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István Örkény, Prestigio

Per due settimane abbiamo rimuginato il proposito di comperarlo. Tutti i giorni


ci fermavamo davanti alle vetrine, lo guardavamo bramosi. Infine, il giorno del
mio compleanno, alle dodici del 5 aprile, abbiamo chiesto quanto costava. «275
fiorini» disse il fruttivendolo, «è un ananas di prima qualità, freschissimo,
succoso».

Mia moglie lo trovava caro, io no. Certo, in confronto all'anguria è molto, ma


per un ananas sicuramente no. Lo comperammo e lo portammo via. Dopo
averlo sistemato in un portacenere ci mettemmo a guardarlo. Gli giravamo
intorno, cercavamo di fare amicizia, gli dicevamo quanto era bello ed esotico. In
cima gli era spuntata una specie di palma; forse se l'avessimo innaffiato o
messo nell'acqua sarebbe cresciuta rapidamente e avrebbe messo i fiori.

Nell'albergo si sparse subito la notizia che alla numero nove avevano


comperato un ananas. Venne a presentarsi la donna delle pulizie - prima di
allora non ne avevamo visto neanche l'ombra - e ci consigliò di sbucciarlo,
tagliarlo a fette e lasciarlo riposare uno o due giorni cosparso di zucchero.
«Stupidaggini» disse dal pianerottolo una studentessa inglese, «mangiatelo con
del rum, è il modo migliore». Un nostro connazionale, con cui fino a quel
momento avevamo scambiato solo rapidi saluti, infilò un biglietto sotto la
porta: «Non date retta a nessuno - scriveva — bisogna togliere uno spesso
strato di buccia, perché l'esterno non è commestibile, ma la polpa va
consumata così com'è».

La sera lo sbucciammo e lo mangiammo. Non aveva nessun sapore. Era


leggermente peggio di una zucca. Nature, con zucchero o rum, non cambiava.
Lo inghiottimmo con gran fatica e ci bevemmo sopra un bicchiere d'acqua. Due
giorni dopo incontrammo la ragazza inglese nel corridoio. «Vi è piaciuto? » si
informò. «Molto» risposi. Lei sospirò. «È inutile», disse, «l'ananas è ananas».

Da allora mi fermo spesso furtivamente davanti al banco del fruttivendolo e


guardo bramoso gli ananas.

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