente che } } è una norma nello spazio vettoriale
BpHq degli operatori limitati su H (con le operazioni

pT ` Sq ” T ` S paT q “ apT q q

cioè

‚ }T ` S} § }T } ` }S} @ T, S P BpHq
‚ }aT } “ |a| }T } @ a P C, T P BpHq
‚ }T } • 0 con l’uguaglianza vera se e solo se T “ 0

Si può dimostrare inoltre che BpHq è completo in tale norma.


In BpHq può essere definito il prodotto (non commutativo)

pT Sq “ T pS q

con la proprietà che


}T S} § }T } }S}
86 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

L’identità per il prodotto è l’operatore limitato

1 : 1 “ @ P H. T 1 “ 1T “ T

Un operatore T P BpHq si dice che ha un inverso T ´1 se

T pT ´1 q “ pT ´1 qT “ 1

Teorema 39. Sia T un operatore in BpHq. T ha un inverso T ´1 P BpHq


se e solo se @ P H esiste, ed è unica, la soluzione dell’equazione T “ .

Dimostrazione.

• Supponiamo che esista T ´1 . Posto “ T ´1 si nota che è una solu-


zione di T “ .
Per ogni altra soluzione ⌘ varrebbe che ⌘ “ T ´1 T ⌘ “ T ´1 che
dimostra l’unicità.

• Supponiamo che @ P H esista una e una sola soluzione di T “ .


Definiamo T ´1 “ , @ P H. Dalla definizione si ha che T T ´1 “ 1.
Prendendo “ T si deduce T ´1 T “ , @ , cioè T ´1 T “ 1.
Basta quindi verificare la linearità di T ´1 cosı̀ definito (verificare).

Gli operatori definiti su tutto lo spazio di Hilbert, hanno una semplice


caratterizzazione quando H ha dimensione finita n.
Data una base twi uni“1 ogni vettore P H è associato in maniera unica ai
suoi n coefficienti di Fourier su quella base:

Ø tpwi , quni“1
ÿ
n
} }2 “ | i |2 i ” pwi , q
i“1
ÿ
n ÿ
n
p , q“ pwi , q pwi , q“ ¯i i
i“1 i“1
2.3. OPERATORI LINEARI I 87

Se T è un operatore lineare definito su tutto H


ÿ
n ÿ
n
T “T pwi , qwi “ pwi , qT wi
i“1 i“1

e si ha
ÿ
n
pT qj ” pwj , T q “ pwi , qpwj , T wi q
i“1
ÿ
n
“ Tji i
i“1

con Tji ” pwj , T wi q.


¨ ˛ ¨ ˛ ¨ ˛
pT q1 T11 ¨ ¨ ¨ T1n 1
˚ ‹ ˚ ‹ ˚ ‹
˚ ‹ ˚ ‹ ˚ ‹
˚ .. ‹ ˚ .. .. ‹ ˚ ‹
˚ . ‹“˚ . . ‹ ˚ ‹
˚ ‹ ˚ ‹ ˝ ‚
˝ ‚ ˝ ‚
pT qn Tn1 ¨ ¨ ¨ Tnn n

Teorema 40. se dim H “ n † 8 e w1 . . . wn è una base, le seguenti


condizioni sono necessarie e sufficienti per l’esistenza dell’inverso T ´1 di un
operatore lineare T
1. non esistono soluzioni non nulle di T “ 0
2. la matrice associata a T (in qualunque base) ha determinante ‰ 0
3. tT wi uni“1 sono linearmente indipendenti
4. esiste un operatore lineare S tale che ST “ 1

Nel caso di dimensioni infinite la situazione è drasticamente di↵erente. Quello


che segue è un esempio di operatore lineare limitato su l2 che non ha inverso
malgrado 1), 3), 4) siano soddisfatte (verificarlo)
pT qi “ i´1 i•1
pT q0 “ 0
88 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

Proposizione 41. : se T e S sono operatori limitati in H e hanno un


inverso allora T S ha un inverso e

pT Sq´1 “ S ´1 T ´1

La prova risulta immediata.

2.3.2 Aggiunto di un operatore limitato. Operatori


isometrici, unitari e di proiezione.
Sia T un operatore limitato (ometteremo di ricordare che tutti gli operatori
che considereremo sono lineari) . Per ogni P H, fissato, l’applicazione da
HÑC
PHÑp ,T q
è un funzionale lineare continuo in H. Per il teorema di Riesz esiste un ⇠ P H
tale che
p , T q “ p⇠, q @ PH

Definizione . T ˚ “ ⇠. T ˚ si dice aggiunto di T

È facile verificare la linearità e la limitatezza di T ˚ . Valgono inoltre le


proprietà
Proposizione 42. L’applicazione che a T P BpHq associa T ˚ P BpHq ha le
seguenti proprietà
• T ˚˚ ” pT ˚ q˚ “ T @T P BpHq

• pT ` Sq˚ “ T ˚ ` S ˚ @T, S P BpHq

• paT q˚ “ āT ˚ @T P BpHq a P C

• }T ˚ } “ }T } @T P BpHq

• pST q˚ “ T ˚ S ˚ @T, S P BpHq

Se dim H “ n † 8, twi uni“1 è una base, T è un operatore lineare e


Tji “ pwj , T wi q è la matrice ad esso associata tramite la base data

Tji˚ ” pwj , T ˚ wi q “ pT ˚ wi , wj q “ pwi , T wj q “ Tij


2.3. OPERATORI LINEARI I 89

In uno spazio di Hilbert a finite dimensioni vale quindi che se T è un operatore


lineare e Tji è la matrice ad esso associata tramite una qualunque base, allora
la matrice associata all’operatore aggiunto T ˚ , relativa alla stessa base, è la
matrice hermitiana coniugata.

Definizione : Un operatore limitato S su H si dice autoaggiunto se


S “ S ˚.
(Se dim H “ n † 8, in qualunque base, Sij “ S̄ji )

Definizione Un operatore V in H si dice isometrico se conserva la norma

}V } “ } } @ PH

L’operatore V è certamente limitato e }V } “ 1.


Dall’uguaglianza pV , V q “ p , q @ P H si ricava che pV ˚ V ´ 1q “ 0.
Per provarlo verifichiamo una importante uguaglianza valida in ogni spazio
di Hilbert complesso.

Definiamo forma sesquilineare in H un’applicazione t da H X H in C


(r , s Ñ tp , q) tale che:

tp↵ 1 ` 2 , q “ ↵tp 1 , q ` tp 2 , q
tp , ↵ 1 ` 2 q “ ↵tp , 1 q ` tp , 2 q
@ 1 2 , 1 , 2 P H, ↵, P Cq

Se T P BpHq è un operatore limitato in H è facile convincersi che p , T q


è una forma sesquilineare.
La restrizione di una forma sesquilineare t ai soli “elementi diagonali” Ñ
tp , q si dice forma quadratica associata alla forma sesquilineare t.
Vale l’uguaglianza
Principio di polarizzazione: Se tp , q è una forma sesquilineare in H
allora
1
tp , q “ rtp ` , ` q ´ tp ´ , ´ q `
4
´i tp ` i , ` i q ` i tp ´ i , ´ i qs
90 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

Applicata alla forma sesquilineare p , T q il principio di polarizzazione asseri-


sce che essa è completamente caratterizzata dai suoi valori diagonali p , T q.
(Si noti che in uno spazio di Hilbert reale, dove non è valido un corrispon-
dente principio di polarizzazione, una forma bilineare non è caratterizzata
dalla forma quadratica associata).
Nel nostro caso p , pV ˚ V ´ 1q q “ 0 ùñ p , pV ˚ V ´ 1q q “ 0 @ , P
H ùñ V ˚ V ´ 1 “ 0 In particolare, se V è un operatore isometrico conserva
il prodotto scalare pV , V q “ p , q.
Se H ha dimensioni finite e V è isometrico non possono esistere soluzioni
di V “ 0 che, per quanto abbiamo visto, assicura (sottolineiamo ancora in
dimensioni finite) che V abbia un inverso. In questo caso quindi V ˚ “ V ´1 ,
tV wi uni“1 è una base ortonormale se twi uni“1 lo è.
In dimensioni infinite la situazione è significativamente diversa e si pos-
sono avere operatori isometrici che non sono invertibili. Un esempio paradig-
matico: siano t i u8
i“1 i coefficienti di Fourier di un generico vettore rispetto
a qualche base numerabile dello spazio di Hilbert separabile H. Definiamo
l’operatore V come segue

pV qi “ 0 per i “ 1 e pV qi “ i´1 @i • 2

Per capire l’azione di V ˚ notiamo che


8
ÿ 8
ÿ
p ,V q“ i i´1 “ pV ˚ qi i “ pV ˚ , q
i“1 i“1

con pV ˚ qi´1 “ i. Si ha quindi

V “ t0, 1, 2 ..............u ; V˚ “t 2, 3 , .................u

L’operatore V cosı̀ definito conserva norma e prodotto scalare ed è quindi


isometrico.
È però semplice rendersi conto che l’equazione V “ w1 con w1 “ t1, 0, 0........u
non ammette soluzione e che quindi l’operatore V non è invertibile. (Notare
che la definizione di V non ha analogo in uno spazio di Hilbert di dimensioni
finite).

Definizione L’operatore U si dice unitario se è invertibile e }U } “ } } @ P


H.
2.3. OPERATORI LINEARI I 91

Le proprietà di un operatore unitario sono elencate di seguito (verificarle)

• pU , U q “ p , q @ , PH U U ˚ “ U ˚U “ 1 U ˚ “ U ´1

• Se twi u è una base ortonormale anche tU wi u lo è.

• Se twi u è una base ortonormale e T è un operatore lineare limitato tale


che tT wi u sia una base ortonormale, allora è unitario.

• Se twi u è una base ortonormale e tei u è una seconda base ortonormale


in H allora l’operatore definito dalla proprietà che U wi “ ei , esteso per
combinazioni lineari a tutti i vettori di H, è unitario.

Definizione : Dato un sottospazio M si dice operatore di proiezione


su M l’operatore lineare limitato che ad ogni vettore P H associa la sua
proiezione ortogonale PM definita nella proposizione 3.

Si verificano facilmente le proprietà e la tesi della Proposizione

• }PM } § } } essendo la somma dei due vettori ortogonali M e MK .

• PM2 “ PM poiché la proiezione di un vettore già in M è il vettore stesso.

• PM˚ “ PM essendo p , PM q “ pPM , PM q “ pPM , q

Proposizione 43. : un operatore lineare limitato P tale che P 2 “ P “ P ˚


è il proiettore ortogonale sul sottospazio M “ P H immagine dell’applicazione
di P a tutti i vettori di H.

2.3.3 Esercizi sugli operatori limitati


Esercizio (1). In C2 consideriamo gli operatori che, nella base dei vettori
w1 “ p1, 0q e w2 “ p0, 1q, corrispondono alle tre matrici (matrici di Pauli)
ˆ ˙ ˆ ˙ ˆ ˙
0 1 0 ´i 1 0
1 “ 2 “ 3 “
1 0 i 0 0 ´1

Provare le seguenti proprietà delle matrici i :


92 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

• Le i sono matrici autoaggiunte. Ogni matrice 2 x 2, autoaggiunta,


può essere ottenuta come combinazione lineare a coefficienti reali delle
tre matrici di Pauli e della matrice unità. Ogni matrice complessa 2
x 2 può essere ottenuta come combinazione lineare complessa delle tre
matrici di Pauli e della matrice unità.

• 2
i “ 1. Dedurne che le i sono invertibili e calcolarne le matrici
inverse.

• Le i sono matrici unitarie. Provare che in nessun Cn con n dispari


esistono matrici a traccia nulla, autoaggiunte che sono contemporanea-
mente unitarie.

• i j “1 ` i✏ijk k dove
ij
$

&1 se pijkq è una permutazione ciclica di p123q
✏ijk “ ´1 se pijkq è una permutazione ciclica di p213q

%
0 in tutti gli altri casi

• r i, js ” i j ´ j, i “ 2i✏ijk k e t i, ju ” i j ` j, i “2 ij 1

Esercizio (2). In Cn si consideri l’operatore lineare T di traslazione ciclica


pjq
che agisce sulla base canonica E pjq con Ei “ ij i, j “ 1, ¨ ¨ ¨ n nel modo
seguente
T E pjq “ E pj`1q con j ‰ n e T E pnq “ E p1q (2.15)
ed è esteso a tutto Cn per linearità.

• Provare che l’operatore T è unitario e dire come opera l’operatore T ´1 ;

• provare che le matrici associate a T e a T ´1 nella base canonica sono


inverse una all’altra;

Esercizio (3). Se P1 e P2 sono due proiettori su sottospazi ortogonali dello


spazio di Hilbert H dire per quali numeri complessi a1 e a2 l’operatore P “
a1 P1 ` a2 P2 è un proiettore ortogonale e su quale sottospazio.

Esercizio (4). In l2 si consideri l’operatore pT qn “ 2´n n n “ 0, 1, ¨ ¨ ¨


@ “ t 0 , 1 , ¨ ¨ ¨ n ¨ ¨ ¨ u. Mostrare che
2.4. OPERATORI NON LIMITATI 93

• T è un operatore limitato di norma uguale a 1,

• T “ 0 non ammette soluzioni non nulle in l2 ,

• T non ammette inverso T ´1 P BpHq

Mostrare inoltre che, per ogni intero N , l’operatore

TN ” pTN qn “ 2´n n @0§n§N


” pTN qn “ n @n ° N

soddisfa le prime due proprietà provate per T e ammette un inverso in BpHq.

2.4 Operatori non limitati


A↵rontiamo ora il caso generale di operatori non limitati di H in H. Con
T, DT indicheremo l’operatore lineare T definito sul dominio DT P H. Con-
sidereremo solo il caso in cui DT sia denso in H.
Diremo che un operatore T, DT estende l’operatore V, DV se DV Ä DT e
V “ T @ P DV .
L’operatore T, DT si dice chiuso se per ogni successione di vettori pnq P DT
convergente in H al vettore , tale che la successione dei vettori trasformati
T pnq sia anch’essa convergente, diciamo al vettore ⇠ , accada che appartie-
ne a DT e che T “ ⇠. Un operatore chiuso è quindi definito per continuità
su tutti i vettori su cui ”può essere definito per continuità”.
L’operatore T, DT si dice chiudibile se per ogni successione pnq P DT con
lim pnq “ 0 tale che esista il limite ⇠ della successione T pnq accade che
nÑ8
⇠ “ 0. È facile convincersi che la chiudibilità di un operatore T, DT è la
condizione necessaria e sufficiente perché l’operatore possa essere esteso a un
operatore chiuso.
Notiamo che anche di un operatore non limitato T, DT si può definire l’aggiunto.
Consideriamo infatti il sottoinsieme D˚ di H dei vettori tali che il funzio-
nale lineare p , T q sia un funzionale lineare limitato su DT . Essendo DT
denso il funzionale può essere esteso per continuità a un funzionale limitato
su tutto H. Per il teorema di Riesz esiste quindi un unico elemento ⇠ di
94 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

H tale che p , T q “ p⇠, q. Definiremo l’operatore aggiunto T ˚ , DT ˚ po-


nendo DT ˚ “ D˚ e, per ogni P D˚ , T ˚ “ ⇠ cosı̀ che valga la relazione
p , T q “ pT , q @ P DT e @ P DT ˚ .
Vale il seguente teorema di cui dimostreremo solo il punto 2)

Teorema 44. Sia T un operatore lineare densamente definito sullo spazio di


Hilbert H. Si ha

1. Se S è un’estensione di T , allora l’aggiunto T ˚ di T è un’estensione


dell’aggiunto S ˚ di S.

2. L’aggiunto T ˚ di T è chiuso

3. T è chiudibile se e solo se il suo aggiunto T ˚ è densamente definito. In


questo caso la chiusura di T coincide con l’aggiunto del suo aggiunto
pT ˚ q˚ (il suo bi-aggiunto).

Dimostrazione. Sia pnq una successione di vettori in DT ˚ convergente a P


H. Supponiamo inoltre che la successione T ˚ pnq converga a P H. Dalla
definizione di aggiunto e dalla continuità del prodotto scalare si deduce che
per ogni ⇠ P DT

pnq
p , T ⇠q “ lim p , T ⇠q “ lim pT ˚ pnq
, ⇠q “ p , ⇠q
nÑ8 nÑ8

Il funzionale lineare p , T ⇠q è quindi limitato (p , T ⇠q § } } }⇠}) su DT . Si


ha allora P DT ˚ e T ˚ “ che dimostra che l’operatore T ˚ è chiuso.

Un operatore S, DS si dice simmetrico se p , S q “ pS , q @ , P DS .


Dalla definizione discende che l’aggiunto di un operatore simmetrico ha un
dominio che certamente contiene DS e che su tale dominio S ˚ opera come S.
Quindi l’aggiunto di un operatore simmetrico S, DS , densamente definito, è
densamente definito e estende l’operatore stesso.
Diremo che l’operatore A, DA è autoaggiunto se A “ A˚ . Un operatore
simmetrico è quindi autoaggiunto se e solo se il dominio del suo aggiunto
coincide con il suo dominio.
2.4. OPERATORI NON LIMITATI 95

2.4.1 Gli operatori di creazione e annichilazione


In l2 consideriamo gli operatori A, A: , N (definiti rispettivamente operatori
di annichilazione, creazione e numero) nella (2.14) con dominio denso comune
DF Ä l2 dei vettori di l2 con un numero finito di componenti (controllare che
tutti e tre gli operatori siano ben definiti su DF ).
8
ÿ
Proviamo che N è estendibile a DN ” t P l2 : j 2 | j |2 † 8u e che è
j“0
autoaggiunto su tale dominio.
In e↵etti proveremo la seguente proposizione che implica il risultato appena
menzionato
Proposizione 45. Sia f una applicazione che ad ogni j “ 0, 1, . . . associa
f pjq P R e consideriamo l’operatore Bf definito nel modo seguente pBf qi “
ÿ8
2
f piq i sul dominio DBf ” t P l : f pjq2 | j |2 † 8u. Allora Bf , DBf è
j“0
autoaggiunto in l2 .
Dimostrazione. L’operatore Bf , DBf è certamente simmetrico, essendo i va-
lori della funzione f reali. Rimane da dimostrare che il dominio dell’aggiunto
non contiene vettori che non siano in DBf .
Sia h P DBf˚ e definiamo Bf˚ h “ h˚ P l2 . Per ogni P DBf si avrà dunque
ph , Bf q “ ph˚ , q. Se M è il vettore in D Ä DBf che ha le prime M
componenti uguali a quelle di mentre tutte le altre sono nulle, valgono le
uguaglianze
ph , Bf M q “ phM , Bf q “ ppBf hqM , q
che può scriversi ph˚M , q “ ppBf hqM , q, uguaglianza che può essere estesa
a tutti i vettori P l2 . Poichè, per ogni M, }h˚M } § }h˚ } † 8, si ha
}Bf h} † 8 e h˚ “ Bf h. L’operatore è quindi autoaggiunto.
Osservazione 46. È immediato estendere la proposizione precedente al caso
di funzione f complessa. In questo caso si dimostra che DBf˚ “ DBf “ t P
ÿ8
2
l : |f pjq|2 | j |2 † 8u e che Bf˚ “ Bf¯ @ P DBf .
j“0

8
ÿ
2
L’operatore N definito su DN ” t P l : j 2 | j |2 † 8u è quindi autoag-
j“0
giunto in l2 .
96 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

Le definizioni e le proprietà degli operatori A, A: , N discusse precedente-


mente si possono estendere a qualunque spazio di Hilbert separabile H. Se
twj uj“0,..,n...... è una base ortonormale di H basterà utilizzare l’omeomorfismo
che a E pjq P l2 associa wj P H ovvero che a P l2 , “ t j uj“0,..,n...... , associa
il vettore P H con coefficienti di Fourier pwj , q “ j @j

2.4.2 Esercizi sugli operatori non limitati


Esercizio (1). Verificare che
8
ÿ
: 2
• A e A sono operatori chiusi su DA “ DA: “ t P l | j | j |2 † 8u e
j“0
sono aggiunti uno dell’altro su tale dominio;

• A: A e A A: sono autoaggiunti su DN e su tale dominio N “ A: A “


A A: ´ 1.
A ` A: A ´ A:
• gli operatori X “ ? e P “ ? , con dominio DA , sono
2 ı 2
simmetrici, ma non autoaggiunti.

• X P e P X sono simmetrici su DN e X P ´ P X “ ı1 su tale dominio.

Soluzione

• Sia pnq P DA una successione di vettori nel dominio dell’operatore A


convergente in l2 a un vettore . Supponiamo che la successione dei
trasformati A pnq converga in l2 a un vettore P l2 . Per dimostrare
che l’operatore A è chiuso dovremo provare che P DA e che A “ .
Scrivendo A pnq “ ` pA pnq ´ q deduciamo che per ogni ✏ ° 0 esiste
un n0 tale che, per ogni n ° n0
8
ÿ
pnq pnq 2
}A } § } }`✏ ovvero j| j | § K , @n, per qualche K ° 0.
j“0

È possibile quindi passare il limite sotto somma e dedurre che P DA


e che A “ cioè che A è chiuso su DA . Nello stesso modo si prova
la chiusura di A: sullo stesso dominio.
2.4. OPERATORI NON LIMITATI 97

Per ogni e in DA si ha inoltre


8
ÿ a 8
ÿ a
p ,A q“ ¯j j`1 j`1 “ j´1 j j “ pA: , q
j“0 j“1

• Abbiamo già provato che N è autoaggiunto su DN . È inoltre vero che


A A: e A: A sono definiti su DN e che il commutatore vale 1 su DF
e quindi su tutto DN .
• Gli operatori X e P sono evidentemente definiti e simmetrici su DA “
DA: . Il prodotto scalare p , X q per P DA vale
1 ÿ 8 ´a a ¯
p ,X q “ ? ¯j j ` 1 j`1 ` j j´1
2 j“0
8 ´a ¯
1 ÿ a
“ ? j ` 1 j`1 ` j j´1 j “ pX , q (2.16)
2 j“0

Sia ↵pjq l’indice che identifica la coppia j1 “ 2↵ e j2 “ 2↵ ` 1 con


↵ “ 0, 1, . . . . Definiamo il vettore:
1
t P l2 | j “ p´q↵ j ´ con † † 1u.
2
ÿ8 ÿ8
Si noti che P l2 poiché } } “ | j |2 “ 1 ` j ´2 † 8 ma che non
j“0 j“1
∞8
appartiene a DA essendo la somma j“0 j | j |2 divergente.
Si ha però che il funzionale (in q p , X q è limitato. Infatti
´a a ¯ a a
j ` 1 j`1 ` j j´1 “ ˘j ´ p j ` 1 ´ jq

da cui a a
| j`1 j`1 ` j j´1 | § j ´p `1{2q
.
e 8
ÿ
|p , X q| § p j ´p2 `1q 1{2
q } }†8
j“0

appartiene quindi, per definizione, al dominio dell’aggiunto di X.


Il dominio dell’aggiunto è dunque più grande di DA e l’operatore sim-
metrico X non è autoaggiunto su DA .
98 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT

Esercizio (2). Provare che

pA: qn
E pnq “ ? E p0q
n!
Esercizio (3). Provare che per ogni z P C il vettore z PH
ÿ8
´|z|2 {2 zn
z “e ? E pnq
n“0 n!

soddisfa le proprietà
1 2
} z} “ 1 A z “z z |p z , z 1 q|
2
“ e´|z´z |

Esercizio (4). L’operatore U ptq, definito in l2 per ogni t P R dalla

pU ptq qj “ e´ijt j

è limitato e ha norma 1.
Provare che U ptq è un gruppo unitario, cioè U ptq è un operatore unitario @t
e U ptq U psq “ U pt ` sq.
Provare che @ P DN
d
i pU ptq q “ N pU ptq q
dt

Osservazione 47. Sia H uno spazio di Hilbert separabile. Siano a e a˚ due


operatori chiusi su un dominio comune denso in H. Assumiamo che esista
un insieme denso Df Ä H dove sono definite potenze qualunque di a e a˚
e che esista un unico vettore di norma unitaria 0 P Df (definito a meno
di moltiplicazione per un numero complesso di modulo 1) tale che a 0 “ 0.
Supponiamo inoltre che in Df valgano le relazioni di commutazione

ra , a˚ s ” a a˚ ´ a˚ a “ 1. (2.17)

e che su Df l’aggiunto di a operi come a˚ . A partire dalla (2.17), è facile di-

mostrare per induzione (farlo) la seguente serie di risultati relativi all’insieme


˚ n
di vettori pnq ” pa?n!q p0q
2.4. OPERATORI NON LIMITATI 99

• a˚ a pnq
“n pnq

pnq
• } } “ 1 @n
pnq pjq
• p , q “ 0 @j † n

Aggiungendo altre ipotesi sulla coppia a e a˚ è possibile dimostrare che


il sistema ortonormale cosı̀ definito è una base di H. Si dice, in questo
caso, che a e a˚ costituiscono in H una rappresentazione irriducibile delle
regole di commutazione (2.17), dove irriducibile significa che non esiste alcun
sottospazio proprio di H lasciato invariate da a e a˚ .
100 CAPITOLO 2. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT
Bibliografia

[LB] E.M. Lieb and M. Loss, Analysis (second edition), AMS, 1997.

[TK] T. Kato Perturbation Theory for Linear Operators Corrected Printing


of the Second Edition, Springer-Verlag Berlin Heidelberg New York 1980

[BB] Ph. Blanchard and E. Brüning, Mathematical Methods in Physics,


Birkhäuser, 2003.

[ON] E. Onofri, Lezioni sulla Teoria degli Operatori Lineari Seconda edi-
zione, 2009, versione elettronica 1.5, 2017 http://www.pr.infn.it/ enri-
co.onofri/MMFbook.pdf

101
102 BIBLIOGRAFIA
Capitolo 3

Misura e Integrazione
Come abbiamo accennato nel capitolo precedente, lo spazio di Hilbert di
maggior rilevanza per le applicazioni in Fisica Teorica è il completamento
dello spazio pCpRn q, Cq, delle funzioni continue da Rn a C, rispetto alla norma
indotta dal prodotto scalare (2.6).
La possibilità di definire l’integrale di funzioni con ridotte proprietà di
regolarità, in particolare di funzioni non continue, è condizione necessaria
per attuare tale completamento. In questo capitolo daremo alcuni elementi
di teoria astratta dell’integrazione e la specializzeremo alla costruzione degli
spazi delle funzioni complesse p´integrabili su Rn . La trattazione che ne
daremo segue inizialmente il testo di Lieb e Loos [LB] con suggerimenti da
[P] e [BB]. Le parti di testo riportate in blu sono approfondimenti.

3.1 Misura (teoria astratta)

La teoria astratta della misura procede inizialmente a caratterizzare la strut-


tura delle famiglie di insiemi di cui si vuole definire una misura.
Dato un qualunque insieme ⌦, la collezione ⌃ di sottoinsiemi di ⌦ che defini-
remo misurabili dovrà essere una - algebra, dovrà cioè avere le seguenti
caratteristiche:

i) (chiusa per complementazione) se A P ⌃, allora Ac ” ⌦zA ” tx P


⌦ | x R Au P ⌃;

103
104 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

ii) (chiusura per unioni numerabili) se A1 , . . . , An , . . ., è una famiglia nu-


8
§
merabile di insiemi in ⌃, allora Ai P ⌃;
i“1

iii) ⌦ P ⌃.

Conseguenze della definizione

i) e ii) ùñ (chiusura per intersezione numerabile) se la famiglia A1 , . . . , An , . . .;


£8
Ai P ⌃ @ i è numerabile allora Ai P ⌃
i“1
i) e iii) ùñ H P ⌃.

Esempio
a) la più piccola -algebra di sottoinsiemi di ⌦ , ⌃ “ tH, ⌦u
b) la più grande -algebra di sottoinsiemi di ⌦ : ⌃ “ Pp⌦q
con Pp⌦q insieme delle parti di ⌦, cioè l’insieme di tutti i sottoinsiemi
di ⌦.

Data una qualunque famiglia F di sottoinsiemi di ⌦, esiste una più piccola


-algebra ⌃ che contiene tutti gli elementi di F : infatti esiste Pp⌦q che
certamente contiene tutti gli insiemi in F e l’intersezione di due -algebre è
una -algebra (provarlo). L’intersezione di tutte le -algebre che contengono
F è dunque la più piccola con questa proprietà.
La -algebra cosı̀ costruita si dirà generata da F .

Una misura µ su ⌃ è una funzione da ⌃ a R` (8 compreso) con le proprietà:


i) µpHq “ 0;
ii) (additività numerabile) se Ai ,˜i “ 1, .¸. . , n . . . è una famiglia numerabile
§8 8
ÿ
di insiemi disgiunti, allora µ Ai “ µpAi q.
i“1 i“1

Conseguenze della definizione:


a) A, B P ⌃, A Ä B ùñ µpAq § µpBq
infatti µpBq “ µpAq ` µpBzAq • µpAq;
3.1. MISURA (TEORIA ASTRATTA) 105

b) se Ai P ⌃, @ i “˜1, . . . , n,
¸ . . . e A1 Ä A2 Ä . . .
§8
lim µpA nq “ µ Ai
nÑ8
i“1
infatti
˜ ¸
8
§ 8
ÿ
µ Ai “ µpAi`1 zAi q ` µpA1 q
i“1 i“1
ÿ
n
“ lim
nÑ8
µpAi`1 zAi q ` µpA1 q “
i“1
“ lim µpAn`1 q;
nÑ8

c) se Ai P ⌃, i “ 1, . . . , n, . . . è una famiglia numerabile tale che A1 Å


A2 Å . . . ˜ ¸
£8
lim µpAn q “ µ Ai .
nÑ8
i“1

Le ultime due proprietà sulle misure di successioni “telescopiche” di insiemi


saranno i cardini per una teoria dello scambio di limiti e integrali e costi-
tuiscono la giustificazione per l’utilizzo delle -algebre come famiglie degli
insiemi misurabili.
La tripla p⌦, ⌃, µq si definisce spazio di misura.

Diremo che una proprietà vale quasi ovunque (q.o.) (o meglio, µ-q.o.) se
il sottoinsieme di ⌦ in cui la proprietà è falsa è contenuto in un insieme di ⌃
di misura nulla.

Esempi di spazi di misura

Esempio a) pRn , B, µq lo spazio di misura più importante per il nostro corso.


L

Nello spazio euclideo reale a n dimensioni Rn richiediamo che siano


misurabili (e che abbiano come misura quella prescritta dalla geometria
elementare):

– le sfere (di qualunque raggio r e con centro in un qualunque punto


x) Br,x ty P Rn | |x ´ y| † ru. Le sfere chiuse dovranno anche essere
misurabili e avere la stessa misura.
106 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

– i parallelogrammi PI1 ...In “ ty P Rn | y1 P I1 , . . . , yn P In u, con


I1 , . . . , In intervalli aperti della retta reale.

B è la -algebra generata dalle sfere aperte di Rn . Viene denominata


-algebra di Borel, e gli insiemi che appartengono a B vengono detti
borelliani di Rn .
Si può dimostrare che B contiene tutti gli insiemi aperti (quindi tutti
gli insiemi chiusi) di Rn .
Osservazione 48. Non è possibile “esibire” esplicitamente un sottoin-
sieme di Rn che non appartenga a B; è solo possibile dare una procedura
di costruzione di un tale insieme, giustificata dall’ “assioma della scel-
ta”. La difficoltà di costruire insiemi di Rn non–borelliani indica quanto
sia vasta la -algebra B.

Con BA indicheremo i borelliani di un qualunque insieme aperto A Ä


Rn .
La misura µ dovrà assegnare alle sfere di raggio r misura
L

2⇡ n{2 n
µ pBr,x q “ V pnq prq “ ` ˘r
L n n2

(per il calcolo, vedi più avanti) e ai parallelepipedi


π
n
µ pPI1 ,...,In q “ pbi ´ ai q se Ii “ pai , bi q
L
i“1

Come si vede, la misura è invariante per traslazione (non dipende da x


per le sfere, e dipende solo dalle di↵erenze pbi ´ai q per i parallelepipedi).
Non daremo i dettagli della costruzione della misura di Lebesgue µ, cioè
L
dell’unica misura sui borelliani di Rn , invariante per traslazione, che dà
alle sfere (o ai parallelepipedi) la misura indicata sopra. Ricordiamo
solamente alcune proprietà fondamentali di µ.
L

– Regolarità esterna: µ pAq “ inftµ pOq | O aperto, O Å Au per ogni


L L
A P B;
3.1. MISURA (TEORIA ASTRATTA) 107

– Regolarità interna: µ pAq “ suptµ pKq | K chiuso limitato, K Ä


L L
Au per ogni A P B;
– µ è -finita: esiste cioè in ⌃ un insieme numerabile di insiemi, di
L
§8
n
misura finita, la cui unione è tutto R . Infatti R “
n
Cm , dove
m“1
i Cm sono cubi chiusi di lato unitario centrati sui punti di Rn con
coordinate intere ( si noti che µpCm q “ 1 @ m).

Formula per il volume della sfera di raggio r in Rn

Vol. Br,0 ” V pnq prq

1. V pnq prq “ V pnq p1q rn


ªr
2. V prq “ S pnq p⇢qd⇢ S pnq p⇢q “ superficie della sfera di raggio ⇢ in Rn
pnq
0
3. da 1) e 2):

V n p1qnrn´1
ä
dV pnq S pnq prq
prq “ } ùñ “ rn´1 e S pnq p1q “ nV pnq p1q
dr S pnq p1q
å
S pnq prq

ª8 n ª8
π "ª 8 *n
´r 2 pnq n´1 ´x2i ´x2
4. e S p1qr
looooomooooon dr “ e dxi “ e dx
0 i“1 ´8 ´8
S pnq prq
"ª 8 *2 ª8 ª8
´x2 ´⇢2
5. e dx “ e 2⇡⇢d⇢ “ ⇡ e´y dy “ ⇡
´8 0 0

6. da 4) e da 5):

⇡ n{2 2⇡ n{2
S pnq p1q “ ª 8 “ ª8
n
e´r rn´1 dr e´y y 2 ´1 dy
2

0 looooooomooooooon
0
pn{2q
108 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE
ª8
Def.: pzq “ e´y y z´1 dy (per integrazione per parti è facile
0
calcolare che per z “ n, numero naturale, che pnq “ pn ´ 1q!).
7. da 3):
2⇡ n{2 2⇡ n{2 n
V pnq p1q “ ` n ˘ ›Ñ V pnq prq “ ` ˘r
n 2 n n2

Esempio b) p⌦, Pp⌦q, y q,


dove ⌦ è un insieme qualunque, Pp⌦q
" la -algebra
1 se y P A
di tutti i sottoinsiemi di ⌦, y è un punto di ⌦ e y pAq “
0 se y R A
per A P Pp⌦q.
In pRn , Bq l’analoga misura prende il nome di misura delta di Dirac nel
punto y di Rn .

1
Esempio c) pt1, . . . , nu, Pt1, . . . , nu, P q, con P pAq “ #pAq (dove # (A)
n
è il numero di elementi di A).
P è la misura di probabilità pP t1, . . . , nu “ 1q di un dado non “truc-
cato” a n facce . L’ “evento A” è interpretato come “nel lancio di un
dado uno dei valori i appartenenti ad A esce”.

Esempio d) pRn , B, µq con µ l’unica misura su borelliani che dà ai paralla-


G G
lepipedi PI1 ,...,In la misura
n ˆª
π ˙
´n{2 ´x2i
p⇡q e dxi
i“1 Ii

è una misura di probabilità pµ pRn q “ 1q.


