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L'età Giolittiana

1 I caratteri generali dell'età giolittiana

Giolitti e l'età giolittiana: 1901-1914


Nel 1901 il re Vittorio Emanuele III nominò Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli,
come Ministro degli Interni lo affiancava Giovanni Giolitti. Zanardelli però lasciò che fosse
Giolitti a prendere le decisioni più importanti e fece sì che subentrasse come primo ministro.
Dal 1901 al 1914 Giolitti esercita un'influenza così autorevole che questo periodo viene
comunemente definito età giolittiana. In realtà Giolitti non resse direttamente il governo per
tutti questi anni, accadevano dei momenti di crisi in cui abbandonava la politica, e il potere
veniva affidato nelle mani di uomini di fiducia (come Alessandro Fortis o Luigi Luzzatti).

Un profondo conoscitore della macchina statale


Sulla figura di Giovanni Giolitti sono stati espressi giudizi discordanti. Nelle "memorie della
mia vita" scritte nel 1922, Giolitti racconta di discendere da una famiglia di amministratori e
burocrati della cosa pubblica, da qui il suo attribuire maggiore importanza e problemi
amministrativi e giuridici, rispetto a quelli delle grandi questioni del Risorgimento. Giolitti
entra in Parlamento nel 1882, dopo aver lavorato 20 anni nell'amministrazione statale e
avere acquisito una grande familiarità con i conti e la finanza pubblica, ovvero con quei
meccanismi burocratici e legislativi della macchina statale.
Sergio Romano in "Giolitti lo stile del potere" scrive che per i primi due anni Giolitti non
prese mai la parola, dimostrò ai colleghi di conoscere perfettamente il bilancio ma si
riguardó dal prendere posizione su problemi generali. Giolitti sapeva che solo ponendosi
come oppositore dell'esecutivo al potere avrebbe potuto crearsi un proprio ruolo politico e
ambire a incarichi di governo.

Buon senso, ironia e furbizia


Giolitti attraverso la figura del suo avversario, Depretis, sembra delineare il suo ideale di
politico.
Per Giolitti era importante che il politico veste buon senso, fosse deciso e fermo nelle scelte,
affrontare i problemi con il efficienza ma anche con ironia, non doveva riservare rancore e
soprattutto doveva avere una dote, la furbizia.

Il decollo industriale dell'Italia


L'età giolittiana coincise con il decollo della rivoluzione Industriale in Italia. I progressi più
evidenti si registrarono nell'industria siderurgica, in quella elettrica e nell'industria
meccanica. Nel settore tessile, un notevole sviluppo si verificó nell'industria del cotone.
Queste industrie avevano sede nel cosiddetto triangolo industriale, formato da Torino,
Milano e Genova.
L'agricoltura crebbe in particolare nella Pianura Padana, dove vennero migliorate le tecniche
produttive.

Le caratteristiche dell'economia italiana


Lo sviluppo economico industriale dell'Italia fu favorito da alcune condizioni particolari. In
primo luogo, l'industria italiana fu aiutata dall'intervento statale. Ebbero rilievo le varie
commesse statali nel campo dei trasporti ferroviari. L'industria si sviluppa all'interno di un
sistema protetto. La politica protezionistica favorì lo sviluppo delle Industrie del nord Italia
mentre danneggió il Mezzogiorno. Un contributo notevole allo sviluppo fu esercitato anche
dalle grandi banche che finanziarono le industrie nuove. In questo periodo nacquero le
grandi banche miste (Banca Commerciale e Credito Italiano) , fondate con l'aiuto di capitali
esteri.

