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I socialisti riformisti
In questo contesto economico e sociale si svolse l'azione politica di Giolitti. Egli elaborò un
suo piano di riforme coinvolgendo in particolare il Partito Socialista italiano. All'interno del
partito ben presto si erano formati due correnti.
La prima era quella dei riformisti, guidati da Filippo Turati, Claudio Treves e Leonida
Bissolati, che ritenevano che si dovesse cambiare la società gradualmente, attraverso le
riforme. Ma per ciò, era necessario dialogare con le forze governative e partecipare alla vita
politica.
Turati pensava si dovesse dare un appoggio alle iniziative democratiche di Giolitti.
I socialisti massimalisti
La seconda corrente era quella dei massimalisti, guidati da Costantino Lazzari e da Benito
Mussolini, che ritenevano che per cambiare la società fosse necessario ricorrere alla
rivoluzione. Giolitti cercò più volte l'appoggio dei socialisti riformisti, invitò lo stesso Turati a
far parte del suo governo ma non accettó, era troppo forte all'interno del partito
l'opposizione dei massimalisti e un suo ingresso nel governo avrebbe creato una frattura
insanabile. Turati infatti venne messi in minoranza dai massimalisti in due occasioni.
Una prima volta nel Congresso di Bologna del 1904. Nel settembre di quello stesso anno
venne programmato il primo sciopero generale nazionale. Per reazione Giolitti indisse nuovi
elezioni nelle quali gli elettori premuni liberali. Turati e riformisti tornare alla guida del partito,
ma furono nuovamente superati dai massimalisti nel Congresso di Reggio Emilia del 1912.
In quell'anno Mussolini assunse la carica di direttore del "Avanti!”, il giornale del partito
socialista.
Un politico ambiguo
L'azione di governo di Giolitti fu caratterizzata da una profonda contraddizione. Il suo modo
di far politica venne definito del" doppio volto":
● un volto aperto e democratico nell'affrontare problemi del Nord
● un volto conservatore è corrotto nello sfruttare problemi del Sud
Un politico Democratico
Per quanto riguarda il nord, Giolitti assunse un atteggiamento lungimirante verso le nuove
forze sociali, egli infatti consentì gli scioperi e fece assumere al governo una posizione di
neutralità di fronte ai conflitti sindacali. Per Giolitti non esisteva in Italia un reale pericolo
rivoluzionario, a meno che il governo non avesse spinto i lavoratori alla ribellione armata.
Con queste argomentazioni il politico rispondeva alle critiche dei conservatori che ritenevano
la sua azione di governo troppo tollerante nei confronti dei movimenti operai. Ma Giolitti
varó riforme che migliorarono le condizioni di lavoro degli operai:
● l'orario di lavoro venne diminuito, un massimo di 10 ore
● venne riorganizzata la cassa nazionale per l'invalidità e la vecchiaia dei lavoratori
● vennero presi dei provvedimenti allo scopo di tutelare la maternità delle lavoratrici e
il lavoro dei fanciulli( età minima 12 anni)
Naturalmente la lotta sindacale portò l'aumento dei salari, di conseguenza nel Nord si andò
diffondendo il benessere economico tipico della società di massa.
Un politico spregiudicato
Altri interventi riformatori di Giolitti si ebbero il campo ferroviario, con la statalizzazione delle
ferrovie e in quello assicurativo con la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita, a
questo scopo fu creato un ente L'INA (Istituto Nazionale Assicurazioni) che però venne
osteggiato dalle assicurazioni private e non trovó mai concreta attuazione. L'azione di
governo di Giolitti mancò di largo respiro:non venne ad esempio attuata una riforma
tributaria, che consentisse di garantire una maggiore giustizia fiscale e soprattutto non
venne affrontata la questione meridionale, ovvero il ritardo del Sud rispetto al nord. Anzi
nell'età giolittiana il divario tra Nord
e il Sud del paese aumentò.
L'azione di governo di Giolitti nei confronti del Mezzogiorno ebbe carattere sporadico. Se si
eccettua la costruzione dell'acquedotto pugliese, gli interventi si limitarono a leggi speciali
per porre rimedio situazione in particolare.
