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La pioggia nel pineto (da Alcyone)

La pioggia nel pineto - uno dei testi dannunziani più celebri e noti - viene
scritta con ogni probabilità nel luglio-agosto del 1902, quando Gabriele
D’Annunzio e la compagna Eleonora Duse soggiornavano alla
“Versiliana”, villa signorile presso Marina di Pietrasanta (Lucca), tra
Forte dei Marmi e Viareggio.
La spiaggia e la pineta che fanno da scenario al canto dannunziano
dovrebbero essere quelle di Marina di Pisa, a una cinquantina di chilometri
dalla “Versiliana”.

Metro

Quattro strofe di 32 versi ciascuna, che mescolano versi di misure molto


diverse (si va dal ternario al settenario, dal quinario al senario e all’ottonario,
fino al novenario; alcune coppie di versi ricompongono poi la misura
dell’endecasillabo), tutte chiuse dal nome di “Ermione”.

Le rime sono sparse, e spesso sostituite dall’assonanza.

Praticamente costante il ricorso all’enjambement che, come anche ne La


sera fiesolana, serve a distendere il discorso e il ritmo su più versi.

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione .

Odi? La pioggia cade


su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo vólto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L’accordo


delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo, e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce dal mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere


sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.

Parafrasi

Taci. All’ingresso
del bosco non sento più
alcuna parola che tu possa considerare
umana; ma odo
parole più nuove
che gocce e foglie pronunciano
in lontananza.
Ascolta. Piove
dalle nuvole rade.
Piove sulle tamerici
piene di sale e seccate dal sole,
piove sui pini
con la corteccia a scaglie e gli aghi pungenti,
piove sui mirti
sacri a Venere,
sulle ginestre risplendenti
per i fiori dalla corolla chiusa,
sui ginepri intricati
di bacche che diffondono il loro profumo,
piove sui nostri visi
ormai parte integrante del bosco,
piove sulle nostre mani
nude,
sulle nostre vesti
leggere,
sui freschi pensieri
che l’anima rinnovata dalla pioggia
rivela in maniera inedita,
sul sogno
che ieri
ti ha illuso, che oggi mi illude,
o Ermione.

Senti? La pioggia cade


sulle foglie
solitarie
creando un crepitio che si diffonde costante
e si modifica nell’aria
a seconda che le fronde siano
più o meno fitte.
Ascolta. Risponde
alla pioggia che scende come lacrime
il canto delle cicale
che né la pioggia portata dal vento Austro
né il cielo grigio
spaventano.
E il pino
ha un suo suono, e il mirto
un altro, ed il ginepro
un altro ancora, [e tutte le piante sono come]
strumenti musicali differenti
sotto un numero infinito di dita.
E noi siamo
immersi nello spirito
del bosco,
e condividiamo la stessa vita degli alberi;
ed il tuo volto inebriato
è bagnato dalla pioggia
come una foglia,
e i tuoi capelli
profumano come
le ginestre splendenti,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. Il canto concorde


delle cicale che stanno sugli alberi
a poco a poco
diventa più sordo ed attenuato
con l’aumentare
dell’intensità della pioggia;
ma un canto si unisce
più cupo e sordo
che si alza da là in fondo,
dall’intricata vegetazione lacustre.
Più sordo e più sfumato [questo suono]
diminuisce, si spegne.
Solo una unica nota
ancora vibra, si ferma,
riprende, vibra ancora, si tace del tutto.
Non si sente alcuna voce dal mare.
Ora si sente su tutte le fronde
scrosciare
la pioggia argentata
che purifica,
lo scroscio che si modifica
in base al fogliame che incontra
più o meno folto.
Ascolta.
La cicala
è muta; ma la figlia
del fango lontana,
la rana,
canta dove le ombre sono più fitte,
chissà dove, chissà dove!
E piove sulle tue ciglia,
Ermione.

Piove sulle tue ciglia nere


così che sembra che tu stia piangendo,
ma di piacere; e pare che tu esca,
non bianca ma quasi di colore verde,
dalla corteccia di un albero.
E tutta la vita in noi è fresca
e profumata,
il cuore nel petto è come una pesca
non ancora còlta,
gli occhi tra le tue palpebre sono
sorgenti d’acqua tra le zolle d’erba,
i denti nelle gengive
sono come mandorle acerbe.
E andiamo tra i cespugli,
ora insieme ora separati
(e la forza selvaggia e primitiva degli arbusti
ci lega le caviglie
ci stringe le ginocchia)
chissà dove, chissà dove!
E piove sui nostri volti
ormai parte integrante del bosco,
piove sulle nostre mani
nude,
sulle nostre vesti
leggere,
sui freschi pensieri
che l’anima rinnovata dalla pioggia
ci rivela,
sulla favola bella
che ieri
ti ha illuso, che oggi mi illude,
o Ermione.
Note

