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Iv�n Gontchar�v.

OBLOMOV.

Copyright 1955 by Giulio Einaudi editore S.p.A., Torino.


Prefazione e traduzione di Ettore Lo Gatto.

INDICE.

Prefazione, di Ettore Lo Gatto.

Parte prima.
Parte seconda.
Parte terza.
Parte quarta.

PREFAZIONE, di Ettore Lo Gatto.

E' probabile che l'interesse per il valore sociale dell'opera principale di


Gontchar�v, "Oblomov", abbia vinto nei lettori occidentali l'interesse per il suo
valore artistico, ma - vien fatto di domandarsi - non � anche probabile che a dare
all'interesse per il romanzo questo particolare indirizzo, abbiano contribuito le
storie letterarie e gli studi sullo scrittore e la sua opera, che hanno
accompagnata assai spesso la diffusione dell'"Oblomov" nel nostro mondo? Senza
dubbio l'"Oblomov" � - com'io stesso ho avuto occasione di scrivere altra volta -
una pagina, e fra le pi� notevoli ed interessanti, della vita sociale e morale
russa; ma non significa diminuirne l'importanza, considerarlo, anche se non
esclusivamente, almeno prevalentemente tale? Penso oggi che non solo se ne
diminuisca, ma addirittura se ne alteri il significato, insistendo troppo su questo
punto di vista, come ha quasi sempre fatto la critica russa, cos� strettamente
legata ai problemi della vita sociale, e in special modo a quell'insieme di
problemi che sollevava la servit� della gleba. S�, Oblomov, l'eroe del romanzo, �
un prodotto di questa secolare ed esecrabile istituzione sociale, e non �
meraviglia che un critico, come Dobroljubov, per il quale la letteratura era
anzitutto strumento sociale, prendesse spunto dalla parola �oblomovismo�, coniata
dallo stesso Gontchar�v, per scrivere pi� che una critica artistica un vero e
proprio trattato social-morale. Ma i tempi di Dobroljubov sono ben passati per noi,
e passata � la servit� della gleba, e per la psicologia russa Oblomov pu� servire
solo in una assai lontana prospettiva storica - come, mettiamo, un Rudin, un
Lavretskij o qualunque altro eroe turgheneviano, per restar su per gi� nello stesso
tempo e alla stessa conoscenza che se ne ha in Occidente. E intanto "Oblomov" �
vivo, vivo di una sua vita propria, diciamo pure umana, universale, di quella vita
che il destino riserva soltanto alle opere d'arte vere, attraverso le quali i
problemi sociali di un dato paese possono conquistare altrove l'interesse di chi
non faccia professione di tali problemi, i quali perci�, senza questo eccezionale
intermediario che � la creazione artistica, resterebbero forse sepolti sotto la
polvere del tempo.
"Oblomov" � per noi oggi soprattutto e prima di tutto una grande opera d'arte, una
fra le pi� originali di tutto il secolo Diciannovesimo - e non soltanto nella messe
ricchissima della letteratura russa; e la meraviglia tante volte espressa dai russi
pel fatto che essa abbia conquistato il lettore occidentale, non ultimo quello
italiano, � fuori posto, prodotto soltanto dalla loro insistenza - da noi talvolta
riecheggiata - nel volerne considerare come prevalente il valore sociale. Un
fenomeno diremmo quasi analogo a quello rappresentato dalle "Memorie di un
cacciatore" di Turghenev - il pi� efficace atto di accusa contro la servit� della
gleba, come furono chiamate al loro tempo - e che intanto per questo loro valore
soltanto non si farebbero certo leggere ed amare, se un sensibile e nobile artista
non avesse dato vita in esse a tante indimenticabili figure umane, collocandole su
di uno sfondo e in una orchestrazione di grandiosa ed insieme delicata e deliziosa
poesia della natura.
Opera d'arte dunque l'"Oblomov", la quale entra senza dubbio nel complesso di
quell'eccezionale fioritura del �realismo� russo, iniziatosi, ancor prima che nelle
"Anime morte" di Gogol', come generalmente si ritiene, nei "Racconti di Belkin" di
Pushkin, ma che assume, per il temperamento dello scrittore, un suo carattere del
tutto particolare. All'animo di Gontchar�v non erano estranei gli impulsi
romantici, anche se soffocati dalla disciplina e dalla tecnica appresa alla scuola
pushkiniana. E' il desiderio appunto di chiudere in se stesso questi impulsi, di
fronte alla necessit� di esser "vero" nel senso del "realismo" corrente, che porta
al caratteristico tono gonciaroviano dell'"Oblomov". Questo tono si � potuto e
voluto chiamare �caricaturale�, ma tale secondo noi non �, che basta confrontare la
vivezza con cui si presentano le figure di Oblomov e di Ol'ga con l'opacit�
attraverso la quale ci appare quella di Stolz, per capire e spiegare come
l'oggettivit� realistica esteriore dello scrittore sia strettamente in rapporto con
la sua passionalit� soggettiva interiore, evidentemente romantica. Gontchar�v ama
profondamente il suo eroe perch� vede riflessa in lui tutta la poesia dei suoi
ricordi d'infanzia - e forse per questo amore, vera e propria "Wahlverwandschaft",
ci� avviene cos� efficacemente - ma l'ama anche perch�, nonostante la definitiva
sconfitta dell'eroe - ma � poi una sconfitta o non piuttosto una logica soluzione
della sua natura e della sua situazione? - egli finisce per chiarire a se stesso e
ai lettori, attraverso il magistero della fantasia creatrice, quel legame tra
sentimento e realt� che l'eccesso del realismo poteva distruggere. Non ci pare, da
questo punto di vista, neppure azzardata l'ipotesi che tutta la poesia di Obl�movka
e la rievocazione della buona e cara esistenza patriarcale di Oblomov in essa,
siano state presentate sotto la veste artificiosa del sogno, per mantenere appunto
nella creazione quel rapporto tra il soffocato romanticismo e il rivelato realismo,
che lo scrittore sentiva in se stesso. La storia stessa dell'amore di Oblomov per
Ol'ga acquista a sua volta il valore di un lungo sogno, non meno delizioso e fuori
della realt� contingente, nonostante la ricchezza ed esattezza dei particolari
realistici, quasi che lo scrittore voglia dirci il suo desiderio che un tale sogno
sia la realt� e la sua convinzione che la realt� � un'altra cosa. Che, in fondo,
quale differenza essenziale, "mutatis mutandis", separa l'unione di Ol'ga con Stolz
dall'unione di Oblomov con la propria padrona di casa? E' forse nell'unione di
Ol'ga e di Stolz quella realizzazione del sogno che sarebbe stata rappresentata
dall'unione di Ol'ga con Oblomov? Come dunque non ci pare una sconfitta quella di
Oblomov, ma una soluzione secondo la realt�, cos� non ci pare una vittoria quella
di Stolz, soluzione anch'essa secondo la realt�. Che, dal punto di vista sociale,
si possa giudicar diversamente - e l'ammirazione per l'attivit� di Stolz,
contrapposta all'infingardaggine di Oblomov, ammirazione di cui furono pieni i due
decenni tra il cinquanta e il settanta, ce lo conferma - non ha importanza. Dal
punto di vista dell'arte, il romanzo ci si presenta come la realizzazione di una
ben diversa idea, ed � bene non dimenticarlo per apprezzare giustamente "Oblomov".
Anche i particolari realistici, come il ritratto del servo di Oblomov, Zach�r, e
degli amici dell'eroe e la pittura tutta dell'ambiente, acquistano cos�, a nostro
parere, un altro significato, il loro vero significato di creazione artistica, non
strettamente legata, nonostante le apparenze, ad una data epoca, a un determinato
problema, all'influenza di una determinata realt� sulla fantasia dello scrittore.
Un Oblomov immortale dunque come eroe del romanzo e come romanzo, a quel modo che
sono immortali un Oneghin, romanzo ed eroe, ai quali l'opera di Gontchar�v cos�
strettamente si riallaccia.

