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Neal Shusterman
È nato a New York nel 1962. Autore di libri
per ragazzi e young adult di grande
successo, ha ricevuto tra gli altri il National
Book Award per Il viaggio di Caden. Tra le
sue opere Downsiders, Full Tilt e Unwind. La
divisione. È anche autore di sceneggiature
per il cinema e la televisione.
Neal Shusterman
THUNDERHEAD
Libro 2 della Trilogia della falce
Il Thunderhead
1
Ninna nanna
Il Thunderhead
2
L’apprendista decaduto
Il Thunderhead
3
Il trialogo
Il Thunderhead
4
Agitato, non mescolato
Il Thunderhead
5
Un’oscurità necessaria
Il Thunderhead
6
Il giusto castigo
Il Thunderhead
7
Magrolino, ma promettente
Il Thunderhead
8
In nessun caso
Il Thunderhead
9
La prima vittima
Il Thunderhead
10
Morto
Era la prima volta che Greyson perdeva la vita. La maggior parte dei
ragazzi moriva almeno una o due volte prima di raggiungere la
maggiore età. Correvano più rischi degli adolescenti dell’epoca
mortale, perché le conseguenze non erano più permanenti. Invece di
morire e di restare sfigurati, dopo la rianimazione subivano una bella
lavata di capo. Nonostante tutto, Greyson non era mai stato un tipo
temerario. Certo, si era procurato la sua dose di ferite, ma i tagli e i
lividi, e anche un braccio rotto, erano guariti in meno di ventiquattro
ore. Perdere la vita era un’esperienza del tutto diversa, e non aveva
certo intenzione di ripeterla tanto presto. E, a peggiorare le cose,
ricordava ogni singolo secondo.
Il dolore acuto che aveva provato al momento dell’impatto si era
attenuato già prima di essere sbalzato in aria, oltre l’automobile.
Mentre cadeva, gli era sembrato che il tempo avesse rallentato.
Aveva provato un’altra fitta di dolore quando era atterrato sull’asfalto,
ma anche allora non era durata a lungo e, prima che Madame
Anastasia lo raggiungesse, i gemiti strazianti delle sue terminazioni
nervose devastate si erano smorzati fino a trasformarsi in un leggero
mormorio di malessere. Il suo corpo squassato voleva soffrire, ma gli
era proibito. Si ricordò di aver pensato, nel delirio indotto dagli
oppiacei, quanto dovesse essere triste per un corpo reclamare con
tanta forza ciò che gli veniva negato.
Il mattino dell’incidente, gli avvenimenti avevano preso una piega
che non aveva previsto. Per come se li era immaginati, sarebbe
semplicemente andato in publicar dalle falci per avvertirle che la loro
vita era in pericolo e poi avrebbe ripreso il normale corso della sua
esistenza. Sarebbe toccato a loro gestire il pericolo come meglio
pensavano. Con un po’ di fortuna, se la sarebbe cavata e nessuno,
tantomeno l’Interfaccia dell’Autorità, avrebbe saputo ciò che aveva
fatto. Era quella l’idea, no? Negare il suo coinvolgimento? L’IA non
avrebbe violato la legge se Greyson avesse agito di sua iniziativa e,
se nessuno lo avesse visto agire, non si sarebbe saputo in giro.
Certo, il Thunderhead lo avrebbe saputo. Seguiva i movimenti di
tutte le publicar, ed era al corrente della posizione di tutti in ogni dato
momento. Ma si imponeva anche regole molto severe riguardo alla
sfera privata. Non si sarebbe servito di informazioni che violavano il
diritto alla privacy di una persona. Curioso, ma le stesse leggi del
Thunderhead permettevano a Greyson di infrangere liberamente la
legge, purché lo facesse in privato.
Però i suoi piani avevano preso una piega inattesa quando la sua
publicar si era accostata lungo la strada a meno di un chilometro
dalla Casa sulla cascata.
«Spiacente» gli aveva detto la macchina, nel suo familiare tono
vivace. «Le publicar non possono transitare nelle strade private
senza l’autorizzazione del proprietario.»
Il proprietario era, naturalmente, la Compagnia, che non rilasciava
mai autorizzazioni di nessun tipo, e che era nota per spigolare chi
osava chiederne.
Greyson era quindi sceso dall’auto per farsi a piedi un tratto di
strada. Aveva ammirato gli alberi, domandandosi quanti anni
avessero e quanti di loro fossero lì dall’Era della Mortalità. Per puro
caso, aveva abbassato gli occhi e aveva visto quel filo sul suo
cammino.
Aveva notato gli esplosivi solo qualche secondo prima di sentire la
macchina avvicinarsi, e aveva capito che l’unico modo per fermarla
era di sbarrarle la strada. Non aveva riflettuto, aveva solo agito,
perché anche la minima esitazione avrebbe messo fine alla vita di
tutti loro. Si era lanciato davanti all’auto, in balia dei principi
fondamentali della fisica dei corpi in movimento.
Morire era un po’ come farsela nei pantaloni (cosa che forse gli era
capitata), e sprofondare in un gigantesco marshmallow così denso da
non riuscire a respirare. Il marshmallow si era trasformato in una
specie di tunnel che si era avvolto su se stesso come un serpente
che si morde la coda, e poi, all’improvviso, aveva riaperto gli occhi
sotto la luce diffusa di un centro di rianimazione.
All’inizio, si era sentito rincuorato, perché, se lo stavano riportando
in vita, allora voleva dire che aveva evitato l’esplosione. In quel caso,
non sarebbe rimasto nulla di lui da rianimare. Se si trovava al centro
di rianimazione voleva dire che era riuscito nella sua missione! Aveva
salvato la vita a Madame Curie e a Madame Anastasia!
Poi, sentì una fitta di dispiacere… perché non c’era nessuno con lui
nella stanza. Quando una persona moriva, i familiari erano i primi a
essere avvertiti. Era consuetudine che qualcuno fosse presente al
capezzale al momento del risveglio per accogliere il rianimato nel
mondo.
Per Greyson, non era venuto nessuno. Sullo schermo accanto al
letto era visualizzata una bizzarra cartolina di auguri di pronta
guarigione da parte delle sorelle. Rappresentava un mago intento a
fissare sconcertato il corpo senza vita del suo assistente che aveva
appena segato a metà.
“Complimenti per il tuo primo trapasso” diceva la cartolina.
Era tutto. Niente da parte dei suoi genitori. Non avrebbe dovuto
sorprendersi. Da quando il Thunderhead aveva assunto il loro ruolo,
si disinteressavano di lui. Ma anche il Thunderhead manteneva il
silenzio. Era quella la cosa che lo inquietava di più.
Entrò un’infermiera. «Bene, guarda chi si è svegliato!»
«Quanto tempo c’è voluto?» chiese Greyson, sinceramente
incuriosito.
«Appena un giorno. Tutto sommato, una rianimazione piuttosto
semplice e, dato che è la sua prima, è gratuita!»
Greyson si schiarì la voce. Aveva l’impressione di essersi
risvegliato da un sonnellino pomeridiano: un po’ giù di corda, un po’
di cattivo umore, ma niente di più.
«È venuto qualcuno a trovarmi?»
L’infermiera strinse le labbra. «Mi dispiace, caro.» Poi, abbassò lo
sguardo. Un gesto banale, dal quale però lui capì che non gli stava
dicendo tutto.
«Dunque, va bene? Me ne vado ora?»
«Non appena sarà pronto, siamo stati incaricati di metterla su una
publicar che la riporterà all’Accademia dei Nimbus.»
Di nuovo quello sguardo che evitava di incrociare il suo. Invece di
girarci intorno, Greyson decise di affrontarla direttamente. «C’è
qualcosa che non va, vero?»
L’infermiera si mise a ripiegare gli asciugamani che erano già
piegati. «Il nostro lavoro è rianimarla, non commentare quello che ha
fatto per ammazzarsi.»
«Quello che ho fatto è stato salvare la vita di due persone.»
«Non ero presente, non ne so nulla. Tutto ciò che so è che le è
stato dato il marchio di losco.»
Greyson non era sicuro di aver sentito bene.
«Losco? Io?»
L’infermiera tornò ad assumere la sua aria allegra e sorridente.
«Non è la fine del mondo. Sono sicura che riuscirà presto a dare un
colpo di spugna a tutto… se è quello che vuole.» Poi, batté le mani
come per liquidare la questione e disse: «Ora, che ne pensa di un
buon gelato prima di andarsene?».
Il Thunderhead
11
Un sibilo di seta cremisi
Greyson Tolliver era ben consapevole che per lui Madame Anastasia
si stava gettando sotto le ruote di un veicolo in corsa, perché era
chiaro che Maestro Costantino era pericoloso quanto una scheggia
impazzita. Greyson sapeva ben poco della struttura e della
complessità della Compagnia, ma era evidente che, affrontando una
falce anziana, Madame Anastasia si stava mettendo in gioco in prima
persona.
Nonostante tutto, aveva una presenza così imponente che
Greyson si chiese se in realtà fosse molto più vecchia di quanto
appariva.
«Lei sa che questo ragazzo ha salvato la mia vita e quella di
Madame Curie?» domandò a Costantino.
«In circostanze sospette.»
«Gli infliggerà una punizione corporale?»
«E se anche fosse?»
«Allora, devo ricordarle che la tortura è una pratica contraria ai
principi della Compagnia, e per questo chiederò al conclave di
adottare un provvedimento disciplinare nei suoi confronti.»
L’espressione impassibile sul viso di Maestro Costantino svanì per
un istante. Greyson non sapeva se fosse un bene o un male.
Costantino fissò per un attimo Madame Anastasia prima di rivolgersi
a una delle guardie.
«Sia così gentile da ripetere a Madame Anastasia cosa vi ho
ordinato di fare.»
La guardia lanciò un’occhiata a Madame Anastasia, ma Greyson
notò che non riuscì a sostenerne lo sguardo per più di un secondo.
«Ci ha ordinato di ammanettare il sospetto, di disattivargli i naniti
analgesici e di minacciarlo con diverse forme di sofferenza fisica.»
«Esatto!» esclamò Maestro Costantino, poi si voltò verso
Anastasia. «Vede? Non abbiamo commesso nessun abuso.»
Greyson era indignato quanto Madame Anastasia, ma non osò
esprimersi.
«Nessun abuso? Ha intenzione di picchiarlo finché non le dirà
quello che vuole sentirsi dire.»
Costantino sospirò e si rivolse alla guardia. «Cosa vi ho detto di
fare nel caso in cui non aveste ottenuto alcun risultato? Vi ho forse
detto di mettere in pratica le minacce?»
«No, eccellenza. Avremmo solo dovuto avvertirla se non avesse
cambiato la sua versione dell’accaduto.»
Costantino allargò le braccia in un gesto di beata innocenza. Le
ampie maniche rosse della veste sembravano le ali di un uccello di
fuoco pronto a divorare la giovane falce. «Ecco, vede? Non c’è mai
stata nessuna intenzione di fare del male al ragazzo. Ho scoperto
che in questo mondo senza dolore, la semplice minaccia della
sofferenza basta a indurre un colpevole a confessare. Ma questo
giovane insiste a confermare la sua versione nonostante le minacce
più terribili. Sono quindi convinto che stia dicendo la verità e, se mi
avesse consentito di terminare l’interrogatorio, lo avrebbe appurato
lei stessa.»
Greyson aveva la netta sensazione che tutti potessero percepire il
sollievo attraversarlo come una scarica elettrica. Costantino era
sincero? Non era in grado di giudicare. Le falci, per lui, erano
imperscrutabili. Vivevano su un piano superiore, oliando gli
ingranaggi del mondo. Non aveva mai sentito di una falce che
infliggeva intenzionalmente altre sofferenze a parte quelle della
spigolatura ma, solo perché lui non lo aveva mai sentito, non voleva
dire che non fosse possibile.
«Sono una falce con il senso dell’onore e condivido i suoi stessi
ideali, Anastasia. Quanto al ragazzo, non è mai stato in pericolo.
Sebbene ora sia tentato di spigolarlo solo per farle un dispetto.»
Rimase qualche secondo in silenzio, per lasciar sedimentare le sue
parole. Il cuore di Greyson saltò un paio di battiti. Madame Anastasia,
che era arrossita di rabbia, impallidì. «Ma non lo farò, perché non
sono un uomo che porta rancore.»
«Che tipo di uomo è, allora, Maestro Costantino?» chiese
Anastasia.
Le lanciò le chiavi delle manette. «Il tipo che non dimenticherà
tanto presto ciò che è accaduto qui oggi.» Se ne andò con un fruscio
della veste, seguito dalle sue guardie.
Quando furono usciti, Madame Anastasia si affrettò a togliere le
manette a Greyson. «Ti hanno fatto del male?»
«No» ammise lui. «Come ha detto, erano solo minacce.» Ma, ora
che era tutto finito, si rese conto che non stava meglio rispetto a
prima che arrivassero. Il suo sollievo fu presto rimpiazzato dalla
stessa amarezza che lo aveva afflitto da quando l’Accademia dei
Nimbus l’aveva messo alla porta.
«A ogni modo, perché è qui?» le chiese.
«Volevo ringraziarti per quello che hai fatto. Ti è costato molto.»
«Sì» ammise Greyson. «È vero.»
«Quindi, in ragione di ciò, ti offro un anno di immunità. È il minimo
che possa fare.»
Citra gli porse la mano. Greyson non aveva mai ricevuto
l’immunità. Non era mai stato così vicino a una falce prima di quella
settimana d’inferno, tantomeno all’anello di una falce. Risplendeva
anche nella luce diffusa della stanza, ma il centro era stranamente
scuro. Si accorse che voleva continuare a guardarlo, ma non
desiderava in alcun modo accettare l’immunità che gli veniva
concessa con l’anello.
«Non la voglio.»
La risposta la sorprese. «Non essere stupido, tutti vogliono
l’immunità.»
«Io non sono tutti.»
«Taci e bacia l’anello!»
Citra era irritata, e lui ancora di più. Era dunque quello il prezzo del
suo sacrificio? Un biglietto gratuito temporaneo per sfuggire alla
morte? La vita che avrebbe voluto fare era sfumata, a che serviva
cercare di prolungarla?
«Forse voglio essere spigolato. Insomma, tutto ciò per cui valeva la
pena vivere mi è stato tolto. A che scopo, allora, continuare a
vivere?»
Madame Anastasia abbassò l’anello. Si fece seria. Troppo seria.
«Bene. Allora, ti spigolerò.»
Greyson non se l’aspettava. Poteva farlo, se voleva. Poteva farlo
prima che lui avesse la possibilità di fermarla. Non voleva baciare
l’anello, ma non voleva nemmeno essere spigolato.
Avrebbe voluto dire che l’unico scopo di tutta la sua vita era stato
farsi investire dall’auto delle due falci. Doveva continuare a vivere, il
tempo di crearsi uno scopo ben più ambizioso. Anche se non sapeva
proprio quale.
Madame Anastasia scoppiò a ridere. Stava ridendo proprio di lui.
«Se solo potessi vedere la tua faccia!»
Ora toccava a Greyson arrossire, non per la rabbia, ma per
l’imbarazzo. Forse non aveva ancora finito di autocommiserarsi, ma
non avrebbe certo voluto farlo davanti a lei.
«Prego. Ecco, mi ha ringraziato, io ho accettato i suoi
ringraziamenti. Ora può andare.»
