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Matrimoni misti:
conflitto fra diritto naturale e teologia?
di Urbano Navarrete, S.I.

1. Urgenza di rinnovamento
La disciplina canonica sui matrimoni misti sancita nel CIC 1917
era uno dei settori che richiedevano una revisione con più urgenza.
Questo fatto si fece particolarmente sensibile quando nel 1959 Gio-
vanni XXIII, nell’annunziare il futuro Concilio, indicava come scopo
specifico dell’assemblea conciliare il promuovere l’unità dei cristiani.
Da quel momento il problema dei matrimoni misti divenne per gli
acattolici e per molti cattolici il banco di prova della sincerità della
Chiesa cattolica nel promuovere l’ecumenismo. Giovanni XXIII morì
prima di poter realizzare qualche cosa di significativo in questo cam-
po. Il faticoso cammino della revisione del diritto sui matrimoni misti
sarà percorso da Paolo VI, con successivi passi tentennanti: dal M. P.
Pastorale munus del 30 novembre 1963, che segna il primo gesto
verso una disciplina più flessibile, fino al M. P. Matrimonia mixta del
31 marzo 1970, che sancisce la disciplina che poi sarà codificata nel
Codice del 1983.
Sarà bene innanzitutto tener presenti i punti chiave della legi-
slazione canonica del CIC 1917 al riguardo. Li possiamo sintetizzare
nei seguenti: 1) Esistenza di due impedimenti matrimoniali: impedi-
mento proibente di «mista religione», il quale vige fra cattolico e
acattolico battezzato (c. 1060); impedimento dirimente di «disparità
di culto», che vige fra cattolico e non battezzato (c. 1070). 2) La di-
spensa di questi due impedimenti non si concedeva a meno che si
verificassero le condizioni seguenti: a) che urgessero giuste e gravi
cause; b) che fossero prestate le «cauzioni» e cioè: da parte del co-
niuge acattolico la garanzia di allontanare dal cattolico il pericolo di
perversione della fede, mentre da parte di entrambi i coniugi la ga-
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ranzia di battezzare ed educare tutta la prole nella Chiesa cattolica;


c) che ci fosse la certezza morale che tali garanzie sarebbero state
poi adempiute; d) per la validità della dispensa, secondo la dottrina
prevalente, le cauzioni dovevano essere sincere (c. 1061). 3) I matri-
moni misti erano soggetti all’obbligo della forma canonica (c. 1099),
la cui dispensa restava riservata alla Santa Sede. 4) Erano però
esclusi da ogni forma liturgica (cc. 1102 par. 2; 1109). 5) I contraenti,
anche se avevano ottenuto la dispensa dagli impedimenti, non pote-
vano presentarsi al ministro acattolico in quanto ministro di culto
per prestare o rinnovare il consenso né prima né dopo aver celebra-
to il matrimonio (c. 1063 par. 1). 6) I cattolici che violavano la norma
del c. 1063 e quelli che celebravano il matrimonio con patto esplicito
o implicito di educare tutta o parte della prole fuori della Chiesa cat-
tolica incorrevano in scomunica latae sententiae riservata all’Ordina-
rio (c. 2319 par. 1, 1° e 2°).
Entro questo quadro normativo, i pastori di anime avevano l’ob-
bligo di dissuadere fortemente (quantum possunt, absterreant) i fe-
deli di contrarre matrimonio misto; e se non lo potevano evitare, di
procurare con ogni diligenza che le nozze non venissero contratte
contro le leggi di Dio e della Chiesa e poi di vigilare a che si adem-
pissero le promesse fatte (c. 1064). Il coniuge cattolico doveva ado-
perarsi prudentemente per la conversione della comparte acattolica
(c. 1062).
Questo insieme di norme che probabilmente non era già più ri-
spondente alla stessa realtà sociologica ed ecclesiale nel 1917 diven-
ne sempre più inadeguato a partire dalla seconda guerra mondiale.
Sono da rilevare alcuni dati sociologici che incidono decisamente sul
numero e sulla fenomenologia dei matrimoni misti: in questo secolo
XX, scompaiono sempre di più le barriere e i ghetti religiosi; la so-
cietà diventa sempre più pluralista, compenetrata e permeata da tut-
te le classi sociali e da tutte le credenze religiose; la gioventù riceve
una educazione sempre più libera ed autonoma dai genitori e gene-
ralmente frequenta in massa scuole statali, senza tener conto del fat-
tore religioso; l’emancipazione e promozione della donna comporta
la libertà delle giovani e la loro frequenza alle scuole e alle Univer-
sità a parità di numero e di possibilità con i giovani; la esaltazione dei
valori umani, sopratutto dell’amore, della sessualità, della libertà di
coscienza, dei diritti umani, dell’autonomia e dignità della persona
umana; il fenomeno migratorio proprio della società industrializzata,
con il conseguente sradicamento dal proprio ambiente e l’inserimen-
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to in un mondo nuovo per lo più carente del sostegno umano e pa-


storale necessario per conservare i valori della famiglia tradizionale.
Tutti questi ed altri simili fattori hanno contribuito in modo determi-
nante a cambiare la realtà sociologica ed ecclesiale concernente i
matrimoni misti. Oggi i giovani generalmente si incontrano nei luo-
ghi di studio, di lavoro o di divertimento, e sorge fra di loro l’amore
che li porterà al matrimonio, senza che il fattore religioso abbia in
pratica alcuna incidenza. Per lo più il problema religioso non eserci-
ta alcun influsso nel sorgere dell’amore e nell’iniziare il fidanzamen-
to. Esso si presenta forse per la prima volta al momento in cui i fi-
danzati devono iniziare le pratiche necessarie per la celebrazione del
matrimonio. Così si spiega che il numero dei matrimoni misti, già
negli ultimi anni sessanta, avesse raggiunto quasi il 50 per cento nei
paesi dove i cattolici coesistono in numero quasi pari con i non catto-
lici battezzati, come nella Germania Occidentale, nella Svizzera, nel-
l’Olanda 1.

2. Qualche cenno storico


Il CIC 1917 esprimeva la disciplina che si era venuta formando
lungo i secoli. Agli inizi degli anni sessanta, nel tentativo di premere
per la riforma della disciplina, non mancarono tentativi di vedere la
storia su questo problema con occhi nuovi. Così ad esempio, P. Hä-
ring, in un articolo che ebbe notevole risonanza, insisteva nella gran-
de differenza che esiste fra la disciplina della Chiesa apostolica e pri-
mitiva fino il secolo V e la disciplina attuale. La Chiesa apostolica e
primitiva, secondo lui, dotata di grande dinamismo ed impulso mis-
sionario, vedeva nei matrimoni misti uno strumento di propagazione
della Chiesa, di grandi possibilità pastorali. Perciò non vietava i ma-
trimoni misti, ma soltanto quelli fatti senza discernimento. Dopo il
sec. V, invece, spento il dinamismo e l’impulso missionario primitivo,
si incominciò a dimenticare le possibilità pastorali dei matrimoni mi-
sti ed a fissare l’attenzione soltanto sui pericoli che essi comportano
per la fede del coniuge cattolico. La disciplina del Codice di 1917 si è
sviluppata in prevalenza nel periodo della contro-riforma, nel quale il
protestantesimo era visto come anticattolicesimo. Perciò la Chiesa,

