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Capitolo 2

NOMI E COGNOMI

Rientrai a casa il giorno dopo intorno alle quattro del pomeriggio.


Bevetti un caffè e riuscì subito. Andai in moto al mare, a Kòchina,
una spiaggia piccolina di colore rosso a sud ovest di Syros. Avevo
qualche vuoto da ieri. Avevo continuato a bere finché il locale non
ebbe chiuso. Aspettai la barista e poi andammo insieme ai
“Busùkia”, locali dove si suona musica greca dal vivo: la gente siede
sui tavoli oppure al bar e si gode la serata ballando e bevendo. Fiumi
di champagne stappati sul palco mentre l’orchestra suonava i ritmi
orientali, di garofani e di tovaglioli lanciati per aria durante le danze,
qualche piatto o bicchiere rotto nel momento dell’estasi greca. La
barista, il mio amico ed io ci sedemmo al bar in fondo.

Erano le sei di mattina e il locale era gremito di gente. Sentivo


l'odore del fumo e dell’alcol, della pelle profumata delle donne e
degli uomini che si scatenavano nelle danze sul palco, un delirio.
L’orchestra stava suonando il “Ciftetéli tu Burnéli”, una danza del
ventre vecchia e giocosa, un classico del pentagramma greco.
Ordinai un Johnny col giaccio, guardai intorno. Un locale in delirio a
ballare scatenato sulle sedie, sui tavoli, sul bancone del bar.

Verso le otto di mattina l’orchestra alternava tra il twist e il cheek to


cheek, gli unici generi musicali stranieri che sono riusciti ad entrare
in quel mondo a sé, nell’intrattenimento notturno dei Busùkia, il
tempio del divertimento dei greci. Finì il mio ennesimo whisky e
andai in bagno. Era tutto occupato quindi mi toccava aspettare. Non
volevo pensare più a lei, alla furba diciottenne, doveva svanire dalla
mia testa, dovevo ritornare in me. Se fossi riuscito a portarla a letto
non so come l’avrei trattata. Forse l’avrei umiliata scopandola fino a
farle perdere il fiato pregandomi di smettere. Forse l’avrei scopata
con amore per quel suo carattere indomabile, per quell’astuzia che
non guardava in faccia a nessuno. Non lo so e sinceramente non me
ne fregava più un cazzo.

Il bagno si liberò ma non feci in tempo a entrare, o almeno così


pensai. Quella sera il destino era di buon umore. Una ragazza alta,
mora con i capelli cortissimi, occhi neri, veramente figa, visibilmente
ubriaca era entrata nei bagni degli uomini e si era fiondata verso
dove aspettavo per entrare.

«Scusi signorina, questo bagno è riservato agli uomini», le dissi


scherzosamente.. Se quella me l’avesse data l’avrei sposata.

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«Ah! Non avevo fatto caso», rispose la mora con una voce che
resuscitava i morti.

«Ci mancherebbe, prego, vai, non c’è problema».

«Ma no, aspetto, veramente», insistette la mora.

«Non ti preoccupare vai, altrimenti mi offendo..», lanciai la prima


frecciatina sperando di capire che effetto le avesse fatto.

«Allora se ti offendi entriamo insieme».

Quella donna era il sesso in anima e corpo.

Non volevo uscirne più.

Quella notte andai a casa sua e continuamo a scopare fino al primo


pomeriggio.

Nuotai tantissimo, nuotai lentamente. Sentivo la freschezza


dell’acqua togliere dalla mia pelle l’odore della notte. Bagnai la
testa, mi sentivo leggero, sott’acqua il peso si era dimezzato. Sulla
spiaggia non c’era nessuno. Uscì dall’acqua e mi asciugai subito. La
giornata era calda ma ormai l’autunno era alle porte, non si poteva
più godere il caldo d’Agosto. Mi missi gli occhiali e feci un sorso dal
frappé che avevo comprato da un bar al porticciolo di Fìnicas. Accesi
una sigaretta. Stavo bene, ero il re del mondo. Ero rilassato e
contento e incoronavo quel benessere con la vista suprema del
mare calmo e delle isolette che spuntavano qua e là in lontananza.
Ero seduto vicino a un ombrellone fatto di paglia dalla parte opposta
degli scalini per arrivare sulla spiaggia . Guardavo il mare, bevevo il
mio frappé col ghiaccio; la sigaretta che fumavo mi rilassava i
muscoli. Mi sdraiò sull’asciugamano e mi addormentai subito. Il mio
corpo stanco si spense, il cuore aveva bisogno di ritrovare il suo
battito regolare sconvolto dall’alcol, dal sesso e dal tabacco.

