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Veronica Felli
A. A. 2016-2017
1.2 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.3.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.4.1 Completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
2.2 Differenziabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
iii
3 Curve e superfici 57
3.1 Curve in Rn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
3.2 Superfici in R3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
B̄(x0 , r) = {x ∈ X : d(x, x0 ) ≤ r}
Ricordiamo che \
Ā = C
C∈C
1.2 Esempi
d : CN × CN → R,
qPN
2
d (z1 , z2 , . . . , zN ), (w1 , w2 , . . . , wN ) = i=1 |zi − wi | .
Esempio 1.10. Siano (X, dX ) uno spazio metrico e D un insieme non vuoto.
Una funzione f : D → X si dice limitata se f (D) è limitato in X. Sia
L(D, X) = {f : D → X : f è limitata}.
Per farci un’idea di come siano fatte le palle nella metrica uniforme, conside-
riamo ad esempio il caso in cui X sia R munito della metrica usuale (Esempio
1.2). Se f ∈ L(D, R) e r > 0, la palla chiusa di centro f e raggio r è
Quindi B̄(f, r) è l’insieme dalle funzioni limitate il cui grafico è compreso tra il
grafico di f − r e il grafico di f + r (si veda la figura 1.1).
x
Figura 1.1: La palla di cen-
yr tro f e raggio r è costituita
dalle funzioni il cui grafico è
f contenuto nell’intorno tubola-
re centrato nel grafico di f di
semi-ampiezza r.
Esempio 1.11. Sia X = C 0 ([0, 1]) l’insieme delle funzioni reali continue su
[0, 1]. Dato che le funzioni continue su un intervallo chiuso e limitato sono
1 che ovviamente non è l’unica; ad esempio la metrica discreta induce una topologia diversa.
2 lo studente lo verifichi per esercizio.
limitate, si ha che C 0 ([0, 1]) ⊂ L([0, 1], R). Quindi C 0 ([0, 1]), munito della
metrica indotta dalla metrica uniforme di L([0, 1], R) data da
Quindi
Bd∞ (f, r) ⊆ Bd1 (f, r) per ogni f ∈ C 0 ([0, 1]), r > 0,
dove Bd∞ (f, r) = {g ∈ C 0 ([0, 1]) : d∞ (g, f ) < r} è la palla aperta di centro f e
raggio r rispetto alla metrica d∞ e Bd1 (f, r) = {g ∈ C 0 ([0, 1]) : d1 (g, f ) < r} è
la palla aperta di centro f e raggio r rispetto alla metrica d1 .
Ne segue che se A ⊆ C 0 ([0, 1]) è aperto in (C 0 ([0, 1]), d1 ) allora è aperto anche
in (C 0 ([0, 1]), d∞ ) (cioè la topologia indotta su C 0 ([0, 1]) da d∞ è più fine di
quella indotta da d1 ). Notiamo che il viceversa è falso, cioè ci sono aperti in
(C 0 ([0, 1]), d∞ ) che non sono aperti in (C 0 ([0, 1]), d1 ). Ad esempio, la palla
Bd∞ (0, 1) = {f ∈ C 0 ([0, 1]) : |f (t)| < 1 per ogni t ∈ [0, 1]}
Sia (
2 − 4r t, se t ∈ 0, 2r ,
f (t) = (1.3)
se t ∈ 2r , 1 ,
0,
si veda la figura 1.2.
t
r
2 1
se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che, per ogni x ∈ A \ {x0 }, se dX (x, x0 ) < δ
allora dY (f (x), `) < ε.
Ricordiamo che perché si abbia unicità del limite è cruciale che x0 sia un punto
di accumulazione per A.
Osservazione 1.14. Siano (X, dX ), (Y, dY ) due spazi metrici, x0 ∈ X, ` ∈ Y .
Se A, B ⊆ X, B ⊆ A, x0 è un punto di accumulazione per A e per B e f : A → Y ,
allora4 da
lim f (x) = ` in A
x→x0
segue che
lim f B (x) = ` in B,
x→x0
4 lo studente lo verifichi per esercizio.
L’osservazione precedente ci può aiutare nel calcolo dei limiti (ad esempio di
funzioni reali di più variabili reali) sia per individuare il candidato limite sia
per dimostrare che il limite non esiste; infatti, se le restrizioni della funzione a
due sottoinsiemi diversi di cui x0 è punto di accumulazione hanno limiti diversi,
allora possiamo concludere che il limite non esiste. Ad esempio, si consideri la
funzione (
xy
2 2, se (x, y) 6= (0, 0),
f : R2 → R, f (x, y) = x +y
0, se (x, y) = (0, 0),
dove R2 e R sono muniti delle usuali metriche euclidee. La restrizione di f
all’asse x è identicamente nulla e dunque ha limite 0 per (x, y) → (0, 0); la
restrizione della funzione f alla retta y = x (privata dell’origine) è identicamente
uguale a 21 e dunque ha limite 21 per (x, y) → (0, 0). Possiamo quindi concludere
che lim(x,y)→(0,0) f (x, y) in R2 non esiste.
La continuità di funzioni tra spazi metrici è una proprietà topologica, cioè di-
pende dalle topologie (famiglie di aperti) e non dalle particolari metriche che le
generano. Vale infatti la seguente proposizione.
(i) f è continua in X;
f :X→Y e g : Y → Z.
Osserviamo infine che la distanza di uno spazio metrico è una funzione continua
sullo spazio metrico prodotto (si veda l’osservazione 1.5 per la definizione di
spazio metrico prodotto).
d:X ×X →R
1.3.1 Esempi
Esempio 1.23. Sia T : C 0 ([0, 1]) → C 0 ([0, 1]) la funzione definita come
Z x
T (f )(x) = f (t) dt.
0
Notiamo che, per il Teorema di Weierstraß, C 0 ([0, 1]) = Cb ([0, 1], R) e muniamo
C 0 ([0, 1]) della metrica uniforme definita in (1.5), cioè
d∞ (f, g) = sup |f (x) − g(x)| = max |f (x) − g(x)|, f, g ∈ C 0 ([0, 1]). (1.6)
x∈[0,1] x∈[0,1]
Si ha allora che
d∞ (T (f ), T (g)) = sup |T (f )(x) − T (g)(x)|
x∈[0,1]
Z x
= sup (f (t) − g(t)) dt
x∈[0,1] 0
Z 1
≤ sup |f (t) − g(t)| dt ≤ d∞ (f, g).
x∈[0,1] 0
Dato ε > 0, basta allora scegliere δ = ε in modo che se d∞ (f, g) < δ si abbia
che d∞ (T (f ), T (g)) < ε. Quindi T è continua da C 0 ([0, 1]) munito della metrica
uniforme in sé.
Esempio 1.24. Sia T : C 0 ([0, 1]) → C 0 ([0, 1]) la funzione definita come
T (f )(x) = f (0).
Lasciamo allo studente la facile verifica che T è continua da C 0 ([0, 1]) munito
della metrica uniforme in sé.
Id : (X, d∞ ) → (X, d1 ),
f 7→ f,
Id : (X, d1 ) → (X, d∞ ),
f 7→ f,
δ
si avrebbe che d1 (f, 0) = 2 < δ e d∞ (f, 0) = 2 > 1, assurdo.
Consideriamo ora il caso di funzioni reali di più variabili reali, cioè di funzioni
del tipo f : A → R con A ⊆ RN . Pensiamo ad A come ad un sottospazio
metrico di RN con la metrica indotta da quella euclidea e muniamo R con la
metrica usuale (cioè d(x, y) = |x − y|).
Ricordiamo anzitutto che per funzioni reali definite su spazi metrici (e quindi
anche nel caso particolare di funzioni reali definite su sottoinsiemi di RN ) si
ha che, purché non si presentino le ben note forme di indecisione, il limite di
πk : RN → R, πk (x1 , x2 , . . . , xN ) = xk (1.7)
è continua.
Dato ε > 0 basta allora scegliere δ = ε per avere che d(x, y) < δ implichi che
dR (πk (x), πk (y)) < ε.
è continua su R4 .
Vediamo ora due esempi in cui lo studio della continuità di una funzione di più
variabili si rivela più delicato.
Esempio 1.29. Studiamo la continuità della funzione
3 2
x y , se x > 0 e y > 0,
2
f : R → R, f (x, y) = x + |y|3
6
0, altrimenti.
virtù della Proposizione 1.26. Inoltre f è continua in ogni (x0 , y0 ) ∈ B, dato che
in un intorno di (x0 , y0 ) ∈ B la funzione f (x, y) è identicamente nulla e quindi
continua. Rimane da studiare la continuità nei punti (0, 0), (x0 , 0) con x0 > 0,
e (0, y0 ) con y0 > 0.
2|ab| ≤ a2 + b2 (1.10)
che vale per ogni a, b ∈ R. Da (1.10) segue che |x3 |y|3/2 | ≤ 12 (x6 + |y|3 ) e quindi
x3 y 2 |x|3 |y|3/2 p
1p
0 ≤ 6 3
=
6 3
|y| ≤ |y|.
x + |y| x + |y| 2
p
Dato che lim(x,y)→(0,0) 12 |y| = 0, per il Teorema dei Due Carabinieri conclu-
x3 y 2
diamo che lim(x,y)→(0,0) x6 +|y|3 = 0, dimostrando cosı̀ che f è continua anche in
(0, 0).
Esempio 1.30. Studiamo la continuità della funzione
x (sin x) − y
, se x 6= y,
f : R2 → R, f (x, y) = x−y
0, se x = y.
P = (x, y)
r θ
t(sin t − t + t4 )
f B (x, y) = lim f (t, t − t4 ) = lim
lim
(x,y)→(0,0) t→0 t→0 t4
t(t − 16 t3 + o(t3 ) − t + t4 ) 1
= lim =− in B.
t→0 t4 6
Dato che lim(x,y)→(0,0) f A (x, y) = 0 in A, in virtù dell’osservazione 1.14, con-
cludiamo che il limite lim(x,y)→(0,0) f (x, y) non esiste6 e che quindi f non è
continua in (0, 0).
Osservazione 1.31. Nel caso di funzioni reali definite su sottoinsiemi di R2 ,
può essere utile riscrivere la definizione di limite (e quindi quella di continuità)
mediante le coordinate polari. Per ogni punto P = (x, y) ∈ R2 \ {(0, 0)} esistono
unici r > 0 e θ ∈ [0, 2π) tali che
per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che |f (r cos θ, r sin θ) − `| < ε
per ogni r ∈ (0, δ) e ogni θ ∈ [0, 2π) tale che (r cos θ, r sin θ) ∈ A. (1.11)
6 Nel calcolo del limite lim(x,y)→(0,0) f (x, y) lo studente potrebbe avere la tentazione di
x(sin x−y) x(x−y)
procedere, sbagliando, come segue: “sin x ∼ x per x → 0 e quindi x−y
∼ x−y = x
per (x, y) → (0, 0)”. Si trarrebbe cosı̀ la conclusione sbagliata che lim(x,y)→(0,0) f (x, y) = 0.
In che cosa consiste l’errore?
log(1 + x2 y 2 )
f (x, y) = .
x2 + y 2
La caratterizzazione di limite data nella (1.11) può essere riletta come segue:
lim(x,y)→(0,0) f (x, y) = ` in A se f (r cos θ, r sin θ) tende a ` per r → 0+ unifor-
memente rispetto a θ; con la frase “uniformemente rispetto a θ” sottolineiamo
che il δ nella (1.11) non dipende da θ. Tale precisazione è cruciale, dato che,
in generale, per avere che lim(x,y)→(0,0) f (x, y) = ` non basta che, per ogni θ
fissato, limr→0+ f (r cos θ, r sin θ) = `, come mostra l’esempio 1.33.
xy 2
Esempio 1.33. Sia f : R2 \ {(0, 0)} → R definita come f (x, y) = x2 +y 4 .
Notiamo che, per ogni θ ∈ [0, 2π),
r cos θ sin2 θ
lim f (r cos θ, r sin θ) = lim = 0. (1.12)
r→0+ r→0+ cos2 θ + r2 sin4 θ
Ciononostante il lim(x,y)→(0,0) f (x, y) non esiste. Per verificare che il limite non
esiste, poniamo P = {(t2 , t) : t 6= 0} ⊂ R2 \ {(0, 0)} e, osservando che (0, 0) è
un punto di accumulazione di P , calcoliamo
t4 1
f P (x, y) = lim f (t2 , t) = lim 4 =
lim in P.
(x,y)→(0,0) t→0 t→0 2t 2
D’altra parte, ricordando dalla (1.12) che, per ogni θ ∈ [0, 2π) fissato,
lim f A (x, y) = 0 in Aθ ,
(x,y)→(0,0) θ
dove Aθ = {(r cos θ, r sin θ) : r > 0}, in virtù dell’osservazione 1.14, concludiamo
che il limite lim(x,y)→(0,0) f (x, y) non esiste.
segue che
v
uM M
uX X
dRM (f (X), f (X0 )) = t |fk (X) − fk (X0 )|2 ≤ |fk (X) − fk (X0 )| < ε.
k=1 k=1
Definizione 1.37. Sia (X, d) uno spazio metrico. Si dice che una successione
{xn }n∈N a valori in X converge a ` ∈ X (e si scrive limn→∞ xn = ` o xn → `)
se
per ogni ε > 0 esiste n̄ tale che, per ogni n ≥ n̄, d(xn , `) ≤ ε.
1.4.1 Completezza
Definizione 1.40. Una successione {xn } in uno spazio metrico (X, d) si dice di
Cauchy se per ogni ε > 0 esiste n̄ ∈ N tale che, per ogni n, m ≥ n̄, d(xn , xm ) ≤ ε.
Si ha che
Z 1
1
1
d1 (fn , fm ) = |fn (x) − fm (x)| dx = − −→ 0.
−1 n m n,m→∞
Quindi {fn }n∈N è di Cauchy in (C 0 ([−1, 1]), d1 ). Dimostriamo che {fn }n∈N non
converge in (C 0 ([−1, 1]), d1 ). Se, per assurdo, esistesse f ∈ C 0 ([−1, 1]) tale che
fn → f rispetto alla metrica d1 , si avrebbe che, per ogni r ∈ (0, 1) e n > 1/r,
Z −r Z − n1 Z − n1
0≤ |f (x) + 1| dx ≤ |f (x) + 1| dx = |f (x) − fn (x)| dx
−1 −1 −1
Z1
≤ |f (x) − fn (x)| dx = d1 (fn , f ) −→ 0
−1 n→∞
fn
1
− n1 1 1
n
−1
da cui seguirebbe che f (x) = −1 per ogni x ∈ (−1, −r) e per ogni r ∈ (0, 1), cioè
f (x) = −1 per ogni x ∈ (−1, 0). Ragionando in modo simile si ottiene anche
che f (x) = 1 per ogni x ∈ (0, 1). Questo è assurdo dato che f sta in C 0 ([−1, 1])
e quindi è continua in [−1, 1].
Teorema 1.45. Siano D un insieme non vuoto e (X, dX ) uno spazio metrico
completo. Allora
L(D, X) = {f : D → X : f è limitata}
munito della metrica uniforme d∞ (f, g) = sup{dX (f (t), g(t)) : t ∈ D} è uno
spazio metrico completo.
per ogni ε > 0 esiste n̄ tale che, per ogni n, m ≥ n̄, sup dX (fn (t), fm (t)) ≤ ε,
t∈D
cioè
Quindi per ogni t ∈ D e per ogni ε > 0 esiste n̄ tale che, per ogni n, m ≥ n̄,
dX (fn (t), fm (t)) ≤ ε, cioè per ogni t ∈ D la successione {fn (t)} è di Cauchy
in (X, dX ). Essendo (X, dX ) completo, deduciamo che per ogni t ∈ D esiste
f (t) ∈ X tale che fn (t) → f (t) in X. Facendo tendere m → ∞ in (1.16),
otteniamo che
Osseviamo che f ∈ L(D, X); infatti, fissando n0 ≥ n̄, si ha che fn0 è limi-
tata e quindi esistono x0 ∈ X e R > 0 tali che fn0 (D) ⊆ B(x0 , R). Per la
disuguaglianza triangolare, segue che, per ogni t ∈ D,
Definizione 1.46. Siano (X, d) uno spazio metrico e A ⊆ X. SSi dice che A
è compatto se per ogni famiglia U di aperti diSX tali che A ⊆ U ∈U U esiste
una sottofamiglia U 0 ⊆ U finita tale che A ⊆ U ∈U 0 U (cioè ogni ricoprimento
aperto di A ammette uno sottoricoprimento finito).
Ricordiamo le seguenti proprietà (che dovrebbero essere già note allo studente).
(i) A ⊆ X è compatto in uno spazio metrico (X, d) se e solo se per ogni succes-
sione {xn }n∈N ⊆ A a valori in A esistono una sottosuccessione {xnk }k∈N
e x̄ ∈ A tali che xnk → x̄.
Definizione 1.47. Uno spazio normato è una coppia (X, k · k), dove X è uno
spazio vettoriale reale (o complesso) e k · k : X → R è una funzione (detta
norma) verificante le seguenti proprietà:
9 Dati due spazi metrici (X, d ), (Y, d ), una funzione f : X → Y si dice uniformemente
X Y
continua se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che, per ogni x1 , x2 ∈ X, se dX (x1 , x2 ) < δ allora
dY (f (x1 ), f (x2 )) < ε.
Definizione 1.49. Uno spazio normato che sia completo rispetto alla metrica
indotta dalla norma si dice spazio di Banach.
è uno spazio normato che non è uno spazio di Banach (si riveda l’esempio 1.43).
10 lo studente lo faccia per esercizio.
11 lo studenti verifichi che si tratta di una norma!
12 che è uno spazio vettoriale con le operazioni (f + g)(x) = f (x) + g(x), (λf )(x) = λf (x).
13 lasciamo allo studente la verifica si tratta di una norma.
Dall’osservazione 1.54 segue che gli aperti rispetto a due norme equivalenti sono
gli stessi, cioè norme equivalenti inducono la stessa topologia.
Osservazione 1.55. Se due norme k · k1 e k · k2 su uno spazio vettoriale X
sono equivalenti, allora si ha che (X, k · k1 ) è uno spazio di Banach se e solo se
(X, k · k2 ) è uno spazio di Banach. Infatti, dalla definizione di norme equivalenti
segue facilmente che una successione in X è convergente (rispettivamente di
Cauchy) rispetto alla norma k · k1 se e solo se è convergente (rispettivamente di
Cauchy) rispetto alla norma k · k2 .
Esempio 1.56. In RN , con N ≥ 1, la norma euclidea
q
PN 2
k(x1 , x2 , . . . , xN )k = i=1 xi
e la norma14
N
X
k(x1 , x2 , . . . , xN )k1 = |xi |
i=1
e quindi (1.23) vale anche per N + 1. Abbiamo allora per induzione che (1.23)
vale per ogni N ≥ 1.
qP
N
Esempio 1.57. In RN , la norma euclidea k(x1 , x2 , . . . , xN )k = 2
i=1 xi e la
norma15
k(x1 , x2 , . . . , xN )k∞ = max |xi |
i∈{1,...,n}
Esempio 1.58. Su C 0 ([a, b]) la norma uniforme definita in (6.4) e la norma inte-
grale definita in (1.20) non sono equivalenti. Infatti esse inducono due topologie
diverse, come osservato nell’esempio 1.11.
f (P + t ek ) − f (P )
lim (2.1)
t→0 t
dove
ek = (0, . . . , 1 , . . . , 0)
↑
k-esimo
posto
è il versore diretto come l’asse xk . In tal caso il valore del limite in (2.1) si dice
derivata parziale di f in P rispetto alla variabile xk e si indica con una delle
seguenti notazioni
∂f
(P ), fxk (P ), (Dxk f )(P ).
∂xk
Se P = (x1 , x2 , . . . , xn ) allora
∂f f (x1 , . . . , xk−1 , xk + t, xk+1 , . . . , xn ) − f (x1 , . . . , xn )
(x1 , . . . , xn ) = lim ,
∂xk t→0 t
∂f
cioè la derivata parziale ∂xk (x1 , . . . , xn ) è la derivata della funzione
27
in x = xk .