Luci e ombre dello sviluppo


Lo sviluppo industriale portó notevoli miglioramenti nel livello medio di vita degli italiani. I
segni più evidenti di sviluppo si vedono nelle città : l' illuminazione elettrica, i trasporti urbani
e gli altri servizi pubblici mutarono. L'arrivo dell'acqua corrente e del gas rappresentò un
notevole progresso,anche le condizioni igieniche generali migliorarono, grazie anche alle
innovazioni in campo medico e sanitario. C'è da dire però che la popolazione si spostò in
grande misura dalle campagne alle città. Nel triangolo industriale si concentrò più della metà
di tutti i lavoratori dell'industria italiana. Di conseguenza la vita nelle città portó nuovi disagi
per gli abitanti.

I socialisti riformisti
In questo contesto economico e sociale si svolse l'azione politica di Giolitti. Egli elaborò un
suo piano di riforme coinvolgendo in particolare il Partito Socialista italiano. All'interno del
partito ben presto si erano formati due correnti.
La prima era quella dei riformisti, guidati da Filippo Turati, Claudio Treves e Leonida
Bissolati, che ritenevano che si dovesse cambiare la società gradualmente, attraverso le
riforme. Ma per ciò, era necessario dialogare con le forze governative e partecipare alla vita
politica.
Turati pensava si dovesse dare un appoggio alle iniziative democratiche di Giolitti.

I socialisti massimalisti
La seconda corrente era quella dei massimalisti, guidati da Costantino Lazzari e da Benito
Mussolini, che ritenevano che per cambiare la società fosse necessario ricorrere alla
rivoluzione. Giolitti cercò più volte l'appoggio dei socialisti riformisti, invitò lo stesso Turati a
far parte del suo governo ma non accettó, era troppo forte all'interno del partito
l'opposizione dei massimalisti e un suo ingresso nel governo avrebbe creato una frattura
insanabile. Turati infatti venne messi in minoranza dai massimalisti in due occasioni.
Una prima volta nel Congresso di Bologna del 1904. Nel settembre di quello stesso anno
venne programmato il primo sciopero generale nazionale. Per reazione Giolitti indisse nuovi
elezioni nelle quali gli elettori premuni liberali. Turati e riformisti tornare alla guida del partito,
ma furono nuovamente superati dai massimalisti nel Congresso di Reggio Emilia del 1912.
In quell'anno Mussolini assunse la carica di direttore del "Avanti!”, il giornale del partito
socialista.

2 Il doppio volto di Giolitti e l'emigrazione italiana

Un politico ambiguo
L'azione di governo di Giolitti fu caratterizzata da una profonda contraddizione. Il suo modo
di far politica venne definito del" doppio volto":
● un volto aperto e democratico nell'affrontare problemi del Nord
● un volto conservatore è corrotto nello sfruttare problemi del Sud
Un politico Democratico
Per quanto riguarda il nord, Giolitti assunse un atteggiamento lungimirante verso le nuove
forze sociali, egli infatti consentì gli scioperi e fece assumere al governo una posizione di
neutralità di fronte ai conflitti sindacali. Per Giolitti non esisteva in Italia un reale pericolo
rivoluzionario, a meno che il governo non avesse spinto i lavoratori alla ribellione armata.
Con queste argomentazioni il politico rispondeva alle critiche dei conservatori che ritenevano
la sua azione di governo troppo tollerante nei confronti dei movimenti operai. Ma Giolitti
varó riforme che migliorarono le condizioni di lavoro degli operai:
● l'orario di lavoro venne diminuito, un massimo di 10 ore
● venne riorganizzata la cassa nazionale per l'invalidità e la vecchiaia dei lavoratori
● vennero presi dei provvedimenti allo scopo di tutelare la maternità delle lavoratrici e
il lavoro dei fanciulli( età minima 12 anni)
Naturalmente la lotta sindacale portò l'aumento dei salari, di conseguenza nel Nord si andò
diffondendo il benessere economico tipico della società di massa.