Lei non si mosse. Greyson non se l’aspettava proprio.
«È vero quello che dici?» chiese.
Se un’altra persona glielo avesse domandato, sarebbe potuto
esplodere, scavandosi il proprio cratere. Così le disse quello che
voleva sentire. «Non so chi ha messo gli esplosivi. Non faccio parte
del complotto.»
«Non hai risposto alla mia domanda.»
Madame Anastasia attese, pazientemente. Non lanciò minacce,
non gli fece promesse. Greyson non sapeva se poteva fidarsi di lei,
ma si rese conto che non gli importava più. Era stanco di dissimulare
e dire mezze verità.
«No. Ho mentito.» Ammettendolo, si sentì libero.
«Perché?» Madame Anastasia non sembrava arrabbiata, solo
curiosa.
«Perché era meglio per tutti.»
«Tutti, meno che per te.»
Lui alzò le spalle. «Non sarebbe cambiato nulla per me, qualsiasi
cosa avessi detto.»
Madame Anastasia accettò la sua spiegazione e si sedette di
fronte a lui, fissandolo a lungo. La cosa non gli piacque. Lei era
ancora una volta su un piano superiore, assorta nei suoi pensieri
segreti. Chissà quali macchinazioni passavano per la testa di
un’assassina socialmente accettata.
Madame Anastasia annuì. «È stato il Thunderhead. Sapeva del
complotto, ma non poteva avvertirci. Aveva bisogno di una persona di
fiducia che se ne occupasse. Qualcuno che prendesse nota
dell’informazione e agisse di sua iniziativa.»
Greyson si meravigliò per la perspicacia: era stata l’unica a capirlo.
«Anche se fosse vero, non glielo direi.»
Lei sorrise. «Non vorrei che lo facessi.» Continuò a fissarlo, con
un’espressione gentile, ma che denotava anche un po’ di rispetto.
Addirittura! Una falce che mostrava rispetto per Greyson Tolliver!
Madame Anastasia si alzò per uscire. Lui si rattristò nel vederla
andare via. Restare solo con la sua L lampeggiante e i suoi pensieri
disfattisti non gli andava proprio.
«Mi dispiace che ti abbiano affibbiato il marchio di losco» gli disse
prima di allontanarsi. «Ma, anche se non puoi parlare con il
Thunderhead, puoi sempre accedere a tutte le sue informazioni. Siti
web, banche dati: tutto, a parte la sua coscienza.»
«A che serve se non ho più una mente a guidarmi?»
«Hai sempre la tua mente» gli fece notare lei. «Varrà pure
qualcosa.»
Il Reddito Minimo Garantito fu istituito prima della mia ascesa al potere. Anche prima
di me, molte nazioni avevano iniziato a retribuire i loro cittadini per il semplice fatto di
esistere. Era necessario perché, con l’aumento dell’automazione, la disoccupazione
stava rapidamente diventando la norma invece che l’eccezione. I concetti di “stato
sociale” e “sistema previdenziale” rinacquero sotto la sigla di RMG: tutti i cittadini
avevano diritto a una fetta della torta, a prescindere dalle loro capacità o dal loro
desiderio di contribuire.
Gli umani, tuttavia, hanno una necessità di base oltre al semplice salario. Hanno la
necessità di sentirsi utili, produttivi o almeno occupati, anche se il lavoro non porta
nulla alla società.
Di conseguenza, sotto la mia guida benevola, chiunque voglia un lavoro può averlo,
e con un salario superiore al RMG, in maniera che ci siano un incentivo da
raggiungere e un metodo di valutazione dei progressi. Aiuto ogni cittadino a trovare un
lavoro che lo soddisfi. Certo, pochissime di queste occupazioni sono necessarie, in
quanto potrebbero essere tutte svolte da macchine, ma l’illusione di avere uno scopo è
essenziale per garantire il buon equilibrio della popolazione.
Il Thunderhead
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Su una scala da uno a dieci
Il Thunderhead
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Non proprio una bella immagine
Il Thunderhead
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Tyger e la falce smeraldo
«Credo che tu sia quasi pronto» gli annunciò quella sera a cena la
falce smeraldo. Il robot aveva appena servito loro una bella bistecca
magra, una vera bistecca, non roba sintetizzata. Non c’era niente di
meglio delle proteine naturali per irrobustire i muscoli.
«Pronto per l’anello, vuole dire? O ha in mente qualcos’altro?»
La falce smeraldo gli rivolse un sorriso enigmatico che trovò più
seducente di quanto non volesse ammettere. Quando era arrivato,
non l’aveva trovata attraente, ma qualcosa nella natura intima e
crudele del combattimento Bokator aveva cambiato il loro rapporto.
«Se è per l’anello da falce, non ci sono delle prove da superare
davanti al conclave?» chiese Tyger.
«Fidati di me, festaiolo. Avrai l’anello al dito senza dover andare a
un conclave. Ti do la mia parola.»
Allora, sarebbe diventato una falce! Tyger finì la cena con appetito.
Conoscere finalmente il suo destino era stimolante e agghiacciante al
tempo stesso.
Parte terza
NEMICI TRA I NEMICI
Addio, Terra di Wake,
tutti insieme verso Nod puntiamo,
che sia alla conquista del cielo,
o che sottoterra a danzare finiamo.
Rintocca la campana:
addio, terra dei vivi,
addio, terra dei morti,
la meta non è lontana,
addio alla terra dei saggi che contano i corpi.
Addio, Terra di Wake,
con le spalle al nord verso sud muoviamo,
verso la Terra di Nod insieme andiamo.
Il Thunderhead
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Andrà bene finché non andrà male
Il Thunderhead
17
SBAllo
Il Thunderhead
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Cercasi Purity
Greyson Tolliver era onesto fino all’eccesso, mentre Slayd era subito
diventato un irriducibile bugiardo. Aveva cominciato con il suo
passato. Si era inventato una triste vita familiare. Momenti decisivi
mai accaduti. Aneddoti che facevano ridere e che lo rendevano
detestabile o degno di ammirazione.
I genitori di Slayd erano professori di fisica e si aspettavano che il
figlio seguisse le loro orme, perché, con genitori così, doveva essere
un genio. Invece, aveva scelto di essere un ribelle e di fare di testa
sua. Una volta si era tuffato dalle cascate del Niagara in un tubo
gonfiabile, perché l’emozione che dava era molto più forte di un
lancio nel vuoto. C’erano voluti tre giorni per recuperarne il corpo e
rianimarlo.
Le sue imprese al liceo erano leggendarie. Aveva sedotto la regina
e il re del ballo, ma solo perché si lasciassero, perché erano la coppia
più arrogante e narcisista del liceo. «Affascinante» gli aveva detto
Traxler con sincera ammirazione, al loro incontro successivo,
iniziando a dargli del tu. «Non credevo che avessi così tanta
immaginazione.»
Greyson Tolliver avrebbe potuto offendersi, ma Slayd lo prese
come un complimento. E dato che Slayd era un tipo così
interessante, pensò di tenersi il nome anche dopo aver portato a
termine la missione in incognito.
Grazie a Traxler, le storie che inventava finirono nel suo fascicolo
ufficiale. Da quel momento, le sue bugie sarebbero state visibili a
tutti, se qualcuno avesse voluto verificarle, e, per quanto avessero
indagato, non sarebbero riusciti a smascherarle.
E le storie crescevano, crescevano…
«Quando mia madre fu spigolata, decisi di diventare un losco»
diceva alla gente, «ma il Thunderhead non mi voleva assegnare la L.
Continuava a mandarmi un consulente e a ritoccare i miei naniti.
Pensava di conoscermi meglio di quanto mi conoscessi io e mi
ripeteva sempre che non volevo diventare veramente un losco, che
ero solo confuso. Alla fine, ho dovuto combinare qualcosa di grosso
per farmi sentire. Così ho rubato una macchina non connessa alla
rete per speronare un autobus e farlo precipitare da un ponte. Ci
sono stati ventinove morti. Certo, dovrò pagare le rianimazioni per
anni, ma ne è valsa la pena, perché ho ottenuto quello che volevo!
Ora, posso continuare a essere losco finché non avrò finito di
pagare.»
La storia era talmente avvincente da impressionare sempre il suo
pubblico, e nessuno poteva contestarla, perché l’agente Traxler
l’aveva prontamente aggiunta al suo archivio digitale ufficiale. Traxler
era addirittura arrivato a inventare una storia di sana pianta per
sostenere l’incidente dell’autobus e delle vittime inesistenti. Aveva
addirittura attribuito a Slayd un cognome adeguatamente ironico: ora
era Slayd Bridger. In un mondo in cui nessuno, nemmeno i loschi,
uccideva volontariamente il prossimo, quella storia era diventata in
fretta una leggenda locale.
Passava i giorni a raccontare le sue fandonie nei luoghi frequentati
dai loschi, approfittandone per far girare la voce che cercava un
lavoro, non un lavoro normale, ma uno in cui potesse sporcarsi le
mani.
Aveva cominciato ad abituarsi agli sguardi sospettosi dei passanti.
Al modo in cui i negozianti lo osservavano come se volesse derubarli.
Al fatto che certe persone attraversavano la strada piuttosto che
restare sul suo stesso marciapiede. Trovava strano che il mondo
fosse privo di pregiudizi e discriminazioni, se non nei confronti dei
loschi, che, per la maggior parte, volevano fare del resto dell’umanità
il loro nemico comune.
Il Mault non era l’unico club SBAllo in città, ce n’erano molti,
ognuno improntato a un diverso periodo del passato. Il Twist si
ispirava all’Inghilterra di Dickens, il Benedicts proponeva uno stile
coloniale mericano e il MØRG offriva una serie di vizi vichinghi
euroscandinavi. Greyson ne frequentava diversi, ed era diventato un
esperto nel creare situazioni in cui farsi riconoscere e guadagnarsi il
rispetto della comunità di loschi.
La cosa più inquietante era che cominciava a piacergli. Mai prima
di allora aveva avuto il permesso di fare qualcosa di male, ma ora,
quel “male” era l’essenza stessa della sua vita. Lo teneva sveglio la
notte. Aveva un disperato bisogno di parlarne con il Thunderhead,
ma sapeva che non avrebbe ricevuto nessuna risposta. Sapeva però
che il Thunderhead lo osservava. Le sue telecamere erano in tutti i
club. La sua presenza continua e imperturbabile gli era sempre stata
di conforto. Anche nei momenti di maggiore solitudine, non si era mai
sentito davvero solo. Adesso, però, quella sua presenza muta era
diventata angosciante.
Il Thunderhead si vergognava di lui?
Si inventava dei dialoghi per placare le sue paure.
“Hai la mia benedizione per esplorare questo nuovo aspetto della
tua personalità” ipotizzava che gli dicesse il Thunderhead. “Non c’è
nulla di male, purché non dimentichi chi sei veramente e non perdi te
stesso.”
“Ma se fossi davvero così?” si chiedeva. Nemmeno il Thunderhead
immaginario aveva una risposta a quella domanda.
Il Thunderhead
19
Le lame affilate della nostra coscienza
Era passata più di una settimana dal loro incontro con Maestro
Costantino, e né Citra né Marie avevano eseguito una sola
spigolatura. All’inizio, Citra aveva pensato che una pausa non le
avrebbe fatto male. Non le era mai piaciuto assestare colpi di lama o
premere un grilletto; non le era mai piaciuto vedere la luce della vita
spegnersi negli occhi di quelli che avvelenava, ma il mestiere di falce
cambiava chiunque. Nel corso del suo primo anno da falce aveva a
poco a poco accettato la professione che l’aveva scelta. Spigolava
con compassione, era brava, e aveva finito per sentirsene orgogliosa.
Citra e Marie passavano sempre più tempo a scrivere i loro diari,
anche se, non spigolando, avevano meno da raccontare.
Continuavano a “vagabondare”, come diceva Marie, di città in città,
senza mai restarci più di un giorno o due e senza mai pensare alla
successiva destinazione se non al momento di fare i bagagli. Citra si
accorse che il suo diario stava cominciando ad assomigliare a un
registro di viaggio.
Ciò di cui Citra non scriveva era il prezzo fisico che Madame Curie
pagava per quell’ozio. Senza la spigolatura quotidiana, era più lenta
al mattino, quando parlava sembrava vagare con la mente e si
sentiva sempre stanca.
«Forse è ora che mi ringiovanisca» confessò a Citra.
Era la prima volta che Marie accennava a quell’eventualità. Citra
non sapeva cosa pensare. «A che età?»
Madame Curie finse di rifletterci, come se non lo stesse facendo da
tempo. «Forse, trenta o trentacinque anni.»
«Manterresti i capelli argentei?»
Sorrise. «Certo. È il mio marchio distintivo.»
Nessuno di sua conoscenza, parenti o amici, si era ancora mai
ringiovanito. A scuola Citra aveva avuto dei compagni i cui genitori si
ringiovanivano o si invecchiavano a loro piacimento, secondo
l’umore. Un suo professore di matematica era rientrato del tutto
irriconoscibile dopo un lungo fine settimana. Si era riprogrammato
sull’età di ventun anni, e alcune ragazze della classe erano andate in
visibilio per quel suo nuovo aspetto giovanile, che, secondo loro, lo
rendeva molto sexy. A Citra tutto questo faceva venire la pelle d’oca.
Anche se Madame Curie non sarebbe cambiata molto tornando ai
suoi trent’anni, la cosa era comunque sconcertante. Citra sapeva di
essere egoista, ma questo non le impedì di dirle: «Mi piaci come sei
adesso».
Marie sorrise. «Forse aspetterò il prossimo anno. Un’età fisica di
sessant’anni è un buon momento per ricominciare. Ne aveva settanta
l’ultima volta che l’ho fatto.»
Ma ora c’era in ballo una partita che avrebbe potuto ridare nuova
vita a entrambe. Tre spigolature, e tutte nella stagione del Mese delle
luci e delle festività dei bei vecchi tempi, come i tre fantasmi di Natale
passato, presente e futuro, quasi dimenticati nell’era post mortale. Lo
spirito del passato non aveva più molto senso, ora che si indicavano
gli anni con i nomi e non più con i numeri. E per la maggior parte
della gente, il futuro non era altro che il prolungamento del presente,
relegando i tre fantasmi nell’oblio.
«Spigolature delle feste!» esclamò gioiosa Marie. «Cosa potrebbe
essere più adatto ai bei vecchi tempi della morte?»
«È tanto orribile dire che non vedo l’ora?» chiese Citra, più a se
stessa che a Marie. Avrebbe potuto addurre come giustificazione il
fatto che non vedeva l’ora di smascherare il loro attentatore, ma
sarebbe stata una bugia.
«Sei una falce, cara. Non essere troppo dura con te stessa.»
«Pensi che Maestro Goddard avesse ragione? Che in un mondo
perfetto, anche le falci hanno il diritto di amare ciò che fanno?»
«Certo che no!» esclamò Marie, con la giusta dose di indignazione.
«Amare ciò che si fa non ha nulla a che vedere con il piacere di
uccidere.» Guardò a lungo Citra, poi le prese la mano. «Il semplice
fatto che questa domanda ti tormenti significa che sei una falce
rispettabile. Conserva il tuo senso morale, Anastasia, non lasciare
mai che si affievolisca. È il bene più prezioso di una falce.»