Introduciamo ora una nozione più generale che tiene conto di tutte le possibili
direzioni e non solo di quelle parallele agli assi coordinati.
f (P + t ν) − f (P )
lim . (2.3)
t→0 t
In tal caso il valore del limite in (2.3) si dice derivata direzionale di f in P
rispetto alla direzione ν e si indica con una delle seguenti notazioni
∂f
(P ), fν (P ), (Dν f )(P ).
∂ν
Gli esempi 2.4 e 2.5 mostrano casi di funzioni derivabili in un punto lungo tutte
le direzioni ma non continue in quel punto; non basta quindi un comportamento
regolare in tutte le direzioni per avere regolarità globale. Anche richiedendo,
oltre alla derivabilità direzionale, la continuità, si possono presentare casi di
comportamento piuttosto patologico, come mostra il seguente esempio.
Esempio 2.6. Sia
0,
se x = 0,
f : R2 → R, f (x, y) = 0, se x =6 0e y
x ∈ Q,
y
x, se x 6= 0 e ∈ R \ Q.
x
∂f
Sia ν = (ν1 , ν2 ) ∈ R2 tale che ν12 + ν22 = 1. Se ν1 = 0 si ha che ∂ν (0, 0) = 0. Se
ν2 ∂f
ν1 6= 0 e ν1 ∈ Q si ha che f (tν) = 0 per ogni t e quindi ∂ν (0, 0) = 0. Se ν1 6= 0
e νν21 6∈ Q si ha che
2.2 Differenziabilità
Gli esempi precedenti dovrebbero aver convinto lo studente che l’esistenza del-
le derivate parziali e direzionali non garantisce un comportamento “regolare”
2 Infatti
Pn Pn
df (P )(x1 , . . . , xn ) = df (P )( i=1 xi ei ) = i=1 xi df (P )(ei ).
∂f
(P ) = df (P )(ek ) per ogni k = 1, . . . , n. (2.5)
∂xk
(ii) Per ogni versore ν ∈ Rn , dalla Proposizione 2.12 e da (i) segue che
∂f
(P ) = df (P )(ν) = (∇f (P ), ν).
∂ν
df : Ω → (Rn )? ,
(Rn )? = {L : Rn → R : L è lineare}.
ek (x1 , x2 , . . . , xn ) = xk .
Si ha che {e1 , e2 , . . . , en } è una base di (Rn )? detta base canonica duale. Per
ogni k ∈ {1, 2, . . . , n}, calcoliamo il differenziale della proiezione sull’asse xk
πk : Rn → R, πk (x1 , x2 , . . . , xn ) = xk .
πk (P + H) − πk (P ) = (xk + hk ) − xk = hk = ek (H),
Abbiamo visto, come conseguenza della Proposizione 2.12, che se una funzione è
differenziabile in un punto allora esistono le sue derivate parziali in quel punto.
Il viceversa è falso, cioè possono esistere tutte le derivate parziali in un punto
senza che la funzione sia in esso differenziabile; ad esempio la funzione in (2.2)
ammette entrambe le derivate parziali in (0, 0) e non è differenziabile in (0, 0)
non essendo ivi continua. Se però le derivate parziali di una funzione esistono
in tutto un intorno di un punto e sono continue nel punto, allora il seguente
teorema garantisce la differenziabilità della funzione.
Osserviamo che la continuità delle derivate parziali nel punto è condizione suf-
ficiente ma non necessaria per la differenziabilità, cioè il viceversa del Teorema
del differenziale totale non vale, come mostra il seguente esempio.
Esempio 2.17. Sia
(
1
(x2 + y 2 ) sin x2 +y 2, se (x, y) 6= (0, 0),
f : R2 → R, f (x, y) =
0, se (x, y) = (0, 0).
Osserviamo che
lim f (x, y) = 0,
(x,y)→(0,0)
D’altra parte
f (h, k) − f (0, 0) − (∇f (0, 0), (h, k))
lim
(h,k)→(0,0) k(h, k)k
1
(h2 + k 2 ) sin h2 +k 2
= lim √
(h,k)→(0,0) 2
h +k 2
p 1
= lim h2 + k 2 sin 2 = 0,
(h,k)→(0,0) h + k2
e quindi f è differenziabile in (0, 0) con df (0, 0) = 0.
f +g :Ω→R e fg : Ω → R
sono differenziabili in P e
1 1 g(P + H) − g(P )
− =−
g(P + H) g(P ) g(P )g(P + H)
1
= − dg(P )(H) + o(kHk) + o(1)
g 2 (P )
1 1
=− 2 dg(P )(H) − o(1)dg(P )(H) − 2 o(kHk) − o(1)o(kHk)
g (P ) g (P )
per kHk → 0. Essendo dg(P ) lineare, per il Lemma 2.21 esiste C > 0 tale
|dg(P )(H)| ≤ CkHk per ogni H ∈ Rn . Concludiamo quindi che
1 1 1
− =− 2 dg(P )(H) + o(kHk),
g(P + H) g(P ) g (P )
per kHk → 0, cioè g1 è differenziabile in P e d g1 (P ) = − g2 (P
1
) dg(P ).
f (P + H) = f (P ) + df (P )(H) + R(H)
dove
R(H)
lim = 0 in Rm . (2.9)
H→0 kHkRn
Inoltre, essendo g differenziabile in f (P ),
dove
ρ(K)
lim = 0 in Rp . (2.10)
K→0 kKkRm
Quindi
(g ◦ f )(P + H) = g f (P ) + (f (P + H) − f (P ))
= g(f (P )) + dg(f (P ))(f (P + H) − f (P )) + ρ(f (P + H) − f (P ))
= g(f (P )) + dg(f (P ))(df (P )(H) + R(H)) + ρ(f (P + H) − f (P ))
= (g ◦ f )(P ) + (dg(f (P )) ◦ df (P ))(H)
+ dg(f (P ))(R(H)) + ρ(f (P + H) − f (P )).
in virtù di (2.10) e
kf (P + H) − f (P )kRm
df (P )(H) + R(H)
=
kHkRn kHkRn
m
R
kHkRn kR(H)kRm
≤C + = C + o(1) per H → 0
kHkRn kHkRn
Essendo g ◦ f una funzione reale di una sola variabile reale, il suo jacobiano in
t0 coincide con la derivata (g ◦ f )0 (t0 ). Se fk = πk ◦ f con k = 1, . . . , n sono le
componenti di f , abbiamo che
0
f1 (t0 )
f20 (t0 )
Jf (t0 ) = . ,
..
fn0 (t0 )
∂2f
(P ), fxk xh (P ), (Dxk xh f )(P ).
∂xh ∂xk
∂2f
, Dx2h f (P ).
∂x2h
∂3f ∂2f
∂
2 (P ) = (P ).
∂xh ∂xk ∂xh ∂xh ∂xk
Ci chiediamo ora se sia o meno importante l’ordine con cui si eseguono le derivate
parziali successive. Il seguente esempio mostra che in generale si può ottenere
un risultato diverso se, anziché derivare prima rispetto a xk e poi rispetto a xh ,
si deriva prima rispetto a xh e poi rispetto a xk .
Per ogni h ∈ R,
f (t, h) − f (0, h) h
fx (0, h) = lim = lim t arctan = 0,
t→0 t t→0 t
quindi
∂fx fx (0, h) − fx (0, 0)
fxy (0, 0) = (0, 0) = lim = 0.
∂y h→0 h
D’altra parte, per ogni h 6= 0,
f (h, t) − f (h, 0) 1 2 t
fy (h, 0) = lim = lim h arctan − 0 = h,
t→0 t t→0 t h
e
f (0, t) − f (0, 0)
fy (0, 0) = lim = 0,
t→0 t
quindi
∂fy fy (h, 0) − fy (0, 0)
fyx (0, 0) = (0, 0) = lim = 1.
∂x h→0 h
fxh xk (P ) = fxk xh (P ).
φ(t) = f (x + t, y + s) − f (x + t, y).
e quindi
∂2f
f (x+t, y+s)−f (x+t, y)−(f (x, y+s)−f (x, y)) = (x+t1 , y+s1 )st. (2.13)
∂y∂x
In modo simile, considerando
ψ(s) = f (x + t, y + s) − f (x, y + s),
per il Teorema di Lagrange esistono t2 compreso tra 0 e t e s2 compreso tra 0 e
s tali che
ψ(s) − ψ(0) = ψ 0 (s2 )s
∂f ∂f
= (x + t, y + s2 ) − (x, y + s2 ) s
∂y ∂y
2
∂ f
= (x + t2 , y + s2 )ts,
∂x∂y
e quindi
∂2f
f (x+t, y+s)−f (x, y+s)−(f (x+t, y)−f (x, y)) = (x+t2 , y+s2 )ts. (2.14)
∂x∂y
Da (2.13) e (2.14) segue che, per ogni t e s sufficientemente piccoli, esistono
t1 , t2 compresi tra 0 e t e s1 , s2 compresi tra 0 e s tali che
∂2f ∂2f
(x + t1 , y + s1 ) = (x + t2 , y + s2 ).
∂y∂x ∂x∂y
∂2f
Facendo tendere s, t → 0, dalla continuità delle derivate parziali seconde ∂y∂x
∂2f
e ∂x∂y in P si deduce che
∂2f ∂2f
(x, y) = (P ),
∂y∂x ∂x∂y
come si voleva dimostrare.
q = (q1 , q2 , . . . , qn ) con qi ∈ N.
|q| = q1 + q2 + · · · + qn .
q! = q1 !q2 ! . . . qn !.
∂ |q| f
Dq f = = Dxq11 Dxq22 . . . Dxqnn f.
∂xq11 ∂xq22 . . . ∂xqnn
∂gj
Dato che, per ipotesi, fi ∈ C k (Ω) e gj ∈ C k (Λ), si ha che ∂yi ∈ C k−1 (Λ) e
∂fi
∂xh ∈ C k−1 (Ω); quindi, per ipotesi di induzione,
∂gj
◦ f ∈ C k−1 (Ω)
∂yi
∂gj ∂fi
e, in virtù dell’osservazione 2.30, ∂yi ◦f ∂xh ∈ C k−1 (Ω). Quindi
∂
(g ◦ f )j ∈ C k−1 (Ω) per ogni j ∈ {1, . . . , p} e h ∈ {1, . . . , n},
∂xh
P (P + H) = {P + tH : t ∈ [0, 1]},
e poniamo
Λ : (−ε, 1 + ε) → R, Λ(t) = f (λ(t)).
Si ha che Λ ∈ C m ((−ε, 1 + ε)) (in quando composizione di funzioni di classe
C m ) e dunque ammette lo sviluppo di Taylor di ordine m − 1 e centro 0 con
resto di Lagrange: per ogni t ∈ (−ε, 1 + ε) esiste θ = θ(t) compreso tra 0 e t
tale che
m−1
X Λ(k) (0) Λ(m) (θ(t)) m
Λ(t) = tk + t .
k! m!
k=0
Calcoliamo le derivate di Λ:
Λ(0) (t) = Λ(t) = f (P + tH),
n
d X ∂f
Λ(1) (t) = Λ0 (t) = f (λ1 (t), . . . , λn (t)) = (P + tH) hi ,
dt i=1
∂xi
n
X d ∂f
Λ(2) (t) = hi (λ1 (t), . . . , λn (t))
i=1
dt ∂xi
n n
∂2f
X X
= hi (P + tH) hj
i=1 j=1
∂xj ∂xi
n
X ∂2f
= (P + tH) hi hj
i,j=1
∂xj ∂xi
..
.
n
(k)
X ∂kf
Λ (t) = (P + tH) hi1 hi2 . . . hik .
i1 ,i2 ,...,ik =1
∂xi1 ∂xi2 . . . ∂xik
Nella somma
n
X ∂kf
(P + tH) hi1 hi2 . . . hik (2.16)
i1 ,i2 ,...,ik =1
∂xi1 ∂xi2 . . . ∂xik
Per capire quante parole distinte si possono formare con n lettere di cui la prima
ripetuta q1 volte, la seconda q2 volte, . . . , la n-esima qn volte, vediamo degli
esempi.
Esempi 2.32. (i) Se n = 4 e q = (1, 1, 1, 1), con 4 lettere di cui ciascuna
ripetuta 1 volte (cioè con 4 lettere distinte a,b,c,d) possiamo formare 4!
parole. In generale, se n ≥ 1 e q = (1, . . . , 1) ∈ Rn , con n lettere di cui
ciascuna ripetuta 1 volte possiamo formare n! parole.
(ii) Se n = 4 e q = (2, 1, 1, 1), quante parole possiamo formare con 4 lettere
a,b,c,d di cui a ripetuta 2 volte e b,c,d ripetute 1 volta? Con le cin-
que lettere a, a0 , b, c, d potremmo formare 5! parole; se in queste 5! parole
confondessimo le lettere a e a0 , troveremmo che ciascuna parole distinta
sarebbe ripetuta 2! volte. Quindi con 4 lettere a,b,c,d di cui a ripetuta 2
5!
volte e b,c,d ripetute 1 volta possiamo formare 2! parole distinte (cioè il
numero degli anagrammi della parola aabcd è 5! 2! ).
Gli esempi 2.32 suggeriscono3 che il numero di parole distinte che si possono
formare con n lettere di cui la prima ripetuta q1 volte, la seconda q2 volte, . . . ,
la n-esima qn volte, è
(q1 + q2 + · · · + qn )! |q|!
= ,
q1 !q2 ! . . . qn ! q!
dove q = (q1 , q2 , . . . , qn ). Quindi
n
X ∂kf X k! q
(P + tH) hi1 hi2 . . . hik = D f (P + tH)H q .
i1 ,...,ik =1
∂xi1 . . . ∂xik q!
q multi-indice
|q|=k
X Dq f (P ) q
f (P + H) − H
q!
q multi-indice
|q|≤m
X Dq f (P + θ̄H) − Dq f (P ) q
= H . (2.18)
q!
q multi-indice
|q|=m
Tenendo conto di (2.20) e (2.21), vediamo alcuni casi particolari dei Teoremi
2.33 e 2.34.
Ω = A ∪ (Ω \ A), A 6= ∅, Ω \ A 6= ∅,
cioè Ω sarebbe l’unione di due aperti non vuoti e disgiunti, cioè Ω sarebbe
sconnesso, assurdo! Quindi A = Ω, cioè f (P ) = f (P0 ) per ogni P ∈ Ω.
Sia A = (aij ) una matrice n × n a coefficienti reali simmetrica, cioè tale che
aij = aji per ogni i, j. Allora è ben noto che tutti gli autovalori di A sono reali.
xn xn i,j=1 xn
di massimo locale. Quindi per il Teorema di Fermat per funzioni di una variabile
abbiamo che λ0 (0) = 0. Dato che
f (P + tek ) − f (P ) ∂f
λ0 (0) = lim = (P ),
t→0 t ∂xk
∂f
concludiamo che ∂xk (P ) = 0 per ogni k ∈ {1, . . . , n}, cioè ∇f (P ) = 0.
Osserviamo che il viceversa del Teorema 2.38 è falso. Ad esempio, per la funzione
f : R2 → R, f (x, y) = y 2 − x2 ,
-5
-2 2
0 0
2 -2
I due teoremi seguenti sono utili criteri per la classificazione dei punti stazionari
di funzioni di più variabili.
f : R2 → R, f (x, y) = x4 + y 4 ,
∂2f
(x, y) = −2(y − 1)2 ,
∂x∂x
∂2f
(x, y) = 2(6y 2 − x2 − 6y + 1),
∂y∂y
∂2f ∂2f
(x, y) = (x, y) = −4x(y − 1).
∂x∂y ∂y∂x
Osserviamo che
−2 0
Hf (0, 0) =
0 2
è indefinita; quindi per l’osservazione 2.41 possiamo concludere che (0, 0) è un
punto di sella. Osserviamo che
1
1 −2 0
Hf (0, 2 ) =
0 −1
è definita negativa; quindi per il Teorema 2.43 possiamo concludere che (0, 21 ) è
un punto di massimo locale.
Per t ∈ R, la matrice
0 0
Hf (t, 1) =
0 2(1 − t2 )
non è definita positiva, non è definita negativa e non è indefinita; è semi-definita
positiva per t ∈ [−1, 1] e semi-definita negativa per |t| ≥ 1. In questo caso né
il Teorema 2.40 né il Teorema 2.43 consentono di concludere. D’altra parte,
studiando il segno di f , si osserva facilmente che f (x, y) ≥ 0 se |y| ≥ |x| e
f (x, y) ≤ 0 se |y| ≤ |x|; quindi, essendo f (t, 1) = 0 per ogni t, possiamo con-
cludere che i punti (t, 1) sono punti di minimo locale se t ∈ (−1, 1), di massimo
locale se t ∈ (−∞, 1) ∪ (1, +∞), di sella se t = 1 o t = −1.
Curve e superfici
3.1 Curve in Rn
Esempio 3.2. Consideriamo la legge oraria del moto di un punto materiale nello
spazio in un intervallo di tempo [a, b]. Se (x(t), y(t), z(t)) sono le coordinate del
punto all’istante t, la funzione
γ : [a, b] → R3 , γ(t) = (x(t), y(t), z(t)),
è una curva in R3 (detta curva o legge del moto).
57
Esempio 3.5. La funzione γ : [0, 2π] → R2 , γ(t) = (cos t, sin t) è una curva di
classe C ∞ . Il sostegno γ ∗ è la circonferenza in R2 di centro l’origine e raggio 1.
Esempio 3.6. Sia f : [a, b] → R una funzione continua. Allora la funzione
Esempio 3.8. La curva γ : [0, 2π] → R2 , γ(t) = (cos t, sin t) dell’esempio 3.5
è di classe C 1 e γ 0 (t) = (− sin t, cos t) 6= (0, 0) per ogni t, quindi γ è una curva
regolare.
Esempio 3.9. La curva γ : [−1, 1] → R2 , γ(t) = (t, |t|), non è di classe C 1 e
quindi non è regolare. Si osservi che γ è regolari a tratti, dato che le restrizioni
γ|[−1,0] e γ|[0,1] sono regolari.
Esempio 3.10. La curva γ : [−1, 1] → R2 , γ(t) = (t3 , t2 ), è di classe C 1 ma
γ 0 (0) = (0, 0), quindi γ non è regolare. Nella figura 3.3 è disegnato il sostegno
γ ∗ = {(x, y) ∈ R2 : −1 ≤ x ≤ 1 e y = x2/3 }: si noti la presenza di una cuspide
nell’origine. Notiamo che γ è regolare a tratti: infatti le restrizioni γ|[−1,0] e
γ|[0,1] sono regolari.
Definizione 3.11. (i) Una curva γ : [a, b] → Rn si dice chiusa se γ(a) = γ(b).
(ii) Una curva γ : [a, b] → Rn si dice semplice se γ|[a,b) e γ|(a,b] sono iniettive,
cioè se
∗
Si verifica facilmente che ∼ e ∼ sono relazioni di equivalenza nella famiglia delle
curve di Rn . Le classi di equivalenza di ∼ si dicono cammini. Le classi di
∗
equivalenza di ∼ si dicono cammini orientati.
Osservazione 3.18. Osserviamo che se γ1∗ = γ2∗ non è detto che γ1 e γ2 siano
equivalenti. Ad esempio le curve
e
γ2 : [0, 4π] → R2 , γ2 (t) = (cos t, sin t),
γ(t) − γ(t0 )
γ 0 (t0 ) = lim = (γ10 (t0 ), γ20 (t0 ), . . . , γn0 (t0 ))
t→t0 t − t0
si dice vettore velocità corrispondente al valore del parametro t0 .
Dimostrazione. Si ha che
γ20 (t) γ 0 (λ(t))λ0 (t) γ 0 (λ(t))
Tγ2 (t) = 0 = 01 0
= 10 = Tγ1 (λ(t)),
kγ2 (t)k kγ1 (λ(t))k|λ (t)| kγ1 (λ(t))k
come si voleva dimostrare.
≤
γ(t) dt
kγ(t)k dt, (3.2)
a a
Quindi
Z b
L(γ) = sup L(p) ≤ kγ 0 (t)k dt. (3.3)
p∈P a
2
Per ogni k ∈ N, poniamo αk = (2+k)π . Per ogni n ∈ N \ {0}, consideriamo la
partizione di [0, 1/π]
pn = {t0 , t1 , . . . , tn }
dove
t0 = 0 e tk = αn−k per ogni k = 1, . . . , n.