Un politico spregiudicato
Altri interventi riformatori di Giolitti si ebbero il campo ferroviario, con la statalizzazione delle
ferrovie e in quello assicurativo con la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita, a
questo scopo fu creato un ente L'INA (Istituto Nazionale Assicurazioni) che però venne
osteggiato dalle assicurazioni private e non trovó mai concreta attuazione. L'azione di
governo di Giolitti mancò di largo respiro:non venne ad esempio attuata una riforma
tributaria, che consentisse di garantire una maggiore giustizia fiscale e soprattutto non
venne affrontata la questione meridionale, ovvero il ritardo del Sud rispetto al nord. Anzi
nell'età giolittiana il divario tra Nord
e il Sud del paese aumentò.
L'azione di governo di Giolitti nei confronti del Mezzogiorno ebbe carattere sporadico. Se si
eccettua la costruzione dell'acquedotto pugliese, gli interventi si limitarono a leggi speciali
per porre rimedio situazione in particolare.
Gran parte del flusso di denaro che in questo modo arrivò al sud alimentò clientele e
corruzione. Inoltre di fronte agli scioperi del Sud, Giolitti non fu neutrale: fece intervenire le
forze dell'ordine, attuando una pesante repressione. Il sud per Giolitti era politicamente un
semplice serbatoio di voti da controllare attraverso:
● i Prefetti, che per suo ordine impedivano i comizi degli oppositori del governo
● per mezzo delle forze dell'ordine che arrestavano i sindacalisti
● ricorrendo alla corruzione e alle minacce per far leggere parlamentari a lui fedeli
Giolitti venne definito "ministro della malavita" dallo storico Gaetano Salvemini, questo
giudizio ha dato luogo al termine giolittismo.

La grande emigrazione dell'età giolittiana


I salari dei lavoratori del Sud scesero enormamente portando in tutto il meridione povertà.
Molti contadini meridionali si videro perciò costretti a partire in cerca di lavoro verso l'estero
incrementando l'emigrazione. Nel nord invece il decollo dell'economia migliorò il livello di
vita di una parte della società, ma non fu in grado di assorbire la grande offerta di
manodopera proveniente dalle campagne, il settore agricolo non si era ancora ripreso della
grave crisi di fine 800 e anche in questo caso la risposta fu l'emigrazione.
Il fenomeno dell'emigrazione italiana tra 800 e 900 viene suddiviso in due fasi:
● Nella prima fase , compresa tra il 1876 e il 1900, partirono dall'Italia circa 5 000 300
mila persone. Fu un'emigrazione di carattere individuale, coloro che partivano dal
nord Italia tendevano a trasferirsi in altri paesi europei, come Francia e Germania,
mentre chi proveniva dal sud si spostava in prevalenza verso i paesi extraeuropei,
come Argentina, Brasile, Stati Uniti.
● La seconda fase va dal 1900 alla prima guerra mondiale e coincide con l'età
giolittiana. È chiamata "grande emigrazione", perché in soli 14 anni lasciarono l'Italia
quasi 9 milioni di persone. L'emigrazione si diresse fuori dall'europa, anche a causa
di episodi di intolleranza, i soli Stati Uniti assorbirono il 45% del totale degli emigrati.

L'intolleranza nei confronti degli italiani


La Francia fu una meta privilegiata soprattutto per coloro che abitavano nel nord Italia ma
ne derivarono non pochi problemi di convivenza con la popolazione locale. I lavoratori
francesi accusavano gli italiani di rubare il lavoro, ed accontentarsi di paghe inferiori e quindi
di abbassare il livello dei salari. L'episodio più grave di intolleranza verso gli italiani si verificò
il 17 agosto 1893 nella cittadina di Aigues-Mortes, nel sud della Francia:in quell'occasione
alcuni operai italiani furono massacrati dalla folla. Da quel momento, e per tutta l'età
giolittiana l'emigrazione italiana in Francia diminuì notevolmente. Anche negli Stati Uniti gli
italiani erano accolti con diffidenza, talvolta con vero e proprio odio: nel 1899 in Louisiana
linciarono tre siciliani. Non solo fu proposta l'esclusione dei diritti civili ma anche venivano
chiamati "dagos" gli emigrati italiani, un termine che evocava il coltello e la violenza.