G

Non è una misura invariante per traslazione in Rn . (I cubi lontani dal-


l’origine pesano esponenzialmente meno di quelli prossimi all’origine).

Chiudiamo questa sezione con un teorema, che non dimostreremo (malgrado


la dimostrazione non sia complicata), che caratterizza una sottofamiglia di
3.2. INTEGRAZIONE (TEORIA ASTRATTA) 109

insiemi in ⌃ la cui misura definisce univocamente quella di tutti gli insiemi


della ´algebra.
Sia A un’algebra di sottoinsiemi di ⌦ che contiene ⌦ (la mancanza del
significa che la famiglia di sottoinsiemi A è chiusa per complementazione e
unione finita di insiemi). Sia ⌃ la più piccola ´algebra che contiene A.
Una misura su ⌃ è definita in maniera unica dai suoi valori sugli insiemi di
A? A questa domanda risponde in maniera positiva il seguente:
Teorema 49 ( Teorema di unicità). : siano µ1 e µ2 due misure ´additive
su ⌃ che coincidono sugli insiemi di A. Se esistono insiemi tAi u8 i“1 P A

î8 ´finitezza
di misura finita (notare che la richiesta è più restrittiva della
dovendo tutti gli insiemi appartenere all’algebra), tali che ⌦ “ i“1 Ai allora
le due misure coincidono su tutta ⌃.

3.2 Integrazione (teoria astratta)

Una funzione f : ⌦ Ñ R si dice misurabile se gli insiemi di livello

Lf ptq “ tx P ⌦ | f pxq ° tu , t P R

sono misurabili @ t (cioè Lf ptq P ⌃, @ t).


Una funzione f : ⌦ Ñ C si dice misurabile se la sua parte reale e la sua
parte immaginaria sono misurabili.
Considerazioni e conseguenze della definizione:

a) definizioni equivalenti si ottengono sostituendo al ° nella definizione


ogni altra relazione d’ordine •, †, §. Gli insiemi di livello con ciascuna
definizione si ottengono per intersezioni o unioni numerabili di insiemi
di livello con definizione alternativa (o per complementazione)

b) per la misurabilità degli insiemi di livello, per ogni t P R è sufficiente la


misurabilità degli insiemi di livello per i soli t razionali.

c) se f pxq e gpxq sono misurabili, lo sono anche


– f pxq per PC
– f pxq ` gpxq
110 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

– f pxq ¨ gpxq
– |f pxq|
– maxtf pxq, gpxqu , mintf pxq, gpxqu.

3.2.1 Definizione di integrale su p⌦, ⌃, µq


Se f : ⌦ ›Ñ R` è una funzione misurabile non negativa, definiamo

Ff ptq “ µptx P ⌦ | f pxq ° tuq .

Poiché tx P ⌦ | f pxq ° tu Å tx P ⌦ | f pxq ° su se s ° t, Ff ptq è una


funzione positiva non crescente il cui integrale di Riemann è sempre definito
(finito o infinito).

Osservazione 50. Ricordarsi che per ogni suddivisione di rt, T s in N inter-


valli rti , ti`1 s, con t0 “ t e tN “ T e per ogni funzione non crescente gptq • 0
le somme superiore S ed inferiore s sono date esplicitamente da

ÿ
N ´1 ÿ
N ´1
S“ gpti qpti`1 ´ ti q • s “ gpti`1 qpti`1 ´ ti q
i“0 i“0

Quindi

ÿ
N ´1
S´s “ pgpti q ´ gpti`1 qqpti`1 ´ ti q
i“0
§ pgptq ´ gpT qq maxpti`1 ´ ti q
i

tende a 0 quando l’ampiezza massima degli intervalli della suddivisione tende


a 0.

Definizione di integrale
ª ª8 ˆ ªT ˙
f pxqµpdxq ” Ff psqds “ lim Ff p⇠qd⇠ (3.1)
⌦ 0 tÑ0,T Ñ8 t
3.2. INTEGRAZIONE (TEORIA ASTRATTA) 111

Se l’integrale cosı̀ definito è finito, la funzione f si dice integrabile o som-


mabile. Se la funzione f risulta integrabile è naturalmente necessario che
Ff ptq Ñ 0 quando t tende all’infinito. La funzione f deve quindi essere finita
µ ´ q.o. . Si noti inoltre che, se la funzione f è µ ´ q.o. strettamente positiva
si ha che Ff p0q “ µp⌦q che, in molti casi di interesse, risulta infinita. L’inte-
grale di Riemann nella definizione (3.1) risulta quindi un integrale improprio
nell’origine e va inteso come indicato in parentesi.
Se f : ⌦ Ñ C, f può essere scritta

f “ pRef q` pxq ´ pRef q´ pxq ` i pImf q` pxq ´ i pImf q´ pxq

con pRef q` pxq “ maxtpRef qpxq, 0u pRef q´ pxq “ ´ mintpRef qpxq, 0u . . . . . . . . .

Definizione f si dice integrabile se |f | lo è (alternativamente, se pRef q` ,


pRef q´ , pImf q` e pImf q´ lo sono).

Definizione
ª ª ª


f pxqµpdxq “ pRef q` pxqµpdxq ´ pRef q´ pxqµpdxq ` i pImf q` pxqµpdxq
⌦ ª ⌦ ⌦

´i pImf q´ pxqµpdxq (3.2)


Osservazione 51. È importante notare che la definizione (3.2) di integrale


della funzione complessa f ha senso solo se la funzione f è sommabile. Non
esiste una definizione di integrale della f se la funzione non è sommabile

"
1 xPA
Se A pxq è la funzione caratteristica di un insieme misurabile A A pxq “
0 xRA

µpx | A pxq ° tq “ 0 se t • 1
“ µpAq se 0 § t † 1

quindi ª
A pxqµpdxq “ µpAq

112 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Se 1 , . . . , n , . . . sono costanti positive e A1 , . . . , An , . . . una famiglia nu-


merabile di insiemi disgiunti
8
ÿ
f pxq “ i Ai pxq
i“1

(funzione a scala) è misurabile e


ª 8
ÿ
f pxqµpdxq “ i µpAi q .
⌦ i“1

Infatti ÿ
Ff ptq “ µtx | f pxq ° tu “ µpAj q
j: j °t

quindi ciascun µpAj q appare nella somma che dà il valore della funzione
integranda Ff ptq fino al valore t “ j :
ª8 8
ÿ
Ff ptqdt “ i µpAi q
0 i“1
3.2. INTEGRAZIONE (TEORIA ASTRATTA) 113

Riferendosi alla figura


ª8 ÿ ÿ
Ff ptqdt “ p µpAi qq 3 `p µpAi qqp 1 ´ 3q
0 i i‰3
ÿ ÿ
`p µpAi qqp 5 ´ 1q `p µpAi qqp 2 ´ 5q `
i‰3 i‰3

i‰1 i‰1

i‰5
ÿ
`µpA4 qp 4 ´ 2q “ µpAi q i “ “Area sotto la curva””
i

Con funzioni a scala è possibile approssimare l’integrale di una qualunque


funzione integrabile. Sia infatti f una funzione misurabile, non negativa,
definita in ⌦ e sia data una qualunque suddivisione di r0, 8q in intervalli
rti , ti`1 q. Gli ∞
insiemi Ai “ tx P ⌦ | ti † f pxq § ti`1 u sono misurabili e la fun-
zione a scala i ti Ai ha integrale uguale alla somma superiore nell’integrale
di Riemann che appare nella definizione (3.1).
In questo modo si prova che date f e g integrabili, ogni combinazione lineare
f ` g, con , P C è sommabile (parte facile) e vale
ª ª ª
p f pxq ` gpxqqµpdxq “ f pxqµpdxq ` gpxqµpdxq
⌦ ⌦ ⌦

(parte un po’ più difficile).


Senza dimostrazione daremo qui di seguito un risultato importante che
permette una definizione alternativa di integrale spesso utilizzata nei libri di
testo.
Sia A un’algebra di sottoinsiemi di un insieme ⌦ e sia ⌃ la più piccola -
algebra che contiene A (la -algebra generata da A). Sia µ una misura su
p⌦, ⌃q che sia -additiva nel senso restrittivo specificato nel teorema (49).
Vale il teorema:

Teorema 52. Per ogni funzione f complessa, ∞Nsommabile su p⌦, ⌃, µq e per


ogni ✏ ° 0 esiste una funzione a scala f✏ “ i“1 i Ai con un numero finito
di termini e con Ai P A @i tale che
ª
|f ´ f✏ |dµ † ✏

114 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Il teorema permette una definizione di integrale di funzioni sommabili


interamente basato sulla misura di insiemi appartenenti a un’algebra di sot-
toinsiemi di ⌦, come limite di integrali di funzioni a scala che assumono un
numero finito di valori. In particolare la misura di Lebesgue su Rn può essere
costruita dall’algebra generata dai parallelepipedi Pa,b “ tx P Rn |ai † xi §
bi u.
Per la misura di Lebesgue in R useremo da ora in poi la notazione utilizzata
per l’integrale di Riemmann µ pd xq ” d x
L

Esercizio. Provare che se f pxq : R ›Ñ R` è una funzione abbastanza re-


golare (specificare), allora l’integrale definito in precedenza su pR, B, dxq è
uguale all’integrale di Riemann della stessa funzione.

3.3 Tre teoremi della teoria dell’integrazione



Dato lo spazio di misura p⌦, , µq:

Teorema 53 (Convergenza monotona). Sia tfn pxqu8 n“1 una successione di


funzioni non negative, crescente pfn`1 pxq • fn pxq per quasi ogni x P ⌦q.
Sia f pxq “ nÑ8
lim fn pxq (che certamente esiste - finito o infinito - per quasi
ogni x). Le fn pxq siano tutte integrabili. Allora:
ª ª
lim fn pxqµpdxq “ f pxqµpdxq
nÑ8
⌦ ⌦

con f integrabile se e solo se il limite al primo membro è finito.

Dimostrazione. Per ogni t fissato, gli insiemi tx P ⌦ | fn pxq ° tu sono ciascu-


no contenuto nel successivo, data la non decrescenza della successione. Per
le proprietà della misura, dunque:
lim µptx P ⌦ | fn pxq ° tuq
nÑ8
˜ ¸
§8
“µ tx | fn pxq ° tu
n“1
“ µptx | f pxq ° tuq
3.3. TRE TEOREMI DELLA TEORIA DELL’INTEGRAZIONE 115

Osservazione 54. L’uguaglianza degli insiemi garantisce la misurabilità del-


l’ultimo, quindi di f .
Resta dunque da dimostrare una proprietà dell’integrale di Riemann:
Proposizione 55. Sia data una successione di funzioni positive ª 8non cre-
scenti pgn ptq ° 0, gn ptq • gn psq s ° tq, tali che esista, finito, gn ptqdt.
0
Se la successione è crescente in n, a t fissato pgn`1 ptq • gn ptqq, allora
ª8 ª8´ ¯
lim gn ptqdt “ lim gn ptq dt
nÑ8 nÑ8
0 0
ªV
(Provarlo per l’ gn dt, con 0 † v † V † 8, dimostrando che le somme
v
superiori e inferiori S n e sn convergono per n Ñ 8 e la loro di↵erenza va a
0, raffinando la suddivisione, uniformemente in n. Passare poi al limite per
v Ñ 0, V Ñ 8).
Questo chiude la dimostrazione del teorema.
Teorema 56 (Lemma di Fatou). Se tfn u8 n“1 è una successione di funzioni
non negative ñ lim inf
nÑ8
f n pxq ” f pxq è misurabile e
ª ª
lim inf fn pxqµpdxq • f pxqµpdxq
nÑ8
⌦ ⌦

Se il membro di sinistra risulta finito, f è integrabile.


(Se an è una successione di numeri reali, inf ak è una successione non
k•n
decrescente in n, e per definizione sup inf ak “ lim inf ak ” lim inf an ).
n k•n nÑ8 k•n nÑ8

Per la prova del lemma vedi il capitolo III degli appunti nella forma estesa
Teorema 57 (Convergenza dominata). Se tfn u8 n“1 è una successione di fun-
zioni complesse, integrabili, che convergono a f pxq per µ-quasi ogni x, ed
esiste una funzione integrabile, non negativa, Gpxq, tale che
|fn pxq| § Gpxq @ n “ 1, . . . , m, . . . e per quasi ogni x
allora
ª ª
|f pxq| § Gpxq
looooooomooooooon e lim
nÑ8
fn pxqµpdxq “ f pxqµpdxq
⌦ ⌦
ovvio
116 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Per la prova del Teorema vedi il capitolo III degli appunti nella forma estesa
Il teorema di dominata convergenza fornisce una condizione sufficiente per
lo scambio di limite e integrale che sarà fondamentale per le applicazioni che
seguiranno.

3.4 Misura prodotto e teorema di Fubini


Il risultato che segue, di cui non verrà data dimostrazione, è anche la defi-
nizione di misura prodotto. Siano p⌦1 , ⌃1 , µ1 q e p⌦2 , ⌃2 , µ2 q due spazi di
misura.
Consideriamo lo spazio prodotto cartesiano ⌦1 ˆ ⌦2 :
⌦ ” ⌦1 ˆ ⌦2 “ tpx1 , x2 q | x1 P ⌦1 , x2 P ⌦2 u
Si dicono rettangoli gli insiemi A “ A1 ˆ A2 con A1 P ⌃1 , A2 P ⌃2
A1 ˆ A2 “ tpx1 , x2 q | x1 P A1 , x2 P A2 u
Definiamo la -algebra ⌃ ” ⌃1 ˆ ⌃2 come la più piccola -algebra di sottoin-
siemi di ⌦ che contiene tutti i rettangoli.
Dato A P ⌃, siano
A1 px2 q “ tx1 P ⌦1 | px1 , x2 q P Au e A2 px1 q “ tx2 P ⌦2 | px1 , x2 q P Au
le “sezioni a x2 o x1 fissato”. Si può dimostrare che ogni insieme della
-algebra ⌃ ha la proprietà delle sezioni cioè vale che
@ A P ⌃ @ x 2 P ⌦ 2 , x1 P ⌦ 1 A1 px2 q P ⌃1 , A2 px1 q P ⌃2
.

Misura prodotto Siano p⌦1 , ⌃1 , µ1 q e p⌦2 , ⌃2 , µ2 q due spazi di misura -


finita. Sia A un insieme misurabile (P ⌃1 ˆ ⌃2 definito precedentemente) e
indichiamo con A1 pxq le sue sezioni per ciascun x di ⌦2 (tutte misurabili,
cioè P ⌃1 ) e con A2 pyq le sezioni per ciascun y di ⌦1 (tutte misurabili cioè
P ⌃2 ).
Allora:
ª ª
µpA1 pxqq µpdxq “ µpA2 pyqq µpdyq
⌦2 1 2 ⌦1 2 1

” pµˆ µq pAq
1 2
3.5. SPAZI LP 117

Teorema 58. (Teorema di Fubini)


Se p⌦1 , ⌃1 , µ1 q, p⌦2 , ⌃2 , µ2 q sono due spazi di misura -finita, f :
⌦1 ˆ ⌦2 Ñ C è una funzione misurabile (i suoi insiemi di livello sono in
⌃1 ˆ ⌃2 ) e integrabile rispetto a µˆ µ. Allora:
1 2

ª ª ˆª ˙
f px, yqpµˆ µq pdx dyq “ f px, yq µpdyq µpdxq
⌦1 ˆ⌦2 1 2 ⌦1 ⌦2 2 1
ª ˆª ˙
“ f px, yqµpdxq µpdyq
⌦2 ⌦1 1 2

3.5 Spazi LP
Sia p⌦, ⌃, µq uno spazio di misura, e consideriamo l’insieme delle funzioni f
da ⌦ Ñ C misurabili , tali che |f |p sia integrabile (l’esponente p è in principio
un qualunque valore reale 1 § p † 8, anche se noi considereremo solo valori
razionali).

Lemma 59. Se f e g sono p-integrabili p” |f |p e |g|p sono integrabili),


allora f e f ` g lo sono.
Infatti:

| f pxq|p “ | |p |f pxq|p e |f pxq ` gpxq|p § 2p´1 p|f pxq|p ` |gpxq|p q

Dimostrazione. Per p “ 1 è certamente vero che |a`b| § |a|`|b|. Ipotizziamo


la disuguaglianza vera per p. Allora

|a ` b|p`1 “ |a ` b| |a ` b|p § p|a| ` |b|qp|a|p ` |b|p q2p´1


“ 2p p|a|p`1 ` |b|p`1 q ` 2p´1 p|a| |b|p ` |b| |a|p ´ |a|p`1 ´ |b|p`1 q
“ 2p p|a|p`1 ` |b|p`1 q ` 2looooooooooooooomooooooooooooooon
p´1
p|b|p ´ |a|p qp|a| ´ |b|q
†0
p p`1 p`1
§ 2 p|a| ` |b| q

(generalizzare la prova ad ogni p reale ° 1).


118 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Lo spazio delle funzioni p-integrabili è quindi uno spazio vettoriale su C.


Per ogni f p-integrabile definiamo
ˆª ˙1{p
p
}f }p ” |f pxq| µpdxq

con le proprietà:
A) } f }p “ | | }f }p

}f }p “ 0 ñ f pxq “ 0 per µ ´ quasi ogni x in ⌦

}f }p “ 0 non implica dunque che f pxq “ 0 ovunque, che sia cioè lo zero
della somma nello spazio vettoriale. Perché } ¨ }p definisca una “distanza
dall’origine” bisogna ridefinire l’uguaglianza a zero di una funzione (e quindi
l’uguaglianza tra due funzioni).
Si consideri nello spazio vettoriale delle funzioni p-integrabili la relazione di
equivalenza
f „ g se f pxq ´ gpxq “ 0 µ ´ quasi ovunque
(che ha evidentemente le proprietà di una relazione di equivalenza
f „f; f „gôg„f; f „ g e g „ h ñ f „ hq
Ad ogni f possiamo associare la classe di equivalenza di tutte le funzioni
equivalenti a f . Due funzioni non equivalenti appartengono a classi di↵erenti.
Se f „ g ñ f „ g e se f1 „ g1 e f2 „ g2 , f1 `f2 „ g1 `g2 , quindi all’insieme
delle classi di equivalenza si può dare la struttura di spazio vettoriale.
Consideriamo ora lo spazio vettoriale delle funzioni f pxq : ⌦ Ñ C che sono
essenzialmente limitate (D k ° 0 : |f pxq| † k per µ-quasi ogni x), e
definiamo:
}f }8 “ inftk ° 0 : |f pxq| † k per µ ´ quasi ogni xu
Come precedentemente
} f }8 “ | | }f }8
}f }8 “ 0 ñ f “ 0 per µ ´ quasi ogni x P ⌦
Ancora: }f }8 “ 0 non implica che f “ 0 ovunque, e conviene definire
nello spazio vettoriale delle funzioni essenzialmente limitate la relazione di
3.5. SPAZI LP 119

equivalenza e le corrispondenti classi di equivalenza definite precedentemente.


Come precedentemente all’insieme delle classi di equivalenza, si può dare la
struttura di spazio vettoriale.

Proposizione 60. : Se }f }p † 8 e }f }8 † 8 allora


a) }f }p1 † 8 @ p1 ° p. In particolare se µp⌦q † 8 allora }f }8 † 8
implica }f }p † 8 per ogni p • 1 (o meglio }f }p1 † 8 implica }f }p †
8 @p § p1 );

b)
}f }8 “ lim
1
}f }p1
p Ñ8

Dimostrazione. Basta notare che per µ quasi ogni x


1 1
|f pxq|p § }f }p8´p |f pxq|p
1 ´pq{p1 1
ñ }f }p1 § }f }pp
8 }f }p{p
p

Se µp⌦q † 8 ogni funzione essenzialmente limitata è anche integrabile dato


che }f }1 § }f }8 µp⌦q. In questo caso quindi, }f }8 † 8 implica }f }p †
8 @p • 1. Sempre nel caso di spazi di misura finita, l’applicazione della
disuguaglianza di Hölder (vedi la pagina successiva per enunciato e prova) al
prodotto della funzione identità per la funzione |f |p fornisce la disuguaglianza
1 1 1
}f }p § µp⌦q1{pp p q }f }pq1 @q 1 ° 1 1
` 1 “1
q p
che conclude la prova dell’enunciato a) della proposizione.
La prova della proprietà b) è lasciata come esercizio.

Definizione Indicando col simbolo { „ l’operazione di quoziente di un


insieme rispetto alla relazione di equivalenza „ definiamo

Lp p⌦q “ funzioni p-integrabili { „


L8 p⌦q “ funzioni essenzialmente limitate { „

ovvero Lp (rispettivamente L8 ) è lo spazio vettoriale delle classi di equivalen-


za di funzioni p-integrabili (rispettivamente essenzialmente limitate) uguali
µ-quasi ovunque in ⌦.
120 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

In Lp p⌦q
B) }f }p “ 0 ñ f “ 0 p1 § p § 8q
dove }f }p non dipende da quale elemento della classe di equivalenza di f viene
usato per il calcolo dell’integrale e f “ 0 indica la classe di equivalenza della
funzione nulla ovunque, cioè la classe delle funzioni “ 0 µ-quasi ovunque.
Per provare che } }p soddisfa la disuguaglianza triangolare e può quindi
definire una distanza dall’origine, proviamo l’importante disuguaglianza:

Teorema 61 (Disuguaglianza di Hölder). Se 1 § p § 8 e q è tale che


1 1
` “ 1 (indice “duale a p”) e
p q

f P Lp p⌦q , g P Lq p⌦q

allora
f ¨ g P L1 p⌦q
e ª
}f g}1 “ |f pxqgpxq| µpdxq § }f }p }g}q

Dimostrazione. La prova discende da una disuguaglianza che è una semplice


conseguenza delle proprietà di concavità della funzione logaritmo.
3.5. SPAZI LP 121

La corda che congiunge nel grafico i punti di coordinate px, ln xq e py, ln yq


rimane sempre al di sotto del grafico della funzione nell’intervallo rx, ys.
Parametrizzando i punti dell’intervallo rx, ys con x`p1´ qy, 0 § § 1,
la disuguaglianza si legge

ln x ` p1 ´ q ln y § lnp x ` p1 ´ qyq
ñ x y 1´ § x ` p1 ´ qy

essendo il logaritmo una funzione crescente.


Scegliendo
ˆ ˙
|f pxq|p |gpxq|q 1 1
x“ y“ “ ñ1´ “
}f }pp }g}qq p q
|f pxq| |gpxq| 1 |f pxq|p 1 |gpxq|q
ñ § `
}f }p }g}q p }f }pp q }q}qq
che integrata su ⌦ prova la disuguaglianza:
ª
1 1 1
|f pxq| |gpxq| µpdxq § ` “ 1.
}f }p }g}q ⌦ p q

1 ì 2
Esercizio. Provare che se f P Lp p⌦q Lp p⌦q con p2 ° p1 allora f P
Lp p⌦q @p1 § p § p2 qualunque sia la misura di ⌦.

Dalla disuguaglianza di Hölder si ricava facilmente la disuguaglianza trian-


golare
C) se f , g P Lp p⌦q }f ` g}p § }f }p ` }g}p
Infatti

|f pxq ` gpxq|p “ |f pxq ` gpxq| |f pxq ` gpxq|p´1


§ |f pxq| |f pxq ` gpxq|p´1 ` |gpxq| |f pxq ` gpxq|p´1

Tenendo conto che p “ 1 ` p{q, integrando i due membri su ⌦ e utilizzando


la disuguaglianza di Hölder:
ˆª ˙1{q
p p
}f ` g}p § p}f }p ` }g}p q |f pxq ` gpxq| µpdxq
looooooooooooooooomooooooooooooooooon

}f `g}p´1
p
122 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

} }p è dunque una norma in Lp p⌦q, cioè un’applicazione da Lp p⌦q Ñ R` con


le proprietà A), B) e C).

Nel caso p “ q “ 2 la disuguaglianza di Hölder diventa la disuguaglianza


Schwarz
ˇª ˇ ª
ˇ ˇ
ˇ f pxqgpxqµpdxqˇ § |f pxq| |gpxq| µpdxq § }f }2 }g}2
ˇ ˇ
⌦ ⌦

La disuguaglianza assicura che per ogni coppia di funzioni (classi, in e↵etti)


P L2 p⌦q esiste il prodotto scalare
ª
pf, gq ” f¯pxqgpxqµpdxq (3.3)

e in termini di tale prodotto la norma risulta

}f }22 “ pf, f q

Il prodotto scalare (3.3) ha le proprietà:

• pf, g ` hq “ pf, gq ` pf, hq

• pf, gq “ pf, gq

• pf, gq “ pg, f q

• pf, f q • 0, con pf, f q “ 0 ô f “ 0


dalle quali, come abbiamo visto nella prima parte del corso, la disuguaglianza
di Schwarz potrebbe essere dedotta senza ulteriori ipotesi.

Teorema 62 (Completezza degli spazi Lp p⌦q). 1 § p § 8 sia fn pxq una


successione di Cauchy in Lp p⌦q 1 .
Allora esiste un’unica f P Lp p⌦q tale che

lim }fn ´ f }p “ 0
nÑ8

ed esiste una successione tfnk u, con nk`1 ° nk , con le proprietà


1
p@✏ ° 0 DN p"q Ñ }fn ´ fm }p † " per n, m ° N p"qq
3.5. SPAZI LP 123

• |fnk pxq| § F pxq @ k e µ ´ quasi ogni x, con F pxq P Lp p⌦q non nega-
tiva

• lim fnk pxq “ f pxq per µ quasi ogni x (convergenza puntuale µ-


kÑ8
q.o.).
Per la prova del teorema vedi il capitolo III degli appunti nella forma
estesa. Qui basterà sottolineare un corollario del teorema
Corollario 63. Se f pjq è una successione di funzioni continue dall’insieme
aperto ⌦ Ä Rn a C che converge in Lp p⌦q alla funzione continua f allora
esiste una sottosuccessione f pjk q che tende a f puntualmente lim f pjk q pxq “
kÑ8
f pxq @x P ⌦

Esempi di spazi Lp p⌦q



⌦ “ t1, . . . , N u , ⌃ “ Pp⌦q insieme delle parti ⌦
µpAq “ #pAq “ numero di punti di ⌦ in A
f : ⌦ Ñ C “ N -pla di numeri complessi f p1q, f p2q, . . . , f pN q
ÿ
N
f pxq “ f piq i pxq, con i pxq “ 1 x “ i
i“1

i pxq “0 x‰i
# +1{p
ÿ
N
}f }p “ |f piq|p
i“1

In particolare L2 p⌦q è l’insieme delle N -ple di complessi tZi uN


i“1 ” Z,
con norma ˜ ¸1{2
ÿN
}Z}2 “ |Zi |2 “ pZ, Zq1{2
i“1

dove
ÿ
N
pZ, W q “ Z̄i Wi (3.4)
i“1

L2 p⌦q “ CN con la struttura euclidea data dal prodotto scalare (3.4).


124 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

• ⌦ “ N “ t0, 1, . . . , n, . . .u , “ Pp⌦q , µpAq “ #A
Lp p⌦qp” lp q “ insieme delle successioni tan u8
n“0 ” a, an P C, @ n e
8
ÿ
|ai |p † 8
i“0
# +1{p
8
ÿ
p
}a}p “ |ai |
i“0

Vale la disuguaglianza di Hölder


8
ÿ 1 1
}ab}1 “ |ai | |bi | § }a}p }b}q 1 § p, q § 8 ` “1
i“1
p q

Per p “ 2
Lp p⌦q “ l2 successioni tan u8
n“0 ” a
# +1{2
8
ÿ ÿ8
|an |2 † 8 }a}2 “ |an |2
i“0 i“0
8
ÿ
1{2
}a}2 “ pa, aq con pa, bq “ āi bi
i“0


• ⌦ aperto di Rn , “ B⌦ insieme degli insiemi di Borel di ⌦, µpdxq ” dx
misura di Lebesgue su ⌦.
Lp p⌦q “ funzioni p-integrabili su ⌦
"ª *1{p
p
}f }p “ |f pxq| dx

2
L p⌦q “ funzioni a quadrato sommabile su ⌦
"ª *1{2 ª
}f }2 “ 2
|f pxq| dx “ pf, f q , con pf, gq “ f¯pxq gpxq dx
1{2
⌦ ⌦

Osservazione 64. Il teorema di completezza degli spazi Lp p⌦q, alla luce degli
esempi dati precedentemente, costituisce una prova unificata della completez-
za degli spazi Cn (con norma eulidea) e di l2 data indipendentemente nel
capitolo 2.
3.6. ALCUNE PROPRIETÀ DI LP pRN q 125

3.6 Alcune proprietà di LppRnq


Per le funzioni da Rn a C utilizzeremo alcune notazioni e definizioni che
indichiamo qui di seguito:

• si definirà supporto di una funzione continua f la chiusura dell’insieme


di Rn in cui la funzione è diversa da 0 supp f “ tx P Rn | f pxq ‰ 0u;

• è facile rendersi conto che la definizione precedente non costituisce una


definizione non ambigua di supporto per funzioni definite solamente
quasi-ovunque. Definiremo quindi supporto essenziale di una funzione
g di Lp pRn q il complementare del più grande aperto
§ in cui la funzione è
nulla quasi ovunque: esssupp g “ R z⌦ con ⌦ “
n
O, tO aperti di Rn
| gpxq “ 0 per q.o.´ x P Ou (verificare che per una funzione continua
le due definizioni sono equivalenti);

• C08 pRn q è lo spazio vettoriale delle funzioni a valori complessi, definite


su Rn , tali da avere derivate parziali continue di tutti gli ordini, e che
hanno inoltre supporto compatto (esiste quindi una sfera chiusa al di
fuori della quale la funzione è identicamente nulla);

• C 8 pRn q è lo spazio vettoriale delle funzioni Rn Ñ C con derivate parziali


continue di tutti gli ordini;
î
• Sia ↵ “ ↵1 . . . ↵n con ↵i P N t0u un multi-indice ∞ di n numeri interi
maggiori o uguali a zero. Definiamo |↵| “ ni“0 ↵i . Con D↵ g indi-
cheremo una generica derivata parziale di ordine |↵| della funzione g:

↵ B |↵| g
D g ” ↵1 (3.5)
Bx1 . . . Bx↵nn
Definizione Date due funzioni f e g definite in Rn , a valori in C, misurabili,
si definisce loro convoluzione la funzione f ˚ g, Rn Ñ C:
ª ª
pf ˚ gqpxq ” f px ´ yq gpyq dy “ f pyq gpx ´ yq dy
Rn Rn

Per analizzare condizioni sufficienti su f e g perché la convoluzione sia ben


definita, notiamo:
• la funzione |f px ´ yq| |gpyq| da R2n in C è misurabile
126 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

• se f P Lp pRn q e g P Lq pRn q allora la convoluzione esiste finita per ogni


x

• se f e g appartengono a L1 pRn q esiste l’integrale


ª "ª *
|gpyq| |f px ´ yq| dx dy “ }f }1 }g}1
Rn Rn

quindi la convoluzione è integrabile, in particolare finita quasi ovunque,


e la sua norma L1 è pari a }f }1 }g}1

• se f P L8 pRn q e g P L1 pRn q f ˚ g esiste per quasi ogni x e appartiene a


L8 ª
|gpyq| |f px ´ yq| dy § }f }8 }g}1
Rn

Se ⌦ è un insieme borelliano di Rn e f e g sono due funzioni da ⌦ a C, si


considerano le loro estensioni f˜ e g̃ da Rn a C:

f˜pxq “ f pxq x P ⌦ g̃pxq “ gpxq x P ⌦


e
f˜pxq “ 0 xR⌦ g̃pxq “ 0 xR⌦
e si definisce loro convoluzione la funzione da ⌦ Ñ C che associa ad ogni
xP⌦ ª
pf ˚ gqpxq ” f˜px ´ yq g̃pyq dy
Rn

Definizione Sia Jm pxq, m “ 1, . . . , k, . . . una successione di funzioni inte-


grabili in Rn con le proprietà:

• }Jm }1 § k @ m , per qualche k ° 0


ª
• Jm pxq dx “ 1 @m
Rn

ª
• lim |Jm pxq| pgpxq ´ gp0qq dx “ 0
mÑ8
Rn
3.6. ALCUNE PROPRIETÀ DI LP pRN q 127

per ogni funzione g continua da Rn a C, limitata.


La successione Jm si dice essere una unità approssimata. (Quando avremo
introdotto la teoria delle distribuzioni analizzeremo le relazioni tra unità
approssimate e approssimazioni della distribuzione ”delta nell’origine”).

ª
Esempio Data una funzione J P L pR q con 1 n
Jpxq dx “ 1, la successione
Rn
Jm pxq “ mn Jpmxq soddisfa le proprietà elencate precedentemente:
ª ª
• Jm pxq dx “ Jpxq dx “ 1
Rn Rn
ª ª
• |Jm pxq| dx “ |Jpxq| dx “ }J}1
Rn Rn
ª ª ´y¯
• |Jm pxq| gpxq dx “ |Jpyq| g dy
Rn Rn m
poiché |Jpyq| gp my q § psupRn |g|q |Jpyq|, per il teorema di dominata conver-
genza ª ª
´y¯
lim |Jpyq| g dy “ gp0q |Jpyq| dy
mÑ8
Rn m Rn
In particolare:
1
a) J p1q pxq “ e´|x|
2

⇡ n{2
1
´
p2q e 1´|x|2
b) J pxq “ ≥ ´ 1 |x| § 1
|x|§1
e 1´|x|2 dx
“ 0 |x| ° 1 (3.6)

Teorema 65 (Teorema di Approssimazione). Se f : Lp pRn q e Jm pxq è una


unità approssimata, allora fm pxq ” pJm ˚ f qpxq ha le proprietà:
a) }fm }p § k}f }p pfm P Lp pRn q q
b) mÑ8lim }fm ´ f }p “ 0 pfm Ñ f in Lp pRn qq
c) se Jm pxq “ mn Jpmxq con J P C08 pRn q (vedi J p2q ),
allora fm P C 8 pRn q e D↵ fm “ pD↵ Jm q ˚ f .
128 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Il teorema garantisce che le funzioni Lp , infinitamente di↵erenziabili, siano


dense in Lp pRn q e fornisce un metodo “costruttivo” di regolarizzazione locale,
tramite convoluzione, di ogni funzione f P Lp pRn q.
Un teorema analogo è naturalmente valido per ogni Lp p⌦q, con ⌦ borelliano
di Rn .

