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CRISI D’IMPRESA E DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

INQUADRAMENTO GENERALE DEL PROBLEMA

1. IL CONCETTO DI IMPRESA E LA REGOLA DELLA RESPONSABILITÀ LIMITATA TRA

SHAREHOLDERS E STAKEHOLDERS. DISSOCIAZIONE TRA POTERE E RISCHIO

1.1 CONVERGENZA DI INTERESSI TRA AZIONISTI E CREDITORI NELLA IMPRESA IN

BONIS E TRASFERIMENTO DELLA ‘TITOLARITÀ D’IMPRESA’ DAGLI INVESTITORI AI

CREDITORI NELLE SITUAZIONI DI INSOLVENZA (FROM SHAREHOLDER TO

STAKEHOLDER INTERESTS)

2. IL MORAL HAZARD E I PERVERSE INCENTIVES


2

3. QUALI INTERESSI DA PERSEGUIRE NELLA FASE CREPUSCOLARE

DELL’IMPRESA (TWILIGHT ZONE)? IL FENOMENO DEGLI SHIFTING

DUTIES

4. LA TUTELA DEGLI STAKEHOLDER INTERESTS TRA AUTONOMIA PRIVATA E REGOLE

DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO

4.1IL SISTEMA DEL CAPITALE SOCIALE E L’ORIENTAMENTO

DELL’UNIONE EUROPEA

4.2 I RIMEDI EX POST D’OLTREOCEANO. LE TECNICHE DEI SOLVENCY TESTS

4.3 RULE E STANDARD. POSSIBILE UTILIZZO ARMONIZZATO DEI RIMEDI EX ANTE

ED EX POST

5. LE STRATEGIE DI GOVERNO DELLE IMPRESE COME STRUMENTI DI SOLUZIONE DEI

PROBLEMI DI AGENCY

5.1I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI DELL’IMPRESA SOLVENTE E INTERESSE AL

PERSEGUIMENTO DEL PROFITTO D’IMPRESA

5.2 I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI NELLA FASE DI INSOLVENZA.

APPLICAZIONE DEL REGIME CONCORSUALE E INTERESSE ALLA

SALVAGUARDIA DEL VALORE DELL’IMPRESA

5.3 I FIDUCIARY DUTIES. THE DUTY OF CARE, THE DUTY OF LOYALTY E BUSINESS

JUDGMENT RULE

5.4 QUALI DOVERI NELLA TWILIGHT ZONE?


3

5. VERSO UN DIRITTO SOCIETARIO DELLA CRISI

CAPITOLO II

LE TECNICHE DI TUTELA DEI CREDITORI IN PROSSIMITA’ DELLO STATO DI CRISI. I

MODELLI STRANIERI

1. GLI ORDINAMENTI DI COMMON LAW. IL LABILE CONFINE TRA GESTIONE E

PREVENZIONE

1.1 IL MODELLO AMERICANO. DIRECTORS’ DUTIES TO CREDITORS IN THE

VICINITY OF INSOLVENCY E LA DEEPENING INSOLVENCY

1.2 IL MODELLO INGLESE. THE DUTY TO TAKE INTO ACCOUNT CREDITORS’

INTERESTS E LA RESPONSABILITA’ DA WRONGFUL TRADING (INSOLVENCY ACT

SECT. 214)

2. GLI ORDINAMENTI DI CIVIL LAW

2.1 L’ESPERIENZA RENANA. LA RESPONSABILITA’ PER VERSAMENTI

ESEGUITI DAGLI AMMINISTRATORI DOPO L’AVVERARSI DEI PRESUPPOSTI

DEL FALLIMENTO
4

2.2 L’ESPERIENZA FRANCESE. L’AZIONE DI RESPONSABILITA’ PER

INSUFFICIENZA DELL’ATTIVO (L. 651-2 CODE COMM.)

CAPITOLO III

LE TECNICHE DI TUTELA DEI CREDITORI IN PROSSIMITA’ DELLO STATO DI CRISI. IL

MODELLO ITALIANO

1. LA PREVENZIONE IN ITALIA ALLA LUCE DEL DECRETO LEGISLATIVO 12 GENNAIO

2019 N.14 (CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELLA INSOLVENZA)

1.1I PRECEDENTI TENTATIVI DI RIFORMA DEL SETTORE. LA

COMMISSIONE TREVISANATO E LA SUCCESSIVA

IPERTROFIA NOMOTETICA

1.2 LE NUOVE PROCEDURE DI ALLERTA E DI COMPOSIZIONE

ASSISTITA DELLA CRISI. IL MODELLO FRANCESCE COME

PUNTO DI PARTENZA

2 DOVERE DI GARANTIRE ADEGUATI ASSETTI ORGANIZZATIVI, AMMINISTRATIVI,

CONTABILI (ART 2086 2° COMMA, CC.)

1.1DOVERI DI CORRETTA INFORMAZIONE SOCIETARIA (ART 2381,

6°COMMA, CC.)
5

1.2IL PARAMETRO DELLA CONTINUITÀ AZIENDALE

3 L’OBBLIGO DI CONSERVAZIONE DELL’INTEGRITA’ DEL PATRIMONIO SOCIALE.

L’AZIONE EX ART. 2394 E LA QUESTIONE DELLE S.R.L.

4 L’OBBLIGO DI RIDUZIONE O DI REINTEGRAZIONE DEL CAPITALE

SOCIALE (ART 2446 e 2447 cc.) E L’APPLICAZIONE DELL’ART 182-

SEXIES L. FALL.

3.1LA REGOLA ‘RICAPITALIZZA, LIQUIDA O TRASFORMA’

3.2 IL DOVERE DI CONSERVAZIONE DEL VALORE DELL’IMPRESA (2486 cc.) IN

CONDIZIONI DI SQUILIBRIO PATRIMONIALE. DAL PERSEGUIMENTO DEL

PROFITTO ALLA GESTIONE CONSERVATIVA.

4 DOVERE DEGLI AMMINISTRATORI DI ATTIVARSI PER LA SOLUZIONE

DELL’AGGRAVAMENTO DELLA CRISI D’IMPRESA (ART 323 C.C.I.)

4.1I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI IN ESECUZIONE DI TALI

MISURE

5 LA BUSINESS JUDGMENT RULE NELLE SITUAZIONI DI CRISI E DI INSOLVENZA

CONCLUSIONI
6
7

INTRODUZIONE

L’espressione ‘Diritto societario della crisi’1 denota un settore che si pone,

liminalmente, tra il diritto societario e il diritto concorsuale, una zona ‘borderline’

dove la società non può essere considerata né pienamente in bonis né in stato di

insolvenza.

Le caratteristiche di tale soggetto sono in continua evoluzione e definizione; tale

‘configurazione dinamica’ risponde alle istanze di trasformazione di un settore che

esige un sostanziale ripensamento. L’attuale contesto ‘globalizzato’ – l’

‘Antropocene liquido-moderna’ per esprimermi à la Bauman, esibente la fisionomia

della Risikogesellshatf teorizzata da Beck – è caratterizzato da profonde incertezze;

inoltre viene plasmato da processi ‘trasmutativi’ che riguardano vari campi:

a) tecnologico: si pensi alla Artificial Intelligence, che pone non pochi problemi

in merito alla collocazione delle risorse umane nel mondo del lavoro e alla

genesi di nuove mansioni, tutte incentrate sulla téchne;

b) sociale: la massiccia immigrazione proveniente dal continente africano,

disciplinata da infruttuose politiche del breve termine, inadatte a regolamentare

un fenomeno tanto vasto quanto delicato;


1
U. TOMBARI, Principi e problemi di “diritto societario della crisi”, in Riv. soc., 2013, pp.
1139 e ss., sostiene il bisogno di riconfigurare e di rafforzare il rapporto tra “diritto della crisi” e
“diritto societario”. R. RORDORF, in Contributo, in A.A.V.V., Le proposte per una riforma della
legge fallimentare; un dibattito dedicato a Franco Bonelli, a cura di M. ARATO, G.
DOMENICHINI, Milano, 2017, pp. 173 e ss., “avverte la necessità del coordinamento tra due diversi
plessi normativi”.
8

c) ambientale: si pensi ai sempre più copiosi movimenti a sostegno della causa

ecologista e della produzione biosostenibile;

d) economico: la presa di coscienza della ricorsività ‘uroborica’ delle crisi

economiche, non più considerate come un evento ‘singolare’ ed eccezionale

Rebus sic stantibus è inevitabile riconsiderare i paradigmi cognitivi del

Ventesimo secolo, non più adatti ad essere ritenuti capisaldi e punti di

riferimento dell’attuale ‘ecumene globalizzato’2. Tale mutamento di

prospettiva, per alcuni aspetti ‘copernicana’, coinvolgerà inevitabilmente la

dimensione giuridica- in quanto strumento per la definizione dei rapporti in un

determinato gruppo sociale-; e, nel caso in esame, sarà necessario riconfigurare

il nesso tra “diritto societario e diritto della crisi”. Si tratta di un settore

divenuto protagonista nella letteratura giuridica ed economica, che esige nuove

linee guida e inediti principi di riferimento. Se in passato vi era una netta

distinzione tra impresa ‘in bonis’ -cui era ed è tuttora applicata la disciplina del

diritto societario- ed impresa in stato di ‘insolvenza’- la cui disciplina di

riferimento era la ‘Legge Fallimentare’, r.d. 267/1942 (ora il nuovo Codice

della crisi d’impresa e della insolvenza, di cui al d.lgs. n.14/2019) - la suddetta

distinzione, per appulso e intuizione di una fervente dottrina e giurisprudenza,

è oggetto di una trasformazione. Questo processo è inteso ad eliminare taluni

elementi anacronistici rispetto all’attuale contesto giuridico ed economico,

integrando elementi e sfumature idonee ad inserirla in un contesto ‘intermedio’

R. RORDORF, Intervento, in A.A.V.V., Crisi dell’impresa e riforma delle procedure


2

concorsuali, Atti del Convegno, edizioni Giuffrè, 2006, pp. 174 e ss.
9

tra i due settori. In virtù della nuova definizione concernente lo stato di ‘crisi’,

è consentito parlare della genesi, della fase embrionale di un ‘complesso

normativo intermedio’. Consideriamo, ad esempio, l’esperienza italiana; nello

specifico la legge fallimentare, scevra di quel ‘restyling’ a cui veniva

sottoposta periodicamente dal 2005: era chiara l’assenza di qualsiasi

riferimento allo ‘stato di crisi’, palesi erano le finalità squisitamente

liquidatorie del concordato preventivo, inevitabile era l’accezione negativa

correlata alla dichiarazione di fallimento. Tutti elementi che hanno posto le

basi per un ripensamento del sistema e per una inevitabile riforma organica del

settore in esame3. L’attenzione verrà posta esclusivamente sulle imprese che

utilizzano la forma delle società di capitali; infatti, quest’ultima è lo strumento

che permette di fruire del beneficio della responsabilità limitata, con

conseguente perdita (in caso di nefasto esito dell’impresa) del solo capitale

investito da parte degli azionisti. Senza dimenticare che l’eventuale incapienza

patrimoniale colpirà i creditori volontari ed involontari, le cui pretese

rimarranno insoddisfatte. L’obiettivo della tesi è dunque quello di comprendere

come e in quale direzione gli ordinamenti giuridici internazionali siano

orientati; esaminare se alcuni principi, doveri, clausole generali coinvolgano

l’impresa sia nella sua acme performativa, sia nella sua fase crepuscolare e di

declino; evidenziare quali strumenti siano da utilizzare nella tutela di interessi

differenti e, in talune ipotesi, addirittura divergenti (si pensi alla distinzione tra

‘shareholder interest’ e ‘stakeholder interest’).


3
Ivi, pp. 173-175
10

Nel capitolo I sarà individuato il concetto di impresa nelle sue diverse declinazioni; di

qui analizzeremo uno degli elementi fondamentali delle imprese che utilizzano lo

strumento della società di capitali, ‘la responsabilità limitata’, la quale consente la

dissociazione tra potere e rischio. Successivamente analizzeremo l’eventuale

passaggio dalla convergenza di interessi (nella impresa in bonis) al trasferimento

della titolarità della impresa dagli investitori ai creditori nelle situazioni di

insolvenza, cercando di determinare il momento esatto di tale passaggio. Una parte

del I Capitolo si focalizzerà sui cd. ‘moral hazard’ e ‘perverse incentives’, ossia le

condotte assunte dagli ‘agents’ a discapito dei ‘principals’, verificando l’importanza

di strumenti privatistici o statali ai fini della tutela degli interessi degli stakeholders.

Nello specifico, sarà verificata l’efficienza e la operatività dello strumento del

‘capitale sociale’, rimedio ex ante, tenendo conto dei recenti orientamenti della

dottrina nazionale ed europea, per poi introdurre le tecniche contabili dei ‘solvency

Tests’, rimedio ex post. Ciò permetterà di valutare se i rimedi ex ante ed ex post

possano essere utilizzati armonicamente o se vi sia uno iato difficilmente superabile.

Con la delineazione di una nuova fase della vita delle imprese, per gli operatori del

settore nota come ‘Twilight Zone’, rilevante sarà l’individuazione degli interessi

meritevoli di egida, unitamente all’analisi degli ‘shifting duties’, ossia il cambiamento

degli oneri in capo agli amministratori nella suddetta fase. Tali doveri risulteranno

cruciali nella soluzione di conflitti che normalmente sorgono durante il

proseguimento dell’attività di impresa. Si terrà conto, in particolar modo, dei doveri


11

tipici del sistema di common Law: duty of care, duty of loyalty e della Business

Judgment Rule, pietra miliare del settore societario nordamericano; occorrerà

verificare se, dal passaggio dalla fase di solvenza alla fase di insolvenza, si possa

parlare di un cambiamento di prospettiva nell’utilizzo di doveri da parte degli

amministratori. La parte finale del Capitolo I sarà dedicata alla recente opzione

politico-legislativa dell’Unione Europea, che segna una netta cesura tra la vecchia

legge fallimentare, espressione del concetto di ‘gestione della crisi’, e il nuovo

Codice della crisi d’impresa e della insolvenza, espressione della nozione di

‘prevenzione della crisi’. Ciò impone l’elaborazione di definizioni chiare e

inequivocabili di ‘crisi’ e di ‘insolvenza’, nonché la previsione di nuove ‘procedure di

allerta e di composizione assistita della crisi’, assumendo come modello di

riferimento quello francese ignoto all’ordinamento italiano.