Osserviamo che
n n−1 n−1
X X X 2
L(pn ) ≥ |f (tk ) − f (tk−1 )| ≥ |f (αj ) − f (αj−1 )| ≥
j=1 j=1
(j + 2)π
k=1
e quindi
lim L(pn ) = +∞.
n→∞
Ascissa curvilinea
Sia γ : [a, b] → Rn una curva regolare tale che γ 0 (t) 6= 0 per ogni t ∈ [a, b]. Si
dice ascissa curvilinea la funzione
Z t
S : [a, b] → R, S(t) = kγ 0 (s)k ds.
a
si ha allora che
∗
γ ∼ α.
Inoltre
quindi
kα0 (σ)k = 1 per ogni σ ∈ [0, L(γ)],
cioè il vettore velocità associato alla curva α ha sempre norma pari a 1. La
curva α si dice rappresentazione della curva γ in termini dell’ascissa curvilinea.
dove R, C > 0 sono costanti positive. Si ha che γ 0 (t) = (−R sin t, R cos t, C) e
0
1
−1
0 0
1 −1
quindi p
kγ 0 (t)k = R2 + C 2 .
La lunghezza di γ è
Z 4π p p
L(γ) = R2 + C 2 dt = 4π R2 + C 2 .
0
p
kγ 0 (t)k = 1 + t2 .
La lunghezza di γ è
Z 2π p sostituzione p 2π
1 p
L(γ) = 1 + t2 dt t=sinh
= s t 1 + t2 + log(t + 1 + t2 )
0 2 0
p
1 p
= 2π 1 + 4π 2 + log(2π + 1 + 4π 2 ) .
2
Il seguente risultato mostra come l’integrale di una funzione lungo due curve
equivalenti sia lo stesso.
Z Z d
f ds = f (γ1 (λ(t)))kγ10 (λ(t))kλ0 (t) dt
γ2 c
Z b Z
= f (γ1 (s))kγ10 (s)k ds = f ds.
a γ1
Grazie alla Proposizione 3.32 ha dunque senso parlare di integrale di una fun-
zione continua lungo un cammino; infatti, dato un cammino (di classe C 1 , cioè
una classe di curve equivalenti con rappresentanti di classe C 1 ) possiamo de-
finire l’integrale di una funzione continua f sul cammino come il valore (3.6)
scegliendo come γ un qualunque rappresentante del cammino.
per indicare l’integrale di f lungo una qualunque curva regolare e semplice che
abbia Γ come sostegno.
Notiamo che γ non è semplice (né regolare). Una curva regolare e semplice che
ha per sostegno il segmento Γ è data da
Si ha che
Z Z 1
1
f ds = t dt = .
ϕ 0 2
Quindi
Z Z π/2 p
xy ds = 2 cos t sin t 4 sin2 t + cos2 t dt
Γ 0
Z π/2 p Z 1 p
=2 cos t sin t 1 + 3 sin2 t dt = 2 s 1 + 3s2 ds
0 0
2h i1 14
= (1 + 3s2 )3/2 = .
9 0 9
Z k Z
X ti
f ds = f (γ(t))kγ 0 (t)k dt.
γ i=1 ti−1
3.2 Superfici in R3
(ii) ϕ ∈ C 1 (K, R3 );
(iii) la restrizione ϕ è iniettiva;
K̊
ha rango 2.
Osservazione 3.41. La condizione (iv) nella Definizione 3.38 dice che i vettori
∂ϕ ∂ϕ
∂u (u, v)
1
∂v (u, v)
1
∂ϕ ∂ϕ
ϕu (u, v) =
∂u (u, v) , ϕv (u, v) = ∂v (u, v)
2 2
∂ϕ3 ∂ϕ3
∂u (u, v) ∂v (u, v)
ϕu (u, v) ∧ ϕv (u, v) 6= 0,
è una superficie regolare. La verifica delle condizioni (i), (ii) e (iii) della Defini-
zione 3.38 è immediata. Per verificare (iv) basta osservare che
1 0
ϕu (u, v) = 0 , ϕv (u, v) = 1
∂f ∂f
∂u (u, v) ∂v (u, v)
e quindi
∂f
− ∂u (u, v)
0
∂f
ϕu (u, v) ∧ ϕv (u, v) = −
∂v (u, v) 6= 0
per ogni (u, v) ∈ K̊.
0
1
Quindi ϕ è una superficie regolare il cui sostegno coincide con il grafico della
funzione f . Una superficie del tipo (3.7) si dice cartesiana.
ϕ : [0, π] × [0, 2π] → R3 , ϕ(u, v) = (sin u cos v, sin u sin v, cos u).
L’insieme K = [0, π] × [0, 2π] verifica la condizione (i) della Definizione 3.38;
inoltre ϕ ∈ C 1 (K, R3 ) e ϕ è iniettiva. Si ha che
K̊
cos u cos v − sin u sin v
ϕu (u, v) = cos u sin v , ϕv (u, v) = sin u cos v
− sin u 0
e quindi 2
sin u cos v
ϕu (u, v) ∧ ϕv (u, v) = sin2 u sin v . (3.8)
sin u cos u
Dato che
p
kϕu (u, v) ∧ ϕv (u, v)k = sin4 u + sin2 u cos2 u = sin u 6= 0 (3.9)
per ogni (u, v) ∈ K̊ = (0, π) × (0, 2π), concludiamo che ϕ è una superficie
regolare. Osserviamo che il sostegno di ϕ è la sfera di centro (0, 0, 0) e raggio 1.
per ogni t ∈ [a, b]. Per ogni t ∈ (a, b) si ha che λ0 (t) 6= (0, 0, 0); infatti, se,
per assurdo, λ0 (t) = (0, 0, 0), essendo i vettori ϕu (γ(t)), ϕv (γ(t)) linearmente
indipendenti (dalla definizione 3.38 di superficie regolare) da (3.10) seguirebbe
che γ10 (t) = γ20 (t) = 0 e questo sarebbe assurdo dato che γ è una curva regolare.
cioè il versore tangente Tλ (t0 ) è ortogonale al vettore ϕu (u0 , v0 )∧ϕv (u0 , v0 ). No-
tiamo che i vettori ϕu (u0 , v0 ), ϕv (u0 , v0 ) sono linearmente indipendenti e quindi
lo spazio vettoriale hϕu (u0 , v0 ), ϕv (u0 , v0 )i è il piano individuato da tali vettori.
ϕu (u0 , v0 ) ∧ ϕv (u0 , v0 )
νϕ (P0 ) =
kϕu (u0 , v0 ) ∧ ϕv (u0 , v0 )k
Notiamo che le funzioni degli esempi precedenti sono tutte funzioni di classe
C ∞ ; quindi il problema dell’esistenza di una funzione definita implicitamente
dalla relazione F (x, y) = 0 non è solo questione di regolarità di F .
75
Teorema 4.4 (Teorema del Dini o delle funzioni implicite). Siano F ∈ C 1 (Ω)
con Ω aperto di R2 ,
ZF = {(x, y) ∈ Ω : F (x, y) = 0}
e
P0 = (x0 , y0 ) ∈ ZF tale che ∇F (P0 ) 6= (0, 0).
Allora esiste U intorno di P0 tale che ZF ∩ U sia il grafico di una funzione
cartesiana di classe C 1 . Più precisamente:
(i) Se ∂F
∂y (P0 ) 6= 0, allora esistono due intervalli (a, b) e (c, d) con x0 ∈ (a, b) e
y0 ∈ (c, d) tali che per ogni x ∈ (a, b) esista uno e un solo y = f (x) ∈ (c, d)
tale che F (x, y) = F (x, f (x)) = 0. Inoltre la funzione f : (a, b) → (c, d) è
di classe C 1 e vale la formula
∂F
(x, f (x))
f 0 (x) = − ∂F
∂x
, per ogni x ∈ (a, b). (4.1)
∂y (x, f (x))
(ii) Se ∂F
∂x (P0 ) 6= 0, allora esistono due intervalli (a, b) e (c, d) con x0 ∈ (a, b) e
y0 ∈ (c, d) tali che per ogni y ∈ (c, d) esista uno e un solo x = g(y) ∈ (a, b)
tale che F (x, y) = F (g(y), y) = 0. Inoltre la funzione g : (c, d) → (a, b) è
di classe C 1 e vale la formula
∂F
∂y (g(y), y)
g 0 (y) = − ∂F , per ogni y ∈ (c, d). (4.2)
∂x (g(y), y)
Supponiamo che ∂F ∂F ∂F
∂y (P0 ) = ∂y (x0 , y0 ) > 0 (la dimostrazione se ∂y (P0 ) < 0
è analoga). Per il Teorema della permanenza del segno applicato a Fy (che è
continua), esistono α, β, c, d ∈ R tali che
e
∂F
(x, y) > 0 per ogni (x, y) ∈ [α, β] × [c, d].
∂y
Dimostriamo ora che f ∈ C 1 (a, b). Siano x, t ∈ (a, b). Quindi f (x), f (t) ∈ (c, d).
Essendo F di classe C 1 , per la formula di Taylor di centro (x, f (x)) e ordine 0
con il resto di Lagrange (si veda (2.22)), esiste (ξ, η) sul segmento di estremi
(x, f (x)) e (t, f (t)) tale che
0 = F (x, f (x)) − F (t, f (t)) = ∇F (ξ, η), x − t, f (x) − f (t)
∂F ∂F
= (ξ, η)(x − t) + (ξ, η)(f (x) − f (t)).
∂x ∂y
∂F
Dato che ∂y (x, y) 6= 0 per ogni (x, y) ∈ (a, b) × (c, d), otteniamo che
∂F
∂x (ξ, η)
f (x) − f (t) = − ∂F (x − t) (4.3)
∂y (ξ, η)
x
1
Diamo ora l’enunciato del Teorema delle funzioni implicite in più dimensioni,
omettendone la dimostrazione. Siano Ω un aperto di Rm+n = Rm × Rn e
F : Ω → Rn . Indichiamo con X = (x1 , x2 , . . . , xm ) la variabile di Rm , con
Y = (y1 , y2 , . . . , yn ) la variabile di Rn e con (F1 , F2 , . . . , Fn ) le componenti della
funzione vettoriale F , cosicché
F (X, Y ) = F (x1 , x2 , . . . , xm , y1 , y2 , . . . , yn )
F1 (x1 , x2 , . . . , xm , y1 , y2 , . . . , yn )
F2 (x1 , x2 , . . . , xm , y1 , y2 , . . . , yn )
= .
..
.
Fn (x1 , x2 , . . . , xm , y1 , y2 , . . . , yn )
Se F ∈ C 1 (Ω, Rn ), poniamo
∂F1 ∂F1 ∂F1
∂x1 (X, Y ) ∂x2 (X, Y ) ··· ∂xm (X, Y )
∂F2 ∂F2 ∂F2
∂x1 (X, Y ) ∂x2 (X, Y ) ··· ∂xm (X, Y )
∂F ∈ Mn×m (R)
(X, Y ) = .. .. .. ..
∂X
. . . .
∂Fn ∂Fn ∂Fn
∂x1 (X, Y) ∂x2 (X, Y ) · · · ∂xm (X, Y )
e
∂F1 ∂F1 ∂F1
∂y1 (X, Y ) ∂y2 (X, Y ) ··· ∂yn (X, Y )
∂F2 ∂F2 ∂F2
∂y1 (X, Y ) ∂y2 (X, Y ···
) ∂yn (X, Y )
∂F ∈ Mn×n (R).
(X, Y ) =
.. .. .. ..
∂Y . . . .
∂Fn ∂Fn ∂Fn
∂y1 (X, Y) ∂y2 (X, Y ) · · · ∂yn (X, Y )
F (x0 , y0 , z0 ) = 0, G(x0 , y0 , z0 ) = 0,
e
∂F ∂F
!
∂y (x0 , y0 , z0 ) ∂z (x0 , y0 , z0 )
det ∂G ∂G
6= 0, (4.5)
∂y (x0 , y0 , z0 ) ∂z (x0 , y0 , z0 )
∂F ∂F
!−1 !
∂F
f 0 (x) ∂y (x, f (x), g(x)) ∂z (x, f (x), g(x)) ∂x (x, f (x), g(x))
=−
g 0 (x) ∂G ∂G ∂G
∂y (x, f (x), g(x)) ∂z (x, f (x), g(x)) ∂x (x, f (x), g(x))
1 (Gz Fx − Fz Gx )(x, f (x), g(x))
=−
(Fy Gz − Fz Gy )(x, f (x), g(x)) −(Gy Fx − Fy Gx )(x, f (x), g(x))
per ogni x ∈ (a, b). Quindi il versore tangente alla curva in un punto P ∈ γ ∗ è
dato da
(∇F ∧ ∇G)(P )
Tγ∗ (P ) = ± . (4.6)
k(∇F ∧ ∇G)(P )k
Notiamo che γ ∗ è l’intersezione dei sostegni delle due superfici definite impli-
citamente dalla relazioni F (x, y, z) = 0 e G(x, y, z) = 0; in particolare γ giace
su entrambe le superfici. Quindi (come osservato all’inizio di §3.2.1) il verso-
re tangente alla curva in un punto P è ortogonale ai versori normali alle due
superfici nel punto che, come osservato in §4.3.1, sono diretti come ∇F (P ) e
∇G(P ) rispettivamente. Abbiamo quindi che il versore tangente alla curva in
P è parallelo a ∇F (P ) ∧ ∇G(P ), ritrovando cosı̀ il risultato ottenuto in (4.6).
Osserviamo che la condizione (4.5) garantisce che i versori normali in P alle due
superfici siano linearmente indipendenti, cioè che i due piani tangenti in P non
siano coincidenti (e dunque la loro intersezione individui una curva).
e
JΦ−1 (Φ(u))JΦ (u) = In per ogni u ∈ U,
ex sin y ex cos y
JΦ (x, y) =
ex cos y −ex sin y
ha determinante det(JΦ (x, y)) = −e2x 6= 0 per ogni (x, y) ∈ R2 , però Φ non è
invertibile, dato che Φ(x, y + 2π) = Φ(x, y).
Dimostrazione. Siano
F : Ω × Rn → Rn , F (X, Y ) = Φ(X) − Y
∂F
(P0 ) = JΦ (X0 ),
∂X
∂F
e quindi, per ipotesi, det( ∂X (P0 )) 6= 0. Dal Teorema 4.9 segue che esistono U
intorno aperto di X0 e V intorno aperto di Φ(X0 ) tali che per ogni Y ∈ V esiste
uno e un solo X = Ψ(Y ) ∈ U tale che
F (Ψ(Y ), Y ) = 0.
Inoltre Ψ : V → U è di classe C 1 e
−1
∂F ∂F
JΨ (Y ) = − (Ψ(Y ), Y ) (Ψ(Y ), Y )
∂X ∂Y
−1 −1
= − JΦ (Ψ(Y )) (−In ) = JΦ (Ψ(Y )) , (4.8)
per ogni Y ∈ V . Osserviamo che 0 = F (Ψ(Y ), Y ) = Φ(Ψ(Y )) − Y , quindi
Φ(Ψ(Y )) = Y per ogni Y ∈ V.
Inoltre, se X ∈ U ∩ Φ−1 (V ), Φ(X) ∈ V e 0 = Φ(X) − Φ(X) = F (X, Φ(X)) e
quindi
X = Ψ(Φ(X)) per ogni X ∈ U ∩ Φ−1 (V ).
Ponendo A = U ∩ Φ−1 (V ), si ha allora che
Φ : A → V, Ψ : V → A,
Φ(Ψ(Y )) = Y per ogni Y ∈ V e Ψ(Φ(X)) = X per ogni X ∈ A,
cioè Ψ = Φ−1 . Quindi Φ : A → V = Φ(A) è invertibile con inversa di classe C 1 .
Inoltre (4.7) segue da (4.8).
Ritorniamo ad occuparci del problema, già discusso in §2.4, della ricerca dei
punti di massimo e minimo locali o globali per funzioni di più variabili. Sia
f : A → R con A ⊆ Rn . Riassumendo quanto già visto in precedenza, ricordiamo
alcuni fatti noti.
Si ha cosı̀ che
∇f (P0 ), ϕu (u0 , v0 ) = 0 e ∇f (P0 ), ϕv (u0 , v0 ) = 0,
cioè ∇f (P0 ) è ortogonale al piano tangente alla superficie nel punto P0 . In modo
equivalente, si può descrivere questa proprietà asserendo che esiste λ0 ∈ R tale
che
∇f (P0 ) + λ0 νϕ (P0 ) = (0, 0, 0).
cioè ∂G
∂x (x, y, z, λ) = 2(y + z) + λyz = 0,
∂G (x, y, z, λ) = 2(x + z) + λxz = 0,
∂y
∂G
(4.9)
(x, y, z, λ) = 2(x + y) + λxy = 0,
∂z
xyz = V.
V = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 = 1 e y 2 + z 2 = 1}.
Osserviamo che
2x 2y 0
JF (x, y, z) =
0 2y 2z
Dato che f (P1 ) = −10, f (P2 ) = 10, f (0, −1, 0) = −8 e f (0, 1, 0) = 8, conclu-
diamo che P1 è il punto di minimo globale di f vincolato a V e P2 è il punto di
massimo globale di f vincolato a V . Quindi il valore massimo di f su V è 10 e
il valore minimo di f su V è −10.
f (x, y, z) = (x − x0 )2 + (y − y0 )2 + (z − z0 )2
cioè
∂G
∂x (x, y, z, λ) = 2(x − x0 ) + aλ = 0,
∂G (x, y, z, λ) = 2(y − y ) + bλ = 0,
∂y 0
(4.10)
∂G (x, y, z, λ) = 2(z − z0 ) + cλ = 0,
∂z
ax + by + cz + d = 0.
Nella Definizione 5.1 ammettiamo anche casi degeneri di intervalli; cioè gli in-
tervalli Ij possono essere vuoti ((a, a) = ∅) o ridursi a un punto ([a, a] = {a}).
Cosı̀, ad esempio,
91
cioè
m
X
s(x) = cj χRj (x),
j=1
R
Osserviamo che la definizione di Rn s ha senso poiché tale numero non dipende
dalla particolare rappresentazione di s come combinazione lineare di funzioni
caratteristiche di rettangoli, in virtù della proposizione seguente.
A = {x ∈ Rn : s(x) 6= 0}.
Allora
m
[ p
[
A= Rj0 = Ri00 .
j=1 i=1
Per ogni j = 1, . . . , m e i = 1, . . . , p, sia Rji = Rj0 ∩ Ri00 . Gli Rji sono rettangoli
(eventualmente vuoti) e, per ogni j = 1, . . . , m,
p
[ [p p
[
Rj0 = Rj0 ∩ A = Rj0 ∩ Ri00 = Rj0 ∩ Ri00 = Rji .
i=1 i=1 i=1
Quindi
m
X m
X p
[
c0j misn (Rj0 ) = c0j misn Rji
j=1 j=1 i=1
m
X p
X X p
m X
= c0j misn (Rji ) = c0j misn (Rji ).
j=1 i=1 j=1 i=1
Infatti (5.2) è ovvia se Rji = ∅; se invece Rji 6= ∅, allora esiste x ∈ Rji = Rj0 ∩Ri00
e quindi s(x) = c0j = c00i .
m
[ p
[
P0 = Rj0 , P 00 = Ri00 .
j=1 i=1
q
X
s1 (x) = c0j χRj0 (x), dove c0j = 0 per ogni j = m + 1, . . . , q.
j=1
cosicché [
P = Rji .
(j,i)∈I
(ii) Se s1 , s2 : Rn → R sono funzioni a scala tali che s1 (x) ≤ s2 (x) per ogni
x ∈ Rn , allora Z Z
s1 (x) dx ≤ s2 (x) dx.
