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Blanca Cortázar,

“La satira operistica nel libretto del secondo ottocento.


L’arte di far libretti e Il poeta perseguitato di Antonio Ghislanzoni”,
Note su Note, Anno IX-X, nn. 9-10, dicembre 2002, pp. 153-185.

La fama di Antonio Ghislanzoni è oggi quasi esclusivamente legata alla sua produzione librettistica,
nonostante il fecondissimo e spesso pregevole lavoro da lui svolto in ambito letterario e
giornalistico. La sua attività per il teatro d’opera, prolifica ai limiti dell’incredibile1, lo vide tante
volte collaboratore di operisti minori, ma anche di autori quali Gomes, Ponchielli, Catalani e
Petrella. Spicca fra tutte la collaborazione con Verdi, che, com’è noto, gli chiese di verseggiare
l’Aida dopo avergli affidato, sotto l’auspicio di Ricordi, la delicata revisione de La Forza del
destino2.

Ghislanzoni si misurò, con la versatilità che gli era propria, con tutti i sottogeneri del teatro
musicale; nei suoi libretti troviamo le diciture più diverse, dal melodramma all'idillio, dal ballo
romantico alla tragedia lirica, passando por il melodramma giocoso, l'operetta e lo scherzo comico.
Non poteva mancare, vista la propensione ghislanzoniana per la critica corrosiva e dissacrante
qualche incursione nella satira sul teatro d'opera, tradizione che risaliva al settecento e che fu allora
coltivata da ogni grande librettista, da Metastasio a Da Ponte. Lo scopo di queste pagine è quello di
proporre il testo completo del libretto metateatrale Il poeta perseguitato, apparso nel 1887 sulle
pagine del “Giornale Capriccio”3, soffermandoci prima su L'Arte di far libretti4 (1870), prima prova
di Ghislanzoni nel campo della parodia del teatro musicale.

La tradizione a cui si rifece Ghislanzoni ebbe inizio nel 1715 con La Dirindina o Il maestro di
cappella di Girolamo Gigli, musicato per la prima volta da Domenico Scarlatti. Tuttavia, ad essere
assurto a modello dalla librettistica metateatrale posteriore non fu un libretto, bensì il caustico
libello Il teatro alla moda di Benedetto Marcello (1720). Il filone si dimostrerà fortunatissimo e
nell’arco del settecento verrà consolidato grazie ai titoli L’impresario delle Canarie di Metastasio,
musicato per la prima volta da Domenico Sarro (1724); La bella verità di Goldoni con musica di
Piccini (1762); L’opera seria di Renato Calzabigi5, musicato da Gassmann (1769); Prima la musica
poi le parole di Casti con la musica di Salieri (1786) e il pasticcio L’ape musicale di Da Ponte, per
citare soltanto quelli dei librettisti più noti. L’ottocento ha il suo esempio più rappresentativo nel
libretto di Domenico Gilardoni Le convenienze e inconvenienze teatrale, tratto da due commedie del
letterato padovano Antonio Sografi, e rappresentato a Napoli nel 1827 con la musica di Gaetano
Donizzetti, a chi venne in un principio attribuito il libretto6. Il genere godette di buona salute fino
agli anni ’50 dell’ottocento come dimostrano, tra altri, il Don Bucefalo di Calisto Bassi messo in
musica da Antonio Cagnoni (1847) e Tutti in maschera, libretto di Marco Marcelliano Marcello e
musica di Carlo Pedrotti (1856)7.

Lo scopo dei metamelodrammi è quello di beffeggiare il mondo del teatro musicale, in genere
mettendo in scena i preparativi per l’allestimento di un’opera seria. L’eterogeneità e ambiguità
caratteristiche del mondo operistico sono rese trasparenti dalla variegata costellazione di
personaggi: prime donne e primi tenori, poeti, compositori, impresari, maestri di musica, madri di
virtuose, seconde donne, ballerini, suonatori, sarti, macchinisti…infine, tutti quelli che concorrono
alla creazione di quell’ibrido spettacolo che è l’opera. Le situazioni che ricorrono con maggiore
frequenza sono i capricci delle prime donne, l’ignoranza dei cantanti, i litigi tra librettista e
compositore, i problemi dell’impresario o il critico momento della prova. Tra questi topoi è forse

1
l’ultimo a rendere più evidenti le interferenze tra vita e finzione, e anche la critica, non già
all’ambiente teatrale, bensì alle forme, convenzioni e stereotipi dell’opera. Questa critica
autoriflessiva si attua sia dal punto di vista testuale e drammaturgico che da quello musicale, e ha
come leitmotiv la preponderanza concessa alla musica a scapito della coerenza drammaturgica.
Nelle parole di Daniela Goldin:

“E’ un problema che prende spesso la forma di scontro tra la presunta razionalità del testo e l’irrazionalità
della musica che può rivestire arbitrariamente di note, suoni e timbri, parole o espressioni codificate
dall’uso letterario e teatrale. L’ideale a cui si tende e si giunge nel finale lieto della burrascosa
rappresentazione, è la consonanza dei due linguaggi”8.

E’ quest’ultimo aspetto a venire maggiormente in luce nelle satire ghislanzoniane, soprattutto ne


L’arte di far libretti, dove troviamo una beffarda critica alle convenzioni operistiche che
Ghislanzoni stesso accettò9. Nella maggior parte della sua produzione librettistica si può infatti
riscontrare un cospicuo debito verso la tradizione, sia nell’impianto formale che nel repertorio
lessicale e stilistico o nelle scelte di drammaturgia 10. Che il librettista vi si conformasse per lo più a
malincuore, obbligato da richieste editoriali o dai musicisti, si evince da queste righe:
«I nostri personaggi sono inesorabilmente una o due primedonne, un tenore, un baritono, un basso o
grande masse corali che debbon quasi sempre parlare all’unisono.[…] Ci si domandano situazioni nuove;
se ne trovano talvolta, ma guai se mancano il “duetto d’amore”, la “romanza”, il “pezzo concertato”, o
che so io! Allora il maestro, l’editore, il cantante si intromettono con le loro esigenze[…]»11.

Sono ugualmente significative le parole apparse sul suo “Giornale Capriccio”, con le quali biasima
la vuota retorica del melodramma, esaltando il valore autonomo del testo, e auspica una riforma del
libretto sotto i seguenti dettami:

«Innanzi tutto, poeta e maestro debbono convenire in questo principio assoluto che il libretto per musica
vuol essere un dramma, già atto per sé medesimo a tener desta l’attenzione degli spettatori, a dilettare, a
commuovere quand’anche la musica non venisse a sussidiarlo co’ suoi validissimi accenti. Falsare un
carattere, violentare una situazione, raccorciare od amplificare un dialogo per comodo della musica, tutto
ciò può essere una momentanea risorsa per qualche musicista mediocre, ma gli aberramenti del dramma
pregiudicheranno necessariamente l’interesse generale dell’opera. L’opera album non è più permessa oggi
giorno. […] Bandire dal melodramma tutto ciò che rappresenta il convenzionalismo di altri tempi, le
scene, i monologhi, i dialoghi oziosi che ritardano il movimento dell’azione, dev’essere l’intento comune
e principalissimo dei due collaboratori dell’opera. […] Primi a conoscere la necessità di eliminare
dall’opera moderna tutte quelle superfluità di cavatine e di dialoghi che non hanno altra ragione di essere
fuori delle esigenze musicali del cantante o del maestro, colla medesima logica noi crediamo di dover
escludere dal melodramma tutte quelle combinazioni di elementi accessorii che non hanno verun rapporto
colla azione, che da quella distraggono i sensi e l’intelletto, per suscitare delle sorprese, delle commozioni
inaspettate. […] Escludere il riempitivo, tuttoché non abbia un rapporto diretto colla azione, o distragga lo
spettatore dal soggetto principale: ecco la più essenziale riforma da introdursi nel dramma per musica»12.

L’arte di far libretti è la versione in chiave comica di quest’amare parole. Il libretto ha una
peculiarità rispetto agli altri metamelodrammi: non mette in scena i preparativi per l’allestimento di
un’opera seria, ma siamo sin dall’inizio immersi in essa, nel hic et nunc del suo svolgersi.
Quest’opera romantica, con le sue caratteristiche formali e drammaturgiche in versione semplificata
e ridotta, si realizza parafrasando se stessa, mettendo in luce i propri procedimenti e la propria
natura fittizia, ed è questo sdoppiamento a provocare la comicità. E per questo che Ghislanzoni la
ha giustamente sottointitolato “opera serio-buffa”. Ecco l’elenco dei personaggi:

«BARITONO I – Tiranno di un paese qualunque, personaggio nervoso e atrabiliare.


PRIMADONNA. - Moglie di Baritono, donna di carattere indipendente e soggetta a frequenti deliquii.
TENORE. – Giovane di oscuri natali, di temperamento epatico, affetto di itterizia e di idropisia cronica.
COMPRIMARIA. – Damigella di confidenza e amica inseparabile di Primadonna; fanciulla tra i venti e i
cinquant’anni, d’indole maligna e sospettosa.
COMPRIMARIO – Amico intimo di Tenore; personaggio poco influente e irresoluto.

2
PROFONDO. – Frate di un ordine qualunque; zio di Primadonna, amico di Baritono, mecenate di Tenore,
ecc., uomo di solida costituzione e di molta autorità, con tendenza pronunziatissima alle stonazioni.

