Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Alessandro Musesti
7 febbraio 2017
ii
Queste dispense sono state composte esclusivamente mediante software libero: Kile ed Emacs
per scrivere il testo, LATEX per compilarlo. Il tutto, naturalmente, nel sistema operativo
GNU/Linux.
Un doveroso ringraziamento va al prof. Carlo Banfi e al prof. Alfredo Marzocchi, dai cui
scritti ho attinto a piene mani.
Indice
1 Introduzione alle equazioni differenziali alle derivate parziali 1
1.1 Elementi introduttivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.3 Deduzione dell’equazione del calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.4 Classificazione delle equazioni semilineari del secondo ordine . . . . . . . . . . . 3
1.5 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.6 Direzioni caratteristiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.7 Problema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
1.8 Problemi ben posti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.9 Operatori differenziali formalmente aggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.10 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.11 Formula di Green . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.12 Esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
3 L’operatore di Laplace 32
3.1 Soluzione fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
3.2 Rappresentazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
3.3 Funzioni armoniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
3.4 Principio del massimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
3.5 Problemi di Dirichlet e di Neumann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.5.1 Sovrapposizione degli effetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.6 La funzione di Green per il problema di Dirichlet . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.7 Problema di Dirichlet nella sfera. Formula di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.8 Ulteriori proprietà delle funzioni armoniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
iii
iv Indice
6 Metodi funzionali 71
6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
6.2 Riformulazione del problema di Dirichlet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
6.3 Inverso dell’operatore di Laplace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
6.4 Elementi di teoria spettrale per operatori compatti . . . . . . . . . . . . . . . . 78
6.5 Autovalori dell’operatore di Laplace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
6.6 Metodo di Fourier per il problema di Dirichlet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
6.7 Metodo di Fourier per il problema misto del calore . . . . . . . . . . . . . . . . 84
6.8 Esempi di calcolo degli autovalori per l’operatore di Laplace . . . . . . . . . . . 87
6.8.1 Il caso unidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
6.8.2 Il caso del rettangolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
6.8.3 Il caso del parallelepipedo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
6.8.4 Il caso del cerchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
Capitolo 1
1
2 Capitolo 1. Introduzione alle equazioni differenziali alle derivate parziali
F x, (∂ α u(x))|α|6p = 0.
?
X
aα x, (∂ β u(x))|β|<p ∂ α u(x) + F x, (∂ β u(x))|β|<p = 0
Quasilineari:
|α|=p
X
aα (x)∂ α u(x) + F x, (∂ β u(x))|β|<p = 0
Semilineari:
|α|=p
X
Lineari: aα (x)∂ α u(x) = f (x).
|α|6p
Diamo alcuni esempi di equazioni differenziali alle derivate parziali. Premettiamo l’espres-
sione dell’operatore di Laplace
n
X ∂2u
∆u = .
∂x2k
k=1
1.2 Esempi
∂u(t, x)
• Equazione del calore − a2 ∆u(t, x) = f (t, x) con t ∈ R, x ∈ Rn
∂t
∂ 2 u(t, x)
• Equazione delle onde − c2 ∆u(t, x) = f (t, x)
∂t2
• Equazione di Helmholtz ∆u(x) + k 2 u(x) = 0
∂u(t, x)
• Equazione di Schrödinger i = −γ∆u(t, x) + V (x)u(t, x)
∂t
∂ 2 u(t, x) ∂u(t, x)
• Equazione dei telegrafisti 2
+b + au − c2 ∆u(t, x) = 0
∂t ∂t
∂u(t, x) ∂u(t, x)
• Equazione di Burgers + u(t, x) = 0, con t ∈ R, x ∈ R
∂t ∂x
∂ 2 u(x, y) ∂ 2 u(x, y)
• Equazione di Tricomi y + = 0, con x, y ∈ R.
∂x2 ∂y 2
1.3. Deduzione dell’equazione del calore 3
∂u
(x, t) = − div F (x, t). (1.1)
∂t
Il segno meno tiene conto del fatto che div F > 0 significa che la quantità u fluirà lontano
dalla posizione x, e dunque decrescerà nel tempo, e viceversa. Questa è la prima ipotesi, di
carattere geometrico.
La seconda ipotesi è la cosiddetta legge di Fourier, e stabilisce una relazione costitutiva tra
u e il suo flusso F . È naturale assumere che F dipenda dal gradiente (spaziale) di u, cioè che
dipenda soltanto dalla concentrazione di u in x relativamente a un suo intorno. Per la tendenza
a fluire da concentrazioni maggiori a concentrazioni minori, è anche naturale supporre che F
sia orientato in modo opposto a grad u. La legge di Fourier assume che questa relazione sia
lineare, quindi
F (x, t) = −a2 grad u(x, t) (1.2)
dove a è una costante. Combinando le due ipotesi si ottiene
∂u
(x, t) = − div F (x, t) = a2 div grad u(x, t) = a2 ∆u(x, t)
∂t
che è proprio l’equazione del calore omogenea.
x = x(x̃).
4 Capitolo 1. Introduzione alle equazioni differenziali alle derivate parziali
e per le derivate
n
∂u X ∂ ũ ∂ x̃h
= ;
∂xj ∂ x̃h ∂xj
h=1
n n
∂2u ∂ 2 ũ ∂ x̃h ∂ x̃k X ∂ ũ ∂ 2 x̃h
∂ ∂u X
= = + .
∂xi ∂xj ∂xi ∂xj ∂ x̃h ∂ x̃k ∂xi ∂xj ∂ x̃h ∂xi ∂xj
h,k=1 h=1
indicando con B 0 la trasposta di B, la (1.5) può essere scritta nella forma matriciale
Ã0 = B 0 A0 B.
Se si determina la trasformazione di coordinate B in modo che nel punto x0 la matrice A venga diagonalizzata,
nel punto x0 i coefficienti della parte principale dell’equazione sono gli autovalori di A0 .
Ovviamente risulterà p + q + r = n. Diremo allora che nel punto x0 l’equazione è del tipo
(p, q, r). Evidentemente sono da considerarsi equivalenti le equazioni (p, q, r) e (q, p, r).
Per un’equazione in cui la parte principale è a coefficienti costanti la classificazione data può
essere riferita alla stessa equazione. Se i coefficienti sono invece funzioni continue si avranno
regioni dove l’equazione è di un determinato tipo. ?
1.5 Esempi
1. Equazione di Laplace in R3 ∆u = 0.
La matrice A è
1 0 0
A = 0 1 0 .
0 0 1
L’equazione è ellittica.
1 ∂2u
∆u − = 0.
c2 ∂t2
La matrice A è
1 0 0 0
0 1 0 0
A=
0
.
0 1 0
0 0 0 −1/c2
L’equazione è iperbolica.
4. Equazione di Tricomi.
∂2u ∂2u
y + 2 =0
∂x2 ∂y
L’equazione è iperbolica per y < 0 ed ellittica per y > 0.
L’insieme
dirL (x) = {ξ ∈ Rn : ξ 6= 0 e PL (x, ξ) = 0} (1.6)
definisce l’insieme delle direzioni caratteristiche per L in x. Una ipersuperficie regolare S in
Rn si dirà non caratteristica per l’operatore differenziale L se in ogni punto x ∈ S il vettore
normale a S non è una direzione caratteristica per L in x, ovvero se
nS (x) 6∈ dirL (x) per ogni x ∈ S.
Chiameremo invece varietà caratteristica per L una ipersuperficie S tale che nS (x) sia una
direzione caratteristica per ogni x ∈ S.
con aij ed F funzioni continue nei loro argomenti, formuliamo il problema nel seguente modo.
dove ∂/∂n è la derivata secondo la normale a Γ , con ϕ0 (x) funzione di classe C 2 e ϕ1 (x) di
classe C 1 . ?
Ora indicando con ũ l’espressione di u in funzione delle nuove coordinate x̃, essendo u assegnata
su Γ tramite la prima delle (1.8) possiamo determinare in x0 le derivate
∂ ũ
per i = 1, 2, . . . n − 1.
∂ x̃i
Inoltre dalla seconda delle (1.8) si ha
∂ ũ ∂u
= = ϕ1 (x0 ).
∂ x̃n ∂n
Γ Γ
Per la determinazione delle derivate seconde basta tener presente che, essendo ϕ0 e ϕ1 note
su tutto Γ , si possono calcolare le derivate
∂ 2 ũ
per i = 1, 2, . . . n e j = 1, 2, . . . (n − 1).
∂ x̃i ∂ x̃j
Γ
La determinazione di
∂ 2 ũ
(1.10)
∂ x̃2n
8 Capitolo 1. Introduzione alle equazioni differenziali alle derivate parziali
può essere fatta tramite l’equazione stessa purché il coefficiente ãnn (x0 ) sia diverso da zero.
Ciò è assicurato se Γ in x0 non è tangente ad una varietà caratteristica. Infatti ãnn (x̃) in base
alla (1.5), è data da
n
X ∂ x̃n ∂ x̃n
ãnn (x̃) = aij (x) .
∂xi ∂xj
i,j=1
Osservazione 1.9 (Dati sulle varietà caratteristiche). Si può mostrare che sulle varietà
caratteristiche non si possono assegnare arbitrariamente i dati di Cauchy. Infatti se Γ è una
varietà caratteristica e la sua equazione nelle coordinate x̃ è la (1.9), si ha che è verificata la
(1.11) e quindi invece di poter risolvere l’equazione rispetto alla (1.10) si ha una relazione, che
può risultare incompatibile, tra le derivate che si possono determinare dai dati di Cauchy. ?
∂u
− ∆u = 0,
∂t
assumiamo come varietà Γ la varietà caratteristica di equazione t = 0, con i dati di Cauchy
∂u
u t=0 = ϕ0 (x), = ϕ1 (x).
∂t
t=0
Esempio 1.11 (Valori al contorno per l’equazione delle onde). Si consideri l’equazio-
ne
utt − c2 uxx = 0
nel dominio A = {(t, x) : |x ± ct| < 1}, con la condizione al contorno
u∂A = u0 .
Si può vedere facilmente che con la trasformazione di coordinate ξ = x + ct e η = x − ct questa
diventa l’equazione
∂2u
= 0.
∂ξ∂η
nel quadrato
Ω = (ξ, η) : −1 6 ξ 6 1, −1 6 η 6 1 ,
con le condizioni al bordo
u(1, η) = uo1 (η), u(−1, η) = uo3 (η), u(ξ, 1) = uo2 (ξ), u(ξ, −1) = uo4 (ξ),
con
uo1 (1) = uo2 (1), uo2 (−1) = uo3 (1), uo3 (−1) = uo4 (−1), uo4 (1) = uo1 (−1).
Si vede facilmente che la soluzione della nostra equazione si può esprimere nella forma
u(ξ, η) = f (ξ) + g(η)
con f, g ∈ C 2 . Per le condizioni poste si ha allora
g(η) = uo1 (η) − f (1) = uo3 (η) − f (−1)
f (ξ) = uo2 (ξ) − g(1) = uo4 (ξ) − g(−1).
Da queste condizioni si ottiene
uo1 (η) − uo3 (η) = f (1) − f (−1) = cost.
uo2 (ξ) − uo4 (ξ) = g(1) − g(−1) = cost.
Pertanto la funzione u0 non può essere data arbitrariamente. ?
Nei diversi problemi che si danno si richiede normalmente che siano ben posti secondo criteri
introdotti da Hadamard.