Il risultato si estende al seguente:


Teorema 66 (Densità di C08 pRn q in Lp pRn q ). Le funzioni infinitamente
di↵erenziabili a supporto compatto in Rn (che certamente appartengono a
Lp pRn q per ogni p) sono dense in Lp pRn q.
Il teorema di densità è, a sua volta, una semplice conseguenza del
Lemma 67. Per ogni ⌦ aperto, limitato, di Rn esiste una successione di fun-
zioni reali non negative 0 § gm § 1, infinitamente di↵erenziabili, a supporto
lim gm pxq “ 1 per ogni x P ⌦ e mÑ8
compatto, tali che mÑ8 lim gm pxq “ 0 per ogni
x P R zK per ogni compatto K Å ⌦✏ @✏ ° 0 (vedi la prova del lemma per la
n

definizione) .
prova del lemma. Per provare il lemma è sufficiente considerare l’insieme ⌦✏
dei punti di Rn che distano da ⌦ meno di ✏.
p2q
Sia ⌦✏ la funzione caratteristica di ⌦✏ e consideriamo la funzione Jm ˚ ⌦✏
p2q
con Jm l’identità approssimata, con funzioni a supporto compatto, definita
in (3.6). È facile verificare che per m ° 1{✏ la funzione cosı̀ definita vale 1 in
⌦ e il suo supporto è contenuto nell’insieme ⌦2✏ dei punti di Rn che distano
da ⌦ meno di 2✏. La funzione è inoltre infinitamente derivabile.

prova del teorema di densità. Il teorema di approssimazione garantisce che


esista una successione di funzioni fm P Lp p⌦q, infinitamente di↵erenziabili,
convergenti a f in Lp p⌦q. Sia gm la successione che si ottiene, come nel
lemma precedente, approssimando con funzioni C08 pRn q le funzioni caratte-
ristiche delle sfere di raggio m. La successione gm fm è costituita da funzioni
infinitamente derivabili, a supporto compatto e tende a f in Lp p⌦q essendo
}gm fm ´ f }p § }gm fm ´ fm }p ` }fm ´ f }p (3.7)
e ª
lim
mÑ8
|fm pxq|p dx “ 0 (3.8)
|x|°m
per il teorema di dominata convergenza.
3.7. GLI SPAZI L2 pIq , I Ä R INTERVALLO DI R 129

La prova del teorema di approssimazione non verrà data qui di seguito


e può essere trovata, per il solo caso p “ 2, nella versione estesa del cap.
3 degli appunti. La dimostrazione non è immediata e utilizza le proprietà
di regolarità interna ed esterna della misura di Lebesgue che abbiamo solo
enunciato senza darne dimostrazione.
Riferendoci alle definizioni date a inizio corso possiamo sintetizzare le
proprietà degli spazi Lp pRn q come segue:

• Lp pRn q è uno spazio di Banach per ogni 1 § p § 8 e per ogni n naturale

• L2 pRn q è uno spazio di Hilbert per ogni n naturale

• C08 pRn q è un sottoinsieme denso in L2 pRn q

Con pochi passaggi ulteriori si può provare il


Teorema 68. L2 pRn q (o L2 p⌦q per ⌦ Ä Rn ) è separabile.
Non dimostreremo il teorema, ma è facile rendersi conto che le funzioni a
valori razionali (cioè con parte reale e parte immaginaria razionale), costanti
in cubi di lato razionale, che ricoprono Rn , possono approssimare in norma
L2 pRn q ogni funzione infinitamente di↵erenziabile a supporto compatto, e
quindi ogni funzione di L2 pRn q.
In particolare, come abbiamo dimostrato, L2 pRn q (o L2 p⌦q per ⌦ Ä Rn )
ha certamente una base ortonormale numerabile ed è omeomorfo a l2 .

3.7 Gli spazi L2pIq , I Ä R intervallo di R


Consideriamo inizialmente il caso I “ p´1, 1q e dimostriamo che i polinomi
costituiscono un insieme denso in L2 pIq.

Teorema 69. Per ogni f P L2 pIq ed ogni " ° 0, esiste un polinomio P pxq
tale che
}f ´ P }L2 pIq † "
p1 ´ x2 qm
Dimostrazione. Utilizziamo il teorema di approssimazione con Jm pxq “ ≥1
p1 ´ y 2 qm dy
´1
e dimostriamo innanzitutto che le Jm abbiano le caratteristiche delle unità
approssimate.
130 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Essendo Jm pxq • 0 si ha evidentemente


ª1
Jm pxq dx “ }Jm }1 “ 1 @m
´1

Il calcolo esplicito dell’integrale al denominatore dà


ª1
2mp2m ´ 2q ¨ ¨ ¨ ¨ 2
p1 ´ y 2 qm dy “ 2
´1 p2m ` 1qp2m ´ 1q ¨ ¨ ¨ ¨ 1
Per provarlo basterà verificare il risultato per m “ 1, caso in cui l’integrale
vale 4{3, e l’uguaglianza
ª1 ª
2 m`1 2m ` 2 1
p1 ´ y q dy “ p1 ´ y 2 qm dy
´1 p2m ` 3q ´1
che si ottiene integrando per parti nell’integrale
? al primo membro.
Usando la formula di Stirling ( n! „ 2⇡npn{eqn ), verificare che l’anda-
mento per grandi m dell’integrale è
ª1
1
p1 ´ y 2 qm dy „ ?
´1 m

È ora facile provare la terza proprietà richiesta ad una unità approssimata.


Per ogni funzione continua f in r´1, 1s si ha
ª1 ª1
2 m
f pxq p1 ´ x q dx pf pxq ´ f p0qqp1 ´ x2 qm dx
´1
ª1 “ f p0q ` ´1 ª 1
p1 ´ x2 qm dx p1 ´ x2 qm dx
´1 ´1

@" ° 0 D : |f pxq ´ f p0q| † " se |x| †

dunque
ª ª
2 m
pf pxq ´ f p0qq p1 ´ x q dx pf pxq ´ f p0qq p1 ´ x2 qm dx
|x|† |x|°
“ f p0q ` ª1 ` ª1
2 m
p1 ´ x q dx p1 ´ x2 qm dx
´1 ´1
“ f p0q `
3.7. GLI SPAZI L2 pIq , I Ä R INTERVALLO DI R 131

2 m
?
con | | § " ` 2 sup |f pxq ´ f p0q| p1 ´ q m
´1§x§1
Quindi:
ª1
f pxqp1 ´ x2 qm dx
´1
lim
mÑ8
ª1 “ f p0q
2 m
p1 ´ x q dx
´1

Per il teorema di approssimazione

}Jm ˚ f ´ f }2 mÑ8
݄ 0

con ª1
f pyq p1 ´ px ´ yq2 qm dy
´1
pJm ˚ f q pxq “ ª1
p1 ´ y 2 qm dy
´1

che è evidentemente un polinomio di grado 2m in x. @ " ° 0 esiste dunque


un polinomio Pm p✏q di grado 2mp✏q tale che:

}Pmp✏q ´ f }2 † "

3.7.1 I Polinomi di Legendre


Poiché ogni polinomio è approssimabile in L2 pIq con un polinomio a coeffi-
cienti razionali, è possibile costruire una base ortonormale completa a partire
da quest’ultimo insieme di polinomi.
dj
Definiamo i polinomi Rj pxq “ j px2 ´ 1qj di ordine j. Si verifichi, per
dx
integrazione per parti, che per ogni m, n con m ‰ n
ª1
Rm pxq Rn pxq dx “ 0
´1

e che ª1 ª1
Rn2 pxq dx “ p2nq! p1 ´ x2 qn dx
´1 ´1
132 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

da cui
ª1
2np2n ´ 2q ¨ ¨ ¨ ¨ 2
Rm pxq Rn pxq dx “ mn p2nq! 2
´1 p2n ` 1qp2n ´ 1q ¨ ¨ ¨ ¨ 1
pn!q 2
2 2n`1
“ mn
2n ` 1
c
1 2n ` 1
Il sistema wn pxq “ n
Rn pxq è quindi un sistema ortonormale
n! 2 2
di polinomi di qualunque grado . Poiché le combinazioni lineari delle wn pxq
contengono tutti i polinomi, il sistema ortonormale è completo.
Storicamente sono stati utilizzati i polinomi non normalizzati
c
2 1 dn
Pn pxq “ wn pxq “ px2 ´ 1qn
2n ` 1 n
n! 2 dx n

detti polinomi di Legendre.


Esercizio. Verificare (Teorema di approssimazione di Weierstrass) che se
f pxq è una funzione continua in p´1, 1q, limitata in r´1, 1s (quindi appar-
tiene a L2 p´1, 1q), allora Jm ˚ f tende a f uniformemente:
@ " ° 0 D M : sup |pJm ˚ f qpxq ´ f pxq| † " @m ° M
|x|§1

3.7.2 La base trigonometrica


" *
1
Mostriamo ora che il sistema ortonormale ? , sin n⇡x , cos n⇡x (pro-
2
1
varne l’ortonormalità) o equivalentemente il sistema wn pxq “ ? ein⇡x , con
2
n “ 0, ˘1, ˘2, . . ., è completo in L2 p´1, 1q. A tale scopo dobbiamo mostrare
che le somme parziali SN
ÿ
N
ein⇡x
SN pxq “ cn ?
n“´N
2
8
ÿ ein⇡x
della serie trigonometrica di Fourier cn ? tendono, per N Ñ 8, in
n“´8 2
L p´1, 1q alla funzione f i cui coefficienti di Fourier sono i cn :
2

ª1
1
cn “ pwn , f q “ ? e´in⇡y f pyq dy
2 ´1
3.7. GLI SPAZI L2 pIq , I Ä R INTERVALLO DI R 133

Infatti:
ª1 ÿ
N
1
SN pxq “ ein⇡px´yq f pyq dy
2 ´1 n“´N

“ pDN ˚ f qpxq ´1§x§1


con
1 sinrpN ` 1{2q⇡xs
DN pxq “
2 sin ⇡x
2
come si deduce da
ÿ
N ÿ
N ÿ
N
1 ´ eipN `1q↵ e´i↵ ´ e´ipN `1q↵
e in↵
“ e in↵
` e´in↵ “ ` “
n“´N n“0 n“1
1 ´ ei↵ 1 ´ e´i↵
´i ↵ ipN `1q↵ ↵
e 2 p1 ´ e q ei 2 pe´i↵ ´ e´ipN `1q↵ q sinpN ` 1{2q↵
↵ ↵ ` i↵ ↵ “
e´i 2 ´ ei 2 ´i
e 2 ´e 2 sin ↵2
Mostriamo che la successione DN (nucleo di Dirichlet) non ha tutte le
caratteristiche richieste ad una unità approssimata.
Se è vero, infatti, che
ª1 ª ª
1 1 ÿ N
in⇡x 1 1
DN pxq dx “ e dx “ dx “ 1 @ N
´1 2 ´1 n“´N 2 ´1

e che
“ ‰ ˆ ˙
1 sin pN ` 12 q⇡x 1
lim DN p0q “ lim lim “ lim N ` “8
N Ñ8 2 N Ñ8 xÑ0 sin ⇡x
2
N Ñ8 2
vedremo che la condizione }DN }1 † c, con c indipendente da N , non è
soddisfatta. „ˆ ˙ ⇢
1
Consideriamo infatti due zeri consecutivi del sin N ` ⇡x ,
2
n n`1
xn “ e xn`1 “ con n ‰ 0
N` 1
2
N ` 12
⇡x
Il modulo della funzione sin , al denominatore di DN , raggiunge il suo
2
massimo,
„ ˆ tra due˙⇢zeri, per n positivo, nell’estremo superiore xn`1 , dove vale
⇡ n`1
sin .
2 N ` 12
134 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Si ha quindi
ª1 “ ‰ ª n`11 „ˆ ˙ ⇢
| sin pN ` 12 q⇡x | ÿN
1 N` 2 1
dx • ˇ ” ´ ¯ıˇ | sin N ` ⇡x | dx
| sin ⇡x | ˇ ⇡ n`1 ˇ n 2
´1 2 n“1 ˇsin 2 1 ˇ 1
N` 2 N` 2

ÿ
N 1
1
ª n`1
“ ˇ ”´pN ` 2 q ¯ ıˇ | sin ⇡y| dy,
ˇ n`1 ⇡ ˇ n
n“0 ˇsin ˇ
N` 1 2
» 2 fi
ÿ
N n`1 ⇡ ª n`1
1 – N` 1 2 2
“ ”´ 2 ¯ ı | sin ⇡y| dy fl
n“0
n ` 1 sin n`1
1
⇡ ⇡ `n
N` 2 2

che diverge per N Ñ 8, essendo l’espressione in parentesi quadra stretta-


mente positiva per ogni n.

Osservazione 70. Si noti che richieste più restrittive sulla funzione f ga-
rantiscono comunque la convergenza delle SN pxq “ pDN ˚ f qpxq alla f stessa.
Infatti:

ˇª 1 ˇ ˇª 1 ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ D px ´ yq f pyq dy ´ f pxq ˇ “ ˇ D pzq f px ´ zq dz ´ f pxq ˇ
ˇ N ˇ ˇ N ˇ
´1 ´1

in cui si definisce f px ´ zq “ f px ´ z ˘ 2q se x ´ z P r¯2, ¯1s (estensione


periodica della f )
ˇª „ ⇢ ˆ ˙ ˇ
1 ˇˇ 1 1 f px ´ zq ´ f pxq ˇ
“ ˇ sin pN ` q ⇡z ⇡z dz ˇˇ (3.9)
2 ´1 2 sin 2
ª1
dove si è tenuto conto che DN pxqdx “ 1.
´1

Ogni condizione sulla f che garantisca la convergenza a 0 per N Ò 8 della


(3.9), garantisce anche la convergenza puntuale di SN pxq a f pxq. Torneremo
su questo punto in seguito, dopo che avremo provato il lemma di Riemann
– Lebesgue, che fornisce una condizione sufficiente per la convergenza a 0 di
(3.9) quando N tende all’infinito.
Per analizzare la convergenza in L2 p´1, 1q delle SN pxq dimostriamo che
una di↵erente “risommazione” della serie converge in L2 p´1, 1q allo stesso
limite delle SN .
3.7. GLI SPAZI L2 pIq , I Ä R INTERVALLO DI R 135

Definiamo somma di Fejer della funzione f il limite, se esiste, della


successione di funzioni
˜ ¸
ÿN
Si pxq ˆ ª ˙
i“0 c0 1 1
N pxq “ S0 “ ? “ f pyq dy
N `1 2 2 ´1

1
Calcoliamo i coefficienti di Fourier della N nel sistema ortonormale wn pxq “ ? ein⇡x :
2

1 ÿ N
pwn , N q “ pwn , Si q “
N ` 1 i“0
$

’ 0 se |n| ° N

&
“ ÿ
N
cn N ` 1 ´ |n|

’ “ c

% n
i“|n|
N `1 N `1

dove i cn sono i coefficienti di Fourier della funzione f .


Poiché N e SN sono entrambi combinazioni lineari dei wn , si ha

ÿ
N ˆ ˙2
pN ` 1 ´ |n|q
} N ´ SN }22 “ 2
|cn | 1 ´
|n|“0
N `1

che tende a 0 quando N tende all’infinito (provarlo usando il teorema di


dominata convergenza).
Quindi N pxq ha norma limitata, uniformemente in N , da }f }2 (} N pxq} §
ÿ8
|cn |2 § }f }22 per la disuguaglianza di Bessel) e converge allo stesso
n“´8
limite di SN pxq.
Mostriamo che N pxq “ pFN `1 ˚ f qpxq, con

1 sin2 pN ⇡x q
FN pxq “ 2 ⇡x
2
(3.10)
2N sin p 2 q

detto nucleo di Fejer.


136 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Infatti:
´1
1 Nÿ
FN pxq “ Dj pxq
N j“0
´1
1 Nÿ sinrp2j ` 1q ⇡x s
“ ⇡x
2
2N j“0 sin 2

che prova la (3.10), essendo:

ÿ
N ´1 ÿ
N ´1
eip2j`1q↵ ´ e´ip2j`1q↵
sinp2j ` 1q↵ “
j“0 j“0
2i

(sommando le due geometriche)


„ ⇢
1 1 ´ ei2N ↵ 1 ´ e´i2N ↵
“ ´ i↵
2i e´i↵ ´ ei↵ e ´ e´i↵
1 ´ei2N ↵ ` e´i2N ↵ ` 2 sin2 N ↵
“ “
2i e´i↵ ´ ei↵ sin ↵
Le FN pxq hanno tutte le proprietà richieste nel teorema di approssima-
zione: ª1 ª1
FN pxq dx “ |FN pxq| dx “ 1 @ N
´1 ´1
ª1 ´1 ª 1
1 Nÿ
essendo FN pxq • 0 e FN pxq dx “ Si pxq dx “ 1
´1 N i“0 ´1
ª1 ª1
FN pxq f pxq dx “ FN pxq pf pxq ´ f p0qq dx ` f p0q
´1 ´1
݄ f p0q
N Ñ8
@ f continua in p´1, 1q limitata in r´1, 1s

Quest’ultimo risultato è conseguenza delle due disuguaglianze

@" ° 0 D : |f pxq ´ f p0q| †

e
sin2 pN ⇡x q 1
2
2 ⇡x † |x| °
sin 2 sin2 ⇡2
3.7. GLI SPAZI L2 pIq , I Ä R INTERVALLO DI R 137

da cui
ª1 ª ª
|f pxq ´ f p0q| FN pxq dx “ `
´1 |x|† 1•|x|•
ª
1
§ " |FN pxq| dx ` 4 sup |f pxq|
|x|§1 N sin2 ⇡2
1
§ C" per N °
" sin2 ⇡2
ª1
Essendo " arbitrario, la convergenza di FN pxq f pxq dx a f p0q è provata.
´1

Il teorema di approssimazione ci garantisce quindi che pFN ˚ f q 2›Ñ f ,


L r´1,1s
quindi che le N e quindi le SN convergono in L2 p´1, 1q a f . La verifica
che si ha convergenza di SN a f puntuale o uniforme quando richieste più
restrittive siano fatte sulla f verrà fatta in seguito.

L2p0, 1q
Ad ogni funzione f P L2 p0, 1q è possibile associare le due funzioni fp e fd
in L2 p´1, 1q cosı̀ definite:

$ $

’ f pxq ’
’ f pxq

’ ? 0§x§1 ’
’ ? 0§x§1
& 2 & 2
fp pxq “ fd pxq “

’ f p´xq ’
’ f p´xq

’ ’

% ? ´1 § x † 0 % ´ ? ´1 § x † 0
2 2

(trattandosi di funzioni in L2 le definizioni precedenti vanno lette come q.o.


in r0, 1s).
Si ha:
}fp }L2 r´1,1s “ }fd }L2 r´1,1s “ }f }L2 p0, 1q
Le applicazioni Up : fp “ Up f e Ud : fd “ Ud f sono quindi applicazioni
unitarie (isometriche e biunivoche) tra L2 r0, 1s e, rispettivamente, gli spazi
L2p r´1, 1s e L2d r´1, 1s delle funzioni pari e dispari, a quadrato sommabile in
r´1, 1s.
138 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Da quanto ? detto precedentemente,


? si deduce dunque che i sistemi orto-
normali t1, 2 cos n⇡xu e t 2 sin n⇡xu sono due possibili basi ortonormali
per L2 p0, 1q.
Analogamente, la trasformazione
?
U : pU f qpyq “ b ´ a f ppb ´ aq y ` aq

e la sua inversa
ˆ ˙
´1 ´1 1 x´a
U : pU gqpxq “ ? g
b´a b´a

applicano in maniera unitaria L2 ra, bs in L2 p0, 1q e viceversa. I risultati otte-


nuti in L2 r´1, 1s possono quindi essere tradotti in L2 ra, bs per ogni intervallo
ra, bs di R.
Alternativamente, per I “ r´L, Ls possiamo costruire l’applicazione
unitaria UL che trasforma L2 p´1, 1q in L2 p´L, Lq:

1 ´x¯
@ f P L2 p´1, 1q pUL f qpxq “ ? f P L2 p´L, Lq con x P r´L, Ls
L L

con inversa:
?
@ g P L2 r´L, Ls pUL´1 gqpyq “ L gpLyq P L2 r´1, 1s con y P r´1, 1s

(verificare l’unitarietà).

Esercizio. Verificare che la trasformazione che a f P L2 pc, dq associa la


funzione g P L2 pa, bq
c
d´c d´c cb ´ da
gpxq “ fp x` q
b´a b´a b´a

è una trasformazione unitaria da L2 pc, dq a L2 pa, bq per qualunque coppia di


intervalli pa, bq e pc, dq P R.
Considerare il caso pc, dq “ p´1, 1q e pa, bq “ p0, 1q e trovare la base che si
ottiene applicando la trasformazione appena definita alla base trigonometrica
in L2 p´1, 1q. Verificare che essa non corrisponde né alla base dei seni né a
quella dei coseni trovate precedentemente.
3.7. GLI SPAZI L2 pIq , I Ä R INTERVALLO DI R 139

Esercizio. Considerare in L2 p0, 1q gli operatori DD , DN , DP che opera-


no sui vettori di base rispettivamente dei seni, dei coseni e dei twn u n “
0, ˘1, ˘2 . . . trovati alla fine dell’esercizio precedente nella maniera seguente

d2
DD sinpn⇡xq ” n2 ⇡ 2 sinpn⇡xq ´ con condizioni al bordo di Dirichlet
dx2
d2
DN cospn⇡xq ” n2 ⇡ 2 cospn⇡xq ´ 2 con condizioni al bordo di Neumann
dx
d2
DP wn ” 4 n2 ⇡ 2 wn ´ 2 con condizioni al bordo periodiche
dx
Utilizzando la proposizione 15 del capitolo II, provare che sono autoaggiunti
e caratterizzarne il dominio di autoaggiuntezza.

3.7.3 Applicazione del Teorema di Plancherel alla


disuguaglianza isoperimetrica [P]
Nel piano xy consideriamo una curva chiusa descritta dalle equazioni parame-
triche xp⌧ q, yp⌧ q con ´1 § ⌧ § 1. Assumiamo che le funzioni xp⌧ q, yp⌧ q siano
derivabili con derivate in L2 p´1, 1q. Indichiamo con P la lunghezza del peri-
metro della curva e con A l’area racchiusa dalla curva nel piano. Proviamo
che:

P 2 • 4⇡A
dove l’eguaglianza vale solo nel caso in cui la curva sia un cerchio.
Introduciamo l’ascissa curvilinea
ª⌧ a
sp⌧ q “ 9 2 ` ypvq
xpvq 9 2 dv
´⇡

che misura la lunghezza della curva fino a ⌧ ( in particolare sp´⇡q “ 0, sp⇡q “


P ).
Si avrà

ª⇡ a ªP ª⇡
P “ 9 q ` yp⌧
xp⌧ 2 9 q d⌧ “
2 ds A“ 9 qd⌧
xp⌧ qyp⌧
´⇡ 0 ´⇡
140 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

(Vi sono vari modi per convincersi che l’area racchiusa dalla curva è data
dalla formula scritta sopra. Il teorema di Stokes applicato alla forma di↵e-
9 qd⌧ , che ha componente normale del rotore uguale a
renziale xdy “ xp⌧ qyp⌧
1, costituisce il modo probabilmente più formale per provarla)
La riparametrizzazione a xpsq ” xp⌧ psqq, ypsq ” yp⌧ psqq è caratterizzata da
9 2 ` ypsq
funzioni per le quali xpsq 9 2 “ xpsq
9 2 ` ypsq
9 2 “ 1, @ 0 § s § P .
Riscalando l’ascissa curvilinea definendo le nuove coordinate
xptq ” xps “ P pt ` 1q{2q, yptq ” yps “ P pt ` 1q{2q
otteniamo una nuova parametrizzazione in r´1, 1s con funzioni xptq , yptq tali
2
9 2 ` yptq
che xptq 9 2 “ P4 @t P r´1, 1s.
" *
1
In L p´1, 1q scegliamo la base trigonometrica ? , cos n⇡t, sin n⇡t . Nel-
2
2
le ipotesi fatte, saranno valide le seguenti uguaglianze in L2 p´1, 1q
8
ÿ
a0
xptq “ ? ` pan cos n⇡t ` bn sin n⇡tq
2 n“1
8
ÿ
c0
yptq “ ? ` pcn cos n⇡t ` dn sin n⇡tq
2 n“1
8
ÿ
9
xptq “ n⇡p´an sin n⇡t ` bn cos n⇡tq
n“1
8
ÿ
9 “
yptq n⇡p´cn sin n⇡t ` dn cos n⇡tq
n“1

Scrivendo la norma quadra di una funzione di L2 p´1, 1q come somma dei


moduli quadri dei suoi coefficienti di Fourier
ª1 8
ÿ
P2
“ 9 2 ` yptq
pxptq 9 2 qdt “ ⇡ 2 n2 pa2n ` b2n ` c2n ` d2n q
2 ´1 n“1
ª1
A “ 9
xptqyptqdt
´1
ª1
1 2 2
“ 9
pxptq ` yptqq 9
´ pxptq ´ yptqq qdt
4 ´1
8
ÿ
“ ⇡ npan dn ´ bn cn q
n“1
3.7. GLI SPAZI L2 pIq , I Ä R INTERVALLO DI R 141

Pochi passaggi algebrici provano l’eguaglianza

ÿ8
P2
´ 2A “ ⇡ rnpan ´ dn q2 ` npbn ` cn q2 q ` npn ´ 1qpa2n ` b2n ` c2n ` d2n qs
2⇡ n“1

Il termine al primo membro è quindi sempre positivo o nullo. L’uguaglianza


a zero si ha solamente nel caso in cui solo a21 ` b21 ` c21 ` d21 ‰ 0 con a1 ´ d1 “ 0
e b1 ` c1 “ 0. Quindi vale l’uguaglianza solo per curve di equazione
a0
xptq “ ? ` pa1 cos t ´ c1 sin tq
2
c0
yptq “ ? ` pc1 cos t ` a1 sin tq
2
che rappresentano circonferenze.

Vogliamo ora indagare, prima a livello intuitivo, cosa diventi la serie


di Fourier rispetto alla base trigonometrica in L2 p´L, Lq quando L tende
all’infinito. Come abbiamo visto l’insieme ortonormale
1
wn pxq “ ? ein⇡x{L , n “ 0, ˘1, . . .
2L
è una base ortonormale in L2 p´L, Lq e ogni funzione f di L2 p´L, Lq può
essere scritta in tale base come
ÿ8
c
f pxq “ ? n ein⇡x{L
n“´8 2L
con ªL
1
cn “ pwn , f q “ ? e´in⇡x{L f pxq dx
2L ´L
Per f pxq integrabile in R si ha:
ˇ c ˇ ˇª ˇ
ˇ L ˇˇ 1 ˇˇ L ´in⇡x{L ˇ
ˇ
ˇcn ˇ “ ? ˇ e f pxq dxˇˇ † 8
ˇ ⇡ˇ 2⇡ ´L
c
L n⇡
e cn può quindi essere interpretato come il valore in k “ di una
⇡ L
funzione cpkq che, nel limite L ݄ 8, dovrebbe risultare:
ª8
1
cpkq “ ? e´ikx f pxq dx
2⇡ ´8
142 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Nello stesso limite la serie di Fourier relativa a f pxq assume la forma della
somma di Riemann
8
c ´⇡¯
1 ÿ L n⇡
? cn eip L qx

2⇡ n“´8 loomoon L on
loomo
cpk“ n⇡
L q

che suggerisce che i “coefficienti” di Fourier diano la seguente rappresenta-


zione della f ª8
1
f pxq “ ? cpkq eikx dk
2⇡ ´8

3.8 Trasformata di Fourier


Sia f P L1 pRn q. Sulla base delle considerazioni formali fatte precedentemente,
definiamo sua trasformata di Fourier fˆpkq la funzione
ˆ ˙n{2 ª
1
fˆpkq “ e´ik¨x f pxq dx
2⇡ Rn

ÿ
n
k P Rn , k ¨ x “ ki xi . L’integrale è convergente per ogni k P Rn , data l’i-
i“1
potesi f P L1 pRn q. La trasformata di Fourier è evidentemente un’operazione
lineare in L1 pRn q.
È facile inoltre dimostrare le seguenti proprietà:

a) la funzione fˆpkq è continua in k

b) fˆpkq P L8 e }fˆ}8 § p2⇡q´n{2 }f }1 . In particolare se una successione


di funzioni fm P L1 pRn q, @m converge in L1 alla funzione f allora le
trasformate di Fourier fˆm tendono a fˆ in L8 .

c) se f • 0 allora }fˆ}8 “ p2⇡q´n{2 f pxq dx “ p2⇡q´n{2 }f }1 .

Vale il

Lemma 71 (Lemma di Riemann - Lebesgue). Se f P L1 pRn q allora


lim fˆpkq “ 0.
|k|Ñ8
3.8. TRASFORMATA DI FOURIER 143

Dimostrazione. La proprietà è vera, per calcolo diretto, per la funzione ca-


ratteristica di un qualunque parallelepipedo Pa, b “ tx | ai † xi § bi u:
ª n ª bi
π
´n{2 ´i k¨x ´n{2
p2⇡q e dx “ p2⇡q e´iki xi dxi “
Pa, b i“1 ai
πn
e´iki bi ´ e´iki ai
“ p´1qn p2⇡q´n{2 ›Ñ 0
i“1
iki |k|Ñ8

È quindi vera per ogni combinazione lineare finita di funzioni costanti su


parallelipepedi.
Essendo la -algebra degli insiemi di Borel generata dall’algebra dei paralle-
lepipedi, il teorema 52 garantisce che il risultato si estenda a tutte le funzioni
di L1 pRn q.

La prova verrà dettagliata, in maniera alternativa, a fine capitolo quando


analizzeremo le proprietà delle trasformate di Fourier delle funzioni infinita-
mente di↵erenziabili a decrescenza rapida.
Altre conseguenze della definizione sono

d) per le funzioni traslate fh pxq “ f px ´ hq e riscalate s f pxq “ f px{ q,


h P Rn e P C valgono le uguaglianze:

fph pkq “ e´ik ¨ h fˆpkq ; syf pkq “ n


fˆp kq

f) Se f e g sono due funzioni in L1 pRn q (come abbiamo osservato in pre-


cedenza la loro convoluzione esiste e appartiene a L1 pRn q) vale l’ugua-
glianza
ª ˆª ˙
{
pf ˚ gqpkq “ p2⇡q ´n{2
e ´ik ¨ x
f px ´ yq gpyq dy dx
Rn Rn
ª ª
´n{2 ´ik ¨ y
“ p2⇡q e gpyq e´ik ¨ px´yq f px ´ yq dx dy
Rn Rn
“ p2⇡q n{2
fˆpkq ĝpkq

g) Se f P L1 pRn q è tale che xj f P L1 pRn q per qualche j P t1, . . . , nu


allora la trasformata di Fourier di f è di↵erenziabile rispetto a kj , con
144 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

derivata parziale continua, e vale la relazione


B ˆ { n
f pkq “ p´ix j f qpkq @ k P R (3.11)
Bkj
Infatti, dalla definizione di trasformata di Fourier
ª
fˆpk ` hej q ´ fˆpkq ´n{2 e´ipk`hej q¨x ´ e´ik¨x
“ p2⇡q f pxq dx
h Rn h
dove con ej abbiamo indicato il versore della direzione j e h P R. Poiché
vale la stima ˇ ´ipk`he q¨x ˇ
ˇe
ˇ
j
´ e´ik¨x ˇˇ
ˇ h ˇ § |xj |
il teorema di dominata convergenza assicura che il limite del membro di
destra dell’eguaglianza sia uguale all’integrale del limite che è quanto
a↵ermato nella (3.11).
Bf
h) Se f P L1 pRn q è tale che P L1 pRn q per qualche j P t1, . . . , nu
Bxj
Bf
allora la trasformata di Fourier di soddisfa la relazione
Bxj
y
Bf
pkq “ ikj fˆpkq @ k P Rn (3.12)
Bxj
Si ha infatti
ª ª ˆ ˙
B ´ik¨x
ikj fˆpkq “ p2⇡q´n{2 i kj e ´ik¨x
f pxq dx “ ´p2⇡q ´n{2
e f pxq dx
Rn Rn Bxj

La (3.12) si ottiene per integrazione per parti rispetto alla variabile


xj . È necessario a tale scopo convincersi che ogni funzione f P L1 pRn q
con derivata parziale rispetto a xj in L1 pRn q è tale che lim f pxq “ 0.
|xj |Ñ8
Questo semplice risultato è lasciato come esercizio.

Nello studio delle proprietà della trasformata di Fourier utilizzeremo co-


stantemente una unità approssimata ottenuta per riscalamento di una gaus-
siana. Sarà essenziale, in questa prospettiva, conoscere la trasformata di
Fourier di una gaussiana di varianza qualunque. Proviamo che:

g pxq “ e´|x|
2 {p2 q n{2 ´|k|2 {2
ùñ gp pkq “ e (3.13)
3.8. TRASFORMATA DI FOURIER 145
?
Poiché g pxq “ g1 px{ q basterà provare il risultato per “ 1. Poiché
ª „ ª8 ⇢n
´n{2 ´ik ¨ x ´|x|2 {2 ´1{2 ´ikx ´x2 {2
gp1 pkq “ p2⇡q e e dx “ p2⇡q e e dx
Rn ´8

basterà calcolare la trasformata di Fourier della gaussiana g1 di in R. Chiu-


dendo il quadrato all’esponente otteniamo
ª8 ª8
´1{2 ´ikx ´x2 {2 ´k2 {2 ´1{2
e´px`ikq {2 dx
2
p2⇡q e e dx “ e p2⇡q
´8
ª´8
“ e´k {2 p2⇡q´1{2 e´z {2 dz
2 2

dove è la retta Im z “ k del piano complesso. Poiché la funzione e´z {2


2

è una funzione intera, l’ultimo integrale non può dipendere da k (provarlo)


e assumerà sempre il valore 1 che si ottiene ponendo k “ 0. Risulta quindi
provato il risultato (3.13) per “ 1.
Siamo ora in grado di provare il Teorema di Plancherel. Concentrere-
mo in un unico teorema anche la formula di inversione della trasformata di
Fourier:
ì
Teorema 72. La trasformata di Fourier di una funzione f P L1 pRn q L2 pRn q
appartiene a L2 pRn q e conserva la norma L2 pRn q. L’applicazione che ad f
associa la sua trasformata di Fourier fˆ può essere estesa ad una isometria
da L2 pRn q a L2 pRn q.
Vale quindi la formula di Parseval: se f e g appartengono a L2 pRn q
ª ª
¯ ¯
pf, gq ” f pxqgpxq dx “ fˆpkqĝpkq dk ” pfˆ, ĝq
Rn Rn

L’isometria è in e↵etti un’applicazione unitaria da L2 pRn q a L2 pRn q va-


lendo, per ogni funzione f P L2 pRn q, la formula di inversione
ª
| ´n{2 x
pfˆqpxq ” p2⇡q eik ¨ x fˆpkq dk “ pfpqp´xq “ f pxq
Rn

dove le eguaglianze sono naturalmente intese come appartenenza alla stessa


classe di equivalenza in L2 pRn q.
Dimostrazione. Lo strumento tecnico usato per la prova consiste nell’utiliz-
zare la proprietà che le unità approssimate hanno trasformate di Fourier che
tendono alla funzione costante identicamente pari a 1.
146 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Consideriamo la funzione gm pkq “ e´|k| {p2mq per m “ 1, 2, ¨ ¨ ¨ . La funzione


2

gm è limitata, appartiene a Lp @p e limmÑ8 gm pkq ì “ 1 @k P Rn .