CORISTI MASCHI E FEMMINE

che mutano nome e condizione a comodo del poeta e del maestro, conservando sempre nel viso e nel
portamento il tipo cretino. I coristi, al primo apparire sulla scena, rivelano i loro istinti di ordine,
schierandosi in semicircolo e ostentando la maggior parsimonia nei gesti.
La scena ha luogo in un paese non ancora conosciuto, i cui abitanti, invece di parlare, cantano o
solfeggiano con accompagnamento di orchestra.

Epoca: a piacere del vestiarista13».

Trascriviamo di seguito la seconda scena dell’atto I, costruita parodisticamente come una sorta di
“Scena e aria” melodrammatica:

«TENORE
(uscendo da un muro o da una pianta e arrestandosi in fondo alla scena):
Quai voci!… Son pur dessi…io li conosco
(a Comprimario)
Li vedi tu?..

COMPRIMARIO
(guardando fissamente il suggeritore)
Li vedo… in fondo al bosco
Si ritraggon i vili… e qui tu puoi
Cantar liberamente
La cavatina tua…

TENORE
(afferrando comprimario per un braccio e conducendolo sul davanti della scena)
Si: mio fedele!….
Altra ragion qui non mi trasse- e certo
Venuto non sarei,
Se il maestro, cedendo ai voti miei,
La cavatina non mi avesse scritto…

COM[PRIMARIO]
Siete primo tenor- ne avete il dritto.

TEN[ORE]
Or va, diletto mio- veglia da lunge….
Esplora il bosco, la vallata, il colle…
Mentre io canto l’adagio in mi bemolle
(Comprimario si allontana alzando il braccio destro e si ferma dietro una quinta a conservare con una
corista).

TENORE
(impiombandosi presso la buca del suggeritore)
Per quel destin che a gemere
Condanna ogni tenore,
La moglie del Baritono
Amo di immenso amore…
E questo ardente affetto
Cui nulla estinguer può,
Nel prossimo duetto
A tutti…. e a lei dirò.

COMPRIMARIO
(entrando in scena agitatissimo, e accostandosi a Tenore gli canta con voce fioca nell’orecchio)
Or che l’adagio

3
Hai terminato;
Tenor carissimo,
Son qui tornato.
Per darti il tempo
Di riposar.

TENORE
(dirigendosi con Comprim.[ario] verso il fondo della scena)
Oh! mille grazie!
Ben obbligato…
Andiam là…in fondo…
A passeggiar…
(Squillo di trombe nell’orchestra. Dopo aver respinto Comprimario nel vano di due quinte, Tenore si
slancia di nuovo verso la ribalta, gridando a tutta voce)
Nuovi prodigi il pubblico
Della mia gola aspetta….
Ei vuol la cabaletta…
La cabaletta avrà.
E griderò si forte:
Guerra, sterminio e morte!
Che di mie note al turbine
La volta crollerà»

La critica alla cabaletta è lampante qui come in altri punti del libretto. Il rimprovero maggiormente
mosso alla cabaletta, era, com’è noto, quello di mancare di giustificazione drammatica (spetterebbe
al tempo di mezzo cercare di renderla più credibile), ed essere per lo più una concessione alla
richiesta da parte del pubblico dei virtuosismi tradizionalmente annessi a questa forma. Nel nostro
caso, le parole “guerra, sterminio e morte” (con le trombe a sottolineare il carattere eroico delle
cabalette tenorili), assolutamente incongruenti, e le allusioni al pubblico, vogliono evidentemente
essere una critica su questa linea14.

Continue sono anche nel libretto le allusioni al triangolo amoroso (soprano e tenore si amano
ostacolati dal baritono), adibito nel libretto d’opera romantico a principale fonte di conflitto con dei
risvolti inesorabilmente tragici15:

«TENORE
(fissando il lampadario con occhi appassionati):
Non iscordar, bell’angelo,
Che prima donna sei
Poiché il libretto è serio
Morir con me tu dei
In barba al re baritono,
Al basso e ad altri ancora,
Infino all’ultim’ora
Noi canteremo insiem.
Ed i maggiori applausi
Per certo coglierem» (atto I, scena IV)

Oppure, Tenore e Soprano colti in flagrante tradimento dal Baritono:

«BARITONO
(colla spada alzata):
Coppia infame; e spenti al suolo
In vedermi non cadeste?
Se il rossetto non aveste
Voi dovreste impallidir…
(gettando la spada in un fosso)
Oh furore! E non mi è dato

4
Punir tosto il reo misfatto!…
Ma vi aspetto all’ultim’atto…
Dove tutti han de morir

TENORE
(correndo ad abbracciare Prima-donna e guardando Baritono con feroce ironia):
Or che il brando egli ha gettato
Vien…mi abbraccia al suo cospetto…
Fino all’ultimo quartetto
Non poss’io… non puoi morir.
Né può il vil, se anco il volesse
Punir tosto il reo misfatto,
Chè, noi morti nel prim’atto,
Dovria l’opera finir» (atto I, scena V)

E’ evidente la parodia del linguaggio melodrammatico attraverso l’assunzione d’uno stile e d’un
lessico classicheggianti, che alternandosi ad un registro stilistico prosaico producono un comico
contrasto16. Viene pure derisa la codificazione delle funzioni narrative che il narratore-compositore
(in questo caso immaginario) attua attraverso i timbri puri, i quali somministrano informazioni
eccedenti rispetto a quanto reso esplicito dal libretto; la primadonna è certa, sentendo i timbri del
flauto e dei timpani, dell’arrivo del tenore-amante:

«PRIM.[ADONNA]
E il mio Tenore!…Egli verrà…Mel dice
Questa di flauto melodia soave
Che nell’aria si spande…
(trillo di flauto nell’orchestra).
Oh! Rimembranza!…
E’ omai tempo ch’io canti una romanza» (atto I, scena III)

Oppure del marito baritono:

« […]
(rullo di timpani)
PRIMADONNA.
O mio spavento!

TENORE
I timpani!…

PRIMADONNA
Tu pure udisti?…

TENORE
Ho udito…

PRIMADONNA
Sempre quel suon funereo…
Precede mio marito» (atto I, scena IV)

Un altro procedimento narrativo ricorrente nel melodramma dell’epoca (soprattutto in Verdi) è il


denotare la presenza di un “oggetto psichico” lontano dal presente attraverso il suono solista di un
legno17. Così Ghislanzoni associa acutamente il suono del flauto anche alla rimembranza. (cfr.
esempio supra).

Uno dei topoi della satira del teatro d’opera era quello di motteggiare i capricci e le megalomani
richieste dei cantanti; Ghislanzoni non perde a sua volta la succosa occasione di schernirli 18, come si

5
può vedere nel recitativo del tenore e del comprimario riportato sopra, oppure ancora in questo
passo:

«FRATE:
Ch’io sono il basso –non ignorate
E necessario che m’ascoltiate…
Lo vuol…lo esige…l’onor dell’arte…
Fui scritturato qual prima parte…
E senza un’aria…senza un duetto…
Bella figura farei davver!» (atto II, scena II)

Il librettista aveva probabilmente in mente “i dialoghi oziosi che ritardano il movimento


dell’azione” di cui parla nelle sue considerazioni sul libretto (cfr. supra, p. 2) quando scrisse l’inizio
del duetto:

«A DUE VOCI:
O gioia inesprimibile!…

PRIMADONNA.
Sei tu?…

TENORE.
Son io…

PRIMADONNA.
Tel credo…

TENORE:
Dici il ver?

PRIMADONNA.
Le tenebre
Son folte…eppur ti vedo…

A DUE VOCI.
La luce del proscenio
Irradia i cori amanti…
Non perdansi gli istanti…
Dell’ora approffitiam!

PRIMADONNA.
Dunque…risolvi…affrettati
(con impazienza)

TENORE.
Che vorrà mai?
(da sé, ritraendosi)

PRIMADONNA.
Cantiam» (atto I, scena IV)

Ghislanzoni non risparmia nemmeno gli aspetti convenzionali delle scenografie, come si può
apprezzare all’inizio del terzo atto:

«Luogo solitario.- Nel mezzo della scena


un sasso di legno.- A sinistra una grotta.
TENORE
Ecco il luogo…ecco il bosco…
Io ben lo riconosco

6
Per questo sasso che non manca mai
Dove una Primadonna ed un Tenore
Sono chiamati a sospirar d’amore…» (atto III, scena I)

In tutti gli esempi riportati sopra è presente un continuo spostamento tra la rappresentazione e
l’allusione al suo carattere fittizio. Questo procedimento, che tronca l’illusione scenica19, serve a
Ghislanzoni per illustrare e denunciare il codice melodrammatico. I nostri personaggi (che non
arrivano nemmeno a esserlo, rimanendo confinati in ruoli come baritono-marito o tenore-amante)
ecc), affetti da una sorta di schizofrenia teatrale, prendono molto sul serio la loro doppia filiazione
di attori-cantanti/ruoli, in quello che diventa una rappresentazione “al quadrato”. Ecco altri esempi:

«BARIT.[ONO]
(alle guardie)
La regina vedeste?
(breve pausa)
Una risposta
Non mi attendo da voi - siete comparse
E una comparsa non parlò giammai
Ite!… Solo esser voglio… […]» (atto II, scena I)

Oppure:

«PRIMADONNA
Alla mia voce, o flauti,
Il dolce suon sposate,
gemendo a lui recate
L’eco del mio dolor…
Ditegli che l’aspetto
Pel solito duetto
Che moglie di un baritono
Sempre amerò i tenor
(guardando verso le quinte)
Egli verrà… non tarderà… Lo veggo
Ritto al piè di una quinta… Egli misura
Il tempo colla man… si inchina a bere
Un sorso d’acqua e zucchero… tossisce…
Si slancia alfine…
(correndo incontro a Tenore e abbracciandolo col più vivo trasporto)
Il cielo a me ti unisce!» (atto I, scena III)

