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MARIO TOBINO E LA FOLLIA

Le interviste a Tobino

“Cos’è la follia?” chiedeva il giornalista Luigi Vaccari1 a Mario Tobino in un


freddo giorno del dicembre 1990, e non era certo la prima volta che l’intervistato
si sentiva porre quella domanda.
“Eeh, la follia è un mistero: non si sa, c’è poco da dire.”
Un mistero inquietante, che aveva prodotto la segregazione dei matti per
nasconderli, separarli, escluderli dal consesso sociale, da sempre..
Per secoli infatti i malati di mente erano stati fonte di “vergogna” per le famiglie, ,
erano stati “curati” con camicie di forza, con la lobotomia e poi con
l’elettroshock, anzi, si era giunti a credere che le convulsioni indotte fossero
l’unico rimedio alla schizofrenia; isolati dal mondo, i pazzi all’inizio del’900 in
Italia erano stati iscritti nel casellario giudiziario.2
I manicomi erano rimasti a lungo il luogo di dolori ed orrori, dall’inconfondibile
odore di chiuso. Il professor Diatkine, dirigente di un servizio psichiatrico
all’avanguardia, affermava:
“Se senti odore misto di fumo e urina puoi senz’altro dire: on est chez nous.”3
Tobino cercò un nuovo approccio con i malati nell’ antico convento dei frati
lateranensi divenuto manicomio, posto sul colle Santa Croce, presso Maggiano,
dove lavorò dal 1941 al 1980:
“Quando rientrate nella notte di voi stessi, allora lì vi dite: sono io. Io sono lo
stesso.”
Tobino amava le sue creature, proprio perché lunatiche, diafane, letargiche,
maniache, fameliche, malinconiche, tutte umanissime e per loro avrebbe voluto
far di più, ma non aveva gli strumenti idonei.
Riusciva a “sentirle” attraverso la sua sensibilità e con la poesia, un mezzo “forse
il più istintivo, ma anche il meno fallace” mediante il quale l’uomo “può darsi
una ragione del suo (della pazzia) passaggio sulla terra e dei suoi modi.”4
“Dopo numerosi anni che frequentavo la pazzia mi sembrò di conoscerla, di
poterla umanamente dire”, spiegava lo psichiatra raccontando le motivazioni che
lo avevano indotto a scrivere nel ’53 “Le libere donne di Magliano”, diario “Da
un paese eguale agli altri”, quello cioè della pazzia.
Perché questo termine di “libere” quasi in contrasto con la loro realtà di furie

1
L. Vaccari, “Sull’onda della follia” Il Messaggero 22/12/1990
2
Legge n.36 del 1904 “Disposizione sui Manicomi e sugli alienati”
3
F. Rotelli, “Il racconto della pazzia” L’Unità 12/12/91
4
M. Bertuccelli, “Tobino, si è spento lo sguardo sulla follia.” Il Tirreno 12/12/91

1
(spesso) incatenate?5 Secondo Tobino le malate si abbandonavano alla pazzia
quasi cercando una liberazione o una più perfetta realizzazione di sé.
Ma come calmare “la violenza, la fantasia, l’orrore, la suprema immacolatezza,
l’impenetrabile lutto che accompagnano la follia?” Come tacitare “la danza
donisiaca”, “il pianto inconsolabile”,”l’angelo appollaiato sulla mia spalla a
cantarmi le sue arie”?6
L’anno zero della nuova psichiatria fu il 1952; il 26 maggio al congresso della
società medico-psicologica i ricercatori Delay, Deniker e Harl annunciarono la
scoperta di un agente farmacologico la cloropromazina, capace di sedare i deliri.
Tobino la usò con fiducia e con successo nei malati più gravi e tuttavia era
consapevole del fatto che la malattia non si poteva vincere né con gli
psicofarmaci, né con la socioterapia, né tantomeno curando il paziente a casa.
L’unica speranza era riposta comunque da Tobino nella chimica del cervello e nei
medicamenti che la potevano modificare.
Alla giornalista Emilia Granzotto7 spiegò che “ lo psichiatra è colui che studia i
sintomi delle malattie mentali e cerca di curarle con i metodi che ha a
disposizione: mezzi chimici e psicoterapia individuale, di gruppo, familiare,
comportamentale, ergoterapia, ludoterapia. Tutto quello che si può fare, oggi,
perché il malato non stia continuamente a contatto con il suo delirio. Lo psichiatra
ha a che fare con persone prive della capacità di intendere; e se uno non si
interroga continuamente sul bene e sul male, se non ha carità, non può fare questo
mestiere. Nemmeno se è un pauroso, può farlo. Ci vuole sempre coraggio, a
decidere per gli altri.”
Riguardo alle cause lo psichiatra non pensava che la follia fosse generata da
motivazioni sociali o storiche; al contrario riteneva che la pazzia fosse un
fenomeno, talvolta ereditario, connesso ad architetture cerebrali alterate, che si era
manifestato in ogni tempo; era necessario indagare sul punto preciso, “persino
matematico” nel quale avveniva il passaggio dall’equilibrio al presentarsi del
delirio e dell’allucinazione.
La follia non doveva essere poi scambiata per nevrosi, un disturbo, uno stato di
squilibrio per niente simile alla tragedia della pazzia; pertanto era uno sciocco

5
A. Bocelli, “Furie incatenate” La Stampa 03/03/1972.
6
G. Nascimbeni, “Tobino, lo scrittore in ascolto della follia” Il Corriere della Sera 12/12/91
7
E. Granzotto,”Più saggio fra i matti” Panorama 10/08/1972