1
Cf VAN LEEVEN, P.A., Quelques chiffres concernant les mariages mixtes, in: Le problème des mariages
mixtes, Paris, 1969, 150-152.
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nella disciplina dei matrimoni misti, adotta una posizione di dife-


sa, senza vedere più le possibilità pastorali e missionarie che tali ma-
trimoni potrebbero offrire. Adesso, concludeva con ottimismo l’au-
tore, cambiate le circostanze e rinnovato lo slancio missionario
nella Chiesa, il problema si presenta in una prospettiva molto simile
a quella dei tempi apostolici e dei Concili di Laodicea e di Cal-
cedonia 2.
I casi del tempo apostolico che presenta il Nuovo Testamento 3
non trattano di matrimoni misti nel senso attuale, cioè di matrimoni
celebrati fra un cattolico e un non-cattolico. Si tratta invece di matri-
moni già celebrati in precedenza nei quali uno dei coniugi diventa cri-
stiano, restando l’altro nel paganesimo. In questa situazione, l’esorta-
zione sia di Paolo in 1 Cor 7,12-14 che di Pietro in 1 Pt 3,1-2 va ordina-
ta a che il coniuge cristiano perseveri nella convivenza con il coniuge
pagano, nella speranza di ottenere, con la preghiera e la condotta di
vita cristiana, la sua conversione. Paolo però è così lontano dal vedere
nel matrimonio uno strumento di propagazione della Chiesa che con-
cede al coniuge cristiano la facoltà di separarsi dal coniuge pagano se
la convivenza diventa un pericolo per la sua vita cristiana. La Chiesa
vedrà poi in questo caso il fondamento per il cosiddetto «privilegio
paolino» e in generale per la dissoluzione del matrimonio in «in favo-
rem fidei». Certo che nel Nuovo Testamento non si trova una proibi-
zione esplicita sui matrimoni misti. Tuttavia dai testi citati, come è ov-
vio, non si può trarre alcun argomento per affermare che la Chiesa
apostolica vedesse nei matrimoni misti uno strumento di propagazio-
ne missionaria. Nemmeno nell’epoca patristica ci sono testimonianze
che in qualche modo avvalorano questa tesi. Alcuni Padri come Ter-
tulliano e Cipriano adottano una posizione del tutto rigorista al riguar-
do. Altri, più tardi, come Agostino e Ambrogio sono più flessibili; in
nessun modo però favoriscono tali matrimoni 4.
Sin dall’inizio del s. IV sono diversi i Concili che si occupano dei
matrimoni misti, il che sta a significare l’importanza pastorale che la
Chiesa dava a questa materia. Indico i più significativi. Il Concilio di

2
HÄRING, B., Marriage mixte et Concile, in: Nouvelle Revue Théologique, 94 (1962) 699-908. Contro tale
interpretazione della storia scrisse subito BERNHARD, J., Le deuxièmme Concile du Vatican et le problème
des mariages mixtes, in Rev. du Droit c. 11 (1961) 151-162. (Da notare che dovuto al numero dedicato al
Card. Jullien, questo numero della rivista usci molto più tardi).
3
Cf 1 Cor 7,12-18; 1 Pt 3,1-7.
4
Cf TOMKO, G., Matrimoni misti, Napoli 1971, pp. 39-42.
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Elvira (circa a. 314) vieta di dare le giovani cristiane in spose ai paga-


ni, dando come motivo, inspirandosi forse a Tertulliano, il pericolo di
adulterio dell’anima, vale a dire di cadere nella infedeltà 5. Lo stesso
divieto vale per il matrimonio con gli eretici, se non vogliono entrare
nella Chiesa cattolica, e con i giudei. Il motivo che si adduce è che
non vi può essere alcuna comunione tra fedele e infedele. I parenti
che trasgredissero il divieto, debbono essere esclusi dalla comunio-
ne per cinque anni 6, anzi per tutta la vita, se dessero le figlie in mo-
glie a un sacerdote pagano 7. Il Concilio di Arles (a. 314) ingiunge lo
stesso divieto, pur se con pene meno determinate quanto alla durata,
le quali hanno come soggetto diretto le donne cristiane che trasgre-
discano il precetto: le ragazze cristiane non si uniscano in matrimo-
nio con i gentili, sotto la pena di esclusione dalla comunione per
un certo tempo 8. Il Concilio di Laodicea (a. 372) presenta una disci-
plina più flessibile, che ha dato adito a diverse interpretazioni. Nel
c. 10 dice: «coloro che appartengono alla Chiesa non devono unire
in matrimonio senza discrezione i loro figli con gli eretici 9». E il
c. 31: «Non conviene contrarre matrimonio con ogni eretico oppure
dare loro i figli o le figlie; ma piuttosto riceverli, se promettono di
diventare cristiani (cattolici)» 10. Il Concilio Ecumenico di Calcedonia
(a. 451) si occupa del matrimonio dei lettori e dei cantori, e prescrive
che a nessuno di loro è lecito prendere una moglie di convinzioni
religiose differenti; poi prescrive che se hanno avuto figli da tali ma-
trimoni e li hanno battezzati presso gli eretici, debbono addurli alla
comunione della Chiesa cattolica; e se non li hanno battezzati anco-
ra, non possono battezzarli presso gli eretici; e, infine, che non è leci-
to contrarre matrimonio con un eretico, né con un pagano, né con
un giudeo, se la persona che sposa il cattolico non prometta che si

5
C. 15: «Propter copiam puellarum gentilibus minime in matrimonio dandae sunt virgines christianae,
ne aetas in flore tumens in adulterium animae resolvatur»: MANSI, 2,8.
6
C. 16: «Haeretici, si se transferre noluerint ad ecclesiam catholicam, nec ipsis catholicas dandas esse
puellas, sed neque judaeis, neque haereticis dare placuit, eo quod nulla possit esse societas fidelis cum
infidele: si contra interdictum fecerint parentes, abstineri per quinquennium placet»: MANSI, 2,8.
7
C. 17: «Si forte sacerdotibus idolorum filias suas iunxerint, placuit, nec in fine dandam esse commu-
nionem»: MANSI, 2,8.
8
C. 11: «De puellis fidelibus quae gentilibus iunguntur, placuit ut aliquanto tempore a communione se-
parentur»: MANSI 2,472.
9
C. 10: «Non oportere eos qui sunt ecclesiae indiscriminatim suos filios haereticis matrimonio coniun-
gere»: MANSI, 2,565.
10
C. 31: «Quod non oportet cum omni haeretico matrimonium contrahere, vel dare filios aut filias: sed
magis accipere, si se christianos futuros profiteantur»: MANSI, 2,569.
270 Urbano Navarrete