E già sul finire dell’opera, Ghislanzoni usa la morte dei due disgraziati amanti per mettere ancora in
luce la natura irrimediabilmente “illogica” del melodramma:

«PRIMADONNA (con voce morente):


Tenore… ascoltami… questo duetto
Pur troppo è l’ultimo che insiem cantiam…
Con due magnifiche note di petto
Si avverta il pubblico che noi moriam…

TENORE (alzandosi con uno sforzo supremo):


Addio bell’angelo – sul do di petto
Ti ferma…

PRIMADONNA.
Ah… basti!…

TENORE Basti!…cadiam!» (atto II, scena III)

7
Non dovevano finire con L’arte di far libretti le comiche invettive di Ghislanzoni contro il mondo
del melodramma, che troveranno invece un seguito in Il Poeta perseguitato. L’idea giunse al
librettista da Ponchielli, che aspettando da lui il libretto I mori di Valenza, nella cui realizzazione
Ghislanzoni ritardava20, gli spedì una lettera scherzosa con la traccia di un libretto che doveva
servire a “scuotere l’inerzia del suo poeta”. Questo non si sentì ad ogni modo incitato a lavorare con
rinnovata foga a I Mori di Valenza, ma assecondò volentieri l’invito scherzoso alla stesura del
nuovo libretto scrivendo in un battibaleno IL poeta perseguitato. Nell’eseguire il gradito compito
seguì scrupolosamente la traccia e il primo verso d’ogni numero fornitigli da Ponchielli,
pubblicando il divertente risultato sul “Giornale Capriccio”21, sua penultima fatica giornalistica22.
Non si tratta di una parodia del melodramma com’era invece L’arte di far libretti, bensì di una satira
sull’ingrato mestiere del librettista; benché si trovino i consueti ruoli delle satire sul teatro (cantanti,
poeta, compositori, impresario), mancano le solite ambientazioni (allestimento dell’opera, “teatro
nel teatro”) e alcuni luoghi obbligati (capricci dei cantanti, problemi economici dell’impresario
ecc). Quello che non manca, anzi, è assolutamente prevalente, è il topos “prima la musica, poi le
parole”, ossia la sudditanza del librettista al compositore. Infatti Il poeta perseguitato ridicolizza
non tanto l’ambiente teatrale o il melodramma in sé, quanto la protostoria di quest’ultimo, ossia i
rapporti tra librettista e musicista durante la gestazione del libretto-opera. I personaggi principali
non sono altri che Ponchielli e lo stesso Ghislanzoni, sotto il nome di Poeta.
Abbiamo già visto, in riferimento a L’arte di far libretti, come Ghislanzoni condannasse la retorica
melodrammatica; a questo disgusto, sufficiente per rendere sgradito il compito di librettista, si
aggiungevano i ritmi di lavoro pesantissimi, le pressanti richieste di editori e compositori, e la
mancanza di una dignità artistica conferita al proprio lavoro:
«[…] Allora il maestro, l’editore, il cantante si intromettono con le loro esigenze. E quando tutte queste
esigenze sembrano appagate, quando sacrificando ad esse il buon senso, la logica, la nostra individualità,
il nostro entusiasmo, persino il nostro istinto di prosodia, siamo riusciti a costruire un melodramma
accettato con piena soddisfazione dal maestro, la nostra creazione si denunzia col titolo di “libretto” o
coll’altro più significativo di “parole”»23.

Non stupisce allora vederlo esprimersi come segue, in riferimento all’attività a cui, nonostante tutto,
dedicò gran parte del suo tempo e del suo impegno:
«Oggimai il mestiere di scriver libretti è divenuto un sì crudele martirio, che è da far meraviglia se
qualche uomo d’ingegno osi ancora affrontarlo. Per condurre l’uomo all’imbecillità vi hanno molte vie;
questa, dello scriver libretti, è indubbiamente la più sicura»24.

Infatti Ghislanzoni, che si sentiva innanzitutto narratore e giornalista, considerava l’attività di


librettista secondaria e finalizzata unicamente al guadagno economico. Meditò più volte (forse non
del tutto seriamente) l’idea dell’abbandono, di cui parla in una lettera a Ricordi del 28 agosto 1873,
due anni dopo l’Aida:

«E’ mia ferma intenzione, una volta esauriti gli impegni già assunti, di non scrivere più libretti, quando
non si tratti del M° Verdi25; cercherò un posto da segretario in qualche municipio del territorio lecchese, e
vivrò di minestra e polenta»26.

La sua attività era così incessante da trovarlo intento a scrivere vari libretti contemporaneamente.
Così in una lettera indirizzata ancora a Ricordi nel giugno del 1874 annunciava:

«La risoluzione di fare un libretto alla volta fu da me presa irrevocabilmente. Sarà pel meglio dei
committenti e di me. Farò più presto e più bene […]»27.

Evidentemente la ferma risoluzione non fu mai portata a compimento se tre anni più tardi, nel
Poeta perseguitato, Ghislanzoni si autorrappresenta in chiave umoristica (e speriamo iperbolica)

8
redigendo sette libretti contemporaneamente e sottoposto a frenetica persecuzione da una miriade di
maestri. Sarà in breve tempo che arriverà all’amara e lucida conclusione:

«Avrei preferito di impiegar altrimenti il mio ingegno, ma a parte alcuni epigrammi satirici e qualche
scrittarello di prosa dove mi son sbizzarrito a narrare delle fole, tutta la mia letteratura rappresenta un
canovaccio per trapunti melodici»28.

Giornale Capriccio di A. Ghislanzoni - n° 19 - ottobre 1877 29

Il maestro Amilcare Ponchielli non è solamente un dotto e ispirato musicista, ma è altresì un uomo
di molto spirito e un coltissimo ingegno. Recentemente, per scuotere l’inerzia del suo poeta che
tardava ad inviargli le ultime scene di un libretto, gli inviava la lettera seguente:
“Carissimo Ghislanzoni,
“Oggi mi venne sott’occhio un Catalogo, nel quale trovai iscritta un’operetta semiseria intitolata: Il
Poeta perseguitato. Eccoti la distinta dei pezzi:

ATTO I°

CORO DI INTROD.[UZIONE] - Aspettare e non venire - Fran.[chi] 3 --30


REC.[ITATIVO] E SCENA - Or via! Parlargli è d’uopo!- “ 2 --
TERZETTINO -Ten.[ore] Basso Sop.[rano] – A Lecco, a
Lecco andiamo! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 4 --
RACCONTO per BASSO: - Dell’isola Botta fra i platani
ascoso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 5 --
RECITATIVO - Se l’editore aspetta . . . . . . . . . . “ -- 50
FINALE I° - Che dir, Che fare ormai? . . . . . . . . . “ 3 --
STRETTA- Ogni indugio si tronchi… partiamo! . . . . . “ 3 --

ATTO II°

ARIA PER BARITONO - Fra i giornali ed i libretti… . . . “ 5 --


SCENA E REC.[ITATIVO] - Ponchielli! … tu! qui a Lecco! . . “ -- 60
GRAN DUETTO - Sta tranquillo! … questa sera … . . . “ 6 --
RECITATIVO - No : non ti credo più …
QUARTETTO – Sop.[rano] Ten.[ore] Bar.[itono] Basso – Se
si tratta di denaro… . . . . . . . . . . . . . . . . “ 10 --

ATTO III°

TERZETTO - B.[asso] Bar.[itono] Ten.[ore] - Due maestri entro


la stanza! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 5 --
REC.[ITATIVO] E CORO - E’ lui, vi dico: è Verdi!! . . . . . “ -- 40
SESTETTO - Due Sop.[rani] Due Ten.[ori] Due Bassi - Gomes!
Rossi! Ravera! Cagnoni! . . . . . . . . . . . . . . . . “ 6 --
SCENA E REC.[ITATIVO] - E’ finita! …. Dio sa quando!… . “ -- 50
CANTO INTERNO - Miserere mei Deus (Litanie in scena e Bac-

9
canale sul soffitto): “Forse col vin di Chianti!… . . . . . . “ 8 --
DUETTINO - Fuggì a Galbiate sul Monte Barro… . . . . . . “ 2 --
SCENA ULTIMA – (Apoteosi sul Monte Barro con coro di don-
ne non vergini): Ah! tu signor lo ispira!
OPERA COMPLETA …………………………… “ 50 --

Giornale e Capriccio – N° 20 – Ottobre 1877

La bella e spiritosa lettera dell’egregio M° Ponchielli che noi pubblicammo nell’ultimo numero, ha
suggerito al direttore del Giornale-Capriccio il tema di uno stravagantissimo libretto d’opera, del
quale ci affrettiamo a pubblicare lo schema, accompagnando la prosa di alcuni frammenti lirici. I
nostri amabili lettori vedranno che il poeta ha seguito scrupolosamente le traccie indicate dal
maestro, rispettando anche i versi già proposti nel Catalogo dell’Editore e iniziando con quelli i
singoli pezzi dell’opera. Se questo nuovo metodo di collaborazione verrà in avvenire adottato dai
maestri e dai poeti, le cose andranno più spiccie, né si avranno dall’una parte e dall’altra tanti
argomenti di contese e di recriminazioni.

IL POETA PERSEGUITATO

OPERETTA BUFFA IN TRE ATTI

PERSONAGGI

UN POETA………
UN MAESTRO…….
UN BASSO………
UN TENORE…….
UNA PRIMA DONNA…..
UN EDITORE……
UN PORTALETTERE…..
UN IMPRESARIO …….