Praga, novembre 1937.


ETTORE LO GATTO.
Iv�n Aleks�ndrovitch Gontchar�v nacque a Simb�rsk il 6 giugno (v. s.) 1812, mor� a
Mosca il 15 settembre (v. s.) 1891. Fu quasi tutta la sua vita impiegato
governativo, per molti anni all'ufficio della censura. Negli anni 1852-54 fece un
viaggio intorno al mondo sulla fregata "Pallada"; nel 1862-63 fu redattore capo del
giornale �S�vernaja potchta� (La posta del nord). La sua fama di romanziere �
affidata ai tre romanzi: "Una storia comune" (1847), "Oblomov" (1859), e "Il
burrone" (1869), tutti e tre tradotti in italiano. Del suo viaggio intorno al mondo
ha lasciato descrizione in "La fregata �Pallada�".

PARTE PRIMA.

1.
In via Gor�chovaja, in una di quelle grandi case, la cui popolazione sarebbe stata
sufficiente per tutta una citt� di provincia, se ne stava di mattina a letto nel
suo appartamento Il'j� Il'�tch Oblomov.
Era questi un uomo di trentadue-trentatre anni, di media statura, di aspetto
piacevole, con occhi grigio-scuri, ma nei tratti del volto privo di qualsiasi idea
determinata, di qualsiasi concentrazione. Il pensiero passeggiava come un libero
uccello sul suo viso, svolazzava negli occhi, si posava sulle labbra semiaperte, si
nascondeva nelle rughe della fronte, poi scompariva, e allora su tutto il volto si
accendeva l'uniforme colore dell'indolenza. Dal volto l'indolenza passava alle pose
di tutto il corpo, perfino alle pieghe della veste da camera.
In qualche momento lo sguardo si oscurava in una espressione come di stanchezza o
di noia; ma n� la stanchezza, n� la noia potevano, sia pure per un minuto, cacciare
dal suo viso la mollezza, che era l'espressione fondamentale e dominante non
soltanto del viso, ma di tutta l'anima; e l'anima luccicava cos� apertamente e
chiaramente negli occhi, nel sorriso, in ogni movimento della testa, della mano! Un
osservatore freddo, superficiale, gettata un'occhiata di sfuggita ad Oblomov,
avrebbe detto: �Dev'essere un bonaccione, un semplicione!� Ma un osservatore pi�
profondo e mosso da simpatia, dopo aver guardato a lungo il suo volto, si sarebbe
allontanato in una piacevole indecisione, con un sorriso.
Il colore del volto di Il'j� Il'�tch non era n� rosso, n� scuro, n�
pronunziatamente pallido, ma indefinito, o sembrava tale forse perch� Oblomov era
pi� vizzo di quanto comportasse la sua et�: per mancanza di movimento, o di aria, o
forse per l'una e l'altra ragione insieme. In generale il suo corpo, a giudicare
dal colore smorto, troppo bianco del collo, delle piccole mani grassocce e delle
molli spalle, pareva troppo delicato per un uomo.
I suoi movimenti, anche quando egli era agitato, erano temperati dalla stessa
mollezza e da una "fiacchezza" non del tutto priva di una certa grazia. Se una nube
di preoccupazione correva dall'anima al viso, lo sguardo si annebbiava, la fronte
si corrugava e cominciava il gioco dei dubbi, della tristezza, della paura; ma
raramente questa agitazione prendeva forma di idea precisa, ancora pi� raramente si
trasformava in un proposito. Tutta l'agitazione si risolveva in un sospiro e si
spegneva in apatia o assopimento.
Come bene si adattava l'abito da casa di Oblomov ai tranquilli tratti del suo volto
e al suo corpo delicato! Egli indossava una veste da camera di stoffa persiana, una
vera veste da camera orientale, senza il pi� piccolo accenno all'Europa, senza
fiocchi, senza velluto, senza vita, ampia e larga al punto che Oblomov ci si poteva
avvolgere due volte. Le maniche, secondo l'immutabile moda asiatica, si andavano
allargando sempre pi� dalle dita alle spalle. Sebbene la veste da camera avesse
perduto la sua primitiva freschezza, e il suo lucido primitivo, naturale, e in
alcuni punti avesse lasciato il posto ad un lucido diverso, acquisito, tuttavia
essa conservava la vivacit� del colore orientale e la resistenza del tessuto.
La veste da camera aveva agli occhi di Oblomov un'infinit� di inestimabili pregi:
era morbida, pieghevole; il corpo non la sentiva su di s�; essa, come uno schiavo
ubbidiente, si adattava anche al minimo movimento del corpo.
Oblomov andava per casa sempre senza cravatta e senza panciotto, perch� amava
sentirsi comodo e libero. Portava pantofole lunghe, morbide e larghe; quando egli,
senza guardare, buttava gi� le gambe dal letto sul pavimento, i piedi
immancabilmente ci s'infilavano subito.
Lo star disteso non era per Il'j� Il'�tch n� una necessit�, come per un malato o
per uno che vuoi dormire, n� un caso, come per chi � stanco, n� un godimento, come
per un fiaccone: era per lui la posizione normale. Quando restava in casa - ed egli
era quasi sempre in casa - stava sdraiato, e sempre, continuamente nella camera
dove noi lo abbiamo trovato, che gli serviva da camera da letto, da studio e da
salotto. Egli aveva altre tre stanze, ma raramente vi gettava uno sguardo, per lo
pi� la mattina; e non tutti i giorni, solo quando il servitore spazzava nello
studio, il che non avveniva tutti i giorni. In queste stanze la mobilia era coperta
dalle foderine e le tende erano abbassate.
La camera dove Il'j� Il'�tch stava sdraiato, a prima vista sembrava arredata
eccellentemente. C'erano una scrivania di mogano, due divani ricoperti di seta e un
bel paravento con su ricamati degli uccelli e dei frutti che non esistono in
natura. C'erano delle tende di seta, dei tappeti, alcuni quadri, dei bronzi, delle
porcellane e una quantit� di bei gingilli.
Ma l'occhio esperto di un uomo di buon gusto, con un solo rapido sguardo al tutto,