Il capitolo II della tesi verte sulle tecniche di tutela a favore dei creditori (principal)

utilizzate negli ordinamenti di common Law e di civil Law, in prossimità della

insolvenza. Nello specifico sarà importante analizzare l’esperienza anglosassone con

la relativa ‘leading case’; successivamente volgeremo l’attenzione all’ordinamento

francese e renano, nella patologia dei rapporti tra principal-agent. Il Capitolo III,

sulla falsariga di quello antecedente, si focalizzerà sulle tecniche di tutela allestite

dall’ordinamento italiano, il quale, nonostante possa essere annoverato nel genus

del civil Law, esibisce caratteristiche peculiari, se non singolari. Tali specificità

dipendono dal tessuto economico e sociale incentrato sulle piccole e medie imprese
12

(in genere a conduzione familiare, che non sono in grado di impiegare

proficuamente gli strumenti predisposti per le ‘big firm’). Infine verrà esaminata la

compatibilità della Business Judgment Rule con la Twilight Zone, in modo da

comprendere meglio se durante la fase di declino di una impresa, le scelte sulla

gestione siano sindacabili da parte dell’Autorità giudiziaria o debbano essere

considerate intangibili. È possibile dunque constatare come il settore societario

abbia arretrato il proprio raggio di azione, concependo misure preventive,

anticipatorie di una eventuale involuzione della impresa, in netta antitesi con le

precedenti modalità operative, epifania di una determinata cornice storica.


13
14

CAPITOLO I. INQUADRAMENTO GENERALE. IL PROBLEMA

1. IL CONCETTO DI IMPRESA E LA REGOLA DELLA RESPONSABILITÀ

LIMITATA TRA SHAREHOLDERS E STAKEHOLDERS. DISSOCIAZIONE

TRA POTERE E RISCHIO

Definiamo ‘impresa’, ai sensi dell’articolo 2082 del Codice civile, il soggetto

professionista che si attiva e organizza ai fini della produzione o dello scambio di

beni o servizi. Superata la sua concezione meramente liberista, la quale indica come

obiettivo esclusivo dell’imprenditore la realizzazione del lucro, l’evoluzione giuridica

ha definito una nuova teleonomia: ovvero, l’attività perseguita con metodo

‘economico’, che consente quantomeno il perseguimento del balance tra costi e

ricavi4. Una definizione largamente apprezzata è presente nel sistema di common

law: qui la firm viene considerata come una covenants’ network, ciascuno avente un

contenuto definito; tali contratti vengono coordinati reciprocamente dall’attività

imprenditoriale. Si parla, a tal proposito, della ‘Nexus of Contract Theory’, elaborata

verso la fine degli anni ’30 5. Sebbene le diverse definizioni possano presentare dei

comuni denominatori, occorre constatare come la locuzione ‘organizzazione’ sia

4
G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 6° edizione, Torino, 2013, pp. 31 e ss., per
un’analitica disamina tra metodo economico e metodo lucrativo. Ad avvalorare la teoria del metodo
economico è la disciplina delle imprese sociali, in cui è fatto divieto di distribuire utili in qualsiasi
forma.
5
La bibliografia sul punto risulta essere copiosa. Basti pensare che ad una concezione
oggettiva dell’attività commerciale, tipica del Codice di commercio del 1882, si passò ad una
concezione soggettiva del Codice del 1942. Ex multis, A. MUNARI, Impresa e capitale sociale nel
nuovo diritto della crisi, Torino, 2013, pp. 7 e ss.
15

presente nelle diverse concezioni: pianificare e gestire secondo il metodo

economico ai fini della realizzazione di beni o servizi 6. Poiché in un contesto

economico fortemente competitivo è possibile che i ricavi non coprano i costi, onde

evitare che il rischio di impresa ricada esclusivamente sul patrimonio personale

dell’imprenditore- per le imprese esercitate in forma collettiva- venne concepito

l’istituto della ‘responsabilità limitata’, elemento fondamentale delle società di

capitali7. Considerato come un felice compromesso tra l’incentivazione della

imprenditorialità e le ragioni del credito, tale istituto lungi dall’esonerare da

responsabilità l’imprenditore (rectius: gli amministratori) per eventuali condotte

nefaste, permette una distinzione patrimoniale in grado di veicolare il rischio di

impresa sul patrimonio destinato all’attività idonea al perseguimento degli obiettivi

imprenditoriali. In tal modo viene limitato il rischio d’impresa al conferimento

realizzato. Valutato positivamente da coloro i quali apportano capitale di rischio-

consci del fatto che la perdita sarà proporzionale all’investimento realizzato- tale

istituto presenta aspetti singolari, sintetizzabili con una efficace espressione inglese:

“Limited liability does not eliminate the basic risk, it merely shifts it”8. Si parla, in tale

6
Un ritorno alla concezione “oggettiva” delle imprese fu prospettato da P. FERRO LUZZI, in
I contratti associativi, Milano, 1971, prospettando dunque un ritorno a quanto già fu previsto dal
vecchio Codice di commercio. Più precisamente, “il fenomeno deve essere oggettivamente
concepito, individuato nella organizzazione dell’esercizio, del finanziamento e della responsabilità
della impresa”.
7
R. KRAAKMAN ET ALIOS, in Diritto societario comparato. Un approccio funzionale, a
cura di L. Enriques, Bologna, 2006, pp. 12 e ss. indica quali ulteriori requisiti dell’impresa
esercitata attraverso la veste giuridica della società di capitali, la personalità giuridica, la
trasferibilità delle azioni, la delega della gestione ad un organo amministrativo, la proprietà in capo
agli investitori.
8
M.C. JENSENS- W.H. MECKLING, in Theory of the firm. Managerial behaviour, Agencu
Costs, Ownership structure, Journal of financial economics, October, 1976, V. 3, No. 4, pp. 305-360.
16

caso, di trasferimento del rischio (nell’eventualità di erosione del capitale) ‘from

shareholders to stakeholders’, creando una vera e propria esternalità negativa.

Possiamo dunque considerare la responsabilità limitata come un vero e proprio

costo per i creditori, che sono esclusi dalla possibilità di nomina degli

amministratori; inoltre le perdite subite saranno loro imputate. Per rendere meno

gravosa la posizione dei suddetti ‘attori’, in una situazione di fine-vita della impresa,

possiamo considerare i soci quali residual claimants: costoro possono ottenere la

soddisfazione della loro pretesa solo secondariamente a quella dei creditori (a loro

volta suddivisi in vari cluster e denominati fixed claimants). In una qualsiasi

procedura concorsuale, dunque, vige la ‘Absolute Priority Rule’9, ossia la regola che

consente le ripartizioni in favore dei soci solo a seguito della soddisfazione dei

creditori e a condizione che vi sia un attivo da ripartire. Ai fini di un efficace

compromesso, ai soci è riservato il potere di nomina dell’organo di gestione, che, tra

i diversi profili, sarà propenso a realizzare una gestione proficua dell’impresa,

realizzando l’obiettivo dello ‘Shareholder Wealth Maximation’. Attraverso tale

espressione, viene indicato il perseguimento di un’utilità il più possibile elevata da

parte degli erogatori di capitale di rischio. È necessario preliminarmente chiarire

cosa si intenda con le locuzioni di shareholder e stakeholder: la prima, indica

l’insieme dei soci che apportano capitale di rischio in una determinata società; la

seconda denota i portatori di interesse che gravitano attorno alla impresa,

9
A. LUCIANO, La gestione della s.pa. nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, pp. 2 e ss.
17

generalmente distinti in stakeholder tradizionali (per esempio, i creditori e i

lavoratori) e in stakeholder emergenti (quali l’opinione pubblica). La Shareholder

Wealth Maximation è generalmente confutata dai sostenitori della ‘stakeholder

Theory’, i quali identificano quali target non solo gli interessi dei soci, ma anche

quelli dei lavoratori, delle comunità locali e di tutti i soggetti cui non compete la

qualifica di socio, onde realizzare un contemperamento di interessi eterogenei. Dal

punto di vista giuridico, in condizioni ordinarie, creditori e soci n perdono di vista il

buon andamento dell’impresa: i primi ai fini della soddisfazione della loro pretesa

‘fissa’, i secondi con l’obiettivo della soddisfazione dei loro interessi in misura

proporzionale al successo delle iniziative societarie. Diversamente, in condizioni di

insolvenza, l’erogazione del capitale di rischio avverrà ad opera dei creditori, mentre

il potere di controllo rimane ai soci; tale situazione genera una vera e propria

scissione tra potere, riconosciuto ai soci, e rischio, riconosciuto ai creditori. In tali

circostanze, si realizzerà un vero e proprio ‘shifting of property’10: dal punto di vista

economico, la titolarità dell’impresa viene trasferita dagli azionisti ai creditori i quali,

in tali circostanze, dovranno essere considerati quali finanziatori della società. Al

ruolo proprietario, assunto dai creditori, non corrisponderà anche il trasferimento

dei poteri di amministrazione: ciò implicherà una separazione tra titolarità della

società, lasciata nelle mani degli azionisti, e il potere di rischio, trasferito ai creditori.

A. KEAY, The shifting of the Directors’ duties in the vicinity of Insolvency, in Int. Ins. Rev.,
10

2015, V.24, pp. 144 e ss.


18

Siamo al cospetto di un vero e proprio capovolgimento della situazione iniziale, from

shareholders to stakeholders interests11.

1.1 CONVERGENZA DI INTERESSI TRA AZIONISTI E CREDITORI NELLA IMPRESA IN

BONIS E TRASFERIMENTO DELLA ‘TITOLARITÀ D’IMPRESA’ DAGLI INVESTITORI AI

CREDITORI NELLE SITUAZIONI DI INSOLVENZA (FROM SHAREHOLDER TO

STAKEHOLDER INTERESTS)

I soci si pongono come ‘traguardo finalistico’ la creazione di valore, in virtù di una

eventuale vendita delle proprie partecipazioni; i creditori, invece, hanno interesse

alla soddisfazione della pretesa creditoria, attraverso l’eliminazione degli aventi

diritto sulla medesima garanzia patrimoniale, conseguendo la realizzazione del

credito nel minor tempo possibile e con maggiori ‘benefici’ (ad es., riduzione dei

costi inerenti alla procedura). Considerato che i creditori, titolari di una pretesa fissa,

formalmente non ‘lucrano’ alcun beneficio diretto dalla massimizzazione del

patrimonio, in sostanza saranno proclivi verso la redditività dell’impresa: una firm

‘sana’, infatti, è capace di garantire la liquidità indispensabile per adempiere alle

obbligazioni. Dunque è possibile parlare di coincidenza solo tendenziale 12: più


11
Come si analizzerà in seguito, i creditori saranno poco avvezzi a perseguire progetti ad alto
rischio, preferendo piuttosto ridurre i margini sul rischio.
12
F. BRIZZI, in Doveri degli amministratori nel diritto societario della crisi e tutela dei
creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, pp. 19 e ss. L’allineamento deli interessi
sarà tendenziale in quanto “l’ontologica diversità degli interessi in discorso è destinata ad emergere
19

elevato sarà il reddito dell’impresa, maggiore sarà la propensione alla soddisfazione

delle pretese creditorie. In condizioni di insolvenza, le situazioni dei soci e dei

creditori mutano radicalmente, dal momento che le pretese dei soci sul patrimonio

sociale si riducono in maniera inversamente proporzionale all’incremento

dell’esposizione debitoria. Dall’antagonismo tra creditori e soci possono scaturire

comportamenti tali da pregiudicare gli interessi in gioco. Dal punto di vista della

compagine societaria, gli amministratori potrebbero mettere in campo le seguenti

‘mosse tattiche’: a) eseguire delle operazioni con alti margini di successo, ma dal

difficile esito positivo (overinvestment)13; b) estendere artificialmente la vita della

impresa, sia pure in presenza di condizioni per accedere ad una procedura

concorsuale (downside risk); c) porre in essere attività di suddivisione e ripartizione

del patrimonio societario, a detrimento dei creditori sociali; d) investire in progetti a

bassa redditività ma di facile realizzo per ricostituire almeno la garanzia patrimoniale

(underinvestment)14. I creditori, in caso di criticità della situazione societaria,

saranno interessati ad una gestione conservativa dell’impresa, per scongiurare la

‘diaspora’ del patrimonio tramite atti o comportamenti pregiudizievoli a carico degli

stakeholders. La situazione di crisi, inoltre, può acuire i conflitti tra creditori garantiti

e non garantiti: nella prima ipotesi (paradigmatica è quella dell’istituto di credito),

nelle ipotesi in cui sopraggiungano condizioni di criticità della situazione patrimoniale e


finanziaria”.
13
Trattasi di operazioni altamente remuneratorie nel breve periodo, a discapito delle
possibilità materiali di esito positivo. Sul punto A. KEAY, Op. cit., pp. 144 e ss.
14
L’opposto dell’overinvestment, tendente a realizzare investimenti poco remunerativi, ma
con alto probabilità di successo. Sul punto, A. KEAY, Op. cit., pp. 144 e ss.
20

avendo acquisito le idonee garanzie, saranno poco disponibili ad una

riorganizzazione dell’attività, mirando ad ottenere la soddisfazione immediata della

loro pretesa. Similmente, eventuali conflitti tra creditori preteriti e attuali -

soprattutto se gli apporti di finanza nuova siano capaci di ridurre drasticamente la

garanzia patrimoniale - determineranno l’interesse dei primi a inibire il concorso dei

secondi sul patrimonio societario. Tali condotte, preordinate alla realizzazione di

interessi personali, devono essere chiaramente inclusi nella categoria dei perverse

incentives o moral hazard.

