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Nel luglio e nell’agosto del 1911, approfittando della sospensione

degli scavi sul sito dell’antica Karkemiš, a cui era stato invitato a
partecipare, un Lawrence ventiduenne vagabonda lungo il corso
dell’Eufrate fino a raggiungere Aleppo. Da lì si recherà in treno a
Damasco e poi a Beirut dove lo attende una nave che lo riporterà
in Europa. Lungo il percorso, visita e studia alcune di quelle
architetture militari già oggetto della sua tesi di laurea, cerca e
acquista antichi sigilli. Ogni sera, o il mattino seguente, registra
spostamenti, cose viste, incontri e il suo mutevole stato di salute.
Agli appunti affianca un’ampia documentazione fotografica (solo
in parte conservata) e diversi schizzi e disegni.
I motivi di interesse per queste pagine sono tanti. Le loro stringate
annotazioni evocano in poche righe l’atmosfera e quasi il profumo
di un mondo affascinante e perduto, e soprattutto ci aprono a una
più completa e profonda comprensione del futuro Lawrence
d’Arabia. È forse proprio in questi anni che si forma la sua
personalità, di cui già riconosciamo il tratto nervoso e febbrile,
l’amore appassionato per i mondi e le culture che attraversa e
anche quello squisito gusto letterario che contribuirà a fare di lui
uno dei maggiori scrittori del ’900.
Questo piccolo, prezioso libro, finora inedito in Italia, merita
l’attenzione di chiunque voglia conoscere a fondo una delle figure
più imponenti e meno comprese del XX secolo.

1
Figlio illegittimo di un baronetto irlandese, archeologo di
formazione, traduttore e fine letterato, THOMAS E. LAWRENCE è
oggi universalmente noto come Lawrence d’Arabia. I suoi libri
(cominciando dal più famoso, I sette pilastri della saggezza) sono
costantemente ripubblicati, mentre la sua personalità ambigua e
misteriosa non cessa di affascinare.

2
I Leoni

3
Thomas E. Lawrence

DIARIO DI UN VIAGGIO LUNGO


L’EUFRATE

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catalogo.

In copertina: Harran, bassorilievo di un leone (foto di T. E. Lawrence)

Traduzione dall’inglese di Davide Platzer Ferrero (Il Quadrante s.r.l.)

Titolo originale: Diary of A Journey across the Euphrates

© 2021 Lindau s.r.l.


corso Re Umberto 37 - 10128 Torino

Prima edizione: maggio 2021


ISBN 978-88-3353-673-6

5
Il percorso del viaggio di T. E. Lawrence

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Nota dell’Editore

Nel luglio e nell’agosto del 1911, approfittando della


sospensione degli scavi sul sito dell’antica Karkemiš, a cui era
stato invitato a partecipare, Thomas Edward Lawrence, Ned per i
familiari, vagabonda lungo il corso dell’Eufrate fino a raggiungere
Aleppo. Da lì si recherà in treno a Damasco e poi a Beirut dove lo
attende una nave che lo riporterà in Europa.
Lawrence non è nuovo ai vagabondaggi. Per tre anni
consecutivi, nel 1906, 1907 e 1908, dunque tra i diciotto e i
vent’anni, ha trascorso l’estate, girando la Francia per lo più in
bicicletta, per studiare l’architettura medievale.
Nell’estate del 1909 ha viaggiato in lungo e in largo per la Siria
per preparare quella tesi sui castelli crociati con cui concluderà gli
studi a Oxford nell’anno successivo.
Anche il 1910 lo ha visto soggiornare in Medio Oriente.
Durante l’inverno, a Jebail, in Libano, si è dedicato allo studio
dell’arabo.
Nel 1911 è chiamato da D. G. Hogarth, archeologo e
conservatore dell’Ashmolean Museum (e poi membro di
quell’Arab Bureau che avrebbe svolto un ruolo così importante
nella sua vita) sugli scavi di Karkemiš, cui si faceva prima cenno,
sospesi i quali ha inizio il viaggio documentato in queste pagine.
Per un mese, ogni sera, o il mattino seguente, Lawrence
annota gli eventi della giornata. Come il lettore potrà constatare gli
appunti di Lawrence sono a un tempo molto accurati ed
estremamente sintetici, tanto che spesso ricorre a ellissi o
abbreviazioni. È possibile che questo diario, così secco e
minuzioso, costituisse il punto di partenza di un libro da scrivere e
che non fu mai scritto.
Alle annotazioni si affiancano per altro un’ampia
documentazione fotografica (solo in parte conservata) e diversi
schizzi e disegni.

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I motivi di interesse per queste scarne pagine sono tanti.
Innanzitutto in esse troviamo evocati paesaggi, genti, storie,
costumi di un Oriente prossimo nello spazio, ma attardato in modi
di vita che risalgono molto indietro nel tempo. Soltanto le città,
nelle zone attraversate da Lawrence, sembrano ospitare una vita
più intensa. Nei villaggi i ritmi sono quelli lenti e sempre uguali che
hanno caratterizzato per millenni molte aree del pianeta.
Queste pagine ci aprono però anche a una più completa e
profonda comprensione del futuro Lawrence d’Arabia. È forse
proprio in questi anni che si forma il carattere di questo singolare
incrocio di sangui e storie diverse. Suo padre, Sir Thomas Robert
Tighe Chapman, era infatti un proprietario terriero angloirlandese,
sua madre, Sarah, la sua governante scozzese.
Balza innanzitutto agli occhi l’attività febbrile, mai interrotta
nonostante il caldo e le spesso precarie condizioni di salute. La
stoica sopportazione di fatiche, disagi e ripetuti malesseri fisici
sembra anticipare le prove che dovrà affrontare durante la rivolta
araba.
Colpisce poi l’approfondita conoscenza dei luoghi e della
lingua. Si muove sul terreno senza apparente difficoltà, quasi
sempre a piedi. Comunica agevolmente con tutti, nonostante la
grande varietà di dialetti e inflessioni che caratterizza l’arabo. Del
resto sembra aver completamente assimilato i costumi locali. Se
ciò che mangia e beve viene quasi quotidianamente ricordato,
non c’è traccia del minimo disagio o di un qualche rimpianto per le
abitudini gastronomiche della patria lontana.
Perdura l’interesse per l’architettura militare, che lo
accompagna da quando era ragazzo. Il suo è un approccio da
studioso che anche nelle situazioni più disagevoli osserva,
misura, disegna, fotografa.
Ma qui e là emerge anche il futuro letterato, che potremmo
riconoscere come uno dei maggiori scrittori del ’900, se la fama
conquistata sul campo di battaglia e la leggenda che ne è seguita
non facessero velo.
Il 23 luglio cita Blake, il visionario poeta e artista inglese.
Giovedì 3 agosto parla di Rabelais, il Santo Graal (chissà se
leggeva Chrétien de Troyes, Robert de Boron, Wolfram von
Eschenbach o la Queste del Saint Graal), Rossetti (le poesie di
Dante Gabriel, che oggi ricordiamo soprattutto come grande
pittore preraffaellita?), Roland (verosimilmente la Chanson de

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Roland, il grande poema epico del Medioevo francese). È, visto
oggi, un singolare assortimento di autori, ma in realtà molto
rivelatore delle passioni, e forse delle ossessioni, del Nostro:
soprattutto il Medioevo, un Medioevo storico e anche molto
fantasticato, di sicuro un’epoca in cui erano ancora possibili quelle
grandi imprese che la società borghese sembrava escludere e
che potevano rappresentare ai suoi occhi un modo (il solo?) per
riscattare la sua condizione di figlio illegittimo, in un’epoca in cui
questo era considerato poco meno di un marchio di infamia.
In tutti questi diversi elementi – anche la fugace apparizione di
Dahoum, il misterioso compagno morto giovanissimo, forse
dedicatario dei Sette pilastri della saggezza, per il quale, giunto a
Beirut, cercò di procurarsi libri di storia e di geografia (come risulta
da una lettera) – possiamo leggere in filigrana, sia pure a
posteriori, l’annuncio di tutto ciò che verrà: l’epopea del deserto, la
delusione, la rinuncia, l’esilio, l’annichilimento. E l’importante –
anche se sempre sottovalutata – opera letteraria.

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DIARIO DI UN VIAGGIO LUNGO L’EUFRATE

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Intorno a mercoledì 12 luglio

Ho lasciato Tell Ahmar1 e camminato per circa un’ora. Poi,


avendo sete, mi sono avvicinato ad alcune tende curde, dove si
erano fermati gli abitanti di alcune case lì vicino. Mi hanno dato
leben2 e pane d’orzo; non hanno accettato denaro.
Camminato poi per altre tre ore fino a raggiungere il khan3, che
era deserto: incontrato uno o due abitanti del villaggio. Un certo
Shirkub mi ha invitato nella sua tenda. Abbiamo mangiato zuppa
d’orzo e latte con il pane, e poi dormito molto bene. Ho visto le
donne che macinavano a mano. Giorno caldo; luna splendente
tutta la notte.

1
Tell Ahmar, sito archeologico nella Siria settentrionale, riconosciuto come l’antica Til
Barsip. Lawrence aveva da poco preso parte a una ricognizione del British Museum per
valutare la possibilità di avviare uno scavo in quel luogo. Tutte le note sono a cura del
traduttore.
2
Alimento di latte fermentato simile allo yogurt, consumato nel mondo arabo.
3
Il caravanserraglio, un edificio con un ampio cortile e un porticato utilizzato per la sosta
delle carovane che attraversavano il deserto.