10 Capitolo 1. Introduzione alle equazioni differenziali alle derivate parziali
Definizione 1.12 (Problema ben posto nel senso di Hadamard). Diremo ben posto un
problema per cui sono soddisfatte le seguenti condizioni.
i) Esista una soluzione in una determinata classe di funzioni.
ii) La soluzione in detta classe sia unica.
iii) La soluzione dipenda in modo continuo, in un senso determinato, dai dati del problema
(dati iniziali, dati al bordo, ecc.). ?
I diversi tipi di equazioni differenziali ammettono tipi diversi di problemi ben posti. Per
chiarire meglio questo fatto daremo un esempio emblematico di problema non ben posto.
∂u(x, 0) √
u(x, 0) = 0, = ϕn (x) = e− n cos nx.
∂y
|α|6k
L∗ u = Lu. ?
Si noti che per avere un operatore formalmente aggiunto con i coefficienti regolari bisogna
richiedere più regolarità ai coefficienti di L, visto che essi vengono anche derivati un certo
numero di volte. Se i coefficienti di L sono infinitamente derivabili, però, lo saranno anche
quelli di L∗ .
La dimostrazione della proposizione seguente è banale nel caso a coefficienti costanti, mentre
nel caso generale è un po’ più delicata.
Dimostrazione. Tramite la formula di integrazioni per parti si può verificare che per ogni
ϕ ∈ C0∞ (Rn ) si ha Z Z
(Lu)ϕ dx = u(L∗ ϕ)
o anche
Lu = div A grad u + div (a − div A)u + a0 − div a + div div A u.
Utilizzando l’espressione generale dell’aggiunto per gli operatori del secondo ordine si ha
n n
∗
X ∂2 X ∂
L u= aij (x)u − ai (x)u + a0 (x)u,
∂xi ∂xj ∂xi
i,j=1 i=1
e dunque
Proposizione 1.16. Dal confronto di (1.12) e (1.13) si deduce che un operatore differenziale
del secondo ordine è formalmente autoaggiunto se e solo se
a = div A.
1.10 Esempi
Si vede immediatamente che gli operatori di Laplace e delle onde sono formalmente autoag-
giunti.
1.11. Formula di Green 13
Analogamente per L∗ si ha
In particolare, se L è il laplaciano si ha
∂u ∂v
Z Z
v∆u − u∆v dx = v −u dσ. (1.16)
Ω ∂Ω ∂n ∂n
Inoltre, scegliendo v ≡ 1,
∂u
Z Z
∆u dx = dσ. (1.17)
Ω ∂Ω ∂n
1.12 Esercizi
Esercizio 1.18. Si verifichi che le seguenti funzioni sono soluzioni dell’equazione del calore
omogenea unidimensionale ut − a2 uxx = 0:
2 ω2 t
• e−a sin ωx, ω ∈ R
14 Capitolo 1. Introduzione alle equazioni differenziali alle derivate parziali
1 2 /(4a2 t)
• √ e−x
2 πa2 t
Esercizio 1.19. Si verifichi che le seguenti funzioni sono soluzioni dell’equazione del calore
omogenea bidimensionale ut − a2 ∆u = 0:
2 (p2 +q 2 )t
• e−a sin px sin qy, p, q ∈ R
1 2 2 2
• e−(x +y )/(4a t)
4πa2 t
Esercizio 1.20. Si verifichi che la seguente funzione è soluzione dell’equazione del calore
omogenea multidimensionale ut − a2 ∆u = 0:
1 2 /(4a2 t)
√ n e−|x|
2
4πa t
Esercizio 1.21. Si verifichi che le seguenti funzioni sono soluzioni dell’equazione delle onde
omogenea unidimensionale utt − c2 uxx = 0:
f (ωx)g(cωt)
Esercizio 1.22. Si verifichi che le seguenti funzioni sono soluzioni dell’equazione delle onde
omogenea bidimensionale utt − c2 ∆u = 0:
q
• onda stazionaria: sin(ω1 x) sin(ω2 y) cos c ω12 + ω22 t , ω1 , ω2 ∈ R
p
• onda viaggiante: f ω1 x + ω2 y − c ω1 + ω2 t , ω1 , ω2 ∈ R, f ∈ C 2 (R)
2 2
Esercizio 1.23. Si verifichi che la seguenti funzione sono soluzioni dell’equazione delle onde
omogenea multidimensionale utt − c2 ∆u = 0:
f (a · x ± c|a|t), a ∈ Rn , f ∈ C 2 (R)
Capitolo 2
Definizione 2.3 (Spazio C0∞ ). Indicheremo con C0∞ (Ω) lo spazio di tutte le funzioni di
C ∞ (Ω) con supporto compatto in Ω. Per le funzioni in Rn useremo la notazione C0∞ . ?
Definizione 2.5 (Spazio S ). Indicheremo con S la classe delle funzioni di Schwartz, cioè
lo spazio di tutte le funzioni di C ∞ in Rn che insieme a tutte le derivate tendono a zero
all’infinito più rapidamente di ogni potenza di x−1 :
S = u ∈ C ∞ : sup |xα ∂ β u(x)| < ∞ per ogni multi-indice α, β .
x∈Rn ?
15
16 Capitolo 2. Argomenti propedeutici di Analisi
kukp < ∞.
Definizione 2.8 (Spazio L∞ ). Diremo spazio L∞ (Ω) lo spazio delle funzioni u in Ω misu-
rabili ed essenzialmente limitate, cioè tali che
Definizione 2.9 (Spazi Lploc ). Diremo spazi L∞ loc (Ω) gli spazi delle funzioni u misurabili tali
che per ogni compatto K ⊂ Ω si ha
Z
|u(x)|p dx < ∞.
K ?
ϕh (x) := ω1 (x − h x0 ),
dove ω1 è definita nell’Esempio 2.4. Si osserva che (ϕh ) non converge in D mentre converge
alla funzione nulla in E . ?
2.2. Elementi della teoria delle distribuzioni 17
Dimostrazione. Basta tener presente che per gli spazi delle funzioni test valgono, anche in
senso topologico, le inclusioni
D ⊂ S ⊂ E.
Tanto più si allarga l’insieme delle funzioni test tanto più si restringe l’insieme dei corrispon-
denti funzionali lineari continui. Così evidentemente D 0 costituisce la classe di distribuzioni
più ampia.
Osservazione 2.15. Chiameremo più propriamente distribuzioni gli elementi dello spazio
D 0 . Gli elementi dello spazio S 0 vengono detti distribuzioni temperate e godono di proprietà
particolarmente interessanti che vedremo più avanti. Gli elementi dello spazio E 0 , per quanto
si vedrà, sono identificabili con le distribuzioni a supporto compatto.
Le distribuzioni, come si vedrà, costituiscono una notevole generalizzazione del concetto
di funzione. Il nome distribuzioni è dovuto al fatto che esse permettono di dare una buona
rappresentazione della distribuzione di grandezze fisiche come la massa, la carica elettrica, le
forze, la temperatura, ecc. nei corpi. ?
Dimostrazione. Facciamo vedere che ogni elemento di D 0 a supporto compatto può essere
esteso a E e quindi appartiene a E 0 . Sia f ∈ D 0 con supporto compatto K. Mostriamo che
per ogni ϕ ∈ D, il valore hf, ϕi è determinato solo dalla restrizione ϕ|K . Infatti se ψ ∈ D e
ϕ(x) − ψ(x) = 0 per x ∈ K si ha supt (ϕ − ψ) ∩ K = ∅ e quindi hf, ϕ − ψi = 0.
Introduciamo allora il funzionale f˜ su E che coincide con f su D e definito su ogni elemento
ϕ̃ ∈ E \ D nel modo seguente:
hf˜, ϕ̃i := hf, ϕi,
∀j ∈ N : supt f \ Bj (0) 6= ∅.
Questo significa che per ogni j ∈ N esiste ϕj ∈ E tale che supt ϕj ∩ Bj (0) = ∅ e hf, ϕj i 6= 0.
Poniamo ora
ϕj
ψj := ,
hf, ϕj i
in modo che hf, ψj i = 1. Poiché supt ψ esce definitivamente da ogni compatto fissato, si ha
ψ → 0 in E , mentre hf, ϕj i → 1, dunque f non può essere una distribuzione.
Definizione 2.20 (Distribuzioni regolari). Data una funzione u ∈ L1loc si può definire la
distribuzione Tu ∈ D 0 nel seguente modo:
Z
hTu , ϕi = u(ξ)ϕ(ξ) dξ.
Quando non ci sarà pericolo di confusione, denoteremo con lo stesso simbolo u sia la funzione
che la distribuzione regolare ad essa associata.
Come si vedrà, esistono distribuzioni non regolari dette anche singolari. Questo fatto
comporta che le distribuzioni costituiscono una generalizzazioni del concetto di funzione.
Vediamo ora che il concetto di supporto distribuzionale è un’estensione del concetto classico
di supporto di una funzione.
Dimostrazione. È ovvio vedere che Tu si annulla fuori da supt u, quindi si ha supt Tu ⊆ supt u.
Viceversa, se consideriamo un aperto A fuori dal supporto di Tu , ovvero un aperto su cui
Tu si annulla, si ha Z
∀ϕ ∈ D(A) : 0 = hu, ϕi = u(x)ϕ(x) dx
A
e dunque, per i soliti teoremi sulle funzioni integrabili, u = 0 su A. Dunque supt u ⊆
supt Tu .
La proposizione seguente mostra che le funzioni a crescita lenta, ovvero a crescita polino-
miale, sono distribuzioni (regolari) temperate.
Proposizione 2.22. Sia u ∈ L1loc . Se esistono N ∈ N e C > 0 tali che
∀x ∈ Rn : |u(x)| 6 C(1 + |x|)N ,
allora u ∈ S 0 .
Dimostrazione. Sia ϕ ∈ S . Poniamo
M = sup |x|N +n+1 |ϕ(x)| < ∞.
x∈Rn
Si ha
∞
(1 + |x|)N (1 + r)N
Z Z Z Z
uϕ dx 6 uϕ dx + M C dx = K + M C dr < ∞.
B1 (0) Rn \B1 (0) |x|N +n+1 1 rN +2
In particolare l’integrale si annulla per ogni ϕ che abbia supporto in Rn \ {0}, e dunque
per i soliti teoremi sulle funzioni integrabili si ha u = 0 q.o. in Rn \ {0}. Questo vuol
dire u = 0, il che è assurdo.
Riferendoci alle distribuzioni di massa la δ di Dirac ci dà la rappresentazione di una
massa puntiforme nell’origine.
20 Capitolo 2. Argomenti propedeutici di Analisi
Passiamo ora a definire alcune importanti operazioni sulle distribuzioni. Va subito sot-
tolineata in particolare la possibilità di introdurre per le distribuzioni una definizione di
derivazione che consente una importante generalizzazione del calcolo differenziale.
Definizione 2.24 (Moltiplicazione per una funzione u ∈ C ∞ ). Data una distribuzione
f ∈ D 0 e una funzione u ∈ C ∞ si può definire la distribuzione uf nel seguente modo
∀ϕ ∈ D : huf, ϕi = hf, uϕi. ?
Osserviamo che la definizione è ben posta in quanto f ϕ ∈ D. Lasciamo per esercizio la verifica
che effettivamente f u ∈ D 0 .
Definizione 2.25 (Derivazione). Data una distribuzione f ∈ D 0 e dato un multiindice α
definiamo ∂ α f nel seguente modo
Per la verifica che la definizione è corretta ci limitiamo a osservare che, per come è stata
definita la convergenza in D, la continuità del funzionale f implica la continuità di ∂ α f .