avrebbe letto subito soltanto il desiderio di mantenere come che sia il "decorimi"
voluto dalle pi� indispensabili convenienze, pur di non pensarci pi�. Oblomov,
naturalmente, quando aveva arredato il suo studio, si era preoccupato soltanto di
questo. Un gusto raffinato non si sarebbe soddisfatto delle pesanti e tutt'altro
che graziose sedie di mogano e degli scaffali zoppicanti. Il bracciolo di uno dei
divani era piegato in gi�, e il legno incollato in qualche punto si era staccato.
Un identico carattere avevano i quadri, i vasi e le cianfrusaglie.
Il padrone stesso, del resto, guardava la mobilia del suo studio cos� freddamente e
distrattamente come per domandare con gli occhi: �Chi ha trascinato e messo qui
tutta questa roba?� A causa di questo freddo atteggiamento di Oblomov di fronte
alle proprie cose, e forse dell'ancora pi� freddo atteggiamento del suo servitore
Zach�r, l'aspetto dello studio, ad un esame pi� attento, colpiva per l'abbandono e
la confusione che vi dominavano.
Sulle pareti, intorno ai quadri, pendevano, come festoni, ragnatele piene di
polvere; gli specchi, invece che a rispecchiare gli oggetti, avrebbero piuttosto
potuto servire, data la polvere che li copriva, come lavagne per prenderci degli
appunti. I tappeti erano pieni di macchie. Sul divano c'era un asciugamano
dimenticato; sulla tavola solo qualche rara mattina non si trovava ancora il piatto
della sera precedente con la saliera e un osso rosicchiato e non erano sparse le
briciole di pane.
Se non ci fosse stato questo piatto, e la pipa abbandonata sul letto, appena appena
fumata, o lo stesso padrone sdraiato, si sarebbe potuto credere che la casa fosse
deserta, tanto tutto era coperto di polvere, sbiadito, e cos� evidente l'assenza di
qualsiasi traccia di vita umana. E' vero che sullo scaffale c'erano due o tre libri
aperti e faceva mostra di s� un giornale e sul tavolino c'era il calamaio con le
penne; ma le pagine a cui i libri erano aperti erano piene di polvere e ingiallite:
si vedeva che erano stati abbandonati da un pezzo; il giornale era dell'anno
precedente, e dal calamaio, se vi si fosse intinta la penna, sarebbe scappata
fuori, ronzando, solo una mosca spaventata.
Il'j� Il'�tch si era svegliato, contro il solito, molto presto, alle otto. C'era
qualcosa che lo teneva fortemente inquieto. Sul suo viso si alternavano paura,
malinconia e dispetto. Si vedeva che una lotta interna l'opprimeva e la mente non
era ancora venuta in soccorso.
Si trattava di questo, che il giorno prima Oblomov aveva ricevuto dalla campagna,
dal suo "st�rosta" (L'anziano, capo elettivo del villaggio), una lettera di
contenuto poco piacevole. Sono note le cose spiacevoli di cui vi pu� scrivere uno
"st�rosta": cattivo raccolto, mancato pagamento delle imposte da parte dei
contadini, diminuzione delle entrate e cos� via. Malgrado che lo "st�rosta" gi�
l'anno passato e quello precedente avesse scritto delle lettere simili, anche
quest'ultima aveva agito con la forza che ha ogni spiacevole sorpresa.
Era forse una cosa da nulla? Si trattava di pensare alle misure da prendere. Del
resto bisogna render giustizia alle preoccupazioni di Il'j� Il'�tch per i propri
affari. Gi� quando aveva ricevuto la prima lettera poco piacevole dello "st�rosta",
alcuni anni prima, egli aveva cominciato a meditare un piano di misure e di
miglioramenti nell'amministrazione della sua propriet�.
In questo piano erano prevedute diverse nuove misure economiche, di polizia,
eccetera. Ma il piano era ancora lontano dall'essere elaborato a fondo e le poco
piacevoli lettere dello "st�rosta" si ripetevano ogni anno, e lo spingevano
all'azione e, per conseguenza, disturbavano la sua pace. Oblomov era cosciente
della necessit�, in attesa di finire il proprio piano, di intraprendere qualche
cosa di decisivo.
Non appena svegliato, aveva subito stabilito di alzarsi, di lavarsi e, bevuto il
t�, di pensare per benino, cercare qualcosa, prender nota e in generale occuparsi
come si deve dell'affare.
Per mezz'ora rimase l� sdraiato, tormentandosi con questi propositi, poi riflette
che avrebbe fatto ancora in tempo dopo il t�, e che il t� avrebbe potuto berlo,
come al solito, in letto, tanto pi� che niente impedisce di pensare anche stando
sdraiati.
E cos� egli fece. Dopo il t�, si sollev� a sedere e per poco non si alz�; guardando
le pantofole, egli cominci� perfino a calar gi� dal letto una delle gambe, ma
subito la ritir�.
Sonarono le nove e mezzo; Il'j� Il'�tch si scosse.
- Ma che roba � questa, davvero! - disse egli ad alta voce con dispetto, - bisogna
avere un po' di coscienza: � tempo di mettersi a lavorare! Se ci si lascia andare,
allora...
- Zach�r! - grid� egli.
Nella stanza che era separata dallo studio di Il'j� Il'�tch solo da un piccolo
corridoio, si sent� da principio come il mugolio di un cane alla catena, poi un
rumore di piedi che toccavano il suolo in un salto. Era Zach�r, che saltava gi� dal
giaciglio sulla stufa, dove egli passava di solito il tempo sonnecchiando seduto.
Entr� un uomo anziano in giacca grigia, con un buco sotto la manica, dal quale
veniva fuori un lembo di camicia, e in panciotto grigio con bottoni di metallo;
aveva il cranio nudo come un ginocchio e delle fedine larghe e folte fino
all'inverosimile, bionde e qua e l� grigiastre, ognuna delle quali sarebbe stata
sufficiente per tre barbe.
Zach�r non faceva proprio nulla per cambiare non solo la figura esteriore datagli
da Dio, ma neppure il costume col quale andava in giro in campagna. Il suo vestito