Rn Rn
Pm 0
Quindi (s1 + s2 )(x) = j=1 (cj + c00j )χRj (x) e
Z m
X
(s1 + s2 )(x) dx = (c0j + c00j ) misn (Rj )
Rn j=1
Xm m
X
= c0j misn (Rj ) + c00j misn (Rj )
j=1 j=1
Z Z
= s1 (x) dx + s2 (x) dx,
Rn Rn
Se s1 (x) ≤ s2 (x) per ogni x ∈ Rn , allora c0j ≤ c00j per ogni j = 1, . . . , m. Quindi
Z m
X m
X Z
s1 (x) dx = c0j misn (Rj ) ≤ c00j misn (Rj ) = s2 (x) dx,
Rn j=1 j=1 Rn
Dimostrazione. Dimostriamo (i). Sia ε > 0. Per il Lemma 5.8, esistono s1− , s2− ,
s1+ e s2+ funzioni a scala su Rn tali che
e Z Z Z Z
ε ε
s1+ − s1− ≤ , s2+ − s2− ≤ . (5.4)
Rn Rn 2 Rn Rn 2
Per il Lemma 5.5, s1− + s2− e s1+ + s2+ sono funzioni a scala in quanto somma di
funzioni a scala. Inoltre da (5.3) segue che
e quindi
Z Z Z
f (x) dx + g(x) dx − ε ≤ (f + g)(x) dx
Rn Rn Rn
Z Z
≤ f (x) dx + g(x) dx + ε
Rn Rn
da cui concludiamo.
Per il Lemma 5.8 possiamo concludere quindi che f + è integrabile secondo Rie-
mann. In modo analogo si dimostra che f − è integrabile secondo Riemann. Dato
Ci poniamo ora il problema del calcolo esplicito degli integrali multipli. Il se-
guente teorema consente di ridurre il calcolo di un integrale su Rn a n integra-
zioni semplici successive.
(ii) Se, per ogni y ∈ Rq , la y-sezione x 7→R f (x, y) è integrabile secondo Rie-
mann su Rp , allora la funzione y 7→ Rp f (x, y) dx è integrabile secondo
Riemann su Rq e
Z Z Z
f (x, y) dx dy = f (x, y) dx dy.
Rq Rp Rp ×Rq
cioè
σ− (x) ≤ F (x) ≤ σ+ (x),
dove
Z
F (x) = f (x, y) dy,
Rq
Z m
X
σ− (x) = x
σ− (y) dy = cj− χRj0 (x) misq (Rj00 ),
Rq j=1
Z Xm
σ+ (x) = x
σ+ (y) dy = cj+ χRj0 (x) misq (Rj00 ).
Rq j=1
segue che
Z Z
−ε ≤ s− (x, y) dx dy − s+ (x, y) dx dy
Rp ×Rq Rp ×Rq
Z Z
≤ F (x) dx − f (x, y) dx dy
Rp Rp ×Rq
Z Z
≤ s+ (x, y) dx dy − s− (x, y) dx dy ≤ ε.
Rp ×Rq Rp ×Rq
Dalla caratterizzazione delle funzioni integrabili secondo Riemann data nel Lem-
ma 5.8 segue la seguente caratterizzazione degli insiemi misurabili secondo
Peano-Jordan.
Per l’osservazione 5.4, esistono costanti reali c01 , . . . , c0m , c001 , . . . , c00m e una famiglia
di rettangoli a due a due disgiunti R1 , . . . , Rm tali che
m
X m
X
s1 = c0j χRj , s2 = c00j χRj .
j=1 j=1
Siano
[
P0 = Rj , dove J 0 = {j ∈ {1, . . . , m} : Rj ⊆ A},
j∈J 0
[
P 00 = Rj , dove J 00 = {j ∈ {1, . . . , m} : Rj ∩ A 6= ∅}.
j∈J 00
P 0 ⊆ A ⊆ P 00 .
s1 ≤ χP 0 e χP 00 ≤ s2 .
Quindi Z Z Z Z
χP 00 − χP 0 ≤ s2 − s1 ≤ ε,
Rn Rn Rn Rn
cioè
misn (P 00 ) − misn (P 0 ) ≤ ε.
Viceversa, se per ogni ε > 0 esistono due pluri-rettangoli P 0 , P 00 tali che
P 0 ⊆ A ⊆ P 00 e misn (P 00 ) − misn (P 0 ) ≤ ε,
Viceversa, supponiamo che per ogni ε > 0 esista un pluri-rettangolo P tale che
∂A ⊆ P e misn (P ) ≤ ε. Sia R un rettangolo tale che A ⊆ R (tale rettangolo
esiste perché A è limitato per ipotesi). Dato ε > 0, sia P un pluri-rettangolo
tale che ∂A ⊆ P e misn (P ) ≤ ε. Osserviamo che R \ P è un pluri-rettangolo e
pertanto esistono m rettangoli a due a due disgiunti R1 , . . . , Rm tali che
m
[
R\P = Rj .
j=1
Poniamo
[
P0 = Rj , dove J = {j ∈ {1, . . . , m} : Rj ⊆ A},
j∈J
P 00 = P 0 ∪ P.
(con J insieme finito di indici e {Rj }j∈J famiglia di rettangoli a due a due
disgiunti) tale che ∂A ∪ E ⊆ P e misn (P ) ≤ ε. È inoltre possibile scegliere
P in modo che sia aperto. L’insieme A \ P è chiuso e limitato in Rn e quindi
compatto. Essendo f continua su A \ P , per il Teorema di Heine-Cantor f è
uniformemente continua su A \ P e quindi esiste δ > 0 tale che
con {Rj0 }m 0
j=1 famiglia di rettangoli a due a due disgiunti tali che diam(Rj ) ≤ δ.
Sia [
P0 = Rj0 dove J 0 = {j ∈ {1, 2, . . . , m} : Rj0 ⊆ A}.
j∈J 0
dove (
f (x), se x ∈ A,
fA (x) =
0, se x ∈ Rn \ A.
Si ha allora che s1 e s2 sono funzioni a scala su Rn , s1 ≤ fA ≤ s2 e
Z Z
s2 − s1
Rn Rn
X X
= sup f − inf0 f misn (Rj0 ) + sup fA − inf fA misn (Rj )
Rj0 Rj Rj Rj
j∈J 0 j∈J
X X
≤ε misn (Rj0 ) + 2 sup |f | misn (Rj )
A
j∈J 0 j∈J
Grazie alla Proposizione 5.18, possiamo quindi concludere che R(f ) è misurabile
secondo Peano-Jordan in Rn+1 .
p
Esempio 5.34. Verifichiamo che la funzione f (x, y) = y x2 + y 2 è integra-
bile
R su A = {(x, y) ∈ R2 : 0 < x < 4, y > 0 e 4y − 3x < 0} e calcoliamo
A
f (x, y) dx dy.
Osserviamo che A è il triangolo di vertici (0, 0), (4, 0) e (4, 3). Per verificare che
A è misurabile, consideriamo, per ogni n ∈ N \ {0}, il pluri-rettangolo
[ 4n
k−1 k 3(k − 1) 3k
Pn = , × , ∪ ([0, 4] × {0}) ∪ ({0} × [0, 3])
n n 4n 4n
k=1
e notiamo che ∂A ⊆ Pn e mis2 (Pn ) = n3 . Per ogni ε > 0, scegliendo n tale che
3
n < ε, si ha che ∂A ⊆ Pn e mis2 (Pn ) < ε, quindi A è misurabile in virtù del
Sia (
f (x, y), se (x, y) ∈ A,
f¯(x, y) =
0, se (x, y) ∈ ∂A.
Notiamo che f¯ è limitata e che l’insieme dei punti di discontinuità di f¯ è conte-
nuto in ∂A e quindi è misurabile con misura nulla. Dal Teorema 5.30 segue che
f¯ è integrabile secondo Riemann su Ā. Quindi, dato che fA = f¯Ā , abbiamo che
f è integrabile in A.
1 4 61 3
Z
61
= x dx = .
3 0 64 3
In alternativa, possiamo usare l’altra formula di riduzione, integrando prima
rispetto a x e poi rispetto a y. Osserviamo infatti che
4
A = (x, y) ∈ R2 : 0 < y < 3 e y < x < 4
3
e, usando le notazioni del Teorema 5.33,
00 4
A = (0, 3), Ay = y, 4 per ogni y ∈ A00 .
3
Per il Teorema 5.33 abbiamo allora che
Z p Z 3Z 4 p
2 2
y x + y dx dy = y x2 + y2 dx dy
4
A 0 3y
Z 3 Z 4 p
= y x2 + y2 dx dy.
4
0 3y
Vediamo ora alcuni casi particolari delle formule di riduzione dimostrate nel
Teorema 5.33.
1 3
Z
2 1 37
= x − 2 dx = .
2 2 x 12
Esempio 5.38. Usiamo le formule di integrazione per fili per calcolare il volume
di una palla di raggio r in R3 . Sia
B̄r = {(x, y, z) ∈ R3 : x2 + y 2 + z 2 ≤ r2 }
la palla chiusa di centro l’origine e raggio r. Osserviamo che B̄r è una regione
z-semplice che può essere descritta come
n p p o
B̄r = (x, y, z) ∈ R3 : (x, y) ∈ D e − r2 − x2 − y 2 ≤ z ≤ r2 − x2 − y 2
dove
D = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ r2 }.
Il volume di B̄r si può allora calcolare come segue:
Z Z Z √r2 −x2 −y2
mis3 (B̄r ) = 1 dx dy dz = √ dz dx dy
B̄r D − r 2 −x2 −y 2
Z p
=2 r2 − x2 − y 2 dx dy
D
√
Z r Z r 2 −x2 p
=2 √ (r2 − x2 ) − y2 dy dx.
−r − r 2 −x2
√
Con la sostituzione y = r2 − x2 sin t otteniamo che
Z √r2 −x2 p Z π2
(r 2 − x2 ) − y 2 dy = (r 2 − x2 ) cos2 t dt
√
− r 2 −x2 −π
2
Z π
2 1 + cos 2t π
= (r2 − x2 ) dt = (r2 − x2 )
−π
2
2 2
e quindi
Z r x=r
2 2 2 1 3 4
mis3 (B̄r ) = π (r − x ) dx = π r x − x = πr3 .
−r 3 x=−r 3
Esempio 5.39. Ricalcoliamo il volume della palla chiusa B̄r di centro l’origine e
raggio r in R3 usando le formule di integrazione per strati (era stato già calcolato
nell’esempio 5.38 per fili). Osserviamo che
n o
B̄r = (x, y, z) ∈ R3 : −r ≤ z ≤ r e (x, y) ∈ Az
dove
Az = {(x, y) ∈ R2 : x2 + y 2 ≤ r2 − z 2 },
√
cioè Az è la palla chiusa (cerchio) di centro l’origine e raggio r2 − z 2 in R2 . Il
volume di B̄r si può allora calcolare per strati come segue:
Z r Z Z r
mis3 (B̄r ) = 1 dx dy dz = mis2 (Az ) dz.
−r Az −r
Ricordiamo dalla Definizione 4.10 che, dati due aperti U, V di Rn , una funzione
Φ : U → V si dice diffeomorfismo di classe C 1 tra U e V se Φ ∈ C 1 (U, V ), Φ è
biunivoca e Φ−1 ∈ C 1 (U, V ).
Φ
1 −→ V
U
cioè
mis2 (V ) = | det(A)|.
In particolare ritroviamo la ben nota interpretazione geometrica del determi-
nante di una matrice come area con segno del parallelogramma avente come lati
i vettori colonna della matrice.
Dato che
cos θ −ρ sin θ
JΦ (ρ, θ) = e det(JΦ (ρ, θ)) = ρ,
sin θ ρ cos θ
concludiamo che
Z Z
f (x, y) dx dy = f (ρ cos θ, ρ sin θ)ρ dρ dθ.
V Ψ−1 (V )
Si ha che
dove ( R
se θ ∈ 0, π4 ,
cos θ ,
u(θ) =
R
se θ ∈ π4 , π2 .
sin θ ,
Quindi
Z Z
2
−y 2 2
e−x dx dy = e−ρ ρ dρ dθ
QR Ψ−1 (QR )
Z π/2 Z u(θ)
−ρ2
= ρe dρ dθ
0 0
π/2
π 1 π/2 −u2 (θ)
Z Z
1 2
1 − e−u (θ) dθ = −
= e dθ.
0 2 4 2 0
2 2
Dato che u(θ) ≥ R per ogni θ ∈ 0, π2 , si ha che e−u (θ) ≤ e−R per ogni
θ ∈ 0, π2 ; quindi
Z π/2 Z π/2
2 2 π 2
0≤ e−u (θ) dθ ≤ e−R dθ = e−R
0 0 2
da cui segue che
Z π/2
2
lim e−u (θ)
dθ = 0.
R→+∞ 0
Concludiamo che Z
2
−y 2 π
lim e−x dx dy = . (5.14)
R→+∞ QR 4
Come interessante conseguenza del limite (5.14), osserviamo che, grazie alla
formula di riduzione del Teorema 5.33,
Z Z R Z R Z R 2
−x2 −y 2 −x2 −y 2 −t2
e dx dy = e e dx dy = e dt
QR 0 0 0
e quindi
Z R
sZ √
−t2 π
lim e dt = lim e−x2 −y2 dx dy = .
R→+∞ 0 R→+∞ QR 2
z y
ρ
θ
x
dove ρ ≥ 0 e θ ∈ [0, 2π) sono le coordinate polari del punto (x, y, 0) sul piano
xy. Le coordinate ρ, θ, z si dicono coordinate cilindriche del punto (Figura 5.2).
otteniamo che
Z Z 2π Z r
ρ dρ dz = (R + t cos s)t dt ds
D 0 0
Z r Z 2π Z r
= 2πR t dt + cos s t2 dt ds
0 0 0
2 2
= πRr + 0 = πRr .
ρ
φ
y
θ
x
−−→ −−→
OP e θ è l’angolo tra la semiretta positiva delle x e il vettore OP 0 essendo
P 0 = (x, y, 0) la proiezione di P sul piano z = 0 (si veda la figura 5.4). Sia
Ψ : [0, +∞) × [0, π] × [0, 2π) → R3 definita come
Abbiamo che
sin φ cos θ ρ cos φ cos θ −ρ sin φ sin θ
JΦ (ρ, φ, θ) = sin φ sin θ ρ cos φ sin θ ρ sin φ cos θ
cos φ −ρ sin φ 0
e
det(JΦ (ρ, φ, θ)) = ρ2 sin φ ≥ 0.
ϕ1 : K1 → R3 e ϕ2 : K2 → R3
Σ = ϕ1 (K1 ) = ϕ2 (K2 ),
Σ = ϕ∗ e non dalla
R particolare superficie regolare ϕ di cui Σ è sostegno, si usa
spesso scrivere Σ f dσ per denotare l’integrale di f su una qualunque superficie
regolare di sostegno Σ e A(Σ) per denotare l’area di una qualunque superficie
regolare di sostegno Σ.
p
Esercizio 5.48. Sia Σ = (x, y, z) ∈ R3 : z = x2 + y 2 e x2 + y 2 ≤ 2x . Si
determini una superficie regolare di sostegno Σ e se ne calcoli l’area.
dove
π2 π
K= (r, θ) ∈ R : − ≤ θ ≤ e 0 ≤ r ≤ 2 cos θ .
2 2
Si ha che
ϕr (r, θ) = cos θ, sin θ, 1 , ϕθ (r, θ) = − r sin θ, r cos θ, 0 .
Quindi
i j k
(ϕr ∧ ϕθ )(r, θ) = det cos θ sin θ 1 = − r cos θ, −r sin θ, r
−r sin θ r cos θ 0
e p √
k(ϕr ∧ ϕθ )(r, θ)k = r2 cos2 θ + r2 sin2 θ + r2 = r 2.
Concludiamo allora che
Z √ Z
A(Σ) = k(ϕr ∧ ϕθ )(r, θ)k dr dθ = 2 r dr dθ.
K K
{(y, z) ∈ R2 : y 2 − z 2 = 1, 0 ≤ z ≤ 1 e y ≥ 0}.
Si ha che
i j k
u u
√ cos v √ sin v 1
(ϕu × ϕv )(u, v) = det 2
1+u 1 + u2
√ √
2
− 1 + u sin v 2
1 + u cos v 0
p p
= − 1 + u2 cos v, − 1 + u2 sin v, u
e quindi
p
k(ϕu × ϕv )(u, v)k = 1 + 2u2 .
Si ottiene allora
Z Z
log(1 + z) log(1 + u) p
√ dσ = √ 1 + 2u2 du dv
Σ 1 + 2z 2 [0,1]×[0,2π] 1 + 2u2
Z 1
= 2π log(1 + u) du
0
h iu=1 Z 1 u
= 2π u log(1 + u) − du
u=0 0 u+1
Z 1
1
= 2π log 2 − 1− du
0 u+1
h iu=1
= 2π log 2 − 1 + log(1 + u) = 2π 2 log 2 − 1 .
u=0
per ogni ε > 0 esiste n̄ tale che, per ogni n ≥ n̄, sup |f (t) − g(t)| ≤ ε, (6.1)
t∈D
cioè se per ogni ε > 0 esiste n̄ tale che, per ogni n ≥ n̄ e per ogni t ∈ D,
|f (t) − g(t)| ≤ ε.
Sottolineiamo che l’n̄ nella (6.1) dipende solo da ε; in particolare non dipende
da t ∈ D. Si parla quindi di convergenza uniforme di funzioni.
Definizione 6.1. Se fn → f in L(D, R), d∞ , cioè se vale (6.1), si dice che fn
converge a f uniformemente.
133
Sottolineiamo che l’n̄ nella definizione 6.2 può dipendere sia da t sia da ε.
Esempi 6.3. (i) Sia D = [0, 1] e, per ogni n ∈ N, sia fn : [0, 1] → R, fn (x) =
xn (si veda la figura 6.1).
Osserviamo che (
0, se x ∈ [0, 1),
lim fn (x) =
n→∞ 1, se x = 1.
lim fn (x) = 0.
n→∞
1 fn
2 1
n
Dati due spazi metrici (X, dX ), (Y, dY ), consideriamo ora lo spazio introdotto
nella definizione 1.22
Teorema 6.5. Se {fn } ⊆ Cb (X, Y ), f ∈ L(D, X) e fn → f in L(D, X), d∞
(cioè uniformemente), allora f ∈ Cb (X, Y ).
Sia ε > 0. Dato che fn → f uniformemente, esiste n̄ tale che, per ogni n ≥ n̄ e
per ogni x ∈ X, dY (fn (x), f (x)) ≤ 3ε . Fissiamo m ≥ n̄; essendo fm ∈ Cb (X, Y )
(e quindi continua in x0 ) esiste δ > 0 tale che se x ∈ X e dX (x, x0 ) < δ allora
dY (fm (x), fm (x0 )) < 3ε . Grazie alla disuguaglianza triangolare abbiamo che,
per ogni x ∈ X tale che dX (x, x0 ) < δ,
dY (f (x), f (x0 )) ≤ dY (f (x), fm (x)) + dY (fm (x), fm (x0 )) + dY (fm (x0 ), f (x0 ))
ε ε ε
< + + = ε.
3 3 3
Abbiamo quindi dimostrato che f è continua in x0 .
Osservazione 6.6. Dal teorema 6.5 segue che, se una successione di funzioni fn
continue e limitate su uno spazio metrico X converge ad una funzione limitata
f uniformemente, allora, per ogni x0 punto di accumulazione di X, si ha che
cioè si può scambiare l’ordine dei limiti limn→∞ e limx→x0 : operazione non
scontata e non ammissibile in generale. Lo studente saprebbe fare un esempio
in cui le ipotesi del teorema 6.5 non siamo soddisfatte e (6.3) non valga?
Corollario 6.7. Siano (X, dX ) uno spazio metrico e (Y, dY ) uno spazio metrico
completo. Allora Cb (X, Y ) è uno spazio metrico completo.
Esempio 6.8. In virtù del Corollario 6.7, abbiamo che l’insieme C 0 ([a, b]) delle
funzioni continue su [a, b] munito della norma uniforme
kf k∞ = max |f (t)| (6.4)
t∈[a,b]
6.1.2 Esempi
quindi fn → f uniformemente.
Esempio 6.10. Studiamo la convergenza puntuale e uniforme della successione
di funzioni
nx
fn : [−1, 1] → R, fn (x) = .
