Tutti testi di origine dell’italiano, vengono scritti in diverse varietà che noi raggruppiamo in origine
dell’italiano.
Lingua: è patrimonio culturale, e non serve solo alla comunicazione, di cui si deposita la parte
maggiore, nel nostro caso: l’italiano (lingua ufficiale); e la lingua a differenza della letteratura è
democratica (tutti sanno parlare, me non tutti scrivono).
Volgare: termine inventato da Dante, per il suo tempo e la sua situazione —> latino più utilizzato,
comune.
Differenze tra:
- Leopardi, Foscolo e Manzoni: non sono nativi dell’italiano, lo imparano
- Dante, Boccaccio e Petrarca sono nativi dell’italiano
FOSCOLO
Foscolo si è trasferito a venezia nel 1793 a 15 anni. A 19 anni aveva imparato anche a produrre e
dominare la lingua italiana. 5 anni nei quali l’ha interiorizzata e ha scelto questa lingua come la sua
lingua (così ha fatto manzoni e prima di loro hanno fatti grandi scrittori italiani di tutta la tradizione
letteraria).
Foscolo è considerato uno dei precursori del romanticismo che sta a cavallo del neoclassico e del
romantico. Perché scrive delle cose di imitazione classica incomprensibile e anche però i sepolcri.
Imita sia antico e esprime sentimento di appartenenza naziona nei sepolcri. DA SCRIVERE APPUNTI
SUI SEPOLCRI
Nel 1823 Foscolo quando stava a Londra ha pubblicato una serie di riflessioni sulla lingua. qui affida
alcune riflessioni sulla situazione linguistica a lui contemporanea:
- anche se in Italia si inizia a parlare italiano, non cessano di esistere e di essere parlati i dialetti
(così come ora);
- Afferma che Dante analizza 14 dialetti provinciali, e ne pescava delle parole per creare una
lingua unitaria, si parlava un italiano ibrido, che assume le desinenza e la grammatica della
lingua nazionale, pesando dai dialetti, sottolineando che anche se questa lingua non fosse
parlata dal volgo, era comunque compresa.
- Firenze ha stabilito parte della lingua nazionale non solo L grazie ai suoi grandi autori, ma
anche grazie ad altri fattori.
- Afferma che il dialetto siciliano ha molta fluidità di vocali, che scaturisce una melodia.
(Giovanni battista pellegrini è il primo che ha detto che l’italiano non è uno solo, ma esiste (4):
l’italiano alto, il dialetto, dialetto regionale, l’italiano regionale e l’italiano standard. Poi con il tempo
la sociolinguistica ha un periodo di fioritura in cui viene scritto”l’italiano dell’uso medio”. Il dialetto
non è la forma diastatica più bassa dell’italiano. Oggi questo è cambiato ci sono persone non colte e
poi persone coltissime).
(Oggi il fatto di parlare italiano non consente di accedere a tutte le forme. Don Lorenzo Milani, anni
60. Prete attivo nella Firenze degli anni 50 che ha interpretato il suo ministero come un impegno
sociale forte e dedicato alla scuola. Le persone che non si possono esprimere e che non posso capire
quello che viene detto non sono libere. Scrive vari libri come “Lettere a una professoressa”, che
hanno scritto i suoi allievi sotto la sua guida quando sono stati bocciati da una scuola che esclude i
poveri. Limpidezza cristallina della prosa di Don Lorenzo Milani, scrivo in modo che tutti possono
capire).
- Ci sono ipercorrettismi > quando uno non ha la forma corrette e corregge troppo sbagliando,
aggiunta di doppie in posizione intervocalica: partitti, apetitto.
- Prosa subordinante ovvero non molto coesa, procede come nel parlato, mettendo insieme
delle subordinate senza legarle tra loro - italiano popolare.
Questo lo chiamiamo italiano popolare, perché la lingua di riferimento a cui lui tende è l’italiano. Un
italiano che non è posseduta completamente. Lo caratterizza interferenza con il parlato:
1. mancata conoscenza norma scritta: doppie, ha con h > no grado istruzione alto;
2. interferenza con la lingua di partenza sua, della sua lingua parlata.
ALESSANDRO VERRI
Alessandro Verri (1741-1816) fu assiduo frequentatore dell'Accademia dei Pugni, che fondò
nel 1761 insieme al fratello Pietro e a un gruppo di altri giovani intellettuali particolarmente
insofferenti nei confronti della cultura classicista e attenti piuttosto agli sviluppi delle istanze
illuministe europee; proprio in questo ambito nacque la rivista più rappresentativa
dell'Illuminismo lombardo, “Il Caffè".