In modo analogo si definisce la derivazione in S 0 e quella in E 0 .
Osservazione 2.26. Se u è una distribuzione regolare corrispondente a una funzione deri-
vabile, è facile mostrare, attraverso l’integrazione per parti, che la definizione data sopra, in
questo caso, dà un risultato coincidente con la derivazione ordinaria. ?
In base alle definizioni 2.24 e 2.25 si possono applicare alle distribuzioni gli operatori
differenziali del tipo X
L= aα (x)∂ α per aα ∈ C ∞ ,
|α|6k
Esempio 2.27 (Esempio di derivazione). Studiamo la derivata in R, nel senso delle di-
stribuzioni, della funzione di Heaviside. Si ha
Z +∞ Z +∞
dh dϕ dϕ dϕ
, ϕ = − h, =− h(x) dx = − dx = ϕ(0) = hδ, ϕi.
dx dx −∞ dx 0 dx
dh
= δ. ?
dx
Definizione 2.28 (Traslazione). L’operazione di traslazione su una funzione u : Rn → R può essere così
definita
τx u(y) := u(x + y).
Se consideriamo una distribuzione regolare
Z
hu, ϕi = u(y)ϕ(y) dy,
vale la relazione Z Z
hτx u, ϕi = u(x + y)ϕ(y) dy = u(z)ϕ(z − x) dz = hu, τ−x ϕi.
Quindi per una distribuzione in generale la definizione di traslazione può essere data nel seguente modo:
hτx f, ϕi = hf, τ−x ϕi. ?
Definizione 2.29 (Riflessione). Per una funzione ϕ l’operazione di riflessione può essere definita nel se-
guente modo:
ϕ̃(x) = ϕ(−x).
Tenendo presente quanto avviene per le distribuzioni regolari, per le distribuzioni in generale si può dare la
seguente definizione di riflessione:
hf˜, ϕi = hf, ϕ̃i. ?
2.3 Convoluzione
Definizione 2.30 (Convoluzione di funzioni). Date due funzioni u, v ∈ L1loc , se per quasi
ogni x ∈ Rn converge assolutamente l’integrale
Z
u(x − y)v(y) dy,
Per l’esistenza della convoluzione diamo, senza dimostrazione, il seguente teorema fonda-
mentale.
Teorema 2.32 (Disuguaglianza di Young). Se per 1 6 p 6 ∞ u ∈ L1 e v ∈ Lp allora
ku ∗ ϕε − ukp → 0 per ε → 0.
∞
Se u ∈ L e uniformemente continua su un insieme V , allora u ∗ ϕε → u uniformemente in V per ε → 0.
Questo teorema è alla base dei metodi di regolarizzazione che consistono sostanzialmente nel determinare
le approssimazioni di u mediante le funzioni u ∗ ϕε , supponendo ϕ ∈ C0∞ . Le proprietà della convoluzione, che
vedremo immediatamente, assicurano, in questo caso, la regolarità delle funzioni approssimanti.
∂ α (u ∗ ϕ) = u ∗ ∂ α ϕ.
Dimostrazione. La dimostrazione si basa sul fatto che per le proprietà di D l’integrale che dà
la convoluzione Z
(u ∗ ∂ ϕ) (x) = u(y)∂ α ϕ(x − y) dy
α
La proposizione appena vista è valida, con identica dimostrazione, anche nel casi in cui
u ∈ Lp con 1 6 p 6 ∞ e ϕ ∈ S , classe di Schwartz.
Proposizione 2.35. Se u ha supporto in V ⊂ Rn e v ha supporto in W ⊂ Rn allora u ∗ v
ha supporto nell’insieme {v + w : v ∈ V, w ∈ W }
Dimostrazione. Da Z
(u ∗ v)(x) = u(y)v(x − y) dy
u ⊗ v : Ω1 × Ω2 → R,
così definita:
(u ⊗ v)(x, y) = u(x)v(y). ?
2.3. Convoluzione 23
e quindi anche
hu ∗ v, ϕi = h(u ⊗ v)(x, y), ϕ̃i,
dove con ϕ̃ si intende la funzione da Rn × Rn in R che manda la coppia (x, y) in ϕ(x + y). ?
L’ultima formula può essere utilizzata per introdurre la convoluzione tra distribuzioni. Si
presentano però due difficoltà:
• bisogna introdurre una nozione di prodotto tensoriale per distribuzioni (e lo faremo nella
Definizione 2.40);
sta in D(Ω1 ).
Si ha poi:
f ⊗ g ∈ D 0 (Ω1 × Ω2 ) . ?
24 Capitolo 2. Argomenti propedeutici di Analisi
Per ovviare alla mancanza di compattezza del supporto di ϕ̃, ci limiteremo a considerare
il caso ristretto, e che risulta più semplice, in cui una delle due distribuzioni sia a supporto
compatto. In questo caso si può dare la seguente definizione.
Definizione 2.41 (Convoluzione di distribuzioni). Siano date due distribuzioni f ∈ D 0
e g ∈ E 0 . Definiamo il funzionale convoluzione di f e g nel seguente modo:
hf ∗ g, ϕi = hf (x) ⊗ g(y), ϕ̃i. ?
Possiamo ora mostrare che la δ di Dirac costituisce l’elemento neutro rispetto al prodotto
di convoluzione.
Proposizione 2.43 (Prodotto di convoluzione con la δ di Dirac). Se f ∈ D 0 allora va-
le
f ∗ δ = δ ∗ f = f.
Il modo più semplice per sviluppare le proprietà fondamentali della trasformata di Fourier
è considerare la sua restrizione alla classe S di Schwartz, dato che S ⊂ L1 ed è ivi denso.
Introduciamo la seguente notazione: data una funzione u, denoteremo con xα u la funzione
n o
x 7→ xα f (x) .
(iii) F [u] ∈ S .
Dimostrazione. (i) Siccome f decresce all’infinito più rapidamente di ogni potenza di |x|−1 ,
l’integrale della trasformata di Fourier è assolutamente uniformemente convergente, si può
quindi derivare sotto il segno di integrale, si ottiene così la tesi.
(ii) Si ha Z
F [∂ β u](ξ) = e−2πix·ξ ∂ β u(x) dx.
Si ottiene la tesi integrando per parti e tenendo presente che u e le sue derivate vanno
rapidamente a zero all’infinito.
(iii) Basta mostrare che per tutti i multi-indici α, β le funzioni ξ α ∂ β F [u](ξ) sono limitate.
Per la (i) si ha
Z
−|α| −|α|
|ξ ∂ F [u](ξ)| = (2πi)
α β
F [v] = (2π) 2πix·ξ
v(x) dx 6 (2π)−|α| kvk1 < ∞
e
Per ottenere il risultato nel caso generale basta tener presente che
√
u(x) = v(ax) per a = b
ˇ = u.
Teorema 2.52 (Inversione della trasformata di Fourier). Se u ∈ S , si ha û
2
e quindi, posto v(x) = e−π|x| si ha anche
−n x−y
ϕ̂(y) = ε v = vε (x − y).
ε
Per la Proposizione 2.50 si ha
Z Z Z Z
−πε2 |ξ|2 2πix·ξ
e e û(ξ) dξ = ûϕ = uϕ̂ = u(y)vε (x − y) dy = (u ∗ vε ) (x).
R
Ma essendo v(x) dx = 1, per il Teorema 2.33 e per l’uniforme continuità di u si ha
u ∗ vε → u
per ε → 0 uniformemente.
D’altra parte, evidentemente per ogni x vale anche
Z Z
−πε2 |ξ|2 2πix·ξ ˇ
e e û(ξ) dξ → e2πix·ξ û(ξ) dξ = û(x),
e quindi in definitiva si ha
ˇ = u.
û
28 Capitolo 2. Argomenti propedeutici di Analisi
• kF [u]k∞ 6 kuk1
2 n π|ξ|2
• F [e−πb|x| ](ξ) = b− 2 e− b
• F −1 [u](x) = F [u](−x)
• F : S → S è un isomorfismo. ?
Passiamo ora a considerare la trasformata di Fourier per le distribuzioni. Essa infatti può
essere estesa alle distribuzioni temperate, cioè a S 0 , in base alla seguente proposizione.
Proposizione 2.55. Se u ∈ S , si ha
Z
û(ξ) = e−2πix·ξ u(x) dx,
e quindi vale ZZ
∀ϕ ∈ S : hû, ϕi = e−2πix·ξ u(x)ϕ(ξ) dxdξ = hu, ϕ̂i.
Per le trasformate delle distribuzioni temperate valgono le stesse proprietà delle trasformate
in S . In particolare, F è un isomorfismo da S 0 in sé.
Per la determinazione delle soluzioni fondamentali ci si può anche avvalere della trasformata
di Fourier.
Le = δ.
u = e ∗ f.
Teorema 2.64 (Unicità). Sia e una soluzione fondamentale per l’operatore L e sia f ∈
D 0 . Allora l’equazione differenziale Lu = f ammette al più una soluzione nella classe delle
distribuzioni in D 0 per cui esiste la convoluzione con e.
2.5. Soluzioni generalizzate di equazioni differenziali lineari 31
L’operatore di Laplace
1
|x|
se n = 1
2
1
e(x) = log |x| se n = 2
2π
1
|x|−(n−2) se n > 3
−
(n − 2)σn−1
n
dove σn−1 = 2π 2 /Γ ( n2 ) è la misura della superficie della sfera unitaria in Rn (Γ è la funzione
gamma di Eulero). In tutti i casi e ∈ L1loc , e dunque è una distribuzione regolare.
Dimostrazione. Verifichiamo anzitutto che e ∈ L1loc per n > 3. Sia K un compatto e sia R > 0
tale che K ⊂ BR (0). Posto |x| = r ed e(x) = hr(2−n) , si ha
R R
Z Z
1
Z Z Z
|e(r)|r(n−1) dr dS = dS = hR2 σn−1 < +∞.
e(x) dx 6 hr dr
K
S1 (0) 0 0 S1 (0) 2
32
3.1. Soluzione fondamentale 33
Essendo ϕ ∈ D, le sue derivate sono limitate, quindi dalla (3.1) per ε → 0 si ottiene
1
Z
∆ϕ dx = −4πϕ(0) = −4πhδ, ϕi.
|x|
Ma per definizione di laplaciano di una distribuzione vale
Z
1 1 1
∆ ,ϕ = , ∆ϕ = ∆ϕ dx = −4πhδ, ϕi,
|x| |x| |x|
quindi la soluzione e(x) della (3.1) è data da
1 1
e(x) = − .
4π |x|
Il caso n = 2 si dimostra in modo simile, partendo stavolta dalla funzione v(x) = log |x|, che
è armonica in R2 \ {0}. Stessa cosa per il caso n > 3, partendo dalla funzione v(x) = |x|2−n .
Infine il caso n = 1 si può verificare facilmente ricordando l’Esempio 2.27, in cui si mostra che
la δ è la derivata della funzione di Heaviside.
(1)
La verifica di questo fatto per n = 3 può essere fatta con un conto esplicito. Nel caso n > 3 si ha
∆ |x|2−n = 0.
Per la formula di Green (con v ≡ 1), il primo membro si può anche scrivere come
Z Z
2−n ∂ 2−n
∆ |x| dx = r dσ(ξ) = ωn−1 (2 − n).