convertirà alla fede cattolica. I trasgressori subiranno le pene ca-


noniche 11.
In questi Concili si trova in germe la disciplina multisecolare
della Chiesa riguardo ai matrimoni misti. Nel corso dei secoli si svi-
lupperanno e verranno precisati alcuni aspetti del complesso proble-
ma, ma sia i principi fondamentali di carattere dottrinale sia i punti
cardinali della disciplina, si trovano già in germe nei citati canoni di
questi quattro Concili, celebrati in diverse regioni della Chiesa e in
diversi tempi, tutti però prima della metà del s. V. Constatiamo che,
da una parte, la Chiesa non proibisce in modo assoluto i matrimoni
misti, sia con gli acattolici battezzati (eretici), sia anche con i non
battezzati, fra i quali le fonti distinguono due categorie: pagani e giu-
dei. D’altra parte però si vanno configurando diverse proibizioni ri-
guardanti tali matrimoni, più o meno severe, a seconda delle catego-
rie di persone e delle circostanze storiche. Molto più flessibile appa-
re il concilio di Laodicea; tuttavia in nessun modo si può dire che il
concilio incoraggi i matrimoni misti. Le ragioni dei divieti sono fon-
damentalmente due, accennate già nel concilio di Elvira: il pericolo
di cadere nell’infedeltà, che il Concilio chiama «adulterio dell’ani-
ma», e il fatto che non ci può essere comunione tra fedele ed infede-
le, come indica il c. 16 dello stesso Concilio. Per quanto riguarda le
condizioni che possono giustificare tali matrimoni, si menziona la
promessa della conversione alla Chiesa cattolica (c. 31 di Laodicea e
14 di Calcedonia), mentre si trova già chiaramente espresso il divie-
to di far battezzare la prole nata da tali matrimoni presso gli eretici
(c. 14 di Calcedonia). In questi dati si prospetta già in germe l’istitu-
to delle «cauzioni» del diritto moderno.
Durante il medio evo non ci sono contributi di rilievo, tranne
che per quanto riguarda gli impedimenti. In effetti, è a partire del s.
XII che si profila sempre più chiara la distinzione fra impedimenti
proibenti e dirimenti in genere nel diritto canonico. Nel nostro argo-
mento, per opera soprattutto di Uguccione si afferma la distinzione
fra l’impedimento soltanto proibente che vige fra cattolici e battezza-

11
C. 14: «Quoniam in nonnullis provinciis concessum est lectoribus et cantoribus uxores ducere, de-
crevit Sancta Synodus nulli eorum licere diversae a recta opinionis uxorem ducere: eos autem qui ex
eiusmodi matrimonio liberos susceperunt, si eos quidem baptizare apud haereticos praevenerint, ad
catholicae ecclesiae communionem adducere; si autem non baptizaverint, non posse eos apud haereti-
cos baptizare. Sed neque haeretico, vel pagano, vel Judaeo, matrimonio iungere, nisi utique persona,
quae orthodoxae iungitur, se ad orthodoxam fidem convertendam spondeat. Si quis autem hoc Sanctae
Synodi decretum transgressus fuerit, canonicis poenis subiiciatur»: MANSI, 7,363.
Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia? 271

ti non cattolici e l’impedimento dirimente fra cattolici e non battezza-


ti, pur se tutti e due gli impedimenti venivano chiamati di «disparità
di culto», o con termini equivalenti, fino a tempi recenti in cui si con-
solida la terminologia specifica «mista religione» e «disparità di cul-
to» sancita nel CIC 1917 12.
Il Concilio di Trento non presta attenzione diretta al problema
dei matrimoni misti. Tuttavia l’introduzione dell’obbligo della forma
canonica, cambia sensibilmente la situazione, in quanto ogni matri-
monio che venisse celebrato nelle parrocchie dove fosse stato pro-
mulgato il decreto Tametsi era sottoposto alla legge della forma ca-
nonica, quindi anche i matrimoni misti. Questo fatto dava la possibi-
lità concreta di maggior controllo e anche di esigere delle garanzie
prima di concedere la dispensa dagli impedimenti e di assistere a tali
matrimoni. D’altra parte, sia il dinamismo missionario proprio della
Chiesa a partire del s. XVI, sia la riforma protestante che divide il
mondo cristiano d’occidente, contribuiscono fortemente a che il pro-
blema dei matrimoni misti diventi un problema sempre attuale e vivo
in questi ultimi secoli. Passo a passo, soprattutto ad opera dei Dica-
steri della Santa Sede, si configura l’istituto della dispensa dagli im-
pedimenti di mista religione e di disparità di culto e delle garanzie o
«cauzioni» che le parti devono prestare perché venga accordata la
dispensa 13. Disciplina che viene codificata nel CIC del 1917, che so-
pra abbiamo ricordato in sintesi.

3. Linee maestre della riforma legislativa


Nella fase preparatoria del Concilio, l’argomento dei matrimoni
misti, sotto il punto di vista canonico, era stato trattato in due sche-
mi, uno della Commissione dei sacramenti, l’altro di quella delle
Chiese orientali. Ma la Commissione di Coordinamento dispose che
il capitolo sui matrimoni misti fosse elaborato da una apposita com-
missione mista, composta dal Segretariato per l’Unione dei Cristiani,
dalla Commissione De doctrina fidei et morum e dalla Commissione
De Sacramentis 14.

12
Cf LEFEBVRE, Ch., Quelle est l’origine des expressions «matrimonia mixta» et «mixta religio»?, in: Ius
Populi Dei, Miscellanea in honorem R. Bidagor, III, Roma 1972, 359-373.
13
Cf TOMKO, G., op. cit., pp. 45-49.
14
Per una esauriente e accurata informazione, cf G. CAPRILE, Il Concilio Vaticano II, vol. II, Roma 1968,
121, 217, 33; vol. IV, Roma 1965, 491-500. Su quanto esporrò in sintesi in questo punto, vedere il mio
272 Urbano Navarrete

Tuttavia il Concilio, nonostante l’attualità dell’argomento, non


emanò nessun documento sui matrimoni misti. Anzi riguardo ai ma-
trimoni misti dei cattolici latini non fece alcun cambiamento normati-
vo. Invece il decreto Orientalium Ecclesiarum, approvato il 21 novem-
bre 1964, disponeva che nei matrimoni misti fra Orientali, la forma
canonica non obbligasse più ad validitatem, ma soltanto ad liceita-
tem; per la validità d’ora in poi sarà sufficiente la presenza di un mini-
stro sacro (n. 18). Questa legge verrà estesa anche ai matrimoni fra
cattolici latini e acattolici orientali con il decreto del 22 febbraio 1967
Crescens matrimoniorum della Congregazione delle Chiese Orientali,
e sarà definitivamente accolta nel CIC del 1983 (c. 1127 par. 1).
Poiché nella riduzione delle materie da trattare nel Concilio fu
cancellata la materia sacramentale, la materia riguardante gli aspetti
giuridici del matrimonio fu raccolta in un Votum de Matrimonii Sa-
cramento, che l’assemblea conciliare discusse il 19 e 20 ottobre 1964,
ma senza approvarlo formalmente. Tuttavia le proposte in esso con-
tenute furono demandate al Sommo Pontefice affinché vi provvedes-
se per mezzo degli organi competenti 15. I desiderata dei Padri conci-
liari riguardo ai matrimoni misti si possono sintetizzare nei seguenti
enunciati: 1) si tengano separate le norme dei matrimoni fra un cat-
tolico e un non-cattolico battezzato da quelle dei matrimoni fra un
cattolico e un non-battezzato; 2) per la dispensa dall’impedimento, il
cattolico graviter onerata conscientia deve promettere con sincerità
di battezzare in quantum poterit la prole e di educarla secondo i prin-
cipi cattolici; quanto alla parte non-cattolica essa dovrà essere messa
al corrente (moneri) di queste promesse; dovrà inoltre risultare che
essa non si opporrà a tali impegni e quindi venire informata delle fi-
nalità e proprietà essenziali del matrimonio che nessuno dei con-
traenti può escludere; 3) i matrimoni misti devono essere celebrati
con la forma canonica; tuttavia agli Ordinari del luogo potrà essere
concessa la facoltà di dispensare dalla forma, qualora dovessero
ostare gravi difficoltà per l’osservanza della forma; 4) per quanto
concerne la forma liturgica, il matrimonio fra battezzati si celebri du-
rante la Messa, mentre il matrimonio fra un cattolico e un non-bat-
tezzato si potrà celebrare durante la Messa se l’Ordinario del luogo