Mi svegliai dopo un’oretta, rimasto esattamente nella stessa


posizione di come mi ero addormentato. Il sole splendeva ancora,
erano quasi le sette. Feci un sorso di frappé senza alzarmi, non mi
sarei alzato per nessun motivo. Accesi un’altra sigaretta. Non
pensavo a nulla, guardavo il fumo espandersi per poi unirsi con
l’azzurro che regnava dovunque. Strano però, questa sigaretta
sapeva proprio di erba... Feci un altro sorso di frappé. Mi misi seduto
per sentire meglio l’odore della mia sigaretta. Era una Camel
normale. Notai una persona dall’altra parte della spiaggia. Una
donna sdraiata mi teneva di spalle. Ecco da dove arrivava l’odore
d’erba. Aveva i capelli bagnati, forse era lì da un bel po’. Leggeva un

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libro e il fumo denso che hanno solo i cannoni si espandeva su tutta
la spiaggia. Proprio un bel cannone signorina.

Trovai patetico alzarmi per chiedere i documenti a quella ragazza,


però d’altro canto non potevo stare lì inerte mentre lei si fumava il
suo cannone. Se fosse venuto qualcuno e avesse visto la scena poi in
caserma mi avrebbero rotto i coglioni. Però che gambe... Da lì dove
ero seduto vedevo due gambe infinite e i piedini che accarezzavano
la sabbia bagnata dall’acqua marina. Aveva una borsa da mare a
righe ed un asciugamano azzurro; la sua schiena era coperta con un
pareo anch’esso azzurro.. Accesi un’altra sigaretta e feci un sorso di
caffè. È domenica anche per me. Non ho voglia, sono fuori servizio.

Girai prono e iniziai a leggere il mio libro ma non riuscivo a


concentrarmi, troppe cose erano successe nelle ultime ventiquattro
ore. La bimba, la sua presa in giro, la mora, l’alcol.. io. Chiusi il libro e
mi alzai per rientrare in acqua.

Mi tuffai, andai lontano nuotando lentamente. Rimasi in acqua


parecchio pensando a tutto e niente poi tornai a riva. Uscì dal mare
dalla parte della spiaggia dove era sdraiata quella ragazza, ero
curioso di vederla da vicino. Mentre mi avvicinavo notai che si era
addormentata. Notai le sue gambe lunghe, il suo pareo che copriva
parte della sua schiena e del suo culetto, i suoi capelli ancora
bagnati le ornavano il viso... di lei, della mia bimba. Maledetta
isoletta, piccola come quella spiaggia. Perché la vedevo ovunque?
Stava diventando una tortura cinese.

Ero a un paio di metri lontano da lei, mi avvicinavo come ipnotizzato


dal fascino del suo corpo femminile e lei mi avvertì, aprì gli occhi,
chinò la testa e mi vide. I nostri occhi si incrociarono. Distolsi subito
lo sguardo e mi avviai diretto al mio posto senza aspettare la sua
reazione. Presi le mie cose e andai via. Lei non disse né fece nulla.
Mi sentì imbarazzato da morire e perplesso per quella mia fuga da
sociopatico. Lei non fece assolutamente nulla, richiuse gli occhi e
continuò a dormire sfatta dal personal che si era appena fumata.
Chissà dove era finita ieri. Non so nemmeno se mi riconobbe oppure
no. Presi la mia roba e andai via. Ero saturo di tutto.