V.1 Taci: il poeta si rivolge alla donna che lo accompagna (Ermione)


nella passeggiata invitandola al silenzio, per percepire con estrema
attenzione i suoni straordinari della natura (alla stessa funzione
richiamano anche i versi: v.8: ascolta; v.33: Odi?; v.40: Ascolta; v.65:
Ascolta, Ascolta; v.88: Ascolta).
V.4parole...umane = parole pronunciate da esseri umani;.
V.6parole...che parlano = parole straordinarie (più nuove) pronunciate da
gocce e foglie del bosco: personificazione della Natura
V.10Piove su = una lunga serie di anafore (piove su…piove su…piove su..)
caratterizza i vv.10/25 e contribuiscono a dare ritmo e musicalità alla lirica
ed a sottolineare l'insistenza della pioggia;
V.10 e seg.su le = anche la divisione della preposizione articolata –sulle- in
preposizione –su- e articolo –le- ha l’intento musicale di riprodurre il suono
del ticchettio della pioggia;
V.10tamerici = arbusti sempreverdi impregnate di salsedine (salmastre) e
bruciate dal sole (arse); D’Annunzio sceglie termini inusuali per gli effetti
fonici che creano: l’insistenza sui suoni della - t - e della - r - che si
inseguono nei due versi. Le “tamerici” (un arbusto tipico della vegetazione
mediterranea) costituiscono poi un rimando intertestuale a Pascoli.
V.13scagliosi: con la corteccia a scaglie;
V.13irti: per le foglie aghiformi.
V.14-15mirti divini: il mirto è pianta sacra a Venere, nella mitologia
classica.
V.16fulgenti...accolti: risplendenti di fiori, raccolti in grappoli (accolti) o chiusi
per la pioggia;
V.19coccole aulenti = bacche odorose.

Dal verso 20, dopo essersi concentrato sui colori e i profumi della
natura, il poeta passa ai suoni e in particolare alla descrizione del cadere
della pioggia sugli elementi naturali, su se stesso e sulla sua donna
(sulle mani, sulle vesti e persino sui pensieri) in un processo di
metamorfosi che li porterà ad assimilarsi alla vita vegetale del bosco.
V.20-21volti silvani: divenuti del colore e della sostanza del bosco –
latinismo, da silva. [inizia la descrizione della metamorfosi].
vestimenti = abiti.
V.26 e seg.su i freschi pensieri…m’illude = sui pensieri resi nuovi dalla
pioggia, nati dall’anima purificata (novella), sulla vicenda d’amore che lega
l’uomo alla donna (favola bella: richiama Petrarca, Il Canzoniere "la mia
favola breve", ma l'immagine della favola come metafora della vita era
già classica, vedi Cicerone, Seneca) fatta di alterne illusioni [di poter
conseguire la felicità] (che ieri ti illuse, che oggi mi illude).
La pioggia purifica e il bosco ma anche i due amanti: la loro anime e la
loro storia d'amore.
V.29la favola bella: si tratta delle illusioni umane, che nutrono sia il
poeta che Ermione, ma da cui ora, nell’atmosfera trasognata della
pineta, entrambi si stanno svincolando.
V.32Ermione: nome della mitologia greca - Ermione è figlia di Elena e
Menelao - con cui qui, e in altre liriche di Alcyone, D'Annunzio chiama
Eleonora Duse).
Importante è il ruolo svolto nella poesia della ripetizione:
-di parole tematiche (piove, pioggia, odo, odi, ascolta
-del vocativo Ermione
-del blocco dei vv.20-32 che ritorna nella conclusione.
V.35-36su la solitaria verdura = sul fogliame della pineta deserta. vv.35/36
rima baciata: verdura/dura.
V.36 e seg.con...rade = il suono della pioggia (crepitio – termine
onomatopeico, suggerisce il suono che indica) varia a seconda del fogliame,
più o meno fitto, su cui cade.
V.41pianto = la pioggia, il pianto del cielo. Il tema della pioggia e la
similitudine col pianto è centrale in tutta la raccolta Alcyone e in
generale nelle Laudi, e viene sviluppato anche ne La sera fiesolana
Si aggiunge ai suoni creati dal cadere della pioggia il canto delle cicale (vv.
41/42).
V.43che il pianto…cinerino = che né la pioggia portata dall’Austro
(australe = perchè portata dall'Austro, vento del Sud), né il cielo
grigio, nuvoloso (cinerino) riescono a spaventare, cioè a far tacere
(non impaura).
V.59 e seg. stromenti...dita = come se gli alberi fossero strumenti musicali
suonati da innumerevoli dita [le gocce di pioggia sono paragonate a dita
di musicisti].
Vv.53-54 spirto silvestre = nello spirito della natura che anima il bosco
V.55d’arborea vita viventi = il poeta ed Ermione perdono la loro identità
di esseri umani per assimilarsi alla natura.
V.56ebro: di gioia per il piacere dell'immersione naturale, quasi in estasi.
molle = , bagnato
V.65L'accordo = il canto concorde (delle cicale);
V.66aeree = perché cantano tra i rami e il loro frinire si diffonde nell'aria (al v.
89 la cicala è detta figlia dell'aria);
V.68sordo = smorzato, attenuato;
V.69-70il pianto che cresce = la pioggia che cade più fitta.
V.71un canto vi si mesce = un canto di rane, come apparirà dai versi
seguenti, si unisce;
V.74dall’umida ombra remota = da un punto lontano nel fitto bosco bagnato
dalla pioggia;
V.76s'allenta = si fa più debole;
Vv78-79Trema…si spegne = le allitterazioni e le rime contenute in questa
serie di verbi riproducono l’affievolirsi e lo spegnersi del canto delle
cicale; l’andirivieni delle sensazioni uditive, sfumate ed impercettibili, è
reso qui con la giustapposizione per asindeto dei verbi
V. 80 Non s'ode voce del mare: questo verso in sé concluso serve per
introdurre uno stacco, un attimo di silenzio nella sinfonia musicale (cfr.
Simbolisti francesi Mallarmé, Rimbaud) prodotta dai suoni della natura. Il
Mare: è il Tirreno.
V.81la fronda = la vegetazione;
V.82Crosciare = scrosciare;
V84che monda = che pulisce, purifica;
V.85Croscio = lo scroscio, il cadere della pioggia;
V.79la figlia dell'aria = la cicala;
V.91limo = fango, allusione allo stagno popolato di rane;