era stato tagliato e cucito secondo il modello portato dalla campagna. La giacca
lunga e il panciotto grigio gli piacevano anche perch� in questo costume mezzo
militare egli vedeva un debole ricordo della livrea che aveva indossata un tempo,
quando accompagnava i suoi ora defunti padroni alla chiesa o a far visita; e la
livrea nel suo ricordo era l'unico simbolo della dignit� di casa Oblomov.
Niente altro ormai ricordava al vecchio la larga, comoda, signorile esistenza nella
lontana campagna. I vecchi padroni erano morti, i ritratti di famiglia erano
rimasti a casa e, forse, andati a finire chiss� dove in soffitta; le tradizioni
dell'antica esistenza e importanza della famiglia erano state inghiottite dal tempo
o vivevano solo nella memoria dei pochi vecchi rimasti al villaggio. Per questo
Zach�r amava il suo abito grigio: in esso, e ancora in alcuni tratti conservatisi
nel viso e nelle maniere del padrone, che ricordavano i suoi genitori, e nei
capricci di lui, contro i quali egli brontolava, e fra s� e apertamente, ma pei
quali aveva interiormente rispetto, come manifestazione della volont� padronale,
del diritto signorile, egli vedeva i pallidi riflessi della passata grandezza.
Come se senza questi capricci egli non sentisse su di s� il padrone; senza di essi
nulla rievocava la sua giovinezza, il villaggio, che essi avevano lasciato da
tempo, e le leggende intorno a quella casa antica, unica cronaca tenuta dai vecchi
servi, dalle nutrici e donne di casa e tramandata di generazione in generazione.
La casa degli Oblomov era stata ricca un tempo e famosa nel paese, ma poi, Dio sa
perch�, era diventata povera, si era immiserita e alla fine, inavvertitamente, si
era perduta fra le case nobili pi� giovani. Solo gli ultimi servi della casa
conservavano e si tramandavano il ricordo del passato, che era per loro come una
cosa sacra.
Ecco perch� Zach�r amava tanto il suo abito grigio. Forse anche le fedine gli erano
care perch� nella sua infanzia aveva veduto molti vecchi servi con questo antico ed
aristocratico ornamento.
Il'j� Il'�tch, immerso nelle sue riflessioni, non not� Zach�r per un pezzo. Zach�r
stava davanti a lui in silenzio. Finalmente si decise a tossire.
- Che vuoi? - domand� Il'j� Il'�tch.
- Non mi avete chiamato?
- Chiamato? Perch� dovevo chiamarti? Non mi ricordo! - rispose egli stirandosi. -
Vattene di l�, fino a che mi ricordi.
Zach�r usc�, e Il'j� Il'�tch continu� a stare sdraiato e a pensare alla maledetta
lettera.
Pass� un quarto d'ora.
�Be', basta stare sdraiato! - disse egli, - bisogna alzarsi... Del resto, voglio
leggere ancora una volta attentamente la lettera, poi mi alzer��. - Zach�r!
Di nuovo lo stesso salto e un brontolio pi� forte. Zach�r entr�, ma Oblomov s'era
immerso di nuovo nei suoi pensieri. Zach�r rimase l� un paio di minuti, guardando
di traverso il signore poco benevolmente, e infine ritorn� verso la porta.
- Dove vai? - domand� a un tratto Oblomov.
- Voi non dite niente, che cosa ci sto a fare qui? - mormor� rauco Zach�r, in
mancanza di un'altra voce, che, secondo le sue stesse parole, egli aveva perduta a
caccia coi cani, una volta che, andando col vecchio signore, un forte vento gli
aveva soffiato in gola.
Egli stava quasi voltato verso la porta nel mezzo della stanza e continuava a
guardare Oblomov di traverso.
- Che ti si sono seccate le gambe che non puoi stare in piedi? Tu vedi che sono
preoccupato... aspetta un po'! Non sei stato abbastanza sdraiato? Cercami la
lettera che ho ricevuta ieri dallo "st�rosta". Dove diavolo l'hai ficcata?
- Quale lettera? Io non ho veduto nessuna lettera, - disse Zach�r.
- L'hai presa tu stesso dal postino, era tutta sporca!
- Cosa ne so io dove l'avete messa? - disse Zach�r, tastando con la mano le carte e
le diverse cose che erano sulla tavola.
- Tu non sai mai niente. Guarda l� nel cestino! O forse � caduta l� dietro il
divano? Ecco l�, la spalliera del divano non � stata ancora riparata; cosa aspetti
a chiamare il falegname e a farla incollare? L'hai ben rotta tu. Non pensi mai a
nulla!
_ - Io non l'ho rotta, - rispose Zach�r, - s'� rotta da s�; non pu� mica essere
eterna: bisognava bene che si rompesse prima o poi. Il'j� Il'�tch non ritenne
necessario dimostrare il contrario.
- L'hai trovata, dunque? - domand� egli di nuovo.
- Ecco qua delle lettere.
- Non son quelle.
- Be', qui non ce ne sono altre, - disse Zach�r.
- Va bene, va'! - disse Il'j� Il'�tch con impazienza, - adesso mi alzo, la trover�
da me.
Zach�r ritorn� nel suo cantuccio, ma aveva appena appoggiato le mani al pancone
sulla stufa per saltarci su, quando di nuovo rison� il grido affrettato:
- Zach�r, Zach�r!
�Ah, Signore Iddio! - brontol� Zach�r, ritornando nello studio. - Che razza di
tormento � questo! Venisse presto la morte!�
- Che desiderate? - disse egli, tenendosi con una mano alla porta dello studio e
guardando Oblomov, in segno di malcontento, cos� di traverso da vedere il padrone
solo con mezzo occhio, mentre il signore vedeva soltanto una delle enormi fedine,
dalla quale, aspetta, aspetta, stanno l� l� per volar fuori due o tre uccellini.
- Il fazzoletto, presto! Potresti anche pensarci da te: non vedi! - not�
severamente Il'j� Il'�tch.
Zach�r non manifest� nessun particolare malcontento n� meraviglia a questo ordine e
rimprovero del signore, trovando, probabilmente, da parte sua del tutto naturali e
l'uno e l'altro.
- E chi lo sa dov'� il fazzoletto? - brontol� egli, facendo il giro della camera e
tastando ogni sedia, sebbene anche senza tastare si potesse vedere che sulle sedie