Le conseguenze dell'emigrazione
L'emigrazione fu un fenomeno doloroso, che tuttavia portó un po' di ricchezza nelle terre
più povere. Chi lavorava all'estero mandava in Italia parte della propria paga, le cosiddette
rimesse. Inoltre i lavoratori rimasti vedevano il proprio potere contrattuale rafforzarsi e i salari
gradualmente salire. Tra le conseguenze negative ricordiamo lo spopolamento di alcune
aree del paese e il degrado ambientale che ne seguí. In molte zone la popolazione si
ridusse ai soli individui più anziani con poca iniziativa, l'abbandono dei villaggi e delle
campagne portó anche a dissesti idrogeologici.

3. Tra successi e sconfitte

La conquista della Libia


Giolitti ritenne opportuno riprendere la politica coloniale per tre principali motivi:
● voleva dimostrare a nazionalistiche il suo era un governo in grado di aumentare il
prestigio internazionale dell'Italia,
● voleva assecondare maggiori gruppi industriali e finanziari,
● voleva accontentare l'opinione pubblica che riteneva necessario conquistare nuove
terre per dare lavoro ai braccianti del sud.
Giolitti però cambiò obiettivo, puntó alla Libia che era situata di fronte alle coste della
Sicilia. Nel 1911 l'Italia dichiarò guerra alla Turchia che dominava la Libia. L'esercito occupò
subito le principali città, ma dopo iniziarono le difficoltà, la popolazione araba della Libia
organizzò una forte Resistenza. L'Italia reagì con durezza, furono inviati militari fino a
formare un contingente di 100000 uomini.
Non riuscendo a piegare la resistenza Libica, l'Italia cambiò tattica e spostó il campo di
battaglia: attaccó direttamente la Turchia, occupando alcune isole delle Sporadi, che
andarono a formare il dominio italiano del Dodecaneso. Alla fine i Turchi firmarono il trattato
di Losanna, così cedevano all'Italia il dominio sulla Libia.
Lo scatolone di sabbia
La Libia Infatti non era quella terra fertile e rigogliosa quale veniva descritta dalla
propaganda, non aveva grandi ricchezze minerali, si trattava di uno scatolone di sabbia. A
trarre vantaggi economici dall' avventura coloniale libica furono soltanto le banche, gli
armatori e l'industria militare. Sul territorio la sovranità dell'Italia sulla Libia rimase limitata
per anni esclusivamente alla fascia costiera. Solo nel 1927 il regime fascista l'avrebbe
estesa ai territori desertici dell'interno, impiegando contro la resistenza araba feroci tecniche
di repressione.

Il suffragio universale maschile


La principale riforma democratica dell'età giolittiana fu l'approvazione, nel maggio 1912 di
una nuova legge elettorale, che introduceva il suffragio universale maschile. Con questa
legge furono ammessi al voto, i cittadini maschi che avessero compiuto il trentesimo anno
di d'età. Per accedere al voto all'età di ventuno anni, era invece necessario aver adempiuto
obblighi del servizio militare o saper leggere e scrivere. Lo scopo di Giolitti era
l'allargamento della base politica dello Stato italiano: gli elettori passarono da 3,3 a 8,6
milioni, dal 9,5 % al 24% della popolazione. Giolitti intendeva avvicinare alle istituzioni i due
grandi movimenti di massa , cioè i socialisti e i cattolici. Ma per avere la meglio sui socialisti
occorreva allearsi con i cattolici.