2. IL MORAL HAZARD E I PERVERSE INCENTIVES

Gli organi delegati all’amministrazione societaria possono adottare ‘comportamenti

opportunistici’, essendo pregiudicata la piena solvibilità della società, abusando

della responsabilità limitata a danno dei titolari del patrimonio sociale. Nello

specifico, per moral hazard, si intende “lo sfruttamento, a proprio vantaggio e a

danno della controparte, di una posizione che essa non è in grado di esercitare” 15; si

tratta di una prassi rinvenibile tipicamente nei ‘rapporti di Agency’. Suddetto tipo di

vincolo si instaura tra due soggetti: un agent, in possesso di un surplus


15
A. LUCIANO, Ivi, pp.4 e ss. Può essere considerato come un effetto conseguenziale della
instaurazione di un rapporto di Agency e pone le sue radici nella personalità giuridica della società e
nella dissociazione patrimoniale.
21

informazionale, e un principal, ossia la parte contrattuale ‘cognitivamente’

deficitaria16. Negli ordinamenti anglo-americani, caratterizzati da grandi imprese con

proprietà frazionata, i problemi di agency riguardano managers ed azionisti.

Pertanto le asimmetrie informative saranno favorevoli ai primi, in genere più vicini

alle realtà aziendali e più inclini ad assumere iniziative nell’interesse proprio,

rispetto ad una base azionaria parcellizzata, che può contare su un potenziale

ridotto di informazioni. Negli ordinamenti tedesco e giapponese, al contrario, le

risorse finanziarie provengono da una solida tradizione creditizia bancaria. In tali

contesti la base azionaria è più ristretta; i problemi di agency, pertanto,

riguarderanno gli azionisti di maggioranza (agent) e di minoranza (principal).

L’ordinamento italiano, sebbene simile al sistema renano-nipponico, esibisce

determinate peculiarità (come, ad esempio, piccole e medie imprese a conduzione

familiare, grandi imprese a proprietà concentrata o addirittura familiare, un

frequente impiego dello strumento del gruppo di impresa), che consentono di

allargare il ventaglio degli Agency Costs17.

16
Una recente teoria allarga la classica tripartizione dei problemi di agency a tutte quelle
ipotesi in cui, in un rapporto giuridico, siano presenti elementi tali da permettere il perseguimento di
interessi personali. Sul punto si veda A. ZARDKOOHI, H.J.JOSEPHY, Conflict and confluence: the
multidimensionality of opportunism in principal-agent relationships, in Journal of business ethic,
2017, pp. 5 e ss.
17
F. CHIAPPETTA, in Diritto del governo societario. La corporate governance delle società
quotate, Padova, 2007, pp. 9 e ss., indica come il modello di capitalismo sia idoneo ad incidere
sulla governance societaria. Da non sottovalutare l’influenza del sistema giuridico e dal sistema di
valori condiviso in un dato paese in un determinato contesto storico. “La corporate governance è
dunque un sistema storicamente predeterminato”.
22

Il genus dei perverse incentives si distingue in due tipi di species: la prima,

denominata adverse selection, fattispecie operante ex ante, si caratterizza per una

situazione in cui il principal ignora le qualità dell’agent; pertanto, il secondo sarà

incentivato a rilasciare informazioni non veritiere. Il secondo cluster tassonomico,

noto con la locuzione di moral hazard, opera ex post, ossia a rapporto già

instaurato18. Un esempio in cui il benessere del principal dipende dall’attività

dell’agente, è costituito dalla concessione di una linea di credito a favore di una

società di capitali. Nella fattispecie, la società (agent), pur di ottenere il credito, è

disposta a rilasciare informazioni fuorvianti o non veritiere all’istituto bancario

(principal) in merito alla situazione economica, finanziaria, patrimoniale della

società.

Le situazioni di crisi e di insolvenza, unitamente alla responsabilità limitata e alla

dissociazione tra potere e rischio, rappresentano l’humus propizio alla realizzazione

dei perverse incentives, onde evitare che la garanzia patrimoniale giovi

esclusivamente ai creditori sociali. Pertanto, vengono messe in atto vere e proprie

condotte a nocumento dei creditori (tramite la dissoluzione del patrimonio sociale,

la realizzazione di operazioni il cui esito positivo è tutt’altro che scontato, la

prosecuzione di una attività di impresa oltre qualsiasi prospettiva di ritorno in bonis,

l’eccessivo indugiare degli amministratori per consentire l’affiorare dello stato

critico, la corresponsione di dividendi, appropriazioni abusive degli assets societari


18
Sia l’adverse selection che il moral hazard scontano entrambe il problema della disparità
di informazioni a carico del principal, i cui correttivi non potranno essere che i medesimi.
23

mediante operazioni con i soci), idonee, nel breve termine, a perseguire gli obiettivi

prefissati, ma capaci di erodere la garanzia patrimoniale19. La situazione di crisi

determina un difficile contemperamento tra interessi dei soci e dei creditori; sarà

dunque necessario individuare un corpus di regole inteso a garantire il

perseguimento delle diverse finalità, salvo tutelare esclusivamente gli interessi

creditori in caso di eventuale insolvenza.

3. QUALI INTERESSI DA PERSEGUIRE NELLA FASE CREPUSCOLARE

DELL’IMPRESA (TWILIGHT ZONE)? IL FENOMENO DEGLI SHIFTING

DUTIES

Come già accennato nei precedenti paragrafi, allorquando la società si trovi in una

situazione finanziaria e patrimoniale ottimale, essa può tutelare efficacemente tutti

gli interessi gravitanti intorno alla solvent corporation, sia garantendo il

perseguimento dello scopo di lucro dei soci, sia soddisfacendo alla pretesa creditoria

(grazie all’allineamento ‘formale’ degli interessi, in condizioni di equilibrio

societario). Diversamente, all’avverarsi delle condizioni di insolvenza, l’ordinamento

giuridico predispone degli strumenti atti a tutelare le pretese creditore, onde evitare

19
Nelle fattispecie in cui vi è un generale disinteresse per la società, specie nelle società ad
azionariato diffuso, può accadere che vengano poste in essere delle pratiche che favoriscano i
creditori e la garanzia patrimoniale: parliamo della carenza di investimenti (underinvestment) o
addirittura dell’inerzia che provoca la fine della società, lasciata agonizzante. Sul punto A. Luciano,
Ivi, pp. 8 e ss.
24

la disintegrazione del patrimonio sociale posto a garanzia delle pretese creditore.

Risulta evidente, dunque, che il diritto concorsuale permette ai creditori di

esercitare alcuni poteri che, generalmente, sono riservati ai soci, riequilibrando il

rapporto o isostenia tra le due categorie di attori. Le procedure concorsuali sono

concepite per adattare le regole di gestione dell’impresa, presenti nel diritto

commerciale, ad un contesto mutato, dove i creditori sono suscettibili al rischio di

impresa. Se, dunque, in situazioni distinte si applicano due discipline - diverse e

mutuamente complementari (quella societaria per la tutela dei soci, quella

concorsuale per la tutela dei creditori) - risulta assente, o quantomeno non

codificata, una disciplina in grado di elucidare la ‘crisi d’impresa’, ossia quella zona

liminale o condizione limbica, in cui l’ente viene stimato né solvente né “in grado di

adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni”20. Viene indicata quella

“situazione in cui si assiste ad un deterioramento della stabilità finanziaria

societaria, tale da far presumere l’imminenza della insolvenza” 21. Utilizzando la

ricostruzione offerta dallo shareholder model, nelle situazioni di crisi si perverrebbe

pregiudicare i creditori sociali (i quali, eventualmente, potranno sollecitare gli

20
Ad una concezione della crisi d’impresa quale momento “patologico” (A. LUCIANO, op.
cit. pp. 9 e ss., M.FABIANI, Diritto fallimentare, un profilo organico, Bologna, 2011, pp.77 ss. M.
SANDULLI, in I controlli della società come strumenti di tempestiva rilevazione della crisi
d’impresa, in Fall., 2009, pp.1113), è contrapposta la teoria della crisi d’impresa quale momento
“fisiologico” della vita di una impresa (F. BRIZZI, op. cit., pp. 15 e ss.), il che comporta possibili
opzioni politico legislative differenti. Generalmente il momento patologico deve essere gestito e
trattato con misure che permettano il ritorno all’equilibrio, con conseguente avanzamento di tutte
quelle misure che possono essere considerate pre-insolventi. La concezione fisiologica pone
l’accento sul momento della prevenzione, arretrando il raggio di azione delle misure in un momento
in cui è prospettabile una futura crisi d’impresa.
21
UNCITRAL Legislative Guide on Insolvency Law, Directors obligation in the period of
approaching insolvency, Working group V, 43rd session, New York, 2013
25

amministratori ad una gestione ‘conservativa’ dell’impresa, oppure attendere

l’apertura di una procedura concorsuale). Diversamente, ricorrendo alla teoria della

creditor maximization, verrebbe arretrato eccessivamente il raggio di tutela dei

creditori sociali, deprimendo l’iniziativa economica privata e qualsiasi tentativo di

ripresa dell’attività societaria. Si potrebbe addirittura inferire che, in situazioni di

crisi o di insolvenza, avvenuta la trasformazione dei creditori in residual claimants, la

disciplina societaria sarebbe idonea a tutelare i creditori sociali, considerando,

dunque, la locuzione anglofona come un contenitore in grado di includere diversi

contenuti. Si realizzerebbe, in tale ipotesi, il fenomeno dello shifting duties, ossia il

trasferimento dei doveri in capo agli amministratori, non più indirizzati a beneficio

dei soci, ma a favore dei creditori. La questione, storicamente, si sviluppò intorno al

caso Credit Lyonnais del 1991, in occasione del quale la Corte Suprema del Delaware

constatò che “when the corporaton operates in the vicinity of insolvency, a board of

directors is not merely the agent of the residual risk bearers, but owes its duty to the

corporate enterprise”22. Tale pronuncia costituì un’esplicita esortazione di impegno a

favore di interessi ‘terzi’, poiché “saying that directors’ fiduciary duties shift to

creditors when the company is insolvent, is not substantially different from saying

that they owe a duty to the company”. Suddetta ricostruzione, tuttavia, appare

22
Nella fattispecie, la banca Credit Lyonnais deteneva il potere di veto sulla vendita di
determinati assets societari di una società, trovandosi in una posizione di sostanziale controllo.
Esercitò tale veto, constatando come il prezzo di vendita degli asset era troppo basso, potendo
essere in grado di mettere a repentaglio la società. Si rimanda, per una analitica descrizione dei
termini della controversia, a F. RAFFAELE, I fiduciary duties degli amministratori nei confronti dei
creditori nella fase della pre-insolvenza. L’epilogo di una storia controversa, in
https://www.Luiss.it.
26

parzialmente convincente. Il punto di obiezione, in particolare, riguarda lo statuto

dei ‘terzi’: formalmente, essi sono considerati creditori ‘residuali’, ma

sostanzialmente vanteranno pur sempre una pretesa ‘fissa’. Sotto il secondo profilo,

dunque, costoro saranno poco incentivati alla riorganizzazione societaria e più inclini

a condurre politiche meramente liquidatore, se non addirittura favorendole. Da ciò

si desume che le suddette teorie, avendo natura eminentemente ‘faziosa’ 23 ossia

‘viziate’ da unilateralità, difficilmente saranno in grado di ‘proteggere’ il complesso

degli interessi orbitanti intorno all’impresa, finendo per tutelare l’uno o l’altro

gruppo. Sembra, dunque, inevitabile ricercare paradigmi e principi idonei a garantire

l’efficienza ed un equo contemperamento di interessi eterogenei; operazione

possibile mercé un ‘dialogo’ tra diritto societario e diritto concorsuale. In tale

prospettiva si dovrà configurare una serie di doveri che gli amministratori societari

dovranno ossequiare a tutela di interessi differenti.

4. LA TUTELA DEGLI STAKEHOLDER INTERESTS TRA AUTONOMIA

PRIVATA E REGOLE DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO

23
Il conflitto giace nella contrapposizione tra shareholder maximitation value e
maximitation corporation value. In particolare, i doveri degli amministratori dovranno seguire un
percorso tale per cui la soddisfazione di un gruppo non debba pregiudicare gli interessi dell’altro.
27

Il dubbio paventato da parte della dottrina risiede nel verificare se gli stakeholders

siano in grado di ricevere tutela mediante gli strumenti di autonomia privata, o se

sia necessario allestire una cornice normativa ad hoc24. Numerose sono le

argomentazioni militanti per una disciplina ‘contrattuale’ del rapporto tra società e

creditori. Suddetta tesi, essenzialmente, fa leva sulla copiosità di strumenti conferiti

dalla autonomia privata per munire di egida la propria pretesa. 25 Esempi di tutela

contrattuale, utilizzati in larga parte dagli istituti di credito, sono: a) la

diversificazione dei finanziamenti, sicché l’eventuale default del debitore

cagionerebbe un danno limitato rispetto alla loro esposizione finanziaria completa;

b) la previsione di tassi di interessi elevati, in modo da coprire il rischio di

inadempimento; c) l’acquisizione delle informazioni necessarie, selezionate in modo

da valutare il grado di solvibilità della società; d) la previsione di determinate

garanzie sul patrimonio societario o sulla corporate governance. Una prassi tipica del

milieu statunitense - adottata dai grandi finanziatori - è la concessione di

significative linee di credito, a condizione che il debitore indirizzi la gestione

societaria verso target ‘appetibili’ del creditore, influenzando dunque il board

societario e la conduzione della impresa. Tali tecniche contrattuali, tuttavia, hanno

come principali utilizzatori i creditori ‘forti’; inoltre, non prendono in considerazione

24
M. MIOLA, Capitale sociale e tecniche di tutela dei creditori, in Le società per azioni oggi,
a cura di Carcano, Balzarini, Ventoruzzo, Milano, 2007, pp. 368 e ss., sottolinea come la tutela dei
creditori investa numerosi settori, dal diritto dei contratti a quello societario, per cui il relativo
sistema può essere considerato come un ‘sistema trasversale’
25
Generalmente si ritiene che i creditori siano legati alla società attraverso un vincolo
contrattuale che regola diritti ed obblighi, in aggiunta alle regole generali in materia di obbligazioni
e di contratti.
28

l’omogeneità dei crediti, soprattutto quelli riferibili ai cd. ‘creditori involontari’ -

scaturiti dalla responsabilità aquiliana della impresa - e ai creditori volontari deboli.