non c'era niente.
- Perdete tutto! - not�, aprendo la porta del salotto per vedere se il fazzoletto
non fosse l�.
- Dove cerchi? Cerca qui! E' da ieri l'altro che non entro in quella stanza. E
sbrigati! - disse Il'j� Il'�tch.
- Dov'� il fazzoletto? Non c'� nessun fazzoletto! - continuava a dire Zach�r,
allargando le braccia e scrutando in tutti gli angoli. - Ah, eccolo! - esclam�
rauco all'improvviso, irritato, - � sotto di voi. Eccone una punta l� che vien
fuori. Ci siete seduto sopra e chiedete il fazzoletto!
E senza aspettare risposta, Zach�r si diresse verso la porta. Oblomov si sent� un
po' imbarazzato per il proprio errore. Trov� subito un altro pretesto per dar la
colpa a Zach�r.
- Che bella pulizia che tieni, tu: qua polvere, l� sudiciume! Dio mio! Ecco, ecco,
guarda un po' qua in questi angoli; non fai niente.
- Se io non faccio niente... - cominci� Zach�r con voce offesa, - mi sforzo, non mi
risparmio. E levo la polvere e spazzo quasi tutti i giorni...
Egli indic� il centro del pavimento e la tavola su cui Oblomov aveva pranzato.
- S�, s�, - disse egli, - � tutto spazzato e messo a posto, come per le nozze...
Che altro ancora c'�?
- E questo cos'�? - interruppe Il'j� Il'�tch, indicando le pareti e il soffitto. -
E questo? E questo?
Egli mostr� l'asciugamano gettato fin dal giorno prima, e il piatto con una fetta
di pane, dimenticato sulla tavola.
- Va bene, scusate, ora porto via, - disse Zach�r dopo aver preso, condiscendente,
il piatto.
- Solo questo! E la polvere sui muri, e le ragnatele... - disse Oblomov indicando
le pareti.
- Questo lo far� per Pasqua, tutto insieme: allora pulir� le immagini sacre e
lever� le ragnatele...
- E i libri, i quadri, quando li pulirai?
- I libri e i quadri prima di Natale: allora con Anis'ja metteremo in ordine gli
scaffali. Ma adesso come faccio? Voi state sempre in casa.
- Io vado qualche volta a teatro o a far visite: ecco che...
- Che pulizia posso far di notte!
Oblomov lo guard� con aria di rimprovero, scosse la testa e sospir�, e Zach�r
guard� indifferente dalla finestra e sospir� anche lui. Il signore probabilmente
pens�: �Fratello mio, tu sei ancora pi� Oblomov di me�, e Zach�r ci manc� certo
poco che pensasse: �Tu menti! Tu sei maestro nel dire parole solenni e lamentose,
ma della polvere e delle ragnatele non te ne importa un fico�.
- Capisci, - disse Il'j� Il'�tch, - che la polvere produce le tarme? Io qualche
volta ho visto anche delle cimici sulla parete!
- Io ho anche le pulci! - rispose indifferente Zach�r.
- E ti pare una bella cosa? E' una sudiceria! - not� Oblomov.
Il viso di Zach�r si illumin� tutto di un sorriso che si estese anche alle
sopracciglia e alle fedine, che si aprirono dai lati, e per tutto il suo viso fino
alla fronte si allarg� una macchia rossa.
- Che colpa ne ho io se al mondo ci sono le cimici? - disse egli con ingenua
meraviglia. - Che forse le ho inventate io?
- Deriva dalla sporcizia, - interruppe Oblomov. - Non fai che dir sciocchezze.
- Mica l'ho inventata io la sporcizia.
- E cos� in camera tua la notte ci corrono i topi. Io li sento.
- E neppure i topi li ho inventati io. Di animali come topi, gatti e pulci ce n'�
molti dappertutto.
- Ma perch� nelle case degli altri non ci sono n� cimici n� tarme?
Il viso di Zach�r espresse incredulit�, o, per dir meglio, la tranquilla
convinzione che ci� non potesse essere.
- In camera mia ce n'� molte, - disse egli cocciuto; - non puoi mica star dietro a
ogni cimice, andarle dietro nelle fessure.
E tra s� forse pens�: �Che razza di sonno sarebbe senza cimici?�
- Spazza, leva la sporcizia dagli angoli e non ci sar� nulla, - gli sugger�
Oblomov.
- Si pulisce, e il giorno dopo si ammucchia da capo.
- Non si ammucchier�, non deve ammucchiarsi, - interruppe il signore.
- Si ammucchier�, lo so, - insistette il servo.
- E se si ammucchia, tu scopi di nuovo.
- Come? Tutti i giorni spazzare in tutti gli angoli? - domand� Zach�r. - E che vita
� questa? Meglio che Dio mi chiami a s�!
- Ma perch� in casa degli altri � tutto pulito? - ribatt� Oblomov. - Guarda
dirimpetto, dall'accordatore: � un piacere guardare, e c'� una serva soltanto...
- Ma di dove piglierebbero la sporcizia i tedeschi? - ribatt� subito Zach�r. -
Guardate un po' come vivono! Tutta la famiglia per l'intera settimana rosica un
osso solo. Il vestito passa dalle spalle del padre a quelle del figlio, e dal
figlio di nuovo al padre. La moglie e le figlie portano dei vestiti corti corti:
ripiegano sempre le gambe come le oche... Dove possono prendere la sporcizia? Da
loro non succede come da noi che per anni interi ci siano mucchi di vestiti usati
negli armadi o che d'inverno si raccolgano montagne di croste di pane... Essi non
lasciano neppure una crosta: ne fanno biscotto e lo mangiano con la birra!
Zach�r sput� perfino tra i denti, parlando di una vita cos� tirchia.
- C'� poco da far discorsi! - rispose Il'j� Il'�tch, - meglio di tutto far pulizia.
- Io qualche volta vorrei far pulizia, ma voi non mi lasciate fare, - disse Zach�r.
- Ecco le tue solite! Sono sempre io che disturbo.
- Certamente voi; voi state sempre in casa: come si pu� far pulizia in vostra
presenza? Uscite per una giornata intera, e faccio pulizia.
- Eccone un'altra, uscire! Vattene in camera tua, � meglio.
- No, davvero! - insist� Zach�r. - Ecco, se voi oggi andaste via, io e Anis'ja si
metterebbe tutto in ordine. E in due neppure ce ne sbrigheremmo, del resto; �
necessario chiamare un'altra donna, lavar tutto.