studio: La riforma della legislazione canonica sui matrimoni misti e l’esercizio della collegialità sotto il
pontificato di Paolo VI, in: Paul VI et les réformes institutionnelles dans l’Élise, Juornée d’études, Fribourg
(Suisse) 9 novembre 1985, Brescia 1987, 87-100.
15
Cf AAS 59 (1967) 165-166.
Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia? 273

lo riterrà opportuno; 5) si abroghi la scomunica del diritto vigente


contro chi celebra il matrimonio davanti a un ministro acattolico.
Questi desiderata dei Padri conciliari costituiscono le linee
maestre della riforma legislativa sui matrimoni misti, che Paolo VI
porterà a compimento e che il CIC promulgato nel 1983 accoglierà
quasi senza modifiche. Per Paolo VI la questione costituì motivo di
particolare preoccupazione. Nel discorso al Sacro Collegio del 24
giugno 1965, dopo aver accennato ad alcuni problemi di quel mo-
mento della vita della Chiesa, fa riferimento a «due altre questioni
assai importanti» che impegnavano le sue «vigili cure», la prima del-
le quali era appunto «la disciplina canonica dei matrimoni misti (que-
stione delicata che esige qualche altra riflessione) 16».
Il primo passo verso la riforma lo segna la istruzione Matrimo-
nii Sacramentum 17 della Congregazione per la Dottrina della Fede,
del 30 marzo 1966, documento pubblicato con una certa fretta come
preparazione al grande avvenimento ecumenico della visita a Roma
dell’arcivescovo anglicano di Canterbury, Michael Ramsey, che cul-
minò con la «Dichiarazione comune» letta da Paolo VI e dallo stesso
rappresentante della comunità anglicana nella basilica di S. Paolo il
24 di marzo. In generale si può dire che questa Istruzione stabilisce i
capisaldi della riforma auspicata dal Votum del Concilio. Tuttavia in
alcuni punti appare più timida dei desiderata dei Padri conciliari e, in
genere, è redatta in uno stile alquanto esitante, pieno di clausole cau-
telative, clausole che per la maggior parte furono omesse nel M. P.
Matrimonia mixta del 31 marzo 1970.
Paolo VI istituì il Sinodo dei Vescovi con il M. P. Apostolica solli-
citudo del 15 settembre 1965. La prima sua assemblea ebbe luogo
nell’ottobre 1967. Fra gli argomenti proposti per questa prima as-
semblea ce n’era uno dal titolo Quaestiones quaedam de matrimoniis
mixtis. Nel fascicolo distribuito durante la estate come strumento di
lavoro, si proponevano otto domande precise alle quali i Padri sino-
dali dovevano dare il loro suffragio durante il Sinodo. Tali domande
versavano sulle seguenti questioni: terminologia, cauzioni, impedi-
menti, forma canonica, forma liturgica, cura pastorale 18. Il risultato

16
AAS 57 (1965) 639.
17
AAS 58 (1966) 235-239. Per un commento all’Istruzione, cf U. NAVARRETE, Annotationes canonicae ad
lnstructionem «Matrimonii sacramentum» S. Cong. pro Doctrina Fidei, in: Periodica, 55 (1966) 755-769.
18
Per ulteriori informazioni sui singoli punti, con i risultati delle votazioni, rinviamo al nostro saggio
Matrimonia mixta in Synodo Episcoporum, in: Periodica 57 (1968) 653-692. Per una informazione esau-
riente, cf G. CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi, Roma 1968, 325-338.
274 Urbano Navarrete

di questa consultazione fu affidato da Paolo VI ad una speciale com-


missione, quae magna cum sedulitate conclusiones suas Nobis exhi-
buit in ordine alla promulgazione della legislazione definitiva sui ma-
trimoni misti.
Nel M. P. Matrimonia mixta 19, 31 marzo 1970, Paolo VI segue
con grande scrupolosità il risultato della consultazione sinodale al ri-
guardo, modificando non poche disposizioni dell’istruzione Matri-
monii Sacramentum. A differenza poi della istruzione, redatta con
stile alquanto titubante, il M.P. presenta una legislazione decisa, for-
mulata in stile limpido e chiaro. Ecco alcune osservazioni concrete:
1) Si sancisce la terminologia «matrimoni misti» (quesito I e II del
Sinodo) che si applica sia ai matrimoni fra un cattolico e un non-cat-
tolico battezzato sia a quelli fra un cattolico e un non-battezzato
(M.P., introd.). 2) Restano gli impedimenti di mista religione e di di-
sparità di culto (quesito IV) con lo stesso ambito ed efficacia di pri-
ma (M.P., nn. 1-2). 3) Nell’istituto delle «cauzioni» (quesito III) si ac-
cetta senza riserve il minimo di condizioni che i Padri sinodali aveva-
no giudicato come sufficienti. Si accetta pure il suggerimento di
lasciare alle conferenze episcopali la facoltà di determinare le moda-
lità per la prestazione delle «cauzioni» (M.P. 3-6). 4) Quanto alla for-
ma canonica (quesiti V e VI), pur restando l’obbligo ad validitatem si
concede agli Ordinari del luogo la facoltà di dispensare si graves dif-
ficultates obstent, fermo restando il decreto Crescens matrimoniorum
del 22 febbraio 1967 (M.P., 8-9). 5) Per quanto concerne la forma li-
turgica (quesito VII) le riforme erano state già introdotte nell’Ordo
celebrandi matrimonium e quindi il M. P. si richiama alle norme sta-
bilite in tale rituale (M.P., 11). 6) Riguardo alla cura pastorale (quesi-
to VIII), mentre si riafferma la proibizione che il sacerdote cattolico
celebri il matrimonio insieme al ministro acattolico, si esorta a che
gli Ordinari e i parroci svolgano una speciale azione pastorale per
aiutare le famiglie sorte da matrimoni misti (M.P., 13).
Il CIC promulgato nel 1983 raccoglie quasi alla lettera questa le-
gislazione, nei cc. 1086, 1118,1124-1129. Rileviamo due sensibili cam-
biamenti, che sono una conseguenza dell’applicazione di principi ge-
nerali adottati dal legislatore nel nuovo diritto matrimoniale. L’una ri-
guarda la soppressione della categoria degli impedimenti proibenti.