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Il giorno dopo, giovedì

In piedi prima del sorgere del sole e in marcia a stomaco vuoto


verso Ras al-Ain (quattro ore); fermato poco prima e mangiato
pane e leben in una tenda curda; il capo-tribù molto ospitale; gli
ho dato un hejub1 per lavorare a Tell Ahmar se venissero gli
inglesi; rifiutato denaro. Ripreso il cammino per Ras al-Ain
(mezz’ora) e rimasto lì un’ora e mezza per bere e lavarmi. Luogo
molto piacevole e acqua buona. Nel pomeriggio camminato tra
cespugli di liquirizia e polvere spessa fino a Seruj. Presa una
stanza al khan e cercato inutilmente di sapere qualcosa della
macchina fotografica2. Incontrato Nouri Effendi. Riso e bamya con
pane. Un po’ di febbre.

1
Autorizzazione.
2
Una macchina fotografica gli era stata rubata a Seruj nel 1909 (vedi Letters of T. E.
Lawrence).

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Venerdì

In piedi e subito in viaggio su un carro verso Urfa (1 med.1)


dopo aver dato venticinque centesimi al khanji2; viaggio lento;
visto niente. A Urfa verso mezzogiorno (sette ore). Presa una
camera nel grande khan. Uscito verso le quattro per fotografare il
castello. Fotografato dalla parte ovest, dove si vedono le doppie
porte e la fila di mura dal 3
fino alla fine. Sera calda
e piacevole, con una lieve brezza. Riso e bamya con pane e poi
tenuto sveglio fino a tarda notte da un teatro da quattro soldi nel
caffè sulla strada. La polizia mi ha chiesto i documenti.

1
Med.: medjidie, una moneta dell’Impero ottomano.
2
L’oste del caravanserraglio.
3
Fortezza.

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Sabato

Alzato tardi (attorno alle sei) e andato al castello. Fotografato


l’angolo sud-est, dove il fossato fa una curva ed è sovrastato dalle
poche mura crociate ancora esistenti qui. È rattoppato sul davanti
da pezzi di mura arabe, ma non è brutto. Una foto grandangolare.
Misurato poi il lato est del fossato, e fotografata la metà est del
lato sud con grandangolo dal fondo del fossato. Così ho
fotografato tutto il fossato, fatta eccezione per il lato nord.
Misurata poi la metà est del lato sud e andato a prendere del
pane. Più tardi ho chiesto aiuto a Gracey1 e ho fatto pranzo con
lui. Ha riparato il rilascio della mia Antinous e il mio livello ottico.
Dopo pranzo tornato al castello e misurato fino alle cinque. Deciso
che il lato nord del fossato non meritava una foto. Profondità
media del fossato: circa 40 piedi. Attualmente punto più profondo:
60 piedi, ma in gran parte riempito. Interventi crociati di rattoppo
sono presenti nelle porte d’entrata, nella torre dell’angolo sud-est
e su un tratto del muro nord. Scendendo scattata una foto del
castello da una vietta che corre in direzione nord-est. Questo
scorcio dell’angolo nord-est del castello e della parte posteriore
delle torri d’entrata era abbellito dalla gran quantità di verde
attorno. Di ritorno al khan ho trovato il capo della polizia assieme
a un assistente, che mi ha rimproverato per essere andato in giro
da solo: «I ragazzi potevano tirarle pietre», ecc. Insiste per uno
zaptié2 domani. Avrei dormito perfettamente se non fosse stato
per il dente del giudizio, che mi ha svegliato due o tre volte.
Bevuto del sorbetto di rose ghiacciato che mi ha calmato il dolore.

1
Il dottor Gracey era un missionario a Urfa.
2
Scorta.

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Domenica

Alzato tardi (otto) e datomi una bella lavata. Trovata la polizia


ad aspettarmi ovunque nei dintorni del khan. Salito al castello con
un ometto. Si lamentava del caldo, così l’ho fatto sedere sotto un
arco con del ghiaccio e una ciotola d’acqua e del tabacco, ed era
contento.
Misurato l’interno ecc. Una mattinata piacevole, con una fresca
brezza da occidente. Scattata una foto dell’interno del castello
dall’alta torre a becco all’estremità occidentale. La brezza era
fastidiosa, non sono riuscito a collocare il treppiede. Arrampicarsi
è stato difficile. La torre all’angolo è in tutto e per tutto araba. Poi
ho fotografato la grande entrata (anch’essa araba) dalla cima di
una torre. Deciso che quasi tutto in quel posto è arabo, eccetto il
fossato, alcuni tratti di mura diritti e la torre dell’angolo sud-ovest,
con le due colonne romane. Ho offerto al mio ometto (verso l’una,
nel khan) una mancia di mezzo medjidie. L’ha presa
ringraziandomi, ma poi è tornato dopo mezz’ora, dicendomi che
aveva paura che il capo della polizia potesse venirlo a sapere.
Riposato fino alle tre, poi camminato fino al vigneto e preso il tè e
cenato con i Gracey. Molto gentili entrambi, ma niente di nuovo.
Ritornato verso le nove.

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Lunedì 17 luglio

In piedi verso le quattro, ma c’è voluto parecchio per mettermi


in marcia. Dente abbastanza peggiorato: un ascesso e dolore su
un lato della faccia. Comprato del pane per un metallik1 e salito al
castello. Le mura della città spesse 9-10 piedi. Verso le sei in
cammino per Harran. Nessun contrattempo, campagna ovunque
piattissima: solo enormi tell2 ogni due miglia: attraversato un
torrente poco dopo la metà del percorso. Molti miraggi; provato a
fotografare una pozza senza successo: non è apparso nulla sul
vetro smerigliato. La torre della cattedrale di Harran è rimasta
visibile per quattro ore: allungata per il miraggio, si muoveva e
ondeggiava nella maniera più fantastica, ora tremando da cima a
fondo, ora piegandosi a destra o a sinistra, ora facendo una
profonda riverenza. Giornata molto calda: bevute cinque bottiglie
d’acqua tra le sei e le due e mezza: mai fermato in tutto il tragitto.
Le persone rudi e scortesi, parlavano una specie di turco ed erano
vestite di stracci; i bambini per lo più nudi. Molti cammelli. La
pianura ben irrigata e molto fertile. Sorgo, liquirizia, orzo e
granoturco. Nessuna fonte. Pomeriggio nuvoloso: era coperto in
alcuni momenti. Pianta dei piedi dolorante. La custodia della
macchina fotografica tutta bagnata, dorso e cerniera sformati.
Fortunatamente sembra che poca umidità sia passata all’interno.
La gente del villaggio mi chiamava «sceicco». Breve sosta fuori le
mura di Harran, poi arrampicato attraverso un’apertura dentro la
città. La maggior parte del villaggio si estende a sud-est del
vecchio sito, attorno al castello. Andando lì ho incontrato un
capitano turco che parlava un francese tremendo. Se ne stava
andando dopo aver discusso dell’incarico per un lavoro con lo
sceicco. Nel castello ho trovato lo sceicco, che ne ha fatto la sua
casa. C’era una grande torre poligonale in pietra col soffitto a
volta, profonde feritoie e un pavimento in terra battuta. Al suo
interno lo sceicco, insieme ad altre sette od otto persone, stava
discutendo della perdita di una chiave. Quando sono entrato mi
ha salutato e ha fatto portare tappeti e cuscini, e così mi sono

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seduto. Era giovane, forse sui diciott’anni, con un volto affilato e
decisamente nervoso, rapace, e capelli scuri riccioluti; alto e dalle
spalle ampie; ovviamente magro. Era sceicco solo da un anno,
dalla morte del padre. Abbiamo parlato di molte cose (erano
meravigliati che ci avessi messo così poco da Urfa) e ha messo a
dura prova il mio arabo chiedendomi di descrivergli il governo
locale inglese e le nostre consuetudini matrimoniali. Era anche
curioso di sapere chi ha la dignità di sceicco in Inghilterra. Le sue
maniere erano eccellenti, molto diverse da quelle della gente
comune, perché non prendeva le mie cose, ma aspettava (con
impazienza) che gliele mostrassi. Qualcuno degli uomini aveva
sentito parlare di Jerabis3 (o Gerabis, come dicevano). Erano
interessati all’arrivo della ferrovia. Al tramonto è venuto di persona
a portarmi del cibo: cetrioli, uova sode e un eccellente pane di
frumento, mentre i suoi uomini mangiavano vicino a noi more di
gelso bollite e pane. Ne abbiamo preso un po’ anche noi. Dopo
cena abbiamo parlato un po’, e poi sono andato a dormire. Mi ha
portato le sue migliori trapunte e ho dormito perfettamente, con i
suoi servitori radunati attorno a me. Quando mi sono svegliato
c’era un vecchio tacchino appollaiato su un muretto vicino alla mia
testa, e molti cavalli nel cortile. Ero coricato su una bassa
piattaforma.

1
Moneta di rame.
2
Il tell, parola araba che significa «collina», è un tipo di sito archeologico, il risultato
dell’accumulo e della seguente erosione di materiali depositati dall’occupazione umana
in lunghi periodi di tempo.
3
Jerabis: l’antica Karkemiš, situata tra le attuali Karkamış e Jarabulus (tra Turchia e
Siria), sulla sponda occidentale dell’Eufrate, dove Lawrence aveva lavorato allo scavo
archeologico organizzato dal British Museum. Si trovava sul percorso della linea
ferroviaria della Baghdad Railway.