- Ma che fantasie hai: altre donne! Vattene, - disse Il'j� Il'�tch. Egli era gi�
scontento di aver cominciato questa conversazione
con Zach�r. Dimenticava sempre che bastava appena appena toccare questo argomento
delicato per non finirla pi� coi fastidi.
Oblomov avrebbe anche voluto che ci fosse pulizia, ma avrebbe desiderato che ci�
fosse avvenuto cos�, da s�, inavvertitamente; e Zach�r cominciava ogni volta una
discussione, non appena gli si chiedeva di levar la polvere, di lavare i pavimenti
e cos� via. In questi casi egli dimostrava subito la necessit� di un gran chiasso
in casa, sapendo molto bene che il solo pensiero di esso spaventava il suo signore.
Zach�r usc� ed Oblomov si sprofond� nei suoi pensieri. Dopo qualche minuto la
pendola son� ancora mezz'ora.
- Come? - disse Il'j� Il'�tch quasi con terrore. - Saranno fra poco le undici e io
non mi sono ancora alzato, non mi sono ancora lavato! Zach�r! Zach�r!
- Ah, Signore Iddio! Che c'�? - si sent� borbottare nell'anticamera, e poi il noto
salto.
- E' pronto tutto per lavarsi? - domand� Oblomov.
- E' pronto da un pezzo! - rispose Zach�r, - perch� non vi alzate?
- E perch� non lo dici che � pronto? Mi sarei alzato da un pezzo. Va', io ti seguo
subito. Ho da fare, debbo scrivere.
Zach�r usc� e dopo un minuto torn� con un quaderno tutto scarabocchiato e sporco e
dei pezzetti di carta.
- Ecco, giacch� volete scrivere, guardate un po' anche se tornano i conti: bisogna
pagare.
- Che conti? Pagare che cosa? - domand� Il'j� Il'�tch malcontento.
- Il conto del macellaio, dell'erbivendolo, della lavandaia, del panettiere:
chiedono tutti di essere pagati.
- Non si pensa che ai denari! - brontol� Il'j� Il'�tch. - E tu perch� non dai i
conti un po' alla volta, ma tutti insieme?
- Voi mi avete ogni volta cacciato via: domani, domani...
- Be', e non si potrebbe anche adesso rimandare a domani?
- No, ormai vogliono i soldi; non danno pi� nulla a credito. Oggi � il primo del
mese.
- Ah! - disse Oblomov con malinconia, - una nuova preoccupazione! Ebbene, perch�
stai l�? Metti sulla tavola. Adesso mi alzo, mi lavo e guardo, - disse Il'j�
Il'�tch. - E' pronto tutto per lavarsi?
- Pronto, - disse Zach�r.
- Be', adesso...
Egli cominci�, gemendo, a sollevarsi sul letto, per alzarsi.
- Mi son dimenticato di dirvi, - cominci� Zach�r, - che poco fa, quando voi ancora
dormivate, l'amministratore ha mandato a dire che bisogna sgombrare... hanno
bisogno dell'appartamento.
- Ebbene, che c'�? Se ne hanno bisogno, vuoi dire che ce ne andiamo. Perch� mi
secchi? E' la terza volta che me ne parli.
- Ma seccano anche me.
- Di' che ce ne andiamo.
- Essi dicono che � gi� un mese che noi l'abbiamo promesso e non ce ne andiamo.
Hanno detto che informeranno la polizia.
- E che l'informino pure! - disse recisamente Oblomov, - noi ce ne andremo non
appena far� un po' pi� caldo, fra tre settimane.
- Che tre settimane! L'amministratore dice che tra due settimane vengono gli
operai: romperanno tutto... �Sgombrate, - dice, - domani o dopodomani...�
- Eh, eh, troppo svelto! Guarda un po' che roba! E perch� non adesso, sull'istante?
Non osar pi� parlarmi dell'appartamento. Te l'ho gi� proibito una volta; e tu di
nuovo. Guarda!
- Ma che cosa debbo fare? - ribatt� Zach�r.
- Che fare? - guarda un po' come se la sbriga! - rispose Il'j� Il'�tch. - Lo vuoi
sapere da me! Cosa c'entro io in tutto questo? Tu non seccarmi, fa' come ti pare,
ma in modo che non si debba sgombrare. Non pu� darsi un po' da fare per il suo
signore!
- Ma come debbo fare, "b�tjushka" (Questo termine, che equivale a �padre�, o
piuttosto �babbo�, � di uso frequente nella conversazione russa, come forma di
confidenziale rispetto verso estranei), Il'j� Il'�tch, - ricominci� Zach�r come
sospirando rauco. - La casa non � mia: come si pu� non andar via dalla casa degli
altri, se ti cacciano? Se fosse casa mia, con gran piacere...
- Ma non si possono persuadere in qualche modo? �Noi siamo qui da tanto tempo, -
digli, - paghiamo regolarmente�.
- L'ho detto, - rispose Zach�r.
- Ed essi?
- Essi! Hanno ripetuto che ce ne dobbiamo andare, che debbono rinnovare
l'appartamento. Vogliono fare un appartamento solo con questo e con quello del
dottore, per il matrimonio del figlio del padrone.
- Ah, Signore Iddio! - esclam� indispettito Oblomov. - Ci sono degli asini che si
sposano.
Si volt� sulla schiena.
- Perch� non scrivete al padrone? - disse Zach�r, - forse ci lascerebbe stare
ancora; darebbe ordine di cominciare i lavori dall'altro appartamento.
E dicendo questo Zach�r indic� con la mano a destra.
- Va bene, appena mi alzo, gli scrivo... Vattene di l�, lasciami pensare. Tu non
sai far niente, - aggiunse. - Anche di questa roba mi debbo occupar io.
Zach�r usc�, e Oblomov si mise a pensare.
Egli era per� imbarazzato circa l'oggetto dei suoi pensieri: pensare alla lettera
dello "st�rosta", o allo sgombero, od occuparsi dei conti? Si perdeva nella fiumana
delle preoccupazioni e continuava a star sdraiato, rivoltandosi ora su di un
fianco, ora sull'altro. Di tratto in tratto si sentivano delle esclamazioni
spezzate: - Ah, Signore Iddio! La vita t'incalza, ti acchiappa da tutte le parti.
Non si sa quanto tempo egli sarebbe rimasto ancora in questa indecisione, ma
nell'anticamera rison� una voce.
- Ah, � venuto qualcuno! - disse Oblomov, avvolgendosi nella veste da camera. - Ed
io non mi sono ancora alzato! E' una vergogna! Ma chi � che viene cos� presto?
E, continuando a stare sdraiato, guard� incuriosito verso la porta.