2
snobismo voler curare il malato a domicilio, dove avrebbe potuto diventare un
pericolo per sé e per gli altri o, nella migliore delle ipotesi, essere oggetto di
dileggio per le sue “stramberie”.
Tobino fu fra i sostenitori, del Largactil, uno psicofarmaco contenente
cloropromazina, che sembrava magicamente far tacere i deliri e guarire anche i
malati più gravi. Tuttavia dopo un periodo di attenta osservazione, condotta
spontaneamente anche dagli infermieri perfino oltre l’orario di servizio, allo
psichiatra sorsero dei dubbi e il portiere D’Arrigo li esternò senza mezzi termini:
“Eh, dottore, si ricorda quando c’era Tono? Qui c’era tutta una festa, chi in una
maniera, chi in un’altra…”
Allora in Tobino si insinuò il timore di cancellare la personalità a quei matti di cui
si definiva con orgoglio il medico e il fratello.
“Ma, allora, togliamo la violenza, la manifestazione, lo splendore e il terrore della
natura?”8
Così nacque la seconda opera di Tobino, “Per le antiche scale” che nel 1972
raccontava una nuova realtà caratterizzata da una “totalizzante schiavitù chimica”:
“Le urla, i gemiti, le implorazioni fascinose, dolorose e assieme sfolgoranti dei
malati del primo libro si mutano nei suoni ovattati, nella grigia poesia della
malinconia di alcune note di pianoforte, di quelli del secondo.”9
Tuttavia Tobino era orgoglioso di dirigere l’ospedale di Maggiano, dove erano
avvenuti grandi cambiamenti nel corso degli anni e non solo dal punto di vista
medico-sanitario. Infatti l’articolo 4 della legge Mariotti10 aveva permesso di
trasformare il malato coatto in un uomo libero, non si usavano più né legacci, né
camicie di forza, né celle.
L’antico convento era diventato un luogo di accoglienza per pazienti e talvolta
pure ex degenti, perché dava lavoro anche ad alcune persone guarite; Tobino
credeva fermamente nella capacità terapeutica e nell’importanza della attività,
anche in funzione del reinserimento nella società dell’ex malato.
A questo proposito risulta straordinariamente innovativo il progetto di laboratori
protetti, dove inserire i pazienti guariti, seguiti da personale specializzato nelle
attività alla loro portata in previsione di un completo ritorno alla vita.11

8
L. Vaccari, art. cit.
9
M. Bertuccelli, art. cit.
10
Legge 431 del 1968. La legge Mariotti ebbe il merito di introdurre il ricovero volontario, la cancellazione
dell’obbligo di iscrizione al casellario giudiziario per i ricoverati e l’istituzione dei Centri di igiene mentale,
oggi Centri di salute mentale.
11
E. Granzotto art. cit.

3
Lungi dal comportarsi come uno psichiatra socialmente e culturalmente
impegnato (“una moda”) Tobino era convinto che un medico dovesse impedire la
strumentalizzazione a fini politici del malato; ironicamente, aggiungeva che un
rivoluzionario non avrebbe certo avuto bisogno dello schermo costituito da una
persona malata.
E alla giornalista che lo punzecchiava chiedendogli quanto di vero ci fosse nel
luogo comune che considerava un po’ “strani” i medici che avevano contatti
giornalieri con i matti rispose:
“Uno scienziato tedesco, il Kraepeling, sostiene che stando con i malati si acquisti
ogni 5 anni un grano di follia. Sono già trentacinque anni che io… Ahimè, pietà
di me…”
Negli anni seguenti ripetè spesso questa battuta aggiornandola.12
Tobino faceva infatti allegramente dell’autoironia; raccontava di aver scelto la sua
professione perché durante il servizio militare aveva conosciuto un medico del
manicomio di Bologna che in seguito gli aveva offerto un posto nel suo ospedale.
Intervistato dal giornalista Massimo Cerofolini13 dette un’altra versione dei fatti:
“C’è una cosa che ho sempre tenuto forte dentro di me: la curiosità per i moti
dell’animo umano. Ricordo una volta, ero studente, viaggiavo in terza classe sul
treno Viareggio-Pisa; in fondo al vagone, notai il comportamento di una persona:
movimenti strani, reazioni insensate, faccia spaurita: un piccolo evento,
apparentemente senza importanza. Ma di quelli che poi condizionano una vita. Sì,
perché fu proprio per quella persona sul treno, per capire le ragioni del suo fare,
che guardai con attenzione all’esame di psichiatria. E scelsi la professione
psichiatrica.”
Un altro episodio a questo proposito illuminante fu ricordato da Tobino durante
l’intervista concessa a Paolo Mattei per “ Il Tempo” in occasione dell’uscita de ”Il
manicomio di Pechino”14
Partito per la guerra di Libia e giunto alla sezione psichiatrica dell’ospedale di
Tripoli Tobino si trovò di fronte ad un giovane che dava segni evidenti di
squilibrio. “Subito dissi al maggiore responsabile - anche se non capiva niente di
follia - che secondo me si trattava di schizofrenia: «Te lo do io, lo schizofrenico»,

12
M. Chierici, “Tobino: «La loro casa è il manicomio»” Il Corriere della Sera 11/04/1979.
13
M. Cerofolini, “Tobino, per le antiche scale.” Paese Sera 16/ 1986
14
P. Mattei, “Nel manicomio di Pechino”, Il Tempo 12/12/91. Questo articolo dell’estate del 1990 fu ripreso per
commemorare la scomparsa dello psichiatra e scrittore.