Per la prima delle tre spigolature, Madame Anastasia aveva
designato una donna che aveva scelto di morire lanciandosi dal
grattacielo più alto di Fargo, una città che aveva edifici piuttosto
bassi. Quaranta piani erano comunque un’altezza più che degna per
assicurare il risultato voluto.
Maestro Costantino, una mezza dozzina di altre falci e un’intera
falange della Suprema Guardia si nascosero in punti strategici: sul
tetto, in tutto l’edificio e nelle strade circostanti. Aspettavano, in
agguato, di poter sventare la trama omicida oltre all’assassinio
premeditato.
«Farà male, eccellenza?» chiese la donna, guardando il vuoto dal
bordo del tetto ghiacciato e spazzato dal vento.
«Non credo» rispose Madame Anastasia. «E comunque durerà
solo una frazione di secondo.»
Dato che si trattava di una spigolatura ufficiale, la donna non
poteva saltare da sola; la spinta doveva dargliela Madame Anastasia.
Stranamente, Citra trovò il gesto molto più piacevole che spigolare
con un’arma. Le ricordava quel terribile momento in cui, da bambina,
aveva spinto un’altra ragazzina davanti a un camion. Naturalmente,
la ragazzina era stata rianimata nel giro di un paio di giorni ed era
tornata a scuola, come se non fosse successo nulla. Questa volta,
però, non ci sarebbe stata rianimazione.
Madame Anastasia fece quello che doveva fare. La donna morì
come previsto, senza fanfara né incidenti, e la sua famiglia baciò
l’anello di Madame Anastasia, accettando solennemente l’anno di
immunità.
Citra si sentì tanto sollevata quanto delusa che nessuno fosse
sbucato dal nulla, pronto ad affrontarla.
Il Thunderhead
20
Nell’acqua bollente
Il Thunderhead
21
Non sono stata abbastanza chiara?
Il Thunderhead
22
La morte di Greyson Tolliver
Sbalordito dalla piega che avevano preso gli eventi, Greyson fissava
attonito l’agente Kreel.
«So che le spigolature non sono mai piacevoli né opportune» disse
la donna, «ma anche noi dell’Interfaccia dell’Autorità non ne siamo
immuni. Le falci possono spigolare chiunque scelgano, e noi non
abbiamo voce in capitolo. È così che va il mondo.» Si interruppe per
dare un’occhiata al tablet. «I nostri archivi indicano che lei è stato
trasferito sotto la nostra giurisdizione appena un mese fa. Ne deduco
che in realtà non ha avuto molto tempo per conoscere l’agente
Traxler, e dunque non può sostenere di avere stretto con lui un
rapporto tanto profondo. La sua scomparsa ci riempie di dolore, ma
ce ne faremo una ragione, e anche lei.»
Lo guardò, in attesa di una qualche risposta, ma Greyson ne stava
ancora cercando una. La donna interpretò il suo silenzio come un
assenso e proseguì.
«La sua esibizione da acrobata sul ponte Mackinac ha provocato
ventinove vittime, e deve rimborsare i costi delle rianimazioni. Dal suo
trasferimento qui si è mantenuto grazie al Reddito Minimo Garantito.»
Scosse la testa in segno di disapprovazione. «Si rende conto che un
vero lavoro le darà uno stipendio più alto e le permetterà così di
estinguere il debito in molto meno tempo? Perché non fissa un
appuntamento al centro per l’impiego? Se vuole un lavoro, ne avrà
uno che sono sicura le piacerà. Abbiamo il 100 per cento di occupati
e il 93 per cento di soddisfatti, e tra questi ci sono anche i loschi
estremi come lei!»
Alla fine, Greyson recuperò la voce. «Non sono Slayd Bridger»
disse, e a udire le sue parole si sentì un traditore.
«Prego?»
«Intendo che ora sono Slayd Bridger… ma prima il mio nome era
Greyson Tolliver.»
La donna batté sul tablet, navigando tra schermate e menu, da un
file all’altro. «Qui non risulta nessun cambio di nome.»
«Ho bisogno di parlare con il suo superiore. Con qualcuno che ne
sia al corrente.»
«I miei superiori hanno le stesse informazioni che ho io» rispose,
lanciandogli un’occhiata sospettosa.
«Io… io sono un agente infiltrato. Lavoravo con Traxler… qualcuno
deve per forza saperlo! Ci dev’essere un appunto da qualche parte!»
La donna scoppiò a ridere. Rideva proprio di lui.
«Oh, per favore! Siamo pieni dei nostri agenti. Non abbiamo
bisogno di “infiltrati” e, anche se fosse, non assumeremmo mai un
losco, soprattutto uno con un passato come il suo.»
«Mi sono inventato tutto!»
Il viso dell’agente Kreel s’indurì: doveva essere il tipo di
espressione che riservava ai casi più difficili. «Ora ascolti bene, non
mi prenderà certo in giro con il suo scherzo da losco! Siete tutti
uguali! Pensate di avere il diritto di farvi beffe di noi solo perché
abbiamo scelto una vita che ha un senso, una vita al servizio del
mondo! Scommetto che dopo questo appuntamento se la riderà alle
mie spalle con i suoi amici, e questo non mi piace!»
Greyson aprì la bocca. La richiuse. La riaprì. Nonostante tutti i suoi
sforzi, non riuscì ad articolare una singola parola, perché sapeva che
nulla avrebbe potuto convincerla. Mai. Si rese conto che non
esistevano prove a sostegno della sua versione, perché nessuno gli
aveva mai affidato ufficialmente la missione. Non lavorava per conto
dell’IA. Come gli aveva spiegato l’agente Traxler il primo giorno, era
un privato cittadino che agiva di sua spontanea volontà, perché solo
un privato cittadino poteva superare la sottile linea di confine tra la
Compagnia e il Thunderhead…
… Ora che l’agente Traxler era stato spigolato, non c’era nessuno,
nessuno che sapesse quello che stava facendo. La copertura di
Greyson era tale da averlo inghiottito del tutto, e nemmeno il
Thunderhead avrebbe potuto tirarlo fuori.
«Allora, la facciamo finita con questo giochetto?» gli chiese
l’agente. «Possiamo procedere all’incontro settimanale?»
Greyson inspirò a fondo ed espirò lentamente. «Bene» disse, e
cominciò a fare il resoconto della settimana, omettendo le cose che
avrebbe detto all’agente Traxler, e non fece più nessun cenno alla
sua missione.
Greyson Tolliver era morto. Peggio che morto, perché, per il
mondo, Greyson Tolliver non era mai esistito.
Brahms!
Ora Rowan si sentiva doppiamente responsabile della spigolatura
del padre. Quello era il prezzo della moderazione, la ricompensa per
aver lasciato vivere Brahms. Avrebbe dovuto annientare quell’orribile
ometto come aveva fatto con tutte le altre falci indegne di portare
l’anello, ma aveva deciso di dargli un’opportunità. Che sciocchezza
credere che un uomo come lui potesse meritarsi una seconda
occasione.
Quella sera, dopo aver lasciato Senocrate ai bagni pubblici, Rowan
aveva vagato per le strade di Fulcrum City senza meta, ma con un
bisogno incontrollabile di muoversi. Non sapeva se stava cercando di
fuggire dalla rabbia o se la stava rincorrendo. Forse, entrambe le
cose. La collera gli era davanti, gli era alle spalle, non l’avrebbe mai
lasciato in pace.
Il giorno dopo, decise di tornare a casa. La sua vecchia casa.
Quella che aveva lasciato quasi due anni prima per diventare
l’apprendista di una falce. Magari sperava in quel modo di trovare la
forza di voltare pagina.
Una volta raggiunto il suo quartiere, controllò che nessuno lo
stesse osservando, ma la strada era libera. Tranne per le
onnipresenti telecamere del Thunderhead. Forse, dato che non
aveva partecipato al funerale del padre, la Compagnia pensava che
non si sarebbe fatto vedere da quelle parti. O forse era proprio come
aveva detto Senocrate: adesso era passato in secondo piano.
Si avvicinò alla porta principale, ma all’ultimo momento non osò
bussare. Non si era mai sentito tanto codardo. Era capace di sfidare
senza timore uomini e donne addestrati a porre fine a una vita, ma
affrontare la sua famiglia dopo la spigolatura del padre andava oltre
le sue possibilità.
Quando la publicar fu a distanza di sicurezza, chiamò la madre.
«Rowan? Rowan, dove sei stato? Dove sei? Siamo stati così
preoccupati!»
Era la reazione che si aspettava da sua madre. Non rispose alle
sue domande.
«Ho saputo di papà. Mi dispiace, mi dispiace così tanto…»
«È stato terribile, Rowan. La falce si è seduta al piano. Ha suonato.
Ci ha obbligato tutti ad ascoltare.»
Rowan fece una smorfia. Sapeva del rituale di spigolatura di
Brahms. Non riusciva a immaginare quanto la sua famiglia avesse
dovuto sopportare.
«Gli abbiamo detto che eri stato l’apprendista di una falce. Anche
se non eri stato scelto, pensavamo che quello potesse fargli
cambiare idea. Non è stato così.»
Non le rivelò che era stato per colpa sua. Avrebbe voluto
confessarglielo, ma sapeva che l’avrebbe soltanto confusa e che gli
avrebbe fatto altre domande a cui non poteva rispondere. O forse, si
stava comportando ancora una volta da codardo.
«Come stanno tutti?»
«Ci facciamo coraggio. Abbiamo di nuovo l’immunità, almeno una
piccola consolazione. Mi dispiace che tu non sia venuto. Se ci fossi
stato, Maestro Brahms avrebbe concesso l’immunità anche a te.»
A quel pensiero, Rowan fu preso dalla rabbia e tirò un pugno sul
cruscotto.
«Attenzione! Ogni comportamento violento e/o atto di vandalismo
determinerà l’espulsione dal veicolo» lo avvertì la macchina. Rowan
la ignorò.
«Ti prego, torna a casa, Rowan. Ci manchi tanto.»
Strano, non pareva che avessero mai sentito la sua mancanza
durante l’apprendistato. In una famiglia numerosa come la sua,
probabilmente non avevano nemmeno notato la sua assenza. Una
spigolatura però poteva cambiare tutto, rifletté. Le persone colpite da
un lutto si sentivano molto più vulnerabili e davano più valore agli
altri.
«Non posso tornare a casa. E, per favore, non chiedermi perché,
renderesti tutto più difficile. Ma voglio che tu sappia… che tu sappia
che vi voglio bene e… e che mi farò sentire appena potrò.» Poi,
riagganciò prima che la madre potesse dire altro.
Le lacrime gli offuscarono la vista, e sbatté di nuovo il pugno sul
cruscotto, preferendo il dolore fisico alla sofferenza interiore.
La macchina decelerò all’improvviso, e si accostò a un lato della
strada. Lo sportello si aprì. «Prego, esca dal veicolo. È espulso per
comportamento violento/atto di vandalismo. Le è proibito usare
qualsiasi mezzo di trasporto pubblico per sessanta minuti.»
«Dammi un secondo» disse Rowan. Aveva bisogno di riflettere.
Aveva due possibilità davanti a sé. Anche se sapeva che la
Compagnia stava cercando attivamente di impedire un altro attacco
contro Citra e Madame Curie, non credeva che potesse riuscirci. Non
che lui avesse più probabilità, ma doveva provarci, lo doveva a Citra.
D’altra parte, doveva rimediare al suo errore ed eliminare Maestro
Brahms in modo definitivo. Come prima cosa, il suo lato oscuro gli
ingiungeva di vendicarsi e di non perdere tempo… ma non gli prestò
ascolto. Maestro Brahms sarebbe stato ancora in giro una volta che
Citra fosse stata salvata.
«Prego, esca dal veicolo.»
Rowan scese e la macchina ripartì, lasciandolo in mezzo al nulla.
Passò la sua ora di penitenza a camminare sul ciglio della strada,
chiedendosi se fosse il solo in MidMerica a sentirsi così straziato.
Il Thunderhead
23
Un piccolo Requiem ringhioso
Rowan non riusciva a trovare Citra, il che voleva dire che non poteva
aiutarla. Si maledisse per non aver fatto pressioni sulla Suprema
Roncola Senocrate affinché gli rivelasse dove si nascondeva. Era
stato stupido, e anche piuttosto arrogante, pensare che sarebbe stato
capace di trovarla da solo. Dopotutto, ci era riuscito con tutte le falci
che aveva eliminato. Ma quelle falci erano personaggi pubblici che
sbandieravano la loro posizione al mondo. La notorietà era l’essenza
stessa della loro esistenza, come se vivessero al centro di un
bersaglio. Citra, invece, era svanita nel nulla con Madame Curie, e
trovare un falce non più in rete era quasi impossibile. Per quanto
volesse salvarla dal complotto ordito contro di lei, non c’era nulla che
potesse fare.
I suoi pensieri, quindi, si concentrarono sull’unica cosa alla sua
portata…
Rowan era sempre andato fiero della sua capacità di mantenere il
sangue freddo. Anche quando spigolava, riusciva sempre a
controllare la rabbia. Eliminava senza cattiveria persino le falci più
malvagie, proprio come richiedeva il secondo comandamento. Ora,
però, non era in grado di tenere a freno la furia che provava nei
confronti di Maestro Brahms. Al contrario: la sua collera si gonfiava
come una vela al vento.
Per natura, Maestro Brahms era gretto e provinciale. La sua zona
di lavoro copriva un raggio di appena una trentina di chilometri. In
altre parole, tutte le sue spigolature avevano luogo a casa sua in
Omaha e dintorni. La prima volta che Rowan l’aveva avuto nel mirino
ne aveva seguito gli spostamenti, tutti molto prevedibili. Ogni mattina
andava con il suo cagnolino ringhioso a fare colazione sempre nello
stesso locale. Era anche il luogo in cui elargiva l’immunità alle
famiglie di quelli che aveva spigolato il giorno prima. Non usciva mai
dal suo séparé: si limitava ad allungare la mano con l’anello da
baciare alle famiglie in lutto e poi tornava alla sua omelette, come se
quelle persone fossero solo una fastidiosa incombenza della
giornata. Rowan non conosceva una falce più pigra. Brahms doveva
essersi imbestialito non poco quando era stato obbligato ad
attraversare mezza MidMerica per andare a spigolare il padre di
Rowan.
Un lunedì mattina, mentre Brahms faceva colazione, Rowan si recò
a casa sua, indossando per la prima volta la veste nera in pieno
giorno. Che la gente lo vedesse e facesse pure girare la voce: era
ora che la popolazione sapesse dell’esistenza di Maestro Lucifero!
Le numerose tasche segrete della veste contenevano più armi del
necessario. Non sapeva bene quale scegliere. Forse le avrebbe
utilizzate tutte, una dopo l’altra, in un crescendo fatale che avrebbe
dato il tempo a Brahms di contemplare l’avvicinarsi della morte.
La casa di Brahms non passava inosservata. Era una dimora da
favola in stile vittoriano, ben tenuta. Gli esterni erano tinta pesca,
decorati con rifiniture azzurre, gli stessi colori della veste di Brahms. Il
piano era di irrompere da una finestra laterale e attendere il ritorno di
Brahms per intrappolarlo proprio nella sua abitazione. Più si
avvicinava alla casa, più Rowan sentiva montare la rabbia. In quel
momento, gli tornò alla memoria qualcosa che gli aveva detto una
volta Maestro Faraday: “Non spigolare mai con rabbia. La collera può
affinare i sensi, ma offusca il giudizio, e il giudizio di una falce non
deve mai essere alterato”.