Sottolineo che le ‘convenzioni finanziarie’, generalmente, prevedono clausole di

esenzione della responsabilità del creditore per una duplice ipotesi: a) le decisioni di

gestione; b) la decadenza del beneficio del termine in caso di inadempimento del

debitore. Pertanto, esclusa qualsiasi evidenza scientifica sulla efficacia assoluta degli

strumenti self help approach26 (specie se si consideri l’incremento dei tassi di

interesse e l’aumento generalizzato dei costi), è auspicabile una regolamentazione

dell’ordinamento giuridico che integri, agendo in sinergia, gli strumenti privatistici,

così da arricchire l’arsenale di opzioni percorribili. Infine, seguendo l’iter logico e le

conclusioni circa l’insufficienza della tutela privatistica, la tutela legale offerta dai

doveri degli amministratori, potrebbe essere orientata non solo verso gli erogatori

del capitale di rischio, ma anche verso i creditori sociali, specialmente nella fase

crepuscolare della impresa.

4.1 IL SISTEMA DEL CAPITALE SOCIALE E L’ORIENTAMENTO

DELL’UNIONE EUROPEA

26
Da non dimenticare come tali strumenti privatistici, diversamente dalle rules, non offrono
una tutela generale ed astratta, rimanendosi pertanto confinati nei limiti delle stipulazioni. Su tale
affermazione M. MIOLA, Ibidem, pp. 368 e ss.
29

Prima di analizzare lo specifico subiectum quaestionis,27 occorre considerare la

giustapposizione tra rule e standard, esprimenti due dei diversi rimedi ex ante ed ex

post. I rimedi ex ante fissano le condizioni di accesso al mercato, con l’intento di

evitare, preventivamente, il compimento di determinata condotta. I rimedi ex post,

invece, obbediscono alla ratio di valutare la condotta attuata, svolgendo una

funzione prevalentemente riparatoria. I rule sono generalmente utilizzati nell’area di

civil Law, mentre gli standards vengono applicati nei paesi di common Law. Tra i più

importanti rules, elaborati per disincentivare finalità ‘aliene’ rispetto a quelle

societarie va menzionato il capitale sociale, istituto squisitamente europeo, oggetto

di una vastissima letteratura.

Storicamente, la prima ‘lettura’ emersa in dottrina – suscettibile di revisioni e

aggiornamenti – delinea una visione garantistica del capitale sociale, che scorge

nell’istituto il primario strumento positivo idoneo a tutelare i creditori dagli abusi del

debitore nell’esercizio dell’impresa societaria28. Secondo tale approccio, il capitale

viene inteso come ‘patrimonio’ aggredibile dai terzi mediante gli strumenti

27
M. MIOLA, in Capitale sociale e tecniche di tutela dei creditori, pp.374 e ss., sostiene che
tale distinzione abbia una portata “meramente classificatoria, il che limita l’esigenza di stabilire la
prevalenza di una categoria di rimedi sugli altri.
28
Un’affermazione diffusa indica il capitale sociale quale “strumento di tutela per tutti quei
soggetti che intrattengono rapporti con la società”, dunque da considerare come un paracadute ai
fini della tutela dei creditori sociali. Non dello stesso avviso A. LUCIANO, in La gestione della s.pa.
nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, il quale propende per la teoria indicante il capitale
sociale quale strumento avente funzione informativa.
Sulla funzione di tutela dei creditori sociali da parte del capitale, F. BRIZZI, in Doveri degli
amministratori nel diritto societario della crisi e tutela dei creditori nel diritto societario della
crisi, Torino, 2015, pp. 78 e ss., e M. MIOLA, La tutela dei creditori ed il capitale sociale. Realtà e
prospettive, in Riv. soc., 2012, pp.237 e ss. Più concretamente, l’istituto del capitale sociale opera
innanzitutto come divieto di distribuire un’aliquota del patrimonio netto, in secondo luogo mira a
fissare una “soglia di serietà dell’iniziativa economica” da avviare.
30

predisposti dall’ordinamento giuridico.29 Una diversa clavis hermeneutica àncora il

capitale sociale (e la sua entità) all’attività sociale, di cui costituirebbe il supporto

essenziale, strutturalmente a collegato a quella e necessariamente in rapporto di

congruità, o di non manifesta inadeguatezza 30; in questo senso, la disciplina del

capitale sociale assicurerebbe che i mezzi propri stabilmente destinati all’esercizio

dell’impresa societaria restino vincolati a tale destinazione31. Anche questa diversa

proposta esegetica risulta essere poco convincente, poiché l’esercizio delle attività

viene garantito dal patrimonio complessivamente considerato. A tali linee

interpretative, si sono affiancate ulteriori ricognizioni (normativa, informativa ed

anti-crisi o preventiva). La funzione ‘normativa’ sottolinea la valenza interna del

capitale sociale, al fine di stabilire la posizione o rango endo-societario dei vari

‘sodali’. A tale configurazione, tuttavia, sfuggono le potenzialità di suddetto istituto,

non suscettibile di essere ‘compresso’, ridotto a funzioni meramente interne;

29
Oggetto di conferimento, sarebbero stati esclusivamente i beni espropriabili. Ciò è
avvalorato dalla previsione normativa secondo cui, nelle società di persone, essendo aggredibili i
patrimoni personali da parte dei creditori, è possibile conferire l’attività lavorativa del socio, in virtù
del maggior numero di masse patrimoniali su cui rivalersi. Tale tesi viene confutata dalla dottrina
maggioritaria attraverso due ragionamenti: in primo luogo, il concetto di ‘bene espropriabile’ è in
contrasto con l’articolo 2464 del codice civile, il quale dispone la possibilità di conferire tutti gli
elementi “suscettibili di valutazione economica”. In secondo luogo, l’obiettivo della tutela dei
creditori non può essere perseguito dalla irrisorietà delle cifre legali del capitale minimo, inadatte
alle realtà delle iniziative economiche, sebbene l’obiettivo delle riduzioni dei minimi legali sia
quello di evitare l’eccessiva gravosità della capitalizzazione iniziale delle società. Si pensi alla
possibilità di costituire le s.r.l. con un capitale inferiore a 10.000 euro, purché pari a non meno di 1
euro, salvo trattenere dagli utili netti di bilancio una somma almeno pari ad un quinto degli utili
netti, idonea a formare la riserva legale, fin quando la riserva non abbia raggiunto l’ammontare di
10.000 euro (articolo 2463 del Codice civile). L’accento viene posto dunque sulla funzione di
garanzia svolta dal patrimonio “dinamico” della società, non dallo “statico” capitale sociale
30
A. MUNARI, Impresa e capitale sociale nel nuovo diritto della crisi, Torino, 2013, pp. 62
e ss. come strumento atto ad assicurare la capacità di produrre reddito, dunque una funzione di
destinazione all’esercizio dell’attività di impresa.
31
La produttività garantisce la protezione dei creditori.
31

inoltre, contrasta con la ratio della indisponibilità del patrimonio netto pari

all’ammontare del capitale sociale, poiché l’impossibilità di disporre di una

determinata somma avrà necessariamente una precisa finalità32.

Sebbene le teorie informative e preventive abbiano come telos la tutela dei creditori

sociali, esse si focalizzano su strategie diverse rispetto alle teorie garantista e

produttivistica, dando rilievo all’aspetto comportamentale e gestionale, più che agli

assetti patrimoniali e finanziari della società. Quanto alla funzione ‘informativa’,

l’istituto può essere costituire un affidabile parametro per i creditori sociali e per i

soggetti che interagiscono con la società, fungendo da criterio di primaria

importanza (in genere, la disclosure mira ad evitare conflitti di agency tra creditori e

soci, fornendo elementi utili sull’opportunità di siglare rapporti con la società).

L’importanza dell’informazione – e, quindi, la sua disponibilità cognitiva - si

estrinseca attraverso la denominazione sociale, la base finanziaria inziale e i bilanci

contabili; tali elementi permettono ai terzi di conoscere il potenziale partner

commerciale, senza eccessivi costi di investigazione 33. L’esigenza di fornire

informazioni autentiche e corrette è sancita, nel nostro ordinamento giuridico, dagli

articoli 2423 e seguenti del Codice civile. Summenzionato dispositivo prevede che il

bilancio sia redatto con chiarezza e che contenga dati veritieri 34; in particolare,
32
Secondo A. PACIELLO, in La funzione normativa del capitale nominale, in Riv. dir. soc,
2010 pp. 10 e ss., “il capitale sociale svolge una funzione diretta a definire le posizioni dei soci”.
33
M.S. SPOLIDORO Capitale sociale, in Enc. dir., IV Aggiornamento, Milano, 2000, pp.
220 e ss.
34
La Cassazione, con provvedimento numero 8204 del 2004, ha indicato quale “funzione del
bilancio quella di fornire ai soci ed al mercato in genere tutte le informazioni che il legislatore ha
ritenuto al riguardo di prescrivere”.
32

l’articolo 2250 comma 2° del Codice civile, dispone l’obbligo di indicare il capitale

sociale negli atti e nella corrispondenza secondo la somma effettivamente versata e

quale risulta dall’ultimo bilancio. L’obiezione generalmente mossa a simile

ricostruzione sottolinea che la funzione informativa sia utile solo se accompagnata

da incisivi poteri di reazione35: in tale fattispecie, gli amministratori non dovranno

pronunciare mere affermazioni di stile, ma saranno tenuti a comunicare tutte le

informazioni indispensabili alla prosecuzione dell’attività di impresa, rendendo note

le eventuali difficoltà finanziarie. Infine, con la configurazione preventiva del

capitale, sia la riduzione obbligatoria e il divieto di distribuire utili in presenza di

perdite di capitale (articoli 2446, comma secondo, e 2433, comma terzo, del Codice

civile), sia l’alternativa tra ricapitalizzazione e scioglimento, imposta dagli articoli

2447 e 2484, n. 4 del Codice, costituirebbero regole idonee a far emergere

tempestivamente la crisi dell’impresa (prevenendo l’insolvenza), facendo leva sugli

obblighi degli amministratori di accelerazione dei processi riorganizzativi e di

passaggio alla gestione conservativa, nonché sul blocco delle distribuzioni in una

situazione di difficoltà finanziaria.36

35
Che l’informazione sia utile nella misura in cui accompagnata da incisivi poteri è pure
confermato dalla prassi contrattuale sui covenants contrattuali che disciplinano, limitandole, le
distribuzioni e altri rapporti patrimoniali: la violazione più o meno colpevole degli stessi determina
solitamente la decadenza del beneficio del termine (acceleration clauses) o l’escussione di garanzie
(security interests). Contro tale obiezione, A. MUNARI, Op. cit., pp. 66 e ss. il quale conferma la
funzione informativa del capitale sociale.
36
“Si allude alla funzione di segnare l’allarme dell’approssimarsi di una crisi, a favore dei
creditori e del mercato”. Così M.MIOLA, La tutela dei creditori ed il capitale sociale. Realtà e
prospettive, in Riv. soc., 2012, 294 e ss. Contra G.FERRI jr, Struttura finanziaria dell’impresa e
funzioni del capitale sociale, in Riv. not., 2008, pp. 753 e ss.
33

Come noto, la Seconda Direttiva Societaria del 1976 - modificata dalla Direttiva

2006/68/CE e dalla Direttiva 2009/109/CE, sostituita infine dalla Direttiva

2012/30/UE - confermò, quale strumento di tutela dei terzi, l’istituto del capitale

sociale; questa scelta eluse l’occasione di introdurre le tecniche di tutela contabili

utilizzate negli Stati Uniti (i cd. solvency Tests), che permettono di valutare la

capacità della società di far fronte ai propri adempimenti finanziari. Se, dunque, in

Europa si affermò come paradigma di riferimento il capitale sociale, in alcuni Stati

Membri l’esperienza americana ‘catalizzo’ una riflessione sul ruolo dell’istituto in

esame. Vennero introdotte nuove figure societarie (essenzialmente nel quadro delle

società a responsabilità limitata, escluse dall’ambito di applicazione della Seconda

Direttiva) caratterizzate dallo svilimento della capitalizzazione iniziale; inoltre furono

redatti feroci pamphlet incriminatori37. Le riflessioni raggiunsero le istituzioni

europee. Emblematica fu la sentenza Centros del 1999, in occasione della quale la

Corte di Giustizia giunse ad una importante svolta: partendo dalla nozione di ‘libertà

di stabilimento secondaria’38 – richiamata dall’articolo 49 secondo comma TFUE -

ritenne inammissibile la disciplina nazionale relativa a società straniere o pseudo-

37
Una esplicita avversione verso l’istituto del capitale sociale si riscontra negli scritti di R.
MACEY e L. ENRIQUES, in Creditors versus Capital formation. The case against the European Legal
Capital Rule, in Riv. soc., 2002, pp. 78 e ss., in cui è disposto che “Legal Capital Rules are not
justifiable on efficiency ground and the best way to reform this area would be to repeal the Legal
Capital Rules altogether, eliminating the second Directive”.
38
La libertà di stabilimento primaria consiste nella possibilità di esercitare un’attività economica o
professionale interamente in un Paese diverso da quello di origine, mentre il diritto di stabilimento
secondario conferisce la possibilità al titolare, che continua ad esercitare l’attività economica indipendente
nel proprio Paese di origine, di aprire o istituire in un Paese diverso agenzie, succursali, filiali o sedi
secondarie, iniziando a svolgere una parte dell’attività anche sul territorio di un altro Stato.
34

straniere, aprendo la strada alla competizione tra Stati membri sulla legislazione più

favorevole alle società39. Conseguentemente venne svilita, in via implicita e

trasversale, la funzione del capitale sociale. Lo stesso dicasi per il caso Inspire Art del

2003, in riferimento al quale la Corte di Giustizia stabilì l’inammissibilità del regime

di sfavore, previsto dalla normativa olandese, col principio della libertà di

stabilimento. Effetto di tale pronuncia fu di imporre alle società pseudo-straniere un

capitale minimo uguale a quello richiesto alle società nazionali 40. La svolta normativa

avvenne nel 2002, attraverso la nomina dell’ High Level Group of Company Law

Experts, raggiungendo importanti conclusioni: “there is a wide agreement that the

concept of legal capital is not effective in attaining the objectives that are assigned

to it”. Pur riconoscendo il ruolo del capitale sociale venne sottolineata la presunta

mancanza di effettività della tutela, suggerendo una semplificazione della disciplina

e l’introduzione di rimedi ex post, come il wrongful trading di diritto inglese41. Venne

inoltre prevista la possibilità di introdurre tecniche alternative all’istituto

protagonista del dibattito42. Successive analisi empiriche dimostrarono la scarsa

effettività pratica del capitale sociale, -caratterizzato da bassi costi amministrativi

39
Centros Ltd. C. Erhvervs-og Selskabsstyrelsen, causa C-212/97. Nella fattispecie, si
ritenne non conforme al diritto comunitario il rifiuto di iscrizione di una società in ragione della sua
sottocapitalizzazione rispetto al capitale minimo richiesto dal paese ospitante.
40
Kamer van Koophandel c. Inspire Art, causa C-167/01.
41
Come vedremo nel proseguo della trattazione, il Wrongful Trading è un rimedio inglese, il
quale ha come obiettivo di evitare che scelte di gestione sbagliate ricadano sui creditori sociali,
atteggiandosi a responsabilità degli amministratori.
42
Si tenga presente che secondo alcuni autori, tra i quali M. MIOLA, in La tutela dei
creditori ed il capitale sociale. Realtà e prospettive, in Riv. soc., 2012, pp.237 e ss., i doveri
informativi- previsionali degli amministratori, si traducono in forme di Liquidity Test e di Balance
Sheet Test, garantendo un giudizio prognostico sul futuro andamento di gestione societario e sulla
possibilità di una futura insolvenza.
35

legati al sistema - rispetto all’ammontare delle spese necessarie ai fini

dell’esecuzione di un test prognostico sui conti societari. Venne affermata l’assenza

di pregiudizio alla competitività europea in caso di mantenimento del regime del

capitale rispetto alle tecniche contabili. Coerentemente con tali osservazioni

empiriche, venne approvata la Direttiva 2012/30/UE, che riaffermò l’istituto del

capitale sociale.