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Martedì 18 luglio

In piedi all’alba e giro attorno al castello. L’interno l’avevo


visitato con lo sceicco già il pomeriggio del giorno prima. Piedi a
pezzi; dente molto peggiorato. Un lato della faccia infiammato e
gonfio. Il castello edificato in periodi differenti: una parte molto
tardi; nessuna parte pre-araba: prevalentemente blocchi bugnati;
nessuna decorazione in nessun punto. Grandi torri poligonali
fiancheggiano le mura esterne, e c’è una specie di fortezza in
pietra liscia, con bassi contrafforti sugli angoli. All’interno, la volta
è sorretta da due colonne quadrate in una stanza, mentre altrove
ci sono semplici volte a botte. Il castello ha un fossato tutto
attorno; forse una volta con acqua. È una costruzione imponente
ma non così interessante. Belle però le volte. Poi sono andato a
bere il caffè (quattro tazze) con lo sceicco e i suoi uomini, in tutto
trenta o quaranta. Le loro chiacchiere poco interessanti. Più tardi
a piedi fino alla moschea e cercati i capitelli di Miss Bell1. Scattata
una foto del bassorilievo in basalto di un leone (lungo 5,2 pollici e
alto 3,6; spessore 1 piede): era spezzato in due: lavoro
grossolano. Il muso rotto: giaceva appena fuori le mura cittadine,
sull’angolo orientale. Un ragazzo dietro. Era stato ritrovato per
terra, in superficie. Scattata una foto della facciata sud del
castello, non intera ma della metà orientale: mostrava una piccola
torre poligonale e una linea di mura, con il dongione al centro.
Fatto un giro attorno e fotografata la grande torre danneggiata.
All’interno si potevano intravedere i pavimenti e il pilastro centrale,
e le altre parti strutturali interne. Questa torre si erge sul lato
occidentale del castello, difendendo la parte che dà sul villaggio. Il
lato di cui ho parlato prima (quello sud) guarda verso il deserto.
Sono poi tornato alla moschea: non sono riuscito a capovolgere
l’altro grande capitello, e ho trovato quelli piccoli molto
danneggiati al di sotto: cioè i due che ho liberato in parte. Non
molto interessanti, questi piccoli.
Poi ho cominciato sul serio a fotografare lo sceicco. L’ho
fotografato in groppa al cavallo con suo fratello davanti alla

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facciata sud del castello, e poi con un suo amico di fronte alla
camera della torre. Poi fotografato suo fratello ecc. Promesso di
mandargliene le copie tramite Mr Gracey a Urfa: Gracey lo
conosce e gli uomini dello sceicco vanno a Urfa tutte le settimane.
Poi abbiamo mangiato, verso le nove, ancora more stufate,
pane, cetrioli e verdura. Il tutto molto buono, avvolto in foglie di
vite. Lavorato al castello dopo pranzo: misurando ecc. Poi andato
fino al pozzo di Rebecca2. Ci ero stato ieri, fermandomi lì a
riposare per mezz’ora, e le donne che uscivano per andare a
prendere l’acqua mi guardavano, cantando. Alcune mi hanno
offerto acqua dai loro secchi di legno. Il pozzo è sotto di qualche
gradino, e l’acqua profonda, fredda e pulita. Vicino ci sono degli
abbeveratoi per cammelli, forse quelli che usava Eleazaro, perché
sono cose che non si seccano presto. Acqua buona. Bevuta di
nuovo oggi. Lo chiamano Bir Yakub3 e ne sono molto orgogliosi. È
l’unico pozzo fuori le mura. Ho visto anche la porta di Aleppo, una
robetta araba, più ornamentale che difensiva: in effetti, le mura di
Harran sono una scarsa protezione: non sono certamente
fortificate per resistere a un assedio, con cortine lunghe e sottili, e
le torri basse, tutte quadrangolari. Il castello è l’unica fortezza.
C’era un fossato, probabilmente pieno d’acqua, tutto attorno alla
città, e tra questa e il castello. Nessun segno visibile di
un’occupazione pre-bizantina. Lo sceicco inizia a prender
confidenza: oggi mi ha chiamato «fratello», che è una
condiscendenza tra i musulmani: ma ho contribuito ad accrescere
il suo prestigio prendendo parte questa mattina a una sorta di
ricevimento nel suo līwān4 e rispondendo alle domande di tutta la
nobiltà locale. La grande ammirazione per il mio piccolo
teleobiettivo ha portato alla sua sparizione. Sono tornato al
castello e ho concluso che era decisamente tardo: almeno
successivo a Saladino; probabilmente successivo alle crociate.
Non sono state necessarie altre foto. La grande torre danneggiata
è alta all’incirca sessanta piedi. Da quanto ho appreso durante la
nostra chiacchierata serale, lo sceicco qui è solo sostituto di suo
fratello maggiore, che il governo preferisce a Urfa. Sono uomini
dell’antico regime e legati a Ibrāhīm Pascià, con 2500 case sotto
di loro. Questo significa una forza di dieci-dodicimila uomini. La
sera abbiamo chiacchierato a lungo su tutti gli argomenti,
specialmente di politica: lo sceicco ha finito per addormentarsi con

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la testa su un mio ginocchio! Mangiato pane, uva e uova. Dormito
male per il dolore al dente e per le mosche della sabbia.

1
Gertrude Margaret Lowthian Bell (1868-1926) è stata archeologa, politica, scrittrice e
agente segreto britannica. Nel suo libro Syria. The Desert and the Sown descrive i
capitelli a cui si riferisce Lawrence.
2
Vedi Genesi, capitolo 29.
3
Bir Yakub: il pozzo di Giacobbe.
4
Stanza per il ricevimento degli ospiti nelle case arabe dei paesi del Mediterraneo. Con
solo tre pareti e aperto verso nord, è un ambiente fresco usato soprattutto nei mesi
estivi.

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Mercoledì 19 luglio

In piedi alle quattro. Per una volta preso il caffè. Ho chiesto


allo sceicco di mandare qualcuno a cercare il mio teleobiettivo.
Molto poco disponibile, perché voleva che mi fermassi al villaggio
per tutta la giornata, o per sempre. Mi ha offerto in dono due mogli
di prima classe. Le donne qui sono estremamente libere nel
maneggiare i vestiti di altri, infilando allegramente le mani nelle
loro tasche. Non passano mai davanti a qualcuno senza dire
qualcosa. Il messaggero è tornato senza il teleobiettivo. E così lo
sceicco stesso si è messo a cercare, et ne trouva rien dans le
village. Poi è salito in groppa a un cavallo e ha perlustrato il
territorio. Dopo circa un’ora è tornato. Tutto bene! Trovato da un
turco, che lo aveva preso dalla mia scatola a Bir Yakub. Alle nove
abbiamo mangiato uova e midollo bollito e pane. Dopodiché mi
sono congedato molto cerimoniosamente, tra le più sincere
raccomandazioni di non dimenticare la fotografia promessa. Alle
dieci e mezza in viaggio e attraversata una campagna piatta fino a
Simbolat. In tutti i villaggi sono stato caldamente esortato a
fermarmi. In uno dove c’era un tell e in cui ho cercato sigilli, le
donne (che erano sole nel villaggio) mi hanno costretto a entrare
in una casa per riposare, facendomi mille domande mentre mi
davano tazze piene d’acqua per bere e per rinfrescarmi. Dopo
mezz’ora mi sono alzato per uscire e mi hanno dato un grande
pezzo di pane «perché sarebbe stata una vergogna per le loro
case se un ospite se ne fosse andato a mani vuote». Erano arabi.
Dopo Simbolat (con le sue rovine romane) la strada scompariva
sul versante roccioso di una collina e ho dovuto ricorrere
nuovamente alla bussola. Così, ho raggiunto Silaverik in un paio
d’ore, oltrepassandola per fermarmi a «Kilar Khass», un
accampamento curdo in una fondazione romana, dove ho passato
la notte. Erano ospitali, ma le donne scortesi. Parlavano tutti in
arabo. Ho mangiato grano bollito nel leben e ho dormito sul fieno
nuovo nell’aia.

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Giovedì 20 luglio

In piedi alle quattro, dopo una notte perfetta grazie all’abba1


del mio ospite curdo, che non faceva passare neanche un filo di
fieno. Dente molto migliorato: gonfiore ridotto. Piedi doloranti. In
cammino alle quattro e mezza, oltrepassate colline aspre fino alle
sette e mezza. Niente acqua. Alle sette e mezza capitato in un
villaggio curdo in cui non si parlava una parola di arabo. Ho avuto
pane e leben. Mezz’ora dopo disceso nella pianura di Serudj.
Dopodiché ho proseguito per cinque ore piuttosto monotone,
arrancando in pianura, fino a raggiungere Serudj verso le tre. Ho
comprato pane e formaggio e poi dormito fino alle sette circa,
dopodiché sono uscito e ho visto Nouri Effendi. Poi a dormire. La
giornata era stata fresca e nuvolosa, con un rovescio di pioggia
verso le cinque del pomeriggio.