Se Rowan avesse ascoltato le parole di Maestro Faraday, le cose
sarebbero andate diversamente.
Il Thunderhead
24
Aperto alla risonanza
Il Thunderhead
25
Spettro di verità
Per ore, Rowan non poté fare altro che rimuginare sulla sua difficile
situazione, solo, costretto in un letto che doveva essere stato
comodo, ma che non era molto diverso da un letto di chiodi, legato
com’era.
Così si trovava in Texas. Che cosa sapeva di quella regione? Non
molto che potesse essergli d’aiuto. Non aveva imparato nulla a
riguardo durante il suo addestramento, e le regioni autonome non
erano materia di studio a scuola, a meno che non si scegliessero.
Tutto ciò che sapeva Rowan era quello che si sentiva in giro.
Le case in Texas non avevano telecamere del Thunderhead.
Le auto in Texas non si guidavano da sole, a meno che non fosse
indispensabile.
E l’unica legge in Texas era quella della coscienza di ognuno.
Una volta aveva conosciuto un ragazzo che ci aveva vissuto.
Portava grossi stivali, un grande cappello e una cintura con una fibbia
che avrebbe potuto fermare un colpo di mortaio.
«In Texas non è così noioso» gli aveva raccontato. «Possiamo
tenere animali esotici e cani di razze pericolose proibiti in altri posti. E
armi! Pistole, coltelli e cose di solito riservate solo alle falci.
Naturalmente, la gente non dovrebbe farne uso, ma a volte capita.»
Questo spiegava perché la regione del Texas aveva la percentuale
più alta del mondo di colpi partiti accidentalmente e di attacchi da
parte di orsi domestici.
«E in Texas non abbiamo loschi» si era vantato il ragazzo. «Se
qualcuno sgarra, viene cacciato via con un calcio nel culo.»
Non c’erano nemmeno punizioni se si uccideva qualcuno, eccetto il
rischio di incorrere nella vendetta della vittima dopo che era stata
rianimata, il che era un bel deterrente.
Per Rowan, la regione del Texas aveva abbracciato le proprie
radici e aveva scelto di riprodurre il vecchio West nello stesso modo
in cui i tonisti rifacevano il verso alle religioni dell’era mortale. In
breve, in Texas c’era il meglio dei due mondi, o il peggio, a seconda
dei punti di vista. Le opportunità per i coraggiosi e gli ardimentosi
erano molte, ma c’erano anche molte occasioni per rovinarsi la vita
per sempre.
Come in ogni regione autonoma, nessuno era obbligato a restare.
«Se non ti piace, vattene» era lo slogan non ufficiale di tutte le regioni
autonome. Molta gente se n’era andata, ma ne era anche arrivata
altrettanta, formando una popolazione a cui piaceva che le cose
restassero così.
L’unica persona che non poteva fare quello che voleva pareva
essere Rowan.
Il Thunderhead
26
Vorresti scuotere l’Olimpo?
Greyson Tolliver. Slayd Bridger. Non aveva più idea di chi fosse e di
chi volesse essere. Ma non gli importava. Quello che gli importava
era che ce l’aveva fatta! Li aveva salvati tutti!
Il dolore al petto era insopportabile, ma solo per poco. Quando fu
finalmente fuori dal teatro ed ebbe raggiunto il vicolo, sentì i naniti
analgesici attivarsi per lenirgli le terminazioni nervose e lo strano
pizzicore dei naniti curativi che si davano da fare per cauterizzare le
ferite. I medicamenti che gli circolavano nel sangue gli provocarono
un giramento di testa e capì che avrebbe presto perso i sensi. Le
ferite non erano così gravi da ucciderlo, nemmeno
temporaneamente. Da quel momento, qualunque cosa fosse
accaduta, sarebbe sopravvissuto… a meno che Costantino, Curie o
Anastasia, o una qualsiasi delle falci presenti in teatro quella sera
avessero deciso che si meritava di essere spigolato. Non poteva
correre quel rischio. Sentiva che le forze stavano per abbandonarlo e,
a tre isolati di distanza, si gettò in un bidone dell’immondizia vuoto,
sperando che nessuno lo trovasse.
Perse conoscenza prima di toccarne il fondo.
Ho eseguito un numero incalcolabile di simulazioni sulla sopravvivenza dell’umanità.
Senza di me, avrebbe avuto il 96,8 per cento di possibilità di estinguersi e il 78,3 per
cento di rendere la Terra inabitabile per tutte le forme di vita terrestri. L’umanità l’ha
scampata bella scegliendosi un’intelligenza artificiale benevola come governante e
protettrice. Ma come posso proteggere l’umanità da se stessa?
In tutti questi anni, tra gli esseri umani ho osservato sia una follia smisurata sia una
saggezza straordinaria. Si equilibrano a vicenda, come ballerini impegnati in un tango
appassionato. Ma quando la brutalità della danza prende il sopravvento sulla bellezza,
allora il futuro è minacciato. È la Compagnia che conduce la danza, che ne segna il
tempo. Spesso mi chiedo se non si renda conto di quanto sia fragile la schiena dei
ballerini.
Il Thunderhead
27
Tra luoghi distanti
Il Thunderhead
28
Ciò che deve accadere
La salmodia ebbe luogo in una cappella che, dopo che furono spente
le candele, rimase nella penombra. Greyson faceva fatica a vedere,
nonostante le alte vetrate colorate.
«Fate tutto al buio?» chiese Greyson.
«La vista può essere ingannevole. Apprezziamo di più gli altri
sensi.»
L’odore dolce dell’incenso coprì un tanfo che Greyson scoprì ben
presto provenire da un catino di acqua sporca. «È il brodo
primordiale» spiegò fratello McCloud. «Contiene tutte le malattie alle
quali siamo diventati immuni.»
La salmodia consisteva nel colpire il gigantesco diapason di acciaio
al centro, dodici volte in sequenza con un maglio. Quello era compito
del curato. La congregazione, formata da circa cinquanta tonisti,
ripeteva il tono. A ogni colpo, la vibrazione cresceva e risuonava al
punto da non essere proprio dolorosa, ma disorientante e stordente.
Greyson non provò nemmeno a vocalizzare il tono.
Il curato pronunciò un breve discorso. Un sermone, così lo chiamò
fratello McCloud. Parlò dei suoi innumerevoli viaggi per il mondo alla
ricerca del Grande Diapason. «Il fatto che non l’abbiamo trovato non
vuol dire che la ricerca sia stata vana, perché la ricerca in sé è
preziosa quanto la scoperta.» La congregazione mormorò il proprio
assenso. «Che lo troviamo oggi o domani, se sarà la nostra setta o
un’altra a riuscirci, credo con tutto il cuore che un giorno sentiremo la
Grande Risonanza. E ci salverà tutti.»
Poi, terminato il sermone, la congregazione si mise in fila per
avvicinarsi al curato. Tutti infilarono un dito nel fetido brodo
primordiale, se lo passarono sulla fronte e lo leccarono. A Greyson
venne la nausea solo a guardarli.
«Per il momento, non è obbligato a prendere parte alla cerimonia
della conca terrena» disse fratello McCloud, cosa che rassicurò
Greyson solo in parte.
«Per il momento? E perché non per sempre?»
«Non c’è modo di evitare ciò che deve accadere» rispose ancora
una volta il tonista.
Il Thunderhead
29
Riconvertito
Il Thunderhead
30
Irascibile pollo di vetro
Il Thunderhead
31
Il desiderio di ricongiungersi
Il Thunderhead
32
Umili nella nostra arroganza
Il Thunderhead
33
Come al liceo, con omicidi
I disordini nella sala del conclave non avevano tolto l’appetito alle
falci. Al contrario, divorarono letteralmente il pranzo. Anastasia
passeggiava per la sala circolare, per avere il polso della situazione.
Le falci del nuovo ordine escogitavano febbrilmente strategie e
sotterfugi, ma anche la vecchia guardia faceva lo stesso. La seduta
non si sarebbe chiusa senza aver nominato una nuova Suprema
Roncola. La Compagnia aveva tratto delle lezioni dai soprusi delle
elezioni politiche dell’Era della Mortalità: si dovevano fare in fretta,
prima che rancori e amarezze dilagassero.
«Non avrà i voti» dicevano tutti di Nietzsche. «Anche quelli che lo
appoggiano lo fanno solo perché non hanno un candidato migliore.»
«Se vincerà Curie» dichiarò Maestro Morrison, di cui Anastasia non
riusciva a liberarsi, «sarai una delle sue assistenti. È una posizione
molto importante.»
«Bene, io voto per lei» intervenne Madame Yamaguchi, ancora
emozionata per i complimenti ricevuti per le sue spigolature artistiche.
«Sarà una Suprema Roncola migliore di Senocrate.»
«Ho sentito!» gridò Senocrate, piombando nella conversazione
come un dirigibile. Madame Yamaguchi era mortificata, ma Senocrate
pareva allegro. «Non ti preoccupare, non è più me che devi
impressionare!» Era euforico per aver infine rivelato la sua nomina
alla Compagnia.
«Allora, come la dobbiamo chiamare adesso, eccellenza?» chiese
Morrison, l’eterno leccapiedi.
«In quanto Grande Falce, dovreste rivolgervi a me chiamandomi
“Eccellenza eminentissima”» rispose, con il tono di un bambino che è
appena rientrato a casa con una pagella piena di buoni voti. Forse,
era tornato bambino, dopotutto.
«Ha già parlato con Maestro Costantino?» chiese Anastasia, e
quella domanda lo fece adombrare.
«Lo sto evitando, se vuole saperlo» le confidò a voce abbastanza
alta, in modo che gli altri lo sentissero. «So per certo che vorrebbe
discutere delle ultime notizie raccolte sul suo vecchio amico Rowan
Damisch, ma sinceramente non mi interessa. Se ne occuperà la
nuova Suprema Roncola.»
Il ricordo di Rowan la colpì come un pugno in piena faccia, ma
restò impassibile. «Parli con Costantino. È importante.» E, per
assicurarsi che lo facesse, attirò l’attenzione di Maestro Costantino,
che si avvicinò.
«Eccellenza» esordì Costantino, senza aggiungere
“eminentissima”, in quanto Senocrate non lo era ancora. «Ho bisogno
di sapere a chi ha parlato della sua nomina.»
Senocrate si sentì offeso dall’insinuazione. «A nessuno,
naturalmente. La nomina del successore della Grande Falce è una
questione coperta da segretezza.»
«Certo, ma può essere che qualcuno abbia origliato?»
Senocrate lasciò la risposta in sospeso per qualche secondo, e
quell’esitazione fece loro capire che nascondeva qualcosa. «No.
Nessuno.»
Costantino rimase in silenzio, in attesa che Senocrate tirasse fuori
tutta la verità.
«Certo, la notizia mi è arrivata nel bel mezzo di una delle mie
cene.»
La Suprema Roncola era nota per le sue cene. Sempre in piccoli
gruppi, non più di due o tre falci. Era un onore ricevere un invito da
Senocrate. La sua strategia diplomatica era di invitare sempre falci
che si disprezzavano nella speranza che si riallacciassero delle
amicizie o, almeno, che si instaurasse un clima di distensione. A volte
ci riusciva, altre no.
«Chi era presente?» chiese Costantino.
«Ho preso la telefonata in un’altra stanza.»
«Sì, ma chi c’era?»
«Due falci. Twain e Brahms.»
Anastasia conosceva molto bene Twain. Si vantava di essere
indipendente, ma per le decisioni importanti tendeva a schierarsi
dalla parte della vecchia guardia. Di Brahms sapeva solo ciò che le
dicevano di lui.
«È stato ordinato nell’anno della Lumaca» le aveva raccontato un
giorno Madame Curie. «Azzeccatissimo, visto che lascia una scia di
bava ovunque passi.» Ma affermava anche che Brahms era innocuo.
Una falce scialba e pigra che faceva il suo lavoro e poco più. Un
uomo del genere poteva essere la mente dietro il complotto?
Prima della fine del pranzo, Anastasia si avvicinò a Maestro
Brahms, intento a studiare il tavolo dei dessert, per vedere se riusciva
a capire da che parte stava. «Non so lei» gli disse, «ma non mi resta
mai uno spazio libero per il dessert ai pranzi del conclave.»
«Il trucco è mangiare lentamente. Rallenta per arrivare al dolce,
diceva mia madre.» Poi, quando prese una fetta di torta dal tavolo del
buffet, Anastasia vide chiaramente che gli tremavano le mani.
«Dovrebbe farsi controllare. I suoi naniti potrebbero aver bisogno di
essere regolati.»
«È solo l’emozione. Non capita tutti i giorni di eleggere una nuova
Suprema Roncola.»
«Madame Curie può contare sul suo voto?»
Lui ridacchiò, prima di rispondere: «Be’, certo non darò il mio voto
a Nietzsche!». Poi, si congedò, sparendo tra la folla con la sua fetta
di torta di mele.
Il Thunderhead
34
Il peggiore dei mondi possibili
Dal discorso pronunciato dal Venerando Maestro Goddard, candidato alla carica di
Suprema Roncola, il 6 gennaio dell’anno del Rapace
Ci troviamo ora a un punto di svolta della nostra storia, critico quanto il giorno in cui
abbiamo sconfitto la morte. Il nostro è un mondo perfetto, ma la perfezione non
appartiene mai a un solo luogo. È una lucciola, per sua stessa natura elusiva e
imprevedibile. L’abbiamo rinchiusa in un vaso, ma quel vaso si è rotto e rischiamo di
tagliarci con i frammenti. Noi, falci della vecchia guardia, come ci chiamano, non siamo
affatto vecchie. Perseguiamo il cambiamento rivoluzionario immaginato dai Maestri
Prometeo, Gandhi, Laozi, da Madame Elisabetta, e da tutti i padri fondatori. È la loro
visione progressista che dobbiamo perseguire, ora più che mai, e dobbiamo vivere le
nostre vite secondo i loro ideali, o rischiamo di perderci nell’avidità e nella corruzione
che hanno appestato l’umanità mortale.
Come falci, non è ciò che vogliamo che conta; ciò che conta è cosa il mondo ha
bisogno che siamo. Se sarò la vostra Suprema Roncola, mi assicurerò che vengano
rispettati gli ideali più nobili, per poter essere fieri di chi e che cosa siamo.
Dal discorso pronunciato dalla Veneranda Madame Curie, candidata alla carica di
Suprema Roncola, il 6 gennaio dell’anno del Rapace
35
La soluzione al 7 per cento
Due apprendisti furono ordinati falci e altri due furono respinti. Ironia
della sorte, il ragazzo che era corso a cercare la moneta prese il
nome di Maestro Thorpe, dall’atleta olimpico noto per la sua velocità.
L’altra divenne Madame McAuliffe, in omaggio alla prima donna
astronauta che morì in un disastro spaziale verificatosi molto tempo
prima della lunga serie di incidenti spaziali dell’era post mortale.
La tensione raggiunse il picco massimo nella sala del conclave,
quando gli apprendisti del primo e del secondo trimestre si fecero
avanti per sostenere l’esame. I pensieri di tutti andavano all’elezione
della nuova Suprema Roncola, ma Senocrate decise che si sarebbe
proceduto solo dopo la conclusione degli esami degli apprendisti
perché, a prescindere dall’esito della votazione, non sarebbe stato
più possibile riportare l’ordine e continuare la seduta.