Al di fuori dell’ambito di applicazione della Seconda Direttiva Europea, i recenti

interventi legislativi dei principali paesi membri sottendono l’adozione di un

progetto definibile come destrutturazione del sistema del capitale sociale (e di

liberalizzazione delle tecniche di finanziamento delle s.r.l.). Si tratta di un ‘progetto’

già in atto da oltre un decennio a livello internazionale con particolare riguardo alle

società a responsabilità limitata a capitale ridotto (i c.d. light vehicles). In Italia,

mediante il d.l. n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito dalla l. 24 marzo 2012, n. 27,

sono stati introdotti due sottotipi di società e responsabilità limitata: la s.r.l.

semplificata (per gli under 35) e la s.r.l. a capitale ridotto (per gli over 35),

caratterizzate dall’abbassamento dell’ammontare del capitale sociale, comunque

inferiore a Euro 10.000. In Germania, le GmbH (gesellschaft mit beschränkter

Haftung) con capitale sociale di almeno 1 euro e comunque non superiore ad Euro

25.000, denominate unternehmergesellschaft, vennero introdotte nel 2008. In

Francia, con la legge 2003-271 del 1° agosto 2003, venne abolito l’obbligo di capitale

minimo dapprima per le s.a.r.l. (société à responsabilité limitée), successivamente


36

per le sociètès par actions simplifèes.43 Tali strumenti non consentono di inferire il

definitivo superamento dell’istituto del capitale sociale, considerato che le deroghe

relative al suddetto istituto sono state introdotte principalmente nel tentativo di

‘rianimare’ le ‘anemiche’ economie dei paesi europei. Nell’ordinamento giuridico

italiano, ad esempio, l’importanza dell’istituto si rinviene nell’indicazione

dell’ammontare del capitale quale elemento essenziale dell’atto costitutivo, la cui

mancanza comporterebbe la nullità della società (articoli 2463 e 2332 del Codice

civile).

4.2 I RIMEDI EX POST D’OLTREOCEANO. LE TECNICHE DEI SOLVENCY

TESTS

Le tecniche di tutela dei creditori alternative al capitale sociale si caratterizzano per

essere ricomprese sia nei rimedi ex ante, sia nei rimedi ex post. Particolare
43
37

importanza assumono i cosiddetti solvency Tests, che permettono la distribuzione

del patrimonio sociale o dei dividendi a seguito di attestazione positiva degli

amministratori sulla futura solvibilità della società. Per inciso giova ricordare come

da tempo è stata invocata la inadeguatezza dei bilanci ad essere una fonte

attendibile della distribuzione del patrimonio sociale, in grado di garantire la tutela

dei creditori e la remunerazione dei soci. Nato dall’ American Bar Association, più

precisamente dal Revised Model Business Corporation Act degli anni Ottanta, tale

dispositivo guadagnò la ribalta con la querelle sull’istituto del capitale sociale, inviso

a molti per via della sua scarsa efficacia pratica – ad onta de ridotti costi di

governance che avrebbe comportato in caso di impiego. Nei paesi di Common Law

sono invalsi tre tipi di Test sulla situazione economico, finanziaria, patrimoniale della

società: a) il Liquidity Test44 valuta se la società sia in grado di adempiere ai suoi

debiti reasonably tramite la liquidità a disposizione; b) il Balance Sheet Test verifica

se la società sia capace di mantenere la continuità aziendale, confrontando le

attività con le passività; c) il Capital-adequacy Solvency Test è la tecnica che

permette di valutare se vi sia l’adeguatezza numerica del capitale a garanzia dei

creditori. Tali strumenti sono noti per la loro capacità di analizzare la redditività

futura e l’indebitamento on the long run; sono intrinsecamente flessibili,

concedendo margini di discrezionalità nella redazione delle scritture contabili da

44
“L’accertamento del livello di liquidità della società viene ritenuto idoneo a realizzare un
risultato equivalente al principio di conservazione del capitale sociale, finendo per essere alternativo
a tali regole”. Così secondo M. MIOLA, in Capitale sociale e tecniche di tutela dei creditori, in Le
società per azioni oggi, Milano, 2007, pp.441 e ss.
38

parte degli amministratori; costoro dovranno autorizzare o meno la distribuzione di

dividendi o la parcellizzazione del patrimonio sociale, in relazione al “rischio effettivo

di insolvenza”. Saranno inoltre imputabili nei loro confronti eventuali responsabilità

per distribuzioni illegittime, sempre operanti ex post.45 Occorre considerare come

negli Stati Uniti, paese generalmente conosciuto come debitor friendly, un tale

meccanismo societario sia in grado di attrarre maggiori investimenti, permettendo di

offrire, attraverso i summenzionati test, dichiarazioni conformi alle loro aspettative

(“I say what do you want to hear”); d’altra parte, non è infrequente che i risultati

ufficiali dissimulano ‘castelli di carta’, edificati con l’accondiscendenza di revisori

esterni, amministratori, organismi di controllo. 46 Coloro che sono favorevoli alla

adozione di questi sistemi, pongono l’accento sulle sanzioni degli amministratori per

distribuzioni patrimoniali propedeutiche ad una successiva insolvenza, constatando

come il capitale sociale operi solamente a declino già avviato, palesando dunque un

deficit in termini di tutela dei creditori. D’altro canto, se è vero che il capitale e i

solvency Tests appartengono a famiglie diverse e agiscono in momenti diversi,

abbandonando posizioni integraliste relativamente all’una o all’altra tecnica, risulta

possibile un loro utilizzo integrato, partendo dai rimedi legali ex ante, (come il

capitale sociale, il sistema del netto), fino all’utilizzo della responsabilità degli

45
M. MIOLA, Ivi, pp. 387 e ss., il liquidity Test debba essere accompagnato da un Balance
Sheet Test, per via dell’ampia discrezione che caratterizza i doveri previsionali degli amministratori.
46
G. COLANGELO, in C’era una volta in America. Gli insegnamenti presunti e i fallimenti
reali dell’affare Enron, in Mercato, concorrenza e regole, 2002, pp. 457 e ss., individua il collasso
di Enron come un fallimento isolato e non strutturale, illustrando cioè, che nonostante la relativa
incertezza delle prognosi future attraverso i suddetti test, è comunque importante valutare la
performance della società nel lungo termine, in modo tale da scongiurare futuri casi Enron.
39

amministratori per distrazione del patrimonio societario, operante ex post. A ciò si

aggiunga, in una posizione intermedia tra il Legal capital e la Liability, l’impiego degli

strumenti nordamericani sull’analisi dei bilanci societari, in grado di garantire

l’accertamento di un’eventuale fase di declino. La pianificazione finanziaria,

realizzata attraverso il liquidity Test ed il balance sheet Test, consente il

monitoraggio degli eventuali rischi aziendali a cui si espone la società, eseguendo le

funzioni informative e preventive di una possibile situazione di crisi.

4.3 RULE E STANDARD. POSSIBILE UTILIZZO ARMONIZZATO DEI

RIMEDI EX ANTE ED EX POST

Eliminando la rigida contrapposizione tra rimedi ex ante e rimedi ex post, scaturita

dalla dialettica di scuole giuridiche o, se si vuole, di sistemi giuridici eterogenei,

risulta possibile e auspicabile mitigare la tensione tra il capitale sociale e i solvency


40

Tests, analizzando le loro funzioni e gli obiettivi perseguiti a tutela degli

stakeholders. Solo attraverso un approccio sistematico è possibile evidenziare, in

primis, come i rimedi ex ante ed ex post operino su perimetri diversi, escludendo

qualsiasi sovrapposizione di modelli e tutele. 47 Si consideri, ad esempio, la regola del

capitale legale che limita la distribuzione del patrimonio netto attivo dei soci,

svolgendo una funzione ‘preventiva’ o anticipatoria rispetto ad una situazione di

insolvenza, a garanzia dei creditori. Un esempio, nel nostro ordinamento è la regola

“Ricapitalizza, liquida o trasforma”, di cui agli articoli 2447 e 2482-ter del Codice

civile: essa prevede che, nell’ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del

minimo legale, si possa optare tra lo scioglimento della società, la trasformazione

della stessa in una differente forma giuridica, oppure la sua ricapitalizzazione, in

modo da consentire il ritorno alla continuità aziendale.

Per quando concerne il perimetro degli standards, esso viene collocato in una

dimensione successiva alle rules, con funzione meramente riparatoria del

pregiudizio subito. Nel diritto societario italiano è il caso degli obblighi che vertono

in capo agli amministratori; cito ad esempio l’articolo 2394 del Codice civile, in cui al

secondo comma è disposto che: “L’azione (di responsabilità) verso i creditori sociali

può essere proposta quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al

soddisfacimento dei loro crediti”. È chiaro che in tale fattispecie, l’azione viene

47
Si rimanda a F. BRIZZI, Ivi, 2015, pp.92 e ss., secondo cui anziché parlare di alternatività di
rimedi, è auspicabile una reciproca integrazione, “valutando la compatibilità del regime del capitale
sociale con le tecniche di tutela che facciano leva sulla dimensione finanziaria della società”.
41

proposta a seguito di una condotta negligente degli amministratori, pregiudizievole

per i creditori sociali; tuttavia non si riscontra unanimità dottrinale nel ritenere che

si tratti di uno dei rimedi o di un rimedio ex ante. In effetti, molto verte intorno alla

formulazione della regola giuridica: si atteggerà a standard qualora sia indicato il

rimedio alla condotta dell’agent (azione di responsabilità)48, con l’intento di

minimizzare le perdite; si parlerà, invece, di rule qualora sia disposto una

determinata condotta da seguire (obbligo di gestione conservativa) ed il pregiudizio

non si sia ancora verificato49. Seguendo tale impostazione, sussistono le condizioni

per ritenere possibile l’impiego combinato degli strumenti in esame, soprattutto se

ciò permette di corroborare la tutela dei creditori. Nulla osta, ad esempio, che “in

caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, l’attività venga sospesa, a

meno che gli amministratori, sotto la loro esclusiva responsabilità, attestino che la

società sia in bonis, unitamente ad un’inversione dell’onere probatorio a carico degli

amministratori sulla ragionevolezza della prognosi sulla solvibilità”. Infine, una

rigida classificazione dei doveri degli amministratori tra rimedi ex ante ed ex post

risulta inadatta a descrivere una fenomenologia tanto vasta quanto ricca peculiarità,

specialmente nel caso in cui la società transiti nella sua fase crepuscolare.

48
Agendo dunque in funzione meramente riparatoria, mirano a sopperire alle scarse
possibilità di soddisfacimento con l’attivo residuo. Sul punto M. MIOLA, Capitale sociale e tecniche
di tutela dei creditori, in Le società per azioni oggi, Milano, 2007, pp. 374 e ss.
49
Si tratta di un dubbio meramente classificatorio, poiché ai fini della tutela dei creditori,
rileva se la garanzia patrimoniale sia diminuita o meno. Si rimanda a M. MIOLA, Op. cit., pp 374 e
ss.
42

5 LE STRATEGIE DI GOVERNO DELLE IMPRESE COME STRUMENTI DI

SOLUZIONE DEI PROBLEMI DI AGENCY

Le conclusioni cui siamo giunti in merito alle possibili tutele offerte al principal,

consentono di indicare come ulteriori, se non fondamentali, strumenti di protezione

le tecniche di gestione societaria - caratterizzanti tutti i tipi di società di capitali -

formando il cosiddetto nucleo della corporate governance50.