1
Dovrebbe trattarsi dell’abaya, una sopravveste.

22
Venerdì 21 luglio

In piedi alle quattro e mezza dopo una notte disturbata:


all’inizio molto caldo, poi molto freddo; niente febbre. Partito da
Serudj verso le cinque con un pezzetto di pane. Mangiata una
metà nella prima mezz’ora di cammino. Un’ora dopo ero sulle
colline. Negli ultimi due giorni è stato interessante osservare come
nella pianura il vento crei mulinelli, colonne di polvere alte anche
parecchie centinaia di piedi. E questo avveniva in un giorno per il
resto calmo. Camminato sulle colline per cinque ore finché ho
raggiunto il primo rigagnolo della valle dell’Eufrate: grande gioia:
una vista bellissima dal punto più alto del passo della pianura di
Biridjik. Sosta di due ore vicino all’acqua: lavato e ripulito: la prima
acqua pulita da domenica. Poi, verso l’una, ho ripreso il viaggio
fino alle tre e mezza quando mi sono fermato a Serudj Kopru. Si
tratta di un ponte composto di due arcate di calcare sopra un
torrente d’acqua verde e veloce. Dai lati della valle subito sotto il
ponte scaturiscono sorgenti di acqua bella fredda. Lavata la
camicia di riserva e scritte queste righe. Biridjik a un’ora e mezza
di cammino. Mangiata l’altra metà del mio pane. Piedi molto
doloranti, ma a parte questo molto soddisfatto della giornata.
Proseguito poi fino a Biridjik, visto Basili e preso appuntamento
per vedere il falegname il giorno dopo. Dopodiché incontrato il
khoja1, Yasim e Khalil Jadur nel suk: molto contenti di vedermi:
sono venuti tutti da me nella mia stanza del khan nella parte alta
della città, e abbiamo mangiato prugne; li ho congedati verso le
nove. Notte pessima a causa della moltitudine di mosche della
sabbia. Arrivano forse dagli alberi di fronte alla mia finestra.

1
Il khoja era il caposquadra degli scavi.

23
Sabato 22 luglio

Alzato verso le sei. Protetti i piedi con bende (entrambi si


stavano infettando!) e andato dal falegname. Dice che il
tcherkess1 ha comprato le serrature. D’accordo con Basili riguardo
al denaro se mi fermo per l’inverno. Visto il kaimmakam2 e il
comandante riguardo allo zaptié che sarebbe venuto con me da
Nizib in poi; scritte lettere a M.3 e a P.-G., salito al castello, visto il
khoja, e Yasim con il nostro barcaiolo per Tell Ahmar. Anche altri
da Jerablus. Dopodiché comprato del pane e alcune prugne e
sono rimasto coricato nel khan, a leggere e dormire fino alle
quattro. Poi, salito sulla collina sino in cima e fotografato le mura
della città ecc. da sud. Il castello dovrebbe essere dietro questa
collina un po’ verso sinistra. Poi, ridisceso a valle e di nuovo su
per la collina. Ripreso il lato nord del castello da nord-est, in
ombra, controsole, e il lato sud (entrambi verso l’interno) sempre
da nord-est, un po’ dopo lo scatto precedente e con lo stesso
problema di luce. Con questo ho finito i rullini caricati. I prossimi
sono riservati a Rum Kalaat, K. El Nejm e Aleppo. Il dente mi fa
male. Dopodiché andato a letto, cambiando prima i rullini nella
mia stanza. Dormito meglio della scorsa notte, ma ancora molto
male: di nuovo le mosche della sabbia.

1
Tcherkess: adighè. Gli adighè sono una delle più antiche popolazioni autoctone del
Caucaso.
2
Governatore.
3
La madre dell’autore.

24
Domenica 23 luglio

I piedi meglio. Alzato alle quattro, pagato il khan e andato giù


all’imbarco. Comprato del pane, mangiato aspettando il traghetto.
Visto Shemali, che mi ha detto che non c’era lavoro in tutta
Jerablus: portato un messaggio da Dahoum1 che rattristerà il
Kala’at2.
Poi mi sono messo in cammino da Biredjik a Balkis: la strada
andava su e giù sulle colline. A Balkis assolutamente niente. La
strada diventava romana, immergendosi tra le rocce per un lungo
tratto. Molto piacevole poi per una o due ore, in mezzo a una valle
stretta e profonda piena di boschi e alberi da frutto fino a Shard’at,
un grazioso villaggio dove ho litigato con il mukdar3. Pretendeva
da me un tezkere4. Ho rifiutato e ha minacciato di mettermi in
prigione. E così ho cambiato atteggiamento e mi sono scervellato
per cercare di spiegargli. È finita con lui che mi baciava la mano in
lacrime, promettendomi di non fare più il cattivo. Proseguito per
un’altra ora, verso Kiachtan, dove ho cercato la casa del mukdar:
ricevuto bene, anche se un po’ timidamente, perché sono fuori dai
percorsi dei viaggiatori. Il villaggio è costruito su gradini sul
versante nord di una valle stretta, che si sviluppa verso est fino
all’Eufrate. L’acqua scorre ovunque e si sente il rumore del vento
che fa frusciare gli alberi. Per citare Blake: «Una danza di
innumerevoli foglie». Ho pensato molto al suo Jerusalem: dovrei
farmene inviare una copia per l’inverno. Nel villaggio parlano tutti
turco, ma ci sono un tahsildar5 arabo e uno zaptié di Beirut, con
altri due o tre che parlano arabo. Verso le sei e mezza mangiato
burghul e carne, con albicocche stufate e piselli, e con pane
mediocre. Poi, verso le nove, dopo il caffè, mi hanno portato una
splendida trapunta bianca e viola, e sotto di essa ho dormito fino
all’alba.

1
Selim Ahmed (più noto come Dahoum, «piccolo scuro», 1897-1916), che diventerà un
grande amico di Lawrence, lavorò durante gli scavi archeologici di Karkemiš come

25
conduttore di muli. Si crede che la figura di S. A. a cui Lawrence dedica I sette pilastri
della saggezza, «Una persona immaginaria di sesso neutro», sia ispirata a Dahoum.
2
Kala’at: qui intende i manovali negli scavi a Jerablus Kala’at.
3
Il sindaco.
4
Una carta ufficiale attestante che si è autorizzati.
5
Esattore delle tasse.

26
Lunedì 24 luglio

Svegliato all’alba, trovando il villaggio che si agitava attorno al


mio tetto, spazzato da un vento freddo che soffiava con forza
lungo la gola. In marcia prima delle cinque per Rum Kalaat1. I
piedi meglio, il dente pure. All’inizio la strada attraversava
boschetti di pistacchi lungo la sponda dell’Eufrate. Alberi simili agli
ulivi, ma con foglie che sembrano quelle dei peri. I frutti crescono
in grappoli e hanno forma di olive; verdi vicino al gambo, verso la
punta passano dal giallo all’arancio. Grandi quanto piccole olive.
La strada poi, lasciato il fiume, si arrampicava su una specie di
scala della scarpata per circa un’ora, fino a Djarmusly, un villaggio
rupestre incastonato in una fenditura; poi ancora in salita, e, quasi
all’improvviso, una ripida discesa fino alla sponda del fiume di
fronte a Khalfata, un villaggio in Mesopotamia, con la casa del
kaimmakam di Rum Kalaat. Proseguito lungo la sponda del fiume
(pane e leben da una casa) su un sentiero di sabbia, con frutta e
molta acqua, e rampicanti che decoravano gli alberi in alto.
Questo è durato un’ora. Raggiunta Rum Kalaat verso le 10. È
enorme, una città più che una fortezza. Prima è diventata visibile
parte di un grande fossato roccioso, che tagliava fuori la penisola
sul lato sud (terra); poi la scarpata delle mura sull’Eufrate, un
taglio nella roccia di 60-90 piedi. Ho dovuto poi percorrere la valle
del torrente laterale verso l’entrata del luogo, prima di poterlo
attraversare su larghe pietre di passaggio: un corso d’acqua
ampio e rapido, poco profondo. Una volta c’era un ponte.
Camminato lungo l’altro lato della piccola valle fino a metà strada.
Scattata una veduta generale, grandangolare, che mostra il
torrente laterale, le colline e l’Eufrate. Un’altra poco più in là, e
un’altra (lenti normali) della scarpata nord-est della valle, perlopiù
in ombra. Questa potrebbe essere un po’ sfocata. Poi proseguito
fino all’imboccatura della valle e ne ho scattata una dell’Eufrate di
fronte. Sullo sfondo di questa compare un piccolo edificio a cupola
simile a un weli2. Assonnato, e così sono entrato in una grotta e
ho dormito fino alle due. Poi di nuovo in piedi, e 1) fotografata col

27
teleobiettivo la struttura delle caditoie dell’angolo nord-ovest con
un ingrandimento di 13, e uno stop di 22°: esposizione 12
secondi, sul normale di 1/50 nom f. 16. Questa era una foto di
grande formato di tre caditoie. 2) Ho anche fotografato con il
teleobiettivo a 3 ½ mags L.P. tutta la serie di caditoie a f. 11 ed
esposizione di mezzo secondo. Scattate entrambe dall’ombra e la
1) con il paraluce. Queste caditoie sono veramente notevoli. Di
più su di loro dopo. Poi sceso fino al castello (giù e su!).
Attraversate cinque porte, tutte doppie e protette da torri, un
monolito, dentro il cortile esterno. Questo, un piano stretto, corre
in direzione nord-sud e la porta è a Sud. I costruttori di questo
posto, non soddisfatti del muro di 90 piedi e della scarpata,
assolutamente perpendicolare, hanno aggiunto anche un fossato
di pietra sull’esterno. Una volta largo e profondo; adesso tutto il
materiale delle mura e un cimitero lo hanno riempito. Il castello
occupa nel suo complesso la stretta punta di una penisola, un
costone roccioso, in direzione nord-sud. Questo è circondato a est
dall’Eufrate, a ovest dal fiumiciattolo Mezman Su, così come a
nord; la parte sud è l’unica non a precipizio. La cresta del costone
dev’essere alta tra 300 e 400 piedi. Questa è all’estremità sud, la
più alta, ma non alta quanto la roccia dietro il castello a nord e
sud, che lo sovrasta da entrambe le direzioni, anche se a una
certa distanza. Le mura a est e a ovest si estendono per circa
metà della loro lunghezza sopra il costone, e al loro interno le
rocce e le macerie si accumulano ripidamente fino ai pinnacoli
centrali. Il punto più alto è scolpito in modo elaborato e può
essere stato un palazzo, o una chiesa. Secondo la gente del
luogo è un minareto; probabile che lo sia divenuto in seguito, ma
nessuna decorazione è araba. La costruzione sull’angolo nord
della cresta del costone è una moschea, con attorno una corte
lastricata. Tra questa e il «palazzo» è tutto distrutto, fatta
eccezione per fondamenta e cantine scavate profondamente nella
roccia. La vista è limitata ma straordinaria. Il villaggio attuale si
trova attraversato il torrente, sulla sponda nord, dove il corso
d’acqua fa una curva a est e ovest e confluisce poi nell’Eufrate. Ci
sono pioppi e c’è rumore d’acqua. Il costone all’estremità sud è
largo trenta piedi nella parte più alta. Poi per novanta piedi è
ridotto a un sentiero largo otto piedi, come il rasoio in
Westmoreland. Il fossato è largo circa sessanta piedi. Gli ho
scattato una foto dal lato dell’Eufrate, da un punto del castello