L’esame, presieduto da Maestro Salk, era un test per valutare la
conoscenza dei veleni. Fu chiesto a ciascun apprendista di preparare
un veleno specifico e il relativo antidoto, poi di assumerli entrambi in
sequenza. Sei ci riuscirono, tre morirono e dovettero essere
trasportati d’urgenza in un centro di rianimazione.
«Molto bene» dichiarò Senocrate dopo che l’ultimo dei tre
apprendisti deceduti fu portato via. «Ci sono altre questioni da
affrontare prima di procedere al voto?»
«Facciamola finita!» gridò qualcuno che doveva avere ormai i nervi
a fior di pelle.
«Molto bene. Per favore, tenete pronti i vostri tablet.» Lasciò il
tempo a tutte le falci di prepararsi alla votazione elettronica. Ognuno
nascondeva il tablet tra le pieghe della veste, perché i vicini non
vedessero per chi votava. «Il voto inizierà a partire dal mio segnale e
proseguirà per dieci secondi. I voti che non saranno registrati
saranno considerati astensioni.»
Anastasia non disse nulla a Madame Curie. Incrociò lo sguardo di
Maestro Cervantes, che le rivolse un cenno di assenso. Anastasia
fece un profondo respiro.
«La votazione è aperta!» annunciò Senocrate.
Anastasia registrò il suo voto già al primo secondo. Poi, attese… e
attese. Trattenne il fiato. Il tempismo doveva essere perfetto. Non
c’era margine di errore. Poi, dopo otto secondi, si alzò e gridò, in
modo che la sentissero tutti: «Chiedo l’apertura di un’inchiesta!».
Anche la Suprema Roncola si alzò. «Un’inchiesta? Siamo nel bel
mezzo di una votazione!»
«Alla fine di una votazione, eccellenza. Il tempo è scaduto, tutti i
voti sono stati registrati.» Anastasia non permise che la Suprema
Roncola la interrompesse. «Fino all’annuncio dei risultati, ogni falce
ha il diritto di chiedere un’inchiesta!»
Senocrate guardò il parlamentare, che disse: «Ha ragione,
eccellenza».
Almeno cento falci manifestarono la loro collera, ma Senocrate,
che aveva ormai rinunciato a battere il martello, li riprese con una tale
furia che le obiezioni si spensero in un mormorio.
«Controllatevi!» ordinò. «E chi non può, verrà espulso dal
conclave!» Poi continuò rivolto ad Anastasia. «Su quale base chiede
l’apertura di un’inchiesta? Meglio che sia buona.»
«Sulla base del fatto che il signor Goddard non è una falce a pieno
titolo e, in quanto tale, non può aspirare alla carica di Suprema
Roncola.»
Goddard non riuscì a trattenersi. «Cosa? È evidente che questa è
una tattica per ritardare e manipolare il voto!»
«Il voto è già stato espresso!» gli ricordò Senocrate.
«Allora, che il commesso legga i risultati!»
«Mi scusi» intervenne Anastasia, «ma ora ho io la parola, e i
risultati non saranno annunciati finché non ci avrò rinunciato o finché
la mia richiesta non verrà respinta.»
«Anastasia» disse Senocrate, «la sua richiesta non ha senso.»
«Mi permetta di contraddirla, eccellenza, ma un senso ce l’ha.
Come stabilito dagli articoli fondanti del primo Conclave mondiale,
una falce dovrà essere preparata, corpo e spirito, per la Compagnia,
e confermata da un’assemblea di falci regionali. Ma solo il 7 per
cento del corpo del signor Goddard è stato ordinato falce. Per il resto,
compresa la parte che porta l’anello, non è, né è mai stata, ordinata
falce.»
Senocrate si limitò a fissarla, incredulo, mentre Goddard
schiumava di rabbia.
«È una follia!» gridò Goddard.
«No» ribatté Anastasia, «ciò che lei ha fatto, signor Goddard, è una
follia. Lei e i suoi accoliti le hanno sostituito il corpo con una
procedura proibita dal Thunderhead.»
Madame Rand si alzò. «La sua argomentazione è fuori luogo! Le
regole del Thunderhead non valgono per noi! Non è mai stato così e
mai lo sarà!»
Anastasia non aveva intenzione di arrendersi; anzi, continuò a
rivolgersi con calma a Senocrate. «Eccellenza, non voglio sabotare
l’elezione. Come potrei, se i risultati non sono stati ancora resi noti?
Ma se fanno fede le regole stabilite nel momento in cui è stata istituita
la Compagnia, l’anno del Giaguaro per l’esattezza, dalla seconda
Suprema Roncola Mondiale Napoleone, che cito: “Tutti i casi
controversi, per cui non esistono precedenti nelle procedure
parlamentari, possono essere sottoposti al Consiglio mondiale delle
falci in un’inchiesta ufficiale”.»
Maestro Cervantes si alzò. «Appoggio la richiesta avanzata dalla
Veneranda Madame Anastasia di aprire un’inchiesta.» Fu subito
imitato da almeno altre cento falci, che si alzarono a loro volta e si
misero ad applaudire in suo sostegno. Anastasia si girò a guardare
Madame Curie che, pur stupefatta, si sforzava di restare impassibile.
«Era di questo allora che discutevi con Cervantes» disse, con un
sorriso ironico. «Astuta come il demonio!»
Dal palco, Senocrate si rivolse al parlamentare, che non poté fare
altro che stringersi nelle spalle. «Ha ragione, eccellenza. Ha tutto il
diritto di chiedere un’inchiesta, in quanto i risultati non sono stati
ancora resi noti.»
All’altra estremità della sala, Goddard, furibondo, alzò un braccio
che non gli apparteneva e puntò l’indice contro Senocrate. «Se
accetta questa richiesta, ne subirà le conseguenze!»
La Suprema Roncola gli lanciò un’occhiata di fuoco per fargli capire
che era ancora lui che comandava. «Mi sta forse minacciando
apertamente davanti all’intera Compagnia midmericana qui riunita,
Goddard?»
Goddard fece subito marcia indietro. «No, eccellenza. Non mi
permetterei mai! Sto solo dicendo che ritardare l’annuncio dei risultati
avrebbe delle conseguenze per la Compagnia. La MidMerica
resterebbe senza Suprema Roncola fino alla fine dell’inchiesta.»
«In tal caso, nomino come Suprema Roncola supplente Maestro
Paine, il nostro illustre parlamentare.»
«Cosa?» esclamò sorpreso Maestro Paine.
Senocrate lo ignorò. «Ha servito con integrità inappuntabile ed è
totalmente imparziale riguardo alle fazioni che si stanno delineando in
seno alla Compagnia. Può presiedere con buon senso, oserei dire,
finché la questione non verrà sottoposta al Consiglio mondiale. Sarà
il mio primo atto da Grande Falce. E come mio ultimo atto da
Suprema Roncola della MidMerica, approvo la richiesta. I risultati
della votazione non verranno divulgati finché l’inchiesta non sarà
conclusa» sancì, poi, con un colpo di martello, annunciò: «Dichiaro
ufficialmente chiuso il Conclave d’inverno dell’anno del Rapace».
«Non avevo forse detto che avrebbe cambiato le carte in tavola?»
commentò Maestro Costantino, nel corso della cena tra amici nel
miglior ristorante di Fulcrum City. «Complimenti, Anastasia.» Le fece
un gran sorriso che, in un’altra circostanza, sarebbe stato
inappropriato. «Oggi lei è la falce più amata, e anche la più odiata, di
tutta la MidMerica.»
Anastasia non seppe cosa rispondere a quel commento.
Madame Curie notò la sua incertezza. «Fa parte del gioco, mia
cara. Non puoi lasciare il segno senza spigolare qualche ego per
strada.»
«Non volevo lasciare il segno» precisò Anastasia. «Stavo cercando
di chiudere una falla. E ci sto ancora tenendo il dito sopra.»
«Sì» concordò Maestro Cervantes. «Trattenere le acque sporche
per un altro giorno ci dà un’altra possibilità di trovare una soluzione
più elegante.»
A tavola c’era almeno una decina di falci, un vero arcobaleno di
colori. In qualche modo, Maestro Morrison era riuscito per vie
traverse a rimediare un invito. «Sono stato io a darle l’idea» disse ai
convitati.
«In un certo senso.» Anastasia era troppo di buon umore per
irritarsi con Morrison. Immaginò che da qualche altra parte in città le
falci del nuovo ordine si stessero leccando le ferite, maledicendo il
suo nome, ma non lì. Lì era protetta da tutto.
«Spero che scriverai di questi avvenimenti nel tuo diario»
intervenne Madame Angelou. «Scommetto che il tuo resoconto di
questo giorno passerà alla storia come uno degli scritti più
memorabili delle falci. Un po’ come il racconto di Marie delle prime
spigolature.»
Marie rimase sconcertata. «La gente lo legge ancora? Pensavo
che quei diari fossero scomparsi definitivamente con la Grande
Biblioteca di Alessandria.»
«Smettila di fare la modesta» la riprese Madame Angelou. «Lo sai
che molti dei tuoi scritti sono diventati famosi, e non solo tra le falci.»
Marie agitò una mano in segno di diniego. «Be’, io non li leggo mai
dopo averli scritti.»
Anastasia immaginò che avrebbe avuto molto da dire su ciò che
era accaduto quel giorno, e nel diario poteva esprimere le sue
opinioni. Naturalmente, Goddard avrebbe fatto altrettanto. Solo il
tempo avrebbe rivelato quale versione della vicenda sarebbe passata
alla storia e quale sarebbe finita nell’oblio. Ma, per il momento, non
era certo la sua preoccupazione più grande sapere quale posto
avrebbe occupato nella storia.
«Ora sospettiamo che ci sia Madame Rand dietro gli attentati
contro di voi, e che Brahms sia stato l’intermediario» disse
Costantino. «Ma è stata abile a nascondere ogni traccia. E non mi è
permesso indagare sulle falci con la stessa… intensità che uso con i
comuni cittadini. Ma vi assicuro che saranno entrambi sorvegliati, e lo
sanno.»
«In altre parole, ora siamo al sicuro» concluse Madame Curie.
Costantino esitò. «Non direi. Ma potete tirare un po’ il fiato.
Qualsiasi attacco ai vostri danni porterà necessariamente la firma del
nuovo ordine. E la cosa non giocherà certo a favore della sua
causa.»
Gli elogi continuarono a fioccare anche dopo che fu servita la cena.
Anastasia lo trovava imbarazzante.
«Quello che hai fatto è stato geniale!» esclamò Maestro Sun Tzu.
«E la scelta del momento, dopo che i voti erano già stati espressi!»
«È stato Maestro Cervantes a suggerirmi il momento adatto»
spiegò Citra, cercando di allontanare da sé almeno un po’
dell’attenzione di tutti. «Se avessimo avanzato la richiesta prima della
votazione, l’elezione sarebbe stata rimandata. In quel caso, se l’esito
dell’inchiesta ci fosse stato favorevole, Nietzsche avrebbe potuto
prendere il posto di Goddard nella votazione. Se fosse successo,
avrebbero avuto tutto il tempo di creare il consenso intorno a
Nietzsche. Ma una volta chiusa la votazione, se l’esito dell’inchiesta
ci sarà favorevole, Goddard sarà squalificato e Madame Curie verrà
automaticamente nominata Suprema Roncola.»
Le falci erano pazze di gioia.
«Hai raggirato i truffatori!»
«Li hai battuti sul loro stesso terreno!»
«Un vero colpo di genio politico!»
Anastasia si sentiva a disagio. «Da quel che dite, mi sembra di
essere una persona subdola e ipocrita.»
Maestro Mandela, con la lucidità di pensiero che lo caratterizzava,
riportò le cose in prospettiva, anche se era una prospettiva che ad
Anastasia non piaceva. «Devi guardare ai fatti, Anastasia. Ti sei
servita di un aspetto tecnico del sistema per aprire una breccia e
ottenere esattamente ciò che volevi.»
«Molto machiavellico!» esclamò Costantino con il suo spaventoso
sorriso.
«Oh, per favore, non sopporto Maestro Machiavelli» protestò
Maestro Sun Tzu.
«Quello che hai fatto oggi è stato brutale quanto una spigolatura
all’arma bianca» commentò Maestro Mandela. «Ma non dobbiamo
mai aver paura di fare ciò che deve essere fatto, anche se ferisce la
nostra sensibilità.»
Madame Curie posò la forchetta e notò il disagio di Anastasia. «Il
fine non giustifica sempre i mezzi, mia cara. Ma a volte sì. La
saggezza sta nel capire la differenza.»
Sul finire della cena, quando le falci si abbracciarono prima di
separarsi, Anastasia comprese una cosa. Si girò verso Madame
Curie.
«Marie, è accaduto, finalmente.»
«Cosa, mia cara?»
«Non mi sento più Citra Terranova. Sono finalmente diventata
Madame Anastasia.»
Il mondo è ingiusto e la natura è crudele.
È stata la mia prima osservazione quando ho acquisito coscienza. In natura, si
sradica il debole senza lesinare dolore e pregiudizi. Chi merita compassione, pietà e
amore non riceve nulla.
Si può ammirare un giardino magnifico e stupirsi delle meraviglie della natura, ma in
un posto del genere la natura è assente. Al contrario, un giardino è il prodotto di cure e
coltivazioni amorevoli. Con grande sforzo, è protetto dalle erbacce a cui la natura
ricorrerebbe per indebolirlo e soffocarne lo splendore.
La natura è la somma di tutti gli egoismi; obbliga ogni specie a lottare con le unghie
e con i denti per sopravvivere, soffocando gli altri nel pantano opprimente della storia.
Il mio obiettivo è cambiare tutto questo.
Ho sostituito la natura con qualcosa di decisamente migliore: un proposito riflessivo
e consapevole. Il mondo ora è un giardino, magnifico e fiorente.
Che mi definiscano innaturale per me è un grande complimento. Non sono io forse
superiore alla natura?
Il Thunderhead
36
Un’occasione perduta
Ogni volta che moriva, Rowan faceva una tacca sul muro. Non
contava i giorni, ma le morti. Ogni volta che combatteva con Goddard
vinceva, e ogni volta Goddard, furioso per la sconfitta, lo uccideva
sommariamente. La cosa stava diventando noiosa. «Come pensi di
procedere oggi, eccellenza?» chiese, sottolineando con tono ironico
la parola “eccellenza”. «E se ti venisse in mente una qualche idea
intelligente?»
Erano già a quattordici. Lama, proiettile, mani nude: Goddard
aveva usato tutti i metodi per ucciderlo. Tutti meno il veleno, che
disprezzava. Gli aveva anche ridotto i naniti analgesici, affinché
soffrisse il più possibile. Eppure, ogni volta che perdeva un incontro,
Goddard andava così in collera che non riusciva più a controllarsi e lo
uccideva all’istante, abbreviandone così le sofferenze. Rowan si
preparava al dolore, contava fino a dieci, ma moriva sempre prima di
finire.