1 + n2 x2
Si vede facilmente che fn converge puntualmente alla funzione f = 0 identica-
mente nulla. Abbiamo che
1 − n2 x2
fn0 (x) = n ,
(1 + n2 x2 )2
cosicché fn0 (x) > 0 se x ∈ − n1 , n1 e fn0 ≤ 0 altrove; quindi
1 1 1 1
max fn (x) = fn = e min fn (x) = fn − =− .
x∈[−1,1] n 2 x∈[−1,1] n 2
Segue che
1
sup |fn (x) − 0| =
x∈[−1,1] 2
e quindi fn non converge uniformemente alla funzione nulla (e quindi non con-
verge uniformemente a nessun’altra funzione, dato che il limite uniforme, se
esiste, coincide necessariamente con quello puntuale.)
Se C 0 ([a, b]) è munito della metrica uniforme d∞ (f, g) = supx∈[a,b] |f (x) − g(x)|
e R della metrica usuale (Esempio 1.2), si ha che T è continua; infatti
Z b Z b
|T (f ) − T (g)| =
(f (t) − g(t)) dt ≤ |f (t) − g(t)| dt
a a
Z b
≤ sup |f (t) − g(t)| 1 dt = (b − a)d∞ (f, g).
t∈[a,b] a
ε
Dato ε > 0, basta allora scegliere δ = b−a in modo che se d∞ (f, g) < δ si abbia
che |T (f ) − T (g)| < ε. Quindi T è continua.
n
fn
2 1
n
−1 1
Inoltre il Teorema 6.14 garantisce che C 1 ([a, b]) munito della norma
n o
kf k = sup |f (t)| + |f 0 (t)| : t ∈ [a, b]
Definizione 6.15. Siano X uno spazio di Banach e {xn }n∈N una successione
a valori in X. Per ogni n ∈ N
n
X
Sn = xk ∈ X
k=0
si dice somma parziale n-esima e la successione {Sn }n∈N si dice successione delle
somme parziali. Se il limite limn→∞ Sn in X esiste ed è uguale a S ∈ X, si dice
che la serie delle xn converge (semplicemente) a S e si scrive
∞
X
xn = S.
n=0
P∞
In tal caso, si dice anche che S è la somma della serie n=0 xn . Se il limite
limn→∞ Sn in X non esiste si dice che la serie delle xn non converge.
Teorema 6.17 (Teorema della convergenza totale). Sia {xn }n∈N unaPsuccessio-
∞
ne a valori in uno spazioPdi Banach (X, k · k). Se la serie numerica n=0 kxn k
∞
converge, allora la serie n=0 xn converge in X e
∞ ∞
X
X
xn
≤
kxn k.
n=0 n=0
Pn Pn
Dimostrazione. Per ogni n ≥ 0, siano Sn = k=0 xk e σn = k=0 kxn k. Per
ipotesi σn converge in R, quindi è di Cauchy in R, cioè
per ogni ε > 0 esiste n̄ ∈ N tale che, per ogni n, m ≥ n̄, |σn − σm | ≤ ε.
n n
X
X
kSn − Sm k =
xk
≤ kxk k = σn − σm ≤ ε.
k=m+1 k=m+1
P∞ P∞
Se n=0 kxn k converge, allora si dice che la serie n=0 xn (che converge in
virtù del Teorema 6.17) converge totalmente.
kf k∞ = sup{|f (t)| : t ∈ I}
P∞
(i) Si dice che la serie di funzioni n=0 fn converge puntualmente
P∞ alla fun-
zione S : I → R se per ogni t ∈ I la serie numerica n=0 fn (t) converge a
S(t).
P∞
(ii) Si dice che la serie di funzioni
P∞ n=0 fn converge assolutamente se
Pper ogni
∞
t ∈ I la serie numerica n=0 |fn (t)| converge (cioè se la serie n=0 |fn |
converge puntualmente).
P∞
(i) P
Se n=0 fn converge uniformemente alla funzione S : I → R, allora
∞
n=0 fn converge puntualmente a S.
P∞ P∞
(ii) Se n=0 fn converge assolutamente, allora n=0 fn converge puntual-
mente.
P∞
Osservazione 6.22. Se una serie di funzioni P∞ n=0 fn converge uniformemente
in un intervallo I (limitato o no), cioè se n=0 fn converge in (L(I, R), k · k∞ ),
allora dalla Proposizione 6.16 segue che fn → 0 in (L(I, R), k · k∞ ), cioè fn → 0
uniformemente in I.
Il seguente risultato, noto come Criterio di Weierstraß, garantisce che se |fn (t)|
è maggiorato (uniformemente
P∞ in t) dal termine generale di una serie numerica
convergente, allora n=0 fn converge uniformemente e assolutamente.
e
∞
X
an converge,
n=0
P∞
allora n=0 fn converge totalmente in L(I, R), uniformemente e assolutamente
su I.
kfn k∞ ≤ an ,
La convergenza assoluta segue direttamente dal criterio del confronto per serie
numeriche a termini non negativi.
P∞ 2−n
Esempio 6.24. La serie n=0 1+nt converge totalmente in L((0, +∞), R),
uniformemente e assolutamente su (0, +∞). Infatti
−n
2 −n
1 + nt ≤ 2 per ogni t ∈ (0, +∞) e n ∈ N
P∞
Teorema 6.25. Se fn ∈ Cb (I, R) e la serie n=0 fn converge uniformemente
a S ∈ L(I, R), allora S è continua in I.
Teorema 6.26 (Teorema diP integrazione per serie). Siano a, b ∈ R con a < b e
∞
fn ∈ C 0 ([a, b]). Se la serie n=0 fn converge uniformemente a S : [a, b] → R,
allora
X∞ Z b Z bX ∞ Z b
fn (t) dt = fn (t) dt = S(t) dt.
n=0 a a n=0 a
(−1)n
che, posto fn (x) = nx ,
1
sup |fn (x)| ≥ |fn (1/n)| = −→ 1;
x∈(0,+∞) n1/n n→∞
il
PCriterio di Weierstaß (Teorema 6.23) consente allora di concludere che la serie
∞
n=1 fn converge totalmente in (L([1 + δ, +∞), R), k · k∞ ) e quindi
∞
X
fn converge uniformemente in [1 + δ, +∞) per ogni δ > 0. (6.8)
n=1
Pn
Poniamo Sn (x) = k=1 fn (x). Osserviamo che se x ∈ [δ, 1 + δ] e m > n
Dato che
1 1 1+δ δ+1
δ
1+ − 1 ∼ 1+δ per k → ∞,
(k + 1) k k
per il criterio del confronto asintotico per serie numeriche abbiamo che la serie
1
1+δ
1 + k1
P
k (k+1)δ − 1 converge. Dalla stima (6.9) segue allora che Sn è
una successione di Cauchy in (L([δ, 1 + δ], R), k · k∞ ) e quindi per il Teorema
1.45 Sn converge in (L([δ, 1 + δ], R), k · k∞ ), cioè
∞
X
fn converge uniformemente in [δ, 1 + δ] per ogni δ > 0. (6.10)
n=1
P∞
Mettendo insieme (6.8) e (6.10) concludiamo che la serie di funzioni n=1 fn
converge uniformemente in [δ, +∞) per ogni δ > 0.
si dice serie di potenze di centro x0 . Nel contesto della teoria delle serie di
potenze, si usa adottare la convenzione che 00 = 1 (quindi il primo termine
della serie (6.11) è la funzione costante a0 ).
P∞C potrebbe
D’altra parte, l’insieme di convergenza
n
essere tutto R, come accade
ad esempio per la serie di potenze n=0 xn! , che converge assolutamente per
ogni x ∈ R (come si vede facilmente applicando il criterio del rapporto).
P∞ 1
È ben noto che l’insieme di convergenza è C = (−1, 1). Inoltre n=0 xn = 1−x
per ogni x ∈ (−1, 1).
Definizione
P∞ 6.30. Se C è l’insieme di convergenza della serie di potenze
n
a
n=0 n x , il raggio di convergenza della serie è definito come
P∞ n
Proposizione 6.31. Data una serie di potenze n=0 an x , siano C il suo
insieme di convergenza definito in (6.12) e R il suo raggio di convergenza definito
in (6.13). Allora
(−R, R) ⊆ C ⊆ [−R, R].
Più precisamente
P∞
(i) Se |x| < R la serie n=0 an xn converge assolutamente.
P∞
(ii) Se |x| > R la serie n=0 an xn non converge.
Dimostrazione. Per dimostrare (i), fissiamo x ∈ R con |x| <PR. Allora, in virtù
di (6.13), esiste y ∈ C tale che |x| < |y|. Dato che y ∈ C, n an y n converge e
quindi la successione {an y n }n è infinitesima e quindi limitata, cioè esiste C > 0
tale che |an y n | ≤ C. Allora si ha
n x n n x n x n
y = |an y n | ≤ C .
|an x | = an
y y y
n
Dato che xy è il termine generale di una serie numerica convergente (della
seria geometrica di ragione xy < 1), per il criterio del confronto concludiamo
P∞
che la serie n=0 an xn converge assolutamente.
lim inf an .
n→∞
lim sup an .
n→∞
e
lim sup bn = inf cn = inf sup ak . (6.15)
n→∞ n∈N n∈N k≥n
Si noti che il limine inferiore e il limite superiore di una successione a valori reali
esistono sempre (finiti o no), anche se la successione non ammette limite.
Osservazione 6.33. Si può dimostrare che
lim inf an = min {λ : {an }n ha una sottosuccessione che tende a λ}
n→∞
e
lim sup an = max {λ : {an }n ha una sottosuccessione che tende a λ} .
n→∞
Allora
1
L,
se 0 < L < +∞,
R = 0, se L = +∞,
+∞,se L = 0.
P∞ n
Inoltre, per ogni r ∈ (0, R), la serie n=0 an x converge totalmente in
0
(C ([−r, r], k · k∞ ) e quindi uniformemente in [−r, r].
|an xn | < (L + ε)n rn = ((L + ε)r)n per ogni x ∈ [−r, r] e per ogni n > n̄.
Dato che ((L + ε)r)n è il termine generale di una serie numerica convergente
(essendo (L + ε)r P< 1), concludiamo, grazie al Criterio di Weierstraß (Teorema
∞
6.23), che la serie n=0 an xn converge totalmente in(C 0 ([−r, r], k·k∞ ) e quindi
uniformemente in [−r, r]. Segue anche che − L1 , L1 ⊆ C e quindi L1 ≤ R.
D’altra parte, se |x| > L1 , allora esiste ε > 0 tale che (L − ε)|x| > 1. Dalla
p
definizione di lim sup segue che per ogni n̄ esiste n > n̄, n |an | > L − ε. Quindi,
per infiniti indici n, si ha che
Concludiamo
P∞ che la successione an xn non è infinitesima e che quindi la se-
1 1 1
n
rie a
n=0 n x non converge. Segue che C ⊆ − L L e quindi R ≤ L .
,
1
Concludiamo allora che R = L .
Dalla catena di disuguaglianze (6.16) segue che, se esiste il limite limn→∞ aan+1
,
p n
allora esiste anche il limite limn→∞ |an | e i due limiti sono uguali. In parti-
n
Si noti che se il limite in (6.17) non esiste, lim supn→∞ n |an | e lim supn→∞ aan+1
p
an+1 n
possono essere diversi (e quindi il lim supn→∞ an può essere diverso dal
a
di (6.16). Detto `¯ = lim supn→∞ n+1
3 Dimostrazione
, si ha che, per ogni ε > 0,
an+1 an
esiste n̄ tale che, per ogni n ≥ n̄, a
¯
≤ ` + ε. Quindi, per ogni n ≥ n̄ si ha che
n
|an | ≤ `¯ + ε.
p
n
lim sup
n→∞
si ha che
p p p
lim sup n |an | = lim inf n |an | = lim n |an | = 1,
n→∞ n→∞ n→∞
an+1 1 an+1
lim inf = , lim sup
an = 2,
n→∞ an 2 n→∞
P∞ 1
In x = 1 si ottiene la serie armonica generalizzata 2 con esponente
P∞n=1 n n
2 > 1 che converge; per x = −1 si ottiene la serie n=1 (−1) n2 che converge
assolutamente. Quindi l’insieme di convergenza è C = [−1, 1]. Si ha quindi
convergenza in entrambi gli estremi dell’intervallo di convergenza.
P∞
Teorema 6.40. Siano n=0 an xn una serie di potenze con raggio di
convergenza R > 0 e
∞
X
f : (−R, R) → R, f (x) = an xn .
n=0
f (n) (0)
an = , per ogni n ∈ N. (6.19)
n!
Quindi la funzione
∞
X
g : (−R, R) → R, g(x) = nan xn−1 ,
n=1
è ben definita grazie alla Proposizione 6.31. Per il Teorema 6.34, abbiamo che
∞
X
an xn converge uniformemente a f in [−r, r] per ogni r < R,
n=0
∞
X
nan xn−1 converge uniformemente a g in [−r, r] per ogni r < R.
n=1
P∞
Dal Teorema 6.27 segue che f ∈ C 1 (−R, R) e f 0 (x) = n=1 nan x
n−1
in
(−R, R). Abbiamo quindi dimostrato che la somma di una serie di potenze
con raggio di convergenza R è derivabile in (−R, R) e la sua derivata è la som-
ma della serie delle derivate (che è a sua volta una serie di potenze con lo stesso
raggio di convergenza R). Ripetendo il ragionamento k volte, si ottiene che
f ∈ C k (−R, R) e che vale (6.18) per ogni k ∈ N; quindi f ∈ C ∞ (−R, R). La
formula (6.19) si ottiene sostituendo x = 0 e k = n in (6.18).
Ci poniamo ora il problema della validità del viceversa; quando cioè possiamo
dire che una data funzione di classe C ∞ (−R, R) è somma di una serie di potenze?
Il seguente esempio mostra che in generale il viceversa è falso; esistono cioè
funzioni C ∞ che non sono somma di una serie di potenze.
f (n) (0)
an = = 0, per ogni n ∈ N,
n!
e quindi f (x) = 0 per ogni x ∈ (−R, R), assurdo!
Il seguente teorema fornisce delle condizioni sufficienti sulla crescita delle deri-
vate affinché una data funzione di classe C ∞ sia sviluppabile in serie di potenze
in un intervallo aperto (−R, R).
M n!
esiste M > 0 tale che |f (n) (x)| ≤ per ogni x ∈ (−R, R) e n ∈ N, (i)
Rn
oppure se
esiste M > 0 tale che |f (n) (x)| ≤ M n per ogni x ∈ (−R, R) e n ∈ N, (ii)
Esempi 6.44.
(i) Sia f (x) = ex , x ∈ R. Per ogni R > 0, abbiamo che
|f (n) (x)| = |ex | ≤ eR ≤ (eR )n per ogni x ∈ (−R, R) e n ∈ N.
Dal Teorema 6.43 (ii) segue che
∞ ∞
X f (n) (0) n X xn
ex = x = ,
n=0
n! n=0
n!
per ogni x ∈ (−1, 1), dal Teorema di integrazione per serie 6.26 deduciamo
che
Z x ∞
X Z x
f (x) = f 0 (t) dt = (−1)n tn dt
0 n=0 0
∞ ∞
X xn+1 X xn
= (−1)n = (−1)n−1 (6.21)
n=0
n + 1 n=1 n
Dal Teorema di Abel (Teorema 6.45) segue che l’uguaglianza in (6.22) vale
anche per x = 1; quindi
∞
X xn
log(1 + x) = (−1)n−1 , per ogni x ∈ (−1, 1].
n=1
n
Introduciamo in questo paragrafo alcuni argomenti che, non essendo stati trat-
tati a lezione, sono al di fuori del programma d’esame.
P∞
Teorema 6.45 (Teorema di Abel). P∞Se n=0 an è una serie numerica conver-
n
gente, allora la serie di potenze
P∞ a
n=0 n x converge assolutamente per ogni
x ∈ (−1, 1) e, detta f (x) = n=0 an xn per x ∈ (−1, 1), si ha che
∞
X
lim− f (x) = an .
x→1
n=0
P∞
Si noti che nel Teorema di Abel non si assume convergenza assoluta di n=0 an
ma solo convergenza semplice.
P∞
Dimostrazione. Dato che la serie n=0 an converge, si ha
P∞ che la successione
{an }n è infinitesima e quindi limitata; segue che la serie n=0 an xn converge
assolutamente per |x| < 1 per confronto con la serie geometrica di ragione |x|.
Poniamo
X∞ X n
S= an , Sn = ak per ogni n ∈ N.
n=0 k=0
Osserviamo che
n
X n X
X k n
X n
X
Sk xk = aj xk = aj xk
k=0 k=0 j=0 j=0 k=j
1−x`+1
P`
e quindi, ricordando che k=0 xk = 1−x , otteniamo che, per ogni x ∈ (−1, 1),
n n n
X
k
X xj − xn+1 1 X xn+1
Sk x = aj = aj xj − Sn .
j=0
1−x 1 − x j=0 1−x
k=0
P∞ f (x)
Facendo tendere n → ∞ deduciamo che, per ogni x ∈ (−1, 1), k=0 Sk xk = 1−x
e quindi
∞
X
f (x) = (1 − x) Sk xk .
k=0
P∞
Dato che, per ogni x ∈ (−1, 1), S = (1 − x) k=0 Sxk , per differenza abbiamo
che
∞
X
f (x) − S = (1 − x) (Sk − S)xk , per ogni x ∈ (−1, 1). (6.23)
k=0
Essendo limn→∞ Sn = S, dato ε > 0, esiste n̄ tale che per ogni n > n̄
ε
|Sn − S| ≤ .
2
Quindi, per ogni x ∈ (0, 1),
∞ ∞
X ε
k
X ε
xk ≤ .
(1 − x) (Sk − S)x ≤ (1 − x) (6.24)
2 2
k=n̄+1 k=0
Dato che la successione {Sn }n è limitata, esiste C > 0 tale che |Sn | ≤ C per
ogni n. Quindi, per ogni x ∈ (0, 1),
n̄
X
k
(1 − x) (Sk − S)x ≤ (1 − x)(C + |S|)n̄.
k=0
ε
Se 0 < δ < 2(C+|S|)n̄ si ottiene che, per ogni x ∈ (1 − δ, 1),
n̄
X ε
k
(1 − x) (Sk − S)x ≤ . (6.25)
2
k=0
Mettendo insieme (6.23), (6.24) e (6.25), concludiamo che, per ogni x ∈ (1−δ, 1),
X∞
(Sk − S)xk ≤ ε.
|f (x) − S| = (1 − x)
k=0
α
dove, per ogni α ∈ R e n ∈ N, il coefficiente binomiale n è definito come
n−1
1
Y α(α − 1) · · · (α − n + 1)
α (α − k) = , se n ≥ 1,
= n! k=0 n!
n
1, se n = 0.
per l’osservazione 6.35 otteniamo che il raggio di convergenza della serie bino-
miale è R = 1. Definiamo quindi
∞
X α n
f : (−1, 1) → R, f (x) = x .
n=0
n
Osserviamo che
α α(α − 1) · · · (α − k + 1)(α − k)
(k + 1) = (k + 1)
k+1 (k + 1)!
α
= (α − k) ,
k
e quindi
α α α
(k + 1) +k =α .
k+1 k k
p
La funzione f : R → R, f (x) = |x| non è regolare a tratti (Figura 6.6). I
limiti destro e sinistro della derivata in 0 non esistono finiti.
p
Figura 6.6: La funzione f (x) = |x|.