4
rispose, e lo picchiò. Senza ribattere niente il ragazzo si alzò, sorrise e uscì sul
piazzale: dopo pochi secondi sentiamo il colpo di pistola. Lo trovarono sulla
spiaggia, dove era andato con l’intenzione di uccidersi. Forse aveva voluto vedere
il mare per l’ultima volta. Solo allora il maggiore capì di avere sbagliato.”
“Il manicomio di Pechino” è un diario relativo all’anno 1955, forse meno famoso
di altre opere, ma non meno importante, un pamphlet di stile settecentesco, dove
Pechino è un espediente per parlare dei fatti di casa nostra.
Infatti al lavoro Tobino affiancò sempre la passione per la scrittura, attività che
necessitava di solitudine e “ in mezzo alla follia la solitudine è totale”. 15
Affermava sornione di aver deciso di vivere all’interno dell’ospedale e non a
Lucca “perché i camionisti si mettono d’accordo, su e giù, tutte le ore. Mi passano
sul cuore con il clacson. Resto in manicomio per via del rumore.”16
Questa scelta e quella di restare celibe avevano ulteriormente favorito la
realizzazione del progetto di diventare uno scrittore.
In realtà se è vero che ogni scrittore finisce per raccontare di sé Tobino aveva
deciso di raccogliere in un diario le sue note giornaliere su quanto accadeva a
Maggiano, perché “ mi trovavo sempre a stupirmi davanti alle manifestazioni
della malattia”. E così erano nati tutti i suoi libri a partire da “Le libere donne di
Magliano”, non un manuale di psichiatria, ma “un discorso sulla follia, ma dal
punto di vista umano”, perché “Anche i matti sono creature degne d’amore”.
E Tobino amava davvero i suoi matti.
“Comincio col dire che per comprendere il malato di mente, occorre viverci
assieme. Non si può essere buoni psichiatri se ci limita a fare qualche visita in
ambulatorio e a studiare sui libri. Ho scelto di abitare a Maggiano, dentro
l’ospedale, proprio per questo.”17
Al mattino dopo aver dormito in un letto scomodo andava a prendere il caffè allo
spaccio per parlare con “il capo” e poi passeggiava con “il senatore”; questi erano
due degenti, il secondo dei quali all’età di vent’anni si era persuaso di essere un
senatore del Regno. “Era così convinto che un giorno si presentò davanti al
prefetto e lo imbarazzò, sia pure per qualche istante. Venne a Maggiano, tutti
cominciarono a chiamarlo senatore e a riverirlo: Lui era contento. Ascoltava la

15
E. Granzotto, art. cit.
16
M. Chierici, art. cit. Tobino si riferiva alla sua casa di Sant’Anna, alla periferia di Lucca, situata sulla Via Sarzanese,
trafficatissima.
17
M. Cerofolini, art. cit.

5
radio e commentava, spesso con me, i fatti più importanti. E con quale
arguzia!”18
Tobino non temeva la “maledetta dea”, anche se prima dell’uso degli
psicofarmaci voci, racconti, pianti tremendi lo raggiungevano dalle finestre aperte
della sua stanza.19
“A volte ero costretto a scappare perché il delirio stringeva le pareti.”
Ma in seguito raccontò:
“Mi viene a trovare un amico, dico amico anche se è ammalato: dopo
quarant’anni assieme…Tobino, dice, sento le voci ma non posso raccontarlo ai
medici… L’era nuova è cominciata con gli psicofarmaci, spengono i furori, ma
cancellano la personalità: non si è più gli stessi. Non fate che il carrello delle cure
diventi il carrello di una follia diversa…” 20
In un’altra intervista ricordò che era riuscito un giorno a far smettere di saltare da
un ramo all’altro dei platani del manicomio una ragazza di Viareggio, con grande
ammirazione di suor Maddalena. Ma sottoposta alla terapia farmacologica il
medico vide poi la ragazza quasi addormentata. “ Le pasticche attutiscono,
tacitano, velano. Prima poteva cadere, ma era felice. E’ giusto togliere la
personalità?”21
Per questa sua grande esperienza sapeva leggere la follia senza fatica e non si
faceva imbrogliare da chi diceva che non esisteva. Da qui la sua polemica contro
lo psichiatra Basaglia, contro certi “novatori” che vedevano addirittura negli
infermieri dei “secondini senza cuore”. Tobino non nascondeva che alcuni
potevano anche lavorare con una certa superficialità, dettata dalla pigrizia ma i
più erano coscienziosi, dotati di una pietas che nasceva dalla consapevolezza della
brevità della vita (anche propria) e della umanità dell’ammalato.
“Alle volte ci ho pensato, questa gente del contado, abituata alle bestie, e
parevano fatti apposta per capire certe cose: Stare otto ore in vigilanza, sa, senza
interruzione…”22
Prima del Largactil gli infermieri erano insostituibili anche sul piano della forza
fisica necessaria ad arginare le frequenti aggressioni; dopo il 1952 le continue
ricerche e innovazioni permisero di giungere alla cura del sonno e poi alla

18
P.M. Fasanotti, “Manicomio Italia” Panorama 27/05/90
19
M. Chierici, art. cit.
20
M. Chierici, art. cit.
21
L. Vaccari “La testa piena di matti” Il Messaggero 07/12/91
22
P. Sanavio, “Le molte vittime della legge 180” Avanti 30/08/90.

6
somministrazione di farmaci anche ai malati in piedi. L’entusiasmo era grande:
furono tolte molte sbarre, i malati erano meno pericolosi, il personale più sereno,
ma attento ed aggiornato; in numerose interviste lo psichiatra insistette sulla
necessità di personale paramedico specializzato da affiancare ai medici nei
manicomi.
Ma i politici e l’amministrazione provinciale osteggiavano l’uso del Largactil
perché costoso e i fondi per acquistarlo non potevano più finire nelle tasche di
certi intrallazzatori. La cura del sonno non era per niente violenta né invasiva
come invece l’elettroshock, le lobotomie o comunque gli interventi al cervello che
nel passato riducevano i pazienti al silenzio e alla quiete.23
Tuttavia l’onda del ’68 dichiarò che la follia non esisteva o era frutto dello
sfruttamento dei padroni e la normativa portò alla chiusura dei manicomi.
Nonostante “Le Monde” avesse definito la Legge 18024 la migliore del mondo,
Tobino obiettava che le difficoltà della sua applicazione erano enormi; le famiglie
non erano in grado di gestire i deliri di colpa, di rovina, la malinconia senza il
supporto di personale altamente qualificato, perché tali patologie “ non nascono
da affetti alterati come sostengono coloro che riducono ogni cosa al sociale, non
sono desideri di tenerezza e di affettuosità non esauditi, ma deliri paranoici, cioè
filiazioni della perversa mente alterata.”25
Al giornalista Maurizio Chierici Tobino mostrò alcune riviste americane di
psichiatria che documentavano in termini oggettivi e quantitativi alcune
caratterizzazioni delle malattie mentali a livello biochimico. Iniettando pochi
millimetri di una soluzione di fluoro e di un derivato del glucosio alcuni
ricercatori avevano ottenuto la mappa metabolica del cervello; confrontando le
mappe di una persona normale e quella di un paziente affetto da schizofrenia si
vedeva chiaramente che il cervello di quest’ultima riusciva a captare una quantità
minore di glucosio; nel cervello di un maniaco si evidenziava invece una
asimmetria nella attività dei due emisferi cerebrali.
La follia era quindi (ed è) una patologia da affrontare con continue ricerche e non
con test comportamentali.26
Tobino era poi consapevole che la chiusura dei manicomi avrebbe lasciato allo