Il diritto societario affronta il problema del conflitto di agency tra azionisti e

manager51 grazie ad una ‘panoplia’ strategica includente, ad esempio, i diritti di

nomina, i diritti decisionali, gli standard di condotta. L’assemblea degli azionisti

esercita il controllo della società mediante l’elezione dell’organo amministrativo

collegiale, onde garantire il perseguimento degli interessi dei soci. 52 Il controllo da

50
Da ricordare gli All Principles of Corporate Governance, ossia un sistema di
comportamenti che gli amministratori devono seguire nell’ordinamento giuridico americano. Si
tenga presente che la disciplina societaria è ad appannaggio esclusivo degli Stai federali, pertanto si
è tentato di dare una organicità alla disciplina, prevedendo la possibilità di aderire a tali Fiduciary
duties. Sul punto F, GHEZZI, “I doveri degli amministratori nei “Principles of Corporate
Governance”, in Riv. soc., 1996.
51
Il diritto societario generalmente distingue le società aperte, caratterizzate da azioni
liberamente trasferibili, e società chiuse, le cui partecipazioni azionarie sono possedute da un
numero ristretto di persone o sono soggette a limitazione. Il campo di indagine si riferirà ad
entrambe le forme giuridiche. In A.A.V.V., Diritto societario comparato, a cura di L. Enriques,
Bologna, 2006, p. 44, nota 1.
52
Tale struttura di governo è idonea a risolvere anche i conflitti tra azionisti di maggioranza
e di minoranza ed i conflitti tra società e creditori. Così A.A.V.V., Op. cit., p. 45
43

parte dei titolari delle partecipazioni azionarie sulla società avviene applicando le

regole in materia di struttura, di poteri e di composizione dell’organo

amministrativo. Per quanto riguarda la struttura, gli ordinamenti giuridici più

importanti consentono la scelta tra il sistema di amministrazione monistico, il

sistema di amministrazione dualistico e, nel caso del ordinamento giuridico

nostrano, il sistema di amministrazione tradizionale. 53 I soci, inoltre, possono fare

appello al potere di revoca degli amministratori, alla scadenza dei loro mandati;

inoltre, hanno facoltà di sostituire gli amministratori in carica. Per quanto concerne

la composizione dell’organo amministrativo, una ‘virtuosa’ governance societaria si

avvale di best practises; i consigli con pochi membri funzionano meglio rispetto a

collegi pletorici. Sulla base di tale euristica è auspicabile che i consigli si organizzino

in comitati, programmando briefing frequenti, e raggiungendo un rapporto

numerico equilibrato tra gli amministratori (indipendenti, esecutivi). Passando alla

strategia dei diritti decisionali, la normativa societaria incoraggia la partecipazione

dei soci all’adozione di ‘soluzioni’ societarie solo quando la totale delega al

management risulti pregiudizievole degli interessi in capo agli azionisti.

L’ordinamento statunitense può essere definito come il sistema che concede meno

diritti decisionali (un’opzione che collide con la struttura economia americana,

53
Sono da considerare organi amministrativi monocamerali a tutti gli effetti; anche il sistema
dualistico, è da considerarsi monocamerale, nel senso che i due livelli sono organizzati in modo
gerarchico, con il consiglio di sorveglianza (eletto dagli azionisti della società), sovraordinato,
rispetto al consiglio di gestione. Sul punto A.A.V.V., Op. cit., p.45, nota 2
44

caratterizzata da basi azionarie di vaste dimensioni) 54; i soci possono ratificare le

decisioni sostanziali fondamentali come fusioni o modificazioni, ma non hanno il

potere di proporne l’adozione. All’opposto, maggiori competenze alle assemblee

degli azionisti vengono concesse dall’ordinamento renano, limitando il voto

assembleare ad una serie di decisioni fondamentali (un ristretto numero di

operazioni), come fusioni o modificazioni dell’atto costitutivo, imponendo al

consiglio di gestione di allestire una deliberazione su tali argomenti, qualora ciò sia

richiesto dall’assemblea stessa55. Nelle società chiuse, la regola di default della

GmbH consiste nel conferire ai soci una competenza generale a gestire la società

tramite il voto56. Negli Stati Uniti, in Francia ed in Italia è presente la distinzione tra

soci ed amministratori quale regola base, ma i relativi ordinamenti consentono,

tramite modifiche statutarie, di introdurre diritti decisionali a favore dei soci.

La strategia del trusteeship consente di attribuire la competenza decisionale sugli

interessi di stakeholder a soggetti privi di interessi conflittuali. Ad esempio, è

possibile che l’organo amministrativo si caratterizzi per la presenza di amministratori


54
Nonostante possa essere considerato come un ordinamento ‘debitor-friendly’, il diritto
societario statunitense concede pochi diritti decisionali agli azionisti. Così A.A.V.V., Op. cit., p. 60.
55
In Francia e nel Regno Unito, una modificazione statutaria può essere messa all’ordine del
giorno dall’assemblea dei soci e può essere approvata anche con l’opposizione del c.d.a. Sul punto
A.A.V.V., Op. cit., p. 61.
56
Con il caso Holzmüller, la Corte Suprema Federale tedesca (Bundesgerichtshof) tedesco giunse ad
estendere la competenze dell’assemblea oltre al mero elenco legislativo, includendo operazioni cui siano
poste in essere nell’interesse dei soci. (BGH, 25 febbraio 1982, in Die Aktiengesellschaft, 1982, 158)
“Esistono decisioni fondamentali, che pur essendo formalmente coperte sia dal potere di rappresentanza
degli amministratori, come pure dalla competenza degli stessi e dalla lettera dello statuto, tuttavia incidono
così profondamente sui diritti di partecipazione degli azionisti, sulla proprietà delle loro quote e sugli
interessi patrimoniali, che l'organo digestione non può ragionevolmente pensare di realizzarle sotto la
propria esclusiva responsabilità, senza la partecipazione dell'assemblea”. Così G.B. PORTALE, Contributo, in
Il nuovo diritto societario. Liber amicorum G.F. Campobasso, II, Torino, 2006, p.15.
45

‘indipendenti’, che non condividano gli interessi degli esecutivi; così, in Germania è

fatto divieto ai manager di ricoprire ruoli nel consiglio di sorveglianza, mentre il

diritto americano impone la presenza di amministratori indipendenti nei c.d.a. delle

società aperte57. Con l’obiettivo di incentivare la creazione di valore per gli azionisti,

viene generalmente utilizzata la strategia del reward che fissa cospicue

remunerazioni a beneficio dei managers per i risultati positivi conseguiti dalla

società nel periodo di riferimento. Si parla a tal punto, del meccanismo pay-for-

performance (remunerazione correlata ai risultati) ovvero dei piani di stock-options

che stimolano i manager ad incrementare la propria produttività al fine di migliorare

l’efficienza e la redditività del gruppo. Infine, il solo standard che può essere

considerato come strumento di governance societaria è il dovere di diligenza, che

stabilisce il requisito minimo di qualità nel momento di assunzione delle decisioni da

parte dei manager. L’applicazione di questa clausola generale si caratterizza per

l’assenza di rigorosità, poiché valutare ex post le scelte assunte dagli amministratori,

si presta ad essere un’operazione decisamente complicata 58. È possibile concludere

che il conflitto tra azionisti e manager sia più intenso negli ordinamenti dove la base

azionaria risulti ‘polverizzata’, fatto che rende difficile, per gli azionisti, la

determinazione delle politiche societarie, rispetto a realtà con azioni nelle mani di

pochi. Le strategie menzionate, al fine di contenere i costi di agency, saranno in

57
Le regole americane di borsa impongono la presenza di una maggioranza di amministratori
indipendenti negli organi amministrativi delle società quotate.
58
I casi in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli amministratori per scelte
amministrative errate, sono inerenti a macro-errori o circostanze ben specifiche.
46

grado di offrire degli adeguati strumenti di tutela a garanzia dei principal,

quantomeno con l’obiettivo di ridurre la conflittualità delle due parti protagoniste.

Il secondo problema di agency da analizzare, in termini di applicabilità degli

strumenti di corporate governance, riguarda il conflitto interno tra azionisti di

maggioranza ed azionisti di minoranza59. Una prima opzione, inerente ai diritti di

nomina, consiste nel riservare agli azionisti di minoranza una partecipazione in seno

al consiglio di amministrazione, quantomeno in funzione meramente informativa,

sebbene essi non siano in grado di orientare la scelta di politica societaria. 60 Il

secondo strumento a disposizione, consiste nel ridurre i diritti di voto degli azionisti

maggiori, vincolando l’emissione di azioni a voto plurimo, oppure mediante il ‘voto

limitato’61. Forma debole di ‘contrazione di suffragio’ può essere considerata la

regola one share-one vote, che impedisce l’emissione di azioni a voto plurimo,

evitando di accrescere il potere nelle mani della maggioranza. Dal lato della strategia

dei diritti decisionali si può constatare come i più importanti ordinamenti giuridici

utilizzino questo strumento solo per situazioni limite (ad esempio, quando sia da

porre in essere un’operazione straordinaria), concedendo scarsa attenzione alle

59
Risulta utile constatare come nessun ordinamento giuridico richieda l’approvazione della
minoranza per ogni decisione sociale, tranne nei casi in cui vi siano minoranze azionarie qualificate
a cui dare un diritto di veto, per evitare che una maggioranza stentata superi una quasi maggioranza.
60
La rappresentanza delle minoranze all’interno dell’organo amministrativo può essere
realizzata attraverso il c.d. cumulative voting, riservando la carica di amministratori a candidati
diversi da quelli della lista più votata. Ruolo che può essere accresciuto attraverso l’attribuzione di
un determinato ruolo nei comitati oppure poteri di veto su determinate materie. Così A.A.V.V., Op.
cit., p. 69.
61
Riduce il voto dei grandi azionisti in misura meno che proporzionale alla loro quota di
proprietà.
47

minoranze. Gli azionisti di minoranza possono essere tutelati, seppur in via

marginale, attraverso la strategia del trusteeship; gli amministratori in loro

rappresentanza dovranno essere indipendenti non dal management, bensì dalla

maggioranza62. In sintesi, più la corporate governance è capace di ridurre i poteri

degli azionisti di controllo, maggiore sarà la tutela offerta al principal.

Venendo, infine, al terzo conflitto di agency, alcuni ordinamenti giuridici europei

utilizzano il diritto societario per tutelare i lavoratori della società, nominando

amministratori in rappresentanza dei lavoratori (ad esclusione di Portogallo, Belgio,

Italia e Regno Unito). Triplice è la modalità con cui ricevono tutela gli interessi della

categoria ‘non-soci’: in primo luogo, gli amministratori-lavoratori possono

influenzare la politica amministrativa attraverso l’esercizio dei diritti di voto in

consiglio. In secondo luogo, anche quando gli amministratori scelti dai lavoratori

non abbiano il consenso per determinare la politica societaria, influenzeranno

indirettamente il board, poiché è considerato sconveniente assumere decisioni con

la sola maggioranza di una parte. Infine, le rappresentanze della ‘forza-lavoro’ in

consiglio possono dimezzare i costi di ‘astensione performativa’, quali scioperi o

serrata, mediante l’esercizio del diritto di informazione. Tale strumento di

governance, tuttavia, può far ‘lievitare’ i costi gestionali, principalmente nell’ipotesi

62
Tre possono essere le modalità con cui attribuire agli amministratori un certo livello di
indipendenza dai soci di controllo: una consiste nell’ indebolire il diritto di voto di tutti i soci sulla
nomina del c.d.a. Una seconda strategia consiste nell’eliminare i legami patrimoniali tra soci di
controllo ed amministratori. Una terza strategia prevede la competenza del consiglio di
amministrazione per le decisioni societarie fondamentali.
48

in cui i conflitti tra interessi divergenti determinino rallentamenti dell’iter

decisionale.63 I costi della nomina degli amministratori con funzione di tutela degli

interessi speciali sembrerebbero favorire la scelta delle strategie di trusteeship, su

modello del diritto olandese. Da ultimo, gli amministratori di società hanno qualche

dovere verso i non-soci – come risulta nella maggioranza degli ordinamenti giuridici

(si pensi al wrongful trading di diritto inglese) - ma pochi di questi duties implicano

responsabilità personali verso gli amministratori, data la complessità di sostenere

l’esistenza di doveri nei confronti degli stakeholder.

5.1I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI NELLA FASE SOLVENTE E

INTERESSE AL PERSEGUIMENTO DEL PROFITTO D’IMPRESA

Seguendo l’iter logico prospettato nel paragrafo precedente il perseguimento

del profitto d’impresa presuppone che i doveri degli amministratori si esplichino, in

63
A ciò si aggiunga la possibilità di aggravamento degli agency costs tra manager ed
azionisti, in special modo se i primi riescono ad avvicinarsi ai secondi per contrapporsi ai
rappresentanti dei soci o viceversa. Accanto alla strategia dei diritti di nomina, è necessario tenere
in considerazione la strategia del trusteeship, nella forma dello structuurregime dei Paesi Bassi.
49

caso di solvent corporation, esclusivamente nei confronti degli shareholder, in modo

da ottenere una migliore soddisfazione in caso di futura rivendita della partecipazione

societaria.64 Considerando, ora, le ragioni per cui la titolarità dei doveri spetti agli

amministratori, è opportuno ricordare come uno dei cinque elementi caratterizzanti le

società di capitali sia la “delega della gestione ad un organo amministrativo”, che

riduce i costi del processo decisionale. Ciò vale principalmente per le società con

azionariato diffuso, dove l’estesa polverizzazione della base azionaria rende più

complicato il processo decisionale dell’assemblea. A tale delega corrisponde una

serie di doveri ottemperandi dagli amministratori, onde evitare la responsabilità delle

decisioni sociali (ne è esempio, in Italia, l’articolo 2393 del Codice civile,

disciplinante l’azione di responsabilità deliberata dalla assemblea). Dinanzi ad una

società ad azionariato ristretto l’organo deputato alla gestione sarà più proclive a

curare gli interessi degli azionisti di controllo, poiché, tendenzialmente, la

maggioranza degli azionisti avrà un numero più alto di amministratori scelti. In tale

fattispecie, il potenziale conflitto di agency coinvolgerà azionisti di maggioranza ed

azionisti di minoranza, con conseguente previsione di una serie di doveri in favore

dei secondi (ad esempio, l’obbligo di previa approvazione dell’organo decisionale per

giustificare l’accrescimento di prerogative verso gli amministratori favorevoli alla

maggioranza). Come evidenziato in precedenza, la patologia del rapporto giuridico

‘endogeno’ tra azionisti e creditori potrà eventualmente verificarsi durante la fase di