Per ben note identità trigonometriche (formule di Werner), si ha che, per ogni
k ≥ 1,
Z π
1 π 1 π
Z Z
cos(kx) cos(mx) dx = cos((k + m)x) dx + cos((k − m)x) dx
−π 2 −π 2 −π
(
0, se k 6= m,
= (6.29)
π, se k = m,
e
Z π
sin(kx) cos(mx) dx
−π
1 π 1 π
Z Z
= sin((k + m)x) dx + sin((k − m)x) dx = 0. (6.30)
2 −π 2 −π
Quindi Z π
f (x) cos(mx) dx = πam
−π
cioè Z π
1
am = f (x) cos(mx) dx, per ogni m ≥ 0. (6.31)
π −π
In modo analogo si dimostra che, per ogni k, m ≥ 1,
Z π (
0, se k 6= m,
sin(kx) sin(mx) dx = (6.32)
−π π, se k = m,
1 π
Z
ak = f (x) cos(kx) dx, k ≥ 0,
π −π
1 π
Z
bk = f (x) sin(kx) dx, k ≥ 1,
π −π
Sia
n
a0 X
Sn (x) = + ak cos(kx) + bk sin(kx)
2
k=1
Dato che
Z π Z π n Z π
a0 X
F (x)Sn (x) dx = F (x) dx + ak F (x) cos(kx) dx
−π 2 −π −π
k=1
n
X Z π
+ bk F (x) sin(kx) dx
k=1 −π
n
a20 X
=π +π a2k + b2k )
2
k=1
Xn Z π n
X Z π
+a0 bk sin(kx) dx + ak bj cos(kx) sin(jx) dx
k=1 −π k,j=1 −π
n
X Z π n
X Z π
+ ak aj cos(kx) cos(jx) dx + bk bj sin(kx) sin(jx) dx
k,j=1 −π k,j=1 −π
k6=j k6=j
n
a20 X
=π +π a2k + b2k ),
2
k=1
e quindi
n π
a20 X 2
Z
1
+ ak + b2k ) ≤ F 2 (x) dx, per ogni n ≥ 1,
2 π −π
k=1
1 π
Z
ak = F (x) cos(kx) dx −→ 0,
π −π k→∞
Z π
1
bk = F (x) sin(kx) dx −→ 0.
π −π k→∞
Ci occupiamo ora del problema della convergenza della serie di Fourier di una
data funzione periodica, incominciando dalla convergenza puntuale.
f (x+ ) + f (x− )
x 7→
2
per ogni x ∈ R (dove f (x+ ) denota il limite di f (t) per t che tende a x da destra
e f (x− ) denota il limite di f (t) per t che tende a x da sinistra). In particolare
la serie di Fourier di f converge a f (x) in ogni x in cui f è continua.
Dimostrazione. Sia
n
a0 X
Sn (x) = + ak cos(kx) + bk sin(kx)
2
k=1
e quindi (6.36) vale anche per n. (6.36) segue dunque per ogni n ∈ N per
induzione.
1 π sin n + 12 u
Z
Sn (x) = f (u + x) du.
2 sin u2
π −π
sin n + 21 u sin n + 21 u
Z 0 Z π
π
du = = du.
2 sin u2 2 sin u2
−π 2 0
Quindi
0
n + 12 u
f (x+ ) + f (x− ) f (x− ) sin
Z
Sn (x) − = Sn (x) − du
2 sin u2
2 π −π
f (x+ ) π sin n + 21 u
Z
− du
2 sin u2
π 0
Z π
1
G(u) sin n + 12 u du
=
π −π
dove
f (x + u) − f (x− )
, se u ∈ [−π, 0),
2 sin u2
G(u) = 0, se u = 0,
+
f (x + u) − f (x )
, se u ∈ (0, π].
2 sin u2
f (x+ ) + f (x− )
Sn (x) −
Z 2
1 π 1 π
Z
= G(u) sin(nu) cos u2 du + G(u) cos(nu) sin u2 du −→ 0,
π −π π −π n→∞
Proposizione 6.58. Se f e g sono funzioni continue e regolari a tratti su un intervallo [a, b],
allora Z b Z b
f 0 (t)g(t) dt = f (b)g(b) − f (a)g(a) − f (t)g 0 (t) dt.
a a
dove k · k∞ denota la norma uniforme (si veda l’esempio 1.51) nello spazio di
Banach L(R, R) delle funzioni reali e limitate su R.
P∞
Dato Pche la serie k=1 k 2 (a2k + b2k ) converge per quanto dimostrato sopra e la
∞ 1
serie k=1 k2 converge essendo una serie armonica generalizzata con esponente
strettamente maggiore di 1, il Criterio di Weierstaß (Teorema 6.23) consente di
concludere che la serie di Fourier di f converge totalmente in (L(R, R), k · k∞ )
e quindi uniformemente in R. In virtù del Teorema 6.56 e del fatto che f è
continua, la somma della serie è f .
1
Rπ
con ak = π −π
f (x) cos(kx) dx, k ≥ 0. Calcoliamo i coefficienti di Fourier ak .
Se k = 0,
Z π
1 1 3 2
a0 = x2 dx = (π − (−π 3 )) = π 2 .
π −π 3π 3
cioè
∞
X (−1)k π2
=− .
k2 12
k=1
Per x = π otteniamo
∞
π2 X 1
+4 = f (π) = π 2 ,
3 k2
k=1
7
cioè
∞
X 1 π2
2
= . (6.38)
k 6
k=1
7 Il calcolo della somma della serie (6.38) è il noto “problema di Basilea”, proposto da
Mengoli nel 1644 e risolto da Eulero nel 1735 (con metodi diversi da quelli qui esposti).
∂2u ∂2u
(x, y) + (x, y) = 0
∂x2 ∂y 2
e l’equazione del calore
∂u ∂2u
(x, t) − (x, t) = 0
∂t ∂x2
173
an (t)y (n) (t) + an−1 (t)y (n−1) (t) + · · · + a1 (t)y 0 (t) + a0 (t)y(t) = b(t).
1
Se G è una primitiva di g e F è una primitiva di f , otteniamo quindi che
Si può arrivare alla (7.3) con un procedimento formale (che trova giustifica-
zione rigorosa nel ragionamento appena fatto). Scrivendo la derivata y 0 (t) con
la notazione di Leibniz dydt e pensandolo come un “quoziente”, abbiamo
dy
= f (t)g(y),
dt
e quindi, “moltiplicando” per dt e “dividendo” per g(y),
dy
= f (t)dt,
g(y)
da cui, integrando, segue la formula
Z Z
dy
= f (t)dt
g(y)
che corrisponde alla (7.3).
p(0) = p0 ,
Nel suo trattato “An essay in the Principles of populations” del 1798, il reve-
rendo inglese Thomas Malthus propose un modello per la descrizione della di-
namica delle popolazioni sotto le ipotesi di tassi di natalità/mortalità costanti.
Tale modello ammette la seguente formulazione
(
p0 (t) = k p(t),
(7.4)
p(0) = p0 ,
p(t) = p0 ekt .
Notiamo che per k > 0 (tasso di natalità maggiore del tasso di mortalità) la
popolazione evolve con crescita esponenziale, per k = 0 (tasso di natalità uguale
al tasso di mortalità) rimane costante, mentre per k < 0 (tasso di natalità minore
del tasso di mortalità) la popolazione tende all’estinzione per t → +∞ (Figura
7.1).
p0 k = 0 (crescita zero)
k < 0 (estinzione)
Nel 1838 il matematico belga Verhulst propose un modello che tiene conto del-
la competizione interna della popolazione, supponendo che il tasso di crescita
diminuisca linearmente al crescere di p:
con k > 0 e h > 0 costanti positive. L’equazione (7.5) ammette come soluzioni
stazionarie le funzioni p(t) ≡ 0 e p(t) ≡ hk . Se p(t) 6= 0, hk per ogni t, allora
Quindi
p(t)
= ±ec ekt = c0 ekt ,
1 − αp(t)
cioè
c0 ekt
p(t) = .
1 + αc0 ekt
p0
Imponendo la condizione iniziale p(0) = p0 otteniamo che c0 = 1−αp0 e quindi
p0 ekt p0
p(t) = = .
(1 − αp0 ) + αp0 e kt αp0 + (1 − αp0 )e−kt
k
p0 > h
k
h
k
p0 < h
Negli esempi finora visti di equazioni a variabili separabili del primo ordine l’in-
tegrale generale era una famiglia di funzioni dipendente da un parametro. Tali
e
y 0 (t) = f (t, y(t)), per ogni t ∈ (a, b),
(7.6)
y(t0 ) = y0 , (7.7)
Ponendo
y1 (t)
y2 (t)
Y : (a, b) → Rn , Y (t) = .
..
yn (t)
e
f1 (t, Y )
f2 (t, Y )
F (t, Y ) = ,
..
.
fn (t, Y )
Y (t0 ) = Y0 , (7.11)
dove
y01
y02
Y0 = . ∈ Rn .
..
y0n
e
Y 0 (t) = F (t, Y (t)), per ogni t ∈ (a, b),
(7.12)
Y (t0 ) = Y0 , (7.13)
y1 (t)
1 .
Data una funzione Y : (a, b) → Rn , Y (t) = .
. , diciamo che Y è derivabile in un
yn (t)
punto t̄ ∈ (a, b) se tutte le componenti yi sono derivabili in t̄ e in tal caso la derivata di Y in
0
y1 (t̄)
t̄ è definita come Y 0 (t̄) =
.
.
. .
0 (t̄)
yn
Si ha quindi che (Yn )0+ (tk ) = F (tk , Yn (tk )). Le funzioni {Yn }n∈N\{0} si dicono
poligonali di Eulero. Si dimostra che, se δ è sufficientemente piccolo, {Yn }n ha
una sottosuccessione che converge uniformemente a una soluzione del problema
di Cauchy.
Se t 7→ y(t) è una soluzione tale che y(t) > 0 per t > 0, separando le variabili
otteniamo Z Z
dy
√ = dt
y
e quindi, integrando, p
2 y(t) = t + c, c ∈ R.
Imponendo la condizione iniziale y(0) = 0, abbiamo che
1 2
y(t) = t .
4
Possiamo cosı̀ concludere che la funzione
(
0, se t ≤ 0,
y1 (t) = 1 2
4 t , se t ≥ 0,
y2 (t) = 0, t ∈ R,
Dimostrazione. Essendo per ipotesi F una contrazione, esiste L ∈ (0, 1) tale che
e quindi (7.18) vale anche per n + 1. La stima (7.18) segue dunque per ogni
n ∈ N per induzione.
Essendo L ∈ (0, 1), limn→∞ Ln = 0 e quindi (7.19) implica che {xn }n∈N è di
Cauchy in X. Dall’ipotesi di completezza di X segue che esiste x̄ ∈ X tale che
xn → x̄ in X. Dato che F è continua (essendo una contrazione) si ha allora che
F (x̄) = lim F (xn ) = lim xn+1 = x̄,
n→∞ n→∞
Definizione 7.15.
∂fi
La conclusione segue osservando che le funzioni ∂y j
sono continue e quindi
limitate nel compatto B̄((t0 , Y0 ), r) uniformemente rispetto a t.
T : E → E.
e quindi
kT (Y ) − T (Z)k∞ ≤ LδkY − Zk∞ .
Essendo Lδ < 1 concludiamo che T è una contrazione di E. Dal Teorema delle
contrazioni segue allora che esiste uno e un solo Y ∈ E tale che Y = T (Y ), cioè
tale che Z t
Y (t) = Y0 + F (s, Y (s)) ds.
t0
e−2Ld kY k∞ ≤ kY k? ≤ e−2Lt0 kY k∞
Quindi
1
kT (Y ) − T (Z)k? ≤ kY − Zk? ;
2
in particolare T è una contrazione di E. Dal Teorema delle contrazioni segue
allora che esiste uno e un solo Y ∈ E tale che Y = T (Y ), cioè tale che Y risolva
l’equazione integrale di Volterra (7.15) e quindi, per il Lemma 7.7, il problema di
Cauchy nell’intervallo [t0 , d]. Analogamente si ottiene che il problema di Cauchy
ammette un’unica soluzione su [c, t0 ] per ogni c ∈ (a, t0 ). Quindi il problema
di Cauchy ammette un’unica soluzione su [c, d] per ogni a < c < t0 < d < b, e
quindi, data l’arbitarietà di c e d, il problema ammette un’unica soluzione su
tutto l’intervallo (a, b).
7.2.4 Prolungabilità
Vediamo prima due esempi in cui si verificano questi due fenomeni responsabili
della non prolungabilità.
Esempio 7.20. Si consideri il problema di Cauchy
( 0
y (t) = − √ 1 ,
y(t) (7.21)
y(0) = 1.
Allora Td = +∞ oppure
1
lim− kY (t)k + = +∞. (7.25)
t→Td dist((t, Y (t)), ∂Ω)
Analogamente si ha che, se
n o
Ts = inf τ < t0 : la soluzione di (7.23) è definita in [τ, t0 ] , (7.26)
allora Ts = −∞ oppure
1
lim+ kY (t)k + = +∞.
t→Ts dist((t, Y (t)), ∂Ω)
Dimostrazione del Teorema 7.22. Sia Td < +∞. Se per assurdo (7.25) non
valesse, esisterebbero M, ε > 0 e una successione tn → Td− tali che
kFe(t, Y )k ≤ C,
kFe(t, Y ) − Fe(t, Z)k ≤ LkY − Zk per ogni (t, Y ), (t, Z) ∈ Rn+1 ,
Fe(t, Y ) = F (t, Y ) per ogni (t, Y ) ∈ Q.
Sia δ > 0 tale che tale che (2C + 1)δ < r e 2δ < r. Sia n̄ sufficientemente grande
tale che
kY (tn̄ ) − Y∞ k ≤ δ e |Td − tn̄ | ≤ δ.
Dal Teorema 7.19 segue che il problema di Cauchy
(
Z 0 (t) = Fe(t, Z(t)),
Z(tn̄ ) = Y (tn̄ ),
Segue che
(t, Z(t)) ∈ Q per ogni t ∈ [tn̄ , Td + δ]
e quindi
Fe(t, Z(t)) = F (t, Z(t)) per ogni t ∈ [tn̄ , Td + δ].
Uno strumento utile per stabilire risultati di dipendenza continua dai dati è il
lemma di Gronwall.
Allora Z t
h(t) ≤ ψ(t) + L ψ(s)eL(t−s) ds per ogni t ∈ [t0 , b).
t0
1
Si ha che f ∈ C ([t0 , b), R) e, per l’ipotesi (7.27),
Z t
0 −L(t−t0 )
f (t) = −Le h(s) ds + e−L(t−t0 ) h(t) − e−L(t−t0 ) ψ(t)
t0
Z t
−L(t−t0 )
=e h(t) − ψ(t) − L h(s) ds ≤ 0
t0
per ogni t ∈ [t0 , b). Quindi f (t) ≤ f (t0 ) = 0 per ogni t ∈ [t0 , b), cioè
Z t Z t Z t
h(s) ds ≤ eL(t−t0 ) ψ(s)e−L(s−t0 ) ds = ψ(s)e−L(s−t) ds. (7.28)
t0 t0 t0
Allora
h(t) ≤ M eL(t−t0 ) per ogni t ∈ [t0 , b).
per i = 1, 2, allora
α L|t−t0 |
kY1 (t) − Y2 (t)k ≤ kY 1 − Y 2 keL|t−t0 | + e −1 (7.30)
L
per ogni t ∈ (a, b), dove L è la costante di Lipschitz di F1 .
per ogni t ∈ [t0 , b). Possiamo allora applicare il Lemma di Gronwall 7.23 con
h(t) = kY1 (t) − Y2 (t)k e ψ(t) = kY 1 − Y 2 k + α(t − t0 ),
ottenendo cosı̀ che
Z t
kY1 (t) − Y2 (t)k ≤ kY 1 − Y 2 k + α(t − t0 ) + Lα (s − t0 )eL(t−s) ds
t0
Z t
+ LkY 1 − Y 2 k eL(t−s) ds
t0
t − t0 1 L(t−t0 )
= kY 1 − Y 2 k + α(t − t0 ) + Lα − + 2 e −1
L L
+ kY 1 − Y 2 k eL(t−t0 ) − 1
α L(t−t0 )
= kY 1 − Y 2 keL(t−t0 ) + e −1
L
per ogni t ∈ [t0 , b).
Se t ∈ [t0 , Td ) si ha che
Z t
Z t
kY (t)k =
Y
0 + F (s, Y (s)) ds
≤ kY0 k + (C1 + C2 kY (s)k) ds
t0 t0
Z t
≤ kY0 k + C1 (Td − t0 ) + C2 kY (s)k ds.
t0
Siano Ω = (a, b) × R con a < t0 < b e f (t, y) = y sin y. Osserviamo che Ω è una
striscia verticale ma f : (a, b) × R → R non è lipschitziana rispetto a y; infatti
Quindi le ipotesi del Teorema 7.19 non sono soddisfatte. D’altra parte, possiamo
notare che f ∈ C 1 (Ω), quindi f è localmente lipschitziana in Ω rispetto a y
uniformemente in t (Proposizione 7.17); inoltre
Quindi le ipotesi del Teorema 7.26 sono verificate e possiamo concludere che
la soluzione del problema di Cauchy (7.32) è definita su (a, b). Essendo (a, b)
arbitrario, concludiamo che (7.32) ha un’unica soluzione definita su tutto R.
In generale, si ha che
Allora le funzioni
z1 (t) = y(t),
z2 (t) = y 0 (t),
..
.
zn (t) = y (n−1) (t),
risolvono il sistema
0
z1 (t) = z2 (t),
z 0 (t)
= z3 (t),
2
..
. (7.35)
0
z (t) = zn (t),
n−1
0
zn (t) = f (t, z1 (t), z2 (t), . . . , zn (t)).
In questo paragrafo presentiamo due risultati utili nello studio qualitativo delle
soluzioni di problemi di Cauchy: il Teorema del confronto e il criterio dell’asin-
toto.
per i = 1, 2.
(i) Se
y10 ≤ y20 e f1 (t, y) ≤ f2 (t, y) per ogni (t, y) ∈ Ω tale che t ≥ t0 , (7.37)
allora
y1 (t) ≤ y2 (t) per ogni t ∈ [t0 , b).
(ii) Se
y10 ≥ y20 e f1 (t, y) ≤ f2 (t, y) per ogni (t, y) ∈ Ω tale che t ≤ t0 ,
allora
y1 (t) ≥ y2 (t) per ogni t ∈ (a, t0 ].
Sia h(t) = y1 (t) − y2 (t). Allora, sotto l’ipotesi (7.37), si ha che h(t0 ) ≤ 0.
Dobbiamo dimostrare che h(t) ≤ 0 per ogni t ∈ [t0 , b). Se, per assurdo, cosı̀ non
fosse, esisterebbe t2 ∈ [t0 , b) tale che h(t2 ) > 0. Sia
Allora t0 ≤ t1 < t2 , h(t1 ) = 0 (quindi y1 (t1 ) = y2 (t1 )) e h(t) > 0 per ogni
t ∈ (t1 , t2 ). Per ogni t ∈ [t1 , t2 ), dall’ipotesi (7.37) segue che
Z t
h(t) = h(t1 ) + h0 (s) ds
t1
Z t
= f1 (s, y1 (s)) − f2 (s, y2 (s)) ds
t1
Z t
≤ f2 (s, y1 (s)) − f2 (s, y2 (s)) ds.
t1
il che è assurdo dato che h(t) = y1 (t) − y2 (t) > 0 in (t1 , t̃).
Caso α ∈ (0, 1). Se α ∈ (0, 1), si ha che 0 < yα (t) < 1 per ogni t ∈ Iα , quindi
yα0 (t) = t log yα (t) > 0 se t < 0 e yα0 (t) = t log yα (t) < 0 se t > 0.
Quindi
yα (t) ≤ yα (0) = α per ogni t ∈ Iα . (7.39)
0
Siano δ ∈ (0, 1 − α), Ω = R × (0, α + δ),
f1 , f2 : Ω0 → R, f1 (t, y) = t log y, f2 (t, y) = t log(α + δ).
Dalla stima (7.39) segue che yα risolve il problema di Cauchy
(
yα0 (t) = f1 (t, yα (t)),
yα (0) = α.
Dato che
f1 (t, y) ≤ f2 (t, y) per ogni (t, y) ∈ Ω0 tale che t ≥ 0,
dal Teorema 7.29 segue che, se zα è la soluzione del problema di Cauchy
(
zα0 (t) = f2 (t, zα (t)),
(7.40)
zα (0) = α,
con intervallo massimale di definizione Jα , allora
yα (t) ≤ zα (t) per ogni t ∈ Iα ∩ Jα tale che t ≥ 0.