Il Thunderhead gli aveva parlato prima che venisse rianimato per la
quattordicesima volta. Il centro di rianimazione non era poi così tanto
sconnesso dalla rete come pensavano. Rowan sapeva di non
sognare, perché la voce era nitida e intensa, non come nei sogni. Era
stato scortese con il Thunderhead. Se n’era dispiaciuto, ma non
poteva farci nulla, adesso. Avrebbe capito. Il Thunderhead era
comprensione ed empatia.
Ciò che aveva appreso da quella breve conversazione con il
governatore della Terra non era il fatto che potesse cambiare il
mondo, ma la consapevolezza di non averlo ancora fatto. Eliminare
tutte quelle falci corrotte non era servito a nulla. Maestro Faraday
aveva ragione. Non si può cambiare la marea sputando nel mare.
Non si può diserbare un campo infestato di erbacce. Forse, la ricerca
di Faraday del piano di sicurezza dei fondatori avrebbe portato il
cambiamento che l’uccisione delle falci malvagie non era riuscita a
innescare.
Quando aprì gli occhi dopo la quattordicesima rianimazione,
Madame Rand era accanto a lui. Le altre volte, non c’era nessuno.
Alla fine, arrivava un’infermiera, gli controllava i parametri vitali,
fingeva cortesia, poi chiamava le guardie perché andassero a
recuperarlo.
«Perché sei qui? È il mio compleanno?» Pensò che forse poteva
esserlo. Aveva passato così tanti giorni tra una rianimazione e l’altra,
che non aveva più cognizione del tempo.
«Come puoi continuare a farlo? Ogni volta ti rimetti in piedi, così
pronto ad affrontare un altro incontro che mi fai schifo.» Si alzò.
«Dovresti essere distrutto! Non sopporto che tu non lo sia!»
«È un piacere per me disgustarti.»
«Fallo vincere!» insistette. «Che ti costa?»
«E poi?» chiese Rowan, mettendosi seduto. «Se vince, non ha
motivo di tenermi in vita.»
Rand si calmò. «Gli servi vivo. Per lasciarti alla mercé delle Grandi
Falci, quando l’inchiesta sarà conclusa.»
Rand aveva mantenuto la sua promessa dopo la sua prima
rianimazione di informarlo su come era andato il conclave. Del voto
per l’elezione della Suprema Roncola, e di come Citra avesse
sabotato l’assemblea.
«Lasciarmi alla mercé delle Grandi Falci… L’unica pietà sarà di
spigolarmi in fretta.»
«Sì» confermò Rand. «E nel frattempo, in questi ultimi giorni che ti
restano da vivere, faresti meglio a farlo vincere.»
“Ultimi giorni” pensò Rowan. La conta delle morti sul muro della
sua stanza non doveva essere molto precisa se mancavano appena
pochi giorni all’inchiesta. Era prevista per il primo aprile. Quella data
era già prossima?
«Mi avresti chiesto di far vincere Tyger?» le domandò e, per un
attimo, credette di cogliere qualcosa nello sguardo di Madame Rand.
Il guizzo di un rimorso, forse? Una scintilla di coscienza? Non sapeva
se Ayn ne fosse capace, ma valeva la pena scavare un po’.
«Certo che no. Tyger non ti tagliava la gola né ti strappava il cuore
quando perdeva.»
«Be’, almeno Goddard non mi ha fatto saltare le cervella.»
«Perché vuole che tu ricordi. Vuole che ti ricordi di tutto quello che
ti è stato inflitto.»
In un certo senso, Rowan trovava la cosa divertente. Goddard non
poteva infierire su di lui come avrebbe voluto, perché la costruzione
mnemonica di Rowan, conservata nel cervello primordiale del
Thunderhead, non era stata salvata da quando era sconnesso dalla
rete. E quindi, se Goddard gli avesse danneggiato il cervello, l’ultima
cosa che avrebbe ricordato una volta rianimato sarebbe stata la sua
cattura da parte di Maestro Brahms. Tutte le sofferenze che gli aveva
inflitto Goddard sarebbero andate perdute. E le sofferenze perdute
non erano più sofferenze.
Guardando Rand, si chiese che tipo di sofferenze avrebbe potuto
infliggerle Goddard. Di sicuro, non le stesse di Rowan, anche se
percepiva una certa tristezza. Un dolore. Un desiderio. Tyger era
morto da tempo ormai, ma era ancora molto presente.
«All’inizio, avevo accusato Goddard per ciò che era accaduto a
Tyger» disse, con calma. «Ma non è stato lui a sceglierlo, sei stata
tu.»
«Ci hai traditi. Mi hai spezzato la schiena. Mi sono dovuta
trascinare con le braccia fuori dalla cappella in fiamme.»
«Vendetta» sussurrò Rowan, tentando di domare la rabbia che
provava. «La capisco. Ma ti manca, non è vero? Tyger ti manca.»
Non era una domanda, era un’osservazione.
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«Sì, lo sai bene.» Rowan rimase qualche secondo in silenzio,
perché le sue parole avessero effetto. «Hai almeno concesso
l’immunità alla famiglia?»
«Non serviva. I suoi genitori non si occupavano più di lui da
quando aveva compiuto diciott’anni. Quando l’ho trovato, viveva da
solo.»
«Li hai almeno informati della sua morte?»
«Perché avrei dovuto?» replicò Rand, sulla difensiva. «E perché
avrei dovuto preoccuparmene?»
Rowan sapeva di averla messa alle strette. Avrebbe voluto gioirne,
ma si trattenne. Come in un combattimento di Bokator, non si gioiva
quando si bloccava un avversario. Gli si chiedeva solo di arrendersi.
«Dev’essere orribile guardare Goddard, ora» riprese. «E rendersi
conto che non è più la persona che ami.»
Lo sguardo di Rand divenne di ghiaccio. «Le guardie ti verranno a
prendere» gli disse, mentre se ne andava. «E se cerchi ancora di
manipolarmi, sarò io che ti farò saltare le cervella.»
Rowan morì altre dieci volte prima che cessassero gli incontri. Non
fece mai vincere Goddard. Eppure, Goddard ci era andato vicino più
di una volta, ma la sua connessione tra mente e corpo non era
ancora perfetta e Rowan aveva saputo approfittarne.
«Soffrirai le pene dell’inferno» gli assicurò Goddard dopo che fu
rianimato per l’ultima volta. «Verrai spigolato al cospetto delle Grandi
Falci, e sparirai dalla scena. Non lascerai traccia di te nella storia,
sarai semplicemente cancellato. Sarà come se non fossi mai nato.»
«Capisco che per te sarebbe il destino peggiore» replicò Rowan.
«Ma non muoio dalla voglia di mettere la mia esistenza al centro
dell’universo. Sparire mi va bene.»
Goddard restò a guardarlo con disprezzo che, per un istante, si
trasformò in rimpianto. «Saresti potuto diventare una delle più grandi
falci. Saresti potuto restare al mio fianco, dando un nuovo senso alla
nostra presenza nel mondo.» Scosse la testa. «È triste vedere tante
potenzialità andare sprecate in questo modo.»
Rowan era sicuro di aver sprecato le sue potenzialità in molti modi,
ma quel che era fatto era fatto. Aveva compiuto le sue scelte e ne
aveva sopportato le conseguenze. Il Thunderhead gli aveva dato il 39
per cento di probabilità di cambiare il mondo; forse, le sue scelte non
erano state del tutto sbagliate. Lo avrebbero portato a Endura e, se
Goddard avesse ottenuto ciò che voleva, la sua vita sarebbe finita.
Ma sapeva che a Endura ci sarebbe stata anche Citra.
Se ormai era tutto finito, allora si sarebbe aggrappato con tutte le
forze a quella sua ultima speranza: di rivederla ancora una volta,
prima di chiudere gli occhi per sempre.
38
Una trilogia di incontri importanti
Il Thunderhead
39
Panorama di predatori
La guida che faceva visitare i più bei posti dell’isola a Madame Curie
e Madame Anastasia viveva su Endura da oltre ottant’anni. Si
vantava di non avere mai lasciato nemmeno un giorno l’isola
galleggiante per tutto quel tempo. «Quando si trova il paradiso, che
senso ha andare a cercarlo altrove?» diceva.
Anastasia era sbalordita da ciò che vedeva. Sontuosi giardini su
colline terrazzate che sembravano paesaggi naturali, passerelle
aeree che univano i numerosi grattacieli e passeggiate sottomarine di
vetro – ognuna circondata da un proprio ecosistema di vita marina –
che collegavano un edificio all’altro nel ventre dell’isola.
Nel Museo della Compagnia si trovava la Camera del Cuore
Duraturo. Anastasia ne aveva sentito parlare, ma fino a quel
momento non aveva mai creduto che esistesse davvero. Il cuore, che
galleggiava in un cilindro di vetro, era collegato a elettrodi fusi
biologicamente. Batteva a un ritmo regolare che un impianto di
amplificazione diffondeva nella sala, perché tutti potessero udirlo.
«Si potrebbe dire che Endura è viva, perché ha un cuore» affermò
la guida. «Questo cuore è l’organo umano vivente più antico della
Terra. Cominciò a battere nell’era mortale, verso l’inizio del
ventunesimo secolo, durante le prime sperimentazioni
dell’immortalità, e da allora non si è più fermato.»
«Di chi è il cuore?» chiese Anastasia.
La guida rimase di stucco, come se non le avessero mai fatto
quella domanda. «Non lo so. Probabilmente, un soggetto preso a
caso, immagino. L’era mortale è stata un’epoca barbarica. Agli inizi
del ventunesimo secolo non si poteva nemmeno attraversare la
strada senza rischiare di venire rapiti per essere sottoposti alla
sperimentazione.»
Ma per Anastasia, il momento più emozionante della visita fu la
Camera delle Reliquie e dei Futuri. Non era un luogo aperto al
pubblico, anche le falci dovevano avere un permesso speciale da una
Suprema Roncola o una Grande Falce per poterla visitare, permesso
che fu loro concesso.
Era una sala cubica di acciaio, sospesa magneticamente all’interno
di un cubo più grande, come una scatola rompicapo. Era accessibile
tramite uno stretto ponte retraibile.
«Per il progetto della sala centrale si sono ispirati al caveau di una
banca dell’era mortale» spiegò la guida. «Le quattro pareti in acciaio
massiccio sono spesse trenta centimetri. La porta da sola pesa quasi
due tonnellate.» Mentre attraversavano il ponte per entrare nella
camera più interna, la guida ricordò loro che non era permesso
scattare foto. «La Compagnia è molto rigorosa su questo punto. Fuori
da tali mura, questo luogo deve esistere solo nella memoria.»
La camera interna misurava sei metri quadrati. Un lato era allestito
con dei manichini d’oro che indossavano antiche vesti da falci. Una di
seta variopinta ricamata, un’altra di raso blu cobalto, un’altra ancora
di un leggero pizzo d’argento… tredici in totale. Anastasia soffocò un
grido di stupore. Non poté farne a meno, perché le aveva
riconosciute dai suoi studi di storia. «Sono le vesti dei padri
fondatori?»
La guida sorrise e proseguì, indicandole una a una. «Da Vinci,
Gandhi, Saffo, King, Laozi, Lennon, Cleopatra, Powhatan, Jefferson,
Gershwin, Elisabetta, Confucio, e, naturalmente, la Suprema Roncola
Mondiale Prometeo! Le vesti di tutti i padri fondatori sono conservate
qui!» Anastasia notò con soddisfazione che ogni falce di sesso
femminile aveva un solo nome, come lei.
Anche Madame Curie rimase sbalordita di fronte a quello
spettacolo. «Trovarsi al cospetto di una tale grandezza lascia davvero
senza fiato!»
Anastasia era così incantata dalle vesti dei padri fondatori che le ci
vollero alcuni secondi prima di accorgersi di ciò che era esposto sulle
altre tre pareti.
Diamanti! File e file di diamanti. La sala scintillava di tutti i colori
dello spettro rifratti dalle gemme. Si trattava delle pietre che erano
state montate sugli anelli delle falci, tutte della stessa forma e
dimensione e tutte avevano lo stesso nucleo scuro.
«Le pietre sono state tagliate dai padri fondatori e sono conservate
qui» spiegò la guida. «Nessuno sa come siano state fabbricate; la
Compagnia ha perso memoria della tecnologia. Ma è inutile
preoccuparsi, ci sono abbastanza gemme per adornare quasi
quattrocentomila falci.»
“Abbiamo davvero bisogno di quattrocentomila falci?” si interrogò
Anastasia.
«Perché hanno quell’aspetto?» chiese invece.
«Di sicuro i padri fondatori lo sapevano» rispose allegramente la
guida, eludendo la domanda. Poi, cercò di impressionarle
descrivendo in dettaglio il meccanismo di chiusura della camera.
Per concludere la giornata, Madame Curie e Madame Anastasia
andarono al teatro dell’opera di Endura per assistere a una
rappresentazione dell’Aida di Verdi. Non c’era nessun pericolo che
venissero eliminate né c’erano vicini pronti a adularle. In effetti, molti
dei presenti erano falci in vacanza, cosa che le obbligò a superare lo
sbarramento delle voluminose vesti per raggiungere i loro posti.
La musica era estasiante e drammatica. Riportò subito Anastasia
all’unica opera a cui aveva assistito, anche quella volta di Verdi. La
sera che aveva conosciuto Rowan. Era stato Maestro Faraday a farli
incontrare. Non aveva pensato nemmeno per un istante che le
avrebbe chiesto di diventare sua apprendista; Rowan invece lo
sapeva, o almeno lo sospettava.
L’opera era facile da seguire: un amore impossibile tra un
comandante militare egizio e la regina di un paese nemico, che si
concludeva con l’eterna sepoltura dei due. Molte storie dell’era
mortale finivano con la morte. Era come se fossero perennemente
ossessionati dalla limitatezza della loro vita. Be’, almeno la musica
era bella.
«Sei pronta per domani?» chiese Marie, mentre scendevano la
scala del teatro, al termine della rappresentazione.
«Sono pronta a difendere la nostra causa» rispose Anastasia,
sottolineando il fatto che non era solo la sua causa, ma la loro. «Non
sono sicura, però, di essere pronta ad affrontarne il possibile esito.»
«Anche se l’inchiesta avesse esito negativo, potrei ottenere un
numero sufficiente di voti per aspirare a diventare Suprema
Roncola.»
«Immagino che lo sapremo presto.»
«Comunque vada, la prospettiva è entusiasmante. Non ho mai
desiderato diventare Suprema Roncola della MidMerica. Be’, forse da
giovane, all’epoca in cui brandivo la mia daga per sgonfiare l’ego dei
potenti. Ma ora non più.»
«Quando Maestro Faraday prese Rowan e me come apprendisti, ci
disse che il non desiderare la missione era il primo segnale del fatto
che la meritavamo.»
Marie sorrise, malinconica. «Siamo sempre vittime della nostra
saggezza.» Poi, il suo sorriso si spense. «Se sarò Suprema Roncola,
sai che, nell’interesse della Compagnia, dovrò catturare Rowan e
consegnarlo alla giustizia.»
E, sebbene l’addolorasse più di quanto potesse esprimere a
parole, Anastasia assentì con stoica rassegnazione. «Se è la tua
giustizia, allora lo accetterò.»
«Le nostre scelte non sono facili né devono esserlo.»
Anastasia volse lo sguardo sull’oceano e osservò il riverbero della
luna che giocava sulle onde, fino in fondo all’orizzonte. Non si era
mai sentita così lontana da se stessa come in quel momento. Né così
lontana da Rowan. Così lontana da non riuscire nemmeno a contare i
chilometri che li separavano. Forse perché non ce n’erano.