64
Solo indirettamente i creditori saranno i destinatari di tali doveri, in quanto una sana,
informata e diligente gestione, non potrà che giovare anche i creditori, con il conseguente aumento
degli attivi patrimoniali e della liquidità risultanti dal bilancio.
50

insolvenza, qualora l’attivo da liquidare sia carente o del tutto assente, a causa di

potenziali pratiche elusive poste in essere dagli amministratori.65

5.2THE DUTY OF CARE, THE DUTY OF LOYALTY E BUSINESS JUDGMENT RULE

Nell’ordinamento statunitense i rapporti giuridici interni alle società sono disciplinati

dalle regole poste in essere dallo Stato di costituzione. Ad una prima lettura, tale

considerazione potrebbe portare a conclusioni potenzialmente ‘negative’ in termini di

omogeneità della disciplina statunitense sulla corporate governance, specialmente se

ci si focalizza sull’oggetto della nostra indagine: i doveri fiduciari.66 Sebbene il

percorso unificatore appaia tutt’altro che scontato, non sono mancate istanze di

chiarezza, di uniformità e di semplificazione delle discipline, attraverso il

recepimento, del Revised Model Business Corporation Act da parte di un cospicuo

numero di Stati; inoltre va menzionato l’importante contributo fornito dall’American

Law Institute, con l’obiettivo di “provide fair, unbiased statements of the law for use

by courts and practitioners”. Due sono le ricostruzioni alla base dei doveri fiduciari:

65
In tali circostanze, sorgerà un conflitto all’interno del gruppo creditorio, ad esempio tra
creditori garantiti e non, tra creditori volontari e non. Ad esempio, i creditori con diritto di
prelazione mirano ad una liquidazione celere anche a scapito del massimo realizzo, i creditori
chirografari mirano invece al massimo realizzo. Ciò crea problemi nella gestione delle procedure
concorsuali. In merito si veda L. STANGHELLINI, La crisi d’impresa tra diritto ed economia,
Bologna, 2007, pp. 52 e ss.
66
Si pensi a cinquanta Stati con le proprie regole di corporate governance. L’unità e la
coerenza sono potenzialmente pregiudicati.
51

la teoria contrattualistica e la teoria pluralista. I corifei della prima, sostenitori dello

shareholder interest, presuppongono che i doveri debbano essere orientati alla tutela

degli interessi degli azionisti, escludendo qualsiasi interesse di maggiore respiro,

lasciando agli equilibri di mercato la soluzione degli agency costs. Di più ampio

respiro risulta la teoria della scuola pluralista, secondo cui i meccanismi di mercato

sono insufficienti a ridurre i costi di agenzia; dunque, l’efficienza potrà essere

raggiunta mediante la predisposizione di una serie di doveri a tutela dei principals e

con l’utilizzo degli standards of review in ambito strettamente processuale. Per i

primi l’allocazione efficiente delle risorse avviene spontaneamente all’interno del

mercato; il benessere individuale dei partecipanti alle società condurrà al

perseguimento del benessere collettivo, seppur indirettamente. Per i secondi,

all’opposto, i doveri degli amministratori, non essendo preordinati alla tutela degli

stakeholder, devono quanto meno non pregiudicare le istanze ‘veicolate’ dai non-

soci. Dalla Section 2.01 si desume la scelta di orientare i doveri fiduciari nell’ultima

direzione descritta. Viene infatti disposto che “The conduct of the Corporation may

take into account ethical considerations that are reason-ably regarded as

appropriate to the responsible conduct of business. May devote a reasonable amount

of resources to public welfare, humanitarian, educational, and philanthropic

purposes”. Pertanto i doveri degli amministratori perseguiranno il benessere

societario e quello collettivo, o quanto meno l’obiettivo di non pregiudicare il

secondo.
52

Funzionale al perseguimento di tali scopi il duty of care impone agli amministratori,

prima di effettuare qualsiasi operazione societaria, “to inform themselves of all

material information reasonably avaiable to them”. La diligenza del ‘buon padre di

famiglia’ deve ispirare il modus agendi degli amministratori; è richiesta

l’acquisizione delle informazioni idonee a non pregiudicare gli interessi in gioco. 67

Ci si concentrerà “not on the quantity of informations, but on the quality”,

sottolineando come la diligenza costituisca un elemento cardine del dovere degli

amministratori. Pietra miliare della giurisprudenza di riferimento è il leading case

“Smith v. Van Gorkom”, dove venne disposto che “the rule is a presumption that in

making a business decision, the directors of a corporation acted on an informed

basis, in good faith and in the honest belief that the action taken was in the best

interests of the company. Thus, the party attacking a board decision as uninformed

must rebut the presumption that its business judgment was an informed one”68.

Attraverso la giurisprudenza del Delaware, la macro-categoria duty of care implica

una serie di doveri specifici: the duty to monitor, to inquiry, the duty to have a

reasonable conduct during the decision-making process, the duty to make a

reasonable final decision.

67
La condotta sarà valutata in termini di “Diligence”, valutando se l’azione degli
amministratori abbia alle spalle la ragionevolezza dell’iter decisionale, valutando la qualità delle
informazioni assunte e valutando se la decisione finale sia idonea al perseguimento degli obiettivi
sociali. Tale valutazione è parte della Business Judgment Rule”. Sul punto, A-J KENT, The business
judgment rule today. An american perspective, in AMATUCCI CARLO, Responsabilità degli
amministratori di società e ruolo del giudice. Un’analisi comparatistica della b.j.r.
68
Nel caso Smith v. Van Gorkom 488 A.2d 858 (Del. 1985), la Corte Suprema del Delaware,
andando in controtendenza, si pronunciò in favore della responsabilità degli amministratori per
mancata acquisizione delle informazioni necessarie in una operazione di leverage buy-out,
realizzando una operazione di fusione ad un prezzo inferiore rispetto a quello potenziale di mercato.
Da quanto si evince dalla giurisprudenza del Delaware.
53

Il dovere di monitoraggio consiste nell’attività di sorveglianza espletata dal board e

dagli amministratori indipendenti nei confronti dell’organo amministrativo, onde

garantire un corretto espletamento delle loro funzioni 69, evitando il perseguimento di

fini personali. Il dovere di sorveglianza risulta soddisfatto non tanto dall’osservazione

diretta di ogni ‘evento’, bensì: a) tramite predisposizione di sistemi di

raccolta/selezione del flusso di informazioni che gli amministratori dovrebbero

possedere per assumere le decisioni attinenti l’impresa; b) controllando questi sistemi

per assicurare un loro ‘fisiologico’ funzionamento. Il duty of inquiry è un controllo

“on the reliability of the information aknowledged”. Tale dovere venne ribadito nella

sentenza Francis v. United Jersey Bank, dove la Corte Suprema del New Jersey statuì

che “Directors are under a continuing obbligation to keep them informed about the

activities of the corporation and the don’t need a day-to-day activities, but rather a

general monitoring of corporate affairs”. In altri termini, occorre una circostanza

specifica che allerti un amministratore ragionevole circa l’esigenza di un’indagine

accurata. Considerando, adesso, la ragionevolezza dell’iter decisionale e la

ragionevolezza sostanziale della decisione, risulta complicato analizzare tale

fattispecie senza previa disamina della regola della Business Judgment Rule. Si tratta

di capire se essa possa essere utilizzata in ambito processuale per valutare la

conformità dell’operato degli amministratori.70 Dottrina nata negli Stati Uniti, i più

69
Sotto tale profili, la distinzione fra outside ed inside directors è particolarmente rilevante:
“insiders are ivolved more closely with the corporation’s affairs anf generally have better access to
information. By contrast, an outside director is expected to acta s a check on possible wrong doing
on the part of corporate insiders” Cosi F. GHEZZI, Op. cit., pp. 492, nota 62.
70
Ad esempio, valutare se il duty of care sia stato rispettato, valutando la diligenza del
comportamento degli amministratori.
54

interessanti approcci speculativi polarizzano il discorso sulla contrapposizione tra

abstention doctrine71 e standard of liability72. Mentre la prima teorizzazione tende a

ricercare un punto di incontro tra istanza di certezza della responsabilità

amministrativa e la vaghezza del duty of care, la seconda ritiene sacrificabile suddetto

dovere, poiché gli amministratori saranno parimenti esenti da responsabilità. La Corte

Suprema del Delaware, nel caso Aronson v. Lewis, dichiarò che la B.J.R. “è una

presunzione secondo cui gli amministratori hanno agito su base informata, in buona

fede e nell’interesse societario.” Se, dunque, gli amministratori hanno assunto una

decisione conforme al “the right amount of informations” - e qualificabile come

ragionevole/razionale – al verificarsi di risultati negativi essi saranno affrancati da

eventuali responsabilità, poiché titolari di una certa discrezionalità nel decidere

sull’opportunità di un progetto. Un simile laissez-faire è comprensibile alla luce del

rischio che la gestione dell’attività d’impresa comporta: estendere la cognizione del

giudice anche al merito della decisione, deprimerebbe l’attività di gestione, pur di

evitare risultati negativi, nonostante siano decisioni corrette a livello procedurale

(qualità e quantità di informazioni acquisite) e sostanziale (la ragionevolezza al

momento della deliberazione)73. Autorevole dottrina, con l’obiettivo di mitigare la


71
S.M. BAINBRIDGE, in The Business Judgment Rule as Abstension Doctrine, in Law Review,
2004, pp. 102 e ss., in cui afferma che “courts simlply decline to review board decision”. Indica
come la B.J.R. sia nata per contemperare la tensione tra autorità del board, permettendo di assumere
le decisioni più opportune, e responsabilità degli amministratori in caso di mancata corretta
gestione.
72
S.M. BAINBRIDGE, Ivi, pp. 109 e ss., indica quale esempio di standard of liability il caso
Cede & e Co. V. Technicolor, Inc. Nella fattispecie, si assumeva la violazione del duty of care da
parte del board di Technicolor, per aver dato seguito ad una operazione di fusione. In questo caso,
la B.J.R. venne intesa come uno standard di responsabilità, superabile con la prova contraria,
eccependo il rispetto del duty of care e del duty of loyalty
73
Sarà dunque una valutazione che avverrà attraverso il parametro della diligenza, il quale si
comporterà come criterio valutativo della condotta degli amministratori e non come dovere ipso
55

vaghezza intrinseca dello standard of care, ha proposto di mutuare le nozioni

amministrativistiche di discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica, con

risultati alquanto interessanti74. Se la prima consiste nella scelta di un’opzione tra le

diverse possibili, la seconda utilizza determinate cognizioni tecniche, tali da

pervenire a risultati prestabiliti. Saranno dunque insindacabili le scelte frutto di

discrezionalità imprenditoriale, mentre sarà all’opposto sindacabile la scelta

discrezionale meramente tecnica, specie se priva di ragionevolezza o di buon senso.

Ciò posto, occorre ricordare che la Business Judgment Rule non si applica a

qualunque decisione degli amministratori. Innanzitutto, la regola è composta da tre

requisiti distinti: in primo luogo, essa trova applicazione solo se la decisione sia stata

assunta, in secondo luogo essa si applica solo se gli amministratori non abbiano un

interesse personale di natura finanziaria nell’operazione. In terzo luogo, la B.J.R. si

applica solo quando non sia stata violata alcuna norma posta a disciplina dell’aspetto

formale della decisione. Soddisfatte le tre condizioni, la decisione sarà valutata

attraverso un modello di valutazione più limitato (vi sarà responsabilità solo se la

decisione appaia del tutto irrazionale). Ad esempio, nelle ipotesi di mancanza di good

faith nell’agire dell’organo amministrativo, la B.J.R. non potrà essere applicata per

mancanza di cura degli interessi societari. La decisione, infine, non deve comportare

iure.
74
F. BRIZZI, Doveri degli amministratori nel diritto societario della crisi e tutela dei
creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, pp. 359 e ss., in cui valuta come non
sindacabile dall’Autorità giudiziaria la scelta di gestione nel merito, ma sindacabili gli elementi che
hanno portato ad assumere una determinata decisione.
56

sprechi sociali, non deve essere illegale e/o fraudolenta, deve esserci la mancanza di

egregious conduct75 e la mancanza di condotte ultra vires.

Il duty of loyalty, contemplato anch’esso nei Principles of Corporate Governance,

tradotto nel dovere di “correttezza o lealtà”, alligna nel concetto di Trust76, peculiare

del common Law; esso consiste nel “dovere per gli amministratori, funzionari ed

azionisti in posizione di controllo di comportarsi fairly con la società, quando essi

agiscano nel loro personale interesse di natura economica, pecuniaria o familiare”. Da

dovere tipico dei contratti tra la società e l’amministratore, venne successivamente

esteso ai “comportamenti” degli amministratori (come ad esempio lo sfruttamento di

informazioni riservate). In riferimento ai contratti tra la società e l’amministratore, il

prezzo deve essere “fair”, ossia uguale a quello potenzialmente applicato nei contratti

con un terzo. In secondo luogo, l’amministratore deve porre in essere una “voluntary

and full disclosure”, con lo scopo di rendere note tutte le circostanze rilevanti ai fini

della stipulazione del contratto. In terzo luogo, l’amministratore deve condurre le

trattative in modo leale. Nel caso in cui il dovere di collaborazione non venga

rispettato e l’amministratore non abbia esercitato l’onere probatorio, il contratto verrà

annullato oppure l’amministratore dovrà risarcire per una cifra equivalente al prezzo

75
La condotta deve costituire un “flagrantly bad exercise of business judgment whn
measured against what a a reasonably prudent businessperson woul have done”. L’azione dovrà
dunque essere illogica, priva di buon senso affinché non venga applica la B.J.R. (nella fattispecie la
regola si comporta come uno standard di responsabilità).
76
Con la Legge numero 364 del 1989, l’istituto entra definitivamente nel nostro ordinamento
giuridico. Il Trust è un istituto anglosassone, che permette al Settlor permette di sottoporre uno o
più beni nell’interesse del Trustee, per il perseguimento di determinate finalità. Risulta chiaro come
il dovere di fedeltà verso il Settlor debba pervadere il comportamento del Trustee nell’espletare le
sue funzioni e perseguire gli obiettivi prefissati. Risulta chiaro il parallelismo tra Settlor-Azionisti e
Amministratori-Trust.
57

che, secondo la Corte, sarebbe stato applicato in condizioni di normalità. Non bisogna

dimenticare che dal passaggio dalla illiceità ipso iure alla valutazione in sede

giudiziaria, è rimasta inalterata la possibilità di vietare tali comportamenti o accordi,

attraverso la predisposizione di clausole ad hoc. Una delle prime pronunce fu

emanata dalla Corte Suprema del Delaware nel 1939, nel caso Guth v. Loft Inc., in

cui venne stabilito che “Corporate officers and directors are not permitted to use

their posititon of trust and confidence to further their private interests”77. Più

precisamente, successive decisioni della Corte californiana, indicarono diverse

manifestazioni del dovere di leale collaborazione degli amministratori: non indurre la

società a stipulare contratti iniqui, non utilizzare informazioni riservate (a carico degli

amministratori), evitare di concludere accordi che la società avrebbe stipulato se ne

avesse avuto conoscenza, evitare che le società vicine agli amministratori beneficino

di determinati contratti, a discapito della società da loro amministrate. Gli standard

of review, utilizzati per verificare la violazione del duty of loyalty, risultano essere

alquanto rigidi, prevedendo la responsabilità dell’amministratore, anche se non sia

stato cagionato alcun danno al patrimonio societario.