28
circa trenta piedi sopra la cresta del rasoio. Non una gran foto, ma
almeno mostra bene il fiume che scorre in basso. Subito dopo ho
lasciato il castello (verso le sei) molto stanco, ma è un posto
meraviglioso, e ho attraversato il Mezman Su di nuovo su quelle
assurde pietre di passaggio: non ho mai camminato su qualcosa
di meno agevole. Mi sono diretto al piccolo villaggio (Kassaba), a
casa del mukdar. Lui non c’era, ma un parente e suo figlio han
fatto gli onori di «casa». Vivono sotto a un chiosco costruito con
pali di legno di fico e rami di quercia, e dormono sul tetto.
Abbiamo mangiato (verso le sette) pane e porridge di leben di
grano, e burghul bollito con pepe e pinoli. Poi a dormire, verso le
otto, abbastanza bene, ma non quanto la notte prima, che era
stata di completo oblio. Forse si dorme meglio sotto una trapunta
di seta viola e bianca!

29
Rum Kalaat, pianta del sito

30
Disegno di Lawrence con una sua annotazione: «Questa è una sezione del fossato.
Come si vedrà, scende per un lungo tratto sul lato dell’Eufrate: è una scarpata
perpendicolare, la linea che la divide è una proiezione, come se la completa larghezza
di taglio non fosse mai stata finita. A 60 piedi un buco può essere stato una postierla, o
un corso d’acqua. Probabilmente con una corrispondenza su un lato del castello, ma
non è possibile raggiungerlo per verificarlo».

1
Qal’at ar-Rum, in turco Rumkale.
2
Una tomba o mausoleo di un uomo santo, spesso meta di pellegrinaggio.

31
Martedì 25 luglio

In piedi alle tre e quarantacinque (alba) e lavato nel torrente.


Mangiato un cetriolo e le donne mi hanno fatto vedere come si fa
il pane. Tra l’altro, nessuno nel villaggio parla una parola di arabo,
e così ho avuto qualche difficoltà. Tutti turchi puri, ossia molto
brutti, dall’aspetto mezzo cinese con gli occhi piatti, nasi larghi e
labbra lunghe e strette dalla pelle sottile. Scritto per un po’ e poi
rimasto a mangiare perché, a parte le grotte abitate, non ci sono
case tra questo villaggio e la mia tappa per la notte. Abbiamo
mangiato insieme burghul e pane. Poi mi sono incamminato lungo
il sentiero che domina il fiume sul lato ovest fino a un punto dove
ho potuto fotografare il fossato di pietra, e sono poi tornato
attraversando il pericoloso passaggio, le pietre che ormai conosco
bene, fino al castello. I piedi non così bene; il dente di nuovo
troppo grande per la mia testa. Ho scattato una foto dell’interno
della torre monolitica, in cui si vedono le volte. Dentro, la torre è
larga diciassette piedi tra i pilastri interni: è la terza porta contando
dall’esterno. La quarta porta, per quanto anch’essa monolitica, ho
pensato che non fosse il caso di fotografarla dato che è solo un
arco. La quinta è una porta araba molto bella a doppio arco. Tutta
la muratura di entrata è araba, e molto bella.

32
33
Sopra: schizzo di Lawrence relativo alla chiave di volta della quinta porta (la più interna)
di Rum Kalaat
Sotto: disegno della porta tratto da Reisen in Kleinasien und Nordsyrien

Le prime due porte sono sovrastate da caditoie. Nel loro


insieme, sono le più robuste e intelligenti tre le entrate esistenti. Il
modo in cui la strada è costretta a curvare su sé stessa per
essere più facilmente sotto controllo, e le svolte ad angolo retto
alla maggior parte delle entrate sono particolarmente intelligenti.
Non ci sono caditoie trappola nei pavimenti, per quello che di essi
si conserva, e non ci sono saracinesche. Le strutture delle
caditoie dell’angolo nord-ovest sono molto piccole dentro: solo
una piccola feritoia di fronte, nessuna di lato. Ho provato a
scattare una foto (in condizioni di luce difficili) del passaggio
attraverso il quale le caditoie comunicano. Ne esiste un altro sotto
di questo, per servire a più feritoie. Ho provato a scattare una
fotografia (grandangolare) del «rasoio», avendolo proprio sotto di
me. L’obiettivo non è sufficientemente ampio da riprendere tutto il
fossato, pertanto la parte più bassa è tagliata fuori. Comunque c’è
quanto basta perché risulti comprensibile. Ho fatto qualche
modifica alla mia Antinous. Poi ho osservato la moschea sulla
parte nord della cresta del costone. È abbastanza semplice, con
una data araba (1236)1 sulla porta interna. È probabilmente molto
tarda. L’intero posto è pieno di rovine arabe. Soltanto le
fondamenta delle costruzioni bizantine sono presenti ovunque. Ho
lasciato il castello verso le nove da una porta posteriore di una
torre dalla parte del fiume e mi sono diretto a Khalfati. Lungo il
cammino ho notato che qui le persone usano zucche, non pelli2,
per nuotare nell’Eufrate: il fiume è piccolo e stretto in questo
tratto, e non così rapido come diventa dopo. Scritte queste righe

34
di fronte a Khalfati. Quindi risalito con qualche sforzo per questo
sentiero da capre per poi ridiscendere la lunga rampa di gradini di
pietra rotti, per circa cinquecento piedi, fino alla pianura
dell’Eufrate. Una fatica di tre ore molto stancante. Sono andato
avanti veloce attraverso Enesh, Kachtin e Shardak fino a Balkis,
un lungo cammino di circa ventisette miglia, ancora sul sentiero
da capre: piedi un po’ doloranti, ma nessun altro danno.
Lunghezza media del passo durante la prima ora: due piedi e
sette pollici. Poi si è allungata: due piedi e nove pollici e mezzo. A
Balkis mi sono diretto alla casa dello sceicco, che è stato ospitale.
Mangiato verso le otto burghul, shineneh3 e pane. Dormito
straordinariamente bene.

1
Il 1236 del calendario islamico corrisponde più o meno al 1858.
2
Pelli gonfiate venivano usate come galleggianti per aiutarsi a nuotare nell’Eufrate e in
altri fiumi della Mesopotamia.
3
Shineneh: latte fermentato.

35
Mercoledì 26 luglio

In piedi alle quattro e mezza; in cammino un’ora dopo verso


Nizib. La strada mi ha portato sulle colline, all’inizio, e poi ad
attraversare un piacevole corso d’acqua pieno di sorgenti.
Dopodiché tra uliveti, vigne e campi di liquirizia per un’ora e
mezza, fino a Nizib. Lì ho comprato pane per due penny, e lo
stesso di uva, e sono andato sul tetto del khan per mangiarli.
Partito verso le dieci dopo aver bevuto un sorbetto ghiacciato di
foglie di rosa distillate – per un metallik, ovviamente – e sceso al
ponte sul Nahr Kezin. Lì ho bevuto e ho proseguito verso Kefr-
Sheikh, il villaggio di Ahmed Effendi, con il quale avevo stretto
amicizia l’ultima volta che ero stato in Siria. Avevo già deciso di
non farmi accompagnare dallo zaptié che avevo richiesto da
Biridjik. I piedi oggi sono quasi a posto dal punto di vista delle
vesciche, e anche l’infezione sulla mano è guarita. Questo
dimostra che c’è ancora molta energia di riserva dalla quale
attingere. Però l’interno del collo del piede destro è di nuovo
crollato. Credo che non ci sarà mai pieno recupero dopo il trauma
della frattura della gamba1. Ora mi fa male al mattino e dopo ogni
sosta, per quanto breve. Ahmed Effendi mi ha ricevuto a braccia
aperte e mi ha offerto un dolce di burghul, cipolle e spezie
amalgamati in una pasta, e leben per mandarlo giù. Non male,
eccetto per le cipolle, di cui puzzo da allora. Ho guardato un
volume di storia della Turchia con lui (è istruito) e poi siamo andati
assieme a una sorgente con un giardino a pochi minuti da casa, e
abbiamo parlato e bevuto tutto il pomeriggio. Sembra gradire
l’arrack2! Verso il tramonto siamo tornati a casa, ci siamo seduti e
abbiamo parlato; lui pregava e fumava. Di tanto in tanto
compariva il caffè, che ci ha sostenuto fino alle otto e mezza,
quando sono stati serviti riso e pollo, leben con ghiaccio e pane.
Dopodiché abbiamo dormito, io molto bene fino all’alba.