2.
Entr� un giovane sui venticinque anni, tutto fiorente di salute, con guance, labbra
ed occhi sorridenti. Faceva invidia a guardarlo. Era pettinato e vestito in modo
impeccabile e abbagliava con la freschezza del volto, della biancheria, dei guanti
e del frac. Al panciotto portava una bella catena con una quantit� di piccoli
ciondoli. Tir� fuori un finissimo fazzoletto di batista, ne aspir� il profumo
orientale, poi lo pass� trascuratamente sul viso e sul cappello luccicante e infine
spolver� le scarpe lucide.
- Ah, Volkov, buon giorno! - disse Il'j� Il'�tch.
- Buon giorno, Oblomov, - disse il brillante giovanotto, avvicinandosi a lui.
- Non vi avvicinate, non vi avvicinate: voi venite di fuori e portate il freddo!
- Ah, viziato, sibarita! - disse Volkov, guardandosi intorno per vedere dove posare
il cappello, che poi, vedendo dappertutto polvere, si tenne in mano; sollev� le
falde del frac per sedersi, ma, osservata attentamente la poltrona, rimase in
piedi.
- Non vi siete ancora alzato? Che razza di pigiama avete! E' un pezzo che non se ne
portano pi� di simili, - egli cos� mortific� Oblomov.
- Questo non � un pigiama, � una veste da camera, - disse Oblomov, avvolgendosi con
amore nelle larghe falde della veste da camera.
- Come va la salute? - domand� Volkov.
- Che salute! - disse Oblomov sbadigliando. - Male! Ho le congestioni. E voi come
state?
- Io? Non c'� male: sano e allegro, molto allegro! - aggiunse il giovanotto con
sentimento.
- Di dove venite cos� presto? - domand� Oblomov.
- Dal sarto. Che vi pare, va bene il mio frac? - domand� egli, rigirandosi davanti
a Oblomov.
- Benissimo! Tagliato con molto gusto, - disse Il'j� Il'�tch; - solo, perch� cos�
largo di dietro?
- E' un frac per cavalcare.
- Ah, ecco! Voi dunque andate a cavallo?
- Ma certo! proprio per la giornata d'oggi mi sono fatto fare questo frac. Oggi �
il primo maggio: vado con Gorjun�v a Ekaterinhof. Ah! Non sapete? Misha Gorjun�v �
stato promosso e noi lo festeggiamo, oggi, - aggiunse Volkov con entusiasmo.
- Ah, ecco! - disse Oblomov.
- Ha un cavallo baio, - continu� Volkov, - hanno tutti dei bai al reggimento; io ho
un morello. Voi come verrete, a piedi o in vettura?
- Io... in nessun modo, - disse Oblomov.
- Non andare a Ekaterinhof il primo maggio! Ma via, Il'j� Il'�tch! - disse Volkov
meravigliato. - Ma se ci son tutti!
- Come tutti! No, non tutti! - not� pigro Oblomov.
- Venite, caro Il'j� Il'�tch! Sof'ja Nikol�evna e L�dija saranno sole nella
carrozza: dirimpetto c'� uno sgabello e voi potete venire con noi...
- No, io non mi metto sullo sgabello. Cosa ci sto a fare?
- Se volete, Misha vi pu� dare un cavallo!
- Dio sa cosa inventate! - disse Oblomov quasi fra s�. - Che avete voi coi
Gorjun�v?
- Ah! - disse Volkov, diventando di brace, - debbo dirvelo?
- Dite!
- Voi non lo direte a nessuno, parola d'onore? - continu� Volkov, sedendosi sul
divano vicino a lui.
- Vi pare?
- Io... io sono innamorato di L�dija, - balbett� egli.
- Bravo! E' molto tempo? E' molto carina, mi pare.
- Sono gi� tre settimane! - disse Volkov con un profondo sospiro. - E Misha �
innamorato di D�shen'ka.
- Quale D�shen'ka?
- Ma voi di dove venite, Oblomov? Non conosce D�shen'ka! Tutta la citt� ha perso la
testa per il modo com'essa balla! Oggi io e Misha andiamo al ballo; egli butter� un
mazzo di fiori. Bisogna accompagnarlo: � timido, un vero principiante... Ah, io
debbo andare a procurare le camelie...
- Dove ancora? Basta, venite da me a pranzo, si fanno quattro chiacchiere. Mi sono
successe due disgrazie...
- Non posso: sono invitato dal principe Tjumenev, l� ci saranno tutti i Gorjun�v e
lei, lei... L�din'ka, - aggiunse egli sussurrando. - Perch� non siete pi� venuto
dal principe? Ah, � una casa cos� allegra la loro! E su che piede � messa! E la
villa! In un letto di fiori! Hanno fatto una galleria, "gothique". Dicono che
quest'estate ci saranno dei balli, dei quadri plastici. Ci verrete?
- No, credo di no.
- Ah, che casa! Quest'inverno ogni mercoled� c'erano non meno di cinquanta persone,
e qualche volta perfino cento...
- Dio mio! Che noia doveva essere, terribile!
- Come � possibile! Noia? Ma quanta pi� gente c'�, tanto pi� � allegro. Anche
L�dija ci veniva, io non l'avevo notata, quando a
un tratto...