Coristi- Coriste- Comparse

ATTO I
SCENA I

Una sala in Milano dalle cui finestre spalancate si vedono a distanza di trenta miglia i platani che
circondano a Pescarenico31 l’albergo dell’isola Botta. All’alzarsi del sipario, Un poeta sale sovra un
platano a mezzo di una scala a piuoli. Frattanto, nella sala di Milano entrano parecchi individui di
ignota provenienza e di aspetto melanconico.

CORO

1
Aspettare e non venire32
E’ una cosa da morire…
E’ un tormento a cui l’uguale
Sulla terra non si dà
Ma pur troppo in questa valle
Scompigliata e dolorosa
Tutti aspettan qualche cosa
Che venir mai non dovrà
(Entra un Maestro, pallido, rabbuffato, sonnacchioso, in veste da camera, col cappello a cilindro
sulla testa, il piede destro calzato da uno stivale e il sinistro da una pantoffola. Viene in scena
gesticolando e parlando ad alta voce come se alcuno lo seguisse.)

[MAESTRO]
Or via! Parlargli è d’uopo…
Son stufo di aspettare…
Domani… o prima… o dopo…
O all’alba… o a mezzodì…
Cioè… fra quattro giorni…
Noi partirem di qui…
Anzi… però… mi pare…
Basta!… va ben così…!
(cade addormentato sovra una seggiola33.)

Scena II

Entrano un Tenore ed una Prima donna in abito di viaggio colle borse alla mano; stupiscono in
vedere il maestro addormentato e scuotendolo per le braccia lo risvegliano. Questi li guarda
trasognato e domanda:
“Siamo a Roma?… a Milano?… a Cremona?…_ Diamine! esclamano quelli; non si era detto di
partire per Lecco? __ Ah! Vero…Verissimo… ! Che ora fa?… Si vada! “grida il maestro balzando
in piedi. E qui segue il terzetto:

TUTTI
A Lecco, a Lecco andiamo

SOP.[RANO]- TEN.[ORE]
Presto rimuta i panni…
(Spogliano il maestro dalla veste da camera e lo aiutano ad indossare un bel abito da viaggio)

MAESTRO
Eccomi a voi… partiamo!

SOP.[RANO]
Prendi il cappello…!

MAESTRO
(rimettendosi il cappello che gli era caduto dalla testa)
E’ ver…!

11
Son pronto…
(Muovono per partire. Il maestro, arrestandosi improvvisamente)
No!… un momento!…

SOP.[RANO]- TEN[ORE]
Che è stato?…

MAESTRO
(come sopra)
Qual pensier!…
Quest’oggi ho appuntamento
Con Giulio34 in Galleria
Per l’ore quattro…

SOP.[RANO]-TEN.[ORE]
(esitanti)
Via…!
Lo avvertirem…

MAESTRO
Sta ben !

TUTTI
Andiamo
(Si avviano per partire, quindi il maestro si arresta ancora, battendosi la fronte come sopra)

MAESTRO
Dio!… Che testa!…

TEN.[ORE]- SOP.[RANO]
(con impazienza)
Ma…dunque?…

MAESTRO
Or mi sovvien
Che oggi il marchese Resta
Mi aspetta a pranzo…

TEN.[ORE]- SOP.[RANO]
(esitanti)
E’ vero…

MAESTRO
(con risoluzione)
Non diamoci pensiero…
Partiam!_ gli scriverò…

TUTTI
Si vada…!

MAESTRO

1
(arrestandosi e percuotendosi tre volte la fronte)
Uh!… smemorato…
Ch’io sono!…

SOP.[RANO] TEN.[ORE]
(con impazienza)
Or… cosa è nato?

MAESTRO
(dopo breve esitazione)
Ho presso troppo impegni…
Partire io non potrò

SOP.[RANO]
Ma sì…

TEN.[ORE]
Ma no…

MAESTRO
Ma no…

TEN.[ORE]
Ma sì

TUTTI
Anderò?
Resterò?
Che faro?
Sì…Sì… Sì…
No… no… no! ecc. ecc.

SCENA III

Entra un Basso, il quale annunzia colle sue note più profonde di esser giunto in quell’istante da
Lecco. Il maestro, il soprano, il tenore e i coristi gli si fanno dattorno, e lo investono di domande per
aver nuove del poeta: e qui ha luogo l’Aria-racconto sulle parole:

[BASSO]
Dell’isola Botta fra i platani ascoso
Ei vive solingo, col mondo cruciato;
Nell’occhio smarrito, nel volto sdegnoso
Somiglia lo spettro d’un Re spodestato;
Se alcun per parlargli nel bosco si avanza,
Ei fugge, si chiude nell’erema stanza…
Gridando all’ostiere: se vengon maestri,
A tutti dirette che in casa non son.

TUTTI
Qual nuovo mistero! È strano davvero!…
Il misero, ahi! Forse…smarrì la ragion.

1
BASSO
Frattanto, alle soglie dell’ampia cantina
Chi giuoca alla mora, chi giuoca al tresette,
In mezzo al baccano si addensa in cucina
Un acre profumo de salse e polpette…
Ahi, misero vate! esclamo fremendo…
Dei lunghi silenzi l’enigma comprendo…
Fra simili incensi, fra tanto baccano,
Quai libri, quai versi donarci puoi tu?

TUTTI
In questo momento seccarlo fia vano…
Del nostro viaggio non parlisi più.
(A tal punto si ode la voce del poeta che alla distanza di trenta miglia canta da un platano)

[POETA]
Se l’editore aspetta…
Oh! Quante volte anch’io
Nei dì della bolletta
Attesi… e attesi invan…!
Beato l’uom che trafica
Sovra l’ingegno altrui…!
Ahi! sempre un merlo io fui…
Un papero…un gabbian!
(Al suono di questi versi sinistri, tutti rimangono colpiti di stupore, e schierandosi dinanzi alla
ribalta, cantano a voci sole il pezzo concertato)

[TUTTI]
Che dir? che fare ormai?…
Che fare ormai? che dir?
Il caso è brutto assai…
E’ tempo di partir…!
Che facciam?
Dunque andiam!
Su! Partiam!…
Restiam qui!
No…no…no
Sì…sì…sì… ecc
(La prima donna, con voce vibrata e acutissima:)

[PRIMADONNA]
Ogni indugio si tronchi…partiamo
Alla sponde dell’Adda voliamo…
Sia che vuolsi, a Milan torneremo
Ravvivati dal limpido sol.

TEN.[ORE]
Ogni indugio si tronchi…partiamo…
Alle sponde dell’Adda torniamo…
Sia che vuolsi, lassù compreremo

1
Ville, casse, palazzi e robbiœul35…

MAESTRO
Ogni indugio si tronchi… partiamo!
Alle spiaggie dell’Adda torniamo
Sia che vuolsi, lassù rideremo…
E godremo del limpido sol!
(Il coro per indisposizione omette la sua strofa. Maestro e Primadonna partono abbracciati: il
Tenore li segue con volto radiante di giubilo).

ATTO II
[Scena I]
La scena rappresenta una stanza all’osteria dell’Isola Botta a Pescarenico._ I rami di un platano
toccano la finestra e proiettano nella camera un riflesso verdognolo. Le muraglie sono verdi, verdi i
mobili, verdissima la faccia del Poeta, che siede allo scrittoio sepolto fra due ceste ricolme di carte.
E’ l’alba. Dopo breve preludio dell’orchestra, nella quale i clarini e i fagotti, per dare al quadro una
tinta locale, imitano il gracidio delle rane e d’altri anfibii, il Poeta si alza e passeggia meditabondo,
cantando in chiave di baritono36 la seguente Aria:

[POETA]
Fra il giornale ed i libretti
Vo stemprandomi il cervello
Penso a questi, attendi a quello,
Io lavoro notte e dì.
Se facessi il ciabattino,
Si dannato non sarei,
Qualche tregua almeno avrei
Alla festa e al lunedì
Del giornal nessun si lagna
Alla fine dei semestri;
Ma le nenie dei maestri
Mi faranno un dì scoppiar.
(torna a sedere)
Terminiamo questa strofa…

UNA VOCE.
E’ permesso?
(entra un fattorino della Posta e depone un plico sul tavolo)

POETA.
Il portalettere!…

IL PORTALET.[TERE]
Ve ne han tre…

POETA
Si può scommettere
Pria d’aprirle…
(al fattorino)

1
Or…puoi andar!
(Il Poeta apre una lettera e legge ad alta voce)
“Questa mane ho ricevuto
“Il libretto; bravo! bene!
“bell assai- però…conviene
“Tutto il prologo mutar…
“Ammirabile il prim’atto…
“M’è piaciuto immensamente…
“Quattro scene solamente
“Sarà d’uopo ritoccar…
“Sul secondo ho nulla a dire
“E’ magnifico, stupendo…
“Io però…rifarlo intendo;
“Il finale non mi va…
“Saria bene al fin dell’opera
“Che morisse anche il tenore…
(con impeto, facendo in brani la lettera e gettandola nella cesta)
E il maestro…l’editore…
Lo spartito…. e chi l’udrà
(dissugella con mano tremante un’altra lettera e legge)
“L’atto primo ho ricevuto…
“bellississimo, perdio!
“Questa volta spero anch’io
“Sublimarmi al par di te…
“Sol dirò che i personaggi
“Han dei nomi molto brutti,
“Converrà cangiarli tutti…
“Ciò difficile non è.
“Per esempio: non mi piace
“Che il tenor si chiami Enrico…
“Un tal nome è troppo antico…
“Or si vuol la novità…
“Né vorrei la prima donna
“Si chiamasse Elisabetta…
(come sopra, stracciando la lettera)
Dio ti mandi una saëtta…
E tal noia finirà…!
(Apre un’altra lettera e legge):
“Ho sbozzato l’ultim’atto…
“Or, due strofe a te domando…
“Presto, veh! Mi raccomando…
“Non ho tempo di gettar…
“Al momento in cui la donna
“Canta l’ultima romanza,
“Vuo’ che s’oda in lontananza
“Lieto brindisi echeggiar.
“Io la musica ho già scritta…
“Ecco il metro: là-là-lèra
“Tic-ti-tocc…ti…tic…titèra…
“Pì- pì- pì, pà-pà-pà-pà
“Versi tronchi… alla francese…

1
“Rotti… corti… m’hai capito?37
(gettando malinconicamente il foglio)
Lascia far…sarai servito…
Qualchedun ti servirà.
(mette il cappello e muove per uscire dalla stanza, ma la porta si spalanca ed entra il Maestro.)