Dal verso 95 si compie la trasformazione metamorfica del poeta e di


Ermione da creature umane a creature vegetali, completamente
assorbite dalla realtà naturale.
V.99-101ma...esca: Ermione nel colmo della metamorfosi, appare
verdeggiante (virente) come se fosse uscita dalla corteccia (scorza) di
un albero.
V.103aulente = profumata;
V.104-109il cuor nel petto…acerbe = il cuore nel petto è come una pesca
non ancora colta (intatta – cioè ancora unita alla linfa vitale della natura), gli
occhi sono come sorgenti d’acqua (polle) nell’erba, i denti nelle gengive
(alveoli) come mandorle acerbe (cioè bianchissimi).
V.110di fratta in fratta = tra i cespugli;
V.111congiunti = insieme; disciolti = separati;
V.112il verde vigor rude: la forza (vigor) selvaggia e primitiva (rude) degli
arbusti; gli sterpi aggrovigliati del sottobosco folto e intricato;
V.113malleoli = caviglie;
V.114c'intrica = ci impaccia;
V.115chi sa dove, chi sa dove!: nell’andare senza meta - richiama il v.94,
l'indeterminatezza e la vaghezza, usata per la rana, ritorna per indicare
il vagare senza meta dei due amanti divenuti due creature non più
umane.
V.116 e seg. E piove = come in un cerchio la lirica si conclude
riprendendo il brano della prima strofa (vv.20/32) con una leggera
differenza relativamente al tema dell’illusione (“che ieri/m’illuse, che oggi
t’illude”), differenza introdotta solo per motivi di musicalità dell'opera e non per
particolari intimi significati.

Commento

Lirica tra le più belle e le più famose di D'Annunzio (composta nel 1902), una
sorta di orchestrazione musicale, una composizione sinfonica, per
l’abilità del Poeta a sfruttare ogni strumento fornito dalla lingua e dalla
retorica e per l'uso attento della parola per creare sequenze sonore, i
toni e i rumori provocati dalla caduta delle gocce di pioggia sulla
vegetazione.

La scena si svolge in una pineta lungo il mare dove il Poeta e la


compagna, Ermione (Eleonora Duse), stanno passeggiando. Sorpresi
da un acquazzone estivo subiscono una sorta di metamorfosi che li
porta a perdere la loro umanità per trasformarsi in elementi vegetali (è
il cosiddetto panismo dannunziano, il sentimento mistico di unione con
la natura).
La pioggia crepita sui rami, alzando i profumi e sollevando gli umori
del sottobosco, producendo un effetto musicale cui si aggiungono poi il
canto delle cicale e, quando il rumore della pioggia cessa, il verso
isolato di una rana.
La descrizione del verde è estremamente puntigliosa, affidata ai nomi propri di
ogni pianta ed arbusto, con l’intento di cogliere le molteplici sfumature di
colore dell'ambiente.
Nella lirica emergono i due temi cari alla sensibilità decadente di
D’Annunzio: il tema naturalistico-musicale della descrizione della
pioggia e dei suoni che produce e il tema fantastico-magico della
progressiva assimilazione dell’uomo e della donna alla vita vegetale.

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