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Il giorno della battaglia di Denerim è stata la prima occasione, e ho tutte le ragioni di pensare che sia stata anche l'ultima, in

cui mi sono rivolto al Creatore, o a chi per esso, sperando realmente di essere ascoltato.
Ero bloccato in una strada senza uscita e cercavo disperatamente un appiglio, qualunque cosa per tirarmene fuori, indenne
possibilmente.
Speravo che l'Arcidemone se ne tornasse da dov'era venuto, sparisse semplicemente o cose di questo genere.
Speravo in un miracolo, qualsiasi cosa avesse potuto far sì che non accadesse quello che da solo non potevo evitare.
Fino a quel giorno, non mi era mai importato granché della morte: io stesso venivo pagato per uccidere e sembravo aver
dimenticato il significato di compassione, tristezza, disperazione.
Fino al momento in cui la mia strada si incrociò con la sua.
Lui era la mia vittima designata, il mio bersaglio, ma era finito col diventare l'unica persona al mondo, lo posso giurare, che
avrei difeso con la mia stessa vita.
Lui era la ragione per cui ero disposto a tentare il tutto e per tutto per evitare quel sacrificio.
Già una volta avevo perso la persona che amavo – sì, la amavo, non ho più niente da perdere nell'ammetterlo, adesso.
Era successo in modo stupido, inutilmente - preferirei dimenticare come lei se ne andò - e non avevo nessuna intenzione di
rivivere una cosa del genere.
Un volta ero riuscito a sconfiggere i fantasmi dentro di me – lui mi aveva salvato – ma non sapevo se avrei retto di nuovo ad
un simile incubo.
Credo che non basterebbero cento vite nei Corvi per imparare ad incassare più volte certi colpi senza uscirne danneggiati
irreparabilmente.
Mi era sempre piaciuto illudermi che questa volta sarebbe finita bene, per entrambi, ma prima di partire da Redcliffe avevo
avuto il chiaro presentimento che con ogni probabilità non sarebbe andata così.

---

Ricordo ogni singolo particolare di quella notte, ogni sguardo, ogni sospiro, ogni parola.
Mordred – questo era il suo nome – era seduto sul bordo del letto, il viso tra le mani.
Dopo il colloquio con Riordan, qualche ora prima, mi era sembrato strano, quasi sconvolto.
Non capivo cosa gli fosse successo, così all'improvviso.
Era sgattaiolato via poco dopo, senza che me ne accorgessi, e non si era più fatto vivo fino a notte inoltrata, quando mi ero
ormai rassegnato a smettere di cercarlo.
Mi sedetti accanto a lui, deciso ad estorcergli il motivo del suo turbamento, con qualsiasi mezzo.
Non ce ne fu un gran bisogno, in realtà.
Lo accarezzai, scostandogli i capelli – meravigliosi, così chiari da sembrare fili d'argento – e gli sollevai il mento,
costringendolo a guardarmi negli occhi.
Se normalmente con il suo sguardo il mio cuore mancava un paio di battiti, quella sera me lo straziò, completamente.
Lo supplicai di parlare.
Si alzò e si avvicinò alla finestra. Mezzo svestito, alla luce della luna, mi mozzava il respiro.
Lo raggiunsi, non potendo sopportare la distanza che lui voleva impormi a tutti i costi.
«Speravo di poter evitare questo momento» sussurò, traendo un lungo sospiro.
«Non posso più tacere oltre, dunque. Sconfiggere l'Arcidemone una volta per tutte comporterà inevitabilmente un sacrificio. Il
Custode Grigio che infliggerà il colpo finale... morirà. Riordan è deciso a dare la sua vita, ma se dovesse fallire... toccherà a
me»
Non riuscivo a credere a quello che avevo appena sentito.
Sapendo quello che ci attendeva, la morte di uno o di entrambi era un'ipotesi fin troppo probabile, ma questo, quasi una
certezza, non potevo accettarlo senza tentare di oppormi.
«Non andrai da nessuna parte! La tua vita vale molto di più della mia: andrò io, se necessario. Pensi che non sia in grado di
decapitare un maledetto drago?»
Mi aveva risparmiato la vita, una volta: era il minimo che potessi fare per lui.
«Oh, Zev» sorrise appena «non è così semplice. Se tu lo facessi, morirebbe solo la bestia. L'essenza dell' Arcidemone si
impossesserà ben presto di qualche altra creatura. È necessaria la corruzione che scorre nel sangue dei Custodi per
distruggerlo completamente.»
Questo non bastò a convincermi che la sua non era un'idea assurda: i Custodi disponibili erano pochi, ma Mordred non era
l'unico sacrificabile, oltre a Riordan.
«Perché non Alistair allora? Anche lui è un Custode e non ha nessuno... da lasciare indietro»
Tra le perdite che potevamo subire confidavo, nel mio egoismo, che fosse possibile scegliere il male minore per me e per
Mordred.
«Zevran, ti prego. Non posso chiedergli di sacrificarsi al posto mio; lo farà solo se falliremo entrambi prima di lui. Non posso
permettere che, dopo tutto questo, il Ferelden venga privato del suo re»
Oh, certo. La salvezza del Ferelden prima di tutto.
Questo era un lato del suo carattere che non avevo mai davvero capito fino in fondo.
«Riordan ce la farà, vero?» rassegnarmi all'idea era impossibile, ma questo fu tutto quello che riuscii a tirare fuori.
Mi strinse a sé, evitando di rispondere.
«Vorrei solo che fingessimo che non esista nessun Flagello, per questa notte. Nessun Arcidemone, nessun sacrificio. Come se il
giorno non dovesse più sorgere, come se la notte fosse eterna» mormorò invece.
Alle mie orecchie suonò fin troppo simile all'ultimo desiderio di un condannato a morte. Chi ero io per poterglielo negare?
Stava già slacciandomi l'armatura e ben presto la lasciò cadere con malagrazia. Ero sul punto di protestare per il trattamento
che riservava al mio equipaggiamento, ma fu più svelto di me e mi tappò la bocca baciandomi con foga.
Le maniere gentili non erano mai state il suo forte... non che la cosa mi dispiacesse.
Ogni volta credevo che sarebbe stato il suo respiro sulla mia pelle, e non i Corvi o un Prole Oscura, ad uccidermi, ma del resto
avrei lasciato volentieri che prendesse la mia vita in quel modo.
Mi decisi a recuperare un minimo di lucidità per spingerlo sul letto e strappargli di dosso i pochi vestiti che indossava.
Splendido, pensai fermandomi ad osservarlo un istante. Forse esitai troppo, perché mi afferrò un polso e mi tirò su di sé per
baciarmi con passione disperata.
Lo percorsi con una carezza dal petto ai fianchi, e ancora più giù, finché dove mi soffermai gli fece sfuggire un gemito.
Volevo sentire ogni suo muscolo, ogni centimetro della sua pelle, qualsiasi cosa di lui, sulle mie mani e sulle mie labbra.
Gli sfiorai la bocca, schiusa appena per succhiarmi dolcemente le dita. Nonostante fosse un guerriero tutt'altro che raffinato,
riusciva sempre a sorprendermi con queste delicatezze che mi facevano perdere la testa.
Improvvisamente, la battaglia imminente era diventata l'ultimo dei miei pensieri e decisi di spostare le mie attenzioni più in
basso, insinuando le dita umide in lui, muovendole piano.
---