20/07/2004

Passarono tre anni prima che la rivedessi, era inverno ed era di


nuovo in caserma. Entrai alle nove di mattina con il frappé in mano e
andai in ufficio salutando tutti formalmente. Era una giornata
invernale, tirava un vento forte e il mare era veramente mosso. La

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caserma si era trasferita alla vecchia scuola superiore, un palazzo
decadente che si affacciava sul mare aperto. Uscivo raramente sul
balcone perché era pericolante ma la vista era spettacolare.

Non c’era molto da fare, la prima persona arrivò verso le dieci. Era
una signora grassa e logorroica che voleva denunciare lo
smarrimento del suo passaporto. Sbrigai con noia la procedura, la
signora firmò il verbale dopo mille chiacchiere e finalmente se n’è
andò. La porta venne bussata subito dopo. Mi serviva un attimo per
fare un sorso di caffè e un tiro di sigaretta. Feci due tiri vicino alla
finestra poi la spensi, tornai al mio posto.

«Avanti!».

Entrò lei. I suoi capelli erano lunghi, legati in alto e rasati da un lato,
si intravedevano alcuni rasta spuntare dalla sua coda di cavallo e
aveva un piercing al naso. Aveva un’aria severa e sfatta, che tuttavia
la rendeva irresistibile. Buongiorno principessa, pensai con ironia.
Era visibilmente infastidita di trovarsi in questura, di essere in
quell’ufficio insieme a uno sbirro. Non so se mi aveva riconosciuto,
non mostrò nessuna reazione quando mi vide. Disse subito:

«Dovrei rinnovare il mio passaporto e fare la patente».


«Per la patente deve rivolgersi alla motorizzazione, riguardo
il passaporto ha tutti i documenti che servono?», chiesi
cercando di nascondere la mia agitazione.
«No, non ce li ho. Cosa serve?»
«Prenda questo foglio e faccia quello che c’è scritto. Poi
ripassi».
«E per la patente?».
«Noi non ci occupiamo di patenti, vada in motorizzazione»,
le risposi secco senza guardarla, non potevo reggere la
situazione.
«Va bene… ciao», replicò e uscì con passi sicuri e snervanti.

Uscì dall’ufficio portando co sé la sua arroganza, il suo profumo e il


suo fascino. Avevo una sensazione di vuoto per averla rivista solo
per un istante e un’agitazione fastidiosa nell’idea di rivederla il
giorno dopo. Non capivo perché quella ragazza mi faceva così tanto
effetto, non aveva senso. Nutrivo istinti primordiali, mi ero
ossessionato di lei, fantasticavo di prenderla in qualsiasi posto e
occasione. In questi anni la pensai molto, la cercai inconsciamente
ovunque andassi. Fantasticavo di fermarla in un posto di blocco,
arrestarla per qualche cazzata che avrebbe sicuramente combinato
e portarla in caserma; guardarla impassibile mentre mi supplicava
con le lacrime agli occhi, sfatti dall’alcol e dalle canne; vederla

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dimenarsi per i guai che avrebbe dovuto passare, fare un ghigno per
ogni cosa che si sarebbe inventata e poi, e poi? E poi … sì,
scoparmela. Sbatterla sulla scrivania, sul mio letto, sull’asfalto, su
quella spiaggia dove la vidi, sulla sabbia, in mare, volevo scoparla
ovunque!

Qualcuno bussò la porta. Risposi di scatto.

«Un attimo!», ripigliati coglione. La porta si aprì subito ed


entrò un collega.
«Come va? Senti, quella ragazza che è uscita poco fa ti ha
lasciato qualche documento?».
«Deve rinnovare il passaporto e fare la patente, torna
domani con i certificati che servono, perché?».
«È arrivata una segnalazione dall’Italia. La Digos della città
dove abita dice che forse sta portando in Grecia del fumo
per spaccio».
Dall’Italia? Allora è andata all’estero.. E si è fatta conoscere
pure lì, beh cosa normale, con quella faccia che si è
presentata stamattina.

«Ma ti hanno detto il suo nome?», chiesi al collega


«Sì, si chiama Kalipsò Saghinètu».
Kalipsò, finalmente hai un nome.

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