19
AAS 62 (1970) 257-263. Per un’analisi canonistica del documento rinviamo al nostro commentario in:
Periodica 59 (1970) 415-469.
Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia? 275

Eliminata infatti tale categoria, necessariamente doveva essere elimi-


nato l’impedimento proibente di «mista religione»; resta però fermo
il divieto di celebrare il matrimonio misto «senza espressa licenza
della competente autorità» (c. 1124); licenza che non può essere leci-
tamente concessa se non dopo la prestazione delle «cauzioni» secon-
do la loro rinnovata struttura (c. 1125). L’altra conseguenza dipende
dalla rilevanza giuridica che il nuovo Codice concede all’abbandono
della Chiesa con atto formale. Questo fatto ha una notevole inciden-
za nel campo dei matrimoni misti. In effetti, da una parte, si restrin-
ge l’ambito dell’impedimento di disparità di culto (c. 1086 par. 1) e
dei soggetti alla forma canonica (c. 1117), mentre, d’altro canto, si
dà adito alla configurazione di un nuovo tipo di matrimonio, che pur
avvicinandosi molto al matrimonio misto, non sembra possa essere
classificato come tale. I cattolici infatti che con atto formale abbando-
nano la Chiesa continuano ad essere soggetti alle leggi canoniche in
generale (c. 11) ed in particolare alle leggi canoniche matrimoniali
(c. 1059), tranne quelle dalle quali sono espressamente esentati (cc.
1086 par. 1, 1117, 1124), mentre i battezzati fuori della Chiesa cattoli-
ca non sono tenuti a tali leggi. Perciò il matrimonio di un cattolico
che ha abbandonato la Chiesa con atto formale costituisce in ogni
caso una categoria nuova: se viene contratto con un cattolico fedele
alla Chiesa, si differenza sia dal matrimonio fra due cattolici fedeli al-
la Chiesa, sia dal matrimonio contratto fra un cattolico fedele alla
Chiesa e un battezzato fuori della Chiesa; se invece viene contratto
con un non battezzato o battezzato fuori della Chiesa, pur non essen-
do sottomesso alla forma canonica, si differenzia profondamente dal
matrimonio contratto fra due persone, nessuna delle quali è soggetta
alla legislazione canonica.
Un’ultima osservazione: il Votum del Concilio, «affinché, salve
le esigenze del diritto divino, le leggi canoniche provvedano più op-
portunamente alle condizioni delle persone, secondo la mente del
decreto sull’Ecumenismo e la dichiarazione sulla libertà religiosa»,
esprimeva il desiderio (optandum est praecipue) «che si separino le
leggi circa i matrimoni di una parte cattolica con una parte battezza-
ta non cattolica da quelli di una parte cattolica con una parte non bat-
tezzata». Anche nell’introduzione del documento Argumenta de qui-
bus disceptabitur in primo generali coetu Synodi Episcoporum, si insi-
ste nella distinzione fra queste due specie di matrimonio misto, la
quale deve stare alla base della riforma della disciplina. Così pure il
M.P. Matrimonia mixta nella sua introduzione insiste nel mettere in
276 Urbano Navarrete

rilievo le differenze. Tuttavia per quanto riguarda la legislazione, sia


nel M. P. Matrimonia mixta, sia poi nel CIC del 1983, l’unica diffe-
renza che si riscontra è l’impedimento dirimente di disparità di culto
che concerne i matrimoni misti fra un cattolico fedele alla Chiesa e
un non battezzato. Tutte le altre norme, dal punto di vista canonico,
sono comuni a tutte le specie di matrimoni misti, compresi quelli ai
quali osta l’impedimento di disparità di culto. Si lascia alla prudenza
pastorale la loro diversificata applicazione, che può essere più o me-
no flessibile nei singoli casi concreti a seconda del tipo di matrimo-
nio misto e delle circostanze di persone, tempi e luoghi.

4. Valori fondamentali in contrasto


Il M.P. matrimonia mixta fa la seguente constatazione: «E poi-
ché l’uomo ha il diritto, dato dalla natura, di contrarre matrimonio e
di procreare figli, la Chiesa con le sue leggi, che dimostrano piena-
mente la sua sollecitudine pastorale, in tal modo procura disporre le
cose che, da una parte vengano osservate le prescrizioni del diritto
divino, e dall’altra si metta sempre a salvo il suddetto diritto al matri-
monio 20». La sollecitudine pastorale della Chiesa, che si è rivelata
sempre particolarmente vigile in questo campo, sembra partire dal
presupposto che nei matrimoni misti si verifichi un conflitto intrinse-
co fra i «iuris divini praescripta» e il diritto «homini a natura datum»
a contrarre matrimonio e procreare figli. Il problema è estremamen-
te complesso e delicato. Gli stessi termini di contrapposizione posso-
no essere ambigui. Cerchiamo di avvicinarci alla questione con u-
miltà e semplicità, mettendo in luce alcuni principi fondamentali.
Il diritto al matrimonio, con la persona amata, liberamente scel-
ta, è un diritto, «a natura datum», radicato nella natura sessuata del-
l’uomo e nella dignità e autonomia della persona umana. Tuttavia
l’esercizio di questo diritto, come quello di qualsiasi altro, non è au-
tonomo dall’ordine morale ed etico, ma ad esso subordinato. Altri-
menti non sarebbe più diritto. Da ciò ne segue che l’uomo non può
contrarre matrimonio, secondo l’ordine etico e quindi secondo una
coscienza rettamente formata, con una determinata persona, anche
se amata e liberamente scelta, se nel contrarre tale matrimonio vie-
ne violato l’ordine etico. Tale sarebbe il caso, ad esempio, in cui a un

20
AAS 62 (1970) 258.
Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia? 277

tale fosse richiesto di uccidere qualcuno per poter sposare la perso-


na amata.
Nella stessa linea di principi, in caso di conflitto insolubile fra
l’esercizio del diritto al matrimonio con la persona amata e i valori di
un ordine superiore, quali sono la fede, la vita soprannaturale, la fe-
deltà alle esigenze della propria coscienza, ecc. prevale l’obbligo di
salvare quei valori e quindi di rinunziare all’esercizio del diritto al
matrimonio da attuare con quella determinata persona. Anzi se il
conflitto fosse veramente insolubile e non ci fosse mezzo umano pos-
sibile per salvare quei valori in quel determinato matrimonio, ci sa-
rebbe persino l’obbligo di rinunziare a tale matrimonio, anche nel-
l’ipotesi che tale rinuncia comportasse di fatto la rinuncia al matri-
monio in modo assoluto per non esserci altre possibilità di scelta.
In questi principi teoretici si fonda l’affermazione del c. 1060
CIC 1917: «...quod si adsit perversionis periculum, coniugis catholici
et prolis, coniugium ipsa etiam lege divina vetatur» (se si dà pericolo
di perversione del coniuge e della prole, il matrimonio è vietato an-
che per la stessa legge divina). Tuttavia è da rilevare che il canone
mette nella stessa linea il pericolo di perversione del coniuge e della
prole. Subito però colpisce la differenza che corre in ordine a rende-
re illecito il matrimonio per diritto divino. Una occhiata agli schemi
conciliari e postconciliari al riguardo, conferma la differenza. Nello
Schema Decreti de Matrimonii Sacramento, del 1963, si legge: «La
stessa legge divina vieta il matrimonio fra parte cattolica e non catto-
lica, se da ciò minacci (immineat) il pericolo che la parte cattolica
abbandoni (deficiat) la fede. La stessa legge divina urge al coniuge
cattolico a non mancare al suo dovere di battezzare ed educare la
prole nella fede cattolica» 21. Come si avverte, la differenza non è sol-
tanto di redazione, ma di sostanza. La Istruzione Matrimonii sacra-
mentum, non insiste in questo punto. Nella introduzione dice che le
circostanze consigliano di mitigare il rigore della disciplina sui ma-
trimoni misti, «non quidem in his quae ad ius divinum pertinent»
(non certamente nelle cose che appartengono al diritto divino), ma
non precisa ulteriormente quali siano queste cose. Poi nella parte di-
spositiva, nel primo comma: «Si tenga sempre presente che si deve
allontanare (propulsandum) dal coniuge cattolico il pericolo della fe-
de e si deve procurare con diligenza l’educazione della prole nella re-