Giunti ai cancelli di Denerim fui attraversato da un brivido.


La città era prostrata dalla furia dell'attacco, ma non era questo che m'inquietava maggiormente.
Tutto, in un modo o nell'altro, sarebbe finito lì, sul confine delle mie certezze, tra le fiamme e il fumo che bruciava negli occhi.
Un passo e quel già fragile equilibrio che ero riuscito a costruirmi avrebbe potuto spezzarsi nel tempo di un respiro.
Questo incombeva su di me in ogni momento, certo, ma non era la solita scaramuccia con qualche Prole Oscura, magari
qualche drago. Di quelle non mi ero mai granché preoccupato: riponevo fin troppa fiducia nelle mie capacità.
Mordred, poi, era un guerriero formidabile: con la forza che aveva, ero sicuro che niente al mondo potesse abbatterlo.
Questa volta era diverso, sarebbe stato stupido non rendersene conto.
Da quando iniziavano i miei ricordi, era la prima volta che mi sentivo davvero pieno di incertezza, avviluppato in una paura
strisciante e gelida, ma non era quello il momento giusto per farsi trascinare dalla corrente congelata di quei sentimenti.
Mordred mi osservava, senza parlare. Avevo intuito quali fossero le sue intenzioni: pensava di potermi lasciare indietro –
proteggermi da quello che lui stava per affrontare.
«Vuoi che non ti segua? Sei così certo che sarò più al sicuro qui?» non riuscii a trattenermi.
“Sei davvero convinto che sarebbe meglio saperti a combattere lontano da me, nell'incertezza di non vederti tornare?”
«Andiamo» stando con me, aveva sviluppato una certa abilità nell'ascoltare le parole che lasciavo non dette.
«Fermati» stava per entrare in città quando Morrigan, rompendo il suo insolito silenzio, lo bloccò «Non credo di averti mai
compreso davvero, ma ora più che mai non capisco il perché delle tue scelte, elfo. Perché, mi chiedo. In ogni caso, sappi che
questa sarà l'ultima volta che mi vedrai. Qualunque sia l'esito della battaglia, io sparirò. Addio»
Ancora oggi mi domando quale fosse il senso di quelle parole, anche se la mia impressione fu che quella strega fosse al
corrente di qualcosa che io ignoravo, ma che Mordred sapeva bene.
Sospirò e voltò le spalle a Morrigan. Vidi un lampo di sofferenza attraversargli gli occhi, come se fosse stato pugnalato, solo
per un istante. Fui tentato di chiedere spiegazioni, ma se avessi esitato mi sarei ritrovato con ogni probabilità trapassato da
una spada nemica.
In un attimo eravamo nel mezzo della battaglia, io al suo fianco, come sempre, a guardargli le spalle, alla volta di Forte
Drakon. Se ci si concentrava solo sulle proprie armi, fingendo d'ignorare la devastazione lasciata da quegli esseri mostruosi
che impestavano ogni angolo, l'illusione era quella di trovarsi ancora in un'imboscata lungo la strada.
Illusione subito infranta dallo scontro dell'esercito - non credevo ancora potesse essere stato messo insieme da un gruppo mal
assortito come il nostro – con quell'orda apparentemente senza fine.
Quando vidi l'Arcidemone volteggiare su Forte Drakon, per un attimo pensai che, visto a quella distanza, sembrava quasi uno
dei soliti draghi che di tanto in tanto ci sbarravano la strada, ma al pensiero che quella dannata bestia infernale avrebbe
potuto portarmi via Mordred – presto, troppo presto - fui assalito da un impeto di rabbia che mi spinse a massacrare i nemici
con furia cieca, senza alcuna pietà.

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