23
P. Mattei, art. cit.
24
L. 13 maggo 1978 “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” voluta e formulata dallo psichiatra
Bruno Orsini, impropriamente chiamata legge Basaglia, perché accoglie alcune, ma non tutte le istanze dei
basagliani. Alcuni trattamenti sanitari diventano volontari e se in casi particolari sono obbligatori (Tso) lo sono nel
“ rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione”.
La legge 180 va poi precisato che fu approvata dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, in un clima politico
teso e calamitato da quel tragico evento.
25
M. Chierici, art. cit.
26
“La psicanalisi non è una scienza, ma una congettura” frase citata in:
D. Porzio, recensione a “Gli ultimi giorni di Magliano”, Panorama 15/03/1982

7
sbaraglio soprattutto i pazienti meno abbienti27; in effetti molti rifiutati dalla
famiglia e abbandonati a se stessi in seguito si suicidarono come lo psichiatra
raccontò ne “Gli ultimi giorni di Magliano” uscito nell’82; ciò nonostante quanto
la legge Basaglia entrò in vigore Tobino fu accusato di essere innamorato
esteticamente della follia, forse perché nelle sue risposte egli mescolava
l’esperienza scientifica alla biografia, il racconto alla diagnosi.
Lo psichiatra basagliano Agostino Pirella, sovrintendente degli ospedali
psichiatrici di Torino, pur riconoscendo la responsabilità di certi inconvenienti nei
ritardi accumulati dalle Regioni nel predisporre le strutture sostitutive dei
manicomi (case-albergo, comunità terapeutiche, unità mobili di pronto intervento)
accusò addirittura Tobino di avere “ verso il manicomio lo stesso atteggiamento
di quei gentiluomini inglesi che rimpiangevano le colonie”28.
E invece quanto rispetto e quanta empatia per i suoi matti!29 “Chiamava i malati
di mente espulsi dagli ospedali psichiatrici «bambini senza più culla»30. Era
dunque Tobino un antibasagliano. Ma con la felice contraddizione di essere stato
un precursore dei basagliani. Quando i malati di mente facevano paura, quando
ideologie e pratiche scientifiche li segregavano, Tobino parlava delle Libere
donne di Magliano, cioè scopriva l’umanità della follia e la sua bellezza,
insegnando a comprendere il «diverso», negli altri e in noi medesimi.31
La cronaca di quella battaglia, che fu culturale, civile e letteraria, vide Tobino in
prima linea; purtroppo delle cinque/sei ore di intervista rilasciata alla RAI in
difesa dei manicomi furono trasmessi solo tre minuti, come si lamentò con il
giornalista Vincenzo Pardini32. In quella occasione fece parlare due infermiere,
Pia Tognotti e Rosanna Bianchi, che confermarono i danni procurati dall’entrata
in vigore della legge 180, forti della loro professionalità ed esperienza e con la
pietas che Tobino definì propria “della civiltà lucchese”.
“E io non li ho saputi né proteggere nè vendicare. La mia angoscia continua.
Spero dunque, perché come scrittore e come medico ho fiducia negli uomini, che
qualcuno di quelli in alto voglia rivedere questa iniqua legge e voglia ridare una
casa agli ammalati di mente, così abbandonati e così indifesi.”33
Allo stesso giornalista titubante perché alle prime armi aveva raccomandato:

27
Uno degli obiettivi della Legge 180 era infatti quello di scaglionare nel territorio i malati di mente
ed abolire la loro concentrazione nelle strutture manicomiali. Interessante è sottolineare che all’ inizio
del dibattito le posizioni di Tobino e Basaglia non erano poi così distanti, perché entrambi erano contrari
alla ghettizzazione nei manicomi di soggetti “devianti” come alcolizzati o prostitute; tuttavia in seguito
per motivi politici e scientifici i due psichiatri giunsero a tesi assai diverse.
28
C. Mariotti., “E adesso poveri matti?” L’Espresso 24/01/82
29
M. Tobino, “Lasciateli in pace, è la loro casa.” La Nazione 18/04/78
30
M. Tobino, “Gli ultimi giorni di Magliano” Mondadori 1983 p.128.
31
A. Papua, “Vita da psichiatra” La Stampa 12/12/91
32
V. Pardini, “Dentro Maggiano, con Mario Tobino” La Nazione 18/01/89
33
V. Pardini, art. cit.

8
“Quando scrivi racconta la verità, racconta le persone e le cose come le vedi: lo
scrittore testimonia se stesso e gli altri; e spesso sa tutto, non perché lo sa, ma
perché lo intuisce.”34
Finchè è vissuto Tobino non ha mai cessato di recarsi a trovare i suoi matti, presso
i quali andava a rifugiarsi ogni volta che si imbatteva nell’aridità, nello
scetticismo, nella indifferenza del mondo della cosiddetta “normalità”.
Il suo scopo era sempre quello di ricondurre i malati di mente “sulla soglia della
nostra libertà”.
Tobino ci ha insegnato a non aver paura dei folli, a non deriderli solo perché non
si capisce il loro segreto e misterico codice comunicativo.35
“La pazzia è davvero una malattia? Non è una delle misteriose e divine
manifestazioni dell’uomo? Non esiste per caso una sublime felicità che noi
chiamiamo patologica e superbamente rifiutiamo?”36
In occasione della ristampa de “Le libere donne di Magliano” Tobino aggiunse
una prefazione importante37: “ E ora, se un piccolo potere ha la letteratura - e mi
piacerebbe avere il diritto di dire la poesia - questo libro davvero si ripubblica per
domandare ai sani se non sia giunto il tempo di aiutare chi è sulla soglia, in bilico
se rientrare nel mondo o rientrare nella caverna. E per i sani è giunto il momento
di fare il loro dovere verso i folli, e per aiutarli è semplicemente necessario
aumentare il numero dei medici, il numero degli infermieri specializzati, è
necessario costruire piccoli ospedali, in modo che ogni malato sia una persona e
non un numero pressochè anonimo…”
Ma le sue parole, soprattutto quando si battè contro la chiusura dei manicomi
caddero nel vuoto, anzi giunse amaramente ad affermare:
“Non intimorisco nessuno; i cinici mi considerano come un ciondolo di
carnevale.”38
Dopo la sua morte, avvenuta il giorno 11 dicembre 1991 ad Agrigento, dove si era
recato per ritirare il premio Pirandello, gli articoli di elogio e commemorativi si
sprecarono.
“Antitaliano prima di Giorgio Bocca, esternatore prima di Cossiga, ma soprattutto
poeta: come quando a proposito dei manicomi ha scritto:

34
Frase citata in :
V. Pardini, “Caro Mario. È venuta la morte, ma col sorriso” La Nazione 12/12/91
35
W. Mauro “Tobino e i richiami del cuore” Il Tempo 12/12/91
36
M. Tobino “ Le libere donne di Magliano” Vallecchi 1953
37
M. Tobino, “Le libere donne di Magliano” Mondadori 1963
38
P. M. Fasanotti, art. cit.

9
«qui ci sono delle anime: perché non allumarle soffiandoci sopra?»”39
Così scriveva Raffaello Vizioli, sottolineando della psichiatria la grandezza come
scienza umana e la miseria come scienza biologica, il giornalista riconosceva il
valore del lavoro di Tobino. Ammetteva che il suicidio non può essere ridotto ad
errori neurobiologici, che la depressione è prima di tutto condizione umana e poi
evento biologico, che la schizofrenia, la “follia” per la “gente comune” è la più
“cosmica” e inimmaginabile delle sofferenze, che è impossibile stabilire un
confine netto fra normalità e anormalità psichica, soprattutto nel campo delle
depressioni, comprese quelle cosiddette “creative” 40 . Tobino aveva trasformato
la tragedia della follia in afflato solidale e in poesia facendo ricorso alla sola sua
sensibilità. Eppure come modesto psichiatra di provincia “avrebbe avuto solo il
compito custodialistico di tenere segregati i folli affinchè i normali potessero
continuare tranquilli nel sudicio inferno kafkiano delle cose feriali”.
Tobino aveva sondato la psiche dei suoi matti con affetto, ne aveva raccontato le
storie; in “Per le antiche scale” i “racconti per efficacia e sintesi, per certa
vertiginosa penetrazione nei misteri insondabili della psiche (e occorrerebbe
sottolineare questo particolare tipo di modernità), richiamano il motivo della
vertigine delle “antiche” scale, che sembrano precipitare nel buio e nel mistero,
quasi un filo conduttore”41.
Così si dipanano davanti ai nostri occhi, fra le tante storie, quelle del federale e
del suo delirio di negazione, del sassofono del Meschi, del sogno infranto dell’ex
marinaio Bongi, di suor Fulgenzia e del suo tragico peccato.
Il medico contempla umanamente affascinato e curioso lo spettacolo della pazzia,
poi se ne distacca professionalmente per ripercorrerne l’origine, le avvisaglie, la
maturazione, infine torna ad una contemplazione estatica. Infatti Tobino non
racconta semplicemente delle storie, ma “canta” dei suoi matti; le vicende che
illustra sono pervase da accenti un po’ patriottici, dettati dall’amore per la sua
terra, per la sua gente, o dalle vicende storiche vissute e da una profonda morale
cristiana. “Il crocifisso certo conosce tutte le sofferenze e ne sa il perché”. Vale a
dire che il mistero di Dio è più prossimo e più come sorgente d’amore che come
enigma.42

39
R. Vizioli, “Cercava l’anima tra i suoi matti” La Repubblica 12/12/91
40
R. Vizioli, art. cit. Il giornalista cita nell’articolo Jonesco, Cioran, Pessoa, Morselli, Ottieri fra gli artisti ammalati di
Depressione.
41
C. Marabini, “Le scale di Tobino” La Nazione 03/02/72
42
C. Marabini, art. cit.

10
Un rapporto così profondo tra paziente e medico necessitava di minuziose
annotazioni e di un linguaggio specifico, che se oggi può sembrare superato resta
una cifra inconfondibile dell’opera di Tobino.
Essere frenastenico significa per esempio essere limitato nei pensieri, come la
Nella, accolta a Maggiano perché non si sentiva “adatta alla vita”43.
Nelle cartelle cliniche, che spesso sono state il brogliaccio delle sue opere, si
leggono metafore come “fuga di immagini invece che di idee”, “serpeggiare di
ansia e mania”, “nucleo delirante sconnesso”, “delirio di persecuzione e di
grandezza”, “lucido delirio di negazione”, “tendenza al favoleggiamento”,
“risposte a illusioni che si presentano”, “sintomatologia della malinconia
semplice”, “atteggiamenti euforici infantili”.
Se alcuni medici gli rimproveravano di aver inventato in modo un po’ arbitrario
questo dizionario della follia i critici letterari spesso arricciavano il naso davanti
al suo stile, difeso così da Giorgio Barberi Squarotti:
“L’aggressività espressionistica dello stile e della prospettiva in cui vicende e
personaggi sono osservati nasce ogni volta da un impulso di forte moralità e di
acre sdegno personale:”44
Proprio le cartelle cliniche rappresentano “un’irripetibile testimonianza del tempo
in cui la follia si affacciava con i suoi veri colori «dal rosa più benedetto al nero
infernale», e ancora non si era trasformata, con l’apatia chimica, «in caligine, in
fumo».45
Alcune di queste cartelle furono pubblicate postume con il titolo di “Una vacanza
romana” nel 1992.
“Sono spariti i nomi e i cognomi e sono rimaste le indicazioni dei mesi e dei
giorni. Proprio questo senso di anonimato fa sì che il lettore si trovi a tu per tu con
la follia, come se indossasse lo stesso camice bianco di Tobino e andasse di stanza
in stanza o sulle panchine del giardino a guardare e ad ascoltare. La follia, priva di
ripari o deviazioni anagrafiche, alterna nudo dolore e nuda speranza, nudo furore
e nuda quiete.”46
Nella realtà, parlando con i familiari dei pazienti, lo psichiatra si era reso conto
già da tempo della necessità di “filtrare” le storie che raccontava per