BR (0) SR (0) ∂n
RR
Uguagliando si ottiene 0 rn−1 ∆ r2−n dr = 2 − n da cui, derivando rispetto a R, viene la tesi.
34 Capitolo 3. L’operatore di Laplace
1 1
e(x − ξ) = − . ?
4π |x − ξ|
∆V = f.
V = e ∗ f,
• potenziale di strato doppio VΓ0 [µ], se f è una distribuzione di strato doppio, ovvero
∂
f = − ∂n (µδΓ ) con Γ superficie limitata e µ ∈ L1 (Γ ). ?
da cui segue Z
VΓ [µ](x) = µ(ξ)e(x − ξ) dσ(ξ).
Γ
Per il potenziale di doppio strato si procede in modo analogo.
Dimostrazione. Applichiamo la formula di Green con v(ξ) = e(ξ−x) = ex (ξ) in Ωε = Ω\B ε (x)
con ε abbastanza piccolo:
Z
∂u ∂ex
Z
[ex (ξ)∆u − u(ξ)∆ex (ξ)] dξ = ex (ξ) (ξ) − u(ξ) (ξ) dσ(ξ)
Ωε ∂Ω ∂n ∂n
∂u ∂ex
Z
+ ex (ξ) (ξ) − u(ξ) (ξ) dσ(ξ).
Sε (x) ∂n ∂n
dove la normale è interna alla sfera. Per semplicità, ci mettiamo nel caso n > 3 (il caso n = 1
è semplice, e il caso n = 2 può essere affrontato in modo analogo). Con il cambiamento di
36 Capitolo 3. L’operatore di Laplace
Proposizione 3.9. Dalla Formula dei potenziali 3.5 se u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 1 (Ω) è armonica allora
vale
∂u ∂e
Z Z
u(x) = − (ξ)e(x − ξ) dσ(ξ) + u(ξ) (x − ξ) dσ(ξ).
∂Ω ∂n ∂Ω ∂n
In particolare, nel caso n = 3 si ha
1 ∂u 1 1 ∂ 1
Z Z
u(x) = (ξ) dσ(ξ) − u(ξ) dσ(ξ).
4π ∂Ω ∂n |ξ − x| 4π ∂Ω ∂n |ξ − x|
3.3. Funzioni armoniche 37
Dalla espressione data sopra si deduce l’importante proprietà che le funzioni armoniche sono
funzioni analitiche.
Dimostrazione. La funzione e(x − ξ) è analitica per ξ 6= x, quindi la tesi segue dalla formula
dei potenziali per le funzioni armoniche data sopra, in quanto gli integrali a secondo membro
sono estesi al bordo ∂Ω.
Questo semplice risultato ci consente di introdurre una proprietà fondamentale delle funzioni
armoniche. D’ora in poi supporremo per comodità n = 3, anche se i risultati valgono per ogni
n.
Teorema 3.12 (Teorema del valor medio). Sia x ∈ R3 , R > 0, u armonica in BR (x) e
continua su BR (x). Allora si ha
1 1
Z Z
u(x) = u(ξ) dσ(ξ) = u(x + Rω) dσ(ω).
4πR2 SR (x) 4π S1 (0)
si ottiene
1 ∂u 1
Z Z
u(x) = (ξ) dσ(ξ) + u(ξ) dσ(ξ),
4πr Sr (x) ∂n 4πr2 Sr (x)
Corollario 3.13. Il teorema del valor medio si può dare anche nella seguente forma
1 1
Z Z
u(x) = 4 3 u(ξ) dξ = 4 u(x + Rη) dη.
3 πR BR (x) 3 π B1 (0)
Dimostrazione. Si ha Z Z RZ
u(ξ) dξ = u(ξ) dσ(ξ)dr.
BR (x) 0 Sr (x)
Per il teorema del valor medio, l’integrale interno risulta 4πr2 u(x), dunque l’integrale doppio
viene 4πu(x)R3 /3.
38 Capitolo 3. L’operatore di Laplace
allora u è armonica in Ω.
Con la posizione ξ = x + ρω si ha
∂u
Z Z
∆u(ξ) dξ = (x + ρω) r2 dσ(ω) =
Br (x) S1 (0) ∂ρ
ρ=r
"Z #
2 ∂ ∂
=r u(x + ρω) dσ(ω) = r2 [4πu(x)] = 0.
∂ρ S1 (0) ∂ρ
Osservazione 3.15. Il teorema inverso può essere dimostrato anche se è verificata la formu-
lazione del teorema del valor medio data nel Corollario 3.13. ?
Questa generalizzazione comunque non comporta una effettiva estensione per il seguente
teorema.
Teorema 3.17 (di Weyl). Una funzione u ∈ L1loc (Ω) armonica in senso generalizzato in Ω
è ivi armonica in senso classico.
e poniamo x
ϕε (x) = ε−3 ϕ .
ε
3.4. Principio del massimo 39
La funzione Z
uε (x) = u ∗ ϕε (x) = u(x − ξ)ϕε (ξ) dξ
Facciamo la posizione Z
ξε (x) = η(y)ϕε (y)ψ(x + y) dy
è chiuso. Vogliamo mostrare che è anche aperto. Per assurdo, supponiamo che esista x ∈
u−1 {M } tale che per ogni sfera Br (x) ⊂ Ω esista ξ ∈ Br (x) tale che u(ξ) < M . Poiché u è
continua, esisterà un intorno U di ξ in cui u(ξ) < M e quindi per il teorema del valor medio
si avrebbe
1
Z
M = u(x) = 4 3 u(y) dy
3 πr Br (x)
!
1 M
Z Z
= 4 3 u(y) dy + u(y) dy < 4 3 U + Br (x)\U = M
3 πr U Br (x)\U 3 πr
che è assurdo. Dunque deve esserci una opportuna sfera di centro x in cui u(ξ)
= M . Ne
−1 −1
segue che u {M } è anche aperto. Allora, dato che Ω è connesso, u {M } deve essere o
il vuoto o tutto Ω.
40 Capitolo 3. L’operatore di Laplace
f : Ω → R, u0 : Γ → R continue,
f : Ωe → R, u0 : Γ → R continue,
Osservazione 3.24. In Rn con n > 3 si può dimostrare (vedi [Folland, Proposition 2.74])
che per la soluzione dell’equazione differenziale ∆u = f su un dominio esterno vale
k
lim u(x) = 0 ⇔ |u(x)| 6 per |x| > R, per qualche k, R > 0.
|x|→∞ |x|n−2
In particolare per n = 3 nei problemi (DE) e (NE) si può sostituire la condizione di annulla-
mento all’infinito con la condizione equivalente
k
|u(x)| 6 per |x| > R.
|x|
Nel caso n = 2 bisogna invece richiedere che
|u(x)|
lim = 0.
|x|→∞ | log x| ?
Mediante il Principio del massimo in forma forte è possibile dimostrare un teorema di unicità
per i due problemi di Dirichlet.
Teorema 3.25 (di unicità per DI). Il problema di Dirichlet interno ammette al più una
soluzione.
Dimostrazione. Supponiamo che ci siano due soluzioni u1 e u2 . Consideriamo la differenza
u = u1 − u2 .
Essa soddisfa l’equazione omogenea in Ω, e quindi è armonica in Ω, con condizioni omogenee
al bordo
u(x) = 0 per x ∈ Γ .
Essendo Ω limitato, per il Principio del massimo in forma forte u ha il massimo e il minimo
su ∂Ω, che quindi sono nulli. Ne segue che u è identicamente nulla in Ω e quindi la tesi.
42 Capitolo 3. L’operatore di Laplace
Per il problema di Dirichlet esterno la dimostrazione del teorema di unicità è più complessa
in quanto Ω e non è compatta.
Teorema 3.26 (di unicità per DE). Il problema di Dirichlet esterno ammette al più una
soluzione.
Per i problemi di Neumann valgono risultati diversi. Ricordiamo previamente che per
u ∈ C 2 (Ω) ∩ C 1 (Ω) vale la formula molto importante
∂u
Z Z Z
2
u∆u dx = − | grad u| dx + u dσ. (3.3)
Ω Ω Γ ∂n
Teorema 3.27 (sulle soluzioni di NI). Se Ω è connesso, due soluzioni dello stesso proble-
ma di Neumann interno differiscono per una costante.
Teorema 3.28 (di unicità per NE). Se Ωe è connesso, il problema di Neumann esterno
ammette al più una soluzione.
Osservazione 3.29. Nel caso di Rn si può dimostrare per u armonica su Ωe con u(x) → 0
per |x| → ∞ che
C
|∂r u(x)| 6 per |x| → ∞ se n > 3
|x|n−1
C
|∂r u(x)| 6 per |x| → ∞ se n = 2
|x|2
Definizione 3.30. Sia Ω un aperto limitato con bordo regolare diviso in due parti disgiunte:
Γ = Γ0 ∪ Γ1 , Γ0 ∩ Γ1 = ∅. Siano poi
f : Ω → R, u0 : Γ0 → R, u0 : Γ1 → R,
tre funzioni continue. Il problema con condizioni miste Dirichlet-Neumann interno per l’equa-
zione di Poisson consiste nel trovare
u ∈ C 2 (Ω) ∩ C(Ω) ∩ C 1 (Γ )
tale che
∆u(x) = f (x) per x ∈ Ω,
u(x) = u0 (x) per x ∈ Γ0 ,
∂u 0
∂n (x) = u (x) per x ∈ Γ1 . ?
Teorema 3.31. Se Γ0 6= ∅ allora esiste al più una soluzione con condizioni miste per l’equa-
zione di Poisson.
Attraverso l’applicazione del principio del massimo si possono ottenere anche risultati sulla
dipendenza continua delle soluzioni dai dati al bordo.
Teorema 3.32. Se u e v sono soluzioni per il problema di Dirichlet interno per l’equazione
di Poisson, con dati al bordo rispettivamente u0 e v0 , allora vale la relazione
Il teorema vale anche per il problema esterno, ma per la dimostrazione bisogna procedere
come per il teorema di unicità, introducendo la regione ΩR e tenendo conto della condizione
all’infinito.
Risultati analoghi si danno per i problemi di Neumann, supponendo però che le soluzioni
siano normalizzate per togliere l’indeterminazione delle costante additiva. Le dimostrazioni
presentano qualche maggiore difficoltà.
diremo che G (x, ξ) è la funzione di Green, o funzione di influenza, nel dominio Ω per il
problema di Dirichlet. ?
Indicando, come si è fatto, con e(ξ − x) la soluzione fondamentale per l’operatore di Laplace
relativa al punto x, per determinare la funzione di Green ci si può avvalere del seguente
risultato.
Proposizione 3.37. Se per ogni x ∈ Ω esiste la soluzione g(x, ξ) del seguente problema di
Dirichlet (
∆ξ g(x, ξ) = 0 per ξ ∈ Ω,
g(x, ξ) = −e(ξ − x) per ξ ∈ ∂Ω,
Dimostrazione. Basta ricordare che e∗δ = e ed applicare il risultato della Proposizione 3.35.
Dimostrazione. È una conseguenza della proposizione precedente e del teorema di unicità dato
in 3.25.
Dimostrazione. L’idea è applicare la formula di Green alle funzioni G (x, ·) e G (y, ·). Bisogna
però fare attenzione alle singolarità.