Abbiamo già notato che ogni funzione f P L1 pRn q L2 pRn q ha una trasfor-
mata di Fourier limitata; |fˆpkq|2 gm pkq è quindi una funzione integrabile.
Le proprietà della trasformata di Fourier di una convoluzione e il teorema di
Fubini garantiscono che valgano le uguaglianze
ª ª
´n
ˆ 2
|f pkq| gm pkq dk “ p2⇡q f¯pxq f pyq e´ik ¨ py´xq gm pkq dx dy dk
Rn Rª3n

“ p2⇡q´n{2 f¯pxq f pyq ĝm py ´ xq dx dy (3.14)


R2n
ˆ ˙n{2 ´ m ¯n{2
1
e´m|x| {2 è un’unità appros-
2
È facile verificare che ĝm pxq “
2⇡ 2⇡
ˆ ˙n{2
1
simata e che quindi ĝm ˚ f tende in L2 pRn q a f per m Ñ 8. Pas-
2⇡
sando al limite nel primo (monotona convergenza) e nell’ultimo (dominata
convergenza e teorema di Fubini) membro dell’uguaglianza (3.14) si ottiene
finalmente che fˆ è in L2 e che }fˆ}2 “ }f }2 .
Come abbiamo già dimostrato un operatore isometrico su uno spazio di Hil-
bert conserva il prodotto scalare. La formula di Parseval è dunque una
immediata conseguenza del fatto che l’applicazione f Ñ fˆ conserva la norma.
Osservazione 73. Deve essere chiaro che noi non abbiamo una definizione
di integrale per una funzione complessa che non sia integrabile. Non abbiamo
quindi una definizione esplicita della trasformata di Fourier di una funzione
che sia a quadrato sommabile,
ì 2 n ma non sia sommabile. 2 n
Poiché però L pR q L pR q è certamente denso in L pR q, il teorema di
1 n

Plancherel assicura che l’applicazione f Ñ fˆ possa essere estesa a tutto


L2 pRn q per continuità.
Questo significa che alla trasformata di Fourier di una funzione f in L2 pRn q
ma non in L1 pRn q si dàì significato solo come limite di trasformate di Fourier
di funzioni in L pR q L pR q.
1 n 2 n
ì
Verificare che se f R L1 pRn q , f P L2 pRn q allora BR f P L1 pRn q L2 pRn q
@R ° 0. La definizione della trasformata di Fourier della f può dunque
essere data nel modo seguente
ª
´n{2
fˆpkq “ lim p2 ⇡q e´i k¨x f pxq dx
RÑ8 BR
3.8. TRASFORMATA DI FOURIER 147

Utilizzando la proprietà dell’unità approssimata gm è possibile provare la


formula di inversione.
La formula di inversione è una conseguenza della formula
ª ª
´n{2 ´n{2
p2⇡q ĝm px ´ yq f pyq dy “ p2⇡q gm pkq fˆpkqeik ¨ x dk
Rn Rn

Gli integrali ai due membri


ì 2 ndell’eguaglianza sono certamente finiti per ogni
funzione f P L pR q L pR q e, in questo caso l’uguaglianza è una conse-
1 n

guenza della uguaglianza di Parseval, ma può alternativamente essere veri-


ficata sostituendo a ĝm px ´ yq la sua definizione e scambiando l’ordine di
integrazione (verificare che le ipotesi per l’applicazione del teorema di Fubini
sono soddisfatte).
Tenendo conto
• che p2⇡q´n{2 ĝm è una unità approssimata;
• che gm tende al valore 1 puntualmente;
ì
• che L1 pRn q L2 pRn q è denso in L2 pRn q

concludere la dimostrazione della formula di inversione.


Siamo ora in grado di aggiungere alle proprietà della trasformata di
Fourier la seguente, di facile dimostrazione (vedi proprietà f q)
i) Se f, g P L1 pRn q allora
z
pf gqpkq “ p2⇡q´n{2 pfˆ ˚ ĝqpkq

3.8.1 Le funzioni dello spazio SpRn q e le loro trasfor-


mate di Fourier
Diremo che una funzione f in C 8 pRn q è a decrescenza rapida se (vedi 3.5 per
la notazione)

@↵ DK↵ ° 0 : @x P Rn |x D↵ f | § K↵
π
n
dove x “ xj j . Le derivate, di qualunque ordine, della funzione f
j“1
decrescono quindi più velocemente di ogni potenza del modulo di x quando
|x| tende all’infinito.
148 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Consideriamo lo spazio vettoriale SpRn q (che spesso indicheremo solo


con S) delle funzioni infinitamente di↵erenziabili a decrescenza rapida. Le
funzioni in S sono alternativamente caratterizzate dal fatto che le norme

}f }m,l “ sup sup |D↵ f pxq| p1 ` |x|qm


|↵|§l xPRn

siano finite @ m e l interi • 0.


Senza entrare nei dettagli sulla definizione e sulle proprietà della topologia
indotta in S dal “sistema” di norme } ¨ }m,l , riportiamo solamente il seguente
risultato (di facile dimostrazione).
Definiamo convergenza (rispettivamente convergenza di Cauchy) di una suc-
cessione di funzioni in S la convergenza (rispettivamente la convergenza di
Cauchy) rispetto a tutte le norme } ¨ }m,l (nessuna uniformità rispetto alle
norme è richiesta) allora
Proposizione 74. S è uno spazio sequenzialmente-completo: ogni succes-
sione di Cauchy di funzioni in S è convergente e converge a una funzione di
S.
Possiamo ora dimostrare un risultato che sarà fondamentale nel seguito
Teorema 75. La trasformata di Fourier è un’applicazione biunivoca e conti-
nua dello spazio S su se stesso (con inversa data dalla formula di inversione).
Specificamente valgono, per ogni f P S e per ogni multi-indice ↵ le relazioni
{
pD↵ fˆqpkq “ pp´i xq↵ f qpkq @k P Rn (3.15)

z
pD ↵ f qpkq “ ppi kq↵ fˆqpkq @k P Rn (3.16)
Dimostrazione. Sia f una funzione in S allora
passo 1) x D↵ f appartiene a S per ogni e ↵. In e↵etti, per qualche
costante K ° 0
}x D↵ f }m,l § K}f }m`| |,l`|↵|
e si ha inoltre (provarlo)

}x D↵ f }1 § K}f }n`1`| |,|↵| (3.17)

(notare che n indica la dimensione dello spazio).


3.8. TRASFORMATA DI FOURIER 149

passo 2) In particolare ogni funzione f P S appartiene a L1 pRn q assieme


a tutte le sue derivate e a tutte le funzioni x f @ . Un’applicazione
ripetuta della proprietà g) della trasformata di Fourier prova la (3.15)

{
pD↵ fˆqpkq “ pp´i xq↵ f qpkq @k P Rn

fˆ è quindi infinitamente di↵erenziabile.

passo 3) Utilizzando la proprietà h) della trasformata di Fourier si ha quindi

{
k pD↵ fˆqpkq “ k pp´i xq↵ f qpkq “ p´iD {
qrp´i xq↵ f qspkq

che per ↵ “ 0 prova la (3.16). Si ha inoltre

sup |k pD↵ fˆqpkq| § }D rpxq↵ f s}1


k

che, utilizzando la (3.17), prova che tutte le norme della fˆ sono limitate

}fˆ}m,l § K }f }n`1`l,m

La trasformata di Fourier è dunque una applicazione lineare limitata da


S in S. Poiché l’applicazione inversa è anch’essa una trasformata di Fourier
(fˇpkq “ fˆp´kq) l’applicazione è in e↵etti biunivoca.

3.8.2 Trasformata di Fourier delle funzioni di DpRn q


Ancora una volta senza entrare nei dettagli topologici, definiremo una nozione
di convergenza nello spazio C08 pRn q. Diremo che una successione pnq di
funzioni in C08 pRn q è di Cauchy se

• esiste un compatto K che contiene i supporti di tutte le funzioni della


successione;
pnq pmq
• @✏ ° 0 DN : @n, m ° N sup |D↵ pxq ´ D↵ pxq| † ✏ @j “ 0, 1, . . .
xPK,|↵|§j
150 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Lo spazio vettoriale delle funzioni C08 pRn q, con la convergenza sopra de-
finita, verrà indicato in seguito come DpRn q (spesso solamente con D). La
stessa costruzione può essere fatta considerando le funzioni infinitamente dif-
ferenziabili a supporto compatto contenuto in una regione aperta ⌦ di Rn .
In questo caso utilizzeremo la notazione Dp⌦q.
Si dimostra che DpRn q (alternativamente Dp⌦q) è sequenzialmente completo.
Poichè ogni funzione infinitamente di↵erenziabile a supporto compatto
appartiene a S il teorema (75) prova che la trasformata di Fourier è un’ap-
plicazione da C08 pRn q in S. La proposizione che segue prova, nel caso n “ 1,
che la trasformata di Fourier di una funzione infinitamente di↵erenziabile a
supporto compatto, pur appartenendo sempre ad S, non ha mai supporto
compatto. Il risultato si generalizza a n qualunque.

Proposizione 76. Se f P DpRq allora il supporto di fˆ è l’intero asse reale

Dimostrazione. Per definizione


ª ª
´1{2 ´i ´1{2
fˆpkq “ p2⇡q e k¨x
f pxq dx “ p2⇡q e´i k¨x f pxq dx
R supp f

Poichè il supporto di f è limitato e |e´i k¨x | § e |Im k| |x| la definizione di fˆpkq


può essere estesa a valori di k in tutto il piano complesso e fornisce una
funzione intera di k che ha, come valori sull’asse reale, la trasformata di
Fourier della funzione f .
Poiché una funzione intera, non nulla, può avere solo zeri isolati, la fˆpkq può
solo essere nulla in punti isolati di R e il suo supporto coincide quindi con
l’intero asse reale.

Il teorema (75) e il fatto che DpRn q sia contenuto in SpRn q permette di


dare una prova semplice del lemma di Riemann- Lebesgue. È chiaro infat-
ti che SpRn q, contenendo le funzioni infinitamente di↵erenziabili a supporto
compatto, è denso in Lp pRn q per ogni p, in particolare per p “ 1. Per ogni
funzione f P L1 pRn q è dunque possibile costruire una successione di funzioni
fm P SpRn q che convergono a f nella norma L1 . Per la proprietà bq della
trasformata di Fourier, la successione delle trasformate fˆm tende uniforme-
mente alla funzione fˆ (si noti che le funzioni fˆm e la funzione limite fˆ sono
continue per cui la convergenza nella norma L8 coincide con la convergenza
uniforme): per ogni ✏ ° 0 Dm̄ tale che sup |fˆm̄ ´ fˆ| † ✏ se m ° m̄.
3.8. TRASFORMATA DI FOURIER 151

Si avrà dunque

lim |fˆpkq| § sup |fˆm̄ ´ fˆ| ` lim |fˆm̄ | § ✏


kÑ8 kÑ8

dove si è utilizzato il fatto che fˆm̄ pkq, essendo fˆm̄ in SpRn q ha limite nullo
quando |k| tende all’infinito. Poiché la disuguaglianza vale per ogni ✏ ° 0 se
ne deduce che
lim |fˆpkq| “ 0
kÑ8

Osservazione 77. Ricordiamo che avevamo dedotto che la ridotta N -sima


della serie di Fourier di una funzione integrabile f da p´1, 1q a C è espri-
mibile come convoluzione con il nucleo di Dirichlet SN pxq “ pDN ˚ f qpxq.
Dalle proprietà del nucleo di Dirichlet si deduceva l’uguaglianza (3.9) che qui
riportiamo
ˇª 1 ˇ
ˇ ˇ
ˇ D px ´ yq f pyq dy ´ f pxq ˇ “
ˇ N ˇ
´1
ˇª 1 „ ⇢ ˆ ˙ ˇ
1 ˇ 1 f px ´ zq ´ f pxq ˇ
“ ˇˇ sin pN ` q ⇡z ⇡z dz ˇˇ
2 ´1 2 sin 2

dove la f si intende estesa all’intervallo p´2, 2q in maniera periodica f px ´


zq “ f px ´ z ˘ 2q se x ´ z P r¯2, ¯1s. Il lemma di Riemann-Lebesgue
asserisce quindi che, per N Ñ 8 la serie di Fourier tende puntualmente a
f pxq se esiste un intorno Ix del punto x in cui la funzione
ˆ ˙
f px ´ zq ´ f pxq
sin ⇡z
2

è integrabile in Ix .
Più precisamente vale il

Teorema 78. Sia f una funzione integrabile da p´1, 1q a C. Se, in corri-


spondenza al punto x P p´1, 1q, esiste un numero positivo e un numero
complesso ⇠ tale che sia verificata la ”condizione del Dini”:
ª
|f px ` zq ´ f px ´ zq ´ 2⇠|
dz † 8
0 z

allora la serie di Fourier della f calcolata nel punto x tende a ⇠ per N Ñ 8.


152 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Il fatto che la trasformata di Fourier di una funzione a supporto com-


patto non possa avere supporto compatto può essere interpretato come un
informazione sul rapporto tra “scarto” attorno alla media di una funzione e
corrispondente scarto della sua trasformata di Fourier. Il risultato che quan-
tifica questo rapporto è denominato “Principio di Indeterminazione” perché
esprime la forma matematica del principio di indeterminazione di Heisenberg
della Meccanica Quantistica.
Sia f una funzione di L2 pRq, chiameremo suo scarto rispetto all’origine la
quantità ≥8 2
´8
x |f pxq|2 dx
0 f “ ≥ 8 (3.18)
´8
|f pxq|2 dx
L’interpretazione di 0 f come dispersione intorno all’origine discende dal
fatto che 0 f è il coefficiente che determina la “dispersione” della funzione
f lontano dall’origine, nel senso che
≥ ≥8
|x|°K
|f pxq|2 dx 1 ´8 x2 |f pxq|2 dx 0f
≥8 § 2 ≥8 “
´8
|f pxq| dx
2 K ´8
|f pxq| dx
2 K2

(giustificare la disuguaglianza).
La relazione quantitativa che lega lo scarto rispetto all’origine di una
funzione e quello della sua trasformata di Fourier è data nella seguente

Proposizione 79 (Principio di Indeterminazione). Se f P L2 pRq è tale che


df
xf e appartengono a L2 pRq allora vale la disuaglianza
dx

0f
ˆ 1
0f •
4
L’eguaglianza si ha se e solo se la funzione f è una gaussiana centrata
nell’origine.

Dimostrazione. La prova si ottiene con la successione di uguaglianze e disu-


guaglianze
ª8 ª8 ª8
2 d|f pxq|2 df
|f pxq| dx “ ´ x dx “ ´2Re x f pxq dx
´8 ´8 dx ´8 dx
ª8 ˆª 8 ˙1{2 ˆª 8 ˙1{2
df 2 df
§2 |x| |f pxq|| | dx § 2 |x f pxq| dx | |2 dx
´8 dx ´8 ´8 dx
3.8. TRASFORMATA DI FOURIER 153
ˆª 8 ˙1{2 ˆª 8 ˙1{2
“2 2
|x f pxq| dx |k fˆpkq| dk
2
´8 ´8

Nell’integrazione per parti che dà la prima uguaglianza il lettore è richiesto


di giustificare l’assenza di termini all’infinito. Nella prima disuguaglianza è
stata utilizzata la disuguaglianza di Schwarz, mentre l’ultima uguaglianza é
conseguenza della proprietà g) della trasformata di Fourier.
La tesi del teorema è provata quadrando la disuguaglianza ottenuta e
tenendo conto che }f }2 “ }fˆ}2 .
Se la funzione f è una gaussiana, sappiamo che la sua trasformata di Fou-
rier è anch’essa una gaussiana e l’uguaglianza è provata per calcolo diretto.
Se vale l’uguaglianza il segno di uguale deve valere nella disuguaglianza di
Schwarz utilizzata nella prova. È lasciato come esercizio al lettore di provare
che questo implica che la f debba soddisfare una equazione di↵erenziale che
ha per soluzioni solo le gaussiane.

3.8.3 La base di Hermite in L2 pRq


Utilizzando le proprietà di SpRq possiamo caratterizzare una base numerabile
di L2 pRq di grande importanza nelle applicazioni (in particolare in meccanica
quantistica e in teoria delle probabilità).
In L2 pRq definiamo i due operatori lineari x, Dx e p, Dp con dominio e azione
definiti come segue

Dx “ Dp “ SpRq (3.19)
df }
pxf qpxq “ xf pxq ppf qpxq “ ´ı “ pk fˆqpxq (3.20)
dx
Le proprietà di SpRq viste nel paragrafo precedente garantiscono che i due
operatori e ogni loro potenza trasformino funzioni di SpRq in funzioni di SpRq
e quindi in funzioni di L2 pRq. È facile vedere che le (3.19) e (3.20) definiscono
(sull’insieme SpRq denso in L2 pRq) due operatori simmetrici. Infatti, per ogni
f, g P SpRq
ª8 ª8
pf , xgq “ f pxqxgpxqdx “ xf pxqgpxqdx “ pxf , gq
´8 ´8
ª8 ª8
dg df
pf , pgq “ ´ı f pxq pxqdx “ ı pxqgpxqdx “ ppf , gq
´8 dx ´8 dx
154 CAPITOLO 3. MISURA E INTEGRAZIONE

Sullo stesso dominio sono quindi ben definiti gli operatori a e a: ( e ogni loro
potenza)
Da “ Da: “ SpRq
x ` ıp x ´ ıp
a“ ? a: “ ? (3.21)
2 2
Per calcolo diretto è facile verificare le seguenti uguaglianze, valide quando
gli operatori sono applicati a funzioni in SpRq
ra , a: s ” aa: ´ a: a “ 1 rx , ps ” xp ´ px “ ı (3.22)
Si noti inoltre che, a meno di una costante moltiplicativa di modulo unitario,
esiste un solo vettore normalizzato wp0q di L2 pRq che l’operatore a trasforma
nel vettore nullo. Infatti
dwp0q x2
pawp0q q “ 0 ùñ xwp0q pxq ` pxq “ 0 ùñ w0 pxq “ Ce´ 2 . (3.23)
dx
Perché la funzione wp0q risulti di norma unitaria in L2 pRq, deve risultare, per
qualche 0 § ⇠ † 2⇡, C “ eı⇠ ⇡ ´1{4 . Si noti che la funzione wp0q appartiene a
SpRq.
Procedendo nello stesso modo utilizzato per l2 alla fine del capitolo II, defi-
niamo l’insieme di vettori (funzioni di Hermite)

pnq pa: qn p0q px ´ ıpqn p0q px ´ dx q


d n
´ x2
2
w “ ? w “ n{2 ? w “ n{2 ? e (3.24)
n! 2 n! 2 n! ⇡ ´1{4
Come indicato nell’osservazione 45, le funzioni wpnq formano un sistema or-
tonormale. Nel sottospazio M Ñ L2 pRq generato dalle combinazioni lineari
delle wpnq esiste quindi una rappresentazione irriducibile delle relazioni di
commutazione canoniche (3.22). Per prova diretta o ricorrendo al teorema
menzionato alla fine del capitolo II si può dedurre che M “ L2 pRq e che le
wpnq costituiscono una base di L2 pRq interamente costituita da funzioni infi-
nitamente di↵erenziabili a decrescenza rapida.
Per maggiori dettagli sulle rappresentazioni delle relazioni di commutazione
canoniche si veda la sezione (8.5) del libro [RS]. Per una prova diretta della
completezza del sistema ortonormale delle funzioni di Hermite si veda [P].
Come abbiamo dimostrato nel capitolo II l’operatore N “ a: a opera sulla
base appena definita
∞ come N wpnq “ nwpnq ed è autoaggiunto sul dominio
8
DN “ tf P L2 pRq| j“0 n2 |pwpjq , f q|2 † 8u.
Bibliografia

[LB] E.M. Lieb and M. Loss, Analysis (second edition), AMS, 1997.

[P] M.A. Pinsky, Introduction to Fourier Analysis and Wavelets, AMS,


2002.

[BB] Ph. Blanchard and E. Brüning, Mathematical Methods in Physics,


Birkhäuser, 2003.

[RS] M. Reed and B. Simon, Methods of Modern Mathematical Physics 1, 2,


Elsevier, 1975.

155
156 BIBLIOGRAFIA
Capitolo 4

Operatori lineari in spazi di


Hilbert II

Riprendiamo ora lo studio degli operatori lineari in spazi di Hilbert. Con-


sidereremo esempi di operatori di moltiplicazione e di operatori di↵erenziali
in L2 pRn q e daremo cenni di teoria spettrale per operatori autoaggiunti. La
trattazione seguirà,spesso sintetizzandola, quella proposta da diversi auto-
ri quali, ad esempio, ([ON]) ([G]) ([BB]). Per trattazioni più approfondite
sull’argomento si veda ad esempio ([K])([RS]).

4.1 Spettro di operatori lineari chiusi su H


Sia H uno spazio di Hilbert separabile e T un operatore lineare chiuso con
dominio DT denso in H. Useremo le notazioni:
• RanT ” co-dominio di T (range di T ) ” t P H | D P DT : T “ u;

• KerT ” nucleo di T (kernel di T ) ” t P DT | T “ 0 u;

• pT ´ zq ” pT ´ z1q, z P C notazione “contratta” che useremo sempre


in seguito.
Diremo che z P C è un autovalore dell’operatore T se esiste un vettore, non
nullo, P DT tale che T “ z . Il vettore viene, in questo caso, indicato
come autovettore di T relativo all’autovalore z (naturalmente, se è un
autovettore anche , per ogni P C, è un autovettore relativo allo stesso
autovalore).

157
158 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II

Allo scopo di analizzare la struttura degli autovalori o dei “quasi-autovalori”


dell’operatore T indagheremo le singolarità della funzione z Ñ pT ´ zq´1 ,
nel piano complesso.
Se z non è un autovalore di T , pT ´ zq è un operatore chiuso, iniettivo tra
DT e RanpT ´Zq . Esiste in questo caso l’inverso RT pzq ” pT ´ zq´1 che applica
RanpT ´zq su DT .
Se RanpT ´zq “ H, pT ´ zq´1 esiste ed è limitato da H a DT . z si dice allora
appartenere all’ insieme risolvente di T . Il nome deriva dal fatto che, in
questo caso, l’equazione
pT ´ zq “

ha una ed una sola soluzione (in DT ) per ogni P H. Indicando con ⇢pT q
l’insieme risolvente di T il suo complemento in C, pT q “ Cz⇢pT q viene
definito come spettro dell’operatore T . L’operatore RT pzq P BpHq, per
z P ⇢pT q, si dice risolvente dell’operatore T .

Teorema 80. Siano z e z 1 in ⇢pT q. Allora vale l’identità (identità del


risolvente)

RT pzq ´ RT pz 1 q “ pz ´ z 1 q RT pzq RT pz 1 q “ pz ´ z 1 q RT pz 1 q RT pzq

Per ogni z0 P ⇢pT q esiste un intorno aperto Iz0 di z0 tale che per ogni
z P Iz0 si ha che (serie di Neumann)

8
ÿ
RT pzq “ pz ´ z0 qn RTn`1 pz0 q.
n“0

Dimostrazione. Dalle identità


$
&RT pzqpT ´ z 1 qRT pz 1 q ´ RT pzqpT ´ zqRT pz 1 q
RT pzq ´ RT pz 1 q “
%
RT pz 1 qpT ´ z 1 qRT pzq ´ RT pz 1 qpT ´ zqRT pzq

si ricava
$
&RT pzq rpT ´ z 1 q ´ pT ´ zqs RT pz 1 q
RT pzq ´ RT pz 1 q “
%
RT pz 1 q rpT ´ z 1 q ´ pT ´ zqs RT pzq
4.1. SPETTRO DI OPERATORI LINEARI CHIUSI SU H 159

da cui si deduce l’identità del risolvente. Applicando iterativamente l’identità


del risolvente si ottengono le identità

RT pzq “ RT pz0 q ` pz ´ z0 qRT pz0 qRT pzq


“ RT pz0 q ` pz ´ z0 qRT2 pz0 q ` pz ´ z0 q2 RT2 pz0 qRT pzq
“ ............................................................................
ÿN
pn`1q
“ pz ´ z0 qn RT pz0 q ` pz ´ z0 qn`1 RTn`1 pz0 q ¨ RT pzq
n“0

da cui
› ›
› ÿN ›
› ›
›RT pzq ´ pz ´ z0 qn RTn`1 pz0 q› § |z ´ z0 |N `1 }RT pz0 q}N `1 }RT pzq} .
› n“0

Poichè z e z0 appartengono a ⇢pT q le norme }RT pzq} e }RT pz0 q} sono finite.
Per tutti gli z tali che |z ´ z0 | }RT pZ0 q} § a † 1 si avrà dunque
› ›
› ÿN ›
› n n`1 › N `1
R
› T pzq ´ pz ´ z 0 q R T pz 0 › § a
q }RT pzq} .
› n“0

Per N che tende all’infinito il resto della serie ha norma che decresce a zero.
La serie di Neumann è quindi convergente in norma, per z in un intorno di
z0 , e converge a RT pzq

Riuniamo alcune conseguenze del teorema appena dimostrato nel seguente

Corollario 81.

• ⇢pT q è un insieme aperto e, di conseguenza pT q è un insieme chiuso;

• RT pzq e RT pz 1 q, per z, z 1 P ⇢pT q, commutano pRT pzq RT pz 1 q´RT pz 1 q RT pzq “


0q

• la funzione z Ñ RT pzq da ⇢pT q a BpHq è una funzione analitica. In


particolare, dalla serie di Neumann, si deduce che
ˇ
dn ˇ
n
RT pzqˇˇ “ n! RTn`1 pz0 q
dz z“z0
160 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II

• se pT q e ⇢pT q sono entrambi sottoinsiemi non vuoti del piano com-


plesso allora
1
}RT pzq} •
distpz, pT qq
• Se T P BpHq e se |z| ° }T } allora z P ⇢pT q e
lim }RT pzq} “ 0 lim }zRT pzq ` 1} “ 0 (4.1)
|z|Ñ8 |z|Ñ8

Dimostrazione. La prova dei primi tre punti è immediata. Proviamo il quarto


e il quinto.
Nella prova del teorema abbiamo verificato che se z0 P ⇢pT q e }RT pz0 q} |z ´
z0 | † 1 allora la serie di Neumann di punto iniziale z0 converge a RT pzq. In
particolare, in queste ipotesi, z P ⇢pT q .
Se, al contrario, z P pT q dovremo quindi avere }RT pz0 q} |z ´ z0 | • 1. Poiché
la disuguaglianza è vera per ogni z P pT q essa rimane vera per il punto z
(che appartiene allo spettro essendo lo spettro chiuso) più vicino a z0 dove
|z ´ z0 | “ distpz0 , pT qq.
Per provare le stime della norma del risolvente quando |z| tende all’infinito
è sufficiente notare che
8 ˆ ˙n
1 1 1ÿ T
RT pzq “ ´ T “ ´
z1´ z z n“0 z

dove la serie risulta convergente in norma per } Tz } † 1. È possibile quindi


portare il limite all’interno della somma e provare la seconda delle (4.1). La
prima è una conseguenza immediata della presenza del fattore 1{z davanti
alla serie.

Ricordiamo che l’operatore lineare S con dominio DS , denso in H, si dice


simmetrico se S Ñ S ˚ , autoaggiunto se S “ S ˚ (si dirà essenzialmente
autoaggiunto se la chiusura di S è un operatore autoaggiunto: S “ S ˚ ). 1
Alcune proprietà rilevanti dello spettro di un operatore simmetrico S sono
contenute o conseguenze del
1
la seguente tabella riporta le possibili “inclusioni” per operatori simmetrici:
simmetrico S Ñ S “ S ˚˚ Ñ S ˚
simmetrico chiuso S “ S “ S ˚˚ Ñ S ˚
4.1. SPETTRO DI OPERATORI LINEARI CHIUSI SU H 161

Teorema 82.
i) Se z è autovalore di S allora z è un numero reale.

ii) Autovettori corrispondenti a di↵erenti autovalori di S sono ortogonali.

iii) Se Imz ‰ 0 allora pS ´ zq è invertibile su RanpS´zq e vale la


1
}RS pzq} §
|Im z|

Dimostrazione.
p ,S q
i) Se S “z allora z “ PR
p , q
ii) Se S 1 “ z1 1 eS 2 “ z2 2 con z1 ‰ z2

0 “ p 1, S 2q ´ pS 1, 2q “ pz2 ´ z1 q p 1 , 2q

(ricordarsi che z1 e z2 sono reali) da cui otteniamo che p 1 , 2q “ 0


essendo z1 ‰ z2

iii) con P DS

}pS ´ zq }2 “ }pS ´ Rezq ´ ıImz }2 “


“ }pS ´ Rezq }2 ´ ıImz rppS ´ Rezq , q ´ p , pS ´ Rezq qs ` pImzq2 } }2
“ }pS ´ Rezq }2 ` pImzq2 } }2
• pImzq2 } }2

Se Imz ‰ 0 z non può quindi essere un autovalore di S e pS ´ zq applica


in maniera iniettiva DS su RanpS´zq . Se P RanpS´zq , cioè se esiste un
P DS tale che pS ´ zq “ si ha allora
1 1
}RS pzq }2 “ } }2 § }pS ´ zq }2 “ } }2
pImzq2 pImzq2
da cui si deduce l’ultima a↵ermazione del teorema.
essenz. autoaggiunto S Ñ S “ S ˚˚ “ S ˚
autoaggiunto S “ S “ S ˚˚ “ S ˚
162 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II

Osservazione 83. Si noti che il teorema prova che pS ´ zq è sempre inver-


tibile per Imz ‰ 0, per ogni operatore simmetrico S. RanpS´zq non coincide
però necessariamente con tutto H. z può quindi appartenere a pSq solo nel
caso in cui RanpS´zq ‰ H

Prima di a↵rontare il teorema che caratterizza le condizioni di autoaggiun-


tezza per operatori simmetrici proviamo il lemma:

Lemma 84. Se T è un operatore lineare con dominio DT denso in H al-


lora il complemento ortogonale del codominio di T coincide con il nucleo
dell’operatore aggiunto T ˚

pRanT qK “ KerT ˚

Dimostrazione. Se P pRanT qK allora p , T q “ 0 per ogni P DT . Allora


P DT ˚ e pT ˚ , q “ 0 per ogni P DT e quindi per ogni P H essendo DT
denso. appartiene dunque a pRanT qK se e solo se appartiene a KerT

Conseguenza del precedente è il lemma seguente che è lasciato al lettore come


esercizio.

Lemma 85. Se T è un operatore lineare densamente definito, iniettivo e con


codominio denso in H (RanT “ H), allora l’aggiunto T ˚ di T ha un inverso
e
` ˘˚
pT ˚ q´1 “ T ´1

In particolare se z P ⇢pT q, pT ´ zq è invertibile con RanpT ´zq “ H ed il


lemma precedente asserisce che

RT ˚ pzq “ RT pzq

Come abbiamo visto precedentemente se S è un operatore lineare simmetrico


densamente definito, allora pS´zq è invertibile su RanpS´zq , con inverso RS pzq
di norma finita, per Imz ‰ 0. Lo spettro pSq dell’operatore S è quindi un
sottoinsieme dell’asse reale unito ai punti z in CzR dove RanpS´zq non coincide
con tutto H. Il teorema che segue asserisce che l’assenza di punti di questo
secondo tipo è quello che caratterizza l’autoaggiuntezza dell’operatore S.
4.1. SPETTRO DI OPERATORI LINEARI CHIUSI SU H 163

Teorema 86. Sia S simmetrico densamente definito in H: allora S è au-


toaggiunto se e solo se

RanpS`zq “ RanpS`z̄q “ H z P CzR (4.2)

Perché S sia autoaggiunto è sufficiente che (4.2) valga per z “ ı. S è


essenzialmente autoaggiunto se e solo se

RanS˘ı “ H

Dimostrazione. Proviamo innanzitutto che se RS pıq P BpHq allora RS pzq P


BpHq per ogni z con Imz ° 0.
Infatti, se ı P ⇢pSq allora z P ⇢pSq per ogni z tale che |z ´ ı| † 1 ed RS pzq
è, per tali valori di z, esplicitamente dato dalla serie di Neumann. In più, la
1
simmetria di S garantisce che }RS pzq} § . Iterando il procedimento è
Imz
quindi possibile provare che RS pzq P BpHq per ogni z con Imz ° 0.
Lo stesso risultato vale naturalmente per i punti z del semipiano Imz † 0,
nell’ipotesi che RS p´ıq appartenga a BpHq
Osservazione 87. Se definiamo i due numeri positivi

m˘ “ dimRanK
pS˘ıq “ dimKerpS ˚ ¯ıq

(dim indica la dimensione dei corrispondenti sottospazi) le considerazioni


precedenti indicano che se m˘ “ 0 allora dimRanK pS˘ıq “ 0 per ogni z rispet-
tivamente nei semipiani superiore ed inferiore del piano complesso. Tramite i
due numeri m` ed m´ , detti indici di difetto dell’operatore simmetrico S,
il teorema asserisce che condizione necessaria e sufficiente perchè l’operatore
simmetrico sia autoaggiunto è che m˘ “ 0.
Siano quindi m˘ “ 0 e sia P DS ˚ . Definiamo “ pS ´ ıq´1 pS ˚ ´ ıq .
Dalla definizione P DS e, dalla simmetria di S, P DS ˚ e S ˚ “ S . Si
ha inoltre pS ´ ıq “ pS ˚ ´ ıq , che implica

pS ˚ ´ ıq p ´ q “ 0 e p ´ q P KerpS ˚ ´ıq .

Poichè, per ipotesi, KerpS ˚ ´ıq “ RanK


pS`ıq “ t0u si deduce che “ ovvero
˚ ˚
che P DS e che S “ S . S estende quindi S ed è quindi autoaggiunto.
Inversamente supponiamo che S sia uguale ad S ˚ . Sia P RanKpS´zq con
˚
Imz ‰ 0. Allora P kerpS ˚ ´zq ed è quindi un autovettore di S relativo
164 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II

all’autovalore (non reale) z. Se S “ S ˚ la stessa cosa varrebbe per S che,


essendo simmetrico, non può che avere autovalori reali. Se ne deduce che
“ 0 e che, quindi, RanpS´zq “ H.
La prova delle condizioni per l’essenziale autoaggiuntezza sono praticamente
identiche a quelle riportate precedentemente e sono lasciate come esercizio.

Corollario 88. Se A è un operatore autoaggiunto allora pAq Ä R


Esempio (operatore di moltiplicazione) H “ L2 pRn q, operatore di moltipli-
cazione per la funzione continua g : Rn Ñ C
Ag “ g P L2 pRn q
Il dominio naturale DAg dell’operatore Ag è il seguente
(
DAg “ P L2 pRn q|g P L2 pRn q
Certamente Ag è densamente definito: C08 pRn q è certamente contenuto in
DAg ed è denso in L2 pRn q.
Anche l’insieme D che si ottiene moltiplicando le funzioni di L2 pRn q per le
funzioni caratteristiche delle palle chiuse di raggio r ° 0 ed è un insieme
denso in L2 pRn q e contenuto in DAg . Infatti se
(
D “ Br con P L2 pRn q, r ° 0
ogni P L2 pRn q è tale che } Br ´ }2 › ››Ñ 0 e } Br g}2 § supxPBr |gpxq|} }2
rÑ8
(notare che il supxPBr |gpxq| è finito per ogni funzione continua g, anche
non limitata). Cerchiamo di caratterizzare il dominio ed il modo di operare
dell’aggiunto A˚g dell’operatore Ag .
Sia P DA˚g e poniamo ˚ “ A˚g . Per definizione di aggiunto, per ogni
P DAg si ha p , Ag q “ p ˚ , q. Poichè la moltiplicazione per la funzione
g e per Br commutano @r ° 0 si avrà
p , Ag Br q “ p ,g Br q“ p Br ḡ , q

˚
p Br , q
Poichè DAg è denso in L2 pRn q questo implica che Br ˚ “ r ḡ . In partico-
lare @r ° 0 ª ª
2
|ḡ | pxqdx “ | ˚ |2 pxqdx § } ˚ }22 .
|x|§r |x|§r

Passando al limite per r Ñ 8 (teorema di dominata convergenza) si ottiene


4.1. SPETTRO DI OPERATORI LINEARI CHIUSI SU H 165

• ḡ P L2 pRn q
˚
• “ A˚g “ ḡ
ovvero P DAḡ “ DAg e A˚g “ Aḡ cioè l’aggiunto di Ag è definito sullo
stesso dominio di Ag e su tale dominio opera come operatore di moltiplica-
zione per la funzione ḡ.
In particolare se la funzione g è reale l’operatore Ag è autoaggiunto. Si noti
che l’unica proprietà della funzione g utilizzata nella prova è che essa sia
limitata sui compatti di Rn . La prova, pertanto, si applica all’operatore di
moltiplicazione per ogni funzione g : Rn Ñ C che sia limitata sui compatti di
Rn .
Nel paragrafo successivo impareremo che ogni operatore autoaggiunto è, in un
senso che preciseremo, l’operatore di moltiplicazione per la funzione gpxq “ x
in uno spazio di misura opportuno.