21
Schema Decreti De Matrimonii Sacramento, Typis Pol. Vat. 1963, p. 11.
278 Urbano Navarrete

ligione cattolica». Poi prescrive che si deve inculcare con gravi paro-
le nel coniuge cattolico l’obbligo di battezzare ed educare la prole
nella religione cattolica, il cui adempimento verrà assicurato con la
espressa promessa della parte cattolica, vale a dire con le cauzioni 22.
Nel Sinodo dei Vescovi del 1967 si trattò lungamente del problema
delle «cauzioni», specialmente la questione del loro fondamento e
della loro finalità. La distinzione fra pericolo della fede dei coniugi e
obbligo del battesimo ed educazione cattolica della prole appare
chiara, già nella formulazione nella prima parte del III quesito: «Se
per dispensare dall’impedimento basti che l’autorità competente ab-
bia la certezza morale: 1) che la parte cattolica non subisce alcun pe-
ricolo di mancare (deficiendi) alla propria fede e se è pronta a fare
tutto il possibile (omnia pro posse faciendi) perché la prole sia battez-
zata ed educata cattolicamente». Dalla Relazione e dalla discussione
appare chiaro che tale formulazione intende esprimere le esigenze
del diritto naturale 23. In fine nel M.P. Matrimonia mixa, si adoperano
formule ancora più flessibili. Nella introduzione si dice: «Perciò i fe-
deli siano ammoniti che il coniuge cattolico ha l’obbligo di conserva-
re la propria fede e perciò mai gli è lecito esporsi al pericolo prossi-
mo di perderla. Inoltre nel matrimonio misto la parte cattolica ha
l’obbligo non soltanto di perseverare nella fede, ma anche di procu-
rare in quanto è possibile (quantum fieri potest) che la prole sia bat-
tezzata ed educata nella medesima fede e che riceva tutti i mezzi di
salvezza che la Chiesa cattolica offre ai suoi figli». Questo sarà poi il
contenuto delle cauzioni della parte cattolica: «... la parte cattolica di-
chiari che è pronta ad allontanare i pericoli di venir meno alla sua fe-
de. Inoltre la stessa ha l’obbligo di prestare una sincera promessa,
che farà il possibile (se omnia pro viribus facturam esse) perché tutta
la prole sia battezzata ed educata nella Chiesa cattolica» 24. Nel CIC
1983 a proposito dei matrimoni misti non si menziona esplicitamente
il diritto divino. Le cauzioni hanno la stessa formulazione che nel
M.P. Matrimonia mixta.
Questa breve analisi dimostra come la dottrina abbia precisato
sempre con maggior prudenza i limiti del diritto divino al riguardo,
distinguendo bene fra il pericolo della fede del coniuge cattolico da

22
AAS 62 (1966) 236-237.
23
Cf NAVARRETE, Matrimonia mixta in Synodo Episcoporum, cit., pp. 661-671.
24
AAS 59 (1970) 259, 261.
Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia? 279

quello della prole. Anche per quanto concerne il coniuge cattolico, il


M.P. Matrimonia mixta aggiunge una precisazione fondamentale:
«...che mai è lecito esporsi al pericolo prossimo di perdere la fede».
Senza questa precisazione, e cioè che si tratta dell’obbligo di evitare il
pericolo prossimo, la dottrina non viene espressa con esattezza. Non
esiste infatti l’obbligo di evitare il pericolo remoto di violare la legge,
anche se naturale, altrimenti la vita morale sarebbe impossibile.
Per quanto concerne la prole, nessuno dei documenti riportati
ripete l’affermazione del c. 1060 CIC 1917, secondo cui il matrimonio
sarebbe vietato per il diritto divino se c’è pericolo di perversione del-
la prole. Non ci possono addurre infatti argomenti convincenti per
provare che il cattolico sia tenuto per diritto divino a rinunciare al
matrimonio con la persona amata, soltanto per la previsione che la
eventuale prole non sarà battezzata ed educata nella Chiesa cattolica,
o forse nemmeno sarà battezzata affatto. Ciò vale sopratutto se la ri-
nuncia a tale matrimonio comporta di fatto la rinuncia a poter eserci-
tare il diritto al matrimonio e alla procreazione, come potrebbe avve-
nire in certe circostanze o in certi luoghi dove le possibilità concrete
di matrimonio per alcune persone sono molto limitate. Certo resta
sempre l’obbligo nella parte cattolica di fare quanto potrà per ottene-
re il più possibile quanto al battesimo e quanto all’educazione, la
quale, pur se non formalmente cattolica, potrà essere il più conforme
possibile alla morale naturale e agli insegnamenti della Chiesa.

5. Comunione di vita
La sollecitudine pastorale della Chiesa riguardo ai matrimoni
misti non si basa tanto sul pericolo di violazione della legge divina,
quanto sulle gravi difficoltà intrinseche che comportano di per sé,
ceteris paribus, i matrimoni misti per il raggiungimento pieno delle
altissime finalità del matrimonio cristiano, sia quanto ai coniugi, sia
quanto alla prole, sia anche quanto alla comunità ecclesiale e, in mol-
ti aspetti, anche quanto a quella politica.
È da rilevare che nel matrimonio cristiano, i beni da attuare e le
finalità da raggiungere non sono soltanto quelli propri della istituzio-
ne naturale del matrimonio, ma anche, anzi in prevalenza, sono quel-
le finalità altissime che il Signore ha voluto annettere al fatto di aver
elevato il matrimonio a segno efficace di grazia, «immagine e parte-
cipazione del patto d’amore del Cristo e della Chiesa» (GS, 48). Que-
ste finalità vengono segnalate in sintesi nella Cost. GS del Vaticano
280 Urbano Navarrete

II: «L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino ed è so-


stenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione sal-
vifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace, siano con-
dotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime
missione di padre e madre. Per questo motivo i cristiani sono corro-
borati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la
dignità del loro stato. Ed essi, compiendo in forza di tale sacramento
il loro dovere coniugale e familiare, nello spirito di Cristo, per mezzo
del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendo-
no a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santifi-
cazione, ed assieme rendono gloria a Dio» (GS, 48). È da rilevare
che questi valori sono propri del sacramento del matrimonio e quin-
di non possono essere raggiunti che in quanto i coniugi sono uniti in
matrimonio sacramento e vivono in coerenza di fede la loro comu-
nità di vita e di amore che è propria del matrimonio.
Ma anche sotto il punto di vista umano e psicologico, si rende
più difficile l’integrazione degli sposi in quella intima comunione di
vita, che comprende in un certo senso tutte le dimensioni della per-
sonalità dell’uomo e della donna. Nel matrimonio misto, di per sé, si
ha in partenza una dissociazione degli animi in cose della massima
profondità e importanza, che toccano il più intimo delle persone,
quali sono le loro convinzioni religiose, con le conseguenze che ne
derivano in quasi tutti i settori del comportamento umano. Premono
sempre le domande di S. Ambrogio: «Si hoc in aliis, quanto magis in
coniugio, ubi una caro et unus spiritus est. Quomodo potest congruere
charitas, si discrepet fides? 25». «Quomodo potest coniugium dici, ubi
non est fidei concordia? Cum oratio communis esse debeat, quomodo
inter dispares devotione potest esse coniugii communis charitas?» 26.
La diversità di convinzioni religiose comporta di per sé diver-
sità di comportamenti in settori di attività comune che possono osta-
colare in grande misura la comunione di vita degli sposi: uso del ma-
trimonio, numero ed educazione dei figli, pratica esterna dei doveri
religiosi ecc. Ovviamente le difficoltà sono più accentuate quanto più