Giolitti e i cattolici
Il non expedit (il divieto sancito nel 1874 da Pio IX per tutti i cattolici di votare ed essere
votati nelle elezioni dello Stato italiano) venne in parte ammorbidito da Pio X: i cattolici si
recarono alle urne, nel 1904, e votarono i candidati liberali nell'intento di sconfiggere i
socialisti. In tutto il mondo cattolico vi era un grande fermento: dopo l'enciclica Rerum
Novarum del 1891, i cattolici si erano maggiormente impegnati nella società attraverso
l'Opera dei Congressi, una federazione di circoli la cui attività spaziava dall'assistenza
caritativa all'animazione culturale. Erano sorti i sindacati cattolici e le cosiddette cooperative
bianche, ma soprattutto era stata fondata l'Azione Cattolica, l'organizzazione che
inquadrava il laicato cattolico sotto la guida del papa e dei vescovi.
Nel 1913 Giolitti stipulò con l'Unione Elettorale Cattolica, presieduta dal conte Vincenzo
Gentiloni, un accordo: il Patto Gentiloni. I cattolici promettevano di votare quei candidati
liberali che avessero sottoscritto l'impegno di difendere la Chiesa. Grazie a questo patto,
nelle elezioni del 1913 Giolitti riuscì a ottenere la maggioranza, facendo eleggere 304
deputati liberali. La sinistra ottenne un buon risultato, ma rimase lontana dalla maggioranza
dei seggi.

1914: finisce l'età giolittiana


La guerra in Libia aveva indebolito il governo guidato da Giolitti. L'economia tornava ad
attraversare un momento di crisi e in questo contesto Giolitti preferì dare le dimissioni. Al re
indicò come suo successore Antonio Salandra, un uomo politico conservatore. Nel 1914 in
Romagna e nelle Marche scoppiarono dei disordini, che per la presenza dei socialisti
presero il nome di settimana rossa. Salandra invio l'esercito a reprimerli. L'Italia tornava così
in quel clima di tensione ma soprattutto la situazione internazionale stava precipitando verso
la Prima Guerra Mondiale. L'età giolittiana era veramente finita.
4.La cultura italiana

Fra originalità e provincialismo


Durante l'età giolittiana si impose definitivamente in Italia la cultura di massa, con la
pubblicazione di molti giornali e un'attiva industria editoriale. Videro luce riviste letterarie
come «La Voce» o «Lacerba, o il "Leonardo". Da un punto di vista filosofico Croce e
Gentile con la nascita nel 1903 della rivista "La Critica" , mentre sotto l'aspetto letterario
l'esempio più emblematico lo ritroviamo in Gabriele D'Annunzio. D'altra parte, una sorte
poco lusinghiera toccò alle teorie del medico e antropologo Cesare Lombroso, che gli
diedero grande fama senza però essere accettate . L'Italia fu inoltre il luogo d'origine del
movimento futurista: una delle prime forme di avanguardia che ebbe una rilevanza non solo
culturale ma anche sociale e politica.

Il «superuomo» di D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio divenne presto uno dei protagonisti della vita culturale italiana ed
europea, grazie anche al suo atteggiamento, passato alla storia come dannunzianesimo,
tutto doveva concorrere alla sua fama di uomo eccezionale al di
sopra della massa e dei mediocri.
La sua consacrazione a uomo-mito avvenne durante l'età giolittiana , aveva affiancato a
quella letteraria un'intensa attività politica, con atteggiamenti aggressivi e provocatori. Si era
distinto per un repentino passaggio dai banchi della Destra a quelli della Sinistra al grido di
"Passo verso la vita" , per protestare contro le proposte repressive di Pelloux.
Nel 1895 D'Annunzio aveva chiarito la propria ideologia, nel romanzo Le vergini delle rocce,
scritto dopo aver letto opere di Nietzsche. Dell'autore tedesco D'Annunzio reinterpetró in
modo assai superficiale l'idea di «superuomo». Per Nietzsche, infatti il «superuomo» é colui
che va oltre l'uomo (il prefisso tedesco über viene tradotto in italiano con super, ma significa
oltre: il superuomo è colui che va oltre, nel senso che va «al di là del bene e del male»,
ritrovando così la natura originaria e autentica dell'uomo). Per D'Annunzio, invece, il
«superuomo è un uomo superiore, che vive una vita impossibile e incredibile agli occhi delle
masse.