Alessandro Verri vi collaborò con la stesura di trentadue articoli, in cui denunciò
l'arretratezza dell'apparato giuridico, motivo di abusi e ingiustizie, e dell'accademismo
culturale, irrigidito in schemi ormai stantii e inadeguato allo spirito dei tempi. L'articolo più
celebre di Alessandro Verri, scritto per il primo numero del "Caffè", si intitola Rinunzia avanti
notaio degli autori del presente foglio periodico al Vocabo lario della Crusca, e affronta la
questione linguistica ponendola perfettamente in linea alle esigenze e alle prerogative della
nuova cultura. Il rifiuto del fiorentino trecentesco viene giustificato da sette precise
motivazioni, dalle quali si evince un concetto di lingua duttile e disponibile ad aperture
innovative, in netta contrapposizione al modello inflessibile proposto dai cruscanti.
Pensiero:
A partire dal presupposto implicito che la lingua sia un organismo in continua evoluzione, il
Verri rivendica ai contemporanei la possibilità di arricchire il lessico, senza alcuna restrizione
all'ampiezza del Vocabolario; questo deve poter attingere agli idiomi colti di ogni parte d'Italia
e d'Europa, nel caso in cui essi consentano di esprimere un concetto che la lingua italiana
non conosce o dice impropriamente, limite del confine geografico, nella prospettiva
cosmopolita del Verri, viene totalmente espunto.
● Rifiuta la purezza toscana poiché è solo forma e per nulla sostanza, egli invece vuole
sottolineare l'importanza delle idee;
● Rivendica la libertà di aggiungere e creare nuove parole in quanto sono uomini
intellettuali quanto Dante, Boccaccio…
● Non esiste nessuna legge che obblighi gli intellettuali a seguire i testi canonici della
Crusca, e il non arricchire e modificare una lingua è un’ingiusta schivitù;
● Sottolinea l’importanza delle parole in base alle idee, e quindi se quest’ultime
possono essere espresse con nuove parole, non di stampo classico, si deve avere la
libertà di usarle, così da rendere migliore la lingua stessa;
● le lingue si muovono in continuazione e quindi il purismo vuole congelare la lingua in
uno stato presunto perfetto (non si sa se è perfetto), vuole la sostanza e non la
forma, è contro la retorica.
● Nel punto 7: parla di una lingua unitaria esistente e compresa dalla maggior parte
della penisola (situazione metalinguistica).
MELCHIORRE CESAROTTI
Saggio sulla filosofia del gusto: vengono poste in discussione le tradizionali forme di critica
letteraria (da quella grammaticale a quella storica a quella allegorica) in virtù della necessità
di restituire alla ragione il valore adeguato; il criterio di massima affidabilità in materia di
esegesi letteraria è il gusto, ben prima di ogni prospettiva razionalistica: il critico deve più
vicino al poeta che al filosofo.
Saggio sulla filosofia delle lingue: rappresenta perfettamente il mutamento culturale in corso
e può essere considerato, anche per questo corrispondere a una crisi, la più complessa e
importante riflessione settecentesca sulla questione della lingua.
Lo scopo fondamentale dello scritto è di «togliere la lingua dal dispotismo dell'autorità e dai
capricci della moda e dell'uso, per metterla sotto il governo legittimo della ragione e del
gusto».
Riassunto riflessione:
Tesi dei puristi: credono che alcune lingue siano barbarie e povere, mentre altre nate colte
solo perché appartengono ad una nazione privilegiata; si crede che la lingua giusta è quella
pura, statica al di fuori di ogni cambiamento o contaminazione e tutte queste idee
impediscono il miglioramento della lingua stessa.
Punti di Cesarotti:
1. Nessuna lingua è originariamente barbara o colta, superiore o inferiore: poiché tutte
le lingue nascono allo stesso modo, come bisogno di ogni popolo e allo stesso modo
si modificano e maturano, e tutte le gare di bellezza linguistica sono pure vanità
pedantesche guidate da pregiudizi;
2. Nessuna lingua è pura: non può esserlo perché ogni lingua si forma con
un'accozzaglia di vari idiomi, così come un popolo; quindi la purità è un’editrice falsa
e inesistente, poiché tutti gli idiomi possono arricchirsi con lo scambio reciproco
(questione ancora aperta oggi con l’inglese);
3. La lingua non è razionale: non si può creare o determinare a tavolino, ma è casuale,
è una necessità della popolazione, e poiché non è parlata da poche persone, ma dal
maggior numero, si ha il diritto di modificarla secondo la propria necessità; “è il
maggior numero dei parlanti che autorizza un vocabolo”;
4. La lingua è inalterabile: le cause sono inevitabili e necessarie, si dividono in quella
del popolo (la pronuncia, desinenze, sintassi) e quella degli scrittori (riguardo lo stile);
5. Esistenza di dialetti e di varietà diastratiche (colti / volgo): un dialetto che si impone
grazie a varie spinte diventa lingua comune (pensiero modernissimo).
Se i dialetti si fossero arricchiti ed evoluti, ci sarebbero stati più autori illustri di più dialetti,
così da creare una lingua comune arricchita e formata da una scelta giudiziosa di termini,
che non ha bisogno di forestierismi per esprimere idee moderne.