25
S. AMBROSIUS, DE ABRAHAM, lib. 1, c. 9, n. 84: P.L., 14, 450-451: «Se ciò è importante in altre materie,
quanto più importante sarà nel matrimonio, dove si realizza l’unità del corpo e dello spirito. Come si
può consolidare l’amore se la fede divide?».
26
S. AMBROSIUS, Epist. Clas I, Epist. 19, n. 7: P.L. 16, 984-985: «Come si può denominare unione coniu-
gale una unione dove non c’è la concordia della fede? Dove la preghiera deve essere comunione, come
può esservi un reciproco amore coniugale fra coloro che sono distanti dal punto di vista religioso?».
Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia? 281

fervorosamente ciascuno dei due sposi voglia vivere la propria reli-


gione. Se i valori religiosi contano poco per loro, nessuno dei due si
preoccuperà molto del fatto che l’altro non viva secondo quello che
egli ritiene sia la verità. Il problema si pone non solo riguardo ai
matrimoni fra cattolico e non battezzato, ma anche nei matrimoni mi-
sti fra battezzati. Il M.P. Matrimonia mixta dà particolare rilievo a
questo aspetto del problema: «Tuttavia non si possono sorvolare le
difficoltà che sono inerenti anche ai matrimoni misti fra battezzati.
Spesso differiscono fra di loro le opinioni dei coniugi circa la natura
sacramentale del matrimonio, la significazione propria del matrimo-
nio celebrato in Chiesa, l’interpretazione di certi principi morali atti-
nenti al matrimonio e alla famiglia, i limiti dell’ubbidienza che si de-
ve alla Chiesa, l’ambito della competenza dell’autorità ecclesiastica
in questo campo 27».
Per quanto riguarda l’educazione cattolica della prole, sembra
non si possa mettere in dubbio che essa di per sé, ceteris paribus, nei
matrimoni misti diventi più difficile che nei matrimoni fra cattolici,
anche se il coniuge non cattolico, stando alle garanzie date, lascia li-
bertà al coniuge cattolico per battezzare ed educare i figli nella Chie-
sa cattolica. Al bambino infatti non può non diventare difficile l’accet-
tare che soltanto la religione del genitore cattolico sia quella che
possiede la pienezza della verità e dei mezzi di salvezza, mentre
quella dell’altro genitore contiene elementi così negativi da non es-
sere lecito aderirvi. La difficoltà può diventare insormontabile se il
genitore cattolico sotto il punto di vista umano o morale, almeno agli
occhi del bambino, non è così buono e dotato, o così praticante della
propria religione come quello acattolico.
Anche per la comunità ecclesiale il moltiplicarsi dei matrimoni
misti comporta di per sé un certo rischio di fomentare l’indifferenti-
smo religioso, nel senso di creare una mentalità generalizzata che
quello che conta è praticare una religione, mentre non ha importan-
za quale sia tale religione; quasi che, nell’ordine di salvezza stabilito
da Dio, tutte le religioni fossero ugualmente conducenti al fine tra-
scendente dell’uomo. Tale ideologia non rispondente ai disegni di
Dio sull’umanità non può che ostacolare sia l’attuazione della missio-
ne generale della Chiesa sia in particolare l’attuazione dei valori del
matrimonio cristiano.

27
AAS 62 (1970) 259.
282 Urbano Navarrete

Tuttavia le difficoltà che abbiamo accennato non sono così de-


terminanti da escludere in ogni ipotesi la liceità del matrimonio mi-
sto. Infatti, tenuto conto dell’importanza dei valori umani inerenti al
diritto fondamentale dell’uomo al matrimonio e alla procreazione,
spesso potrà essere lecito affrontare tali difficoltà per non mortifica-
re tali valori, restando sempre fermo l’obbligo naturale di superare
quelle difficoltà con mezzi adatti. In questo intrinseco conflitto di va-
lori trova la sua spiegazione l’atteggiamento secolare della Chiesa:
da una parte non esclude in modo assoluto la liceità dei matrimoni
misti, e quindi li regola nella sua disciplina; d’altra parte, proprio per-
ché riconosce le difficoltà intrinseche a tali matrimoni, lungi dal ve-
dere in essi uno strumento di espansione missionaria, non solo li
sconsiglia, ma, per permetterli, esige determinate garanzie finalizza-
te a rimuovere o almeno a mitigare gli effetti negativi che potrebbe-
ro derivarne: sia agli sposi stessi, sia alla prole, sia anche alla comu-
nità ecclesiale.

6. Fede e sacramentalità nel matrimonio misto fra battezzati


Vorrei fare qualche cenno al problema particolare che sorge
nei matrimoni misti nel rapporto tra fede e sacramento. In questi ul-
timi decenni il problema del rapporto fede-sacramento nel matrimo-
nio in genere è stato uno dei più discussi nel campo della teologia
del matrimonio e del diritto canonico matrimoniale. Lo stimolo veni-
va soprattutto dal fatto, molto urgente e grave sotto il punto di vista
pastorale, che nel mando odierno c’è una massa assai rilevante di
battezzati nella Chiesa cattolica che non ha la fede e ha rotto ogni
rapporto con la Chiesa stessa. Il problema, in ultima istanza, è sem-
pre la gravissima questione se sia possibile che un matrimonio fra
due battezzati sia valido senza che sia a sua volta, per istituzione divi-
na, sacramento. Dopo lunghi e approfonditi studi sulla questione, an-
28
che a livello ufficiale , Giovanni Paolo II, nel suo Magistero ordina-
29
rio, ha riaffermato il principio dell’inseparabilità , che continua a
stare alla base della legislazione canonica matrimoniale, latina o
30
orientale , e della prassi amministrativa e giudiziaria della Chiesa.

28
Cf per tutti BAUDOT, D., L’inséparabilité entre le contrat et le sacrement de mariage. La discussion après
le Concile Vatican II, Analecta Gregoriana 245, Roma 1987.
29
Cf Esort. Apost. Familiaris consortio, 22 nov. 1981, specialmente n. 68.
30
CIC 1983, c. 1055 par. 2; CCEO 1990, c. 776 par. 2.
Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia? 283

Il problema oggi non si pone circa i matrimoni misti fra un


cattolico e un non battezzato. Superate le perplessità che si sono sta-
te nella storia al riguardo, oggi si ritiene dottrina pacifica che tale
matrimonio non è sacramento, nemmeno per la parte cattolica. A
sua volta, oggi, è dottrina comune che se il coniuge pagano riceve
il battesimo, il matrimonio che fino al momento del battesimo non
era sacramento, si trasforma ipso facto in matrimonio-sacramento,
senza che sia necessaria nessun’altra cosa da parte dei coniugi,
come ad es. l’intenzione di ricevere questo sacramento o il rinnovo
del consenso. Basta il battesimo di tutti e due i coniugi perché,
senz’altro, il matrimonio non sacramentale diventi sacramentale 31.
Del resto si tratta dell’applicazione ad un caso particolare del prin-
cipio generale, maturato già nel medio evo, secondo cui perché
un matrimonio sia rato (vale a dire, sacramento) si richiede e basta
che in esso si riscontrino questi due elementi: consenso de presen-
ti valido, (fattore generatore del vincolo matrimoniale) e battesimo
valido dei due coniugi (dato teologico, in forza del quale si diven-
ta «nuova creatura» in Cristo e si viene inseriti in modo irreversi-
bile nell’ordine nuovo di rapporto ontologico con Dio Creatore e
Redentore) 32.
Il M. P. Matrimonia mixta rileva il modo differente sia dottri-
nale che disciplinare con cui la Chiesa tratta il matrimonio di un cat-
tolico con un battezzato e quello di un cattolico con uno non battez-
zato. E dopo aver sottolineato la differenza che corre fra il grado di
comunione ecclesiale fra gli acattolici occidentali e gli orientali con
la Chiesa cattolica, fa questa significativa affermazione: «vige infatti
nel coniugio fra battezzati – il quale è vero sacramento – una certa
comunione di beni spirituali, la quale non si riscontra nel matri-
monio contratto fra coniugi, uno dei quali è battezzato e l’altro non
battezzato» 33.
Riguardo agli acattolici orientali non sorge alcun problema par-
ticolare, dato che anche le Chiese orientali separate hanno la fede
nel sacramento del matrimonio. Il problema si pone riguardo alle co-