SCENA II
Il Poeta- il Maestro

POETA
(arretrando sorpreso)
“Ponchielli !…tu…qui…a Lecco!…

MAESTRO
Venni…tu m’hai capito…

POETA
Resto di princisbecco

MAESTRO
Io resto… di granito…
(Poeta e Maestro si guardano fissamente per qualche minuto, indi si abbracciano. Il Poeta,
sciogliendosi dall’amplesso, si asciuga una lacrima e dà principio al Duetto:)

POETA
(colla massima calma)
Sta tranquillo…! Questa sera
Finirò l’ultima scena…

MAESTRO
Bravo! Dimmi: in qual maniera
Chiuder pensi?

POETA
Ti dirò:
Al momento in cui dal tempio
Torna Enrico desolato…

MAESTRO
Senti invece…avrei pensato…

POETA
(impaziente)
Prima ascoltami…

MAESTRO
Pero…

POETA
Io diceva…

1
MAESTRO.
Io son d’avviso…
Vorrei proprio…

POETA.
Io… crederei

MAESTRO
Quattro versi bramerei
Nel finale…

POETA
(turbato)
Si vedrà…

MAESTRO
Poi…mi par…non sconverrebbe
Che il tenor dicesse al basso…

POETA
(dando il braccio al maestro per condurlo via)
Ho capito!… andiamo a spasso…
E il cervel si calmerà…
(Il maestro guarda il Poeta coll’occhio dell’incredulo, poi comincia il Recitativo:)

[MAESTRO]
No! non ti credo più…

POETA
Comincio anch’io
A credere che più non finiremo
Perdio!

MAESTRO
Per Cristo!…

POETA
Per tutti i demòni!

SCENA III
Prima donna, Tenore e detti

TENORE. Che avvien?…

DONNA.
Che fu?

1
MAESTRO:
Le solite questioni
(Il tenore si accosta al Poeta e con voce melliflua intona il quartetto:)

TENORE
Se si tratta di denaro,
Lesinar con lei non voglio…
Ho qui in tasca il portafoglio…
Parli, chiegga, e pagherò.
DONNA (sottovoce al maestro)
Tutti sanno che il denaro
Dei poeti infiamma l’estro…

MAESTRO
(da sé)
Sono artista, son maëstro…
Qualche cosa anch’io ne so.

POETA
(da sé, con riso sarcastico)
Se intascassi il mio denaro,
infischiandomi dal resto,
Se imparassi a scriver presto
Senza tanto disputar,
De tal metodo trarrei
Maggior utile che danno,
Potrei forse dentro l’anno
Sei libretti terminar.
(Il tenore, la prima donna e il maestro escono mestamente dalla stanza: il poeta esce dalla finestra
e va a nascondersi fra i rami del platano.- Cala lentamente il sipario).

(L’ATTO TERZO AL PROSSIMO NUMERO)

Giornale-Cappriccio –Numero 22- Novembre 1877

IL POETA PERSEGUITATO

OPERETTA BUFFA IN TRE ATTI


(Continuazione)

ATTO III

[Scena I]
La scena è divisa in tre compartimenti.- Nel mezzo, la camera del Poeta; a sinistra, l’anticamera; a
destra, la sommità di un platano, i cui rami danno sulla finestra. All’alzarsi del sipario, il poeta
discende dall’albero e viene a sedere nella camera fra due altissimi portapanni carichi di abiti e
sormontati da varii cappelli a larghe tese. Il Maestro e il Tenore, dall’anticamera, osservano pel
buco della serratura, e scambiando i portapanni per due maestri di musica, cantano sommessamente.

1
A DUE
Due maëstri entro la stanza!…
Donde giunti? Chi saranno?…

MAESTRO
Più per me non v’ha speranza…
Un libretto essi vorranno…

TENORE
Non v’ha dubbio…

MAESTRO
(sospirando)
E il mio frattanto…
Le calende attenderà!!!

IL POETA
(nella stanza, parlando fra sé)
Rivediam questi libretti…

TENORE
Ha i sentito?…

MAESTRO
Sì…pur troppo!…
Eran giusti i miei sospetti…
Due maëstri son costor…
Se veder potessi il muso
Di quei nuovi rompitorta…

TENORE
(aprendo l’uscio)
Piano…piano…apriam la porta…

MAESTRO
(con enfasi caricata)
Più non freno il mio furor…

IL POETA
(mettendo sotto fascia un libretto)
All’autore della Fosca38
Questo abbozzo è destinato;
Della terra ov’egli è nato
Qui gli ardori ei troverà;
De’ suoi mari, de’ suoi fiumi
I sorrisi e le tempeste,
Delle vergini foreste
I profumi sentirà!

TENORE E MAESTRO

2
(sottovoce, fra loro)
Pel suo Gomes prediletto
Terminato ha già il libretto…
Or vedrem se finalmente
Anche il nostro compirà…

IL POETA
(mettendo sotto fascia un altro libretto)
All’autor del Don Bucefalo39
Che all’idillio or volse gli estri,
Blande immagini campestri
Questo libro può ispirar…
Qui degli orti e dei giardini
Rivedendo i frutti e i fiori,
Del villaggio i lieti amori
Vorrà forse ricantar.

MAESTRO
(al tenore)
Al Cagnoni ha provveduto…

TENORE
Tanto meglio! Or… puoi sperar…

Il POETA
(chiudendo sotto fascia un altro libretto)
Del maëstro Spattoloni,
Che mi chiede un dramma atroce,
Forse all’indole feroce
Può un tal libro convenir
Di cervelli dilaniati
E di stinchi smidollati
Qui una mostra sanguinosa
Che fa il core abbrividir…

MAESTRO - TEN.[ORE]
Par che a tutti abbia pensato…
E’ un brav’uom; non c’è che dir!

IL POETA
(mettendo sotto fascia un altro libretto):
Per costui, che vorrìa fare
Una farsa all’Offembacche,
Un bel tema ho destinato
Che avrà il plauso universal.
S’ei riesce a musicare
I salami e le saracche
Verrà presto proclamato
Un portento musical.

MAESTRO - TENORE

2
Par… ch’egli abbia terminato…
(ritraendosi dalla porta)
Qualcun esce…
(Il poeta, che si sarà messa una barba posticcia, avvolto in ampio mantello, col cappello abbassato
sugli occhi, esce dalla stanza e attraversa rapidamente l’anticamera.)

Il POETA
Date il passo…!

TENORE – MAESTRO
(sorpresi)
Chi sarà…?

VOCI AL DI FUORI
Venga arrestato!…
Viva…! Morte!…

TENORE E MAESTRO
Presto! Abbasso
Discendiamo!

VOCI
Morte! Viva!…

MAESTRO-TENORE
Oh! Qual strepito infernal…!

[Scena II]
Mentre il Maestro e il Tenore vorrebbero slanciarsi verso la scala per discendere al piano inferiore,
la prima donna e due Bassi, con seguito di Maestri e d’altra gente, si avanzano e chiudono l’uscita.
Si potrebbe, pel maggior effetto della scena, far comparire alcuni garzoni dell’albergo con fiaccole,
od anche con candelieri comuni. I sopraggiunti interrogano il Maestro ed il Tenore per sapere chi sia
il personaggio testè uscito dalla stanza del Poeta.
Il Maestro, in mezzo al gridio generale, va ripetendo:

[MAESTRO]
E’ lui…vi dico…è Verdi!…

TENORE
Ohimè! Noi siam spacciati…

CORO DI MAESTRI
L’infausto dubbio sperdi
Gran Dio!…pietà…! pietà!…
Se il gran maëstro a lui
Un dramma ha chiesto ancora,
Noi tutti alla malora
Quel birbo manderà

Lo scompiglio va crescendo. Al gran pezzo concertato che comincia colle parole:


Gomes, Rossi, Ravera, Cagnoni40…

2
Succede il breve recitativo:
E’ finita! Dio sa quando…
e a questo tien dietro la nenia funebre del Miserere, interrotta dai lieti brindisi che partono dai
sotterranei dell’osteria. Tutti questi pezzi non hanno verun significato drammatico e non servono
che a prolungare l’azione con discapito dell’effetto generale dell’opera. Non farebbe però
meraviglia che il dotto pubblico41 li applaudisse col maggior entusiasmo.

[Scena III]
Al momento in cui i maestri e tutti quanti muovono costernati per andarsene, entra ansante e sudato
un Impresario con varii rotoletti di carta nella mano. Tutti gli si fanno intorno, chiedendo ad una
voce:
Ebbene? Quali nuove ci recate? _ Buonissime! Risponde l’Impresario._ Dunque … il nostro poeta?