1
Si era rotto una gamba nel 1904.

36
2
Un liquore distillato dall’uva.

37
Giovedì 27 luglio

In piedi verso le cinque, e sulla strada già alle sei dopo il caffè
e un pezzo di pane. Camminato per un’ora e mezza fino a Yarım
Tepe, dove c’è una grande sorgente arginata in modo da formare
un bacino. Prima di lasciare Kefr-Sheikh ho comprato un piccolo
cavallo di bronzo ritrovato nei campi nelle vicinanze (¼ med.).
Proseguito fino a Tell Bashar, dove mi sono fermato per dargli
un’occhiata: appariva davvero grande; poi uscito per dirigermi a
Tchiflik, quattro ore di cammino sulla strada di Jerablus.
Campagna del tutto monotona. Cercati sigilli in ogni villaggio, ma
trovato nulla che valesse la pena procurarsi. Tanti del tipo più
comune. Prezzi molto alti nel distretto di Bashar. Piede sinistro
complessivamente a posto oggi. Il destro per niente: l’ascesso ha
suppurato tutto il giorno. Il morso sulla mano destra inizia a
infettarsi. Mano sinistra guarita; una questione di tre settimane. Mi
sto inoltrando adesso in distretti più «arabi». Quasi tutti parlano
qualche parola di arabo qui. Ma da Biredjik parlo più arabo io di
tutte le persone che ho incontrato. Eccetto un ragazzo a Khalfati.
Dopo le tre ho raggiunto Tell Isan sulla strada Aleppo-Biredjik.
Molto stanco. Ho proseguito per un’ora e mezza e ho deviato
volendo andare direttamente a Yasuf Bey. Alla fine ho dormito a
Nughri, un piccolo posto con un «tell» poco prima di Tell Ker.
Sono andato dallo sceicco, povero ma ospitale, e con qualche
idea in testa. È assolutamente convinto (per esempio) che tutti
debbano imparare a leggere. Suo figlio sta imparando. Mangiato
verso le sette burghul e pane, con iran1. Contrattato per alcuni
antikâs2 e poi andato a dormire.

1
Bevanda di yogurt e acqua.
2
Parola araba che indica oggetti d’antiquariato.

38
Venerdì 28 luglio

Primo giorno di Sha’ban1. Il mese prossimo è Ramadan.


Comprate le mie due pietre all’alba per sette piastre e mezza:
uomini riluttanti fino alla notte scorsa mi sono venuti a cercare al
mattino. Un sigillo rotondo, piccolo: apparentemente due figure e
un albero sacro in mezzo. L’altro è un amuleto di pietra rossa
(sigillo in steatite) con una testa di animale: bue, gatto, pecora,
cavallo ecc. Provengono, assieme a un piccolo vaso ittita del
«migliore» periodo di Karkemiš2 (Water Gate House) dal tell del
villaggio. Partito da Nughri verso le cinque e camminato per tre
quarti d’ora fino a un villaggio dove c’è una pietra con una donna
che si tiene i seni. Si è dimostrato solo un orribile rilievo
sepolcrale romano. Proseguito fino a Tell Ker, dove ho mangiato
pane e leben con l’effendi del villaggio. Poi a Hulman, e dopo a
Yusuf Beg, Tell Sha’ir e la grande sorgente nella valle vicino a
Jerablus. L’ho raggiunta verso le dodici e mezza. Ci sono rimasto
fino alle quattro, per lavarmi, radermi, riprendermi, e scrivere
queste righe. Poi ho proseguito (un’ora e mezza) fino a Jerablus.
Ovunque domande ansiose se ci sarebbe stato altro lavoro, o
quando sarebbe arrivata la ferrovia3. Raggiunta Jerablus verso le
sei e ricevuta una grande accoglienza da parte di tutti. Le donne
del khoja hanno cominciato a spazzare e pulire ovunque appena
mi hanno visto arrivare dalle colline. Lui stesso è arrivato in gran
fretta dalla parte opposta del villaggio e per un’ora ho ricevuto
tutte le persone del villaggio, incluso Mohammed Jasim, che è
arrivato da Kekledji. E quali saluti di benvenuto! Lo zaptié di Haji
mi ha portato due lettere che Thompson4 gli aveva consegnato a
Tell Ahmar. Una da mia madre (23 giugno) e l’altra da Mr Hogarth5
di una settimana dopo. Sembra che una seconda stagione di
scavi non sia impossibile, e questa è la notizia più bella che ho
ricevuto da molto tempo. Molto piacevole cambiarsi i vestiti. Il
khoja mi ha riempito una bottiglia di acqua molto speciale e mi ha
riservato grandi onori e attenzioni. Verso le sette ha portato pane,
uova fritte, khatir, (yogurt) e iran, e poi (rifiutando di mangiare con

39
me) è uscito chiudendosi la porta alle spalle: questa è la cortesia
più grande che abbia mai ricevuto da un arabo. Mi sono sentito
perfettamente a mio agio nella sua casa, con la mia grande
lampada accesa e tutte le mie cose attorno a me, anche se non
ho certo disfatto le mie scatole di scorte. Verso le dieci sono salito
sul tetto e ho dormito molto profondamente. Ho avuto mal di testa
per tutta la serata, ma è stato piacevole essere di nuovo tra questi
uomini. Sono più cortesi degli altri arabi. Il khoja vorrebbe proprio
che mi fermassi a passare con lui l’inverno. Ma il pover’uomo è
terribilmente noioso come conversazione, e ti rimane sempre
appiccicato.

1
Sha’ban: ottavo mese del calendario islamico.
2
Karkemiš: antica città nei pressi di Jarabalus, sulla sponda occidentale dell’Eufrate,
divenne un importante regno neo-ittita.
3
Il British Museum non aveva ancora deciso se continuare gli scavi per la seconda
stagione. La Baghdad Railway avrebbe costruito un ponte sull’Eufrate proprio in quel
punto, impiegando parecchia manodopera.
4
Reginald Campbell Thompson (1876-1941), archeologo, assiriologo, lavorò a Ninive,
Ur, Karkemiš, e Tell Ahmar, che riconobbe come l’antica Til Barsip nel 1911, studiando
un’iscrizione assira trovata sul tell e contenente il nome della città. Con Lawrence quale
suo assistente, aveva partecipato a una sessione di scavi del British Museum a Jerablus
e fatto una ricognizione di Tell Ahmar.
5
David George Hogarth (1862-1927), archeologo britannico che lavorò con T. E.
Lawrence, Leonard Woolley e Reginald Campbell Thompson a Karkemiš.

40
Sabato 29 luglio

In piedi in tempo per vedere il sole sorgere sulle colline della


Mesopotamia; tinte bellissime come sempre nella valle di
Karkemiš. Inviato un uomo a Tell Halesh dal cammelliere per
chiedergli come mai il cemento1 non fosse mai arrivato. Il
cammelliere non era a casa e non c’era traccia del cemento. E
subito ripartito per il Kala’at2 per misurare il pavimento del
palazzo. Il khoja è partito con me, ma il malessere degli ultimi due
giorni è aumentato improvvisamente, e così ho proseguito da
solo. La situazione è peggiorata e ho avuto un forte attacco di
dissenteria. Sono salito sul Kala’at, ho trovato un posto solitario e
sono rimasto sdraiato dalle otto alle due e mezza, sentendomi
debole e malato. Verso le tre mi sono alzato e ho cercato di
rimettermi in ordine, ma ho perso i sensi per circa un’ora, e poi di
nuovo quando ci ho provato per la seconda volta. In quella
situazione avevo paura di avvicinarmi all’orlo del pozzo con il
metro a nastro e così non ho lavorato. Verso le cinque sono
tornato al villaggio, dopo una camminata molto faticosa. Ho
deciso di tirar fuori un barattolo di arrowroot3 e mandato un uomo
con delle lettere per far venire un carro da Biredjik. Difficile che
possa continuare a camminare in queste condizioni. Riesco a
malapena a sollevare la mano per scrivere queste righe. Sognato
latte e soda mentre ero svenuto! Sublime. Saluti da ogni uomo,
donna e bambino del distretto, io credo, ma non sono riuscito a
vedere neppure la metà di loro, non una gran figura quanto a
cortesia. Mangiato arrowroot e latte verso le sei. A dormire sul
tetto alle otto. Dormito bene.

1
In una lettera scritta a Tell Ahmar poco prima di iniziare il suo viaggio, Lawrence scrive
di voler «incollare al loro posto col cemento i pezzi di un grande rilievo in basalto che ho
messo assieme».
2
Kala’at: il tumulo che copre i resti dell’antica Karkemiš, dove erano stati condotti gli
scavi.
3
Amido ottenuto dalle radici di varie piante tropicali.

41
Domenica 30 luglio

Ho passato la giornata a casa del khoja, sdraiato. Un bel po’ di


problemi interni. Verso le quattro e mezza in piedi, ancora
arrowroot e latte. Svenuto di nuovo verso le dieci, quando mi
trovavo poco distante dalla casa, e tagliata una guancia
abbastanza malamente su una pietra. Rimasto a riposo, con
gente che veniva a farmi visita, fino alle sei, quando ho mangiato,
di nuovo arrowroot. Dahoum è venuto a trovarmi. Addormentato
verso le nove e mezza, male. Alzato tre quattro cinque volte
nell’arco di sette ore, e in più avuto mal di testa.