Fissati x, y ∈ Ω e scelto ε > 0 in modo che B ε (x), B ε (y) ⊂ Ω e B ε (y) ∩ B ε (y) = ∅,
consideriamo il dominio
Ωε (x, y) = Ω\ B ε (x) ∪ B ε (y) ,
46 Capitolo 3. L’operatore di Laplace
L’integrale su Ωε (x, y) è nullo in quanto sia G (x, ξ) che G (y, ξ) sono ivi armoniche. L’integrale
su ∂Ω è nullo in quanto ivi per la Definizione 3.36 le G sono nulle.
L’integrale su Sε (x), supponendo n = 3, si sviluppa come segue
∂G ∂G
Z h i
G (x, ξ) (y, ξ) − G (y, ξ) (x, ξ) dσ(ξ)
Sε (x) ∂n ∂n
∂G ∂g
Z h i
= g(x, x + εω) (y, x + εω) − G (y, x + εω) (x, x + εω) ε2 dσ(ω)
S1 (0) ∂n ∂n
1 1 ∂G ∂ 1
Z h i
− (y, x + εω) + G (y, x + εω) ε2 dσ(ω)
4π S1 (0) ε ∂n ∂ρ ρ ρ=ε
ε ∂G 1
Z Z Z
= ε2 Φ(x, y, ε, ω)dσ(ω)− (y, x+εω)dσ(ω)+ G (y, x+εω)dσ(ω).
S1 (0) 4π S1 (0) ∂n 4π S1 (0)
Attraverso la funzione di Green relativa al problema di Dirichlet siamo in grado di dare una
espressione della soluzione di detto problema.
Teorema 3.41. Se esiste la funzione di Green per il dominio Ω, allora la soluzione del
problema di Dirichlet (
∆u(x) = f (x) per x ∈ Ω,
u(x) = u0 (x) per x ∈ ∂Ω,
esiste ed è data dall’espressione
∂G
Z Z
u(x) = f (ξ)G (x, ξ) dξ + u0 (ξ) (x, ξ) dσ(ξ). (3.4)
Ω ∂Ω ∂n
3.6. La funzione di Green per il problema di Dirichlet 47
Dimostrazione. Dimostriamo il teorema nel caso speciale in cui u0 sia di classe C 1 e si estenda
a una funzione ũ0 su tutto Ω di classe C 2 .
Cominciamo verificando che u definita dalla (3.4) soddisfa le condizioni al contorno. La
formula dei potenziali per ũ0 ci dà
∂ ũ0 (ξ) ∂e(x − ξ)
Z Z Z
ũ0 (x) = ∆ũ0 (ξ)e(x − ξ) dξ − e(x − ξ) dσ(ξ) + u0 (ξ) dσ(ξ)
Ω ∂Ω ∂n ∂Ω ∂n
e la formula di Green per ũ0 e g, ricordando che ∆g = 0, dà
∂ ũ0 (ξ) ∂g(x, ξ)
Z Z Z
0= ∆ũ0 (ξ)g(x, ξ) dξ − g(x, ξ) dσ(ξ) + u0 (ξ) dσ(ξ).
Ω ∂Ω ∂n ∂Ω ∂n
Sommando le due formule e ricordando che G si annulla sulla frontiera, si ottiene
∂G (x, ξ)
Z Z
ũ0 (x) = ∆ũ0 (ξ)G (x, ξ) dξ + u0 (ξ) dσ(ξ).
Ω ∂Ω ∂n
In particolare, se x ∈ ∂Ω, grazie alla simmetria di G si ha G (x, ξ) = 0 per ogni ξ ∈ Ω, e
dunque
∂G (x, ξ)
Z
u0 (x) = u0 (ξ) dσ(ξ).
∂Ω ∂n
Per lo stesso motivo, la formula (3.4) per x ∈ ∂Ω dà
∂G (x, ξ)
Z
u0 (x) = u0 (ξ) dσ(ξ).
∂Ω ∂n
Quindi si ha u(x) = u0 (x) per ogni x ∈ ∂Ω.
Ora calcoliamo ∆u(x) per x ∈ Ω usando le distribuzioni. Per ogni ϕ ∈ D(Ω) si ha
Z Z
∂
Z
h∆u, ϕi = hu, ∆ϕi = f (ξ)G (x, ξ) dξ + u0 (ξ) G (x, ξ) dσ(ξ) ∆ϕ(x) dx
∂n
Z Ω Ω
Z ∂Ω Z
∂
Z
= f (ξ) ∆ϕ(x)G (x, ξ) dx dξ + u0 (ξ) ∆ϕ(x) G (x, ξ) dx dσ(ξ).
Ω Ω ∂Ω Ω ∂n
Per definizione di ∆G si ha
Z
∆ϕ(x)G (x, ξ) dx = h∆ξ G , ϕi = ϕ(ξ)
Ω
e dunque il primo addendo diventa
Z
f (ξ)ϕ(ξ) dξ = hf, ϕi.
Ω
Nel secondo addendo la derivata normale, visto che è fatta nella variabile ξ, si può portare
fuori dall’integrale interno, e dunque
Z
∂
Z
u0 (ξ) ∆ϕ(x)G (x, ξ) dx dσ(ξ).
∂Ω ∂n Ω
Come prima, per ξ ∈ ∂Ω si ha
Z
∂ ∂ ∂
∆ϕ(x)G (x, ξ) dx = (h∆ξ G , ϕi) = ϕ(ξ) = 0
∂n Ω ∂n ∂n
essendo ϕ a supporto compatto. Quindi abbiamo trovato che
∀ϕ ∈ D(Ω) : h∆u, ϕi = hf, ϕi
e per la continuità di f si ha ∆u(x) = f (x) per ogni x ∈ Ω.
48 Capitolo 3. L’operatore di Laplace
O x x∗
Definizione 3.42 (Inversione sferica). Data la sfera SR (0) e dato il punto x ∈ Rn \ {0},
si definisce inversione circolare di x rispetto a SR (0) il punto x∗ sul raggio vettore di x tale
che |x∗ | : R = R : |x|. Quindi si ha
R2 R2
x∗ := x, |x∗ | = .
|x|2 |x| ?
L’inversione sferica manda punti interni alla sfera in punti esterni, e viceversa. Inoltre gode
della seguente proprietà: per ξ ∈ SR (0) si ha che i triangoli Oξx e Ox∗ ξ sono simili (vedi
Figura 3.1), per cui vale la relazione
R |x − ξ|
∗
= ∗ . (3.5)
|x | |x − ξ|
per x 6= 0, e
1 1 1
G (0, ξ) = − .
4π R |ξ|
1
ξ 7→
|x∗ − ξ|
è armonica in BR (0) rispetto a ξ in quanto x∗ è esterno alla sfera, dunque dalla (3.6) si ha
∆ξ G (x, ξ) = δx (ξ).
3.7. Problema di Dirichlet nella sfera. Formula di Poisson 49
Osservazione 3.44. Per verificare che G (x, ξ) = 0 per |ξ| = R si può anche vedere che
Possiamo ora dare la soluzione del problema di Dirichlet per l’equazione di Laplace nella
sfera BR (0).
Proposizione 3.45 (Formula di Poisson). La soluzione del problema di Dirichlet per l’e-
quazione di Laplace nella sfera BR (0) in R3 è data da
R2 − |x|2 1
Z
u(x) = u0 (ξ) dσ(ξ). (3.8)
4πR SR (0) |x − ξ|3
1 |x∗ | ∂
∗
|x | (x∗ − ξ)
∂G 1 ∂ 1 ξ (x − ξ)
= − = · − .
∂n 4π R ∂n |x∗ − ξ| ∂n |x − ξ| 4πR R |x∗ − ξ|3 |x − ξ|3
e la dimostrazione è conclusa.
Definizione 3.46. Il nucleo nell’integrale della formula di Poisson viene detto nucleo di
Poisson:
R2 − |x|2
H(x, ξ) = .
4πR|x − ξ|3 ?
d2
Esercizio. Dimostrare che la funzione di Green per l’operatore dx2
sull’intervallo ]0; 1[ è la
funzione (
x(y − 1) x < y
G (x, y) =
y(x − 1) x > y.
R2 − |x|2 R2 − |x|2
Z Z
u(ξ) u(ξ)
u(x) = dσ(ξ) 6 3 dσ(ξ)
4πR SR (0) |x − ξ|3 4πR |ξ| − |x|
SR (0)
R2 − |x|2 R 1
Z
R(R + |x|)
= 3 u(ξ) dσ(ξ) = u(0),
R − |x| 4πR2 SR (0) (R − |x|)2
che dà la seconda disuguaglianza. La prima disuguaglianza si ottiene nello stesso modo utilizzando la disugua-
glianza triangolare.
Teorema 3.48 (di Liouville). Una funzione armonica e limitata in tutto lo spazio è necessariamente co-
stante.
Dimostrazione. Sia u funzione armonica in R3 limitata e sia c il limite inferiore, per cui u(x) > c per ogni
x ∈ R3 . Consideriamo allora la disuguaglianza di Harnack per v = u − c. La disuguaglianza vale per R
arbitrariamente grande. Evidentemente dalla disuguaglianza per R → ∞ si ha
Teorema 3.49. Se la successione {uk } di funzioni armoniche in Ω converge debolmente a u ∈ C(Ω), cioè se
Z Z
∀ϕ ∈ D(Ω) : uk (ξ)ϕ(ξ) dξ → u(ξ)ϕ(ξ) dξ,
allora u è armonica in Ω.
Si ha quindi che u è armonica in senso generalizzato e pertanto, per il teorema di Weyl, è anche armonica.
Teorema 3.50. Data una successione {uk } di funzioni armoniche in Ω, aperto e limitato in R3 , e continue
in Ω, se tale successione in ∂Ω converge, allora in Ω converge uniformemente ad una funzione u armonica e
continua in Ω.
Dimostrazione. Se {uk } converge in ∂Ω, essendo ∂Ω compatto vi converge anche uniformemente. Per il
principio del massimo si ha allora
max |um (x) − um+p (x)| 6 max |um (x) − um+p (x)|,
x∈Ω x∈∂Ω
e quindi {uk } converge uniformemente in Ω ad una funzione continua u. Ma la convergenza uniforme implica
la convergenza debole e quindi per il teorema precedente u è armonica.
Capitolo 4
∂
L= − a2 ∆
∂t
dove a ∈ R.
|x|2
h(t)
e(x, t) = p exp − 2 .
(4πa2 t)n 4a t
∂
Fx e + 4π 2 a2 |ξ|2 Fx e = δ(t)
∂t
52
4.1. Soluzione fondamentale 53
Allora per quanto visto nella Proposizione 2.49 e ricordando che per l’antitrasformata si ha
|x|2
h i h(t)
e(x, t) = Fξ−1 2 2 2
h(t) exp − 4π a |ξ| t = p exp − 2 .
(4πa2 t)n 4a t
Proposizione 4.2. La soluzione fondamentale dell’operatore del calore gode delle seguenti
proprietà:
iii) e(·, t) ∈ S ;
Dimostrazione. La i) è evidente. La ii) è stata vista nella Proposizione 2.49. Per la iii) basta
tener presente l’Esempio 2.6. Dimostriamo la iv). Per ogni ϕ ∈ D tenendo presente la ii) si
ha Z Z
e(x, t)ϕ(x)dx − ϕ(0) = e(x, t) ϕ(x) − ϕ(0) dx .
Proposizione 4.5. Se f ∈ M allora esiste per l’equazione del calore non omogenea (4.2) la
soluzione V (x, t) = e(x, t) ∗ f (x, t) data da
Z tZ
|x − ξ|2
f (ξ, τ )
V (x, t) = n/2 exp − 4a2 (t − τ ) dξ dτ.