43
L. Vaccari, “La testa piena di matti” Il Messaggero 07/12/91
44
G. Barberi Squarotti, “Tobino le metafore della pazzia” La Stampa 12/12/91
45
G. Nascimbeni, “Tobino: tutte le mie matte”, Il Corriere della Sera 19/04/92
46
G. Nascimbeni, art. cit.

11
salvaguardare la privacy degli interessati e dei loro congiunti.
“Perché la faccenda è questa: un padre, un fratello che ha avuto in manicomio un
congiunto non ne vuole parlare, si dice a parole che la follia non esiste ma se lei
ha bambini non è a qualcuno che sa che ha avuto casi di follia in casa che lei
chiede di guardarli.”47
Tobino aveva tentato “di essere cavaliere della follia e di accompagnarla nelle
lente danze, nei balli vivaci, in quelli furiosi”, ma soprattutto “Queste cartelle
sono soltanto un ritratto di quel tempo, quando Mario Tobino fu per anni e anni
medico di manicomio.”48
Un dottore molto amato, sia dal personale che dai degenti; una volta una
improvvisa nevicata stava ricoprendo del tutto la sua automobile e alcune
ricoverate uscirono dalla corsia per ripararla con le loro stesse coperte.49
Il messaggio più significativo di Tobino è forse racchiuso nelle ultime frasi
dell’intervista rilasciata ad Avvenire nel maggio del 1988:
“Sono convinto che nella vita meglio di tutto è provocare la gratitudine dell’altro.
Come uomo e come scrittore più di tutto mi colpisce nella sua radicale bellezza la
natura dell’uomo, così misteriosa, così potenzialmente grande. E nell’orrore dei
deliri mentali ho sempre voluto riconoscere il sacro che è dell’umano,
l’inviolabilità della persona, in qualunque situazione si trovi.”50

BENEDETTA FERRI

ELISA CORTOPASSI

GIULIA FRANCESCHI

MARTINA PEZZINI

47
P. Sanavio, art. cit.
48
M. Tobino, “Una vacanza romana”, Trento 1992
49
M. Zappella, “Lo psichiatra” in “Per Mario Tobino” Nuovi Argomenti n. 14, 2001
50
R. Righetto, “Io, solo contro la 180” Avvenire maggio 1988, contenuta in Avvenire 12/12/91

12
Lo psichiatra e lo scrittore

Tobino fu spesso criticato per il suo modo di praticare la professione medica.


Ma a quale tipo di teoria psichiatrica si rifaceva?
Nell’introduzione al volume “Opere scelte” lo psichiatra Eugenio Borgna illustra
la distinzione fra la” psichiatria contrassegnata dal paradigma biologico, che si
realizza fino in fondo quando ogni esperienza psichica, normale o patologica, sia
considerata espressione immediata e diretta di funzioni e di strutture cerebrali, e
una psichiatria contrassegnata dal paradigma ermeneutico, nel quale si
riconoscono la psichiatria di matrice fenomenologica e quella di matrice
psicoanalitica. Che hanno come loro comune orizzonte di conoscenza la vita
psichica intesa nella sua autonoma ragione d’essere.”51
I due tipi di psichiatria differiscono fra loro quindi sia nelle premesse teoriche che
nelle modalità terapeutiche.
La concezione della psichiatria di Tobino fu “come e teoria e come prassi”
“radicalmente fenomenologica”; la psichiatria ermeneutica gli era congeniale
perché nella sua umanità, fragilità, originalità e creatività era in sintonia proprio
con il suo modo di vivere la follia.
Anche per questo il lavoro di Tobino si caratterizza, infatti la psichiatria italiana
fu “ divorata costantemente dall’assimilazione alla neurologia”, con l’eccezione
dei lavori di Ferdinando Barison, Danilo Cargnello e G. E. Morselli.
Tobino sapeva riconoscere il male di vivere anche nelle persone non malate, era
capace di parlare anche con il silenzio e guarire le ferite senza lasciare traccia;
tanto più era vicino ai suoi malati:
“… è una delle fondamentali leggi che i malati non hanno né passato, né futuro,
ignorano la storia, sono soltanto momentanei attori del loro delirio, che ogni secon
do detta, ogni secondo muore, appunto perché fuori dal mondo, vivi solo per la
pazzia, quasi avessero quel compito: di dimostrare che la pazzia esiste.”52
E controcorrente Tobino negò la schizofrenia come “ espressione del deserto delle
emozioni: del deserto della affettività e della intenzionalità”, cogliendo e
rivalutando la presenza di una vita affettiva intensa:
“All’invasione di una malattia mentale i sentimenti si ritirano, come in esilio; se
ne vanno in una loro misteriosa e intoccabile isola, pronti a tornare appena

51
E. Borgna. Introduzione a M. Tobino, “Opere scelte” I Meridiani Mondadori 2007
52
M. Tobino, “Le libere donne di Magliano” Mondadori 1963 p. 51