42
Lunedì 31 luglio

Mi sono alzato sentendomi un rottame, naturalmente. Ho


mangiato alle otto. Nessuna traccia di un carro e del mio
messaggero da Biredjik. Spero non sia scappato coi miei soldi. Il
khoja è stato incredibilmente buono in tutti questi giorni con me
che ho quanto mai abusato del suo tempo e della sua pazienza.
Ma pover’uomo, è anche terribilmente noioso, ripete cinque o sei
volte la stessa cosa per farla entrare nella mia grossa testa, che
quasi sempre capisce prima ancora che lui apra bocca. Nel
pomeriggio provato un po’ di burghul ben cotto nel latte. Dahoum
è venuto a trovarmi. Addormentato verso le nove.

43
Martedì 1° agosto

In piedi al sorgere del sole dopo una notte tranquilla. Un’alba


magnifica, con squarci nel nero dello sfondo verso la linea
argentata del fiume, attraversata dalle ruvide punte dei pioppi
vicini; e poi le colline dietro, di un nero intenso in prossimità
dell’acqua, sfumavano via via nel grigio, nel porpora, e alla fine in
un magnifico arancio, man mano che la luce le colpiva. Il sorgere
del sole è stato mediocre, come quasi sempre. Mangiato un uovo
col latte, e poi sceso al fiume lentamente, a tappe, molto
dolorante, e fatto il bagno. Avevo proprio bisogno di lavarmi.
Fiume molto basso, e schiumoso. Poi coricato a casa fino alle
quattro del pomeriggio, quando il mio uomo è ritornato da Biredjik
senza carro. Il dottore della città non lo avrebbe affatto aiutato, e
anche il kaimmakam si era rifiutato. Ora mi tocca aspettare cinque
giorni mentre mando un telegramma ad Aleppo; oppure
camminare fino a Membidj. Ho qualche speranza di poter
raggiungere Membidj: oggi mi sento meglio. In serata di nuovo
burghul e latte. Dahoum è venuto a vedere come stavo.
Addormentato verso le nove.

44
Mercoledì 2 agosto

Svegliato all’alba, che era come quella di ieri. Dormito bene


nel complesso; mi sento un po’ meglio. Mangiato un uovo nel latte
verso le otto, poi mi sono coricato e ho riposato tutto il giorno. Il
tcherkess concorda che ha comprato le serrature, ma dice che le
tre sterline erano un regalo di Mr Hogarth! Scritto a Selim
rifiutandomi di pagargli qualcosa. Il mukdar è tornato. Yasim
voleva sposarsi e così aveva bisogno di soldi! Sistemate le mie
cose. Nel tardo pomeriggio camminato fino al Kala’at come sotto
un incantesimo – una grande impresa – e lavato. Per cena brodo
di pollo e burghul. È venuto Dahoum. A letto alle nove e mezza.
Sentito meglio tutto il giorno.

45
Giovedì 3 agosto

Svegliato all’alba dopo una notte piacevole in cui mi sono


sentito di nuovo vivo. Proverò a partire per Membidj questa sera.
Mangiato verso le nove brodo di pollo e latte. Poi ho aperto le mie
due scatole e ho tirato fuori pantofole ecc. da usare a bordo: ho
deciso di tornare in Inghilterra. Messi in valigia anche il mio
Rabelais, Holy Grail, Rossetti e Roland. Un po’ di porridge a
mezzogiorno. Verso le quattro l’ospitalità del khoja si è esaurita di
colpo. Ha rifiutato di prestarmi il suo cavallo e tacitamente
disapprovato il mio progetto di andare a Membidj. Secondo lui
dovrei riposare per due o tre giorni in casa di Dahoum e andare
poi a Tell Ahmar via acqua. Non essendoci barche, non vedo in
che modo, ma con fatica sono sceso a Jerablus Tahtani, trovato
un cavallo da affittare, e programmato di partire entro due ore per
Tell Ahmar con Dahoum. Il ragazzo era costretto a venire con me
perché non avevo spiccioli, e se non riuscivo a cambiare una lira
non potevo pagarlo. Subito tornato a Jerablus Fokani dove ho
indossato abiti più pesanti e finito di fare le valigie. Ci siamo
avviati verso le sei, con il khoja, molto pentito, che è venuto a
salutarmi. Verso le nove (marciando sotto una bella luna)
raggiunta Sreisat e dormito per due ore nelle tende di un certo
Mohammed el Kurdi. Poi ripartiti per l’Eufrate, senza più luna,
attraverso una campagna difficile e sassosa, perdendo la strada
una volta. Raggiunto prima dell’alba, abbiamo però trovato
l’approdo tagliato fuori dal Sadjur1, largo, profondo, impetuoso.
Dahoum lo ha attraversato a nuoto per prendere una barca per
me e il cavallo. Questi due giorni, giovedì e venerdì, sono così
passati insieme.

1
Sadjur: affluente dell’Eufrate.

46
Venerdì 4 agosto

Il sole era appena sorto. Alcune persone sono venute a


salutarmi sulla penisola. Parlavano un po’ di arabo. Mi sento
abbastanza bene questa mattina, giramenti di testa e tendenza a
svenire in gran parte passati. Una barca è arrivata sulla riva dopo
un’ora e sono passato sulla sponda siriana. Poi ho dato un
medjidie a Dahoum e l’ho rimandato a Jerablus molto contento.
Poi sono rimasto sdraiato in una piantagione di canapa fino alle
undici e mezza, dormendo e leggendo Holy Graal [sic]. Alle undici
e trenta è arrivato un carro e, in mancanza di meglio, sono salito a
bordo e con quello raggiunta Membidj molto lentamente e
scomodamente. Qui ho mangiato uova e macedonia con sorbetto
al limone ghiacciato, zuccherato. Cercato un carro per Aleppo.
Parecchie discussioni con vari conducenti, che chiedevano il triplo
della tariffa, ma alla fine ho trovato un «victoria» vuoto diretto ad
Aleppo, il cui conducente è stato contento di prendermi una lira
per il viaggio. Era ormai sera, e così ho mangiato verdure stufate
e pane, con sorbetto ghiacciato di petali di rosa per 4d. A letto
verso le otto, nel khan: notte disturbata.

47
Sabato 5 agosto

In piedi alle tre e in viaggio poco dopo. L’uomo aveva tre


cavalli e quindi abbiamo percorso la strada senza problemi. Alcuni
tratti comunque davvero molto accidentati. Raggiunta Bab prima
delle nove. Fermati al khan per aspettare mezzogiorno. Mangiati
pane e uva del valore di un metallik ciascuno. Mi sento peggio di
ieri ma recupererò presto riposando ad Aleppo. Ripartiti verso le
due e raggiunta Aleppo verso le sette. Per prima cosa dritto al
consolato per recuperare un pacco di lettere e poi raggiunto il
Baron’s Hotel. Ho mangiato e ho dormito eccezionalmente bene.

48
Domenica 6 agosto

In piedi alle cinque e letto fino alle sette. Poi una tazza di caffè.
Non molto in forma questa mattina. Ho scritto lettere fino al
pranzo, e dopo letto anche un po’. Verso le quattro sono andato al
bazar e ho incontrato un piccolo commerciante ebreo per dei sigilli
ittiti. Di sera mangiato e andato a dormire. Mi sono sentito meglio
dopo mezzogiorno, ma molto debole per tutto il tempo. Dormito
male a causa del caldo eccessivo e del rumore: un teatro giusto
sotto casa e due risse in strada con rivoltelle. Aleppo,
evidentemente, non è decadente da questo punto di vista. Ogni
volta la polizia è arrivata con quindici minuti di ritardo!

49
Lunedì 7 agosto

In piedi alle quattro e mezza, letto e scritto lettere fino alle otto.
Poi sono uscito per occuparmi del denaro: prelevate 10 sterline:
visto il console: saldati i conti con lui. Andato in cerca di stoffe
ricamate. Nel pomeriggio visti due che trattano antikâs (un piccolo
sigillo rosso da uno, due neri e verdi dall’altro). Ho anche visto Haj
Wahid1. Poi incontrato Tagir e studiata la cartina di Tell Ahmar di
Thompson. Ho visto Selim. Ho provato a cercare la macchina
fotografica perduta da chi tratta questi articoli. La sera letto fino
alle otto e poi uscito per andare a cena dal console: conversato
molto fin dopo la mezzanotte. Di ritorno in albergo, cambiati i
rullini. Dormito bene.

1
Haj Wahid era stato il cuoco della spedizione del British Museum a Jerablus.

50
Martedì 7 agosto1

Uscito con Haj Wahid e setacciati i mercati dalle otto alle


dodici e mezza in cerca di stoffe ricamate; alla fine trovate due
pezze che possono andar bene, per quattro sterline turche: non
me ne procuro altre finché queste pezze non vengono approvate.
Tutte le stoffe hanno una sola grandezza, 6 dhars e mezzo per 1
e ⅓, con una seconda pezza di 8 dhras per ¾. Le pezze che ho
comprato sono fatte a mano, ma stanno iniziando a produrle a
macchina. Poi andato al consolato e visto Akras. Di ritorno
all’hotel per pranzo, molto stanco. Nel pomeriggio andato alla
Banca Ottomana: al ritorno stavo male e passato il resto del
pomeriggio coricato, con un semi-svenimento di tanto in tanto.
Wilkie Young è venuto a trovarmi. Di sera mi sono sentito un po’
meglio e sceso per cena senza problemi: lì ho accumulato
abbastanza irritazione da dire al mio vis-à-vis che era un maiale.
Un tremendo chiasso di levantini (un ometto ebreo greco) otto o
dieci di loro che urlavano insieme e ballavano intorno. Ero l’unico
del tavolo che ha continuato a mangiare. L’ometto era sbigottito e
senza parole. Improvvisa irruzione dal tavolo vicino di undici
possenti ingegneri tedeschi delle ferrovie, che hanno detto
all’ometto che avevano pensato di gettarlo nel fiume che scorreva
al fondo del giardino, e che lo avrebbero fatto subito se lui e i suoi
amici avessero detto un’altra parola. Immediato collasso
dell’elemento levantino che ha mangiato sussurrando e si è
dissolto silenziosamente dopo il caffè. Divertente il proprietario,
che correva attorno al tavolo durante il diverbio, torcendosi le
mani e gridando in armeno. Dormito incredibilmente male, febbre
alta, grande sudata e delirio. La notte peggiore che abbia mai
passato.