0 Rn 4πa2 (t − τ )
Inoltre si ha
V (x, t) 6 t sup f (ξ, τ ) 6 tKT per 0 < t 6 T
06τ 6t
ξ∈Rn
Tenendo conto che h(t − τ ) = 0 per τ > t e che per le ipotesi fatte f (ξ, τ ) = 0 per τ < 0, si ha
Z tZ
|x − ξ|2
f (ξ, τ )
V (x, t) = n/2 exp − 4a2 (t − τ ) dξ dτ.
0 Rn 4πa2 (t − τ )
4.2. Problema ai valori iniziali per l’equazione del calore 55
Il potenziale V (x, t) dato sopra determina la soluzione dell’equazione del calore non omo-
genea con condizioni iniziali omogenee. Dobbiamo ora affrontare il caso dell’equazione omo-
genea con condizioni del tipo u(x, 0) = u0 (x). Per affrontare questo problema partiamo dalla
seguente proposizione, che riconduce le condizioni iniziali a un secondo membro singolare.
si ha
∂u(x, t) ∂e(x, t)
− a2 ∆u(x, t) = − a2 ∆e(x, t) ∗ u0 (x) ⊗ δ(t)
∂t ∂t (x,t)
= δ(x) ⊗ δ(t) ∗ u0 (x) ⊗ δ(t) = u0 (x) ⊗ δ(t).
(x,t)
|x − ξ|2
h(t)
Z
V0 (x, t) = u0 (ξ) exp − dξ
(4πa2 t)n/2 4a2 t
e quindi per la Proposizione 4.6 soddisfa la (4.3). Per t > 0 vale poi la relazione
|x − ξ|2
1
Z
V0 (x, t) 6 sup u0 (ξ)
exp − dξ = sup u0 (ξ).
ξ∈Rn (4πa2 t)n/2 4a2 t ξ∈Rn
Avendo introdotto nella Proposizione 4.5 il potenziale V (x, t) e nella 4.7 il potenziale V0 (x, t),
possiamo enunciare il seguente risultato.
∂u(x, t)
− a2 ∆u(x, t) = f (x, t) + u0 (x) ⊗ δ(t)
∂t
esiste ed è unica in M ed è data da
Date le funzioni
f ∈ C(QT ), u0 ∈ C(G), v ∈ C(BT ),
con la relazione di compatibilità
GT
t =T
BT
QT
x2
G0
x1
il problema misto per l’equazione del calore consiste nel trovare la soluzione
del problema
∂u(x, y)
− a2 ∆u(x, t) = f (x, t) per x ∈ QT
∂t
(4.4)
u(x, 0) = u0 (x) per x ∈ G
?
u(x, t) = v(x, t) per (x, t) ∈ B T .
Dimostrazione. Posto
m = max u(x, t) , µ = max 0, max [u(x, t)] ,
QT G0 ∪BT
m−µ m+µ
w(x, t) 6 µ + = < m.
2 2
D’altra parte, w(x0 , t0 ) = u(x0 , t0 ) = m. Ciò vuol dire che w raggiunge il suo massimo o su
GT o su QT . Indichiamo con (x̄, t̄) il punto di massimo di w. Perché si abbia un massimo in
tale punto si deve avere
Da questa contraddizione si deduce (x̄, t̄) 6∈ QT ∪ GT . Con ciò resta dimostrato il principio
del massimo.
Proposizione 4.11 (Principio del minimo). Se f (x, t) > 0 per (x, t) ∈ QT la soluzione
u(x, t) in QT , o è tale che u(x, t) > 0, o assume il minimo in G0 ∪ BT .
Teorema 4.12 (di unicità). La soluzione del problema misto (4.4) è unica.
Dimostrazione. Supponiamo che esistano due soluzioni u1 (x, t), u2 (x, t) e consideriamo
Per la linearità, ũ(x, t) soddisfa il problema omogeneo, cioè con f (x, t) = 0, e con condizioni
iniziali e al bordo omogenee, cioè con u0 (x) = 0 e v(x, t) = 0. Dovendo essere
kf k = max |f (x, t)|, ku0 k = max |u0 (x)|, kvk = max |v(x, t)|.
(x,t)∈QT x∈G (x,t)∈B T
La soluzione del problema misto (4.4) è stabile, nel senso che se si considerano le soluzioni u
e ũ, corrispondenti rispettivamente a f, u0 , v e a f˜, ũ0 , ṽ si ha
ku − ũk 6 max ku0 − ũ0 k, kv − ṽk + T kf − f˜k.
w(x, t) = u(x, t) − M t.
∂w(x, t)
− a2 ∆w(x, t) = f (x, t) − M
∂t
con le stesse condizioni iniziali e condizioni al bordo
w1 (x, t) = u(x, t) + M t,
si ottiene
u(x, t) > −M T − max ku0 k, kvk . (4.9)
60
5.1. Soluzione fondamentale per l’operatore delle onde 61
Fissiamo su SR (0) un sistema di coordinate sferiche ψ, ϑ con asse polare nella direzione di x.
Si ha
Z Z 2π Z π
e−2πix·ξ dS(ξ) = R2 dψ e−2πiR|x| cos ϑ sin ϑ dϑ
SR (0) 0 0
" #π
e−2πiR|x| cos ϑ 2R
=R − = sin(2πR|x|),
i|x| |x|
0
quindi si ottiene
2R
Z
Fx δSR (0)
,ϕ = sin 2πR|x| ϕ(x) dx.
|x|
A differenza di quanto visto per l’operatore di Laplace e del calore, stavolta la soluzione
fondamentale è una vera distribuzione e non una distribuzione regolare.
Passiamo ora a studiare le proprietà della soluzione fondamentale.
62 Capitolo 5. L’operatore delle onde
h(t)
e(x, t) = δ
4πc2 t Sct (0)
per t > 0 è di classe C ∞ rispetto a t, ed inoltre gode delle seguenti proprietà di limite nel
senso delle distribuzioni su R3 rispetto a x:
i) e(x, t) → 0 per t → 0+ ;
∂e(x,t)
ii) ∂t → δ(x) per t → 0+ ;
∂ 2 e(x,t)
iii) ∂t2
→ 0 per t → 0+ .
Dimostrazione. i) Calcoliamo
h(t)
Z
he(x, t), ϕ(x)i = ϕ(x) dS(x)
4πc2 t Sct (0)
h(t) 2 2 h(t)
Z Z
= c t ϕ(ctω) dS(ω) = t ϕ(ctω) dS(ω).
4πc2 t S1 (0) 4π S1 (0)
si ha
he(x, t), ϕ(x)i → 0.
ii) Per valutare le derivate rispetto a t di e(x, t), teniamo presente che
∂ k e(x, t) dk
, ϕ(x) = he(x, t), ϕ(x)i .
∂tk dtk
Si ha allora per t → 0+
Z
∂e(x, t) d t
, ϕ(x) = ϕ(ctω) dS(ω)
∂t dt 4π S1 (0)
Z
1 t d
Z
= ϕ(ctω) dS(ω) + ϕ(ctω) dS(ω) → ϕ(0) = δ, ϕ ,
4π S1 (0) 4π dt S1 (0)
è limitata in t.
iii) Per la derivata seconda si ha
2
t d2
Z Z
∂ e(x, t) 1 d
, ϕ(x) = ϕ(ctω) dS(ω) + ϕ(ctω) dS(ω) . (5.3)
∂t2 2π dt S1 (0) 4π dt2 S1 (0)
5.2. Formula dei potenziali ritardati di Kirchhoff 63
Ora si ha
Z
d
Z Z
ϕ(ctω) dS(ω) = c grad ϕ(ctω) · ω dS(ω) → c grad ϕ(0) · ω dS(ω) = 0
dt S1 (0) S1 (0) S1 (0)
Definizione 5.5 (Problema di Cauchy per l’equazione delle onde). Sia f ∈ C 2 (R4 )
con f (x, t) = 0 per t < 0. Sia poi u0 (x) ∈ C 3 (R3 ) e u1 (x) ∈ C 2 (R3 ). Si vuole trovare la
soluzione
u(x, t) ∈ C 2 (R3 × (0, ∞))
del problema 2
∂ u(x, t)
− c2 ∆u(x, t) = f (x, t)
∂t2
u(x, 0) = u0 (x) (5.4)
?
∂u (x, 0) = u1 (x).
∂t
Si noti che il problema avrebbe senso per f, u0 , u1 anche solo continue, ma le tecniche qui
impiegate richiedono una regolarità maggiore dei dati.
Siccome e(x, t) data in (5.2) è una distribuzione di strato semplice su una superficie chiusa
e limitata, allora il suo supporto è compatto e dunque esiste la sua convoluzione con una
funzione f continua. Tale convoluzione si esprime mediante la formula sulle distribuzioni di
strato semplice vista nella Proposizione 3.4. Possiamo quindi affrontare la determinazione
della soluzione dell’equazione delle onde non omogenea.
f ξ, t − |x−ξ|
1
Z
c
V (x, t) = dξ (5.5)
4πc2 Bct (x) |x − ξ|
è di classe C 2 (R3 × (0, ∞)) ed è soluzione dell’equazione delle onde nel problema (5.4). Inoltre
si ha
∂V (x, t)
V (x, 0) = 0, = 0.
∂t
t=0
64 Capitolo 5. L’operatore delle onde
dove la convoluzione è fatta sia rispetto ad x che rispetto a t. Tenendo presente l’espressione
di e(x, t) si ha Z +∞
h(τ )
e(x, t) ∗ f (x, t) = δ ∗ f (x, t − τ ) dτ.
2 τ Scτ (0) x
(x,t) −∞ 4πc
Per le condizioni poste su f (x, t) e per la definizione di h(t) si ha
Z t
1
e(x, t) ∗ f (x, t) = 2
δScτ (0) ∗ f (x, t − τ ) dτ.
(x,t) 0 4πc τ x
f η, t − rc f η, t − |x−η|
Z ct Z
1 1
Z
c
e(x, t) ∗ f (x, t) = dS(η)dr = dη.
(x,t) 4πc2 0 Sr (x) r 4πc2 Bct (x) |x − η|
Abbiamo ottenuto così la prima parte della tesi.
Dalla (5.5) si ha poi
V (x, t) 6 1 dη
Z
2
max |f (η, τ )|
4πc Bct (x)×[0,t] Bct (x) |x − η|
1 c2 t2 t2
= max |f (η, τ )| 4π = max |f (η, τ )|,
4πc2 Bct (x)×[0,t] 2 2 Bct (x)×[0,t]
La funzione V (x, t) data dalla (5.5) viene detta potenziale ritardato con densità f (x, t), in
quanto il valore del potenziale all’istante t viene ottenuto integrando i valori della densità f
negli istanti t − |x − ξ|/c. Questo potenziale e la sua derivata rispetto a t tendono a 0 per
t → 0, pertanto con questo potenziale non si possono soddisfare le condizioni iniziali assegnate
nel problema di Cauchy. Per risolvere il problema introdurremo due ulteriori potenziali.
5.2. Formula dei potenziali ritardati di Kirchhoff 65
∂ 2 u(x, t)
− c2 ∆u(x, t) = u0 (x) ⊗ δ 0 (t).
∂t2
Scrivendo la convoluzione con la soluzione fondamentale, per le proprietà della δ si ha
∂e(x, t)
V0 (x, t) = e(x, t) ∗ u0 (x) ⊗ δ 0 (t) = ∗ u0 (x) ⊗ δ(t)
(x,t) ∂t (x,t)
∂e(x, t) ∂h i
= ∗ u0 (x) = e(x, t) ∗ u0 (x) .