5.3 QUALI DOVERI NELLA TWILIGHT ZONE?

Ad esempio sfruttare una informazione societaria per effettuare investimenti personali, a


77

danno della società di cui sono amministratori.


58

Prima di individuare i doveri degli amministratori nella fase crepuscolare

dell’impresa, è necessario definire i confini dell’arco temporale in cui la firm non può

essere considerata perfettamente solvente, né può essere indicata come sul punto di

essere oggetto di liquidazione giudiziale.78 Intenso è stato il dibattito cha ha

impegnato dottrina e giurisprudenza in merito alla situazione di crisi dell’impresa;

tale querelle è imputabile all’assenza di qualsivoglia indicazione normativa capace di

limitare le speculazioni sul punto. Nell’ordinamento giuridico italiano, con

l’emanazione del decreto legislativo numero 14 del 2019, venne per la prima volta

configurata la nozione di crisi d’impresa 79 (in senso economico-finanziario); inoltre,

si fissarono una serie di criteri utili alla sua delimitazione. Ex definitione si tratta di

uno “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del

debitore”.80 L’organo amministrativo dovrà acquisire piena contezza della condizione

in cui versa la società, attraverso l’officium di auto-controllo che si atteggia quale

dovere informativo81. Tale obbligo informativo deve risultare idoneo a prevenire

l’acuirsi dello stato critico, valutando, in primis, se gli assetti organizzativi,

78
Già F. BRIZZI, in Responsabilità gestorie in prossimità dello stato di insolvenza e tutela dei
creditori, in Riv. dir. comm., 2008, pp. 1027 e ss., sostiene che la previsione di determinati obblighi
gestori in prossimità della insolvenza, non permette di giungere alla conclusione secondo cui è
presente una responsabilità degli amministratori verso i creditori, onde evitare un eccessivo
arretramento del raggio d’azione.
79

80
Ciò presuppone la “reversibilità della difficoltà societaria”, attraverso il celere utilizzo di
quegli strumenti che sono in grado di ripristinare la piena solvibilità dell’impresa. Gli
amministratori dovranno attivarsi, ai sensi dell’articolo 3 del Codice della crisi d’impresa e della
insolvenza, “senza indugio”, per far fronte alla crisi d’impresa.
81
Il dovere si manifesta attraverso l’obbligo di prevedere una eventuale situazione di crisi,
unitamente all’obbligo di convocare tempestivamente l’assemblea, per informarla sulle opzioni
percorribili. Così A. VICARI, I doveri degli organi sociali e dei revisori in situazioni di crisi
d’impresa, in Giur. comm., 2013, p. 134.
59

amministrativi e contabili siano in grado di far emergere eventuali declini fisiologici

(ad esempio variazioni delle voci in bilancio che possano compromettere la continuità

aziendale); in secondo luogo verificando le cause del declino e allestendo un piano di

gestione della crisi. Una volta compresa l’eziologia che ha fatto perdere alla firm

parte del going concern, gli amministratori dovranno evitare comportamenti inermi 82,

impegnandosi alla ricerca della migliore soluzione da opporre alla crisi. Per mercato

d’impresa si intende la possibilità di ricercare l’opzione di gestione della crisi più

consona alla situazione societaria, mediante predisposizione di strumenti di

composizione commisurati al grado di declino dell’impresa 83. Si passerà, dunque, dal

diritto societario agli strumenti di risoluzione della crisi: si tratta di una situazione

dove parlare di shifting duties, sembrerebbe azzardato e anticipatorio rispetto ad una

situazione ancora non qualificabile come ‘irreversibile’. Pertanto, gli amministratori

dovranno individuare lo strumento più adatto ai fini del ripristino della continuità

aziendale potendo avvalersi, come nel caso del nostro ordinamento giuridico, dei

piani attestati, degli accordi di ristrutturazione o del concordato preventivo in

funzione di continuità aziendale.84 La ratio teleonomica di tali istituti è ripristinare le


82
Il dovere di attivarsi per far fronte alla situazione di crisi è un dovere generalmente
riconosciuto in dottrina. Ad esempio M. MIOLA, in Riflessioni sui doveri degli amministratori in
prossimità della insolvenza, in Studi in onore di Umberto Belviso, Bari, 2011, pp.609 e ss., indica il
“dovere di predisporre tutte le misure per porvi rimedio tempestivamente”, prevenendo l’aggravarsi
della situazione.
83
La concezione privatistica della crisi d’impresa sarà destinata a soppiantare la concezione
pubblicistica, tipica delle opzioni politico-legislative del novecento, in modo da offrire opportunità
di recupero più rapide ed efficienti. Accanto al mercato della crisi d’impresa, si ha anche il mercato
delle imprese in crisi. Sul punto A. J ORIO ET ALIIS, Il nuovo diritto della crisi d’impresa. Atti del
Convegno, Milano, 2009, p. 250.
84
L. STANGHELLINI parla di un “primo round”, (assente negli ordinamenti renano e
spagnolo), in cui viene perseguito l’obiettivo della riabilitazione, attraverso l’utilizzo di strumenti
negoziali. Un “secondo round”, quando la situazione è irreversibile e non resta che liquidare il
patrimonio debitorio. Così ne La crisi d’impresa tra diritto ed economia, Bologna, 2007, pp. 177 e
ss.
60

condizioni di operatività; essa, a sua volta, è connessa all’obiettivo di perseguire lo

scopo lucrativo previa una fase di ‘incubazione’, dove gli amministratori sono tenuti

a gestire ‘conservativamente’ l’impresa, evitando operazioni suscettibili di

compromettere ulteriormente la continuità aziendale. Una volta ristabilito l’equilibrio

economico-finanziario l’obbligo di gestione conservativa sarà sostituito dal dovere di

perseguire l’oggetto sociale, realizzando le finalità di lucro.

5. VERSO UN DIRITTO SOCIETARIO DELLA CRISI

Molti autori l’esigenza di avvicinare due settori prima facie antinomici (id est, il

diritto societario e le procedure concorsuali), contraddistinti da discipline calibrate su

momenti diversi della vita di una impresa: lo stadio in cui essa è idonea a perseguire

scopi di lucro e la fase in cui è necessario tutelare gli interessi dei creditori. Se,

dunque, ci troviamo agli albori di un potenziale sistema embricante ambedue le

discipline, non è possibile ignorare elementi ed istituti che possono essere inseriti in

un sistema border line, autonomo ed intermedio rispetto agli altri due settori in

esame. Si pensi agli obblighi informativi o conoscitivi preliminari degli

amministratori di società, concepiti per prevenire la genesi della crisi; l’istituto del

capitale sociale, utile ‘sentinella’ di eventuali squilibri patrimoniali; i solvency Tests

che, bilanci alla mano, permettono di realizzare una prognosi futura, consentendo di

rilevare eventuali riduzioni di flussi di cassa o ridimensionamenti patrimoniali. Dal


61

lato concorsuale, con uno sguardo alla esperienza italiana, si menziona, quale

disposizione sul crinale delle due discipline, l’articolo 182-sexies della vecchia legge

fallimentare85: essa consente una deroga allo scioglimento/liquidazione delle società,

ai fini della riorganizzazione societaria. Non mancano spinte di respiro europeo: si

pensi alla Raccomandazione numero 135/2014 della Commissione europea che invita

gli Stati membri a “ridurre gli ostacoli e le inefficienze ostacolanti la ristrutturazione

delle imprese in difficoltà finanziaria, ma non insolventi”; il Regolamento numero

848 del 2015, che pone le basi per la creazione del diritto della crisi d’impresa,

tramite l’armonizzazione delle discipline, privilegiando il risanamento piuttosto che

la liquidazione. Ciò fa riflettere su come gli orientamenti stiano mutando

atteggiamento, valutando con favore il passaggio da criteri di gestione della crisi a

criteri di prevenzione ed anticipazione degli interventi. Se, dunque, appare inevitabile

la ‘normativizzazione’ del diritto societario della crisi86, come sostiene autorevole

dottrina, occorre comprendere se si tratti di una disciplina ‘speciale’ rispetto al diritto

generale - conseguentemente sarà ammessa l’applicazione del diritto generale (in

caso di lacune o incertezze normative) -, oppure si configuri come “un sistema

tendenzialmente autonomo”. In tal caso le lacune saranno colmate mediante il

riferimento alle disposizioni e ai principi desumibili dal nuovo corpus di regole. La

strada sembra essere stata tracciata: “longe praestantius prevenire quam curare est”.

85
L'introduzione di questa norma consiste nel preferire forme di risoluzione preventiva della
crisi dell'impresa, sospendendo gli obblighi di ricapitalizzazione della società.
86
Dalla età della decodificazione si passa alla età della ricodificazione, perseguendo gli
obiettivi di razionalità e sistematicità della disciplina. Così R. RORDORF, Intervento, in A.A.V.V.
Crisi d’impresa e riforma delle procedure concorsuali tra diritto italiano ed europeo, Milano,
2016, p. 175.
62

5.4I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI NELLA FASE DI INSOLVENZA.

APPLICAZIONE DEL REGIME CONCORSUALE E INTERESSE ALLA

SALVAGUARDIA DEL VALORE DELL’IMPRESA

Diverso è il discorso nel momento in cui la società “non sia in grado di adempiere

regolarmente alle proprie obbligazioni”87. In prossimità dell’insolvenza il baricentro

del conflitto di agency si posizionerà tra gli azionisti ed i creditori; i primi saranno

propensi a stornare beni societari oppure a scommettere su progetti rischiosi, mentre i

secondi mireranno alla soddisfazione immediata delle loro pretese (per evitare di

veder ridotte le chance di adempimento). Per cercare di inibire i comportamenti

pregiudizievoli nei confronti degli stakeholders gli ordinamenti hanno introdotto

strumenti la cui ratio teleonomica è indurre le imprese ad esibire tempestivamente

l’istanza di apertura di una procedura concorsuale88, con l’obiettivo di salvaguardare

87
Tale è l’espressione che nel nostro ordinamento giuridico indica lo stato di insolvenza
(Regio decreto numero 267 del 1942, articolo cinque).
88
Uno dei passaggi inevitabili dell’apertura di una procedura concorsuale, consiste nello
spossessamento dei beni societari ad opera dell’autorità giudiziaria. Gli amministratori delle società,
nelle fasi antecedenti alla definitiva dissoluzione dell’impresa, sono disposti a rischiare ciò che resta
del patrimonio, pur di evitare l’apertura di una procedura. Pertanto è previsto il trasferimento delle
funzioni amministrative ad organi giudiziari, in modo da tutelare gli interessi dei creditori. Così L.
STANGHELLINI, in La crisi d’impresa tra diritto ed economia, Bologna, 2007, pp. 237 e ss.
63

il valore dell’impresa89. Nelle fasi antecedenti il passaggio al diritto concorsuale,

l’organo amministrativo sarà tenuto a conservare il valore dell’impresa, evitando una

gestione improntata alla realizzazione del profitto90. I creditori della società, divenuti

residual claimants (in senso economico) ed ultimi erogatori del capitale di rischio,

valutata negativamente qualsiasi prospettiva di recupero aziendale, avranno interesse

affinché avvenga la soddisfazione degli interessi di categoria; in tale ottica si pone il

passaggio dal diritto societario al diritto delle procedure, ai fini della tutela dello

stakeholder interest.

89
L.STANGHELLINI, Proprietà e controllo dell’impresa in crisi, in Riv soc., 2004 pp. 1141
e ss: “E’ora giunto il momento di avvalersi della importante distinzione concettuale fra valore
dell’impresa e valore del patrimonio dell’imprenditore. Qualora l’impresa valga 100 e il patrimonio
dell’imprenditore sia gravato da debiti che ne assorbono (o ne superano in negativo) il valore,
l’imprenditore non ha più alcun interesse a proseguire la gestione (salvo che, come abbiamo visto,
per tentare un colpo di fortuna a spese dei creditori), poiché egli, comunque vada, non potrà più
appropriarsi dei risultati positivi dell’attività, destinati a finire nelle tasche dei creditori. Quindi è
possibile che un’impresa che ha un valore positivo tuttavia interamente assorbito dalla massa
debitoria sia lasciata morire dall’imprenditore o dagli azionisti, con una decisione lecita e, per loro,
del tutto razionale, ma che distrugge ricchezza. I creditori hanno invece, in tal caso, un interesse alla
prosecuzione dell’attività, poiché solo mediante l’ulteriore gestione dell’impresa essi possono
realizzare (in forme che vedremo nel corso del lavoro) il suo valore, recuperando (nel rispetto delle
cause legittime di prelazione) almeno parte del loro credito. La cessazione dell’impresa, dunque,
non è una soluzione che necessariamente risponde all’interesse dei creditori”
90
A. JORIO, Intervento, in Il nuovo diritto della crisi d’impresa. Atti del Convegno, Torino,
2008, Milano a cura di A. Jorio, sottolinea come” la conservazione dell’unità aziendale durante la
procedura può a volte costituire uno strumento per il più proficuo realizzo dell’attivo”.

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