1
L’errore nelle date da qui in poi è di Lawrence.

51
Mercoledì 8 agosto

Uscito per andare in stazione alle cinque; seconda classe per


Damasco. Solo un’altra persona nel vagone con me, e così
dormito per molte ore. Visto poco durante il viaggio. Mangiato a
Homs in una carrozza ristorante nuova. Haj Wahid è venuto a
salutarmi alla stazione, portandomi in regalo una grande anguria.
Deliziosa durante il viaggio. Il 1
e io l’abbiamo mangiata
assieme e l’abbiamo finita soltanto alle porte di Damasco. Reyak
verso le cinque; Damasco alle dieci. Andato al Palace Hotel.
Dormito bene, ma sudato molto.

52
Riproduzione della pagina del diario con l’ultima parte delle annotazioni del 7 agosto,
quelle dell’8 e l’inizio del 9 agosto

53
1
La parola araba Kanun, che significa «legge» era incisa su una placca di ottone che i
membri della polizia militare dell’Impero ottomano portavano appesa al collo. L’altro
passeggero era probabilmente uno di loro.

54
Giovedì 9 agosto

In piedi alle sette, fatto colazione e mandato a chiamare un


barbiere: non un granché ma abbastanza pulito. Dopodiché ho
dato un’occhiata al magazzino di Suifi ma non ho trovato niente
che valesse la pena. Lo stesso per le piastrelle nel suk. Ho
recuperato la cassa con l’usbergo che avevo lasciato qui a
febbraio e sono partito per Beirut verso l’una. Treno affollato.
Molto inquieto e febbre alta a Ez Zebedani. Così sono andato in
prima classe dove c’era un vagone vuoto. Ho dormito e mi sono
sentito molto meglio a Reyak, dove ho mangiato. Continuato il
viaggio nel vagone vuoto fino a Ain Sofar, quando c’è stata
l’irruzione del console russo e famiglia: solo per mezz’ora; sono
scesi a Aleih. Proseguito fino a Beirut, un po’ febbricitante,
dormendo molto. Raggiunto l’hotel tedesco verso mezzanotte.
Dormito molto bene, anche se molto caldo e ho sudato.

55
Venerdì 10 agosto

In piedi verso le sette, colazione e poi da Cook a prendere i


biglietti per l’Inghilterra. Alla fine soltanto fino a Marsiglia. Poi alla
posta dove ho trovato una lettera di Will1 che mi consigliava di
tornare a casa. All’ufficio del telegrafo per mandare un
telegramma a Mr Jane2; a Sarrafian per i rullini. Verso le due e
mezza in treno per Jebail: raggiunta alle sei. Mi sentivo bene.
Miss Holmes3 in ottima salute. Viste le nuove ceramiche e portati
via alcuni esemplari. Visti i miei stivali; e una pelle di wawi4.
Dormito bene.

1
Il fratello di Lawrence.
2
L. C. Jane: uno storico.
3
Miss Holmes era a capo dell’American Mission School a Jebail, dove Lawrence era
stato spesso.
4
Wawi: sciacallo. Il fratello aveva chiesto a Lawrence di procurargli una pelle di
sciacallo.

56
Sabato 11 agosto

Lasciata Miss Holmes verso le due del pomeriggio. Arrivato a


Beirut verso le cinque. Dritto all’hotel, e letto qualche giornale fino
a cena. Mi sentivo stanco e debole, ma in via di miglioramento
perché sono riuscito a fare venti scalini di fila senza riposarmi. A
letto verso le dieci.

57
Domenica 12 agosto

In piedi verso le sei dopo una notte orribile: febbre alta ecc.
per tutto il tempo. Cook è arrivato per prendere le mie cose prima
delle sette ed è riuscito a far passare la mia scatola di oggetti
d’antiquariato alla dogana senza che la aprissero! Questo è stato
un miracolo dopo la storia di Gerusalemme. Ricompensato bene.
La barca gremita di persone: tutti siriani, a quanto pare.
Lasciata Beirut alle 11.00. Tutto finito.
Parte del foglio 29 della serie Eastern Turkey in Asia. Si può seguire l’itinerario di
Lawrence tra il 27 luglio e il 3 agosto: (da est verso ovest) Tell Bashar, Yarim Tepe (a
nord), Tell Isan (a sud), Tell Kar, Hulmen, Karkemiš, Tell Ahmar (più a sud sull’Eufrate),
Membidj. La linea tratteggiata segna il tracciato della Baghdad Railway.

Parte del foglio 23 della serie di carte geografiche Eastern Turkey in Asia (Intelligence
Division War Office, 1915). Si può seguire l’itinerario di Lawrence tra il 20 e il 25 luglio:
Urfa (all’estremo est), Rum Kalaat a ovest, verso sud Khalfati, Enesh, Kachtin, Balkis,
Biridjik. Le linee nere sottili indicano le mulattiere.

58
Parte del foglio 29 della serie Eastern Turkey in Asia. Si può seguire l’itinerario di
Lawrence tra il 27 luglio e il 3 agosto: (da est verso ovest) Tell Bashar, Yarim Tepe (a
nord), Tell Isan (a sud), Tell Kar, Hulmen, Karkemiš, Tell Ahmar (più a sud sull’Eufrate),
Membidj. La linea tratteggiata segna il tracciato della Baghdad Railway.

59
Tell Ahmar (1910) da Accidents of an Antiquary’s Life di David George Hogarth

60
Urfa, la Piscina di Abramo (T. E. Lawrence)

61
Urfa, lato sud del castello visto da est (T. E. Lawrence)

62
Urfa, parte est del castello (T. E. Lawrence)

63
Urfa, torre angolare vista da oltre il fossato (T. E. Lawrence)

64
Urfa, parte nord-orientale del castello con le torri di entrata (T. E. Lawrence)

65
Urfa, parte nord-orientale del castello all’interno (T. E. Lawrence)

66
Harran, bassorilievo di un leone (T. E. Lawrence)

67
Harran, lo sceicco e suo fratello a cavallo davanti al lato sud del castello (T. E.
Lawrence)

68
Harran, lo sceicco con un amico (T. E. Lawrence)

69
Harran, il fratello dello sciecco e altri (T. E. Lawrence)

70
Harran, il Pozzo di Rebecca (T. E. Lawrence)

71
Harran, villaggio di capanne di fango nella piana (T. E. Lawrence)

72
Biridjik, parte sud del castello visto da nord-est (T. E. Lawrence)

73
Dahoum

74
Lawrence vestito come Dahoum

75
Rum Kalaat, il fossato e il «rasoio» (T. E. Lawrence)

76
Rum Kalaat, la doppia porta della torre (T. E. Lawrence)

77
Dahoum (il primo da sinistra) e altri a Karkemiš

78
Sugli scavi di Karkemiš (1912)

T. E. Lawrence e L. Woolley a Karkemiš (1913)

79
Sugli scavi di Karkemiš (1913): al centro in prima fila da sinistra a destra: T. E.
Lawrence, L. Woolley, Fuad Bey e Dahoum

80
Interno dell’alloggio di Lawrence a Karkemiš

81
Aleppo, Baron’s Hotel

82
T. E. Lawrence, D. G. Hogarth e il colonnello Dawnay, Arab Bureau, Il Cairo, maggio
1918

83
T. E. Lawrence in una foto del 1918

84
Indice
Copertina 1
Trama 1
Biografia 2
Frontespizio 4
Copyright 5
Nota dell’Editore 7
DIARIO DI UN VIAGGIO LUNGO L’EUFRATE 10
Intorno a mercoledì 12 luglio 11
Il giorno dopo, giovedì 12
Venerdì 13
Sabato 14
Domenica 15
Lunedì 17 luglio 16
Martedì 18 luglio 18
Mercoledì 19 luglio 21
Giovedì 20 luglio 22
Venerdì 21 luglio 23
Sabato 22 luglio 24
Domenica 23 luglio 25
Lunedì 24 luglio 27
Martedì 25 luglio 32
Mercoledì 26 luglio 36
Giovedì 27 luglio 38
Venerdì 28 luglio 39
Sabato 29 luglio 41
Domenica 30 luglio 42

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Lunedì 31 luglio 43
Martedì 1° agosto 44
Mercoledì 2 agosto 45
Giovedì 3 agosto 46
Venerdì 4 agosto 47
Sabato 5 agosto 48
Domenica 6 agosto 49
Lunedì 7 agosto 50
Martedì 7 agosto 51
Mercoledì 8 agosto 52
Giovedì 9 agosto 55
Venerdì 10 agosto 56
Sabato 11 agosto 57
Domenica 12 agosto 58

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