∂t x ∂t x
Ma dall’espressione di e(x, t), per la Proposizione 3.4, con sviluppi analoghi a quelli di V1 (x, t)
si ha
h(t)
Z
e(x, t) ∗ u0 (x) = u0 (η) dS(η).
x 4πc2 t Sct (x)
In definitiva per t > 0 si ha l’espressione
Z
1 ∂ 1
V0 (x, t) = u0 (η) dS(η) .
4πc2 ∂t t Sct (x)
∂e(x, t)
V0 (x, t) = ∗ u0 (x).
∂t x
Da questa si ha anche
∂V0 (x, t) ∂ 2 e(x, t)
= ∗ u0 (x).
∂t ∂t2 x
Ricordando allora le proprietà ii) e iii) della Proposizione 5.4, per t → 0+ si ha
∂e(x, t)
V0 (x, t) = ∗ u0 (x) → δ(x) ∗ u0 (x) = u0 (x),
∂t x x
∂V0 (x, t) 2
∂ e(x, t)
= ∗ u0 (x) → 0.
∂t ∂t2 x
Possiamo riunire i risultati delle Proposizioni 5.6, 5.7 e 5.8 nel seguente teorema riassuntivo.
Teorema 5.9 (Formula dei potenziali ritardati di Kirchhoff ). La soluzione del proble-
ma di Cauchy (5.4) con dati f ∈ C 2 R3 × [0, ∞) , u0 ∈ C 3 (R3 ) e u1 ∈ C 2 (R3 ) è la funzione
u ∈ C 2 (R3 × (0, ∞))
u(x, t) = V (x, t) + V1 (x, t) + V0 (x, t)
f ξ, t − |x−ξ|
1
Z
c
= dξ
4πc2 Bct (x) |x − ξ|
1 (5.9)
Z
+ u1 (ξ)dS(ξ)
4πc2 t Sct (x)
Z
1 ∂ 1
+ u0 (ξ)dS(ξ) .
4πc2 ∂t t Sct (x)
5.3. Teoremi di unicità e di stabilità 67
Possiamo precisare che nel punto x si ha u(x, t) = 0 fino all’istante in cui la sfera Bct (x)
raggiunge l’insieme
Qt = supt f (·, t) ∪ supt u0 ∪ supt u1 .
Teorema 5.10 (di stabilità). Supponiamo f (x, t), u0 (x) e u1 (x) limitate e fissiamo per le
soluzioni l’intervallo [0, T ]. Allora la soluzione dell’equazione delle onde è stabile, nel senso
che se si considerano le soluzioni u(x, t) e ũ(x, t), corrispondenti rispettivamente a f (x, t),
u1 (x), u0 (x) e a f˜(x, t), ũ1 (x), ũ0 (x), si ha
T2
|u(x, t) − ũ(x, t)| 6 kf − f˜k∞ + T ku1 − ũ1 k∞ + cT k grad u0 − grad ũ0 k∞ + ku0 − ũ0 k∞ .
2
1 dξ T2
Z
sup |V (x, t)| 6 sup |f (x, t)| 2
= sup |f (x, t)|,
4πc BcT (x) |ξ − x| 2
Z
1 1
sup |V1 (x, t)| 6 sup |u1 (x)| dS(ξ) = T sup |u1 (x)|.
4πc2 t Sct (x) t=T
da cui
sup |V0 (x, t)| 6 sup |u0 (x)| + cT sup | grad u0 (x)|.
u(x, t) − ũ(x, t) = V (x, t) − Ṽ (x, t) + V0 (x, t) − Ṽ0 (x, t) + V1 (x, t) − Ṽ1 (x, t)
si ha la tesi.
68 Capitolo 5. L’operatore delle onde
Gli integrali sulle sfere Sr (x1 , x2 , 0) di raggio r, con centro nei punti del piano (x1 , x2 ), si
possono esprimere con integrali nel piano sui dischi corrispondenti Dr (x1 , x2 ), nel seguente
modo: la funzione che manda il disco sulla semisfera superiore è data da
p
(ξ1 , ξ2 ) 7→ (ξ1 , ξ2 , z(ξ1 , ξ2 )) dove z(ξ1 , ξ2 ) = r2 − (ξ1 − x1 )2 − (ξ2 − x2 )2
Tenendo conto del fatto che per la semisfera inferiore si può fare lo stesso ragionamento, si
ottiene
ϕ(ξ)
Z Z
ϕ(ξ) dS(ξ) = 2r p dξ.
Sr (x) Dr (x) r − |ξ − x|2
2
Quindi partendo dalla formula data sopra per il caso tridimensionale e decomponendo l’inte-
grale su Bct (x) come un integrale di integrali su sfere, si arriva, per il caso bidimensionale,
alla nuova formula
Z tZ
1 f (ξ, t − τ )
u(x, t) = p dξdτ
2πc 0 Dcτ (x) c τ 2 − |ξ − x|2
2
u1 (ξ) ∂ u0 (ξ)
Z Z
+ p dξ + p dξ , (5.10)
Dct (x) c2 t2 − |ξ − x|2 ∂t Dct (x) c2 t2 − |ξ − x|2
5.5. Caso unidimensionale 69
che è anche detta formula di Poisson. Per il fatto che in questo caso gli integrali non sono sulle
circonferenze, ma sui dischi, anche quando le condizioni iniziali hanno supporto compatto, il
loro effetto sulla funzione u permane nel tempo senza più azzerarsi.
Dall’ultima formula (facendo il cambio di variabile τ 7→ t − τ ) si può anche verificare che
l’espressione della soluzione fondamentale per il caso bidimensionale è
1 χDct (0) (x) 1 h(ct − |x|)
e2 (x, t) = p = p .
2πc c t − |x|
2 2 2 2πc c2 t2 − |x|2
Perché queste siano soluzioni in senso classico f e g devono essere di classe C 2 , ma queste
sono soluzioni in senso generalizzato anche quando f e g sono solo continue.
Studiamo i due termini separatamente. Consideriamo prima f . Se poniamo
x1 − ct1 = x2 − ct2
si ha ovviamente
f (x1 − ct1 ) = f (x2 − ct2 )
e quindi i valori di f in x1 e in x2 sono uguali in tempi diversi t1 e t2 con
x1 − x2 = c(t1 − t2 ).
Integrando si ha allora
s
1 1
Z
f (s) = u0 (s) − u1 (ξ)dξ + A
2 2c 0
s
1 1
Z
g(s) = u0 (s) + u1 (ξ)dξ + B.
2 2c 0
Ma questa per t = 0 dà
u(x, 0) = u0 (x) + A + B
e quindi tenendo conto delle condizioni iniziali si ha
A + B = 0.
1 1 x+ct
Z
u(x, t) = u0 (x + ct) + u0 (x − ct) + u1 (ξ)dξ.
2 2c x−ct
Infine, si può verificare che l’espressione della soluzione fondamentale nel caso unidimensionale
è data da
1 1
e1 (x, t) = χ(−ct,ct) (x) = h(ct − |x|)
2c 2c
e si ha e1 (x, 0) = 0 e ∂e
∂t (x, 0) = 0 nel senso delle distribuzioni. Quindi nel caso non omogeneo
1
(1)
Anche questa formula poteva essere ottenuta col metodo della discesa.
Capitolo 6
Metodi funzionali
Per affrontare i teoremi di esistenza, e in generale lo studio delle soluzioni di problemi relativi
ad operatori ellittici, e in particolare all’operatore di Laplace, sono stati introdotti metodi
molto efficaci nell’ambito dell’analisi funzionale.
6.1 Introduzione
Dato l’aperto limitato Ω ⊆ Rn e date le funzioni u, v : Ω → R di classe C 1 (Ω) poniamo
Z
D(u, v) = grad u · grad v dx. (6.1)
Ω
Definizione 6.2. Indicheremo con H 1 (Ω) lo spazio ottenuto per completamento di C 1 (Ω)
rispetto alla norma k · kH 1 . ?
Osservazione 6.3. Essendo la norma kukH 1 definita tramite integrali, bisogna considerare
come elementi di H 1 (Ω) le classi di equivalenza delle funzioni definite quasi ovunque. ?
Proposizione 6.4. Lo spazio H 1 (Ω) risulta essere uno spazio di Hilbert con prodotto scalare
dato da Z
u, v H 1 = grad u · grad v + uv dx.
Ω
Dobbiamo ora dar senso alla restrizione al bordo di una funzione anche se non è definita
ovunque. Per affrontare questa questione ci occorre il seguente risultato che diamo senza
dimostrazione.
71
72 Capitolo 6. Metodi funzionali
Teorema 6.6. Sia Ω ⊆ Rn un dominio regolare con ∂Ω di classe C 1 e sia u ∈ C 1 (Ω). Allora
esiste una costante K > 0 tale che
Dimostrazione. Indicando con n il versore normale a ∂Ω, per il teorema della divergenza si
ha
Z Z Z Z
2 2 2
2
|u| div ñ + grad |u|2 · ñ dx.
|u| dσ = |u| n · n dσ = div |u| ñ dx =
∂Ω ∂Ω Ω Ω
2
Ricordando che grad |u| = 2u grad u, si ha
n
∂u
Z Z Z X
|u|2 dσ 6 sup | div ñ(x)| |u|2 dx + max sup |ñj | 2u dx.
∂Ω x∈Ω Ω j x∈Ω Ω ∂xi
i=1
e ponendo n o
M = max sup | div ũ(x)|, max sup |ñj | ,
x∈Ω j x∈Ω
si ha Z Z Z
|u|2 dσ 6 M (m + 1) |u|2 dx + M grad u2 dx 6 M (m + 1)kuk2 1 ,
H
∂Ω Ω Ω
T : C 1 (Ω) → C 1 (∂Ω),
definita da
T u = u∂Ω ,
cioè dalla restrizione di u su ∂Ω. Chiaramente l’operatore di traccia è un operatore lineare e
continuo rispetto alla topologia uniforme. ?
Mediante il Teorema 6.6 si può stabilire una estensione dell’operatore di traccia ad H 1 (Ω).
Teorema 6.8. Esiste un’unica estensione continua dell’operatore di traccia T allo spazio
H 1 (Ω) con
T : H 1 (Ω) → L2 (∂Ω).
6.2. Riformulazione del problema di Dirichlet 73
Dimostrazione. Sia {uk } una successione di Cauchy in C 1 (Ω) che converga a u in H 1 (Ω). Per
il Teorema 6.6 per ogni k, h si ha
T (uk − uh )
2 6 K
uk − uh
H 1 (Ω) .
L (∂Ω)
Per trattare il caso in cui le funzioni hanno traccia nulla al bordo conviene introdurre il
seguente spazio.
Definizione 6.9. Definiamo lo spazio H01 (Ω) come il completamento di D(Ω) nella norma
in H 1 . Indicheremo poi con H −1 (Ω) il suo duale topologico. ?
Proposizione 6.10. Per gli spazi H01 (Ω) e H −1 (Ω) si possono stabilire le seguenti inclusioni:
u ∈ H01 (Ω) ⇐⇒ T u = 0.
dove f : Ω → R è continua, allora è anche soluzione debole del problema di Dirichlet con
condizioni omogenee, nel senso della Definizione 6.11.
Tenendo presente che il primo integrale è hf, vi, la tesi segue dal fatto che D(Ω) è denso in
H01 (Ω).