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l’alterazione mentale si è estinta.”53
Altrove Tobino scrive:
“Anselmo si fermava ad ascoltarla; e gli sembrava come nella scherma, quando si
viene toccati nel petto dal fioretto dell’altro, dalla punta dell’arma. Cercava di
instaurare un dialogo, almeno iniziarlo.”54
Mentre la psichiatria clinica ritiene le allucinazioni uditive un disturbo funzionale
delle strutture celebrali, Tobino le considera esperienze vissute, “modi di essere
nel mondo e di essere in una diversa relazione con gli altri”.
Nella follia si vive quindi in un altro mondo e si parla un altro linguaggio, con il
quale si può anche chiedere aiuto e il medico si può avvicinare al paziente con
“concrete e diverse modalità terapeutiche”.
“Eravamo quasi divenuti amici o cioè: io gli ero divento amico, lui come poteva
ricambiarmi? Si può avere affetto per un inesistente « una parvenza» « Una strana
immagine» Donare amicizia a una illusione?”55
Riportando alla luce delle emozioni e interpretandole Tobino giunge all’essenza
della malattia psichica, sconosciuta alla psichiatria biologistica; la relazione
terapeutica è pervasa da immedesimazione e partecipazione affettiva,
“indispensabili premesse, queste, per ogni psichiatria che non voglia rinunciare
ad essere fino in fondo scienza umana.”
Per ottenere questo scopo Tobino creò una scrittura lirica e immaginifica,
superando le categorie mediche abituali e gergali per giungere ad “un linguaggio
intensamente mimetico e pieno di luce ermeneutica.” 56
La descrizione della follia è immediata, palpitante, lirica e creativa nelle “Libere
donne”, che ci lascia stupefatti per il clima nel quale ci immerge; in “Per le
antiche scale” sono in primo piano l’innocenza e la purezza dei “matti”, mentre la
fantasia, figlia del sentimento, “tende ora ad essere oggetto di un’intima
religiosità.”57”La ricerca della verità della pazzia è in effetti la ricerca
dell’innocenza, della purezza, delle sole condizioni di grazia in cui fioriscono
sentimento e fantasia.”
Ma chi sono i matti? Anche la decisione dell’ ex direttore Bonaccorsi di chiudersi
in manicomio e di lavorare in modo anonimo per i giovani a causa di un banale

53
M. Tobino, “Per le antiche scale” p. 1352
54
M. Tobino, “Per le antiche scale” p. 1373
55
M. Tobino, “Per le antiche scale” p. 1356
56
E. Borgna, introd. cit
57
F. Del Beccaro, introduzione a M. Tobino, “Per le antiche scale” Mondadori 1983

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errore dettato da eccessivo entusiasmo può essere considerata un po’ folle, e su
questa scelta “grava l’ombra di una tara di famiglia”. In effetti il Bonaccorsi non
trova mai pace, si dimostra terrorizzato dai temporali, impone ai fratelli di non
sposarsi, ha rapporti cordiali con i colleghi, ma non privi di stranezze, e tuttavia,
pur morto da anni, la sua figura campeggia ancora mitica nel ricordo
dell’infermiere Achille e del portiere D’Inzeo.
Uno dei personaggi più famosi, il federale, era scaturito da un’ esperienza di anni
prima, quando aveva incontrato un paziente affetto dalla sindrome di Cotard,
ovvero una patologia legata alla malinconia che negava l’esistenza del mondo,
delle persone e delle cose.58 Tobino, in un articolo comparso sulla “Rivista
sperimentale di Freniatria” nel 1940, ne aveva descritto accuratamente il modo di
agire e di esprimersi secondo i dettami della scuola psichiatrica francese ed era
giunto a spiegare che poiché tutti i malinconici hanno scarsa capacità di sintesi
mentale tale impedimento costringeva il malato a costruirsi il suo delirio.
Michele Zappella59 sottolinea che questa follia di negazione è propriamente
intellettuale, pertanto questo delirio è tipico degli intellettuali malinconici, che
perdono il contatto con il modo delle idee, ma Tobino spiega che per intellettuale
intende “un uomo che ha dei concetti, e che li ama” quindi anche una persona
umile, che contrappone ai molti professionisti-falsi intellettuali.
Tobino trae la struttura della personalità da uno studioso tedesco, il Braun. Al
centro della personalità c’è la “persona vitale”, riferita alle strutture della base
dell’encefalo, diencefalo e mesencefalo, le parti più antiche e legate al sistema
vegetativo, cioè al corpo. Se per qualche motivo conosciuto o meno queste si
ammalano l’intelletto non potrà più lavorare, perché sono diventati “freddi” gli
elementi per costruire i concetti.
Si veda ne “Le Libere donne” la tbc nel naso della Sbisà. “Da vent’anni la
tubercolosi la perseguita, ha il corpo disseminato di ascessi cicatrizzati, il volto è
rimasto dolce.. la tubercolosi è il centro del suo animo, a lungo andare essa non ha
resistito e per quel continuo incubo le sono nati i deliri”
Più spesso la pazzia resta un male sconosciuto di natura neurobiologica.
Il collegamento tra l’inconscio, visto come l’insieme di forze vitali strettamente

58
M. Zappella, “Lo psichiatra” in “Per Mario Tobino” Nuovi Argomenti n. 14, 2001
59
M. Zappella, art. cit.

15
connesse alle idee era presente anche nelle opere di Dostoevskij, autore molto
amato da Tobino. Mentre Freud separa la razionalità dall’inconscio, affidando
l’analisi di questo ad un specialista in un percorso senza alcuna verifica, con
distacco affettivo del medico nei confronti del paziente lontano anche secondo un
codice prossemico, per Tobino e Dostoevskij è necessario entrare in sintonia con
il malato e partecipare alle sue emozioni, spesso anche attraverso l’arte.
Il tema della musica pervade certe pagine come “segno di una persistente e
misteriosa armonia, spia di sentimenti immortali” e influenza lo stesso “cursus
della prosa”:60
(Il suonatore pazzo faceva) “dei movimenti con la testa e il tronco che
richiamavano i delfini quando si alzano bambinescamente dalle onde oppure
veniva in mente un dolce poeta ebbro.”61
“Nel colmo del suo splendore Lucia fu colpita dalla malattia mentale. Il pensiero
le si frantumò, il discorso divenne incomprensibile, vocabolario triturato e a caso
gettate per aria manciate di striscioline; gli affetti scomparvero, l’espressione sul
volto un lago ghiacciato. E senza un perché, senza alcuna ragione, all’improvviso
si scatenava in furia, aggrediva, lacerava, vomitava parole volgarissime da
domandarsi come le aveva imparate. I genitori consumarono i loro risparmi per
nasconderla nelle case di cura; e poi si rassegnarono al manicomio. […] la madre
per caso si presenta alla visita da sola. Al solito si siede davanti alla figlia, ora
nella stanza della socioterapia. La figlia china su una tela. D’un tratto la Lucia
posa il cucito, si alza, si dirige al piano forte, accomoda lo sgabellino, si siede. La
memoria freschissima. Erano passati ventisei anni. Il primo tocco sui tasti fu di
straordinaria grazia. La madre seguiva le mosse della figlia, anche lei musicista.
Suonò per mezz’ora, sembrava raccontasse. Per le guance della madre scendevano
silenziose le lacrime. D’un colpo Lucia si interrompe, sbatte il coperchio, si alza,
nei tratti una bieca luce. Sembra sull’orlo di una furia.”62
Ingiustamente sia Dostoevskij che Tobino furono accusati di essere dei
reazionari; al contrario Tobino fu un pioniere di ospedali più umani e ammirato
per questo e per il fatto di essere stato un antifascista dallo stesso braccio destro di
Basaglia, Pirella, che nel 1972 dichiarò a Zappella:

60
F. Del Beccaro, introd. cit.
61
M. Tobino, “Per le antiche scale”, Mondadori 1972, p. 84
62
M. Tobino, “Per le antiche scale” Mondadori 1972, pp.110-111

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“Avremmo voluto che lui, Tobino, fosse il nostro nume tutelare, il nostro
predecessore.”63
Pensare che, mentre i manicomi venivano chiusi soprattutto per motivi economici
mascherati da motivi ideologici, Tobino sognava un nuovo ospedale psichiatrico a
Vicenza, una vera e propria città dei folli, simile a quella dei savi perchè
provvista di una piazza centrale e di una chiesa, richiami importanti alla funzione
comunitaria della struttura.
Lo psichiatra aveva già dimostrato di essere un antesignano e un medico di
straordinaria sensibilità quando, divenuto direttore dell’ospedale di Maggiano lo
aveva ingentilito creando un giardino, inserendo a poco a poco indicazioni più
umane per i reparti, sostenendo iniziative come la festa del Corpus domini o il
festival della canzone.64
Tobino fu isolato, ma fino alla fine si fece mandare la posta all’ospedale
psichiatrico, cancellato anche dalle mappe stradali: ”Così vedono che ancora ci
sono dei malati”, diceva.
“Gli ultimi giorni di Magliano” sono una cantata triste, che registra i molti morti
innocenti, sacrificati all’antipsichiatria in voga.
“ La Cavalla doveva essere assistito, condotto. Invece no. La colpa della malattia
mentale è della società, delle leggi ingiuste, dell’ambiente. Conclusione: la follia
non esiste. Quindi il matto, l’ex ricoverato, il diverso, vada, libero, verso il suo
destino, che per La Cavalla era una fossa di campagna.”65
“A una di queste grate, quella presso la stazione, si è fermata l’Attanasia, già
morta, dopo aver navigato lentamente. Dei cittadini l’hanno vista, livido e gonfio
il viso, ed hanno avvertito.”66
“«Al manicomio non ti ci vogliono più. Vai al caffè. E, perché non lavori?»
Il malinconico ode queste e altre frasi, che sono sempre più, distanti, distantissime
dai suoi pensieri, parole che per nulla lo interessano. E’ la morte che quasi una
sirena lo chiama, lo invita, gli canta. Il malinconico scende per il bitumoso
sentiero, procede, là in fondo c’è chi lo aspetta. Per gettarsi tra le sue braccia
userà i mezzi che ha a disposizione, in rapporto con la sua fantasia, la sua
urgenza, la minore o maggiore determinatezza, al grado del suo tedio.”67

63
M. Zappella, art. cit.
64
M. Zappella, introduzione a “Gli ultimi giorni di Magliano” Mondadori 2009
65
M. Tobino, “Gli ultimi giorni di Magliano” Mondadori 1983 p.126
66
M. Tobino, “Gli ultimi giorni di Magliano” Mondadori 1983 p.132
67
M. Tobino, “Gli ultimi giorni di Magliano” Mondadori 1983 p.136

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L’ippogrifo non volava più sul castello di Tobino, anzi il maniero era stato
smantellato.68
Non fu lui a romanzare la follia, ma quanti pretesero di considerare la pazzia alla
stregua di una banale influenza con risultati catastrofici.69
Ecco la descrizione della figura dell’antipsichiatra:
“Un personaggio che si presenta come libertario, anticonformista e afferma che,
se non ci fossero interferenze sociali, la nostra mente sarebbe sana e felice. Tutti i
guai nascono dalla società borghese, dai medici e dagli psichiatri.”70
Oggi l’uomo moderno ha una diversa consapevolezza riguardo alle malattie
mentali, per altro in aumento, come l’autismo, l’anoressia, la bulimia e i disturbi
depressivi.
La lettura della personalità del malato di mente vede oggi al centro la
organizzazione neurobiologica e l’interazione reciproca fra le strutture
del’encefalo e la corteccia celebrale; dispone di macchinari e farmaci, ma
nel ripercorrere la storia emotiva e i costrutti mentali del paziente non si discosta
poi molto dall’approccio proposto dal pioniere Tobino alla fine degli anni ’30.

SIMONE CAMMILLI

ANTHEA CECCHINI

MARIALUIGIA MARRAZZO

68
L. Mondo “Sul castello di Tobino l’ippogrifo non vola più” La Stampa 12/02/82
69
L’ultima tragedia è avvenuta il 25 agosto di quest’anno, quando un uomo affetto da problemi psichici dopo aver
rubato un pullman ha travolto e ucciso un padre di famiglia a Livorno.
Cfr. L. De Majo e L. Loreti “Perché era rimasto libero”, Il Tirreno, 27/12/2009
70
G. Corbellini- G. Jervis, “La razionalità negata: psichiatria e antipsichiatria in Italai” Bollati-Boringhieri, 2008

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