IMPRESARIO
(dominando la scena)
Fuggì a Galbiate sul Montebarro42…
In pegno all’oste lasciò il tabarro…
Non disse motto, volò… sparì…
Là…presso il ponte- io l’ho incontrato…
Quattro libretti m’ha consegnato…

TUTTI
(con gioja e stupore)
Quattro libretti!…

IMPRESARIO
(mostrando i rotoli con aria trionfale)
Eccoli qui…
(I maestri assalgono l’impresario per strappargli delle mani i manoscritti, ma quegli, slanciandosi
sopra un tavolo e tenendo le carte sollevate, prosegue a tutta voce):
Vi discostate! No…no… perdio!
Compire io debbo l’incarico mio…
Questi libretti nessun qui avrà…
Al Montebarro tutti verrete…
Là…sceglierete- giudicherete
E il comun voto pago sarà…

TUTTI.
Partiam! Dei monti sull’alte cime
Tutto grandeggia, divien sublime…
Là…forse…in grazia del piedestallo…
Ognun sembianza di genio avrà.
(partono lietamente abbracciati.)

[Scena IV]
Cambiamento di scena. L’altura del Montebarro; a destra la chiesetta, sul davanti il sagrato, alberi
secolari ecc. ecc. _ Il Poeta si inoltra barcollando e va ad inginocchiarsi sui gradini della Chiesa._
Una allegra comitiva di giovinotti e di donne sta mangiando e trincando sull’erba._ Quattro o
cinque personaggi dell’aspetto truce si appostano dietro i tronchi degli alberi.- Dopo un breve

2
agitato dell’orchestra, l’Impresario, i Maestri e tutti quanti si slanciano sul sagrato, ma poi, vedendo
il Poeta che gesticola enfaticamente sulla porta della chiesa, si arrestano e cantano sommessamente:

[TUTTI]
Ah! tu, Signor, lo ispira…
Il genio suo feconda…
Gli empi di versi il cerebro
Di rime il cor gli innonda;
Spremigli dai…pulmoni
Le nuove situazioni…
E i metri …e i ritmi asmatici
Dell’arte che verrà!43
(Finito il Coro, al quale si saranno intrecciate le voci dei giovanotti e delle donne poco morigerate
che stanno gozzovigliando sotto gli alberi, dietro un cenno del Poeta, l’impresario scioglie il plico
che tiene nelle mani e distribuisce i libretti ai maestri. Il Poeta si prosterna di nuovo sui gradini
della chiesa, cantando:)

[POETA]
Ah! tu, signor li ispira…
Fa che nessun si sdegni…
O fa che pronta all’ira
Succeda la pietà.
(I Maestri, dopo aver sciolte le pagine dei rispettivi libretti:)

[MAESTRI]
Ma chè!… il libretto del suo droghiere!…
Che veggo! Il libro dell’ortolano!…
Del macellajo la nota… a me!…
A me il libretto del salumiere!…

TUTTI
(avventandosi al Poeta)
Ah! scellerato!…

UN MAESTRO
(interponendosi)
Fermate!…

IMPRESARIO
Piano…!

GIOVANOTTI E DONNE
(accorrendo)
Ma …che vuol dire questo baccano?…

IL POETA
(accennando agli individui di aspetto truce che stanno nascosti dietro gli alberi)
Olà! Venite…!

CORO
Demente egliè…

2
(Il Poeta, dominando la scena dalla gradinata fa sapere che “se altri desiderassero vedere dei
libretti più terrificanti, si volgano al suo sarto, al suo prestinajo ecc. cc., tutte persone onestissime,
e dispose ad ogni transazione amichevole…”. Il discorso del poeta produce negli astanti una
vivissima commozione, la quale si risolve in un coro generale)

[TUTTI]
Non v’ha genio di poeta
Che resista a tai libretti….
Una burla si faceta
A noi spetta di compir
De tai noje liberato,
Il poeta disgraziato
Co’ suoi nuovi melodrammi
Farà il secolo stupir.
(I maestri aprono i portafogli- un vespajo di banconote svolazza intorno al Poeta_ i cinque
personaggi truci, che mai non hanno aperto bocca infino ad ora, prorompono in esclamazioni di
gioja e da ultimo ballano allegramente il cancan colle donne poco dignitose delle quali s’è parlato
più sopra. Abbracciamenti generali. Una aurora boreale splende nel cielo, e là si veggono a lettere
di diamante fiammeggiare i titoli dei libretti che il Poeta sta scrivendo: I mori di Valenza, La
maschera, Messalina, Il Gondoliero, Il falconiere, Martino Paz, Calandrino44. Il sipario cala
rapidamente e ferisce tra crappa e coll tre o quattro editori.)

FINE

2
1

In realtà e’ piuttosto considerevole la differenza tra il numero di libretti di cui si ha notizia e il numero di quelli
materialmente reperibili. Per un elenco dei libretti ghislanzoniani cfr. Giuseppe FARINELLI, La librettistica di Antonio Ghislanzoni:
contributo ad una ricerca, in “Otto- Novecento”, n. 1, gennaio-febbraio 1986, pp. 21-34, poi confluito con integrazioni in Giuseppe
FARINELLI, Dal Manzoni alla Scapigliatura, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1992, pp. 299-317. Più completo Aroldo
BENINI, Antonio Ghislanzoni librettista in Aroldo BENINI, Per la biografia di Antonio Ghislanzoni, in “Archivi di Lecco”, anno
XVI, n. 2, aprile-giugno 1993, pp. 135-179, che da notizia di 104 libretti e accenna al successo delle opere con notizie tratte dalla
cronaca giornalistica. La ricognizione più recente ed esauriente dal punto di vista della concreta reperibilità dei testi, è quella di
Blanca CORTÁZAR, Katya GENGHINI, Marco MOIRAGHI, Maria Grazia SITA’, Contributo per un catalogo dei librettisti
scapigliati, di prossima pubblicazione.
2
Più spinosa la questione della partecipazione di Ghislanzoni nella traduzione e adattamento all’italiano del Don Carlos verdiano;
Aroldo Benini attribuisce tutto il merito a Ghislanzoni, negando la paternità della traduzione ad Achille de Lanziéres per una
questione di date: Lanziéres morì nel 1875 mentre la versione italiana dell’opera fu rappresentata al Teatro alla Scala di Milano il 10
gennaio di 1884 (cfr. Aroldo BENINI, op. cit, p.166). Se è vero che le comuni enciclopedie segnalano come coordinate esistenziali di
Lanziéres le date 1800-1875, Stieger riporta invece 1818-1894 (cfr. Franz STIEGER, Opernlexikon, Vol III, Librettisten, tomo 1,
Tutzing, Schneider, 1975, p. 518); di fatto esistono segnalazioni di opere di Pedrell e Dubois, tra altri, scritte anche un decennio oltre
il 1875, su libretti di un Lanziéres de Thémines. Ad ogni modo, l’obiezione principale da opporre a Benini è che la versione in
quattro atti del Don Carlos del 1884 non è l’unica esistente in italiano: si rappresentavano versioni italiane non solo in Italia ma
anche all’estero già dal 1867, lo stesso anno della prima rappresentazione parigina. La versione che conto con la partecipazione di
Ghislanzoni pare sia quella del 1872: Verdi desiderava introdurre alcuni cambiamenti per la rappresentazione al San Carlo di Napoli
e aveva domandato dei versi nuovi al librettista della recentissima Aida, come starebbe a dimostrare una lettera conservata a New
York (cfr. Ursula GÜNTHER, L’edizione integrale del Don Carlos di Giuseppe Verdi, Milano, Ricordi, 1977). L’intervento di
Ghislanzoni non esclude pertanto quello di Lanziéres, che indubbiamente si occupò della traduzione in alcuna delle versioni della
rimaneggiata opera. La versione in 4 atti del 1884 di cui parla Benini si valse della traduzione di Lanzières già esistente, rivista per
l’occasione da Angelo Zanardini, che tradusse anche i nuovi versi scritti in francese da Du Locle.
3
Ringraziamo Maria Grazis Sittà per la segnalazione della fonte.
4
L’arte di far libretti, opera serio-buffa in tre atti, apparve inizialmente come fascicolo allegato alla “Gazzetta Musicale di Milano”,
del 1 e 30 gennaio 1870, per confluire poi in Antonio GHISLANZONI, Libro allegro, Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1878,
pp. 73-111. Benché lo stesso autore, nel primo volume dei suoi Capricci letterari, affermasse che il libretto era stato musicato da
diversi maestri, abbiamo soltanto notizia della rappresentazione data in occasione di una festa universitaria a Parma, con la musica di
tre musicisti dilettanti (cfr. Festa universitaria / Parma 1891 / Tramelogedia / (L’arte di far libretti) / parole di / Antonio Ghislanzoni
/ musica di tre, ma incogniti autori. Editore Tito di Giov. Di Batt. Di Franc. Di Lui, (la fine del prossimo anno) [Parma, Tip. Ferrari e
Pellegrini, 1891]).
5
Daniela Goldin lo considera l’esempio più completo e articolato di satira operistica (cfr. Daniela GOLDIN, Aspetti della
librettistica italiana tra 1770 e 1830, in Daniela GOLDIN, La vera fenice, Torino, Einaudi, 1985, pp. 3-72: 10-13)
6
L’antologia La cantante e l’impresario e altri metamelodrammi, Genova, Costa & Nolan, 1988, contiene quasi tutti i
metamelodrammi citati, tranne L’ape musicale di Da Ponte; in più contiene L’opera nuova di Giovanni Bertati (1781) e un’utile
introduzione di Francesca Savoia, pp. 19-35. A quest’antologia fa riferimento l’articolo di Franco VAZZOLER, “…Al libretto si dia
mano”. L’opera nell’opera in alcuni libretti del settecento, in “L’immagine riflessa”, anno XI, n. 2, 1988, pp. 335-348.
7

Per un’analisi del Don Bucefalo e di Tutti in maschera cfr. Marco EMANUELE, L’opera sull’opera: la riscrittura del
passato nell’opera comica italiana di metà Ottocento, in Marco EMANUELE, Opera e riscritture. Melodrammi, ipertesti, parodie,
Torino, Paravia, 2001, pp. 101-145.
8
Daniela GOLDIN, Un microgenere melodrammatico, l’opera dell’opera, in Daniela GOLDIN, op. cit., pp. 73-76: 74.

