Per due settimane abbiamo rimuginato il proposito di comperarlo. Tutti i giorni
ci fermavamo davanti alle vetrine, lo guardavamo bramosi. Infine, il giorno del mio compleanno, alle dodici del 5 aprile, abbiamo chiesto quanto costava. «275 fiorini» disse il fruttivendolo, «è un ananas di prima qualità, freschissimo, succoso».
Mia moglie lo trovava caro, io no. Certo, in confronto all'anguria è molto, ma
per un ananas sicuramente no. Lo comperammo e lo portammo via. Dopo averlo sistemato in un portacenere ci mettemmo a guardarlo. Gli giravamo intorno, cercavamo di fare amicizia, gli dicevamo quanto era bello ed esotico. In cima gli era spuntata una specie di palma; forse se l'avessimo innaffiato o messo nell'acqua sarebbe cresciuta rapidamente e avrebbe messo i fiori.
Nell'albergo si sparse subito la notizia che alla numero nove avevano
comperato un ananas. Venne a presentarsi la donna delle pulizie - prima di allora non ne avevamo visto neanche l'ombra - e ci consigliò di sbucciarlo, tagliarlo a fette e lasciarlo riposare uno o due giorni cosparso di zucchero. «Stupidaggini» disse dal pianerottolo una studentessa inglese, «mangiatelo con del rum, è il modo migliore». Un nostro connazionale, con cui fino a quel momento avevamo scambiato solo rapidi saluti, infilò un biglietto sotto la porta: «Non date retta a nessuno - scriveva — bisogna togliere uno spesso strato di buccia, perché l'esterno non è commestibile, ma la polpa va consumata così com'è».
La sera lo sbucciammo e lo mangiammo. Non aveva nessun sapore. Era
leggermente peggio di una zucca. Nature, con zucchero o rum, non cambiava. Lo inghiottimmo con gran fatica e ci bevemmo sopra un bicchiere d'acqua. Due giorni dopo incontrammo la ragazza inglese nel corridoio. «Vi è piaciuto? » si informò. «Molto» risposi. Lei sospirò. «È inutile», disse, «l'ananas è ananas».
Da allora mi fermo spesso furtivamente davanti al banco del fruttivendolo e