Esempio (operatore di derivazione) In questo esempio discuteremo gli ope-


ratori di derivazione su H “ L2 pRn q. Sia
ÿ
P pDq “ a↵ D ↵
|↵|§l

un operatore di↵erenziale a coefficienti costanti a↵ P C scritto nella notazione


introdotta nel capitolo precedente. Studiando le proprietà delle trasformate
di Fourier abbiamo provato che, se una funzione ha tutte le derivate fino
all’ordine k in L2 pRn q allora la trasformata di Fourier di P pDq è legata alla
trasformata di Fourier di dalla
˜ ¸
ÿ
P{pDq pkq “ a↵ pı kq↵ ˆpkq
|↵|§l

L’operatore di derivazione diventa quindi un operatore di moltiplicazione,


per un polinomio nelle componenti di k, in trasformata di Fourier.
Risulta giustificata quindi la definizione
 ^
P pDq “ P pikq pkq

sul dominio naturale


" ^ *
ˇ
DP pDq “ P L pR qˇ P pı kq pkq P L pR q
2 n 2 n
166 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II

In particolare l’operatore “Hamiltoniana libera” (per una particella quan-


tistica senza gradi di libertà interni) H0 “ ´4 in L2 pR3 q è l’operatore
autoaggiunto
^
´4 “ p|k|2 pkqq
sul dominio ! )
2 3 2ˆ 2 3
Dp´4q “ P L pR q : |k| pkq P L pR q

Esempio (operatore impulso) L’operatore impulso per una particella quan-


d
tistica in una regione limitata di R è l’operatore P “ ´ı su L2 p0, 1q.
dx
Analizziamo il dominio su cui P può essere definito.
La più larga classe di funzioni da R a C su cui si possa definire la derivata è la
classe delle funzioni assolutamente continue. Una funzione da r0, 1s Ñ C
≥x continua se esiste una funzione P L p0, 1q tale che
1
si dice assolutamente
pxq ´ px0 q “ x0 pyqdy. Ne segue che è continua e, quasi ovunque,
1
“ .
L’operatore massimale P è dovunque definito sul dominio
ˇ (
DP “ P L2 p0, 1qˇ è assolutamente continua e 1 P L2 p0, 1q

DP è certamente denso in L2 p0, 1q: contiene certamente C08 p0, 1q che è denso
in L2 p0, 1q.
Su DP l’operatore agisce calcolando la derivata e moltiplicandola per ´ı:
1
P “ ´ı

L’operatore cosı̀ definito non è certamente simmetrico essendo le funzioni


ex e e´x autovettori relativi agli autovalori rispettivamente ¯ı. Del resto la
condizione di simmetria non è soddisfatta essendo, per generiche funzioni
e in DP
ª1
“ ‰
p ,P q “ ¯pxq p´ıq 1 pxqdx “ ´ı ¯p1q p1q ´ ¯p0q p0q ` pP , q .
0
(4.3)
Se definiamo l’operatore Pmin con dominio DPmin “ t P DP | p0q “ p1q “ 0u

e azione
1
Pmin “ ´ı @ P DPmin ,
4.1. SPETTRO DI OPERATORI LINEARI CHIUSI SU H 167

allora Pmin risulta una restrizione simmetrica di P , come si deduce dalla (4.3)
in cui il termine “di bordo” si annulla per funzioni in DPmin .
Pmin non è autoaggiunto come ci si convince facilmente verificando che il
suo spettro pPmin q coincide con tutto il piano complesso. Infatti mostria-
mo che RanpPmin ´zq non può contenere le funzioni costanti ⇠pxq “ a @x P
r0, 1s, a P C per alcun valore di z.
a
pPmin ´ zq “ ´ı 1 ´ z “ a ha infatti la soluzione generale C eı zx ´ ed è
z
facile verificare che tale soluzione non può essere contemporaneamente nulla
in x “ 0 ed in x “ 1 per nessun valore della costante C. Si ha dunque
pPm ´ zq´1 R B pL2 p0, 1qq per alcun valore di z e ⇢pPmin q “ H.
Tornando alla (4.3) si nota che la più generale relazione lineare tra i valori
delle funzioni in 1 ed in 0 che annullano i termini di bordo è data dalla:
p1q “ eı↵ p0q, p1q “ eı↵ p0q con ↵ reale.
Definiremo quindi gli operatori simmetrici P↵ con dominio
ˇ (
DP ↵ “ P L2 p0, 1qˇ assolutamente continua, 1 P L2 p0, 1q, e p1q “ eı↵ p0q

e azione
1
P↵ “ ´ı @ P DP ↵ .
Dimostriamo che per ogni ↵ reale P↵ è autoaggiunto.
Sia P DP↵˚ e ˚ “ P↵˚ che apparterrà ad L2 p0, 1q e quindi ad L1 p0, 1q.
Definiamo la funzione assolutamente continua
ªx
˚
pxq “ ı pyqdy ` c
0

(verificare che appartiene ad L2 p0, 1q). Per costruzione ´ı 1 “ ˚ . Per


dimostrare che P↵˚ opera come ´ i´volte la derivata dobbiamo mostrare che
“ . Infatti per ogni ⇠ P DP↵
ª1
˚ 1 pxq⇠pxqdx
p , P↵ ⇠q “ p , ⇠q “ ı
0
ª1
ˇ1 (4.4)
ˇ
“ ı pxq ⇠pxq 0 ´ ı pxq⇠ 1 pxqdx
“ ‰ 0
ı p1qeı ↵ ´ p0q ⇠p0q ` p , P↵ ⇠q

dove abbiamo utilizzato il fatto che ogni ⇠ P DP↵ è tale che ⇠p1q “ eı ↵ ⇠p0q.
168 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II

Dalla (4.4) si ricava che


“ ‰
p ´ , P↵ ⇠q “ ı p1qeı ↵ ´ p0q ⇠p0q (4.5)

Si verifichi che il sottoinsieme lineare di L2 p0, 1q


ˇ (
⌘ P L2 p0, 1qˇ ⌘ “ ´ı⇠ 1 con ⇠ P P↵ e ⇠p0q “ 0

è denso in L2 p0, 1q. Ammesso tale risultato dalla (4.5) si ricava

• “

• p1qe´ı↵ “ p0q “ p0q “ p1qe´ı↵

Quindi P DP↵ e P↵˚ “ P↵ che prova che P↵˚ “ P↵ cioè che P↵ è


autoaggiunto.

4.2 Il teorema spettrale


Vediamo come la struttura spettrale caratterizzi in modo unico un operatore
autoaggiunto. La prova del teorema spettrale verrà solo data in spazi di
Hilbert H di dimensione finita, seguendo la trattazione fatta in [ON] .
Sia A un operatore autoaggiunto in H di dimensione n † 8. Come abbiamo
ricordato nel capitolo II :

• data una qualunque base tek unk“1 di H ad A è associata la matrice


hermitiana Ak l “ pek , A el q “ Al k ;

• A ´ z non è invertibile per i solo valori di z per cui det |Ak l ´ k l z| “ 0


(valori che non dipendano dalla base scelta). Esistono quindi m § n
valori (reali per quanto abbiamo visto in questo capitolo) 1 † 2 ... †
m che costituiscono lo spettro di A. Per ogni altro z P C infatti A ´ z
è invertibile su tutto H.

RA pzq è dunque una funzione analitica in Cz t j um


j“1 ed ha nei punti j sin-
golarità isolate. Le due disuguaglianze provate in precedenza sulla norma
dell’operatore risolvente per operatori rispettivamente chiusi e simmetrici, si
leggono in questo caso
1 1
}RA p j ` ı hq} • e }RA p j ` ı hq} §
h h
4.2. IL TEOREMA SPETTRALE 169

per h reale.
Per un operatore autoaggiunto A le singolarità isolate non possono quindi
essere altro che poli di ordine 1.

Teorema 89. Sia A un operatore autoaggiunto in uno spazio di Hilbert H di


dimensione n † 8. esistono allora m § n proiettori ortogonali P j , ciascuno
associato a una soluzione j dell’equazione caratteristica det |Ak l ´ z k l | “ 0,
con le proprietà:
ÿ
m
• P j
“1
j“1

• P jP s “ j sP j
P j
“ P ˚j @j “ 1, ..., m


ÿm
P j ÿ
m
RA pzq “ A“ j P (4.6)
j“1 j
´z j“1
j

Osservazione 90. Il teorema asserisce che a ciascun operatore autoaggiun-


to A su H, finito dimensionale, siano associati m § n, sottospazi di H,
mutuamente ortogonali Mj “ P j H con le proprietà:

• ogni vettore di H è la somma delle sue proiezioni ortogonali sugli


ÿm ÿ
m
Mj : “ Mj “ P j
j“1 j“1

• su ogni Mj l’operatore A opera moltiplicando il vettore per j (ogni


vettore di Mj è autovettore relativo all’autovalore j ).
1
Il risolvente agisce su Mj quindi come moltiplicazione per e in
j ´z
e↵etti ogni funzione continua dell’operatore A può essere definita come
l’operatore che, su ogni Mj , moltiplica il vettore per f p j q : f pAq “
ÿm
f p jq P j
j“1

Dimostrazione. La forma (4.6) che il risolvente assume suggerisce che gli


operatori ´P j siano i residui della funzione RA pzq nei punti di singolarità
j.
E- -''*'} t-^'o-'
I
é h- 'E-ì*y?4-*'ìrr> Ì'ar\ b
G ^ry?^,j\-! ,,#*, o.S^
É
G
? ''tltY) .' ."+r.9 r'vèt--ÒSìoì'} tl* tìP'-=*q 'S'r*'
é ) .- à &c-. ,4. ' y a-r**a-o .T '
G .+rrsl,{ , t'"''4 n-oìzYì
170 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II
on
G ò§treS-- $)*S ','F ,?t''-',4 ^^.'.-òA'§ Y\r-è.-è5y-Éì Y'rclv
G
G
G
G
G
G +*:o
G
G oà d
)/-r
G Jyll-

tt '.,, ,'-,,\ ./
G
G J
G -ì--r,a,t&* erIAD"? =6*".--rZ" -? ( =) v}! J,§ -òrrnralrrtti1
G '\'
Sia CR una circonferenza di raggio sufficientemente grande da contenere
I
IV À
tutti i t j um
tG1 ' j“1 e siano Crj circonferenze, di centro j , di raggi sufficientemente
"l : .-1-.'u'-ry o o*ji.a ? -è----161 6; ì

piccoli da non contenere alcun p ‰ j


cn

'tr
"\ '* "?rY
RA pzq è olomorfa nella regione interna a CR ed esterna a tutti i Crj . Per
t^t.-^y
?
il teorema di Cauchy si ha dunque
ª l"')J ÿm ª
(.r,àJ ) F=
z\P
zla RA pzq dz “
(=) "i. RA pzq dz. 1=c
CR j“1 Cr j (
Per il lemma del cerchio grande (Lemma 2.6 del Capitolo 1) e tenuto -,or ",
conto della (4.1) del corollario (2) si ha
ª
1
lim RA pzqdz “ ´1
RÕ8 2 ⇡ı C
R

Quindi
m ª
1 ÿ
RA pzq dz “ 1
2 ⇡ ı j“1 ´Crj
(´Crj indica che l’integrale sulla curva Crj è calcolato circolando in senso
orario). ≥
Definiamo P j “ 2 1⇡ ı ´Cr RA pzq dz. Allora per j ‰ s
j

ª ª
1
P jP “ RA pzq RA pz 1 q dz dz 1
s
p2 ⇡ ıq2 Cr j Cr s
ª ª
1 1
“ pRA pzq ´ RA pz 1 qq dz dz 1
p2 ⇡ ıq2 Cr j Cr s z ´ z1
4.2. IL TEOREMA SPETTRALE 171

per l’identità del risolvente. Ma


ª ª
1 1 1
1
RA pzqdz “ R pz 1 qdz “ 0
1 A
Cr s z ´ z Cr j z ´ z

RA pzq 1 1 RA pz 1 q
essendo olomorfa in z per z interno a C rs (e z P C rj ) e
z ´ z1 z ´ z1 ^d
1
olomorfa in z per z interno a Crj (e z P Crs ).
har no'-.ar-nl' ì-ì/var 'Y, r =r- ' e
tY,
Si ha quindi che P j P s “ 0 per j ‰ s.
p2q
Sia j “ s e rj1 ” rj ° rs ” rj
t brp

t (Y)
lr^
)
J-
I
) ) rz'lozlo (,.)tè,
Ò l
I
v. ª
G ª (")Yò
1
RA pzq RA pz 1 q dz dz 1
lwr 2 \
P “ (,'I':»
j
p2 ⇡ ıq2 C p1q
<nlo Q p2q
Cr j
r
j
ª ªq
1 1 ,r:')(
“ 1
pRA pzq ´ RA pz 1 qq dz dz 1
p2 ⇡ ıq2 p1q
Cr j
p2q
C p2q z´z l
r j
\
r
j
o5 -(f)"ò)
,
^ (,2--Q
,=PzP (r ,=l
Tenuto conto che
,(;u4 ª
\
t 1
1
RA pzqdz 1 “ 0
"(
C
n:zar
p2q
z´z ,-j,-
r
j

RA pzq
essendo olomorfa all’interno di Crj2 come funzioni di z 1 per z P Crp1q e
z ´ z1 j

ª
1
´ R pz 1 qdz “ ´2 ⇡ ı RA pz 1 q
1 A
C p1q z ´ z
r
j

come si ottiene per calcolo diretto di


ª
1
1
dz “ 2⇡ı
C p1q z ´ z
I@ ") ,1,
r
j -e_

t
7 tLz
172 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II

con z 1 interno a Crp1q , si ottiene


j

P 2j “ P j

Per la simmetria della circonferenza Crj rispetto alla coniugazione complessa:


z P Crj Ø z P Crj , si deduce che
ª ª
1 1
P j“ RA pzq dz “ RA pzq dz “ P ˚j
2 ⇡ ı ´Crj 2 ⇡ ı ´Crj

dove si è utilizzata l’autoaggiuntezza di A. Poichè RA pzq ha solo poli del


primo ordine con residui ´P j nei punti j , la funzione da C Ñ BpHq
ÿm
P j
RA pzq `
j“1
z´ j

è una funzione intera che tende a 0 per |z| tendente all’infinito ed è quindi la
funzione nulla. Si ha cioè:
ÿm
P j
RA pzq “ .
j“1 j
´z
1
Per ogni P Mj “ P j H si ha pA ´ zq “ pA ´ zq RA pzq “ cioè
j ´z
A “ j . Per ogni P H si ha dunque
˜ ¸
ÿ
m ÿ
m
A “A P j “ j P j
j“1 j“1

che dimostra il teorema.

Seguono alcune definizioni necessarie per introdurre il Teorema Spettrale


nel caso generale di spazi di Hilbert di dimensione infinita.
Intuitivamente ci farà da guida il risultato ottenuto precedentemente per un
operatore autoaggiunto A in uno spazio di Hilbert H di dimensione n † 8
che possieda m § n autovalori 1 † 2 † . . . † ÿ m.
Riferendoci a questo caso, definiamo E ” P j P R. Essendo i P j
j: j§
operatori di proiezione ortogonale, su sottospazi mutuamente ortogonali, gli
E sono operatori di proiezione ortogonale per ogni P R.
Dalla definizione discendono le seguenti proprietà della funzione E
4.2. IL TEOREMA SPETTRALE 173

a) s ´ lim E “ 0 s ´ lim E “ 1 2
Ñ´8 Ñ8

b) E E 1 “ E 1 E “ Emint , 1u

c) E `0 ” s ´ lim E `✏ “E
✏Ó0

Per ogni P H con } } “ 1 la funzione positiva di variabile reale Ñ


p , E q è crescente, vale 0 per † 1 e vale 1 per • m . Ogni funzione
di questo tipo definisce una misura e un integrale su R (integrale di Stieltjes)
∞m nel caso in esame è la misura di probabilità (vedi capitolo II) µ “
che
j“1 p , P j q j
.
In termini di tale misura la (4.6) del teorema spettrale si legge
ª8 ª8
p ,A q “ µ pd q “ dp , E q
´8 ´8

che verrà sintetizzata nella


ª8 ª8
A“ dE ovvero f pAq “ fp q d E
´8 ´8
per ogni funzione continua e limitata f .
Sia ora H uno spazio di Hilbert di dimensione qualunque.
Definizione Si dice famiglia spettrale, o schiera spettrale, o risoluzione
dell’identità una famiglia tE u PR di operatori di proiezione ortogonale che
soddisfino le proprietà a), b) e c).
Vale il teorema
Teorema 91 (Teorema Spettrale). E sia una famiglia spettrale nello spa-
zio di Hilbert H. Ad essa è allora associato un operatore autoaggiunto A
formalmente denotato come
ª8
A“ dE (4.7)
´8

ovvero con dominio e azione seguenti


2
Data una successione di operatori limitati Tn si dirà che tende fortemente al-
l’operatore limitato T , scrivendolo T “ s ´ lim Tn , se @ P H, Tn tende a T in
nÑ8
H
174 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II

" ˇª 8 *
ˇ
DA “ P H ˇˇ 2
dp ,E q†8
´8
ª8
p ,A q “ dp ,E q (4.8)
´8
Viceversa se A è un operatore autoaggiunto allora esiste una (e una sola)
schiera spettrale E tale che valga la (4.7).
Esempio In L2 pRq definiamo la famiglia di operatori E di moltiplicazione
per la funzione caratteristica dell’intervallo p´8 , s : E pxq ” p´8, s pxq pxq.
Essendo operatori di moltiplicazione per funzioni limitate e reali gli E sono
autoaggiunti e limitati. È immediato verificare che le proprietà a), b) e c)
delle schiere spettrali sono verificate dagli E . L’operatore autoaggiunto A
associato alla schiera spettrale è definito dalle
" ˇª 8 ª ª8 *
ˇ
DA “ P L pRq ˇˇ
2 2
d 2
| pxq| dx “ 2 2
| p q| d † 8
´8 ´8 ´8
ª8 ª ª8
p ,A q “ d | pxq|2 dx “ | p q|2 d
´8 ´8 ´8

A è quindi l’operatore autoaggiunto in L2 pRq di moltiplicazione per la fun-


zione f pxq “ x.
Esercizio. Mostrare che le proprietà a) e c) non sono verificate come con-
vergenza in norma per la schiera spettrale E dell’operatore di moltiplicazione
per x. (Suggerimento: calcolare la norma di E n con n “ e´px`nq {2 {⇡ 1{4 ).
2

Osservazione 92. La forma quadratica (4.8), via l’identità di polarizzazione,


fornisce tutti i prodotti scalari p , A q per ogni , P H e specifica quindi
univocamente l’azione dell’operatore A su ogni vettore di H.
Si noti inoltre che, come nel caso finito dimensionale, la decomposizione
spettrale fornisce una forma esplicita delle funzioni limitate dell’operatore A:
la funzione f pAq dell’operatore autoaggiunto A è definita dalla
ª8
f pAq “ f p qd E
´8

In particolare per z P ⇢pAq Ä C e per t P R sono definite le funzioni


ª8 ª8
1 1 ıtA
“ dE e “ eıt d E
A´z ´8 ´z ´8
4.2. IL TEOREMA SPETTRALE 175

La prima esprime il risolvente dell’operatore autoaggiunto A mentre la se-


conda definisce una famiglia di operatori unitari (e´ıtA essendo l’inverso di
eıtA ) funzione del parametro reale t.

Definizione Si definisce gruppo unitario fortemente continuo in H una


famiglia di operatori unitari U ptq con t P R tale che valgano le proprietà

• U pt ` t1 q “ U ptqU pt1 q

• U ptq è fortemente continuo: lim U ptq “ 1


tÑ0

Osservazione 93. Si noti che la forte continuità per t “ 0, espressa dalla


seconda proprietà, implica, per la prima proprietà, che la continuità valga
per ogni valore di t.
Si noti inoltre che la prima proprietà implica che U p´tq sia l’inverso (e
quindi l’aggiunto trattandosi di un operatore unitario) di U ptq: U p´tq U ptq “
U ptq U p´tq “ U p0q “ 1 ùñ U p´tq “ U ptq´1 “ U ptq˚

Vale il seguente

Teorema 94 (Teorema di Stone). Se A è un operatore autoaggiunto, allora


la famiglia di operatori unitari U ptq “ e´ıtA è un gruppo fortemente continuo
su H con le proprietà

• conserva il dominio di A: e´ıtA DA Ä DA

• commuta con A (come tutte le funzioni di A): e´ıtA A “ A e´ıtA

• per ogni P DA “l’evoluto” ptq “ e´ıtA soddisfa l’equazione (di


Schrödinger)
d ptq
ı “ A ptq
dt
con condizione iniziale p0q “ .
176 CAPITOLO 4. OPERATORI LINEARI IN SPAZI DI HILBERT II
Bibliografia

[ON] E. Onofri, Lezioni sulla Teoria degli Operatori Lineari Seconda edi-
zione, 2009, versione elettronica 1.5, 2017 http://www.pr.infn.it/ enri-
co.onofri/MMFbook.pdf

[G] S. Graffi, Alcuni aspetti matematici della Meccanica Quantistica,


Quaderni INDAM, n. 61, 2004.

[BB] Ph. Blanchard and E. Brüning, Mathematical Methods in Physics,


Birkhäuser, 2003.

[K] T. Katō, Perturbation theory for linear operators, Springer, 1995.

[RS] M. Reed and B. Simon, Methods of Modern Mathematical Physics 1, 2,


Elsevier, 1975.

177
178 BIBLIOGRAFIA
Capitolo 5

Distribuzioni

Le distribuzioni costituiscono una generalizzazione delle funzioni e la teoria


delle distribuzioni una generalizzazione del calcolo di↵erenziale sulle funzio-
ni. Senza entrare nel dettaglio delle motivazioni storiche che hanno portato
all’elaborazione della Teoria delle Distribuzioni, principalmente dovuta al
contributo di L. Schwartz, diamo una lista di applicazioni e risultati della
teoria, che ne ha fatto uno strumento insostituibile in Fisica fondamentale e
applicata:

• generalizzazione del calcolo di↵erenziale: una distribuzione sarà sempre


infinite volte di↵erenziabile. Poiché le funzioni continue sono immerse
nelle distribuzioni, sarà possibile definire derivate di ordine qualunque
di funzioni anche solo continue.

• Soluzioni deboli di equazioni di↵erenziali: le soluzioni di equazioni dif-


ferenziali “nel senso delle distribuzioni” hanno un ruolo fondamentale
nell’analisi qualitativa e quantitativa dei problemi della Fisica Matema-
tica che prendono a modello le equazioni stesse. In particolare la teoria
delle distribuzioni permette una trattazione unificata delle equazioni
di campo con sorgenti distribuite in maniera continua e con sorgenti
distribuite in maniera singolare, che spesso si incontrano nella model-
lizzazione fisica (punti materiali, cariche puntiformi, fili percorsi da
corrente etc.).

• Estensione da funzioni di punto a funzioni di “regione”: le distribuzio-


ni saranno definite come funzionali su spazi di funzioni molto regolari,

179
180 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

ma non come funzioni di punto. Sono pertanto più adatte a descrive-


re sistemi fisici in cui, per qualche ragione pratica o fondamentale, le
quantità in studio non abbiano valori definibili nei singoli punti.

• Scambio di operazione di limite: nel caso delle distribuzioni lo scambio


di operazioni di limite (derivata e somma infinita, limite e integrale,
limiti successivi etc.) è sempre permesso e non altera il risultato.

Esistono molte presentazioni di ottimo livello della teoria delle distribu-


zioni. Questi appunti seguiranno, principalmente, parti scelte dei testi ([Sc],
[BB], [St]).
Le parti di testo riportate in blu sono approfondimenti.

5.1 Spazi di funzioni test


Funzioni molto regolari sostituiranno il concetto di punto: intuitivamente il
valore di una grandezza fisica “in una funzione” va interpretato come una
media, pesata sulla funzione stessa, dei valori puntuali di quella grandezza.
I due spazi di funzioni test che utilizzeremo sono già stati introdotti nei
capitoli precedenti; la loro definizione verrà qui riportata per completezza.

• Se ⌦ Ñ Rn è un aperto di Rn , consideriamo lo spazio vettoriale C08 p⌦q


delle funzioni reali infinitamente di↵erenziabili a supporto com-
patto K Ä ⌦. Diremo che una successione di funzioni t'j u in C08 p⌦q
tende a ' P C08 p⌦q se

– esiste un compatto K Ä ⌦ tale che supp 'j Ñ K, @ j e


– sup |D↵ p' ´ 'j qpxq| ›Ñ 0 per ogni multi-indice ↵ “ ↵1 , . . . , ↵n ↵i “
jÑ8
xPK
0, 1 . . .,

B |↵|
D↵ ” |↵| “ ↵1 ` . . . ` ↵n .
Bx↵1 1 . . . Bx↵nn
5.1. SPAZI DI FUNZIONI TEST 181

C08 p⌦q, con la topologia (di cui non analizzeremo i dettagli) indotta
dalla convergenza appena definita è completo, ovvero ogni successione
di Cauchy converge a un elemento dello spazio. Lo indicheremo con
Dp⌦q, spesso omettendo ⌦ se ⌦ “ Rn .
• In ⌦ Ñ Rn , aperto, consideriamo lo spazio vettoriale delle funzioni reali
infinitamente di↵erenziabili ' tali che le norme
}'}m,l “ sup |D↵ 'pxq| p1 ` |x|qm
xP⌦ , |↵|§l

siano finite @ m e l interi • 0.


Lo spazio Sp⌦q con la topologia definita dal “sistema” di norme }'}m,l
è uno spazio completo che definiremo delle funzioni infinitamente
di↵erenziabili a decrescenza rapida.
Naturalmente
Dp⌦q Ä Sp⌦q
con inclusione continua: ogni funzione di Dp⌦q appartiene a Sp⌦q e
ogni successione convergente di funzioni in Dp⌦q risulta convergente in
Sp⌦q.
L’insieme dei funzionali lineari continui su Dp⌦q (il duale topologico di
Dp⌦q) è denominato insieme delle distribuzioni e viene indicato con D1 p⌦q:
ogni T P D1 p⌦q è quindi un funzionale lineare su Dp⌦q (quindi un elemento
del suo duale algebrico), che risulta inoltre continuo rispetto alla topologia
di Dp⌦q. Si ha cioè:
• T p'q ” xT, 'y P C, @ ' P Dp⌦q
• xT, ↵ '1 ` '2 y “ ↵ xT, '1 y ` xT, '2 y @ ↵, P C, '1 , '2 P Dp⌦q
• Se t'j u è una successione di funzioni in D che converge a ' P D,
nella topologia specificata precedentemente, allora
xT, 'j y ݄ xT, 'y in C
j݄8

Il duale topologico dello spazio Sp⌦q è detto delle distribuzioni temperate


e viene indicato con S 1 p⌦q: T P S 1 p⌦q se xT, 'y è un funzionale lineare su
Sp⌦q e se
xT, 'j y ݄ xT, 'y in C
jÑ8
182 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

ogni volta che


sup rp1 ` |x|qm |D↵ p'j ´ 'q|pxqs ›Ñ 0
x jÑ8

@ m e l interi positivi o nulli e |↵| § l (con la notazione precedente


}'j ´ '}m,l ›Ñ 0, @ m, l P N ).
jÑ8

Esercizio. Provare che l’inclusione Dp⌦q Ä Sp⌦q, assieme alla continuità


dell’inclusione stessa, implicano che S 1 p⌦q Ä D1 p⌦q.

D1 p⌦q e S 1 p⌦q hanno la struttura di spazi vettoriali, quando si definiscono


somma e prodotto per uno scalare nella maniera che segue:
• somma:
xT1 ` T2 , 'y ” xT1 , 'y ` xT2 , 'y @ T1 , T2 P D1 p⌦q prisp. S 1 p⌦qq
@ ' P Dp⌦q prisp. Sp⌦qq.

• prodotto per uno scalare:


x T, 'y “ xT, 'y @ P C @ T P D1 p⌦q prisp. S 1 p⌦qq
@ ' P Dp⌦q prisp. Sp⌦qq.

Osservazione 95. La di↵erenza tra D1 p⌦q e il duale algebrico di Dp⌦q è


difficile da verificare. È cioè difficile caratterizzare funzionali lineari che non
siano anche continui.
La linearità di un funzionale T su Dp⌦q sembra, da sola, implicare una “certa
dose” di continuità: in particolare la continuità lungo direzioni assegnate
tÑ0
xT, ' ` thy “ xT, 'y ` txT, hy ›Ñ xT, 'y @' , h P Dp⌦q

cioè: “lungo la direzione h”, il funzionale è continuo perché è lineare. Una


successione t'j ujPN potrebbe però tendere a ' cambiando costantemente “di-
rezione”, e la linearità non implicherebbe, in questo caso, la continuità.
Malgrado la convergenza in Dp⌦q sia molto forte, si può dimostrare che esi-
stono funzionali lineari su Dp⌦q che non sono continui. La dimostrazione si
basa su assiomi della teoria degli insiemi (assioma della scelta) e non è co-
struttiva: non permette, cioè, di esplicitare un esempio di funzionale lineare
non continuo su Dp⌦q.
5.2. LO SPAZIO DELLE DISTRIBUZIONI D1 183

5.2 Lo spazio delle distribuzioni D1


Una larga classe di funzioni è inclusa in maniera naturale nelle distribuzioni
giustificando l’idea che le distribuzioni costituiscano una generalizzazione del
concetto di funzione.
Per semplicità consideriamo ⌦ “ Rn , Dp⌦q “ D. Una funzione f da Rn a C
si definisce localmente sommabile se
ª
|f |pxqdx † 8 @ K compatto di Rn
K

Lo spazio vettoriale delle funzioni da Rn a C localmente sommabili si indicherà


con L1loc pRn q. Definiamo il funzionale lineare su D
ª
xTf , 'y ” f pxq'pxqdx

ben definito poiché


ª ª
|xTf , 'y| § |f |pxq|'|pxqdx § sup |'| |f |pxqdx † 8 @' P D
x supp '

La maggiorazione precedente mostra inoltre che Tf è continuo su D


(xTf , 'j y Ñ 0 quando 'j Ñ 0 in D). Quindi Tf P D1 .
Si noti inoltre che:
ª
f pxq 'pxqdx “ 0 @ ' P D
ñ f pxq “ 0 q. o. in Rn (provarlo)

e quindi due funzioni localmente sommabili definiscono la stessa distribuzione


se e solo se sono uguali quasi ovunque.
Le funzioni localmente sommabili (meglio: le classi di equivalenza di funzioni
localmente sommabili uguali q.o.) sono quindi immerse nelle distribuzioni.
1
Esercizio. Verificare che non è localmente sommabile in Rn , mentre
|x|n

e|x| lo è.
2

Le distribuzioni definite da funzioni localmente sommabili sono spesso deno-


minate distribuzioni regolari.
184 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Si possono facilmente trovare distribuzioni in D1 che non sono definite da


funzioni localmente sommabili. L’esempio classico è costituito dalla distri-
buzione y (“di Dirac”) nel punto y P Rn:
x y , 'y “ 'pyq @' P D
È immediato verificare che y è un funzionale lineare e che
|x y , 'j y ´ x y , 'y| ›Ñ0
jÑ8

1
se 'j ›Ñ '. Quindi y P D e x y , 'y “ 0, @ ' P D, con supp ' Ä pRn ztyuq
in D
(compatto, essendo ' in D). Se una funzione f localmente sommabile
definisse la stessa distribuzione, si avrebbe dunque
ª
f pxq'pxqdx “ 0 @ ' P D supp ' Ä pRn ztyuq
Rn

Come precedentemente notato, questo implicherebbe che f pxq “ 0 q.o. in


Rn ztyu, ovvero q.o. in Rn .
Le distribuzioni sono dunque un’estensione propria delle funzioni localmente
sommabili.
Diamo alcuni esempi di distribuzioni non regolari
Parte principale di Cauchy o valore principale di Cauchy La funzio-
1
ne non è integrabile su alcun compatto di R contenente l’origine e non è
x
quindi localmente integrabile. Verifichiamo l’esistenza di una distribuzio-
1
ne p.p. (Parte principale di x1 o valore principale di x1 ) che, fuori
x
1
dall’origine, coincide con la funzione . Definiamo
x
B F ª
1 'pxq
p.p. , ' ” lim dx
x ✏Ñ0
|x|°✏ x
per ogni ' P DpRq.
ª |x|†L
1
Essendo “ 0 @ L ° ✏ ° 0 e tenuto conto del fatto che per ogni ' P
|x|°✏ x
DpRq esiste un intervallo p´L, Lq che contiene il supporto di ', se ne deduce
che una versione alternativa della definizione precedente è la seguente
ª |x|†L
1 'pxq ´ 'p0q
xp.p. , 'y ” lim dx (5.1)
x ✏Ñ0
|x|°✏ x
5.2. LO SPAZIO DELLE DISTRIBUZIONI D1 185
ˇ ˇ
ˇ 'pxq ´ 'p0q ˇ
Per ogni funzione ' P DpRq, ˇˇ ˇ § sup |'1 pxq| e la funzione
x ˇ xPsupp '
integranda, nel membro di destra della (5.1), risulta limitata e quindi inte-
grabile in r´✏, ✏s. Si ha quindi
ª
1 'pxq ´ 'p0q
xp.p. , 'y ” dx
x |x|†L x

con supp ' Ä r´L, Ls.


Il funzionale cosı̀ definito è evidentemente lineare.
Se ' Ñ 0 in D allora supx |'1 pxq| Ñ 0 e xp.p. x1 , 'y Ñ 0 in C. Di conse-
guenza se 'j è una successione di funzioni test che converge in D a ' allora
xp.p. x1 , 'j y Ñ xp.p. x1 , 'y e il funzionale risulta quindi continuo.

Distribuzione superficiale di “carica” Data una funzione continua S pyq


definita su una (iper-)superficie regolare S di Rn si definisce
ª
x S , 'y “ S pyq 'pyqdSpyq @' P D
S

È un semplice esercizio verificare che S è una distribuzione e che non è una


distribuzione regolare.

Osservazione 96. Daremo nel seguito definizioni e proveremo proprietà del-


le distribuzioni che generalizzano analoghe definizioni e proprietà di funzio-
ni localmente sommabili. Ogni volta che le distribuzioni saranno definite
da funzioni localmente sommabili, bisognerà verificare che le proprietà e le
operazioni corrispondano a quelle classicamente definite sulle funzioni.