9
E’ in questo senso che Travi definisce L’arte di far libretti una palinodia (cfr. Ernesto TRAVI, L’operosa dimensione scapigliata di
Antonio Ghislanzoni, in “Otto-Novecento”, n. 5-6, settembre-dicembre 1980, p. 76).
10
E’ ancora Travi a vedere in Romani il modello linguistico e stilistico del Ghislanzoni librettista (cfr. op. cit., p. 74). Nonostante la
sostanziale impronta conservatrice dei suoi libretti, Adriana Corazzol vede pure un Ghislanzoni “ pure capace di modernità (la
metrica di Aida, l’impianto registico di Spartacco […]): sostanzialmente un autore di idee che stempera le novità del messaggio in
una veste linguistica tradizionale” (Adriana GUARNIERI CORAZZOL, Scrittori-librettisti e librettisti-scrittori tra Scapigliatura e
Décadence (Ghislanzoni, Praga, Fontana, Leoncavallo), in AA. VV., Letteratura, musica e teatro al tempo di Ruggero Leoncavallo,
Atti del II convegno internazionale, (Locarno, 1993), a cura di Lorenza Guiot e Jürgen Maehder, Milano, Casa Musicale Sonzogno di
Piero Ostali, 1995, pp. 11-40: 20, poi confluito in Adriana GUARNIERI CORAZZOL, Musica e letteratura in Italia tra Ottocento e
Novecento, Milano, Sansoni, 2000, pp. 7-50: 21).
11
Cit. in Sergio MARTINOTTI, Ghislanzoni saggista e critico musicale, in AA. VV., L’operosa dimensione scapigliata di Antonio
Ghislanzoni, Atti del Convegno di studio, (Milano, Lecco, Caprino Bergamasco, 1993), Milano, Istituto per la Storia del
Risorgimento Italiano, 1995, p. 163-172: 170, senza precisazione di fonte.
12
Antonio GHISLANZONI, Del libretto per musica, in “Giornale-Capriccio” n° 19, ottobre 1877, pp. 9-19: 15. A questo piccolo
saggio si era dato inizio sul n° 15, agosto 1877, pp. 18-29.
13
Per questa e le citazioni che seguono cfr. Antonio GHISLANZONI, L’arte di far libretti, op. cit.

14
Nonostante il riferimento corrosivo alle cabalette, è palese che Ghislanzoni non potesse farne a meno, come si desume dalle parole
di Verdi in questo notissimo passo della corrispondenza tra il compositore e Ghislanzoni datata 28 settembre 1870, in piena
gestazione di Aida: “[…] Vedo ch’ella ha paura di due cose: di alcuni, dirò così, ardimenti scenici, e di non far cabalette! Io sono
sempre d’opinione che le cabalette bisogna farle quando la situazione lo domanda. Quelle dei due duetti non sono domandate dalla
situazione, e quella specialmente del duetto tra padre e figlia non parmi a suo posto. Aida in quello stato di spavento e di
abbattimento morale non può né deve cantare una cabaletta […]” (I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura di G. Cesari e A. Luzio,
Bologna, Arnaldo Forni Editore, 1987, Ristampa anastatica dell’edizione di Milano, 1913, p. 645).
15
Su questo argomento, tra i molti contributi possibili, rimandiamo a Scott L. BALTHAZAR, Aspects of form in the Ottocento
libretto, in “Cambridge Opera Journal”, n. 7, 1995, pp. 23-35.

16
La parodia del registro stilistico “alto” era uno espediente ricorrente già nel settecento non solo nella satira del teatro musicale, ma
anche nell’opera buffa in generale, e si attuava nel livello del testo e della musica.
17
Per la dimensione narrativa attuata dalla musica nel teatro d’opera rimandiamo a Luca ZOPPELLI, L’opera come racconto,
Venezia, Marsilio, 1994, delle cui considerazioni ci siamo serviti per queste righe.
18
La conoscenza dei cantanti, e del mondo teatrale in generale, viene a Ghislanzoni da tre prospettive diverse: quella del librettista,
quella del critico musicale, e quella del cantante. E’ infatti da ricordare che lo scrittore fece una non disdicevole carriera come
baritono prima di intraprendere l’esercizio della letteratura.
19
Questo procedimento di rottura dell’illusione scenica attraverso il richiamo alla teatralità della trama era già in uso nell’opera buffa
del fine settecento, anche se non in modo così onnipresente come nel nostro libretto.
20
E infatti Ponchielli finirà i suoi giorni senza vedere l’opera rappresentata. La prima esecuzione ebbe luogo finalmente a Montecarlo
con l’istrumentazione di Cadore nel 1914, 28 anni dopo la morte di Ponchielli. Il ritardo colpisce ancor di più se si considera che
Giulio Ricordi aveva comprato anticipatamente l’opera. Oltre a I mori di Valenza Ghislanzoni scrisse per Ponchielli Il parlatore
eterno (Lecco, 1873) e I lituani (Milano, 1874)
21
Cfr. Antonio GHISLANZONI, Il poeta perseguitato. Operetta buffa in tre atti, in “Giornale Capriccio”, n° 20, ottobre 1877, pp. 3-
17. La continuazione (terzo atto) è sul “Giornale Cappriccio” n° 22, novembre 1877, pp. 3-12, mentre la lettera di Ponchielli con la
traccia del libretto era apparsa sul n° 19, ottobre 1887, pp. 23-24. Il “Giornale Capriccio”, pubblicato tra gennaio-1877 e agosto-
1879, fu interamente redatto da Ghislanzoni. Per il regesto dell’intero giornale realizzato da Ermanno PACCAGNINI cfr. La
pubblicistica nel periodo della scapigliatura. Regesto per soggetti dei giornali e delle riviste esistenti a Milano e relativi al primo
ventennio dello Stato unitario: 1860-1880, a cura di Giuseppe Farinelli, Milano, Istituto di Propaganda Libraia, 1984, pp. 549-560.
22
L’ultima sarebbe stata “La posta di Caprino” dopo il suo ritiro definitivo a Caprino Bergamasco.

23
Cit. in Sergio MARTINOTTI, op. cit., pp. 170-171, senza indicazione di fonte.

24
Antonio GHISLANZONI, Del libretto in musica, in “Giornale Capriccio”, n° 15, agosto 1877, p. 18. Il corsivo è di Ghislanzoni

25
L’ammirazione per Verdi era evidentemente così smisurata da farlo desiderare sottoporsi di nuovo alla tortura che Verdi gli
infliggete durante la preparazione per il libretto dell’Aida; infatti, come si può evincere dall’epistolario verdiano, il compositore
spremette letteralmente Ghislanzoni, partecipando pervicacemente (e con incredibile lucidità drammaturgica) alla genesi del libretto
(cfr. I copialettere di Giuseppe Verdi, op. cit., pp. 638-675)

26
Aroldo BENINI, Il demone dello scrittoio. Lettere di Antonio Ghislanzoni 1853-1893, a cura di Gian Luca Baio e Giorgio Rota,
Bergamo, Cattaneo, 2001, p. 85.
27
Op. cit., p. 95

28
In Antonio GHISLANZONI, Melodie per canto (1879). Cit. in Ernesto TRAVI, op. cit., p. 87.

29
Il testo completo del libretto, inclusa la lettera di Ponchielli, era già stato reso disponibile in occasione del centenario ponchelliano
da Ulderico ROLANDI in Ulderico ROLANDI, Amilcare Ponchielli…librettista, Como, Casa editrice Emo Cavalleri, 1935 (Estratto
da “NICIA”, Rivista medica d’arte e varietà, n. 12, dicembre 1934).
30
In modo scherzoso Ponchielli indica il prezzo in franchi dei pezzi staccati e dell’opera completa, come se di una pubblicità della
Ricordi si trattassi.
31