Teorema 6.15. Sia u soluzione debole del problema di Dirichlet con f ∈ H −1 (Ω) e con
condizioni al bordo omogenee, allora u è soluzione della equazione ∆u = f nel senso delle
distribuzioni.
∂u(ξ 0 , t)
Z ξn
u(ξ) = dt,
0 ∂ξn
dove si è posto ξ 0 = (ξ1 , ξ2 , . . . ξm−1 ). Applicando a questa relazione la disuguaglianza di
Cauchy-Schwartz(1) si ha
∂u(ξ 0 , t) 2 ∂u(ξ 0 , ξn ) 2
Z ξn Z ξn Z a
u(ξ)2 6
dt ∂ξn dt 6 a
∂ξn dξn .
0 0 0
(1)
Poiché la quantità Z
(u, v) = uv dx
Ω
6.2. Riformulazione del problema di Dirichlet 75
aZ aZ aZ ∂u(ξ 0 , ξn ) 2
Z Z Z
u(ξ)2 dξ = 2
|u(ξ)| dξ 6 a ∂ξn dξ dξn
Ω 0 Ωm−1 0 0 Ωm−1
Z
2 grad u2 dξ,
6a
Ω
per cui la disuguaglianza dell’enunciato vale con K = a. Per il caso generale u ∈ H01 (Ω) si
può procedere per densità.
Il caso con condizioni al bordo non omogenee si riconduce al caso precedente con la seguente
definizione.
Definizione 6.19. Sia dato Ω con le stesse condizioni date sopra e sia ũ0 ∈ H 1 (Ω). Diremo
soluzione debole del problema di Dirichlet per l’equazione di Poisson con condizioni al bordo
non omogenee la funzione u ∈ H 1 (Ω) tale che u − ũ0 ∈ H01 (Ω) e
Si noti che se la condizione al bordo che si vuol porre è u(x) = u0 (x) per x ∈ ∂Ω, la funzione
ũ0 ∈ H 1 (Ω) dovrà essere tale che T ũ0 = u0 .
Teorema 6.20. Esiste ed è unica la soluzione del problema definito sopra.
Dimostrazione. Consideriamo il problema z ∈ H01 (Ω) e
∀v ∈ H01 (Ω) : D(z, v) = −hf, vi − D(ũ0 , v).
Il Teorema 6.18 garantisce l’esistenza di una soluzione z a questo problema. Poniamo infine
u = z + ũ0 .
Teorema 6.25. L’operatore −∆ : D(−∆) → L2 (Ω) è invertibile con inverso −∆−1 : L2 (Ω) →
H01 (Ω) continuo. Inoltre vale
Dimostrazione. Per ogni f ∈ L2 (Ω) poniamo −∆−1 f = u dove u ∈ H01 (Ω) è la soluzione
del problema −∆u = f nel senso della Definizione 6.38. Allora usando le disuguaglianze di
Schwartz e di Poincaré e indicando con k · k la norma in L2 (Ω) si ha
per cui
kuk∆ 6 Kkf k,
che si può scrivere anche
k − ∆−1 f k∆ 6 Kkf k,
con cui si esprime che −∆−1 è continuo.
Inoltre, siano f, g ∈ L2 (Ω); tenendo conto che −∆−1 f, −∆−1 g ∈ D(−∆), per la Proposi-
zione 6.22 si ha
Osservazione 6.26. Con il teorema precedente si stabilisce anche una proprietà di dipen-
denza continua della soluzione debole dell’equazione di Poisson dal dato f , almeno nel caso in
cui f ∈ L2 (Ω). ?
Per studiare il problema agli autovalori enunciamo senza dimostrazione il seguente impor-
tante teorema.
Teorema 6.27 (di Rellich). L’immersione di H01 (Ω) in L2 (Ω) è compatta, cioè l’operatore
di immersione
I : H01 (Ω) → L2 (Ω),
trasforma limitati in precompatti.
Definizione 6.28. Componendo l’operatore −∆−1 : L2 (Ω) → H01 (Ω) con l’immersione I :
H01 (Ω) → L2 (Ω), definiamo l’operatore
I ◦ (−∆−1 )
L : X → X.
σ(L) = R \ ρ(L).
N L − µI 6= {0},
σd (L) ⊂ σ(L).
In generale lo spettro
discreto non esaurisce lo spettro. Ci possono essere infatti valori di µ
per cui N L − µI = {0} ma R L − µI 6= X. Tali valori appartengono allo spettro ma
non sono autovalori. Una proprietà importante degli operatori compatti è proprio che per
essi gli autovalori esauriscono lo spettro. Quindi in questo senso gli operatori lineari compatti
“assomigliano” molto agli operatori lineari in spazi di dimensione finita.
Osservazione 6.32 (Proprietà degli autovalori). Se µ è un autovalore di L e x un auto-
vettore corrispondente, si ha
Lx, x
µ= .
x, x
Inoltre, se µ1 e µ2 sono due autovalori distinti, i corrispondenti autovettori x1 e x2 sono
ortogonali fra loro; dati infatti
Lx1 = µ1 x1 , Lx2 = µ2 x2 ,
Lemma 6.33. Si ha
m := sup Lx, x = kLk.
kxk=1
Dimostrazione. Dato che per kxk = 1 si ha Lx, x 6 kLk, e quindi ovviamente m 6 kLk,
resta da provare la disuguaglianza inversa.
Per x, y ∈ X si ha
L(x + y), (x + y) = Lx, x + Ly, y + 2 Lx, y
L(x − y), (x − y) = Lx, x + Ly, y − 2 Lx, y .
si ha
4 Lx, y 6 m kx + yk2 + kx − yk2 = 2m kxk2 + kyk2
e quindi
2 Lx, y 6 m kxk2 + kyk2 .
da cui si ottiene
kLxk2
6m e quindi kLk 6 m.
kxk2
Teorema 6.34. Dato nello spazio di Hilbert X l’operatore compatto e autoaggiunto L, posto
m = sup Lx, x ,
kxk=1
Dimostrazione. Per la definizione di estremo superiore esisterà una successione {xk } con kxk =
1, tale che
m = lim Lxk , xk .
k→∞
La successione Lxk , xk è limitata, esiste quindi una sottosuccessione
convergente. Pos-
siamo supporre che {xk } sia scelta sin dall’inizio in modo che Lxk , xk sia convergente.
Poniamo
µ = lim Lxk , xk .
k→∞
Infatti
Dal teorema dimostrato si evince che ogni operatore compatto, autoaggiunto, non nullo ha
almeno un autovalore non nullo. In base a questo risultato si può costruire un algoritmo per
determinare autovalori ed autovettori di un operatore compatto ed autoaggiunto.
Osservazione 6.35 (Procedimento di calcolo). Indichiamo con ϕ1 il vettore y determi-
nato nel teorema precedente e con µ1 il corrispondente autovalore. Introduciamo il seguente
procedimento per induzione.
Supponiamo di aver determinato k autovettori
ϕ1 , ϕ2 , . . . , ϕk ,
e i corrispondenti autovalori
µ1 , µ2 , . . . , µk ,
l’autovettore ϕk+1 viene cercato come il vettore che massimizza il funzionale
Lx, x
sotto le condizioni
kxk = 1, ϕi , x = 0 per i = 1, 2, . . . k.
L’esistenza di un tale vettore è conseguenza del teorema precedente. Infatti se indichiamo
con Xk il sottospazio di X per cui (ϕi , x) = 0 per i = 1, 2, . . . k, si vede facilmente che Xk è
sottospazio invariante, cioè
x ∈ Xk ⇒ Lx ∈ Xk ,
poiché
Lx, ϕi = x, Lϕi = µi x, ϕi = 0.
6.4. Elementi di teoria spettrale per operatori compatti 81
L’operatore L su Xk è compatto e autoaggiunto, quindi per il Teorema 6.34 esiste ϕk+1 con
kϕk+1 k = 1 per cui
Lϕk+1 , ϕk+1 = sup Lx, x , µk+1 = Lϕk+1 , ϕk+1 .
x∈Xk ,kxk=1
lim µk = 0.
k→∞
Chiaramente y ∈ Xn e quindi Ly = 0.
2o caso. Il procedimento continua indefinitamente, allora si hanno le successioni {ϕk } e
{µk } infinite. Facciamo vedere che
lim µk = 0.
k→∞
Supponiamo per assurdo che
lim |µk | > 0,
k→∞
ricordando che la successione dei valori assoluti degli autovalori è decrescente, quindi ammette
limite. In questo caso la successione
1
ϕk
µk
sarebbe limitata, e la successione degli elementi
1
ϕk = L ϕk
µk
dovrebbe avere una sottosuccessione convergente, ma ciò è impossibile perché {ϕk } è una
successione ortonormale.
82 Capitolo 6. Metodi funzionali
Dato x ∈ X poniamo
n
X
yn = x − x, ϕk ϕk . (6.3)
k=1
Facilmente si verifica che yn , ϕh = 0 per h = 1, 2, . . . , n e quindi si ha yn ∈ Xn . Consideriamo
ora l’operatore L nel sottospazio Xn , si ha
da cui si deduce kyn k2 6 kxk2 , e quindi vale anche kLyn k 6 |µn+1 |kxk e
lim Lyn = 0.
n→∞
Posto allora
∞
X
y =x− x, ϕk ϕk ,
k=1
si può verificare facilmente che vale Ly = 0 e y, ϕk = 0 per ogni k.
Osservazione 6.39. Se esistono autovalori, essi sono positivi. Segue dalla formulazione
debole se si pone u = v. ?
Lo studio del problema agli autovalori per l’operatore di Laplace può essere ricondotto a
quello del problema agli autovalori per l’operatore compatto −∆−1 in L2 (Ω). In effetti posto
il problema agli autovalori per l’operatore −∆
−∆u = λu,
Definizione 6.41. Per il Teorema 6.36 ogni elemento u ∈ L2 (Ω) può essere espresso mediante
la successione di autofunzioni ortonormali {ϕk } corrispondente alla successione degli autovalori
{µk } nel modo seguente
X ∞
u= (u, ϕk )ϕk + y,
k=1
Ma y in questo caso è nulla in quanto, sempre per il teorema citato si ha −∆−1 y = 0 e valgono
le condizioni di Dirichlet, quindi u è sviluppabile nella serie
∞
X
u= (u, ϕk )ϕk .
k=1
Questo sviluppo in serie di autofunzioni viene detto sviluppo in serie di Fourier della u. ?
Per trovare la soluzione di questo problema possiamo usare le autofunzioni ϕk e gli autovalori
λk di −∆ introdotte nella sezione precedente. Ricordiamo che si ha
∞
X
−∆u = (u, ϕk )λk ϕk ,
k=1
∂u(x, t)
− a2 ∆u(x, t) = 0
∂t
si ha
ϑ0 (t) ∆ϕ(x)
= a2 . (6.4)
ϑ(t) ϕ(x)
6.7. Metodo di Fourier per il problema misto del calore 85
I due membri di questa equazione risulteranno evidentemente costanti. Indichiamo con −a2 λ
tale costante. Dal secondo membro si ha allora l’equazione
∆ϕ(x) = −λϕ(x).
Questa equazione con le condizioni al bordo omogenee ci porta al problema agli autovalori per
l’operatore di Laplace. Indichiamo con {λk } la successione degli autovalori e ricordiamo che
risulta
λk > 0, lim λk = +∞.
k→∞
ϑ0 (t) + a2 λk ϑ(t) = 0.