Definizione Una successione di distribuzioni in tTj u P D1 , si dirà di Cau-


chy se le successioni xTj , 'y sono di Cauchy in C per ogni ' P D. Si dirà
convergere a T P D1 se

xTj , 'y ݄ xT, 'y in C, @ ' P D


jÑ8

Esercizio. Verificare che se Tj “ Tfj e T “ Tf , per fj e f funzioni localmente


sommabili, la convergenza Tfj jÑ8 ›Ñ Tf implica la convergenza q.o. delle
funzioni su ogni compatto.
186 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Gli esempi che seguono dimostrano che successioni di funzioni fi localmente


sommabili, che non convergono nel senso delle funzioni, definiscono succes-
sioni di distribuzioni che hanno sempre un limite in D1 . Mostreremo anche
esempi di successioni di funzioni convergenti nel senso delle funzioni, ma tali
che la corrispondente successione di distribuzioni non converge alla distri-
buzione definita dalla funzione limite. Al lettore è richiesto di convincersi
che gli esempi di quest’ultimo tipo non contraddicono l’a↵ermazione sulla
convergenza di distribuzioni regolari fatta alla fine del periodo precedente.

Esempio Si consideri la successione di funzioni localmente sommabili sulla


retta reale fj pxq “ sinpjxq. Per quasi ogni x non esiste il limite lim sinpjxq.
jÑ8
La successione non ammette quindi una funzione limite. Integrando per parti
e tenendo conto che le funzioni di DpRq hanno supporto compatto, si ha però
ª8 ª
1 8
xTfj , 'y “ sinpjxq 'pxq dx “ cospjxq '1 pxq dx
´8 j ´8

per ogni ' P DpRq. Se ne conclude che xTfj , 'y Ñ 0 quando j Ñ 8, per ogni
' P DpRq, ovvero che la successione di distribuzioni Tfj tende a 0.

Esempio Si consideri la successione di funzioni localmente sommabili sulla


sinpjxq
retta reale hj pxq “ . Come nel caso precedente la successione non
x
ammette limite nel senso della convergenza puntuale di funzioni. Nel senso
delle distribuzioni si ha invece lim Thj “ ⇡ 0 . Infatti, per ogni ' P DpRq
jÑ8

ª8 ª ª
sinpjxq sinpjxq sinpjxq
xThj , 'y “ 'pxq dx “ r'pxq´'p0qs dx ` 'p0q dx
´8 x supp ' x supp ' x

Il primo integrale tende a 0 per il lemma di Riemann-Lebesgue. Se L ° 0 è


tale che supp ' Ñ r´L , Ls il secondo integrale diventa
ª ªL ª jL
sinpjxq sinpjxq sinpxq
'p0q dx “ 'p0q dx “ 'p0q dx
supp ' x ´L x ´j L x

che nel limite j Ñ 8 tende a ⇡'p0q provando il risultato. (Per il calcolo


dell’integrale col metodo dei residui, si vedano gli esercizi alla fine del capitolo
1).
5.2. LO SPAZIO DELLE DISTRIBUZIONI D1 187

Unità approssimate Consideriamo in L1 pRq la classe di unità approssi-


mate che si ottengono per riscalamento di funzioni integrabili non negative
(vediª l’esempio nella sezione 3.6). Sia Jpxq P L1 pRq con Jpxq • 0 q.o. tale
che Jpxq dx “ 1. Abbiamo dimostrato nel capitolo 3 che la successione
R
Jm pxq “ m Jpm xq è un’unità approssimata e che quindi, in particolare,
ª8
lim Jm pxq f pxq dx “ f p0q
mÑ8
´8

per ogni funzione complessa di variabile reale continua e limitata. Il risul-


tato è quindi certamente vero per ogni funzione ' P DpRq e si traduce, nel
݄ 0 .
linguaggio delle distribuzioni, nell’a↵ermazione TJm mÑ8
In particolare scegliendo
„ ⇢
1 1 1 ✏ 1 1 1ı 1 1
Jpxq “ ùñ J✏ pxq “ “ Im “ ´
⇡ 1 ` x2 ⇡ x2 ` ✏2 ⇡ x ´ ı✏ ⇡ 2 x ` ı✏ x ´ ı✏
(dove si è preso ✏ “ 1{m per unificare la notazione con quella tradizionale)
si ottiene il risultato, noto come formula di Breit-Wigner

lim “ ⇡ 0
✏Ñ0 x2 ` ✏2

Un esempio in Rn si ottiene considerando l’unità approssimata, già definita


al capitolo 3, Jm pxq “ mn e´⇡m |x| che tende quindi alla 0 in D1 pRn q.
2 2

Si noti che in entrambi gli esempi precedenti le successioni di funzioni tendono


a zero per quasi ogni x mentre le corrispondenti successioni di distribuzioni
non tendono alla distribuzione nulla.
1 1
Esempio Le funzioni e sono, per ogni ✏ ° 0, localmente
x ` ı✏ x ´ ı✏
sommabili e definiscono quindi distribuzioni in D1 pRq. Per ✏ che tende a
0 tendono alla funzione 1{x che non è localmente sommabile e non defini-
sce quindi una distribuzione. In D1 pRq vale però il risultato (formula di
Sokhotskj-Plemelji)
1 1 1
” lim “ ¯ı⇡ 0 ` p.p. (5.2)
x ˘ ı0 ✏Ñ0 x ˘ ı✏ x
Infatti
1 1 1 x ✏
“ Re ` ı Im “ 2 ¯ı 2
x ˘ ı✏ x ˘ ı✏ x ˘ ı✏ x `✏ 2 x ` ✏2
188 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

La parte immaginaria del limite è dunque ¯⇡ 0 per la formula di Breit-


Wigner. Verifichiamo che, nel senso delle distribuzioni, si ha
x 1
lim “ p.p.
✏Ñ0 x2 ` ✏2 x
Infatti, sia ' P DpRq e L ° 0 tale che il supporto di ' sia contenuto
nell’intervallo p´L, Lq. Si ha
ª8 ªL
x x 'pxq x p'pxq ´ 'p0qq
limx 2 , 'y ” lim “ lim
✏Ñ0 x ` ✏2
´8 x ` ✏ x 2 ` ✏2
✏Ñ0 2 2 ✏Ñ0
´L
ªL
'pxq ´ 'p0q 1
“ “ xp.p. , 'y
´L x x
x 'p0q
dove si è utilizzato, nella prima uguaglianza, il fatto che la funzione
x2 ` ✏2
sia dispari e, nella seconda uguaglianza, il teorema di dominata convergenza.

Esercizio. Sia C✏ il cammino nel piano complesso unione della semiretta


p´8, ´✏s, del semicerchio c✏ di raggio ✏ di centro l’origine con 0 † arg z † ⇡
e della semiretta r✏, 8q, percorso nel verso che va da ´8 a 8. Per ogni
' P DpRq definiamo la sua estensione continua al piano complesso C come
'pzq “ 'pRezq. Verificare l’uguaglianza
ª
'pzq 1
lim dz “ x , 'y
✏Ñ0
C✏ z x ` ı0

Soluzione: scrivendo l’integrale come somma dell’integrale della 'pxq sul


sottoinsieme dell’asse reale |x| ° ✏ e dell’integrale sul semicerchio si ha
ª ª ª
'pzq 'pxq 'pzq
lim dz “ lim dx ` lim dz
✏Ñ0
C✏ z ✏Ñ0
|x|°✏ x ✏Ñ0
´c✏ z
1 1
“ xp.p. , 'y ´ xı⇡ 0 , 'y “ x , 'y
x x ` ı0
dove si è utilizzata la formula di Sokhotskj-Plemelji (5.2) e il lemma del
cerchio piccolo (1.42) per il calcolo del limite dell’integrale sul semicerchio di
raggio ✏ (percorso in senso orario).
È facile dimostrare che se il semicerchio viene preso nel semipiano Imz † 0
1
la distribuzione limite diventa la .
x ´ ı0
5.2. LO SPAZIO DELLE DISTRIBUZIONI D1 189

La definizione di convergenza di successioni di distribuzioni in D1 suggerisce


e implica la nozione di convergenza di una serie di distribuzioni alla sua
8
ÿ
somma. La serie Ti di distribuzioni Ti P D1 si dirà convergere alla somma
i“0
8
ÿ
1
T P D se la serie di numeri complessi xTi , 'y converge a xT, 'y per ogni
i“0
' P D. ∞
Ad esempio la distribuzione T “ 8 i“0 ci i, ci P C è ben definita in D1 pRq
poiché per ogni ' P D
ÿ
xT , 'y “ ci 'piq
i:iPsupp '

che esiste per ogni scelta dei coefficienti ci essendo gli i P supp ' in numero
finito.

Concludiamo questa sezione con la definizione di supporto di una distri-


buzione in D1 p⌦q. La definizione di supporto di una funzione continua come
la chiusura dei punti del dominio in cui la funzione è diversa da zero, data
all’inizio della sezione (3.6), è ovviamente inadatta a definire dove sia loca-
lizzata una distribuzione, che non è una funzione di punto. Come nel caso
del supporto essenziale di una funzione definita quasi ovunque, si comincerà
col definire la regione in cui una distribuzione è identicamente nulla.
Diremo che una distribuzione T P D1 p⌦q è identicamente nulla nell’aperto
⌦1 Ä ⌦ se xT , 'y “ 0 @ ' P Dp⌦1 q , cioè se xT , 'y “ 0 per ogni funzione ',
infinitamente di↵erenziabile, a supporto compatto contenuto in ⌦1 .
Conseguentemente si dirà che due distribuzioni T e T 1 coincidono nell’aperto
⌦ quando la loro di↵erenza T ´ T 1 è identicamente nulla in ⌦.
Si dirà supporto della distribuzione T P D1 p⌦q il complementare in ⌦ del
più grande sottoinsieme aperto di ⌦ in cui la distribuzione T è identicamente
nulla. Alternativamente il supporto di T è caratterizzato come l’intersezione
di tutti gli insieme chiusi C tali che la distribuzione T è identicamente nulla
in ⌦zC.

Esercizio. Provare che


• per ogni funzione f continua, localmente sommabile, si ha supp f “
supp Tf ;
190 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

• il supporto della distribuzione y P D1 p⌦q con y P ⌦ è l’insieme chiuso


tyu costituito dal solo punto y.

Il sottoinsieme lineare E 1 p⌦q di D1 p⌦q delle distribuzioni a supporto com-


patto in ⌦ è un sottospazio chiuso di D1 p⌦q: si può dimostrare che è il duale
topologico dello spazio vettoriale C 8 p⌦q con la topologia indotta dalla con-
vergenza uniforme di tutte le derivate su ogni comparto K Ä ⌦, generalmente
indicato con Ep⌦q.

5.3 Calcolo di↵erenziale in D1


Per semplicità di notazione in questa sezione considereremo solo distribuzioni
in D1 pRn q.
Definizione Se ↵pxq P C 8 pRn q, il prodotto di ↵ per una distribuzione T P D1
è definito dalla
x↵ T, 'y ” xT, ↵ 'y @ ' P D
La relazione precedente definisce la distribuzione ↵ T P D1 poiché:
• ↵' P D @ ↵ P C 8 pRn q, ' P D
• ↵ 'j ›Ñ ↵ ' @ ↵ P C 8 pRn q se 'j ›Ñ '
D D

Definizione Se T P D1 , la sua derivata parziale D↵ T , di ordine |↵|, ↵i volte


rispetto alla variabile xi , i “ 1 . . . n, è definita dalla
xD↵ T, 'y ” p´q|↵| xT, D↵ 'y
La distribuzione è ben definita poiché
¨ D↵ ' P D @ ' P D
¨ l’operazione di derivazione è lineare su D
¨ l’operazione di derivazione è continua su D : D↵ 'j ›Ñ
D
D↵ ' se 'j , ›Ñ
D
'
Se T “ Tf con f localmente sommabile e con derivate localmente sommabili
fino all’ordine l P N , allora D↵ Tf “ TD↵ f per |↵| § l poiché, per integrazione
per parti,
ª ª
↵ |↵| ↵
xD Tf , 'y “ p´q f pxqpD 'qpxqdx “ pD↵ f qpxq'pxqdx
Rn Rn
5.3. CALCOLO DIFFERENZIALE IN D1 191

Nel lemma che segue sono contenuti una serie di risultati che sono conse-
guenza diretta delle precedenti definizioni e della linearità e continuità delle
derivate in D

Lemma 97.
• Ogni distribuzione T P D1 è infinitamente di↵erenziabile e le derivate
successive non dipendono dall’ordine in cui vengono calcolate

D pD↵ T q “ D↵ pD T q “ D↵` T

• Per ogni multi-indice ↵ la derivata D↵ è un’applicazione lineare e con-


tinua da D1 a D1 . In particolare

– se T “ mÑ8
lim Tm allora

D↵ T “ D↵ p lim Tm q “ lim D↵ Tm
mÑ8 mÑ8

8
ÿ
– se la serie Tm converge in D1 alla distribuzione T , allora
m“0
˜ ¸
8
ÿ 8
ÿ
↵ ↵
D T “D Tm “ D ↵ Tm
m“0 m“0

• Se ↵pxq P C 8 pRn q e T P D1 allora per la distribuzione prodotto ↵ T ,


definita precedentemente, vale la regola di Leibniz
B B↵ BT
p↵ T q “ T ` ↵
B xi B xi B xi

Sia y “ Ax ` b la trasformazione affine di Rn in se stesso definita dalla


trasformazione lineare A, non singolare p| det A| ‰ 0q, e dalla traslazione
b P Rn .
Per una distribuzione T P D1 definiremo la composizione di T con la trasfor-
mazione affine y “ Ax ` b tramite la:

'pA´1 px ´ bqq
xT ˝ pAx ` bq, 'y ” xT, y
| det A|
192 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

In particolare la traslazione ⌧b T della distribuzione T è definita:

x⌧b T, 'p¨qy “ xT, 'p¨ ´ bqy

È facile verificare che l’uguaglianza definisce una distribuzione in D1 . Se


T “ Tf con f localmente sommabile, l’uguaglianza è una conseguenza della
formula per il cambio di variabili nell’integrale:
ª ª
1
f pAx ` bq'pxqdx “ f pxq'pA´1 px ´ bqqdx
Rn | det A| Rn

Esercizio. Provare che x⌧x T, 'y è una funzione infinitamente di↵erenziabile


in x (non necessariamente a supporto compatto) @ ' P D.

Esempio il “dipolo unitario” in y di Rn , nella direzione n̂ è la distribuzione


Tdip „ ⇢ ˆ ˙
1 1 B
xTdip , 'y “ lim x y`n̂" , 'y ´ x y , 'y “ ' pyq
"Ñ0 " " Bn̂
B
quindi il dipolo unitario è definito dalla distribuzione ´ y.
Bn̂
B
Il nome deriva dal fatto che la distribuzione ´ y applicata al potenziale
Bn̂
1
di carica puntiforme |x´⇠| fornisce il potenziale in ⇠ del dipolo unitario
ˆ ˙
B 1 B 1
x´ y, y “ pyq
Bn̂ |x ´ ⇠| Bn̂x |x ´ ⇠|
n̂ ¨ p⇠ ´ yq

|y ´ ⇠|3

Esempio Sia Hpxq la funzione di Heaviside da R a C

Hpxq “ 0 x†0
“ 1 x•0

allora si dimostra che


H 1 pxq “ 0
5.3. CALCOLO DIFFERENZIALE IN D1 193

Infatti, per ogni ' P D, dalla definizione discende


ª8
1 1
xH , 'y “ ´xH , ' y “ ´ '1 pxq dx “ ´ r'pxqs8
0 “ 'p0q “ x 0 , 'y
0

Più in generale sia

f pxq “ f´ pxq x†0


“ f` pxq x°0

con f` e f´ funzioni derivabili m volte e tali che le funzioni e le loro derivate


abbiano limiti finiti per x che tende a zero rispettivamente da destra e da
sinistra. Utilizzeremo le notazioni
pjq pjq
• j “salto della j´sima derivata” : j “ lim` f` ´ lim´ f´
xÑ0 xÑ0

• tf pjq u j § m la funzione
pjq
tf pjq upxq “ f´ pxq x†0
pjq
“ f` pxq x°0

• Ttf pjq u la distribuzione definita dalla funzione localmente sommabile


tf pjq u.

Con le notazioni precedenti, per integrazioni per parti, partendo dalla defi-
nizione, si ricava la formula
dm Tf pm´1q pm´2q
“ Ttf pmq u ` 0 0 ` 1 0 ... m´1 0
d xm
pjq
dove con 0 abbiamo denotato la derivata j´sima della distribuzione 0

pjq
x 0 , 'y “ p´1qj x 0 , 'pjq y “ p´1qj 'pjq p0q @' P D

Infatti
ª0 ª8
d Tf
x , 'y “ ´xTf , '1 y “ ´ 1
f´ pxq' pxq dx ´ f` pxq'1 pxq dx
dx ´8 0
194 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

che per integrazione per parti nei due integrali, tenuto conto che ' ha sup-
porto compatto, diventa
ª0 ª8
d Tf ´ 1 `
x , 'y “ ´f´ p0 q'p0q ` f´ pxq'pxq dx ` f` p0 q'p0q ` f`1 pxq'pxq dx
dx ´8 0
ª8
“ 0 'p0q ` tf 1 pxqu'pxq dx “ 0 x 0 , 'y ` xTtf 1 u , 'y
´8

che dimostra la formula per la derivata prima. La formula per ogni altra
derivata si ottiene per iterazione dello stesso risultato.

Esempio Consideriamo la generalizzazione dei risultati dell’esempio prece-


dente a Rn n ° 1.
Sia S una ipersuperficie regolare (le equazioni parametriche che la definisco-
no sono espresse come eguaglianza a zero di funzioni “molto regolari”), di
dimensione n ´ 1, che divide Rn in due regioni connesse ⌦1 e ⌦2 . S può essere
una ipersuperficie aperta che divide Rn in due regioni infinite o una superficie
chiusa che divide Rn in una regione limitata, interna all’ipersuperficie, e in
una illimitata, esterna all’ipersuperficie.
Sia f una funzione da Rn a C

f pxq “ f1 pxq x P ⌦1
“ f2 pxq x P ⌦2

con f1 e f2 funzioni rispettivamente da ⌦1 e ⌦2 a C, con tutte le derivate par-


ziali continue fino all’ordine m e tali da avere limiti finiti sull’ipersuperficie.
Come nell’esempio precedente useremo la notazione tD↵ f u per la funzione
(localmente sommabile) che vale D↵ f1 in ⌦1 e D↵ f2 in ⌦2 .
Per integrazione per parti, come nell’esempio precedente si ottiene

B Tf
“ Tt Bf u ` 0 ni S
B xi Bxi

dove 0 pyq per y P S è il salto della funzione f nel punto y della superfi-
cie, quindi la di↵erenza dei limiti della funzione f1 pxq quando x tende, da
⌦1 , al punto y sulla superficie, e di quello della funzione f2 pxq quando x
tende, da ⌦2 , allo stesso punto. ni pyq indica la componente i´sima del ver-
sore normale alla superficie in y, entrante nella regione ⌦1 ovvero ni pyq “
5.3. CALCOLO DIFFERENZIALE IN D1 195

n̂pyq ¨ î e la distribuzione S è la “distribuzione di carica superficiale” de-


finita precedentemente. (Basta ricordare, o verificare, che pn̂pyq ¨ îq dS “
dx1 . . . dxi´1 dxi`1 . . . dxn ).
Iterando il procedimento otteniamo
B 2 Tf i B
“ Tt B 2 f u ` 1 ni S ` p 0 ni Sq
B x2i Bx2
i
Bxi
n̂ B
4 Tf “ Tt4f u ` 1 S ` p 0 Sq (5.3)
Bn̂
dove 1i denota il salto della derivata parziale i´sima, n̂
1 il salto della derivata
normale.
È interessante notare come la (5.3) permetta una dimostrazione indipenden-
te di formule classiche dell’analisi vettoriale, conseguenze dei teoremi della
divergenza e di Stokes.
Sia ⌦ una regione aperta limitata di Rn che ha come bordo una ipersuperficie
S regolare di dimensione n ´ 1 e consideriamo le normali alla superficie S
dirette verso l’interno della regione ⌦. Sia
f pxq “ gpxq xP⌦
“ 0 x P Rn z⌦
con g che ha derivate continue fino al secondo ordine (quindi un Laplaciano
localmente integrabile).
Tenuto conto che, in questo caso, t4f u “ 4g per x P ⌦ , 0 pyq “
Bg
gpyq per y P S e 1n̂ “ pyq per y P S, l’eguaglianza (5.3) tra distribu-
Bn̂
zioni, applicata a una qualunque funzione ' P D dà
ª
x4 Tf , 'y “ xf , 4'y “ gpxq 4'pxq dx

B
“ xTt4f u , 'y ` x 1n̂ S , 'y ` x p 0 S q , 'y
ª ª Bn̂ ª
Bg B'
“ 4g 'pxq dx ` pyq 'pyq dSpyq ´ gpyq pyq dSpyq
⌦ S Bn̂ S Bn̂
che fornisce la Formula di Green
ª ª ˆ ˙
Bg B'
pgpxq 4'pxq ´ 4g 'pxqq dx “ pyq 'pyq ´ gpyq pyq dSpyq
⌦ S Bn̂ Bn̂
196 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Esercizio. Utilizzando la formula di Green proviamo che in D1 pRn q vale la


1 1
4 n´2 “ ´pn ´ 2q S pnq p1q 0 per n ‰ 2 e 4 log “ ´2⇡ 0 per n “ 2.
|x| |x|
Ricordiamo che con S pnq p1q abbiamo indicato al Cap. 3 la superficie della
n
n pnq 2⇡ 2
sfera unitaria in R S p1q “ ` n ˘ .
2
Con calcolo diretto si ricava (provarlo) che, in ogni dimensione n, il Lapla-
ciano di una funzione f : Rn Ñ C, che dipenda solamente dal |x|, è dato
da
d2 f n ´ 1 df
p4f qp|x|q “ `
d|x|2 |x| d|x|
Una funzione f che dipenda solo da |x| è quindi armonica in Rn zt0u se

d2 f n ´ 1 df
p4f qp|x|q “ p|x|q ` p|x|q “ 0
d|x|2 |x| d|x|
ovvero se
ˆ ˙ ˆ ˙
d df n´1 d 1
log “ ´ “ log
d|x| d|x| |x| d |x| |x|n´1

che ha soluzioni
$
& f p|x|q “ `B n‰2
A
|x|n´2

%
f p|x|q “ C log |x|
1
`D n“2

per qualunque scelta di costanti complesse A, B, C, D.


Consideriamo il caso n ‰ 2. Sia ' P DpRn q. La formula di Green applicata
1
alla coppia di funzioni ' e nel volume esterno alla sfera in Rn , di
|x|n´2
raggio r ° 0, centrata nell’origine, dà
ª ª ª
1 1 B' n´2
4'pxq dx “ ´ n´2 pyq dSpyq ´ n´1 'pyq dSpyq
|x|°r |x| |x|“r B|x|
n´2 r r |x|“r
(5.4)
5.4. LA TRASFORMATA DI FOURIER IN S 1 197

Poiché la funzione ' è limitata e ha derivate parziali limitate


ª ˇ ˇ
B' ˇ B' ˇ pnq
pyq dSpyq † sup ˇˇ ˇ S prq
ˇ e
|x|“r B|x| |x|“r B|x|
ª
|'pyq ´ 'p0q| dSpyq † sup |'pxq ´ 'p0q| S pnq prq
|x|“r |x|“r

con S n prq “ rn´1 S n p1q (vedi Cap. 3) superficie della sfera di raggio r in Rn .
In particolare
ª
1 B'
lim n´2 pyq dSpyq “ 0
|x|“r B|x|
rÑ0 r
ª
1
lim p'pyq ´ 'p0qq dSpyq “ 0
rÑ0 r n´1
|x|“r

poiché sup |'pyq ´ 'p0q| tende a 0 quando r Ñ 0.


|y|“r

Dall’eguaglianza (5.4) si ricava quindi


ª
1
lim 4 'pxq dx “ ´pn ´ 2qS n p1q'p0q
rÑ0
|x|°r |x|n´2

1
La funzione è localmente sommabile e definisce quindi una distribu-
|x|n´2
zione T n´2
1 . Il risultato precedente implica che
|x|

ª
1 1
x4T 1 , 'y ” x n´2 , 4'y “ 4 'pxq dx “ ´pn ´ 2qS n p1q'p0q
|x|n´2 |x| Rn |x|n´2

che è il risultato che volevamo dimostrare per n ‰ 2. Il risultato per n “ 2


si dimostra in maniera identica.

5.4 La trasformata di Fourier in S 1


Definizioni e proprietà delle distribuzioni temperate non risultano essere es-
senzialmente diverse da quelle che abbiamo visto per le distribuzioni. Una im-
portante di↵erenza è costituita dal fatto che non tutte le funzioni localmente
sommabili definiscono una distribuzione temperata.
198 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Infatti perché una funzione


ª f definisca una distribuzione temperata è neces-
sario che il funzionale f pxq 'pxq dx sia finito per ogni ' P S e sia continuo
Rn
in S. Se ' è una funzione a decrescenza rapida il prodotto f ' non necessaria-
mente decresce all’infinito per ogni f localmente sommabile e, in particolare,
non necessariamente è integrabile. Come esempio si può considerare il caso
' “ e´|x| P S e f “ e|x| che è localmente sommabile; il loro prodotto f ' “ 1
2 2

non risulta integrabile.

È facile convincersi che una funzione localmente sommabile definisce una di-
stribuzione temperata se cresce all’infinito al più polinomialmente, se esiste
cioè un m tale che |f pxq| † Cp1 ` |x|qm . In questo senso le distribuzioni tem-
perate T P S 1 sono una generalizzazione delle funzioni da Rn a C localmente
sommabili che crescono al più polinomialmente.

Per motivi analoghi non è definito il prodotto di una distribuzione tempe-


rata per una qualunque funzione ↵ P C 8 pRn q. Infatti perchè la definizione
x↵T , 'y ” xT , ↵'y abbia un senso è necessario che l’applicazione che a ' P S
associa la funzione ↵' trasformi in maniera continua lo spazio di funzioni te-
st S in se stesso. Per questo la infinita di↵erenziabilità di ↵ è condizione
necessaria, ma non sufficiente. La funzione ↵ dovrà anche crescere al più
polinomialmente all’infinito perché ↵ ' appartenga a S.

Come avevamo già notato S 1 pRn q Ä D1 pRn q. Le considerazioni precedenti


confermano che l’inclusione è stretta, poiché, per esempio, le funzioni local-
mente sommabili, che crescono più che polinomialmente, appartengono a D1
ma non a S 1 . Si dimostra però che tutte le distribuzioni a supporto com-
patto (lo spazio E 1 definito alla fine della sezione 5.2) appartengono a S 1 . In
e↵etti abbiamo asserito, senza dimostrarlo, che E 1 è il duale topologico dello
spazio E delle funzioni infinitamente di↵erenziabili, con la topologia indotta
dalla convergenza uniforme su ogni compatto. Poiché, come è immediato
verificare, S è incluso in maniera continua in E ne discende che E 1 Ä S 1 1 .
Il risultato può comunque essere provato in maniera diretta mostrando che
per ogni distribuzione T a supporto compatto e per ogni successione 'pnq
di funzioni in S, convergente in S, esiste una successione di funzioni pnq
convergente in D tale che pnq “ 'pnq in ogni punto del supporto di T .

1
In definitiva si ha la catena di inclusioni D Ä S Ä E e anche E 1 Ä S 1 Ä D1
5.4. LA TRASFORMATA DI FOURIER IN S 1 199

Esercizio. Provare che ogni distribuzione a supporto compatto è una distri-


buzione temperata

Vogliamo generalizzare alle distribuzioni temperate la definizione di tra-


sformata di Fourier per funzioni integrabili (che sono certamente incluse nelle
distribuzioni temperate). Come abbiamo fatto per le altre operazioni lineari
sulle funzioni la definizione dell’operazione sulle distribuzioni verrà data “per
dualità”.
Definiremo trasformata di Fourier della distribuzione temperata T
la distribuzione temperata T̂

xT̂ , 'y ” xT , 'y


ˆ (5.5)

La (5.5) definisce una distribuzione temperata poiché l’applicazione ' Ñ 'ˆ è


continua da S in se stesso (in e↵etti su se stesso). Nel Cap.3 abbiamo dimo-
strato alcune proprietà delle trasformate di Fourier di funzioni infinitamente
di↵erenziabili a decrescenza rapida che qui riportiamo:
data una funzione ' P S
ˆ ˙n{2 ª
1
'pkq
ˆ “ 'pxqe´i k¨x dx P S
2⇡ Rn
ˆ ˙n{2 ª
1 i k¨x
'pxq “ 'pkqe
ˆ dk
2⇡
pD↵ 'qpkq
ˆ “ p´iq|↵| pxy ↵ 'q pkq

Dz ↵ ' pkq “ piq|↵| k ↵ 'pkq


ˆ
ÿ π
n
B |↵|
con ↵i • 0, ↵ “ ↵1 , . . . , ↵ n , |↵| “ ↵i , x↵ “ x↵i i , D↵ “
i i“1
Bx↵1 1 . . . Bx↵nn

D’altra parte, abbiamo mostrato che la trasformata di Fourier di una funzione


a supporto compatto non ha mai supporto compatto. In particolare quindi
ogni funzione di D ha una trasformata di Fourier che certamente non sta in
D. È quindi impossibile definire la trasformata di Fourier in D1 . La principale
ragione dell’introduzione delle distribuzioni temperate è appunto quella che,
per tali distribuzioni, è possibile definire la trasformata di Fourier, fornendo
un strumento tecnico di grande importanza nello studio delle soluzioni deboli
di equazioni di↵erenziali alle derivate parziali, come vedremo più avanti.
200 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Esempio La trasformata di Fourier della distribuzione 0 è la funzione co-


stante f pxq “ 1{p2⇡qn{2 @x P Rn ; più in generale la trasformata di Fourier
della distribuzione y con y P Rn è la funzione gpxq “ e´ıx¨y {p2⇡qn{2 . Infatti

ˆ ˙n{2 ª
1
x ˆy , 'y ” x y ˆ “ 'pyq
, 'y ˆ “ 'pxqe´ıx¨y dx “ xTg , 'y
2⇡ Rn

Esempio La trasformata di Fourier della funzione costante f pxq “ 1 @x P


Rn è la distribuzione p2⇡qn{2 0 . Infatti
ª ª
ˇ
xT̂f , 'y ” xTf , 'y
ˆ “ ˆ dk “
'pkq 'pkq
ˆ eıkx ˇx“0 dk “ p2⇡qn{2 'p0q “ xp2⇡qn{2 0 , 'y
Rn Rn

Gaussiana con varianza immaginaria Sia f pxq “ ei t |x| . Essendo f li-


2

mitata su tutto Rn definisce una distribuzione temperata Tf :


ª
xTf , 'y “ f pxq'pxqdx ' P S
Rn

Poiché sappiamo che per P R`

{
e´|x| 2 {p2 q “ n{2 ´|k|2 {2
e

possiamo prevedere che la trasformata di Fourier della distribuzione Tf sia


1
data da Tg , con g ottenuta ponendo nella relazione precedente “ ´ .
i2t
In e↵etti, dalla formula di Parseval, per s ° 0
ª ª
´s |x|2 {2 ´n{2
e´|x| {p2 sq 'pxqdx
2
e 'pxqdx
ˆ “s @ ' P S.
Rn Rn
ª ª
´z|x|2 {2 ´n{2
e´|x|
2 {p2zq
La funzione F pzq “ e 'pxqdx
ˆ e la funzione Gpzq “ z 'pxqdx
Rn Rn
sono analitiche per Re z ° 0 e coincidono sull’asse reale (positivo). (Notare
1
che gli integrali convergono per Re z ° 0 ñ Re ° 0).
2z
F pzq e Gpzq coincidono quindi su tutto il dominio di analiticità Rez ° 0
poiché in tale semipiano semipiano pF pzq´Gpzqq è analitica, è nulla sull’asse
reale ed è quindi nulla in tutto il dominio di analiticità.
5.4. LA TRASFORMATA DI FOURIER IN S 1 201

Per il teorema di dominata convergenza esistono e sono uguali i limiti di F pzq


e Gpzq quando z Ñ i 2 t, con t reale ‰ 0.
1
Per Re z ° 0 z ´n{2 “ n{2 e´i arg z n{2 , con ⇡{2 ° arg z ° ´⇡{2
|z|
Prendendo il limite z Ñ ´2 i t quindi

arg z Ñ ´⇡{2 per t ° 0


arg z Ñ ⇡{2 per t † 0
ˆ ˙n{2
1
e´i|x|
2 {p4 tq
ñ T̂f “ Tg , con g “
´i 2 t
" n{2 i ⇡ n
n{2 |t| e 4 t°0
con p´itq “ ⇡
|t|n{2 e´i 4 n t†0

Esercizio. La funzione di Heaviside Hpxq è limitata quindi definisce una


distribuzione temperata. Hpxq non è integrabile quindi la sua trasformata di
Fourier non è definita nel senso delle funzioni. Provare che
ı 1
Ĥpkq “ ´ ? (5.6)
2⇡ k ´ ı0
ª8
Suggerimento xT̂H , 'y ” xTH , 'y
ˆ “ lim e´✏k 'pkqdk
ˆ . . ..
✏Ñ0
0

Dalla definizione e dalle proprietà della trasformata di Fourier per le fun-


zioni in S discendono le proprietà della trasformata di Fourier in S 1 a↵ermate
nel teorema

Teorema 98. La trasformata di Fourier è un isomorfismo in S 1 . Valgono le


proprietà

• Per ogni funzione f P L1 pRn q (quindi localmente sommabile e che non


cresce più che polinomialmente)

T̂f “ Tfˆ

e la trasformata di Fourier di distribuzioni temperate è quindi compa-


tibile con l’immersione di L1 pRn q in S 1 pRn q.
202 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

• Esiste un inversa in S 1 pRn q della trasformazione di Fourier ed è il duale


dell’inversa in S
ˇ
T̂ “ T con xV̌ , 'y ” xV , 'y ˇ @' P S V P S 1

• Valgono le proprietà
D↵ T̂ “ p´iq|↵| xy ↵T

z
D ↵ T “ piq|↵| k ↵ T̂

Dimostrazione. Se f P L1 pRn q e ' P SpRn q allora la funzione f pxq'p⇠q è


certamente integrabile in R2n e vale la successione di uguaglianze
ª ˆª ˙
1 ´ı
xT̂f , 'y ” xTf , 'y
ˆ “ f pxq ? e ⇠¨x
'p⇠qd⇠ dx
Rn 2⇡ Rn
ª ˆ ª ˙
1
“ 'p⇠q ? f pxqe´ı ⇠¨x dx d⇠ “ xTfˆ , 'y
Rn 2⇡ Rn

dove si è utilizzato il teorema di Fubini per lo scambio dell’ordine di integra-


zione.
Le altre proprietà a↵ermate nel teorema sono una semplice conseguenza
della definizione di trasformata di Fourier in S 1 e delle equivalenti proprietà
della trasformata di Fourier di funzioni in S e la loro verifica è lasciata al
lettore.

Esercizio. Sia hn la famiglia di funzioni da R a C


hn pxq :“ segnopxq e´|x|{n
• Calcolare i limiti nel senso delle distribuzioni della successione delle hn
e della successione delle loro derivate prime quando n Ñ 8.
• Calcolare le trasformate di Fourier ĥn delle hn e il limite della succes-
sione delle ĥn per n Ñ 8.
Esercizio. Si consideri la successione gn di funzioni da R a R
ÿ
n´1
m
gn pxq “ I m m`1 pxq
m“0
n n, n
dove con Ia,b pxq abbiamo indicato la funzione caratteristica dell’intervallo
ra, bq
5.5. LA CONVOLUZIONE TRA DISTRIBUZIONI 203

• Calcolare le derivate prime delle gn nel senso delle distribuzioni.