La soluzione zα del problema (7.40) si può determinare esplicitamente,
ottenendo
1 q q
zα (t) = log(α + δ)t2 + α, t ∈ Jα = − − log(α+δ) 2α 2α
, − log(α+δ) .
2
Dal fatto che yα (t) ≤ zα (t) perqogni t ∈ Iα ∩ Jα con t ≥ 0, segue che la
2α
soluzione yα “muore” prima di − log(α+δ) perché il suo grafico si avvicina
a ∂Ω0 . Concludiamo quindi che, se α ∈ (0, 1), yα non è prolungabile a tutto
R.
yα0 (t) = t log yα (t) < 0 se t < 0 e yα0 (t) = t log yα (t) > 0 se t > 0.
Quindi
yα (t) ≥ yα (0) = α > 1 per ogni t ∈ Iα . (7.41)
0
Siano Ω = R × (1, +∞),
Dato che
allora
lim ϕ0 (t) = 0.
t→+∞
Osserviamo inoltre che l’ipotesi che esista il limite della derivata è cruciale per
la validità della conclusione; infatti, sotto le sole ipotesi che ϕ : (a, +∞) → R sia
derivabile e che esista finito limt→+∞ ϕ(t), non è detto che esista limt→+∞ ϕ0 (t).
Ad esempio, per la funzione
sin(t2 )
ϕ : (1, +∞) → R, ϕ(t) = ,
t
si ha che limt→+∞ ϕ(t) = 0 però la sua derivata
sin(t2 )
ϕ0 (t) = 2 cos(t2 ) −
t2
non ammette limite per t → +∞.
7.2.9 Esercizi
Figura 7.4: In blu, il grafico della soluzione del problema di Cauchy (7.43).
Quindi ϕ0 (t) = 1+cos(ϕ(t)) > 0 per ogni t ∈ R, da cui segue che ϕ è strettamente
crescente su R. Per monotonia, esiste il limite L = limt→+∞ ϕ(t); inoltre (7.44)
Soluzione.
particolare f e ∂f 2
∂y sono continue in R , quindi f è localmente lipschitziana
rispetto alla variabile y uniformemente in t. Il Teorema di di Cauchy-
Lipschitz (Teorema 7.18) assicura allora esistenza ed unicità locale della
soluzione del problema di Cauchy dato per ogni α ∈ R. Inoltre
∂f 2y(1 − y)(1 − 2y)
(t, y) = .
∂y 1 + y 2 (y − 1)2
2y(1−y)(1−2y)
Dato che la funzione h(y) = 1+y 2 (y−1)2 è continua su R e
lim h(y) = 0,
y→±∞
(iii) Se α > 1, per unicità yα (x) > 1 per ogni x ∈ R, e quindi yα0 (x) > 0 per
ogni x ∈ R e yα è strettamente crescente. Per monotonia, esistono i limiti
` = lim yα (x) ∈ [1, α) e L = lim yα (x) ∈ (α, +∞].
x→−∞ x→+∞
Figura 7.5: Grafico qualitativo della soluzione di (7.45) per qualche valore α; la
curva dei flessi è tratteggiata in rosso.
Soluzione.
e quindi ∂f 2
∂y è limitata in R . Se ne deduce che f è lipschitziana rispetto
alla variabile y uniformemente in x su ogni striscia verticale (−R, R) × R,
Dato che limx→±∞ yα0 (x) = 0 qualunque siano ` e L, dal Criterio dell’asin-
toto non ricaviamo nessuna informazione sul valore di ` o di L. Separando
le variabili, si ottiene
Z y(x) Z x
y dt
(1 + e ) dy =
α 0 1 + t2
da cui
y(x) + ey(x) = α + eα + arctan x.
π π
` + e` = α + eα − e L + eL = α + eα + .
2 2
` = h−1 (α + eα − π2 ) e L = h−1 (α + eα + π2 ),
2x ey(x)
y 00 (x) = − − .
(1 + x2 )2 (1 + ey(x) ) (1 + x2 )2 (1 + ey(x) )3
y y
Quindi y 00 > 0 se e solo se x < − 2(1+e
e e
y )2 . La curva x = − 2(1+ey )2 è una
Figura 7.6: Grafico qualitativo della soluzione di (7.46) per qualche valore α; la
curva dei flessi è tratteggiata in rosso.
dove
y1 (t)
y2 (t)
Y (t) = . .
..
yn (t)
n n n
X 2 X X
2 2
aij (t)(yj − zj ) ≤
aij (t) (yj − zj ) ,
j=1 j=1 j=1
da cui, essendo le aij continue e quindi limitate su [a, b], segue che
v
u n 2
uX
kF (t, Y ) − F (t, Z)k = kA(t)(Y − Z)k ≤ kY − Zkt aij (t) ≤ CkY − Zk.
i,j=1
T : V0 → Rn ,
Y 7→ Y (t0 ),
è lineare e biunivoca.
Dimostrazione. Se Y1 , Y2 ∈ V0 e α ∈ R, allora
(Y1 + Y2 )0 (t) = Y10 (t) + Y20 (t) = A(t)Y1 (t) + A(t)Y2 (t) = A(t)(Y1 + Y2 )(t)
cioè Y1 + Y2 ∈ V0 , e
Quindi l’integrale generale del sistema lineare omogeneo (7.48) è dato dalle
combinazioni lineari di n soluzioni linearmente indipendenti (cioè di una base
di V0 ). Osserviamo che n soluzioni linearmente indipendenti sono n funzioni
vettoriali
Y1 (t), Y2 (t), . . . Yn (t)
appartenenti a V0 tali che se c1 Y1 (t) + c2 Y2 (t) + · · · + cn Yn (t) = 0 per ogni t ∈ I,
allora necessariamente c1 = c2 = · · · = cn = 0. Dato che c1 Y1 +c2 Y2 +· · ·+cn Yn
è una soluzione (e la funzione nulla è una soluzione), dall’unicità segue che o
c1 Y1 + c2 Y2 + · · · + cn Yn è identicamente nulla o non si annulla mai. Quindi
Y1 , Y2 , . . . , Yn ∈ V0 sono linearmente indipendenti se e solo se, in un punto fissato
t0 ∈ I, i vettori Y1 (t0 ), Y2 (t0 ), . . . Yn (t0 ) ∈ Rn sono linearmente indipendenti o,
yi1 (t0 )
yi2 (t0 )
Yi (t0 ) = . , i = 1, . . . , n,
..
yin (t0 )
e
y11 (t0 ) y21 (t0 ) · · · yn1 (t0 )
y12 (t0 ) y22 (t0 ) · · · yn2 (t0 )
Φ(t0 ) = .
..
y1n (t0 ) y2n (t0 ) · · · n
yn (t0 )
si ha che det(Φ(t0 )) 6= 0. La matrice Φ(t) si dice matrice risolvente o wronskiana
del sistema (7.48). La funzione W (t) = det(Φ(t)) si dice wronskiano.
Φ0 (t) = A(t)Φ(t).
cn
Quindi
V0 = {Φ(t)K : K ∈ Rn }.
Y 0 (t) = AY (t), t ∈ R.
Nello spazio Mn×n (R) delle matrici quadrate n × n a coefficienti reali definiamo
la norma X n 1/2
2
kAk = |aij | , A ∈ Mn×n (R).
i,j=1
5 La matrice derivata Φ0 (t) è la matrice i cui coefficienti sono le derivate dei coefficienti di
Φ(t).
cioè
kABk ≤ kAkkBk, per ogni A, B ∈ Mn×n (R). (7.49)
Osserviamo inoltre che, per ogni A ∈ Mn×n (R), la serie
∞
X Ak
k!
k=0
converge in Mn×n (R), k · k (nella somma sopra sottintendiamo che A0 = In
per ogni A ∈ Mn×n (R)). Infatti, grazie alla (7.49),
k
A
= 1 kAk k ≤ 1 kAkk
k!
k! k!
1
per ogni k ≥ 0. Dato che k! kAkk è il termine generale di una serie numerica
convergente (criterio del rapporto), il Teorema della Convergenza Totale (Teo-
P∞ k
rema 6.17) consente
di concludere che la serie k=0 Ak! converge totalmente in
Mn×n (R), k · k .
Ak
P∞
Definizione 7.37. Data A ∈ Mn×n (R), la matrice k=0 k! si dice matrice
esponenziale e si indica con la notazione eA .
eA+B = eA eB .
fA : R → Mn×n (R),
t 7→ etA .
Osserviamo che
fA (0) = e0A = In . (7.50)
Inoltre, poiché le matrici tA e hA commutano, grazie all’esercizio 7.38 si ha che
Notiamo che
∞ hj−1 Aj
X
X
∞ j j+2
∞ j+2
h A j kAk
X
=
h
≤ |h| |h| −→ 0
j=2
j!
(j + 2)!
j=0
(j + 2)! h→0
j=0
hj−1 Aj
P∞
e quindi j=2 j! → 0 per h → 0 in Mn×n (R), k · k . Da (7.51) segue
allora che
e(t+h)A − etA
−→ AetA
in Mn×n (R), k · k ,
h h→0
e quindi
d tA
fA0 (t) = e = AetA . (7.52)
dt
quindi è soluzione del sistema per (i). Grazie all’esercizio 7.38 e a (7.50)
si ha che
etA e−tA = e−tA etA = e0A = In ,
e quindi la matrice etA è invertibile per ogni t ∈ R; ne segue che le colonne
di etA sono linearmente indipendenti (si riveda quanto osservato a p. 211).
(iii) L’esistenza e l’unicità della soluzione del problema di Cauchy è garantita
dal Teorema 7.35. Basta quindi dimostrare che Y (t) = e(t−t0 )A Y0 risolve
il problema di Cauchy. Dall’esercizio 7.38 segue che Y (t) = etA (e−t0 A Y0 ),
quindi Y (t) è soluzione del sistema in virtù di (i). Inoltre, grazie a (7.50),
Y (t0 ) = e0A Y0 = In Y0 = Y0 e quindi Y (t) risolve il problema di Cauchy.
Dal Teorema 7.39 segue in particolare che etA è una matrice risolvente per il
sistema lineare a coefficienti costanti Y 0 (t) = AY (t).
Osserviamo che
λk1 0
··· 0
X∞ k k
t D X∞ k 0
t λk2 ··· 0
etD = =
.. .. .. ..
k! k! .
k=0 k=0 . . .
0 0 ··· λkn
λ1 t
e 0 ··· 0
0 eλ2 t · · · 0
= . .. .
. .
.. .. .. .
λk t
0 0 ··· e
D’altra parte
∞ k ∞ k ∞
tk k
X
X t −1
X t −1 −1
e tD
= (S k
AS) = S k
A S=S A S = S −1 etA S.
k! k! k!
k=0 k=0 k=0
Quindi
eλ1 t
0 ··· 0
0 eλ2 t ··· 0
etA = SetD S −1
−1
=S . S .
.. .. ..
.. . . .
0 0 ··· eλ k t
Notiamo che, grazie all’osservazione 7.40 seguente, anche la matrice SetD è una
matrice risolvente per il sistema Y 0 (t) = AY (t).
cioè
0
x x 2 1
=A , con A = .
y y 1 2
t −1
1 1 e 0 1 1
etA =
−1 1 0 e3t −1 1
t
1 1 1 e 0 1 −1
=
2 −1 1 0 e3t 1 1
1 t 3t 1 t 3t
!
2 (e + e ) 2 (−e + e )
= 1 t 3t 1 t 3t
.
2 (−e + e ) 2 (e + e )
λ = a + ib e λ̄ = a − ib,
h = v + iw e h̄ = v − iw rispettivamente, (v, w ∈ R2 ),
ragionando come sopra si ottiene che, ponendo S = (h, h̄) ∈ Mn×n (C),
λt
−1 λ 0 e 0
S AS = D = tA
e e =S S −1 .
0 λ̄ 0 eλ̄t
Si ha inoltre che eλt e eλ̄t sono autovalori di etA con autovettori h e h̄ rispetti-
vamente, da cui segue che
at
e cos(bt) −eat sin(bt)
−1 tA e
S e S=
e .
eat sin(bt) eat cos(bt)
cioè 0
x x 0 1
=A , con A = .
y y −5 2
Gli autovalori della matrice A sono 1+2i e 1−2i; in particolare, essendo distinti,
si hache A è diagonalizzabile. L’autospazio associato a 1 + 2i è generato da
1 1 0
1+2i = 1 + i 2 . Quindi
t −1
e cos(2t) −et sin(2t)
tA 0 1 0 1
e =
2 1 et sin(2t) et cos(2t) 2 1
t
e cos(2t) −et sin(2t)
1 0 1 −1 1
=
2 2 1 et sin(2t) et cos(2t) 2 0
!
1 − sin(2t) + 2 cos(2t) sin(2t)
= et .
2 −5 sin(2t) 2 cos(2t) + sin(2t)
ha come autovalori
1, −4 + i, −4 − i.
L’autospazio associato a 1 è generato dal vettore
0
1
0
Posto
0 0 1
Se = 1 0 0 ,
0 −1 −1
si ha allora che
t
e 0 0
etA = Se 0 e−4t cos t −e−4t sin t Se−1
0 e−4t sin t e−4t cos t
t
0 0 1 e 0 0 0 1 0
= 1 0 0 0 e−4t cos t −e−4t sin t −1 0 −1
0 −1 −1 0 e−4t sin t e−4t cos t 1 0 0
−4t
−e−4t sin t
e (− sin t + cos t) 0
= 0 et 0 .
−4t −4t
2e sin t 0 e (sin t + cos t)
e quindi
Ac1 = c1 + c2
Ac2 = c2 + 2c3
Ac3 = c3 .
e quindi
γ
c1 = β2 − 34 α con γ ∈ R.
α
2
Vb = {ϕ + Y : Y ∈ V0 } = ϕ + V0 ,
Dimostrazione. Se ψ ∈ Vb , allora
(ϕ + Y )0 = ϕ0 + Y 0 = Aϕ + b + AY = A(ϕ + Y ) + b
e quindi ϕ + Y ∈ Vb .
ϕ(t) = Φ(t)K(t), K : I → Rn .
cioè
K 0 (t) = (Φ(t))−1 b(t).
Da qui si possono ricavare per integrazione (infinite) funzioni t 7→ K(t) tali che
ϕ(t) = Φ(t)K(t) sia soluzione particolare del sistema completo.
Esempio 7.46. Si consideri il sistema lineare non omogeneo a coefficienti
costanti (
y10 (t) = y2 (t) + t,
(7.58)
y20 (t) = y1 (t) + 1,
cioè
0
y1 y 0 1 t
(t) = A 1 (t) + b(t), con A = e b(t) = .
y2 y2 1 0 1
Gli autovalori della matrice A sono 1 e −1; l’autospazio associato a 1 è generato
da 11 e l’autospazio associato a −1 è generato da −1 1
. Quindi
t −1
tA 1 1 e 0 1 1
e =
1 −1 0 e−t 1 1
e l’integrale generale del sistema omogeneo associato a (7.58) è dato da
e−t
t t
y1 (t) 1 1 e 0 c1 e c1
= = , c1 , c2 ∈ R.
y2 (t) 1 −1 0 e−t c2 et −e−t c2
Una matrice risolvente del sistema omogeneo è data da
e−t
t
e
Φ(t) = t .
e −e−t
Si può allora determinare una soluzione particolare del sistema completo (7.58)
della forma ϕ(t) = Φ(t)K(t) con K verificante
−1
e−t 1 e−t e−t 1 (t + 1)e−t
t
0 e t t
K (t) = t = = . (7.59)
e −e−t 1 2 et −et 1 2 (t − 1)et
Integrando per parti le funzioni t 7→ (t + 1)e−t , t 7→ (t − 1)et si ottiene che una
funzione vettoriale verificante (7.59) è ad esempio
1 −(t + 2)e−t
K(t) = .
2 (t − 2)et
Una soluzione particolare di (7.58) è quindi data da
1 et e−t −(t + 2)e−t
−2
ϕ(t) = = .
2 et −e−t (t − 2)et −t
Concludiamo che l’integrale generale del sistema lineare non omogeneo (7.58) è
dato da
e−t
t
y1 (t) e c1 −2
= t + , c1 , c2 ∈ R.
y2 (t) e −e−t c2 −t
y (n) (t) + an−1 (t)y (n−1) (t) + · · · + a1 (t)y 0 (t) + a0 (t)y(t) = 0, (7.60)
z1 (t) = y(t),
z2 (t) = y 0 (t),
..
.
zn (t) = y (n−1) (t),
Siano
T : C n (I) → C 1 (I, Rn ),
y 7→ (y, y 0 , . . . , y (n−1) ), (7.62)
cioè se la matrice
···
y1 (t0 ) y2 (t0 ) yn (t0 )
y10 (t0 ) y20 (t0 ) ··· yn0 (t0 )
.. .. ..
..
. . . .
(n−1) (n−1) (n−1)
y1 (t0 ) y2 (t0 ) · · · yn (t0 )
che y (n) = −an−1 y (n−1) (t) − · · · − a1 y 0 (t) − a0 y(t) ∈ C k−(n−1) (R, C) e quindi
y ∈ C k+1 (R, C). Quindi, per induzione, y ∈ C k (R, C) per ogni k ≥ n, cioè
y ∈ C ∞ (R, C).
Che l’insieme delle soluzioni di (7.63) sia uno sottospazio vettoriale complesso di
C ∞ (R, C) è ovvio. Per dimostrare che ha dimensione n, si può procedere come
nella dimostrazione del Teorema 7.47 (e, una volta passati al sistema, come nel
Teorema 7.36), ragionando in ambito complesso anziché reale.
Dϕ = ϕ0 , (D − λ)ϕ = ϕ0 − λϕ.
th eλt , h = 0, 1, . . . , k − 1,
Supponiamo che la conclusione sia vera per k − 1 e dimostriamo che vale anche
per k. Dato che la conclusione vale per k − 1, esiste un polinomio Q tale che
Dk−1 (P (t)eλt ) = Q(t)eλt , deg(P ) = deg(Q), e P ≡ 0 se e solo se Q ≡ 0;
inoltre, dato che la conclusione vale per k = 1, esiste un polinomio R(t) tale che
D(Q(t)eλt ) = R(t)eλt , deg(R) = deg(Q) = deg(P ), e R ≡ 0 se e solo se Q ≡ 0
(e quindi se e solo se P ≡ 0). Quindi
per r. Se
r
X
Pi (t)eλi t ≡ 0 (7.64)
i=1
allora
r−1
X
Pi (t)e(λi −λr )t + Pr (t) ≡ 0.
i=1
Dal Lemma 7.52 segue che esistono r − 1 polinomi Q1 , Q2 , . . . , Qr−1 tali che
r−1
X
Qi (t)e(λi −λr )t ≡ 0,
i=1
th eλi t , i = 1, 2 . . . , r, h = 0, 1, . . . , hi − 1,
T : C[ξ] → A(D)
Xn n
X
P (ξ) = aj ξ j 7→ P (D) = aj Dj
j=0 j=0
è tale che
T (P + Q) = T (P ) + T (Q), T (P Q) = T (P ) ◦ T (Q),
Teorema 7.56. Sia S lo spazio vettoriale (si veda il Teorema 7.49) delle solu-
zioni complesse dell’equazione differenziale lineare omogenea di ordine n > 1 a
coefficienti costanti complessi
ξ n + an−1 ξ n−1 + · · · + a1 ξ + a0 ,
th eλ i t , i = 1, 2 . . . , r, h = 0, 1, . . . , µi − 1. (7.65)
Teorema 7.58. Sia V0 lo spazio vettoriale reale (si veda il Teorema 7.47) delle
soluzioni reali dell’equazione differenziale lineare omogenea di ordine n > 1
ξ n + an−1 ξ n−1 + · · · + a1 ξ + a0
th eλi t , i = 1, 2 . . . , p, h = 0, 1, . . . , µi − 1,
th eαj t cos(βj t), j = 1, 2 . . . , q, h = 0, 1, . . . , σj − 1, (7.66)
h αj t
t e sin(βj t), j = 1, 2 . . . , q, h = 0, 1, . . . , σj − 1.