31
Cf ADNES, P., De matrimonio infidelium qui convertuntur, in: Periodica, 67 (1978) 73-80.
32
Cf DACANAY, A.N., Matrimonium ratum: Significatio termini, in: Periodica, 79 (1990) 69-89.
33
«Viget nimirum in coniugio inter baptizatos – quod verum est sacramentum – quaedam spiritualium
bonorum communio, quae in matrimonio deest, a coniugibus inito, quorum alter est baptizatus, alter ex-
pers baptismi»: AAS 62 (1970) 258-259.
284 Urbano Navarrete

munità ecclesiali occidentali, che provengono dalla scissione avvenu-


ta nel secolo XVI, nelle quali non si ammette che il matrimonio sia
uno dei sacramenti istituiti da Cristo. Tuttavia, nonostante questa
professione pubblica di fede delle comunità acattoliche occidentali,
secondo cui il matrimonio non è sacramento, la Chiesa cattolica
sempre ha ritenuto, lungo i secoli, nella sua prassi amministrativa e
giudiziaria che i matrimoni contratti fra non-cattolici battezzati, sia la-
tini che orientali, o fra un cattolico e un non-cattolico battezzato sono
veri sacramenti e quindi, se consumati, diventano assolutamente in-
dissolubili, come quelli contratti fra due cattolici. Soltanto nei casi in
cui risulti provato che nel momento della celebrazione del matrimo-
nio, è stato escluso qualche elemento essenziale del matrimonio, es-
so viene dichiarato nullo, senza differenze, quanto alla sostanza, ri-
spetto a quanto avviene per i matrimoni fra cattolici. Il c. 1099, enun-
zia in questa linea un principio che vale per tutti i battezzati: l’errore
circa la dignità sacramentale del matrimonio, purché non determini
la volontà, non vizia il consenso matrimoniale.
Tali prassi secolare della Chiesa, fondata ovviamente su solidi
presupposti dottrinali, per quanto concerne l’intenzione necessaria
per ricevere e amministrare il sacramento del matrimonio, suppone
che è sufficiente l’intenzione implicita di ricevere il sacramento, og-
gettivata, per dire così, nell’intenzione di contrarre matrimonio, sen-
za che sia necessaria una intenzione esplicita nei confronti del sacra-
mento. In questo non c’è differenza con i contraenti cattolici, i quali
spesso non hanno alcuna intenzione esplicita di ricevere il sacramen-
to e tuttavia hanno l’intenzione sacramentale sufficiente per ricevere
il sacramento, se prestano un consenso matrimoniale sufficiente a
far sorgere il matrimonio.
Per quanto concerne invece la fede nel sacramento, la menzio-
nata prassi secolare suppone che la Chiesa non considera come ele-
mento necessario per ricevere validamente questo sacramento la fe-
de esplicita personale nella sacramentalità del matrimonio. Applica
la dottrina, maturata già nel medio evo, secondo cui il sacramento
del matrimonio è radicato nel sacramento del battesimo, come una
delle realtà indelebili e irrinunciabili che vengono comunicate nel
battesimo ad ogni battezzato, e cioè che il suo eventuale matrimonio
con altro battezzato, patto d’amore e di fedeltà nell’ordine creaziona-
le, sia a sua volta necessariamente segno escatologico dell’amore
sponsale di Cristo e della Chiesa e, positis ponendis, sorgente di gra-
zia per i contraenti. Non si deve dimenticare che l’uomo che emette
Matrimoni misti: conflitto fra diritto naturale e teologia? 285

un consenso matrimoniale sufficiente a dar vita al patto d’amore e di


fedeltà che è il matrimonio, si muove, forse inconsapevolmente, in
un contesto etico di grandi esigenze morali, il quale non è raggiungi-
bile dalla debolezza umana senza la grazia di Dio.
La tendenza a concepire l’ordine di creazione e l’ordine di sal-
vezza in una relazione di sovrapposizione, come se l’ordine di sal-
vezza fosse sovrapposto in un secondo momento a quello già esisten-
te della creazione, suppone una teologia estrinsecista inaccettabile
in sé e di gravissime conseguenze pratiche nella teologia del sa-
cramento del matrimonio e nel diritto canonico matrimoniale. La
teologia del sacramento del matrimonio proposta nel Vaticano II
(GS, 48) e sviluppata nella esortazione apostolica Familiaris con-
sortio di Giovanni Paolo II presuppongono una concezione del rap-
porto ordine creazionale – ordine salvifico come intrinseco ed in-
scindibile.
Storicamente infatti la natura pura non è esistita mai. È esistito
soltanto l’uomo elevato, caduto, redento. Storicamente la redenzione
comporta una ri-generazione (palingenesis), che non distrugge quel-
lo che è stata la «generazione» (genesis) creazionale, ma la perfe-
ziona, la eleva, la trasforma intrinsecamente, facendo di essa una
«nuova creatura». In questa prospettiva, il fattore della consapevolez-
za o meno dell’uomo nella partecipazione dei designi salvifici di Dio
su di lui, acquista un valore molto relativo. Senza la buona volontà e
la collaborazione, Iddio, secondo la sua provvidenza ordinaria, non fa
partecipare l’uomo adulto dei mezzi di salvezza. Ma se si danno quel-
la buona volontà e quella collaborazione, espressa nella rettitudine
morale; se l’uomo è stato già «rigenerato» per il battesimo, non si
vede perché altri fattori meno profondi della personalità, quali la
mancanza di consapevolezza e anche di fede esplicita, possano osta-
colare la partecipazione ai mezzi di salvezza istituiti da Cristo per il
suo popolo.
Riteniamo che si possano applicare agli acattolici battezzati le
parole che Giovanni Paolo II scrive nella Familiaris consortio a pro-
posito dei cattolici che dicono di non avere fede. Le riportiamo per
concludere: «Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra
tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nel-
l’economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istitui-
to dal Creatore “al principio”. La decisione dunque dell’uomo e della
donna di sposarsi secondo questo progetto divino, la decisione cioè
di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro
286 Urbano Navarrete

vita in un amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, impli-


ca realmente, anche se non in modo pienamente consapevole, un at-
teggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può
darsi senza la sua grazia. Essi sono già, per tanto, inseriti in un vero
e proprio cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento e
l’immediata preparazione alla medesima possono portare a termine,
data la rettitudine della loro intenzione» (n. 68).

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