• Calcolare le trasformate di Fourier ĝn delle gn .

• Calcolare il limite, nel senso delle distribuzioni, della successione gn ,


della successione delle loro derivate e di quella delle loro trasformate di
Fourier per n Ñ 8.

5.5 La convoluzione tra distribuzioni


Se f e g sono funzioni in L1 pRn q la loro convoluzione è ben definita e, come
abbiamo visto nel Cap. 3, appartiene a L1 pRn q. Le funzioni f , g , e f ˚ g
definiscono dunque tre distribuzioni temperate e per ogni funzione test ' in
S ( a maggior ragione per ' P D) vale la

ª ˆª ˙ ª
xTf ˚g , 'y “ 'pxq f px ´ yq gpyq dy dx “ f p⇠q gpyq'p⇠`yq d⇠ dy
Rn Rn R2n
(5.7)
cioè appare come il valore che la distribuzione associata alla funzione local-
mente sommabile in R2n f p⇠q gpyq assume sulla particolare funzione test in
R2n che si ottiene prendendo una funzione test in Rn e calcolandola in ⇠ ` y.
L’eguaglianza appena scritta sarà la guida per la definizione di convoluzione
per distribuzioni in D1 e in S 1 . Problemi verranno dalla circostanza che se
' P DpRn q (rispettivamente ' P SpRn q) non si verifica mai che 'px ` yq ap-
partenga a DpR2n q (rispettivamente a SpR2n q) . La definizione sarà quindi
ristretta a distribuzioni con particolari proprietà di supporto.
Con la notazione

x PRm ˆ y PRn Ñ px, yq P Rm`n

il prodotto tensoriale tra due funzioni f : Rm ›Ñ C e g : Rn ›Ñ C è definito


come la funzione

f b g : Rm`n ›Ñ C pf b gqpx, yq ” f pxq gpyq


204 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Se f : Rm ݄ C e g : Rn ݄ C sono localmente integrabili e ' P C08 pRm`n q


' “ 'px, yq x P Rm , y P Rn
allora supp |f pxq gpyq 'px, yq| Ä supp 'px, yq e f pxqgpyq'px, yq è integrabile
in Rm`n .
Per il teorema di Fubini
ª ª "ª *
f pxqgpyq'px, yq dx dy “ f pxq gpyq'px, yqdy dx
Rm`n Rm Rn
ª "ª *
“ gpyq f pxq'px, yqdx dy
Rn Rm

Il seguente teorema, che non dimostreremo, permette di generalizzare alle


distribuzioni la definizione di prodotto tensoriale
Teorema 99. se T è una distribuzione in D1 pRm q (risp. in S 1 pRm q) e V è una
distribuzione in D1 pRn q (risp. in S 1 pRn q) allora esiste una sola distribuzione
W ” T b V in D1 pRm`n q tale che per ogni ' P DpRm q e P DpRn q si abbia
xT b V , ' b y “ xT , 'yxV , y
Esplicitando per ciascuna distribuzione la variabile su cui opera, per ogni
funzione test ⇠ “ ⇠px, yq in Rn`m si ha
• Il prodotto è commutativo
xW , ⇠y “ xTx xVy , ⇠yy “ xVy xTx , ⇠yy

• il prodotto tensoriale è associativo pTx b Vy q b Rz “ Tx b pVy b Rz q ”


T x b V y b Rz
• Dx↵ pT b V q “ Dx↵ T b V
• ↵pxqpT b V q “ ↵T b V
↵ P C 8 pRm q (risp. ↵ P C 8 pRm q a crescita al più polinomiale).

Se T P D1 pRn q (risp. S 1 pRn q) e V P D1 pRn q (risp. S 1 pRn q) la (5.7)


suggerisce la definizione
xT ˚ V, 'y “ xTx b Vy , 'px ` yqy
“ xTx xVy , 'px ` yqyy “ xVy xTx , 'px ` yqyy (5.8)
@ ' P DpRn q prisp. ' P SpRn qq
5.5. LA CONVOLUZIONE TRA DISTRIBUZIONI 205

Come abbiamo già fatto notare si verifica che entrambe le a↵ermazioni

¨ 'px ` yq ha supporto limitato in R2n , se ' ha supporto limitato in Rn


¨ 'px ` yq P SpR2n q se ' P SpRn q

sono false. Se, ad esempio, ' P DpRn q ha supporto compatto K P Rn il


supporto della funzione 'px ` yq in R2n è l’insieme che si ottiene traslando
K lungo la “diagonale secondaria” x ` y “ 0, che non è mai compatto. In
altre parole x ` y può rimanere in un insieme limitato, malgrado sia x che
y vadano all’infinito. Daremo, nel seguito, solo condizioni sufficienti perché
la convoluzione esista in D1 (risp. in S 1 ) individuando casi speciali in cui la
(5.8) definisce correttamente una distribuzione.

Definizione Due distribuzioni T e V in D1 si definiscono soddisfare la con-


dizione del supporto se per ogni compatto K P Rn l’insieme (chiuso)

KT,V ” tpx, yq P Rn ˆ Rn : x P supp T, y P supp V, x ` y P Ku

risulta compatto in R2n .

È chiaro che la condizione del supporto costituisce una condizione suf-


ficiente perché la (5.8) sia una definizione ben data in D1 : siano infatti T
e V due distribuzioni che soddisfano la condizione del supporto, per ogni
'
' P DpRn q sia KT,V l’insieme compatto definito precedentemente e relativo
a K “ supp '. Sia px, yq P C08 pR2n q una funzione infinitamente di↵eren-
'
ziabile a supporto compatto con px, yq “ 1 @px, yq P KT,V (abbiamo visto
nel Cap.3 che una tale funzione esiste e ne abbiamo dato una espressione
esplicita). Valgono allora le due proprietà
• px, yq 'px ` yq P DpR2n q

• xTx b Vy , px, yq 'px ` yqy non può di↵erire da xTx b Vy , 'px


ì ` yqy
'
poiché ogni px, yq P R zKT,V è esterno a psupp T ˆ supp V q tpx, yq :
2n

px ` yq P supp 'u
Intesa come applicata alla funzione px, yq 'px ` yq la (5.8) definisce quindi
un funzionale lineare su D se T e V soddisfano la condizione del supporto.
È facile verificare che il funzionale è continuo.
Se una delle distribuzioni ha supporto compatto la condizione del sup-
porto è certamente valida: è vero infatti che se x (risp. y) appartiene ad un
206 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

insieme limitato di Rn e anche x ` y appartiene ad un insieme limitato di Rn


allora y (risp. x) appartiene ad un insieme limitato di Rn e, di conseguenza
px, yq appartiene ad un insieme limitato di R2n . Limitandoci al caso in cui
una delle distribuzioni sia a supporto compatto, partendo dalla definizione
(5.8) si dimostrano facilmente i teoremi:
Teorema 100. : Sia T P D1 e sia V P D1 a supporto compatto. Sia ' P D,
allora
xT ˚ V, 'y ” xTx b Vy , 'px ` yqy
(” xTx b Vy , pyq'px ` yqy con P D, supp Å supp V , pyq “ 1, y P
supp V ) definisce in maniera unica una distribuzione in D1 .
Valgono le proprietà
a) T ˚ V “ V ˚ T
b) D↵ pT ˚ V q “ D↵ T ˚ V “ T ˚ D↵ V
c) @T P D1 si ha 0 ˚T “T ˚ 0 “T
Vale inoltre che
d) se P D e V P D1 allora T ˚ V esiste ed è uguale a TV ˚
e) se V P D1 ha supporto compatto e f è una funzione infinitamente
di↵erenziabile, allora la convoluzione V ˚ Tf esiste ed è una funzione
infinitamente di↵erenziabile. Si ha V ˚ Tf “ TV ˚f
Dimostrazione. Essendo in tutti i casi una delle distribuzioni a supporto
compatto la proprietà del supporto è sempre soddisfatta, in qualunque ordine
la convoluzione venga definita.
La commutatività del prodotto tensoriale nella definizione (5.8) implica la
commutatività della convoluzione (proprietà a)).
La proprietà b) è una conseguenza della definizione di derivata D↵ di una
distribuzione e del fatto che Dx↵ 'px ` yq “ Dy↵ 'px ` yq. Infatti

xD↵ pT ˚ V q , 'y “ p´1q|↵| xpT ˚ V q , D↵ 'y


“ p´1q|↵| xpT b V q px, yq , D↵ 'px ` yqy
“ p´1q|↵| xTx xVy , Dy↵ 'px ` yqyy
“ p´1q|↵| xTx , xpD↵ V q pyq , 'px ` yqyy
“ xpT ˚ D↵ V q px, yq , 'px ` yqyy “ xT ˚ D↵ V , 'y
5.5. LA CONVOLUZIONE TRA DISTRIBUZIONI 207

La proprietà c) è una conseguenza immediata della definizione


x 0 ˚ T , 'y “ xp 0 b T q px, yq , 'px ` yqy “ xTy x 0 pxq , 'px ` yqyy “ xT , 'y
La prova delle proprietà d) e e) è lasciata come esercizio.

Analoghi risultati per le distribuzioni temperate sono raccolti nel seguen-


te:
Teorema 101. :
a) Sia T P S 1 e sia ⇠ P S. Allora xpT ˚ ⇠q , 'y ” xT , ⇠ ´ ˚ 'y @' P S,
con ⇠ ´ pxq ” ⇠p´xq, definisce la distribuzione temperata T ˚ ⇠ la cui
trasformata di Fourier soddisfa
Tz
˚ ⇠ “ p2 ⇡qn{2 ⇠ˆ ¨ T̂

b) Sia T P S 1 e sia V P S 1 a supporto compatto. Allora T ˚ V è una


distribuzione temperata che soddisfa le proprietà
D↵ pT ˚ V q “ D↵ T ˚ V “ T ˚ D↵ V
{
T ˚ V “ p2 ⇡qn{2 T̂ ¨ V̂
Dimostrazione. Sappiamo che la convoluzione di due funzioni in S appartiene
ancora a S. In più l’applicazione che a ' P S associa ⇠ ´ ˚ ' è continua in
S. La relazione xpT ˚ ⇠q , 'y ” xT , ⇠ ´ ˚ 'y @' P S definisce quindi una
distribuzione temperata e si ha
{
xpT ˚ ⇠q , 'y “ xpT ˚ ⇠q , 'y
ˆ
ˆ “ xT̂ , ⇠
“ xT , ⇠ ´ ˚ 'y ´
˚ 'y
ˆ
“ p2 ⇡qn{2 xT̂ , ⇠| q̂ “ p2 ⇡qn{2 xT̂ , ⇠ˆ ¨ 'y
´ ¨ 'y

“ p2 ⇡qn{2 x⇠ˆ T̂ , 'y


che prova la a).
Non daremo qui la prova di b) che si basa sul fatto che la trasformata
di Fourier di una distribuzione a supporto compatto (quindi temperata) è
una funzione infinitamente di↵erenziabile le cui derivate hanno crescita al
più polinomiale.
208 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

5.6 Equazioni di↵erenziali della Fisica Teori-


ca
In quest’ultimo paragrafo mostreremo alcuni esempi di applicazione della
teoria delle distribuzioni all’analisi qualitativa e quantitativa delle soluzioni di
equazioni di↵erenziali a coefficienti costanti di interesse nella Fisica Teorica.
Trattandosi di un corso introduttivo rinunceremo a una trattazione rigorosa
e generale. Ci limiteremo a trattare casi specifici: l’equazione di Poisson,
l’equazione di Helmoltz, l’equazione di Schrödinger e l’equazione delle onde.
Inizialmente i problemi verranno solo analizzati in tutto Rn . Particolari pro-
blemi con “condizioni al bordo” su domini limitati di Rn saranno analizzati
sinteticamente alla fine del paragrafo. Il caso n “ 1, cioè il caso di equazioni
di↵erenziali ordinarie per funzioni della variabile reale t • 0, con condizioni
assegnate in t “ 0 , viene risolto sfruttando le proprietà della convoluzione
per distribuzioni sulla retta reale positiva, dando luogo al cosiddetto calcolo
simbolico che non tratteremo in queste note.
Ancora ricorrendo alla notazione multiindice ↵, sia P pxq un polinomio di
grado m nelle n variabili px1 , . . . xn q “ x P Rn a coefficienti complessi c↵
ÿ
P pxq “ c↵ x↵ .
|↵|§m

Sia P pDq l’operatore di↵erenziale, a coefficienti costanti, che si ottiene sosti-


tuendo x↵ nel polinomio con l’operatore di derivazione D↵ :
ÿ
P pDq “ c↵ D ↵ .
|↵|§m

Come abbiamo già notato (paragrafo (5.3)), P pDq trasforma in maniera con-
tinua D (risp. S) in D (risp. S) e per dualità trasforma D1 (risp. S 1 ) in D1
(risp. S 1 ).
Sia V P D1 rispettivamente V P S 1 . Se esiste una distribuzione T (risp. una
distribuzione temperata) che soddisfa l’eguaglianza P pDq T “ V ovvero se
@' P D (rispettivamente P S)
ÿ
xP pDq T , 'y “ p´1q|↵| c↵ xT , D↵ 'y “ xV , 'y (5.9)
|↵|§m

allora T si dirà una soluzione debole (risp. debole temperata) della


equazione di↵erenziale.
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 209

Un’importante branca della teoria analizza il problema della regolarità delle


soluzioni deboli (5.9). Si tratta cioè di stabilire quali operatori di↵erenziali
siano tali che ogni soluzione debole della (5.9), con V sufficientemente rego-
lare, sia anche una soluzione forte: con questo si intende che la soluzione
abbia derivate continue fino all’ordine m e che l’uguaglianza sia verificata co-
me uguaglianza puntuale di funzioni continue. Queste note non esploreranno
questo problema.
Una distribuzione (risp. una distribuzione temperata) F si dirà una solu-
zione fondamentale relativa all’operatore di↵erenziale P pDq se soddisfa,
nel senso dell’eguaglianza di distribuzioni,

P pDq F “ 0

Dimostreremo solo la parte più elementare del seguente teorema sulle solu-
zioni deboli (quindi in D1 )
Teorema 102. Per ogni P pDq della forma indicata precedentemente esiste
almeno una soluzione fondamentale in D1 .
L’ equazione di↵erenziale P pDqT “ V ammette almeno una soluzione in D1
per tutte le distribuzioni V che soddisfano la proprietà del supporto con una
soluzione fondamentale F relativa a P pDq. In tal caso la soluzione ha la
forma
T “F ˚V
In particolare la soluzione esiste sempre se il supporto di V è limitato.
Dimostrazione. Non dimostreremo la prima parte del teorema riguardante
l’esistenza di almeno una soluzione fondamentale. Sia F una tale soluzione.
Poiché la coppia pF , V q soddisfa la proprietà del supporto, la convoluzione
tra le due distribuzioni è ben definita e

P pDqpF ˚ V q “ pP pDqF q ˚ V “ 0 ˚V “V

come asserito nella seconda parte del teorema.

Per quanto riguarda le soluzioni deboli temperate, la forma dell’equazione


suggerisce l’uso della trasformata di Fourier. Formalmente
1
P pDqT “ 0 ùñ P pıkqT̂ “ (5.10)
p2 ⇡qn{2
210 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

La (5.10) sembra indicare che la soluzione fondamentale possa essere l’anti-


trasformata dell’inverso del polinomio p2 ⇡qn{2 P pıkq. L’intuizione è certa-
mente fruttuosa se il polinomio non ha zeri in Rn mentre deve essere ulterior-
mente elaborata se l’equazione P pıkqT̂ “ 0 ha soluzioni in S 1 e/o se l’inverso
del polinomio non definisce una distribuzione temperata.
Riportiamo, senza prova, un teorema generale di esistenza, per poi procedere
a esempi specifici di utilizzo della trasformata di Fourier di distribuzioni per
il calcolo delle soluzioni fondamentali di alcune equazioni di↵erenziali alle
derivate parziali a coefficienti costanti.

Teorema 103. Sia P un polinomio in n variabili a coefficienti complessi e


sia V P S 1 . Allora

• esiste almeno una distribuzione temperata T che soddisfa la relazione


P ¨T “V.

• La soluzione è unica se il polinomio P non ha zeri reali.

• L’operatore di↵erenziale P pDq ha almeno una soluzione fondamentale


F P S 1.

• Se P pıkq non ha zeri reali la soluzione fondamentale è unica.

• Se V P S 1 allora esiste almeno una distribuzione temperata T tale che


P pDqT “ V e ha la forma T “ F ˚ V

Negli esempi che seguono utilizzeremo la trasformata di Fourier e la con-


voluzione di distribuzioni temperate per il calcolo delle soluzioni fondamentali
di alcune equazioni di↵erenziali alle derivate parziali rilevanti per la Fisica
teorica e applicata

Equazione di Poisson Abbiamo già mostrato (vedi l’esercizio 5) che


ˆ ˙
1
4 ´ “ 0
pn ´ 2q S pnq p1q |x|n´2

per n ‰ 2 e ˆ ˙
1 1
4 ´ log “ 0
2⇡ |x|
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 211

per n “ 2.
Conosciamo quindi soluzioni fondamentali del Laplaciano in ogni dimensione.
Altre soluzioni fondamentali in D1 si ottengono sommando, a quelle date
sopra, soluzioni della equazione omogenea 4f “ 0 (funzioni armoniche) che
sono tutte localmente sommabili e quindi definiscono una distribuzione. Allo
stesso modo si possono trovare soluzioni fondamentali temperate aggiungendo
a quelle date sopra funzioni armoniche che siano a crescita al più polinomiale.
La specificazione è necessaria perché esistono funzioni armoniche, localmente
sommabili, ma la cui crescita non è polinomiale: per n “ 2, ad esempio, la
funzione ex1 cos x2 è armonica ma cresce nella direzione 1 più rapidamente di
qualunque polinomio.
Vediamo come ottenere il risultato utilizzando la trasformata di Fourier.
L’equazione 4FL “ 0 si legge, in trasformata di Fourier,
´p2⇡qn{2 |k|2 FˆL “ 1
1
La funzione ´ è una funzione localmente sommabile solo in di-
p2⇡qn{2 |k|2
mensione n • 3. Non è quindi immediato ritrovare le soluzioni fondamentali
già citate, servendosi della trasformata di Fourier, in dimensioni n “ 1 e 2.
Per n “ 3 si ha per ogni ' P S
ª ˆª ˙
1 ık¨x
xFL , 'y “ xF̂L , 'yq “´ e 'pxq dx dk
R3 p2⇡q |k|
3 2
R3
ª ˆª ˙
1 ık¨x
“ ´ lim e 'pxq dx dk
RÑ8 |k|§R p2⇡q3 |k|2 R3
ª ˆª ˙
eık¨x
“ ´ lim dk 'pxq dx
|k|§R p2⇡q |k|
RÑ8 R3 3 2
ª ˆª R ˆª ⇡ ı|k||x| cos ✓ ˙ ˙
2 e
“ ´ lim 2⇡|k| sin ✓d✓ d|k| 'pxq dx
0 p2⇡q |k|
RÑ8 R3 3 2
0
ª ˆª R ˆ ˙ ˙
1 sinp|k| |x|q
“ ´ lim d|k| 'pxq dx
RÑ8 R3 0 2⇡
2 |k| |x|
ª
'pxq
“´ dx “ xT´ 1 , 'y
R3 4⇡|x|
4⇡|x|

dove si è utilizzato ilª teorema di Fubini per lo scambio dell’ordine di integra-


8
sin y
zione e il fatto che dy “ ⇡. Abbiamo quindi ritrovato il risultato
´8 y
ottenuto precedentemente per n “ 3.
212 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Conoscendo la soluzione fondamentale siamo ora in grado di esplicitare


le soluzioni del problema con sorgenti (equazione di Poisson). Limitandoci
al caso di una distribuzione di sorgenti a supporto compatto (che certamente
soddisfa la proprietà del supporto assieme alla soluzione fondamentale) si ha:
Teorema 104. Se T P D1 pRn q è a supporto compatto allora una soluzione
dell’equazione di Poisson
4V “ T
è la distribuzione FL ˚ T .
Il teorema generalizza l’equazione di Poisson (e la formula per il potenziale
di una carica distribuita in maniera continua in una regione limitata) a sor-
genti di campo che sono definite solo come distribuzioni (cariche puntiformi,
distribuzioni di carica o di dipoli su una superficie etc.).
In particolare per n “ 3 e T “ T⇢ , con ⇢ distribuzione continua di sorgenti in
una regione limitata, troviamo la formula classica del potenziale coulombiano
ª
⇢pyq
V pxq “ dy
R3 4⇡|x ´ y|

Equazione di Helmholtz L’equazione di Helmoltz per la soluzione fonda-


mentale 4 FH ´ FH “ 0 in trasformata di Fourier risulta p´|k|2 ´ qFˆH “
1 ÿn
. Per reale positivo il polinomio ki2 ` non ha zeri reali. L’uni-
p2 ⇡qn{2 i“1
ca soluzione temperata si ottiene allora come antitrasformata della funzione
´n{2
localmente sommabile (per ogni n) ´ p2|k|⇡q2 ` . Il calcolo risulta semplice per
n “ 1 e per n “ 3. È lasciato come esercizio verificare che
?
e´ |x|
FH “ ´ ? n“1
2
?
1 e´ |x|
FH “ ´ n“3
4⇡ |x|
Equazione del calore La soluzione fondamentale dell’equazione del calore
in n dimensioni spaziali e una temporale soddisfa l’equazione
BFC
´ 4FC “ 0
Bt
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 213

che, in trasformata di Fourier, si legge


ÿ
n
pık0 ` ki2 qF̂C “ 1{p2⇡qpn`1q{2
i“1

Si tratta dunque di calcolare:


ª ˆª 8 ˙
1 eı k0 t`ı k ¨ x
FC pt, xq “ dk dk0 . (5.11)
p2 ⇡qpn`1q Rn ´8 ı k0 ` |k|2

Per l’integrazione in k0 si utilizza il metodo dei residui su un semicerchio


di centro l’origine, contenuto nel semipiano Imk0 • 0. Il lemma del cerchio
grande e il teorema dei residui implicano che, per t ° 0 si abbia
ª ˆ ˙
1 8 e ı k0 t 1 e ı k0 t
“ 2⇡ e´t |k| .
2
d k0 “ 2⇡ı Resk0 “ı |k|2
ı ´8 k0 ´ ı |k| 2 ı k0 ´ ı |k| 2

Da cui ª
1
e´t |k
2 |`ı k ¨ x
FC pt, xq “ d k.
p2 ⇡qn Rn

e´t |k|
2

FC pt, xq risulta quindi l’antitrasformata in R della gaussiana


n
. Nel
p2⇡qn{2
terzo capitolo abbiamo provato che G p pkq “ n{2 e´ |k|2 {2 è la trasformata di
Fourier di G pxq “ e´|x| {2 .
2

Prendendo p2 q´1 “ t si ottiene dunque

1 |x|2
´ 4t
FC pt, xq “ e t ° 0. (5.12)
p4⇡ tqn{2

Per t † 0, l’integrale, calcolato con il metodo dei residui, utilizzando un


cerchio nel semipiano Im k0 † 0, fornisce FC pt, xq “ 0. Si ha quindi in
definitiva
Hptq ´ |x|2
FC pt, xq “ e 4t (5.13)
p4⇡ tqn{2
con Hptq funzione di Heaviside. L’equazione del calore descrive vari fenomeni
di evoluzione indagati dalla Fisica Classica. In particolare l’evoluzione del
campo di temperatura in un mezzo in cui il calore si propaga esclusivamente
per conduzione o la densità di un soluto che di↵onde in un solvente.
214 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Nella maggioranza dei casi pratici i problemi di evoluzione si presentano


nella maniera seguente: accertati i valori delle quantità fisiche rilevanti ad
un tempo t0 , prevedere la loro evoluzione per tempi successivi a t0 .
All’interno del modello teorico, che vuole descrivere il processo di evoluzione,
la possibilità predittiva si traduce nella ricerca di soluzioni del problema di
Cauchy per le equazioni del modello.
Al quadro delineato precedentemente si aggiunge la necessità di formalizzare
nel modello l’e↵etto dell’ambiente esterno al sistema in esame. Questo si
traduce nell’aggiunta di termini di sorgente nell’equazione e in più o meno
complicate condizioni al bordo, sulla frontiera della regione che contiene
il sistema in esame, che le soluzioni delle equazioni devono soddisfare.
Analizziamo, nel caso dell’equazione del calore, il problema di Cauchy in
tutto Rn :
B
T ´ 4T “ V con T p0, xq “ T0 pxq. (5.14)
Bt
Per esemplificare, sia T px, tq la temperatura in un punto x, al tempo t, in un
mezzo solido (assenza di moti convettivi). L’equazione del calore sintetizza
le due leggi:

• il calore fluisce nella direzione e proporzionalmente al gradiente della


temperatura (dalle parti più calde a quelle più fredde, quindi nel verso
opposto a quello del gradiente);

• la temperatura in un punto cresce proporzionalmente alla divp5 T q “


4 T , cioè al flusso di calore, per unità di volume, attorno a quel punto.

I coefficienti di proporzionalità, conducibilità termica e calore specifico, sono


stati fissati ad un valore unitario.
La V nella (5.14) indica l’e↵etto di sorgenti esterne che immettono (o tolgono)
calore in qualche punto del mezzo. A V è richiesto di essere una distribuzione
di cui si possa fare la convoluzione con la soluzione fondamentale che abbiamo
trovato.
Con un ragionamento di cui non giustificheremo il dettaglio, le condizioni
iniziali possono essere inglobate nelle sorgenti: sia Tex px, tq la funzione che si
ottiene estendendo ai tempi t † 0 la soluzione T px, tq ponendo il suo valore,
per tempi negativi, a 0:
"
T px, tq t•0
Tex px, tq “
0 t†0
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 215

La distribuzione Tex px, tq, definita dalle due funzioni regolari T px, tq e 0,
rispettivamente in ⌦` “ tpx, tq| t • 0u e ⌦´ “ tpx, tq| t † 0u, soddisfa

" * " *
B2 B2 B B
Tex “ Tex @i “ 1, . . . , n Tex “ Tex ` T0 0 (5.15)
Bx2i Bx2i Bt Bt

dove abbiamo scelto la normale all’ipersuperficie t “ 0 con il verso dei t


B B
crescenti, da cui “ .
B n̂ Bt
L’equazione del calore per la distribuzione Tex diventa
B ptq
Tex ´ 4 Tex “ Vex ` T0 0
Bt
(con Vex “estensione” della distribuzione delle sorgenti a t † 0 con la distri-
buzione nulla).
La conoscenza della soluzione fondamentale (unica in questo caso) ci permet-
te quindi di dare un’espressione esplicita dell’unica soluzione del problema di
Cauchy per l’equazione del calore:
´ ¯ ª
ptq ptq
T px, tq “ FC ˚ Vex ` T0 0 “ FC ˚ Vex ` 0 ˚ FC pt, x ´ yqT0 pyqdy
Rn
ª
“ FC ˚ Vex ` FC pt, x ´ yqT0 pyqdy.
Rn
(5.16)

Nel caso in cui le sorgenti siano descritte da una funzione continua ⇢px, tq:
ª8ª
T px, tq “ FC pt ´ s, x ´ yq⇢py, sq dt dx
0 Rn

Esercizio. Dare l’espressione della soluzione dell’equazione del calore senza


sorgenti: sulla semiretta reale positiva, con le condizioni iniziali e al bordo
seguenti
B
T pt, xq ´ 4 T pt, xq “ 0 T p0, xq “ T0 pxq x P r0, 8q
B$t
& T pt, 0q “ 0 @t
oppure
%B
Bx
T pt, 0q “ 0 @ t
216 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Suggerimento: estendere le condizioni iniziali a tutta la retta reale come


funzioni pari o dispari a seconda delle condizioni in 0. Risolvere il problema
su tutta la retta reale, verificando che le condizioni nell’origine rimangano
verificate a tutti i tempi t.
Come ultimo caso a↵ronteremo lo studio delle soluzioni del problema di Cau-
chy per l’equazione del calore, in un intervallo della retta reale, per condizioni
al bordo omogenee.
Per x P r0, Ls consideriamo il problema di Cauchy
B
T “ 4T T p0, xq “ T0 pxq x P r0, Ls
Bt
con $
& T pt, 0q “ T pt, Lq “ 0 @t
oppure
% B B
Bx
T pt, 0q “ Bx
T pt, Lq “ 0 @t
tradizionalmente di utilizza, per la ricerca delle soluzioni, il metodo della
separazione delle variabili e la serie di Fourier. Commenteremo, alla fine, su
quanto la soluzione di questo problema abbia a che fare con la teoria spettrale
dell’operatore Laplaciano in L2 r0, Ls.
Cerchiamo soluzioni cosiddette stazionarie dell’equazione del calore, soluzioni
cioè della forma

T pt, xq “ U pxqV ptq.


Se T è soluzione dell’equazione del calore si deve avere che
U 2 pxq V 1 ptq

U pxq V ptq
che non possono essere uguali per ogni x e per ogni t a meno che entrambe
le funzioni non siano uguali ad una costante reale, che indicheremo con ´ .
Le soluzioni di V 1 ptq ” ´ V ptq, che non crescano esponenzialmente al cre-
scere di t, sono del tipo V ptq “ C e´ t , con • 0 e C costante.
Consideriamo prima le “condizioni al bordo omogenee di Dirichlet”:
T pt, 0q “ T pt, Lq “ 0 ùñ U p0q “ U pLq “ 0.
Le soluzioni dell’equazione U 2 pxq “ ´ U pxq, ° 0, che si annullano nell’o-
rigine e in x “ L, sono
´ n⇡ ¯
Un pxq “ sin x @n “ 1, 2, ...
L
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 217
?
con “ nL⇡ .
Sono quindi soluzioni stazionarie dell’equazione del calore le funzioni
2 2 ´ n⇡ ¯
D ´ n ⇡2 t
Tn pt, xq “ C e L sin x n “ 1, 2, . . . .
L
Nella famiglia di soluzioni:
ÿ 8
ÿ 2 ⇡2 ´n ⇡ ¯
´n t
T pt, xq “ cn TnD pt, xq “ cn e L2 sin x
n n“1
L

soddisferanno le condizioni iniziali T p0, xq “ T0 pxq le soluzioni per le quali


8
ÿ ´ n⇡ ¯
T0 pxq “ cn sin x . (5.17)
n“1
L
#c +
2 ´ n⇡ ¯ 8
Come sappiamo sin x è una base ortonormale in L2 p0, Lq,
L L
n“1
(vedi capitolo tre). Esiste quindi una, e una sola, scelta dei coefficienti
cn , data dai coefficienti
a di Fourier della funzione T0 pxq rispetto alla base
(moltiplicati per L{2), per cui la (5.17) risulta verificata.
Consideriamo ora le “condizioni al contorno omogenee di Neumann”
B B dU dU
T pt, 0q “ T pt, Lq “ 0 @t ùñ p0q “ pLq “ 0
Bx Bx dx dx
Procedendo come precedentemente, si ottengono le soluzioni stazionarie
dell’equazione del calore, con condizioni al bordo di Neumann
n2 ⇡ 2
´ n⇡ ¯
TnN pt, xq “ C e´ L2 t cos x n “ 0, 1, 2 . . .
L
Si noti che per n “ 0 si ha la soluzione stazionaria T0N pt, xq “ C che certa-
mente soddisfa l’equazione#c e le condizioni al bordo.
+8
1 2 ´ n⇡ ¯
Ancora, essendo ? , cos x una base in L2 p0, Lq esiste una
L L L
n“1
sola scelta dei coefficienti cn che rende la funzione
ÿ 8
ÿ n2 ⇡ 2
´n ⇡ ¯
T pt, xq “ cn TnD pt, xq “ c0 ` cn e ´ L2
t
cos x
n n“1
L
218 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

soluzione del problema di Cauchy, con condizioni al bordo omogenee di


Neumann, nell’intervallo r0 , Ls.

Vogliamo ora tradurre il risultato appena ottenuto in termini di proprietà


spettrali dell’operatore Laplaciano, in L2 p0 , Lq , con condizioni al bordo
omogenee di tipo Dirichlet
# e Neumann. +
c ´ n⇡ ¯ 8
2
Il sistema ortonormale wn pxq “ sin x è completo in L2 p0 , Lq
L L
n“1
e ogni wn soddisfa le condizioni al bordo di Dirichlet wn p0q “ wn pLq. L’ope-
ratore 4D con dominio
# ˇ +
ˇÿ8
n⇡4 4
ˇ
D4D “ P L2 p0 , Lq ˇ |pwn , q|2 † 8
ˇn“1 L 4

e azione 8
ÿ n2 ⇡ 2
4D “ ´ pwn , q wn
n“1
L2
è tale che ogni elemento wn della base è, per definizione, un suo autovettore,
2 2
relativo all’autovalore ´ nL⇡2 .
L’operatore è quindi autoaggiunto, ha spettro discreto e la sua decomposi-
zione spettrale è esplicita
8
ÿ n2 ⇡ 2
4D “ ´ Pn
n“1
L2

con Pn proiettore sull’elemento n-simo della base: Pn “ pwn , q wn .


In termini dell’operatore 4D il problema di Cauchy in L2 p0 , Lq è quello di
trovare la funzione ⇠t da t “ r0 , 8q in L2 p0 , Lq che soddisfa
d ⇠t
“ 4 D ⇠t ⇠0 “ ⇠
dt
(dove le condizioni al bordo sono già contenute nella definizione del Lapla-
ciano di Dirichlet).
La conoscenza della decomposizione spettrale dell’operatore permette di dare
una forma esplicita della soluzione
8
ÿ n2 ⇡ 2
⇠ t “ e 4D t ⇠ “ e´ L2
t
Pn ⇠
n“0
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 219

che coincide con quella trovata precedentemente con ⇠ “ T0 .


L’operatore 4N con condizioni
#c di Neumann+si8 costruisce in maniera analoga
1 2 ´ n⇡ ¯
utilizzando la base ? , cos x tutta costituita da autovet-
L L L
" 2 n“1 *8
n ⇡2
tori di 4N relativi agli autovalori 0 , ´ 2 .
L n“1

Equazione di Schrödinger libera. L’equazione di Schrödinger (dove si è


posto m “ 1{2 e ~ “ 1) per l’ampiezza di probabilità di una particella
quantistica in Rn , non soggetta a forze esterne è:
B
ı “4 . (5.18)
Bt
B
La soluzione fondamentale relativa all’operatore ı ´ 4 può essere cercata
Bt
tra le distribuzioni temperate in Rn`1 che soddisfino:
` ˘
´ k0 ` |k|2 FpS “ 1{p2 ⇡qpn`1q{2 . (5.19)

Contrariamente al caso dell’equazione del calore il polinomio in pk0 , k1 , ..., kn q


che moltiplica FpS ha una infinità di zeri reali, per k0 “ |k|2 . In particola-
` ˘´1
re ´k0 ` |k|2 non è localmente integrabile e non definisce quindi una
distribuzione temperata. ˆ ˙
1 1
Proviamo che ´ è una soluzione della (5.19).
p2⇡qpn`1q{2 k0 ´ |k|2 ´ ı0
Infatti:
ª8 ª8
1 1 x
xx , y“x , x y “ lim pxq dx “ pxq dx
x ´ ı0 x ´ ı0 ✏Ñ0
´8 x ´ ı✏ ´8
(5.20)
(giustificare il passaggio del limite sotto segno di integrale).
Tenendo conto della traslazione
? di |k|2 e della formula (5.6), l’anti-trasformata
2⇡ 2
nella variabile k0 diventa ´ Hptqeıt|k| . Utilizzando la formula per la tra-
ı
sformata di Fourier di una gaussiana a esponente immaginario, siamo ora in
grado di completare l’anti-trasformata di Fourier ottenendo
„ ˆ ˙⇢
´1 1 1 1´n{2 Hptq
|x|2
´ı 4t
FS “ F ´ “ p´ıq e
p2⇡qpn`1q{2 k0 ´ |k|2 ´ ı0 p4⇡tqn{2
220 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

dove si è indicato con F ´1 l’anti-trasformata di Fourier.