La relazione di Ghislanzoni con Pescarenico non era molto felice, dato che sua moglie, gravemente ammalata, fu lasciata lì
per anni presso parenti. Delle visite fatte alla moglie ha lasciato il librettista triste testimonianza nelle sue lettere (cfr. Aroldo Benini,
Il demone…, op. cit.). Nel Dizionario Corografico della Lombardia, seconda edizione riveduta da Felice Griffini, Milano,
Stabilimento di Civelli Giuseppe e Comp., 1854, troviamo la seguente definizione della Pescarenico del tempo: “Frazione del
comune e capoluogo del distretto (X) di Lecco, provincia di Como. Villaggio sulla sinistra riva dell’Adda, dirimpetto a Pescate, ed un
miglio ad ostro da Lecco. E’ abitato pressoché solo da pescatori. Ivi esiste ancora il convento, già de Cappuccini ove, secondo il
Manzoni, abitava quel fra Cristoforo, uno dei protagonisti nel suo romanzo dei Promessi Sposi […] nel mezzo [del lago], dalla parte
di Pescarenico, evvi un’amena e verdeggiante isoletta cinta da un muro, e che porta lo stesso nome”.
32
E’, com’è noto, il primo verso dell’aria di Uberto ne La serva padrona di Pergolesi. Espediente comune nella satira operistica
settecentesca era quello d’introdurre delle arie conosciute, dando luogo ai cosiddetti “pasticci”. Un esempio di “pasticcio” è la satira
L’ape musicale di Lorenzo Da Ponte, riempita con arie di Salieri, Mozart e altri autori. Un’altra possibilità era quella di contraffare i
versi, come Gilardoni per Donizetti ne Le convenienze ed inconvenienze teatrali, dove l’aria “Assisa appiè d’un salice” della
Desdemona rossiniana si trasforma nel più prosaico “Assisa appiè d’un sacco”. Nel nostro caso Ghislanzoni si ferma al primo verso
datogli da Ponchielli.
33
Del Ponchielli sonnacchioso che cade addormentato Ghislanzoni darà notizia (in modo non così ironico e bonario come sopra) in
una sua lettera a Giulio Ricordi nel febbraio 1882: il compositore si era addormentato mentre gli leggevano l’argomento di un nuovo
libretto. Cfr. Aroldo BENINI, Il demone…, op. cit., p. 169.
34
Probabile riferimento a Giulio Ricordi, editore di Ponchielli. La galleria è evidentemente la Galleria Vittorio Emmanuele di
Milano.
35
La parola più vicina a robbiœul trovata in Giuseppe BANFI, Vocabolario Milanese - Italiano, Vimercate, Libreria Meravigli
Editrice, 1983 (ristampa anastatica dell’edizione di Milano, 1870), è robiœla che viene definita come “raviggiuolo: caciuola fatta per
lo più con latte di pecora, capra, o anche di vacca, o con più di uno di tai latti commisti”. Nell’odierno Ambrogio Maria Antonini,
Vocabolario Italiano - Milanese, Milano, Libreria Meravigli Editrice, 1983, la parola robioeula viene definita semplicemente come
“robiola – raviggiuolo”.
36
Come già accennato in nota 12, Ghislanzoni fece carriera come baritono. Il debutto nel 1846-47 a 22 anni diede inizio a una
carriera che lo vide solista anche in teatri francesi. Dopo un incredibile fiasco al Teatro Carcano di Milano nel 1855 si decise a
intraprendere la carriera letteraria, sotto consiglio dello stesso Rovani.
37
Sergio Martinotti fa notare l’evidente somiglianza tra questo passo e quello che si legge in una lettera della corrispondenza tra
Verdi e Ghislanzoni per il libretto dell’Aida. Il compositore, dopo avere proposto a Ghislanzoni una “accozzaglia di parole senza
rima” da verseggiare, gli intima: “Ella non può immaginare sotto quella forma sì strana, che bella melodia si può fare, e quanto garbo
le dà il quinario dopo i tre settenari, e quanta varietà danno i due endecasillabi che vengon dopo: sarebbe però bene che questi fossero
o entrambi tronchi o entrambi piani. Veda s’ella può cavarne dei versi, e mi conservi “tu sì bella, che tanto bene fa alla cadenza.”
(lettera del 3 novembre 1870) (cfr. Sergio MARTINOTTI, op. cit, p. 168. Per la lettera cfr. I copialettere di Giuseppe Verdi, op. cit, p.
664).
38
Melodramma in quattro atti di Antonio Carlos Gomes (1836-1896) su libretto di Ghislanzoni, che lo aveva tratto a sua volta dalla
novella La festa delle Marie di Luigi Capranica. Fu rappresentato nel Teatro alla Scala di Milano il 16 febbraio 1873, senza gran
successo, che si ottenne invece nella ripresa scaligera del 7 febbraio 1878, grazie ad una nuova versione. Nonostante ciò l’opera non
riuscì mai a ottenere la popolarità d’altre opere di Gomes. Oltre a Fosca, Ghislanzoni scrisse per Gomes il libretto del Salvator Rosa
(prima rappresentazione Teatro Carlo Felice di Genova, 21.3.1874), che ottenne un notevole successo. Il compositore, di origine
brasiliana, si trasferì in Italia nel 1864, per studiare con Lauro Rossi (un altro compositore collaboratore di Ghislanzoni, cfr. infra,
nota 39) e raggiunse grande notorietà grazie al successo de Il Guarany , rappresentato per la prima volta nel Teatro alla Scala di
Milano nel 1870 su libretto di Antonio Scalvini e Carlo d’Oreville dalla novela O Guarani di José de Alencar. A quest’opera
seguirono, oltre alle menzionate Fosca e Salvator Rosa, Maria Tudor (Milano, 1879), Lo schiavo (Rio de Janeiro, 1889), e Condor
(Milano, 1891).
39
Melodramma giocoso in tre atti di Antonio Cagnoni (1828-1896) su libretto di Calisto Bassi. La prima rappresentazione ebbe luogo
nel Conservatorio di Milano, di cui Cagnoni era allievo, il 28 giugno 1847. Come già accennato è anche questo un esempio di satira
del mondo del teatro musicale (è di fatto una parafrasi de Le cantatrice villane di Fioravanti). Venne replicata con successo negli anni
successivi in diversi teatri milanesi (tra cui il Teatro alla Scala) ed europei. Ghislazoni scrisse i libretti per le seguenti opere di
Cagnoni: Un capriccio di donna (Genova, 1870), Papà Martin (Genova, 1871), Il duca di Tapigliano (Lecco, 1874), Francesca da
Rimini (Torino, 1878), e Re Lear (il libretto fu ultimato nel 1883 e pubblicato nel 1900; tuttavia non si hanno notizie di esecuzioni). Il
compositore pavese conobbe una certa notorietà grazie a due melodrammi giocosi, il già citato Don Bucefalo, e Papà Martin. Nel
1887, dopo la morte di Ponchielli, lo succedette come maestro di cappella a S. Maria Maggiore di Bergamo.

40
Per Gomes e Cagnoni cfr. supra nota 35 e 36. Lauro Rossi (1812-1885) e Nicolò Teresio Ravera (1851-?) misero in musica su
libretti di Ghislanzoni Gli artisti alla fiera (Torino,1868) e Fiamma (Alessandria,1890), rispettivamente.
41
Quest’ironico riferimento al “dotto pubblico”, squisitamente ghislanzoniano e presente anche ne L’arte di far libretti, ci da
l’occasione per far notare quello che era già palese sin dall’inizio del libretto, e cioè la forte presenza dell’autore nelle didascalie, il
suo marcato carattere narrativo. D’altronde Il poeta perseguitato non è che uno scherzo da leggere, non da rappresentare.
42
Nel periodo del Poeta perseguitato Ghislanzoni abitava al porto di Lecco, in comune di Malgrate, sotto il Monte Barro; tuttavia
alternava ancora la residenza tra Malgrate e le sue anteriori dimore, la vecchia abitazione in via San Nicolao a Milano e Mariaga di
Eupilio, provincia di Como (cfr. Aroldo Benini, Per la biografia…, op. cit. p. 95). Nel Dizionario Corografico…, op. cit., troviamo
questa definizione della Galbiate del tempo: “[…] Da Galbiate si gode un amenissimo punto di vista che si estende su tutto così detto
piano d’Erba a levante, e dalla plaga opposta l’occhio segue il corso dell’Adda ed ha in prospetto una porzione della provincia
bergamasca. […] Altri bei punti di vista si hanno dalle villeggiature Ballabio e Sanchioli, e meglio ancora dal convento in vetta al
monte Baro […].” Di quest’ultimo invece ci viene detto: “Montagna dalla Brianza alta 2970 piedi al di sopra del livello del mare ed
alla cui sommità si hanno estesi e mirabili punti di vista. Essa sorge tra il lago di Pescarenico e quello di Annone […]”
43
E’ noto lo sdegno di Ghislanzoni nei confronti degli avveneristi, atteggiamento che lo schierava accanto a Verdi e alla casa Ricordi;
bisogna ricordare, infatti, che il librettista fu direttore per tre anni della “Gazzetta Musicale di Milano” (giornale di Ricordi), e dalle
sue pagine, come dalle altre molte testate dove scrisse, scagliò attacchi contro i progressismi e i miti d’oltralpe.
44
I libretti elencati di cui abbiamo notizie sono I mori di Valenza (cfr. supra, nota 20) e La maschera, con musica del maestro Gerosa.
Di quest’ultimo ci dà notizia lo stesso Ghislanzoni sul primo volume dei Capricci letterari (1876), tuttavia non è reperibile e non si
hanno notizie di esecuzioni. Benini fa notare che Gomes aveva scritto un’opera con lo stesso titolo proprio nel 1876, rimasta
incompiuta; cfr. Aroldo Benini, Per la biografia…, op. cit., p. 158.
Messalina è il titolo di un balletto del napoletano Giuseppe
Giaquinto (?- 1881), da librettista anonimo (com’è consueto nel caso dei balletti), e rappresentato per la prima volta al teatro Apollo
di Roma nel marzo del 1877. Ghislanzoni scrisse una divertente critica di una rappresentazione a Torino del balletto di Giaquinto sul
n. 23 (1877) del “Giornale-Capriccio”, pp. 20-21. E’ possibile che si sia unicamente appropriato del titolo Messalina redigendo
l’ultima didascalia de Il poeta perseguitato; ma considerato il fatto che Giaquinto aveva composto balletti in collaborazione con
musicisti come Paolo Giorza e Costantino dall’Argine, già collaboratori di Ghislanzoni, non ci sembra del tutto azzardato ipotizzare
che quest’ultimo possa avere steso il libretto per il ballo Messalina. Non sarebbe stata la sua prima prova in quel campo, visto che
libretto di ballo è anche quello di Amore e capriccio, mentre Fiamma porta la dicitura “opera-ballo”.

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