Gran parte del flusso di denaro che in questo modo arrivò al sud alimentò clientele e
corruzione. Inoltre di fronte agli scioperi del Sud, Giolitti non fu neutrale: fece intervenire le
forze dell'ordine, attuando una pesante repressione. Il sud per Giolitti era politicamente un
semplice serbatoio di voti da controllare attraverso:
● i Prefetti, che per suo ordine impedivano i comizi degli oppositori del governo
● per mezzo delle forze dell'ordine che arrestavano i sindacalisti
● ricorrendo alla corruzione e alle minacce per far leggere parlamentari a lui fedeli
Giolitti venne definito "ministro della malavita" dallo storico Gaetano Salvemini, questo
giudizio ha dato luogo al termine giolittismo.
Le conseguenze dell'emigrazione
L'emigrazione fu un fenomeno doloroso, che tuttavia portó un po' di ricchezza nelle terre
più povere. Chi lavorava all'estero mandava in Italia parte della propria paga, le cosiddette
rimesse. Inoltre i lavoratori rimasti vedevano il proprio potere contrattuale rafforzarsi e i salari
gradualmente salire. Tra le conseguenze negative ricordiamo lo spopolamento di alcune
aree del paese e il degrado ambientale che ne seguí. In molte zone la popolazione si
ridusse ai soli individui più anziani con poca iniziativa, l'abbandono dei villaggi e delle
campagne portó anche a dissesti idrogeologici.
Giolitti e i cattolici
Il non expedit (il divieto sancito nel 1874 da Pio IX per tutti i cattolici di votare ed essere
votati nelle elezioni dello Stato italiano) venne in parte ammorbidito da Pio X: i cattolici si
recarono alle urne, nel 1904, e votarono i candidati liberali nell'intento di sconfiggere i
socialisti. In tutto il mondo cattolico vi era un grande fermento: dopo l'enciclica Rerum
Novarum del 1891, i cattolici si erano maggiormente impegnati nella società attraverso
l'Opera dei Congressi, una federazione di circoli la cui attività spaziava dall'assistenza
caritativa all'animazione culturale. Erano sorti i sindacati cattolici e le cosiddette cooperative
bianche, ma soprattutto era stata fondata l'Azione Cattolica, l'organizzazione che
inquadrava il laicato cattolico sotto la guida del papa e dei vescovi.
Nel 1913 Giolitti stipulò con l'Unione Elettorale Cattolica, presieduta dal conte Vincenzo
Gentiloni, un accordo: il Patto Gentiloni. I cattolici promettevano di votare quei candidati
liberali che avessero sottoscritto l'impegno di difendere la Chiesa. Grazie a questo patto,
nelle elezioni del 1913 Giolitti riuscì a ottenere la maggioranza, facendo eleggere 304
deputati liberali. La sinistra ottenne un buon risultato, ma rimase lontana dalla maggioranza
dei seggi.
Il «superuomo» di D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio divenne presto uno dei protagonisti della vita culturale italiana ed
europea, grazie anche al suo atteggiamento, passato alla storia come dannunzianesimo,
tutto doveva concorrere alla sua fama di uomo eccezionale al di
sopra della massa e dei mediocri.
La sua consacrazione a uomo-mito avvenne durante l'età giolittiana , aveva affiancato a
quella letteraria un'intensa attività politica, con atteggiamenti aggressivi e provocatori. Si era
distinto per un repentino passaggio dai banchi della Destra a quelli della Sinistra al grido di
"Passo verso la vita" , per protestare contro le proposte repressive di Pelloux.
Nel 1895 D'Annunzio aveva chiarito la propria ideologia, nel romanzo Le vergini delle rocce,
scritto dopo aver letto opere di Nietzsche. Dell'autore tedesco D'Annunzio reinterpetró in
modo assai superficiale l'idea di «superuomo». Per Nietzsche, infatti il «superuomo» é colui
che va oltre l'uomo (il prefisso tedesco über viene tradotto in italiano con super, ma significa
oltre: il superuomo è colui che va oltre, nel senso che va «al di là del bene e del male»,
ritrovando così la natura originaria e autentica dell'uomo). Per D'Annunzio, invece, il
«superuomo è un uomo superiore, che vive una vita impossibile e incredibile agli occhi delle
masse.