Un metodo alternativo è quello di cercare la soluzione fondamentale ana-
lizzando l’equazione che si ottiene per trasformazione di Fourier nelle sole
variabili spaziali txi uni“1 . Sia FrS pt; k1 , k2 , ..., kn q la famiglia di distribuzioni
(parametrizzata da t) che soddisfa la
ˆ ˙
d 1pkq ptq
ı ` |k| FrS “
2
0 (5.21)
dt p2⇡qn{2

che si ottiene dall’equazione per la soluzione fondamentale per trasformazione


di Fourier nelle sole variabili spaziali.
Hptq eı |k| t
2

Verifichiamo che FrS ” è una soluzione della (5.21). Infatti


ı p2⇡qn{2
˜ ¸
d Hptq eı |k| t ı |k|2 t
2
Hptq |k|2 ı |k|2 t ptq e
ı “´ e `ı 0
dt ı p2⇡qn{2 ı p2⇡qn{2 ı p2⇡qn{2
(5.22)
ptq
“ ´|k| FrS `
2 0
p2⇡qn{2

(dove si è utilizzata l’eguaglianza ↵pxq 0 “ ↵p0q 0 ).


Una soluzione fondamentale è data dunque dall’anti-trasformata, nelle varia-
bili spaziali, della FrS :
ª
ı Hptq
eı k¨x eı |k| t dk.
2
FS “ ´ (5.23)
p2⇡q Rn
n

Come abbiamo visto in un esempio del paragrafo 5.4, la formula per la


trasformata di Fourier di Gaussiane con varianza in R` :
z |x|2
n{2 ´
|k|2
e´ 2 “ e 2

rimane vera per distribuzioni gaussiane con varianza puramente immaginaria.


Si ha quindi (con “ p´2 ı tq´1 ):

Hptq |x|2
´ı 4 t
FS “ ´ı e
p´4⇡ı tqn{2

che è la soluzione fondamentale per l’equazione di Schrödinger.


5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 221

Come nel caso dell’equazione del calore la soluzione del problema di Cauchy
in Rn
B
ı “4 p0, xq “ 0 pxq
Bt
tradotta in soluzione dell’equazione con sorgenti
ˆ ˙
B ptq
ı ´4 “ ı 0 pxq 0
Bt
per t • 0, ha la forma
´ ¯ ª
ptq 1 |x´y|2
px, tq “ FS ˚ ı 0 0 “ eı 4t
0 pyqdy (5.24)
p4⇡ı tqn{2 Rn

È facile verificare che, anche nel caso in cui 0 pyq sia diversa da 0 in una
regione limitata di Rn , px, tq è diversa da 0, per ogni t ° 0, in punti comun-
que lontani dal supporto di 0 2 . Come nel caso dell’equazione del calore la
“velocità di propagazione” risulta infinita per le soluzioni dell’equazione di
Schrödinger.
Esercizio. Trovare la soluzione px, tq dell’equazione di Schrödinger libera
in L2 pRn q con condizioni iniziali
|x|2
´
0 pxq “ Ce 2 con C ° 0 tale che } 0 pxq}2 “1
Calcolare media e varianza delle misure di probabilità | px, tq|2 e | ˆpk, tq|2 .
Soluzione Verificare che C “ p⇡ q´n{4 è la costante che garantisce che lo
”stato iniziale” sia normalizzato in L2 pRn q.
Dalla (5.24) e dalla formula che fornisce la trasformata di Fourier di una
convoluzione di distribuzioni si deduce
1 {
|x|2
˚ 0 pkq “ e´ı|k| t ˆ0 pkq
2
ˆpk, tq “ e ı 4t
p4⇡ı tqn{2

La densità di probabilità | ˆpk, tq|2 non cambia quindi nel tempo.


´ ¯n{4 |k|2
L’anti-trasformata di Fourier della funzione e´ı|k| t ˆ0 pkq con ˆ0 pkq “ e´ 2
2


risulta ˆ ˙n{4
|x|2 1 ı|x|2 t
´ 2
px, tq “ e 1`4pt{ q2 e 2 `4t2
⇡p2ıt ` q2
|x´y|
2 ´ı
e 4t ‰ 0, @|x ´ y| se t ° 0
222 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Se ne deduce quindi che


ˆ ˙n{2
|x|2 1
2
| px, tq| “ e 1`4pt{ q2
⇡p2ıt ` q2

La densità di probabilità | px, tq|2 mantiene quindi un profilo gaussiano ma


la sua varianza aumenta col tempo (dispersione del ”pacchetto d’onda”)

Le soluzioni dell’equazione di Schrödinger in un intervallo limitato r0 , Ls


della retta reale, con condizioni omogenee di Dirichlet e di Neumann, si
trovano seguendo gli stessi passi fatti nel caso dell’equazione del calore.
Sia px, tq la soluzione del problema di Cauchy per l’equazione di Schrödinger

B
ı “4 p0, xq “ 0 pxq x P r0, Ls
Bt
con $
& pt, 0q “ pt, Lq “ 0 @t
oppure
% B B
Bx
pt, 0q “ Bx
pt, Lq “ 0 @t
Le soluzioni stazionarie dell’equazione di Schrödinger sono
n2 ⇡ 2
´ n⇡ ¯
D
n pt, xq “ C eı L2
t
sin x n “ 1, 2, . . . .
L
nel caso delle condizioni di Dirichlet e
n2 ⇡ 2
´ n⇡ ¯
N
n pt, xq “ C eı L2
t
cos x n “ 0, 2, . . . .
L
nel caso delle condizioni di Neumann. La soluzione del problema di Cauchy
ha quindi la forma
8
ÿ n2 ⇡ 2
´n ⇡ ¯
pt, xq “ an e ı L2
t
sin x
n“1
L
per le condizioni di Dirichlet e
8
ÿ n2 ⇡ 2
´n ⇡ ¯
pt, xq “ c0 ` cn e ı L2
t
cos x
n“1
L
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 223

per le condizioni di Neumann. Nelle formule precedenti i coefficienti an (risp.


cn ) sono i coefficienti di Fourier,
#c moltiplicati per +8 L{2, della funzione 0 ri-
2 ´ n⇡ ¯
spetto alla base di L2 p0 , Lq sin x (risp. rispetto alla base
L L
#c +8 n“1
1 2 ´ n⇡ ¯
? , cos x ).
L L L
n“1

Ancora, come nel caso dell’equazione del calore, la soluzione si può sintetiz-
zare in termini della schiera spettrale degli operatori Laplaciano di Dirichlet
e di Neumann 4D e 4N

8
ÿ n2 ⇡ 2
t “ e´ı4D t 0 “ eı L PnpDq 0 nel caso di condizioni di Dirichlet
n“1
ÿ8
n2 ⇡ 2
t “ e´ı4N t 0 “ eı L PnpN q 0 nel caso di condizioni di Neumann
n“0

dove PnD e PnN sono i proiettori sugli autovettori dell’operatore Laplaciano


rispettivamente di Dirichlet e di Neumann.

Equazione delle Onde L’equazione delle onde è presa a modello di equa-


zione di evoluzione in molti campi della Fisica Fondamentale e Applicata. I
campi elettrici e magnetici lontani dalle sorgenti, i potenziali elettrodinamici,
il campo di velocità delle onde acustiche in un gas, il campo di deformazione
in un mezzo elastico etc., soddisfano l’equazione delle onde.
L’equazione delle onde, con sorgenti ⇢ assegnate, per un campo scalare v ha
la forma
1 B2v
´ 4v “ ⇢
c2 Bt2
dove la costante c ha le dimensioni di una velocità.
Per trovare soluzioni fondamentali temperate FO in S 1 dello spazio-tempo (di
dimensione n`1) possiamo scrivere l’equazione per la soluzione fondamentale
in trasformata di Fourier
ˆ 2 ˙ ÿ
n
k0 2 1
´ 2 ` |k| F̂O “ pn`1q{2
con |k| “ ki2 . (5.25)
c p2⇡q j“1
224 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

Il polinomio in k0 , k1 . . . kn ha però una ipersuperficie di zeri c| k| “ ˘k0 e la


k2
funzione p´ 20 ` |k|2 q´1 non è localmente integrabile.
c
È possibile cercare soluzioni della (5.25) come combinazione lineare delle
1 1
distribuzioni p.p. k0 e/o .
|k| ˘ c |k| ˘ kc0 ˘ ı0
Notiamo ad esempio che
„ ⇢
` 2 2 2
˘ 1 1
k0 ´ c |k| ´ “ 2c|k|
k0 ´ c|k| ´ ı✏ k0 ` c|k| ´ ı✏

da cui discende che una soluzione della (5.25) è


„ ⇢
1 c 1 1
F̂O “ ´ ´ (5.26)
p2⇡qpn`1q{2 2|k| k0 ´ c|k| ´ ı0 k0 ` c|k| ´ ı0

L’anti-trasformata di Fourier nella sola variabile k0 della distribuzione (5.26),


in analogia a quanto fatto nel caso dell’equazione di Schrödinger, risulta
ˆ ? ˙
1 c 2⇡ ` ıc|k|t ´ıc|k|t
˘
F̃O “ ´ ´ Hptq e ´ e (5.27)
p2⇡qpn`1q{2 2|k| ı
c Hptq sinpc|k|tq
“ (5.28)
p2⇡q n{2 |k|

Analogamente a quanto fatto nel caso dell’equazione di Schrödinger, possia-


mo trovare le soluzioni fondamentali dell’equazione delle onde prendendo la
trasformata di Fourier nelle sole coordinate spaziali.
L’equazione di cui dobbiamo cercare soluzioni è dunque la
ˆ ˙
1 d2 2 pt,kq ptq 1pkq
` |k| F̃ O “ 0 (5.29)
c2 dt2 p2⇡qn{2

poiché fk ptq “ A sinpc|k|tq ` B cospc|k|tq, con A e B costanti complesse, è la


soluzione generale di
1 d2 fk
` |k|2 fk “ 0
c2 dt2
pt,kq
cercheremo una soluzione della (5.29) nella forma F̃O “ Hptqfk ptq. Il
calcolo esplicito delle derivate rispetto al tempo fornisce
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 225

d
pHptqfk q “ Hptq rAc|k| cospc|k|tq ´ Bc|k| sinpc|k|tqs `
dt
ptq
` 0 rA sinpc|k|tq ` B cospc|k|tqs
ptq
“ Hptq rAc|k| cospc|k|tq ´ Bc|k| sinpc|k|tqs ` B 0
ptq
essendo sinp↵tq 0 “ 0 @↵ P R. La derivata successiva fornisce
d2 ptq
pHptqfk ptqq “ 0 rAc|k| cospc|k|tq ´ Bc|k| sinpc|k|tqs
dt2
ptq 1
´c2 |k|2 Hptqfk ptq ` Bp 0 q
ptq ptq 1
“ 0 Ac|k| ´ c2 |k|2 Hptqfk ptq ` Bp 0 q
c
Perché H fk sia soluzione della (5.29) basterà porre B “ 0 e A “ .
p2⇡qn{2 |k|
Una soluzione della (5.29) è quindi
pt,kq c sinpc|k|tq
F̃O,` “ Hptq
p2⇡qn{2 |k|
È facile verificare che anche
pt,kq c sinpc|k|tq
F̃O,´ “ ´Hp´tq
p2⇡qn{2 |k|
d ptq
è una soluzione fondamentale, essendo p´Hp´tqq “ 0 . Si noti che en-
dt
trambe le soluzioni sono funzioni limitate e definiscono quindi una distri-
buzione temperata. Lo stesso varrà quindi per la soluzione fondamentale,
pt,kq
antitrasformata, nelle sole variabili k, della F̃O,˘ . Utilizzeremo nel seguito la
pt,kq
sola F̃O,` che fornisce la soluzione del problema di Cauchy per tempi positivi,
pt,kq
date le condizioni iniziali a t “ 0. La F̃O,´ può essere utilizzata in maniera
simile per risolvere il problemi di Cauchy per tempi negativi e valori finali
assegnati a t “ 0. I dettagli di questo secondo caso non verranno riportati
nel seguito.
Il problema di Cauchy per l’equazione delle onde, in assenza di sorgenti, ha
la forma
1 B2v Bv
´ 4v “ 0 vp0, xq “ f pxq p0, xq “ gpxq. (5.30)
c2 Bt2 Bt
226 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

La conoscenza della velocità di variazione del campo v a tempo 0 è necessaria


perchè l’equazione delle onde fissa solamente l’accelerazione del campo, a
ciascun tempo t, in termini della sua configurazione spaziale. Per semplicità
assumeremo che le funzioni f e g siano continue e a supporto compatto.
Se le condizioni iniziali vengono inglobate, come termine di sorgente nell’e-
quazione (vedi (5.15)), si ottiene in questo caso
1 B2v 1 ptq 1 1 ptq
´ 4v “ 2 f pxqp 0 q ` gpxq 0
c Bt
2 2 c c2
ovvero, in trasformata di Fourier delle sole variabili spaziali
1 d2 ṽ 1 ptq 1 1 ptq
2 2
` |k|2 ṽ “ 2 fˆpkqp 0 q ` ĝpkq 0 .
c dt c c2
La soluzione si trova per convoluzione della soluzione fondamentale con il
termine di sorgente. Per le proprietà della trasformata di Fourier della con-
voluzione, la trasformata di Fourier nelle sole variabili spaziali della soluzione
sarà
pt,kq 1 t ptq pt,kq 1 t ptq
ṽpk, tq “ F̃O,` 2 fˆpkq ˚ p 0 q1 ` F̃O,` 2 ĝpkq ˚ 0
c c
d pt,kq 1 ˆ t ptq pt,kq 1 t ptq
“ F̃O,` 2 f pkq ˚ 0 ` F̃O,` 2 ĝpkq ˚ 0
dt c c
cospc|k|tq ˆ sinpc|k|tq
“ f pkq ` ĝpkq t • 0 (5.31)
p2⇡q n{2 p2⇡qn{2 c|k|
t
dove con ˚ si è indicata la convoluzione nella sola variabile temporale e si è
utilizzata l’eguaglianza valida per ogni ↵ P R e per ogni ' P S
sinp↵tq 1 sinp↵tq pt̄q
xHptq ˚ , 'y “ xHptq b p 0 q1 , 'pt ` t̄qy
↵ ↵
sinp↵tq
“ ´xHptq , '1 ptqy
ª8 ↵
sinp↵tq 1
“ ´ ' ptq dt
0 ↵
ª8
“ cosp↵tq'ptq “ xHptq cosp↵ tq , 'y
0

Si noti che il risultato è immediatamente ottenibile dall’eguaglianza T ˚


d d d
p Sq “ p T q ˚ S “ pT ˚ Sq, valida per ogni T, S P S 1 con S a sup-
dt dt dt
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 227

d sinp↵tq
porto compatto, tenuto conto che Hptq “ Hptq cosp↵tq essendo
dt ↵
sinp↵tq
0 “ 0.

La (5.31) fornisce quindi una forma esplicita della soluzione del problema
di Cauchy in trasformata di Fourier (rispetto alle sole variabili spaziali).
Per ottenere un’analoga forma esplicita nelle variabili spaziali è necessario
ottenere la trasformata inversa della (5.31).
cosp |k|q
Caso n = 1 Indichiamo con h la funzione limitata h pkq “ k, P
p2⇡q1{2
R e calcoliamo l’antitrasformata di Fourier della distribuzione temperata Th
definita da tale funzione. Per ogni ' P S si ha
ª8
1
xŤh , 'y “ xTh , 'y
ˇ “ cosp |k|q 'pkq
ˇ dk
p2⇡q1{2 ´8
ª8 ı k
1 e ` e´ı k
“ 'pkq
ˇ dk
p2⇡q1{2 ´8 2
ª8 ª8
1 1 1 1
“ ı k
ˇ dk `
e 'pkq e´ı k 'pkq
ˇ dk
2 p2⇡q1{2 ´8 2 p2⇡q1{2 ´8
1 1 1 1
“ 'p q ` 'p´ q “ x ` ´ , 'y
2 2 2 2
che dimostra che Ťh “ 12 ` 12 ´ . Analogamente indicando con ⇠ t pkq “
sinp |k|tq d
e notando che ⇠ t pkq “ h t pkq, con ⇠t“0 pkq “ 0, si ottiene
p2⇡q 1{2 |k| dt
ª ª t
1 t 1
xŤ⇠ , 'y “ r'p sq ` 'p´ sqs ds “ 'psq ds
2 0 2 ´ t

Siamo ora in grado di scrivere la soluzione del problema di Cauchy (5.30)


in una dimensione spaziale. Prendendo nelle formule precedenti “ c t e
“ c, nelle ipotesi fatte per le condizioni iniziali, dalla (5.31) si ha
ª
1 1 1 ct
vpt, xq “ pŤhc t ˚f q pt, xq`pŤ⇠c ˚gq pt, xq “ f px´ctq` f px`ctq` gpx`sq ds
2 2 2c ´ct
(5.32)
Osservazione 105. Se f e g sono funzioni due volte di↵erenziabili con de-
rivate continue, si può verificare direttamente che le soluzioni trovate sono
228 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI

soluzioni forti del problema di Cauchy per l’equazione delle onde. Abbiamo
provato che anche per dati iniziali solo continui le (5.32) sono soluzioni deboli
del problema di Cauchy.

Osservazione 106. Si noti che il termine 12 f px ´ ctq ` 12 f px ` ctq descrive


un campo che evolve traslando con velocità c verso destra e verso sinistra
mantenendo il profilo 12 f pxq inalterato. Se f ha supporto limitato, il supporto
di f px´ctq e di f px`ctq saranno gli insieme traslati di ct e di ´ct del supporto
della f . In particolare prima di un tempo finito questo termine risulterà nullo
fuori dal supporto di f e dopo un tempo sufficientemente lungo questo termine
risulterà nullo in ogni intervallo
ª ct finito.
1
Al contrario il termine gpx ` sq ds, sebbene non abbia velocità di
2c ´ct
propagazione superiore a c, può rimanere non nullo dopo tempi comunque
lunghi, in qualunque intervallo finito della retta reale.

sinpc|k|tq
Caso n=3 Il calcolo della antitrasformata della funzione limitata
p2⇡q3{2 c|k|
in tre dimensioni spaziali fa uso dell’uguaglianza
ª
sinpc|k|tq t
“ eı ct k¨z dSpzq
p2⇡q3{2 c|k| 4⇡ p2 ⇡q3{2 S p3q p1q

dove ricordiamo che S p3q p1q è la sfera di raggio unitario in tre dimensioni.
L’uguaglianza è verificata facilmente tenendo conto che k ¨ z “ |k| |z| cos ✓ “
|k| cos ✓ per z P S p3q p1q e che dSpzq “ sin ✓ d✓ d 0 § ✓ § ⇡ , 0 § † 2⇡.
Si ha quindi per ogni ' P S
ª ª ˆª ˙
sinpc|k|tq t ı ct k¨z
ˇ dk “
'pkq e ˇ dk “
dSpzq 'pkq
R3 p2⇡q 4⇡ p2⇡q3{2 R3 S p3q p1q
3{2 c|k|

ª ˆª ˙ ª
t ıct k¨z t
“ e ˇ dk dSpzq “
'pkq 'pc t zq dSpzq “
4⇡ p2⇡q3{2 S p3q p1q R3 4⇡ S p3q p1q
ª
1 1
“ 'pyq dSpyq ” x p3q , 'y
2
4⇡c t S p3q pctq 4⇡c2 t S pctq
La antitrasformata della distribuzione in S 1 pR3 q definita dalla funzione limi-
sinpc|k|tq 1
tata è quindi la distribuzione p3q . La antitrasformata
p2⇡q c|k|
3{2 4⇡ c2 t S pctq
5.6. EQUAZIONI DIFFERENZIALI DELLA FISICA TEORICA 229

cospc|k|tq
di si trova semplicemente derivando rispetto al tempo il risultato
p2 ⇡q3{2
precedente.
Siamo quindi in grado di scrivere la soluzione del problema di Cauchy (5.30)
in tre dimensioni spaziali
ˆ ˙ ˆ ˙
B 1 x 1 x
vpt, xq “ p3q ˚ f ` p3q ˚ g “
Bt 4⇡c2 t S pctq 4⇡c2 t S pctq
ˆ ª ˙ ª
B 1 1
“ f px ` zq dSpzq ` gpx ` zq dSpzq
Bt 4⇡c2 t |z|“ct 4⇡c2 t |z|“ct
x
dove con ˚ si è indicato la convoluzione rispetto alle sole variabili spaziali.

Esercizio. Analizzare la formula appena provata e mostrare che, nelle ipotesi


fatte su f e g, solo il primo temine ha un limite non nullo per t che tende a
0, pari a f pxq. Mostrare inoltre che, se f e g sono due volte di↵erenziabili
allora la soluzione è una soluzione forte del problema di Cauchy.

Osservazione 107. Si noti che la soluzione è nulla in tutti i punti x P R3 tali


che x ` y R supp f e x ` y R supp g per nessun y : |y| “ c t. Contrariamente
al caso unidimensionale c non è solo la massima velocità di propagazione.
Nel caso tridimensionale la propagazione avviene con velocità c e, successi-
vamente al passaggio della “perturbazione” (campo diverso da zero), il campo
torna a valori nulli.

Esercizio. Calcolare in n “ 2 la antitrasformata della distribuzione defi-


sinpc|k|tq
nita dalla funzione limitata e provare che il problema di Cauchy
2⇡c|k|
bidimensionale ha come soluzione
˜ ª ¸ ª
B t f px ` ctzq t gpx ` ctzq
vpt, xq “ a dz ` a dz
Bt 2⇡ |z|§1 1 ´ |z| 2 2⇡ |z|§1 1 ´ |z|2

Mostrare che, come nel caso unidimensionale e diversamente dal caso tridi-
mensionale, la velocità di propagazione non può eccedere c, ma può essere
inferiore a c.
230 CAPITOLO 5. DISTRIBUZIONI
Bibliografia

[Sc] L. Schwartz, Méthodes mathématiques pour les sciences physiques,


Hermann, 1965.

[BB] Ph. Blanchard and E. Brüning, Mathematical Methods in Physics,


Birkhäuser, 2003.

[St] R.S. Strichartz, A guide to Distribution Theory and Fourier Transforms


, World Scientific, 2003.

231
232 BIBLIOGRAFIA
Appendice A

Successioni, serie numeriche e


serie di potenze

In questa appendice riassumeremo le definizioni fondamentali ed i principali


risultati sulle serie di potenze e le serie numeriche ([AHL]).

A.1 Definizioni sulle successioni numeriche a


valori reali
Rivediamo alcune definizioni sulle successioni di numeri reali.
Si consideri una successione di numeri reali t↵n u8
n“1 .

Si definisca con Ak l’estremo superiore della successione t↵n u8 n“k ottenuta


dalla successione originaria a cui sono stati sottratti i termini ↵1 , ↵2 , ..., ↵k´1 .
Ovviamente vale la proprietà A1 • A2 • A3 • ..., ovvero tale successione è
non crescente e denotiamo il suo limite con A. A è definito essere il limite
superiore della successione t↵n u8 n“1 (può essere finito, oppure uguale a ˘8).
Il limite inferiore viene definito in modo analogo : sia ak l’estremo inferiore
della successione t↵n u8n“k . La successione degli ak è non decrescente. Il suo
limite è definito limite inferiore della successione t↵n u8 n“k .

Il limite inferiore e superiore coincidono solo per le successioni convergenti ad


un valore finito o divergenti a `8 o ´8. In seguito è adottata la notazione
lim sup per il limite superiore e lim inf per il limite inferiore.
nÑ8 nÑ8
Valgono le seguenti proprietà (la cui prova è lasciata al lettore):

233
234APPENDICE A. SUCCESSIONI, SERIE NUMERICHE E SERIE DI POTENZE

i) lim inf ↵n ` lim inf n § lim inf p↵n ` nq § lim inf ↵n ` lim sup n
nÑ8 nÑ8 nÑ8 nÑ8 nÑ8

ii) lim inf ↵n ` lim sup


nÑ8
n § lim supp↵n ` nq § lim sup ↵n ` lim sup n
nÑ8 nÑ8 nÑ8 nÑ8

A.2 Successioni
Le definizioni che brevemente ricorderemo qui di seguito possono essere date
in un qualunque spazio metrico completo. Noi le specializzeremo al caso in
cui tale spazio coincida con C, l’ insieme dei numeri complessi.

Definizione di limite di una successione: La successione tan u8 n“1 con an P


C @ n si dice avere limite A se per ogni " ° 0 esiste un n0 tale che |an ´A| † "
per n • n0 .

Definizione di successione divergente: La successione tan u8 n“1 con an P


C @ n si dice divergente se per ogni M ° 0 esiste un n0 tale che |an | ° M
per n • n0 .

Le successioni con limite finito si dicono convergenti.1

Definizione di successione di Cauchy: Una successione si dice di Cau-


chy se @" ° 0 D n0 tale che |an ´ am | † " ogni volta che m ° n •
n0 .

In C (come in ogni spazio metrico completo) vale che:


Teorema 108. Una successione è convergente se e solo se è una successione
di Cauchy.

A.3 Serie
Utilizzando il criterio di Cauchy è possibile dedurre la convergenza di una
successione dalla convergenza di un’altra successione.
Siano tan u8 8
n“0 e tbn un“0 due successioni di numeri complessi. Se si verifica la
condizione:
|bm ´ bn | § |am ´ an |
1
vi sono successioni che non sono né convergenti né divergenti, come ad esempio zn “ ın
A.3. SERIE 235

per tutte le coppie di indici allora la successione tbn u si dice una contrazione
della successione tan u.
In questo caso se tan u è una successione di Cauchy, tale sarà anche la
successione tbn u.
Definiamo ora la serie
8
ÿ
S“ ak (A.1)
k“1

sia sn (la somma parziale n-sima definita come segue)

ÿ
n
sn “ ak .
k“1

Con tsn u8
n“0 indicheremo la successione delle somme parziali n-sime.

Convergenza di una serie: La serie S si dice convergente se è convergente


la successione delle somme parziali n-sime. Il limite, se esiste, si dirà somma
della serie.

Applicando alla successione delle somme parziali il criterio di Cauchy si ot-


8
ÿ
tiene la seguente condizione per la convergenza: la serie ak converge se e
k“1
solo se per ogni " ° 0 esiste un n0 tale che |an ` an`1 ` ... ` an`p | † " per
tutti gli n • n0 e p • 0. Per p “ 0 si ritrova in particolare che |an | † ".
In questo modo si ottiene che una condizione necessaria: per la convergenza
della serie che il termine generale deve essere infinitesimo.
8
ÿ
La serie ak può essere confrontata con la serie
k“1

|a1 | ` |a2 | ` ... ` |an | ` ... (A.2)

Poiché vale che |an `an`1 `...`an`p | § |an |`|an`1 |`...`|an`p | la successione
delle somme parziali n-sime tsn u è una contrazione della (A.2). Quindi la
convergenza della (A.2) implica la convergenza della (A.1). Una serie con la
proprietà di avere convergente la serie dei moduli è detta assolutamente
convergente.
236APPENDICE A. SUCCESSIONI, SERIE NUMERICHE E SERIE DI POTENZE

A.4 Convergenza uniforme


Si consideri la successione di funzioni complesse di variabile complessa fn pzq
definite su una stessa regione ⌦ Ä C. Se la successione tfn pzqu8 n“0 converge
@z P ⌦ allora il limite f pzq è ancora una funzione definita su ⌦.

Convergenza puntuale La successione di funzioni tfn pzqu converge pun-


tualmente alla funzione f pzq sull’insieme ⌦ se @" ° 0 e @ z P ⌦ Dn0 pzq tale
che |fn pzq ´ f pzq| † " per tutti gli n • n0 pzq.

Convergenza uniforme La successione di funzioni tfn pxqu8 n“0 si dice con-


vergere uniformemente alla funzione f pzq sull’insieme ⌦ se @" ° 0 Dn0 tale
che |fn pzq ´ f pzq| † " per tutti gli n • n0 , per ogni z P ⌦.

La convergenza uniforme di una successione di funzioni continue è condizione


sufficiente perché il limite sia una funzione continua.
Un test di convergenza uniforme è il seguente: se la successione di funzio-
ni tfn pzqu8n“0 è una contrazione di una successione convergente di costanti
reali tan u, allora la successione è uniformemente convergente. L’ipotesi da
verificare è che |fm pzq ´ fn pzq| § |am ´ an | @z P ⌦.
Possiamo adoperare un criterio simile per le serie,ÿche prende il nome di
M-test di Weierstrass. Supponiamo che la serie fn pzq ammetta come
∞ n
maggiorante la serie a termini positivi n an , ovvero che sia |fn pzq| §∞M an
per qualche costante M ∞ e per n sufficientemente grande. Se la serie n an
converge, allora la serie n fn pzq converge uniformemente.

A.5 Serie di potenze


Per serie di potenze intorno ad un punto z0 P C si intende la seguente scrittura
formale:
8
ÿ
an pz ´ z0 qn
n“0

con tan u8
n“0 successione di numeri complessi. Prima di tutto occorre definire
dove tale scrittura acquista un senso, ovvero dove la serie indicata converge.
A tale scopo si consideri il seguente:
A.5. SERIE DI POTENZE 237

8
ÿ
Teorema 109 (Teorema di Abel). Sia an pz ´ z0 qn . Esiste R P r0, 8s
n“0
detto raggio di convergenza tale che:

i) la serie converge assolutamente per z : |z ´ z0 | † R ed uniformemente


per z : |z ´ z0 | § ⇢ † R

ii) la serie diverge per z : |z ´ z0 | ° R

iii) per z : |z ´z0∞


| † R la somma della serie f pzq è analitica e la sua derivata
vale f 1 pzq “ 8n“1 n an pz ´ z0 q
n´1

iv) il raggio di convergenza della serie delle derivate è lo stesso della serie
di partenza
1 1 |an`1 |
v) “ lim |an |1{n (criterio di Cauchy-Hadamard) o “ limnÑ8
R nÑ8 R |an |
(criterio di d’Alambert)2

2
i due criteri sono equivalenti
238APPENDICE A. SUCCESSIONI, SERIE NUMERICHE E SERIE DI POTENZE
Appendice B

Teorema di Cauchy

Teorema 110 (Teorema di Cauchy (versione Goursat)). : Se una funzione


olomorfa in un dominio ⌦ semplicemente connesso ammette derivata in tutti
i punti di ⌦ allora l’integrale di tale funzione lungo una qualunque curva
chiusa di ⌦ è nullo.
Dimostrazione. Per la dimostrazione del teorema si procederà secondo i se-
guenti passi, di alcuni dei quali non verrà dato alcun dettaglio
i) dalla curva al poligono: la curva, nelle nostre ipotesi di regolarità a
tratti, si può approssimare con un poligono. L’approssimazione sarà
migliore quanto più i lati del poligono sono di lunghezza decrescente
(vedi figura).
ii) pavimentazione del poligono: l’interno del poligono può essere “pavi-
mentato” con triangoli aventi lati di lunghezza comparabile ai lati del
poligono (vedi figura).
iii) calcolo dell’integrale sulla piastrella triangolare

239
240 APPENDICE B. TEOREMA DI CAUCHY

Verra dato qualche dettaglio solo sul punto iii).


Si consideri il triangolo T :

e calcoliamo ¿ 4 ¿
ÿ
f pzqdz “ f pzqdz
i“1
T T0i
ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ¿ ˇ ÿ 4 ˇˇ ¿ ˇ ˇ¿ ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ f pzqdz ˇ § ˇ f pzqdz ˇ § 4 ˇ f pzqdz ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ ˇ i“1 ˇ ˇ ˇ ˇ
T T0i T1

ove T1 è uno tra i quattro T0i per cui l’integrale assume il massimo valore.
Suddividiamo poi T1 ancora in quattro triangoli come fatto prima, ed iterando
n volte si ha che
ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ¿ ˇ ˇ ¿ ˇ ˇ ¿ ˇ ˇ¿ ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ ÿ
4 ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ f pzqdz ˇ § 4 n´1 ˇ f pzqdz ˇˇ § ˇ f pzqdz ˇˇ § 4 ˇˇ f pzqdz ˇˇ .
n
ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ i“1 ˇ ˇ ˇ ˇ
T Tn´1 Tn´1 i Tn

Dal fatto che


T0 Ä T1 Ä T2 Ä ... Ä Tn´1
£
n´1
con Ti chiusi 1
segue per il lemma di Cantor Ti ‰ H.
i“1
£
n´1
Quindi Dz0 P Ti .
i“1
Per le ipotesi del
ˇ teorema abbiamo che ˇ f pzq è olomorfa in T e ne segue che
ˇ f pzq ´ f pz0 q ˇ
@" ° 0D ° 0 : ˇˇ ´ f 1 pz0 qˇˇ † " per 0 † |z ´ z0 | † .
z ´ z0
1
Ti “ Ti
241

Sia gpzq “ f pzq ´ pz ´ z0 qf 1 pz0 q allora 0 † |z ´ z0 | † Ñ |gpzq| § " |z ´ z0 |.

¿ ¿ ¿ ¿
1
f pzqdz “ rf pz0 q ` pz ´ z0 qf pz0 qs dz ` gpzqdz “ gpzqdz
Tn Tn Tn Tn

L’ultimo passaggio è giustificato dal fatto che f pz0 q ` pz ´ z0 qf 1 pz0 q è una


funzione olomorfa di z con derivate certamente continue (in e↵etti la derivata
è costante). Che l’integrale di tale funzione lungo un cammino chiuso sia nulla
è pertanto conseguenza del teorema di Stokes applicato alle due 1-forme ad
essa associate.
È valida la successione di implicazioni f pzq continua Ñ gpzq continua Ñ
|gpzq| limitata su Tn .
Usando l’ipotesi di limitatezza è possibile maggiorare il modulo dell’integrale
con il prodotto dell’estremo superiore del modulo della funzione integranda
per la lunghezza dell’arco di curva
ˇ ˇ
ˇ¿ ˇ
ˇ ˇ
ˇ gpzqdz ˇ § sup |gpzq| lpTn q § lpTn q sup |z ´ z0 |" § "l2 pTn q “ " 2´2 n l2 pT q
ˇ ˇ zPT
ˇ ˇ n zPTn
Tn

poiché ad ogni suddivisione vi è il dimezzamento del perimetro.


ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ¿ ˇ ˇ¿ ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ f pzqdz ˇ “ ˇ gpzqdz ˇ § " 4n l2 pT q
ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ
Tn Tn
ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ¿ ˇ ˇ¿ ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ f pzqdz ˇ § 4 ˇ f pzqdz ˇ § " l2 pT q
n
ˇ ˇ ˇ ˇ
ˇ ˇ ˇ ˇ
T Tn
ˇ ˇ
ˇ¿ ˇ
ˇ ˇ
e passando al limite per " Ñ 0 si ha che ˇˇ f pzqdz ˇˇ “ 0 (quanto detto vale
ˇ ˇ
T
per " arbitrariamente piccolo).

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