1 h (αj +iβj )t
th eαj t sin(βj t) = t e − th e(αj −iβj )t ,
2i
quindi th eαj t sin(βj t) ∈ S. Dato che tutte le funzioni (7.65) (che per il Teorema
7.56 sono una base di S) si possono scrivere come combinazioni lineari delle fun-
zioni (7.66) (grazie alla formula di Eulero), si ha che le funzioni (7.66) formano
un sistema di generatori di S. Dato che le funzioni (7.66) sono n e, per il Teore-
ma 7.49, S è uno spazio vettoriale complesso di dimensione n, concludiamo che
le funzioni (7.66) formano una base di S. Dato che le funzioni (7.66) sono reali
concludiamo che esse costituiscono una base anche di V0 .
y (n) (t) + an−1 (t)y (n−1) (t) + · · · + a1 (t)y 0 (t) + a0 (t)y(t) = b(t), (7.67)
y (n) (t) + an−1 (t)y (n−1) (t) + · · · + a1 (t)y 0 (t) + a0 (t)y(t) = 0 (7.68)
Vb = ϕ + V0 = {ϕ + y : y ∈ V0 }.
···
y1 (t) y2 (t) yn (t)
y10 (t) y20 (t) ··· yn0 (t)
Φ(t) = .. .. ..
..
. . . .
(n−1) (n−1) (n−1)
y1 (t) y2 (t) · · · yn (t)
c1 (t)
c2 (t)
...
K(t) =
cn (t)
è tale che
0
0
K 0 (t) = (Φ(t))−1
...
b(t)
cioè P
n 0
k=1 yk (t)ck (t) = 0,
nk=1 yk0 (t)c0k (t) = 0,
P
..
.
Pn (n−2)
(t)c0k (t) = 0,
k=1 yk
n y (n−1) (t)c0 (t) = b(t),
P
k=1 k k
allora una soluzione particolare di (7.67) è data dalla prima componente della
funzione vettoriale Φ(t)K(t), cioè dalla funzione
n
X
ϕ(t) = ck (t)yk (t).
k=1
Integrando
Z Z
1 1
(− sin t cos t) dt = − sin2 t + c, cos2 t dt = (t + sin t cos t) + c,
2 2
otteniamo che una soluzione particolare di (7.69) è quindi data da
1 1 t
ϕ(t) = − sin2 t cos t + (t + sin t cos t) sin t = sin t.
2 2 2
Concludiamo che l’integrale generale di (7.69) è
t
c1 cos t + c2 sin t + sin t, c1 , c2 ∈ R.
2
Esempio 7.60. Consideriamo la seguente equazione lineare a coefficienti co-
stanti del secondo ordine non omogenea:
2λ2 + λ − 1 = 0
1
ha soluzioni −1 e 2, quindi l’integrale generale dell’equazione omogenea asso-
ciata è
y(t) = c1 e−t + c2 et/2 c1 , c2 ∈ R.
Mediante il metodo di variazione delle costanti, cerchiamo una soluzione parti-
colare di (7.70) della forma
cioè
c01 (t) = − 1 t(2et + 1)
3
c0 (t) = 1 t(2e−t/2 + e−(3/2)t ).
2 3
Forme differenziali
Essendo {dx1 , dx2 , . . . , dxn } una base di (Rn )? , se ω : Ω → (Rn )? è una forma
differenziale in Ω, allora esistono (uniche) n funzioni a1 , a2 , . . . , an : Ω → R tali
che
Xn
ω(x) = ak (x)dxk .
k=1
235
Pn
Definizione 8.2. La forma differenziale ω : Ω → (Rn )? , ω = k=1 ak dxk , si
dice continua se ak : Ω → R è continua per ogni k = 1, . . . , n. ω si dice di classe
C m se ak ∈ C m (Ω) per ogni k = 1, . . . , n.
Pn
Definizione 8.4. Se Ω è un aperto di Rn , ω = k=1 ak dxk è una forma
differenziale continua in Ω e γ : [a, b] → Rn è una curva regolare a tratti tale
che γ ∗ ⊂ Ω, si dice integrale di ω sulla curva γ il valore
Z n Z
X b
ω= ak (γ(t))γk0 (t) dt
γ k=1 a
Si noti che se γ è una curva regolare a tratti allora la funzione t 7→ ak (γ(t))γk0 (t)
è continua a tratti e quindi integrabile su [a, b].
∗ R R
(i) Se γ ∼ η, allora γ
ω= η
ω.
R R
(ii) Se γ ∼ η ma γ e η hanno orientamento opposto, allora γ
ω=− η
ω.
∗
due curve regolari a tratti tali che γ ∼ η. Quindi esiste λ : [c, d] → [a, b] diffeo-
morfismo di classe C 1 tale che η = γ ◦ λ e λ0 (t) > 0 per ogni t ∈ [c, d]. Allora si
ha che
Z Xn Z d
ω= ak (η(t))ηk0 (t) dt
η k=1 c
Xn Z d
= ak (γ(λ(t)))γk0 (λ(t))λ0 (t) dt.
k=1 c
Sotto le ipotesi dell’enunciato (ii), si ha invece che λ0 (t) < 0 per ogni t ∈ [c, d],
cosicché λ(c) = b e λ(d) = a. Quindi con la sostituzione s = λ(t) si ottiene
Z n Z
X d
ω= ak (γ(λ(t)))γk0 (λ(t))λ0 (t) dt
η k=1 c
Xn Z a n Z
X b Z
= ak (γ(s))γk0 (s) ds = − ak (γ(s))γk0 (s) ds = − ω,
k=1 b k=1 a γ
dove γ è una curva semplice regolare a tratti con sostegno come in figura 8.1
(orientato come in figura).
è indipendente dalla scelta della particolare curva semplice regolare a tratti con
sostegno come in figura. Per additività dell’integrale si ha che
Z Z Z Z
ω= ω+ ω+ ω
γ γ1 γ2 γ3
dove
Si ha che
Z Z 1
t 1
ω= 2
dt = log 2,
γ1 0 1+t 2
Z Z π/2
1
ω=− sin t cos t dt = − ,
γ2 0 2
1
1−t
Z Z
1
ω= 2
dt = log 2,
γ3 0 1 + (1 − t) 2
quindi
Z
1
ω = log 2 − .
γ 2
Quindi l’integrale di df lungo una curva dipende solo dal valore di f agli estremi
della curva; più precisamente è dato dalla differenza tra il valore di f nel secondo
estremo e il valore di f nel primo estremo.
Dall’osservazione 8.8 emerge che per le forme differenziali che sono differenziale
di una funzione il calcolo dell’integrale lungo curve risulta particolarmente sem-
plice. Ci occupiamo ora del problema di riconoscere le forme differenziali che
sono differenziale di una funzione.
Pn
Se ω = k=1 ak dxk con ak ∈ C 0 (Ω) è una forma differenziale continua in Ω e
F(x) = (a1 (x), . . . , an (x)) è il campo vettoriale associato, ω è esatta se e solo se
∂f
esiste f ∈ C 1 (Ω) tale che ∂x k
= ak per ogni k = 1, 2, . . . , n, cioè se
∇f = F.
P η
Q
γ
P0
Ω
Pn
Teorema 8.13. Siano Ω un aperto connesso di Rn e ω = k=1 ak dxk una
forma differenziale continua in Ω. Le seguenti condizioni sono equivalenti:
(i) ω è esatta;
(ii) per ogni coppia di curve regolari a tratti γ : [a, b] → Rn Re η : [c,R d] → Rn
tali che γ ∗ , η ∗ ⊆ Ω, γ(a) = η(c) e γ(b) = η(d), si ha che γ ω = η ω;
(iii) Rper ogni curva γ regolare a tratti e chiusa tale che γ ∗ ⊆ Ω, si ha che
γ
ω = 0.
Dimostriamo che (i) implica (iii). Se ω è esatta, esiste f ∈ C 1 (Ω) tale che
ω = df . Dall’osservazione 8.8 segue che, se γ : [a, b] → Rn è una curva regolare
a tratti e chiusa (cioè γ(a) = γ(b)) tale che γ ∗ ⊆ Ω, si ha che
Z Z
ω= df = f (γ(b)) − f (γ(a)) = 0,
γ γ
dimostrando (iii).
Dimostriamo che (ii) implica (iii). Sia γ : [a, b] → Rn una curva regolare a
tratti e chiusa con γ ∗ ⊆ Ω. Ponendo η : [a, b] → Rn , η(t) = γ(a + b − t), si
ha che η è una curva regolare a tratti con η ∗ =R γ ∗ ⊆ Ω,
R η(a) = γ(b) = γ(a) e
η(b) = γ(a) = γ(b). Se vale (ii) si ha allora che γ ω = η ω. D’altra parte
Z n Z
X b
ω= ak (γ(a + b − t))(−γk0 (a + b − t)) dt
η k=1 a
n Z
X a n Z
X b Z
= ak (γ(s))γk0 (s) ds = − ak (γ(s))γk0 (s) ds = − ω.
sostituzione b a γ
a+b−t=s k=1 k=1
R R R R
Quindi γ
ω= η
ω=− γ
ω, da cui segue che γ
ω = 0.
Osserviamo
R che la funzione f : Ω → R è ben definita dato che, se vale (ii), il
valore γP ω non dipende dalla particolare scelta della curva che collega P0 con
P. i-esimo
posto
↑
Per h ∈ R piccolo, si ha che, se ei = (0, . . . , 1 , . . . , 0) è il versore diretto
come l’asse xi con i ∈ {1, . . . , n},
Z
f (P + hei ) − f (P ) = ω
δ
dove
δ : [0, 1] → Rn , δ(t) = P + thei .
Quindi
n Z
X 1 Z 1
f (P + hei ) − f (P ) = ak (P + thei )hδik dt = ai (P + thei )h dt
k=1 0 0
Abbiamo quindi dimostrato che, per ogni i ∈ {1, . . . , n}, la funzione f è deriva-
bile parzialmente rispetto a xi e
∂f
(P ) = ai (P ), per ogni P ∈ Ω.
∂xi
In particolare f ∈ C 1 (Ω) e df = ω. Quindi ω è esatta.
Osservazione 8.14. Osserviamo che dalla dimostrazione del teorema 8.13 se-
gue che, se ω : Ω → (Rn )? è una forma differenziale continua ed esatta su un
aperto connesso Ω di Rn e P0 ∈ Ω è fissato, allora una primitiva di ω è data
dalla funzione Z
f (P ) = ω,
γP
Pn
Definizione 8.15. Una forma differenziale ω = k=1 ak dxk di classe C 1 su un
aperto Ω ⊆ Rn si dice chiusa se
∂ak ∂ai
= per ogni i, k = 1, 2, . . . , n.
∂xi ∂xk
Pn
Teorema 8.16. Se ω = k=1 ak dxk è una forma differenziale di classe C 1 su
un aperto Ω ⊆ Rn e se ω è esatta, allora ω è chiusa.
∂f
Dimostrazione. Se ω è esatta, allora esiste f ∈ C 1 (Ω) tale che ∂x k
= ak per
1 2
ogni k = 1, 2, . . . , n. Dato che a ∈ C (Ω), si ha che f ∈ C (Ω). Dal Teorema di
Schwarz (Teorema 2.26) segue allora che, per ogni i, k = 1, 2, . . . , n,
∂ak ∂ ∂f ∂ ∂f ∂ai
= = =
∂xi ∂xi ∂xk ∂xk ∂xi ∂xk
cioè ω è chiusa, come si voleva dimostrare.
Il Teorema 8.16 garantisce che se una forma differenziale è esatta allora è anche
chiusa. In viceversa è in generale falso, cioè la chiusura è condizione necessaria
ma (in generale) non sufficiente per l’esattezza, come mostra il seguente esempio.
Esempio 8.17. Siano Ω = R2 \ {(0, 0)} e
y x
ω(x, y) = − 2 2
dx + 2 dy.
x +y x + y2
Si ha che Ω è un aperto connesso di R2 e ω è una forma differenziale di classe
C 1 . Inoltre
y 2 − x2 y 2 − x2
∂ y ∂ x
− 2 2
= 2 2 2
, 2 2
= 2 ,
∂y x +y (x + y ) ∂x x + y (x + y 2 )2
quindi ω è chiusa. Sia
γ(t) = (cos t, sin t), t ∈ [0, 2π].
Si ha che γ è una curva regolare chiusa con γ ∗ ⊆ Ω. Inoltre
Z Z 2π Z 2π
ω= (sin2 t + cos2 t) dt = 1 dt = 2π 6= 0.
γ 0 0
L’esempio 8.17 mostra come una forma differenziale chiusa possa non essere esat-
ta. Se però il dominio soddisfa opportune condizioni, le proprietà di esattezza
e chiusura sono equivalenti; dimostriamo che questo accade in domini stellati.
P0
Osserviamo che l’insieme R2 \ {(0, 0)} dell’esempio 8.17 non è stellato rispetto
ad alcun punto.
è il versore diretto come l’asse xi . Per il Teorema di Lagrange (del valor medio)
esiste un numero reale τ = τ (h, y) compreso tra 0 e h tale che
f (x0 + hei , y) − f (x0 , y) ∂f
= (x0 + τ ei , y).
h ∂xi
∂f
Essendo ∂x i
continua sul compatto B̄(x0 , r)×A, per il Teorema di Heine-Cantor
∂f
si ha che ∂xi è uniformemente continua su B̄(x0 , r) × A. Quindi per ogni ε > 0
esiste δ > 0 tale che, se
q
(x, y), (x0 , y 0 ) ∈ B̄(x0 , r) × A e kx − x0 k2Rn + ky − y 0 k2Rm < δ,
allora
∂f ∂f 0 0
∂xi (x, y) − ∂xi (x , y ) < ε.
p
Se |h| < δ, allora k(x0 + τ ei ) − x0 k2Rn + ky − yk2Rm = k(x0 + τ ei ) − x0 kRn < δ
per ogni y ∈ A, e quindi
∂f ∂f
(x
∂xi 0
+ τ ei , y) − (x 0 , y) < ε per ogni y ∈ A.
∂xi
∂f
(P )
∂xi
n
Z 1 X
∂ak
= (P0 + t(P − P0 ))t(xk − x0k ) + ai (P0 + t(P − P0 )) dt.
0 ∂xi
k=1
Se, per i ∈ {1, 2, . . . , n} fissato, poniamo F (t) = ai (P0 + t(P − P0 )), si ha che
n
X ∂ai
F 0 (t) = (P0 + t(P − P0 ))(xk − x0k ).
∂xk
k=1
∂ai ∂ak
Quindi, dato che ∂xk = ∂xi essendo ω chiusa,
Z 1 Z 1
∂f 0
(P ) = (tF (t) + F (t)) dt = (tF (t))0 dt = F (1) = ai (P ).
∂xi 0 0
∂f
Abbiamo cosı̀ dimostrato che, per ogni i ∈ {1, 2, . . . , n}, ∂xi = ai , cioè df = ω.
Quindi f è una primitiva di ω e ω è esatta.
Esempio 8.22. La forma differenziale ω(x, y) = (x + y) dx + xy dy in R2 non
è chiusa: infatti
∂ ∂
(x + y) = 1, (xy) = y.
∂y ∂x
Quindi, grazie al Teorema 8.16, possiamo concludere che ω non è esatta.
Esempio 8.23. La forma differenziale ω(x, y) = (2x + y 2 ) dx + (2xy + ey ) dy
in R2 è chiusa: infatti
∂ ∂
(2x + y 2 ) = 2y, (2xy + ey ) = 2y.
∂y ∂x
Essendo R2 stellato rispetto a (0, 0) (in realtà è stellato rispetto a ogni suo pun-
to), per il Teorema 8.20 possiamo concludere che ω è esatta. Una sua primitiva
è data da Z
f (x, y) = ω
γ(x,y)
= x + xy + ey − 1.
2 2
f (x, y) = x2 + xy 2 + g(y)
f (x, y) = x2 + xy 2 + ey + c, c ∈ R,
sono primitive di ω.
8.2.1 Caso n = 2
e
Q(P0 , r) ∩ Ω = {(x, y) ∈ Q(P0 , r) : y < α(x)}.
Sia γ(x) = (x, α(x)), x ∈ (x0 − r, x0 + r). Il supporto della curva γ coincide con
l’insieme Q(P0 , r) ∩ ∂Ω e il versore tangente a γ (e quindi a ∂Ω) in P = (x, α(x))
è dato da
(1, α0 (x))
Tγ (x) = Tγ∗ (P ) = p .
1 + (α0 (x))2
Il versore
(−α0 (x), 1)
ν γ (P ) = p
1 + (α0 (x))2
dove ν(x, y) = (ν1 (x, y), ν2 (x, y)) è il versore normale esterno a ∂Ω nel punto
(x, y).
Quindi, se γi : [a, b] → R2 ,
b
yi0 (t)
Z Z q
f ν1 ds = f (xi (t), yi (t)) p (x0i (t))2 + (yi0 (t))2 dt
γi a (x0i (t))2 + (yi0 (t))2
Z
= f dy.
γi
8.2.2 Caso n = 3
e
Q(P0 , r) ∩ Ω = {(x, y, z) ∈ Q(P0 , r) : z < α(x, y)},
il versore normale esterno a ∂Ω in P = (x, y, α(x, y)) è dato da
si dice flusso del campo vettoriale F uscente da ∂Ω (si parla di flusso entrante
se ν è il versore normale interno a ∂Ω).
ω = F1 dx + F2 dy
Dimostrazione. In virtù del Teorema 8.13, basta dimostrare che, per ogni curva
γ regolare a tratti e chiusa tale che γ ∗ ⊆ Ω, si ha che γ ω = 0. Possiamo inoltre
R
supporre che γ sia semplice (si riveda la dimostrazione del Teorema 8.13 per
convincersi che si può lavorare anche solo con curve semplici). Sia quindi γ una
curva di Jordan regolare a tratti con γ ∗ ⊂ Ω. Sia A l’interno di γ. L’ipotesi di
semplice connessione su Ω assicura che A ⊆ Ω. Inoltre il fatto che γ sia regolare
a tratti implica che A è regolare a tratti. Dal Teorema di Green (Teorema 8.28
e osservazione 8.29) segue che
Z Z Z
∂F2 ∂F1
0= − dx dy = ω = ± ω.
A ∂x ∂y ∂+A γ
R
Quindi γ ω = 0, come si voleva dimostrare.
Osservazione 8.35. Il Teorema di Green può essere utile nello studio dell’esat-
tezza di forme differenziali chiuse anche in domini non semplicemente connessi.
Siano Ω un aperto connesso di R2 (non necessariamente semplicemente connes-
so) e γ, η due curve di Jordan regolari a tratti tali che γ ∗ , η ∗ ⊆ Ω e valgano le
seguenti condizioni:
e quindi Z Z
ω= ω.
η γ
2x 2y
ω : Ω → (R2 )? , ω(x, y) = dx + 2 dy.
x2 2
+y −1 x + y2 − 1
γ, η : [a, b] → Rn , con γ ∗ , η ∗ ⊆ Ω,
ϕu ∧ϕv
dove (·, ·) è il prodotto scalare canonico di R3 e ν = kϕu ∧ϕv k è il versore normale
a S.
e
rot F = (F3 )y − (F2 )z , (F1 )z − (F3 )x , (F2 )x − (F1 )y ,
si ha che Z Z
(rot F, ν) dσ = I(u, v) du dv,
S A
dove
Siano
e
h i
βu = ((F1 )x ◦ ϕ)xu + ((F1 )y ◦ ϕ)yu + ((F1 )z ◦ ϕ(u, v))zu xv
h i
+ ((F2 )x ◦ ϕ)xu + ((F2 )y ◦ ϕ)yu + ((F2 )z ◦ ϕ(u, v))zu yv
h i
+ ((F3 )x ◦ ϕ)xu + ((F3 )y ◦ ϕ)yu + ((F3 )z ◦ ϕ(u, v))zu zv
+ (F1 ◦ ϕ)xvu + (F2 ◦ ϕ)yvu + (F3 ◦ ϕ)zvu .
dove √ √
γ : [0, 2π] → R3 , γ(t) = ( 3 cos t, − 3 sin t, 1).
Quindi
Z Z 2π √ √ √ √
(rot F, ν) dσ = ( 3 sin t 3(− sin t) + 3 cos t(− 3) cos t + 0) dt
Σ 0
Z 2π
= (−3) dt = −6π.
0
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