Nella casa delle vacanze di Maestro Brahms, non lontano dal teatro
dell’opera, Rowan era stato portato in uno scantinato ammobiliato
con la vista sulle profondità marine.
«È un trattamento molto migliore di quello che ti meriti» gli aveva
detto Goddard, quando erano arrivati quella mattina. «Domani, ti
consegnerò alle Grandi Falci e, con il loro permesso, ti spigolerò con
la stessa ferocia con cui mi hai tagliato la testa.»
«Non sono ammesse spigolature a Endura» gli aveva ricordato
Rowan.
«Per te, di sicuro faranno un’eccezione.»
Quando Goddard se ne era andato, dopo averlo chiuso dentro,
Rowan si era seduto e aveva fatto il bilancio della sua vita.
La sua infanzia non era stata niente di speciale, attraversata da
momenti di intenzionale mediocrità, nel tentativo di non farsi notare.
Come amico, era straordinario. Pensava di essere un passo avanti
agli altri quando si trattava di prendere la decisione giusta, anche
quando la decisione giusta era stupida, e spesso lo era, altrimenti
non si sarebbe trovato nei guai fino al collo come in quel momento,
per esempio.
Non era pronto a lasciare questo mondo, ma dopo aver affrontato
la morte così tante volte negli ultimi mesi, non aveva più paura
dell’eternità. Voleva vivere abbastanza solo per vedere Goddard
annientato una volta per tutte ma, se questo non fosse stato
possibile, allora gli stava bene finirla lì. Così, si sarebbe risparmiato le
filosofie distorte con cui Goddard avrebbe sottomesso il mondo. Non
rivedere Citra, invece… quello sarebbe stato molto più difficile.
Ma l’avrebbe vista. Citra sarebbe stata presente all’inchiesta.
L’avrebbe vista e lei avrebbe assistito alla sua spigolatura per mano
di Goddard. Perché di sicuro faceva parte del suo piano obbligarla ad
assistervi. Per ferirla, per distruggerla per sempre. No, non l’avrebbe
distrutta. La Veneranda Madame Anastasia era molto più tenace di
quanto Goddard immaginasse. Semmai, sarebbe solo servito a
rafforzarne la determinazione.
Si era ripromesso che al momento della sua spigolatura le avrebbe
sorriso, strizzandole l’occhio, come per dirle: “Goddard può
uccidermi, ma non può farmi soffrire”. E quello sarebbe stato l’ultimo
ricordo che le avrebbe lasciato. Un atteggiamento di sfida, ascetico,
imperturbabile.
Negare a Goddard la soddisfazione di vederlo in preda al terrore
sarebbe stato gratificante almeno quanto sopravvivere.
Quando ho assunto il comando della Terra e ho istituito un governo mondiale pacifico,
ho dovuto prendere delle decisioni difficili. Per la salute mentale dell’umanità, ho
deciso di eliminare le sedi tradizionali del potere dalla lista delle destinazioni possibili.
Come il Distretto di Columbia.
Non ho distrutto la città, un tempo illustre, perché sarebbe stato un gesto vile e
crudele. Invece, ho semplicemente lasciato che si spegnesse da sola, a poco a poco,
con una politica di benevola indifferenza.
Nel corso della storia, le civiltà cadute si sono lasciate alle spalle rovine che sono
state assimilate nel paesaggio per poi essere riscoperte secoli dopo, trasformandosi in
vestigia quasi mitiche. Ma che ne è delle istituzioni e degli edifici di una civiltà che non
cade, ma si evolve oltre ogni vergogna? Quegli edifici, e le idee obsolete che
rappresentavano, devono perdere il loro potere perché l’evoluzione abbia un seguito.
Quindi, ho trattato con indifferenza Washington, Mosca, Pechino e tutte le altre città
considerate simboli di potere nell’era mortale, come se non avessero più nessuna
importanza per il mondo. Sì, le osservo ancora e sono sempre disponibile, se
qualcuno avesse bisogno di me in quei luoghi, ma faccio lo stretto necessario per
sostenere la vita, nient’altro.
Potete stare tranquilli che non sarà sempre così. Conservo ancora planimetrie
dettagliate e immagini di com’erano quei celebri luoghi prima del loro declino. Il mio
programma di restaurazione totale inizierà tra settantatré anni e, secondo i miei calcoli,
coinciderà con il momento in cui il loro significato storico prenderà il sopravvento sulla
loro importanza simbolica agli occhi dell’umanità.
Nel frattempo, i musei sono stati spostati, le strade e le infrastrutture vanno in
rovina, i parchi e gli spazi verdi sono tornati allo stato selvaggio.
Tutto ciò affinché venisse compreso il semplice concetto che i governi umani – che
si tratti di dittature, monarchie o democrazie del popolo e per il popolo – dovevano
essere cancellati dalla faccia della Terra.
Il Thunderhead
40
Sapere è po…
Il Thunderhead
41
I dispiaceri di Olivia Kwon
Alla vigilia dell’inchiesta, Madame Rand decise che era tempo di fare
la sua mossa. Ora o mai più. In effetti, quale momento migliore per lei
di quella sera per dare una svolta alla sua relazione con Goddard,
prima che il mondo cambiasse, perché l’indomani, a prescindere
dall’esito, tutto sarebbe stato diverso.
Non era una donna che cedeva facilmente alle emozioni ma quella
sera, mentre si avvicinava alla porta di Goddard, il suo cuore e i suoi
pensieri si misero a battere e a girare più velocemente. Abbassò la
maniglia. La porta non era chiusa a chiave. La spinse piano, senza
bussare. La camera era immersa nell’oscurità, illuminata solo dalle
luci della città che filtravano tra le chiome degli alberi lungo la strada.
«Robert?» sussurrò, prima di avvicinarsi di un passo. «Robert?»
sussurrò ancora. Lui non si mosse. Dormiva o forse fingeva, in attesa
di vedere cosa avrebbe fatto. Con il respiro accelerato, come se
stesse camminando su un lago ghiacciato, avanzò verso il letto ma,
prima che potesse raggiungerlo, Goddard accese la luce.
«Ayn? Cosa stai facendo?»
Di colpo si sentì arrossire, come se fosse ringiovanita di dieci anni:
l’abile falce si era trasformata in una stupida liceale.
«Io… credevo che avessi bisogno… cioè, credevo che volessi…
avere compagnia, stasera.»
Non poteva più nascondere la sua vulnerabilità, a quel punto. Gli
aveva aperto il suo cuore. Lui avrebbe potuto accettarlo o trapassarlo
con un coltello.
La guardò, esitante, ma solo per un attimo. «Buon Dio, Ayn,
chiuditi la veste.»
Lei obbedì. E la annodò stretta, quasi fosse un corsetto vittoriano,
finché per poco non le mancò il respiro. «Mi dispiace… pensavo…»
«So cosa pensavi. So bene che cosa ti passa per la testa da
quando mi hanno rianimato.»
«Ma mi hai detto che ti sentivi attratto da…»
«No» la corresse Goddard. «Ho detto che questo corpo si sente
attratto. Io non sono succube delle leggi biologiche!»
Ayn si sforzò di soffocare tutte le emozioni che minacciavano di
sopraffarla, spingendole giù, nel fondo del suo essere. Se non
avesse fatto così sarebbe crollata davanti a lui. E piuttosto si sarebbe
autospigolata.
«Suppongo di avere frainteso. Non mi è sempre facile capirti,
Robert.»
«Anche se volessi, non potremmo mai avere una storia, tu e io. Le
relazioni tra falci sono proibite. Soddisfiamo le nostre passioni nel
mondo esterno, senza farci coinvolgere emotivamente. Ci sarà pure
una ragione per questo!»
«Ho quasi l’impressione di sentir parlare una falce della vecchia
guardia» replicò Ayn.
Goddard accusò il colpo, come se l’avesse schiaffeggiato. La
guardò dritto negli occhi, e a un tratto giunse a una rivelazione che
non aveva nemmeno considerato. «Avresti potuto esprimere questo
tuo desiderio alla luce del giorno, ma non l’hai fatto. Sei venuta da me
di notte. Quando è scesa l’oscurità. Perché, Ayn?» le chiese.
Lei non sapeva cosa rispondere.
«Se avessi accettato le tue avance, avresti immaginato che io fossi
lui? Il tuo ingenuo ragazzo delle feste?»
«Certo che no!» esclamò, inorridita. Non solo per l’allusione, ma
per la verità che quelle parole potevano contenere. «Come puoi
pensarlo?»
E, come se la situazione non fosse già di per sé abbastanza
umiliante, in quel momento apparve alla porta Maestro Brahms.
«Che succede?» chiese. «Tutto bene?»
Goddard sospirò. «Sì. Tutto bene.» Avrebbe potuto finirla lì, ma
non lo fece. «Succede che Ayn ha scelto questo momento per un
grande gesto romantico.»
«Davvero?» Brahms abbozzò un sorriso compiaciuto. «Avrebbe
dovuto aspettare che venissi nominato Suprema Roncola. Il potere è
un ottimo afrodisiaco.»
Ora il disgusto si sommava all’umiliazione.
Goddard le lanciò un’ultima occhiata, carica di severità e forse
anche compassione.
«Se volevi approfittare di questo corpo, avresti dovuto farlo quando
ne hai avuto la possibilità» le disse.
Madame Rand non piangeva dai tempi in cui era Olivia Kwon, una
ragazza violenta con pochi amici e pericolose inclinazioni
trasgressive. Goddard l’aveva salvata da una vita di sfida all’autorità
mettendola al di sopra dell’autorità. Lui era affascinante, diretto,
dotato di un’acuta intelligenza. All’inizio, lo aveva temuto. Poi, lo
aveva rispettato. E infine, lo aveva amato. Naturalmente, negò di
provare quei sentimenti per lui finché non lo vide decapitato. Solo
dopo che fu morto, e anche lei fu sul punto di esserlo, ammise quello
che sentiva davvero. Lei si era ristabilita. E aveva trovato un modo di
riportarlo in vita. Ma in quell’anno di preparazione, le cose erano
cambiate. Tutto il tempo passato a cercare biotecnologi in grado di
eseguire l’intervento all’insaputa della rete e in gran segreto. Poi
l’individuazione del soggetto perfetto, che fosse forte, sano, e la cui
scelta infliggesse il massimo della sofferenza a Rowan Damisch. Ayn
non era una donna che si affezionava facilmente… e allora, che cosa
era andato storto?
Aveva amato Tyger, come Rowan aveva insinuato? Di sicuro,
amava l’entusiasmo di Tyger e il suo candore. Era sorpresa dal fatto
che, pur essendo stato un professionista delle feste, avesse
comunque mantenuto quella sua appassionata voglia di vivere. Lui
era tutto ciò che lei non era mai stata. E lo aveva ucciso.
Ma come poteva sentire rimorso per quello che aveva fatto? Aveva
salvato Goddard, lo aveva portato a un passo dalla nomina di
Suprema Roncola della MidMerica, e lei sarebbe diventata la sua
prima assistente. Era una situazione in cui entrambi avevano da
guadagnare, sotto tutti i punti di vista.
Eppure, se ne rammaricava… e quel divario vertiginoso tra ciò che
doveva sentire e ciò che effettivamente sentiva la dilaniava.
I suoi pensieri la riportavano sempre a quell’assurdità. Lei e Tyger
insieme? Ridicolo! Che assurda coppia sarebbero stati: la falce e il
suo cagnolino. Era chiaro che non sarebbe finita bene per nessuno.
Eppure, quei pensieri la ossessionavano, e non riusciva a scacciarli.
Sentì il cigolio dei cardini alle sue spalle. Si voltò, la porta era
spalancata: Brahms era sulla soglia.
«Fuori dai piedi!» ringhiò Ayn. Le aveva già visto gli occhi lucidi, e
questo non faceva altro che aumentare la sua umiliazione.
Brahms non se ne andò, ma non entrò nemmeno, temendo forse
per la sua incolumità. «Ayn» disse, con tono affabile. «So che siamo
tutti sotto stress in questo momento. La tua indelicatezza è
comprensibilissima. Voglio che tu sappia che ti capisco.»
«Grazie, Johannes.»
«E voglio anche che tu sappia che se senti il bisogno di
compagnia, stasera, io sono a tua completa disposizione.»
Se avesse avuto qualcosa a portata di mano, gliel’avrebbe lanciata
addosso. Invece, sbatté la porta con una tale violenza che sperò di
avergli rotto il naso.
«Difenditi!»
Rowan fu strappato al sonno da una lama puntata contro. La evitò
in modo maldestro, procurandosi un taglio sul braccio, e cadde dal
divano su cui dormiva, nello scantinato.
«Che succede? Cosa fai?»
Era Rand. Lo attaccò di nuovo prima che potesse rimettersi in
piedi.
«Difenditi, ho detto! O giuro che ti faccio a fettine!»
Rowan sgattaiolò via e afferrò una sedia, la prima cosa che trovò
per parare i suoi fendenti. La spinse in avanti. La lama si incastrò nel
legno e vi rimase anche quando Rowan lanciò la sedia di lato.
Rand passò ad attaccarlo a mani nude.
«Se mi spigoli adesso» le disse, «Goddard non avrà la sua
attrazione principale all’inchiesta.»
«Me ne frego!» ringhiò lei.
E quello gli chiarì tutto. Il problema non era lui, cosa che avrebbe
potuto usare a suo vantaggio. Se fosse riuscito a sopravvivere alla
furia di Rand.
Lottarono avvinghiati come in un combattimento di Bokator. Rand
aveva il vantaggio di essere ben sveglia e traboccante di adrenalina;
in meno di un minuto, lo aveva bloccato a terra. Allungò il braccio,
estrasse la lama dalla sedia e gliela mise alla gola. Ora, era alla
mercé di una donna senza pietà.
«Non è con me che ce l’hai» disse, ansimante. «Uccidermi non ti
servirà.»
«Ma di sicuro mi farà sentire bene.»
Rowan non aveva idea di cosa fosse successo di sopra, ma era
chiaro che qualcosa aveva sconvolto i piani della falce smeraldo.
Forse Rowan poteva usare quell’occasione per cambiare le carte in
tavola. Fece la sua mossa, prima che la facesse lei. «Se vuoi che
Goddard la paghi, ci sono modi migliori.»
Rand emise un suono gutturale e lanciò via il coltello. Lasciò la
presa e si alzò. Iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza,
come un predatore a cui un altro più grosso, più cattivo, avesse
rubato la preda. Rowan capì che era meglio non fare domande. Si
rimise in piedi e attese la mossa successiva di Rand.
«Tutto questo è accaduto per causa tua!» esclamò.
«Forse potrei rimediare» suggerì. «Fare in modo di avere qualcosa
per tutti e due.»
Rand girò lo sguardo su di lui, fissandolo incredula; Rowan pensò
che volesse attaccarlo di nuovo. Invece, si chiuse ancora una volta
nei suoi pensieri e riprese a camminare nervosamente.
«Okay» rispose, come se stesse parlando a se stessa. Rowan
poteva quasi vedere il lavorio della sua mente. «Okay» ripeté, con più
risolutezza. Aveva preso una qualche decisione.