Lo scopo della vita? Il piacere


D'Annunzio fu coinvolto nella strategia di lancio pubblicitario del film Cabiria. La pellicola fu
proiettata a Torino il 18 aprile 1914, il regista fu Giovanni Pastrone. In questo caso il nome
D'Annunzio fu utilizzato come una sorta di marchio di garanzia per nobilitare il cinema.
D'Annunzio seppe reclamizzare il mito creato attorno a sé, influenzando larghi strati della
società italiana che idolavano il suo modello di vita ardimentosa. Il personaggio di Andrea
Sperelli, protagonista del romanzo Il piacere ci fa comprendere quanto D'Annunzio fosse
tra i primi a intuire il nuovo carattere di spettacolarità e mercificazione della società.
D'Annunzio propose un modello di vita che affascinó tutta una generazione e che si diffuse
presso i lettori comuni. Lo scopo della vita? Il piacere, quel piacere che la gente comune
assapora assai di rado, ma che è il nettare dei nuovi dei, i divi della società di massa.

Il clamoroso successo di Lombroso


Cesare Lombroso, dopo gli studi di medicina iniziò a operare come un medico militare. Nel
1876 uscì il "Trattato antropologico sperimentale dell'uomo delinquente" nella quale tentava
di applicare il metodo scientifico positivista allo studio dei comportamenti umani. Il successo
fu clamoroso. Lombroso acquisì una grande fama. Il maggiordomo Cabria si aggirava per
taverne e luoghi malfamati in caccia di pericolosi criminali, per convincerli a lasciarsi visitare
dal padrone.
Nel 1905 Cesare Lombroso ottenne all'università di Torino, la prima cattedra per
l'antropologia criminale.

La pericolosa teoria lombrosiana


Lombroso considerò il delinquente «un pazzo atavico», un primitivo che riproduce gli istinti
dei nostri avi. Fu un sostenitore dell'applicazione della statistica alla fisiognomica. Lombroso
passò la vita a misurare crani, facce e piedi di delinquenti. Considerò le tare e le anomalie
fisiche come indici per spiegare la propensione dei singoli individui al delitto. Per Lombroso
esistono due tipi di delinquenti: il delinquente nato, nel quale il comportamento criminale è
insito per natura,e il «delinquente d'occasione», recuperabile perché portato al delitto da
fattori esterni. Il successo di questa teoria durò finché Lombroso visse. Ma quando nel 1909
mori, i suoi libri e le sue teorie furono presto dimenticati. La psichiatria, scartò ben presto,
l'approccio venne giudicato non solo impuntato ma anche pericoloso, in quanto fonte di gravi
pregiudizi. Eppure Lombroso fu anche un fautore della moderna teoria della pena
rieducativa e incentivó per i casi meno gravi le pene alternative al carcere. Ma solo per i
delinquenti occasionali. Per quelli considerati non recuperabili propose i manicomi giudiziari.

La prima avanguardia:il futurismo


Il Futurismo fu l'unico movimento artistico nato in Italia, ma con un respiro internazionale.
L'atto di nascita é " il manifesto del Futurismo" pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti il
20 febbraio 1909 sul giornale" Le Figaro" di Parigi. Marinetti era un intellettuale cosmopolita,
nel 1914 si recò in Russia e la sua presenza fu decisiva per la nascita dell'importante
futurismo russo.
L'ideologia che il manifesto voleva esprimere era l'aggressività e la violenza distruttiva nei
confronti di tutto il passato. Al contrario celebrava l'amore per il pericolo, la ribellione, la
guerra" sola igiene del mondo". Il Futurismo esaltava la nuova civiltà della macchina,
cercava di attingere sensazioni nuove dal mondo della scienza e della tecnica. Dal punto di
vista politico si ponevano a destra, pur rifiutando lo stile di vita e la morale borghesi. Allo
scoppio della prima guerra mondiale assunsero posizioni interventiste e nazionaliste.

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