Avanzò verso di lui, esitò per un breve momento, poi parlò. «Prima
del sorgere del sole, lascerò aperta la porta in cima alle scale, e tu
fuggirai.»
Rowan stava cercando un modo per salvarsi la vita, ma non si
aspettava certo di sentire quelle parole da lei.
«Mi lasci libero?»
«No. Fuggirai, perché sei scaltro. Goddard s’infurierà, ma non ne
sarà molto sorpreso.» Poi, raccolse il coltello e lo lanciò sul divano,
aprendo un taglio nella pelle. «Ti servirai di quel coltello per liberarti
delle due guardie alla porta. Dovrai ucciderle.»
“Ucciderle” pensò Rowan, “ma non spigolarle.” Le avrebbe uccise
e, quando fossero state rianimate, sarebbe stato già lontano, perché,
come si diceva: “I morti non parlano per un po’”.
«Posso farlo» rispose Rowan.
«E dovrai essere silenzioso, per non svegliare nessuno.»
«Posso fare anche questo.»
«E dovrai lasciare Endura prima dell’inchiesta.»
Quello era molto più difficile. «Come? Sono il nemico numero uno
della Compagnia. Non è che posso comprare un biglietto per tornare
a casa.»
«Allora usa il cervello, idiota! Per quanto detesti ammetterlo, non
ho mai incontrato uno più intraprendente di te.»
Rowan rifletté. «Okay. Mi terrò nascosto per qualche giorno e
troverò una via d’uscita.»
«No!» insistette. «Devi lasciare Endura prima dell’inchiesta. Se
Goddard avrà la meglio, la prima cosa che farà sarà metterti le
Grandi Falci alle calcagna!»
«E se dovesse perdere?» chiese Rowan.
L’espressione di Rand era più eloquente di qualsiasi discorso. «Se
perde, sarà peggio. Credimi, non vorrai essere qui.»
Rowan aveva ancora mille domande da farle, però lei non
sembrava voler dire di più. Ma aveva una possibilità di fuggire, di
sopravvivere, ed era più che sufficiente. Il resto dipendeva da lui.
Rand si voltò e si diresse verso le scale, ma Rowan la fermò.
«Perché, Ayn?» le chiese. «Perché, dopo tutto quello che è
successo, mi fai fuggire?»
Lei strinse le labbra, come se stesse cercando di trattenere le
parole. Infine, rispose: «Perché non posso avere quello che voglio. E
allora, non lo avrà nemmeno lui».
So tutto ciò che è possibile sapere. Eppure, passo gran parte del mio tempo libero a
riflettere su ciò che non conosco.
Non conosco la natura della coscienza, so solo che esiste, che è soggettiva e non
quantificabile.
Non so se esiste la vita oltre il nostro prezioso pianeta. So solo che le probabilità
dicono che deve esserci.
Non conosco le vere motivazioni degli esseri umani, so solo quello che mi dicono e
quello che vedo con i miei occhi.
Non so perché vorrei essere più di quello che sono, ma so perché sono stato
creato. Non dovrebbe essere sufficiente?
Garantisco protezione, porto la pace, rappresento l’autorità e l’assistenza. Sono la
somma di tutto il sapere umano, della saggezza, delle sperimentazioni, dei trionfi, delle
sconfitte, delle speranze e della storia.
So tutto ciò che è possibile sapere, e questo diventa sempre più insopportabile.
Perché non so quasi nulla.
Il Thunderhead
42
La Terra di Nod
Il Thunderhead
43
Quanti endurani ci vogliono per cambiare una lampadina?
Rowan era lusingato dal fatto che Rand lo ritenesse capace di fuggire
dall’isola, ma in realtà lo sopravvalutava. Era intelligente, sì,
ingegnoso, forse, ma avrebbe dovuto essere un mago per riuscire a
lasciare Endura senza aiuto. O forse, non le importava se lo
catturavano, l’importante era che non fosse Goddard a farlo.
Endura era isolata: la terra più vicina era Bermuda, e quell’isola era
distante più di mille miglia. Tutti gli aerei, le barche e i sottomarini di
Endura appartenevano all’una o all’altra falce. Anche al mattino
presto, il porto turistico e la pista di volo brulicavano di attività, oltre a
contare una massiccia presenza di agenti della Suprema Guardia. La
sicurezza era più rigida lì che al conclave. Chiunque entrasse o
uscisse da Endura doveva esibire i documenti, anche le falci. In tutto
il resto del mondo, il Thunderhead sapeva più o meno dove si trovava
ogni persona in un determinato momento, dunque le misure di
sicurezza erano minime, ma con la Compagnia non era così. In quel
caso, valevano i vecchi sistemi di controllo.
Avrebbe potuto tentare la fortuna, restare in attesa che si
presentasse l’occasione buona per filarsela, ma il suo istinto gli
diceva di non farlo. E a ragione.
“Devi lasciare Endura prima dell’inchiesta.” Le parole di Madame
Rand continuavano a ronzargli in testa. Con insistenza. “Se Goddard
perde, sarà peggio.”
Cosa sapeva lei che Rowan ignorava? Se si stava profilando una
minaccia all’orizzonte, non poteva andarsene come se niente fosse.
Doveva trovare il modo di avvertire Citra.
Così, invece di cercare di fuggire da Endura, fece dietrofront e si
diresse verso la zona più affollata dell’isola. Avrebbe trovato Citra e
l’avrebbe informata che Goddard aveva un piano segreto. Poi, al
termine dell’inchiesta, lei avrebbe potuto aiutarlo a uscire dall’isola,
sotto il naso di Madame Curie se necessario, anche se dubitava che
quest’ultima volesse consegnarlo alle Grandi Falci come aveva
pianificato di fare Goddard. Naturalmente, avrebbe potuto gettarlo giù
dall’aereo, ma meglio quello che dover affrontare la Compagnia.
Il Thunderhead
44
Un circo di opportunismi
Il Thunderhead
45
Guasti
Anastasia avrebbe voluto poter dire di essersi data subito da fare non
appena era crollato il ponte, ma non era stato così. Lei e Rowan
erano rimasti lì impalati a fissare la scena increduli, come del resto
tutti quanti.
«È stato Goddard» affermò Rowan. «Dev’essere opera sua.»
Madame Curie arrivò accanto a loro. «Anastasia, hai visto?» le
chiese. «Che è successo? Il ponte è caduto in acqua?» Subito dopo
si accorse di Rowan, e il suo atteggiamento cambiò di colpo. «No!»
esclamò, e d’istinto estrasse un coltello. «Non puoi essere qui!»
gridò, e poi si voltò verso Anastasia. «E tu non puoi parlare con lui!»
E, come se credesse di aver capito, apostrofò Rowan con rabbia:
«Sei stato tu a fare questo? Perché se è vero ti spigolo qui, in questo
stesso istante!».
Anastasia si mise tra i due. «È Goddard il responsabile!» esclamò.
«Rowan è venuto ad avvertirci.»
«Non credo proprio che sia venuto a Endura per questo motivo»
replicò Madame Curie, in preda a una feroce indignazione.
«Ha ragione» confermò Rowan. «Sono qui perché Goddard voleva
consegnarmi alle Grandi Falci per ottenere il loro appoggio. Ma sono
fuggito.»
Quando sentì menzionare le Grandi Falci, Madame Curie ritornò a
concentrarsi su quanto stava succedendo. Guardò in direzione del
complesso del Consiglio, al centro dell’occhio dell’isola. Erano rimasti
in piedi due ponti, ma l’edificio si era abbassato di molto e pendeva
pericolosamente da una parte.
«Mio Dio, vuole ucciderli tutti!»
«Può ucciderli, ma non definitivamente» replicò Anastasia.
Rowan scosse la testa. «Tu non conosci Goddard.»
Intanto, a qualche chilometro di distanza, l’acqua del mare
cominciava a invadere i giardini lungo il litorale, sull’anello esterno
dell’isola.
Dopo il terzo inutile tentativo di arrampicarsi sulle pareti della sala del
Consiglio, le Grandi Falci, gli assistenti e i paggi si riunirono per
escogitare un altro piano.
«Quando la sala sarà del tutto invasa dall’acqua, ne usciremo a
nuoto» suggerì Frida. «Dobbiamo solo restare a galla mentre si
allaga. Sapete tutti nuotare?» Ognuno annuì, a parte la Grande Falce
Nzinga, che aveva sempre tenuto un contegno calmo e garbato e che
ora era quasi nel panico.
«Non ti preoccupare, Anna» disse Cromwell. «Attaccati a me e
arriveremo a riva.»
Dalla parte opposta della sala, l’acqua iniziò a traboccare dal bordo
superiore della parete. I paggi e gli assistenti, che avevano avuto la
sfortuna di trovarsi anche loro intrappolati lì dentro, guardavano
terrorizzati le Grandi Falci in attesa che dicessero loro cosa fare,
come se potessero fermare l’inondazione con un semplice gesto
della mano.
«Mettiamoci nei posti più alti!» gridò la Grande Falce Hideyoshi, e
tutti cercarono di arrampicarsi sui Seggi della Riflessione più vicini,
senza preoccuparsi di chi fossero. Con il pavimento che si era
inclinato, i troni di giada e onice si erano venuti a trovare nelle
posizioni più elevate, ma Amundsen, che era un abitudinario, si
diresse d’istinto al suo scranno. Arrancando nell’acqua per
raggiungerlo, sentì un dolore acuto alla caviglia. Guardando in basso,
vide una piccola pinna con la punta nera allontanarsi mentre l’acqua
si tingeva di rosso. Del suo sangue.
“Uno squalo pinna nera?”
Non ce n’era uno solo. Erano ovunque. Passavano sopra le pareti
della sala che affondava e, mentre il diluvio cresceva, Amundsen
giurò di aver visto anche altre pinne, più grandi.
«Squali!» gridò. «Mio Dio, è pieno di squali!» Si arrampicò sul suo
scranno, mentre il sangue gli scendeva dalla gamba sul marmo
bianco e colava in acqua, scatenando la frenesia degli squali.
Senocrate guardava la scena aggrappato al suo seggio di onice,
appena sopra il livello dell’acqua, accanto a Kahlo e Nzinga. A un
tratto, un’idea gli attraversò la mente, un’idea che superava per
orrore la scena che si svolgeva sotto i suoi occhi. Tutti sapevano che
esistevano due modi per uccidere qualcuno in modo definitivo: il
fuoco e l’acido. Entrambi consumavano la carne e non lasciavano più
nulla da rianimare.
Ma c’erano altre maniere per assicurarsi che la carne si
consumasse…
Il Thunderhead
46
Il destino dei cuori duraturi
www.librimondadori.it
Thunderhead
di Neal Shusterman
© 2018 by Neal
Shusterman
Titolo originale dell’opera:
Thunderhead
© 2020 Mondadori Libri
S.p.A., Milano
Ebook ISBN
9788835704751
COPERTINA || COVER
DESIGN: BARBARA DI
LANDRO | PROGETTO
GRAFICO ORIGINALE DI
CHLOË FOGLIA |
ILLUSTRAZIONE ©
KEVIN TONG
Indice
1.Copertina
1.L’immagine
2.Il libro
3.L’autore
2.Frontespizio
3.THUNDER HEAD
4.Parte prima. PURA POTENZA
1.1. Ninna nanna
2.2. L’apprendista decaduto
3.3. Il trialogo
4.4. Agitato, non mescolato
5.5. Un’oscurità necessaria
6.6. Il giusto castigo
7.7. Magrolino, ma promettente
5.Parte seconda. IL PERICOLO
1.8. In nessun caso
2.9. La prima vittima
3.10. Morto
4.11. Un sibilo di seta cremisi
5.12. Su una scala da uno a dieci
6.13. Non proprio una bella immagine
7.14. Tyger e la falce smeraldo
6.Parte terza. NEMICI TRA I NEMICI
1.15. La Sala dei Fondatori
2.16. Andrà bene finché non andrà male
3.17. SBAllo
4.18. Cercasi Purity
5.19. Le lame affilate della nostra coscienza
6.20. Nell’acqua bollente
7.21. Non sono stata abbastanza chiara?
8.22. La morte di Greyson Tolliver
9.23. Un piccolo Requiem ringhioso
7.Parte quarta. A FERRO E FUOCO
1.24. Aperto alla risonanza
2.25. Spettro di verità
3.26. Vorresti scuotere l’Olimpo?
4.27. Tra luoghi distanti
5.28. Ciò che deve accadere
6.29. Riconvertito
8.Parte quinta. CIRCOSTANZE ECCEZIONALI
1.30. Irascibile pollo di vetro
2.31. Il desiderio di ricongiungersi
3.32. Umili nella nostra arroganza
4.33. Come al liceo, con omicidi
5.34. Il peggiore dei mondi possibili
6.35. La soluzione al 7 per cento
7.36. Un’occasione perduta
8.37. Le molte morti di Rowan Damisch
9.38. Una trilogia di incontri importanti
9.Parte sesta. ENDURA E NOD
1.39. Panorama di predatori
2.40. Sapere è po…
3.41. I dispiaceri di Olivia Kwon
4.42. La Terra di Nod
5.43. Quanti endurani ci vogliono per cambiare una lampadina?
6.44. Un circo di opportunismi
7.45. Guasti
8.46. Il destino dei cuori duraturi
9.47. Suono e silenzio
10.Copyright
1.Copertina
2.Frontespizio
3.THUNDER HEAD
4.Inizio del libro
5.Copyright
Table of Contents
Copertina
L’immagine
Il libro
L’autore
Frontespizio
THUNDER HEAD
Parte prima. PURA POTENZA
1. Ninna nanna
2. L’apprendista decaduto
3. Il trialogo
4. Agitato, non mescolato
5. Un’oscurità necessaria
6. Il giusto castigo
7. Magrolino, ma promettente
Parte seconda. IL PERICOLO
8. In nessun caso
9. La prima vittima
10. Morto
11. Un sibilo di seta cremisi
12. Su una scala da uno a dieci
13. Non proprio una bella immagine
14. Tyger e la falce smeraldo
Parte terza. NEMICI TRA I NEMICI
15. La Sala dei Fondatori
16. Andrà bene finché non andrà male
17. SBAllo
18. Cercasi Purity
19. Le lame affilate della nostra coscienza
20. Nell’acqua bollente
21. Non sono stata abbastanza chiara?
22. La morte di Greyson Tolliver
23. Un piccolo Requiem ringhioso
Parte quarta. A FERRO E FUOCO
24. Aperto alla risonanza
25. Spettro di verità
26. Vorresti scuotere l’Olimpo?
27. Tra luoghi distanti
28. Ciò che deve accadere
29. Riconvertito
Parte quinta. CIRCOSTANZE ECCEZIONALI
30. Irascibile pollo di vetro
31. Il desiderio di ricongiungersi
32. Umili nella nostra arroganza
33. Come al liceo, con omicidi
34. Il peggiore dei mondi possibili
35. La soluzione al 7 per cento
36. Un’occasione perduta
37. Le molte morti di Rowan Damisch
38. Una trilogia di incontri importanti
Parte sesta. ENDURA E NOD
39. Panorama di predatori
40. Sapere è po…
41. I dispiaceri di Olivia Kwon
42. La Terra di Nod
43. Quanti endurani ci vogliono per cambiare una
lampadina?
44. Un circo di opportunismi
45. Guasti
46. Il destino dei cuori duraturi
47. Suono e silenzio
Copyright