Invan mi sforzo di dimenticarla


E vincere l'amor con la ragione...

Egli canticchi� e sedette, distratto, sulla poltrona, ma ad un tratto salt� su e


cominci� a togliersi la polvere dall'abito.
- Che polvere c'� qui da voi, dappertutto! - disse egli.
- E' colpa di Zach�r! - si lament� Oblomov.
- Be', � tempo d'andare! - disse Volkov. - Debbo comprare le camelie per Misha. "Au
revoir".
- Venite dopo il ballo a prendere il t�, mi racconterete quel che c'� stato.
- Non posso, ho promesso gi� ai Mus�nskij: � il loro giorno oggi. Venite anche voi.
Volete? Vi presento io.
- No, cosa verrei a fare?
- Dai Mus�nskij? Scusate, ma ci va mezza citt�. Come: che fare? E' una casa dove si
parla di tutto...
- Proprio questo � noioso, parlar di tutto, - disse Oblomov.
- Allora andate a far visita ai Mezdrov, - lo interruppe Volkov; - l� si parla di
una cosa sola: di arti; non senti altro: la scuola veneziana, Beethoven e Bach,
Leonardo da Vinci...
- Ma anche parlare sempre d'una cosa � una gran noia! Che pedanti debbono essere, -
disse Oblomov, sbadigliando.
- Non vi si pu� accontentare. Come se ci fossero poche famiglie! Adesso hanno tutti
la loro giornata: i S�vinov il gioved�, pranzo, i Maklashin il venerd�, i Vj�znikov
la domenica, il principe Tjumenev il mercoled�. Io ho tutti i giorni occupati! -
concluse Volkov con gli occhi luccicanti.
- E non vi pesa trascinarvi di qua e di l� tutti i giorni?
- Pesa? Ma come pu� pesare? E' molto divertente! - disse egli spensieratamente. -
La mattina leggi, bisogna essere "au courant" di tutto, sapere le novit�. Grazie a
Dio, il mio servizio non richiede che io sia sempre presente. Solo due volte alla
settimana vado a pranzare dal generale, poi vado a far visita dove non sono stato
da parecchio; e poi... c'� una nuova attrice, ora al teatro russo, ora al teatro
francese. Ecco che ci sar� l'opera, io prendo l'abbonamento... Adesso sono
innamorato... Presto sar� estate; a Misha � stata promessa la licenza: andremo a
casa sua in campagna per un mese, tanto per cambiare. Si va a caccia. Hanno dei
vicini eccellenti, danno dei "bals champ�tres". Con L�dija andr� a passeggiare nel
bosco, andremo in barca, a coglier fiori... Ah!... - e si rigir� per la gioia. - Ma
� tempo d'andare... Addio, - disse, facendo inutili sforzi per guardarsi davanti e
dietro nello specchio polveroso.
- Aspettate, - Oblomov cerc� di trattenerlo, - io volevo parlare con voi di affari.
- "Pardon", non ho tempo, - Volkov si affrett�; - un'altra volta! Non volete venire
con me a mangiar le ostriche? Allora mi racconterete tutto. Andiamo, � Misha che
offre.
- No, che Dio vi accompagni! - disse Oblomov.
- Addio.
Egli si allontan� e si volt�.
- Avete visto questo? - domand�, mostrando la mano che era come fusa nel guanto.
- Che c'�? - domand� Oblomov sorpreso.
- I nuovi "lacets". Vedete come tengono bene: non c'� pi� bisogno di tormentarsi
due ore coi bottoni: si tira il laccio ed � a posto. Sono arrivati or ora da
Parigi. Volete, ve ne porto un paio per prova.
- Va bene, portateli! - disse Oblomov.
- E guardate questo; non � vero che � molto grazioso? - disse egli, cercando fra i
ciondoli, - un biglietto da visita con l'angolo piegato.
- Non capisco cosa c'� scritto.
- "Pr. prince M. Michel, - disse Volkov, - ma il cognome Tjumenev non c'� entrato;
me l'ha regalato a Pasqua il principe invece dell'uovo. Addio, "au revoir". Debbo
andare ancora in dieci posti. Mio Dio, come � piacevole stare al mondo!
E scomparve.
�In dieci luoghi in un giorno solo, disgraziato! - pens� Oblomov. - Ed � vita
questa! - e scroll� forte le spalle. - Dov'� pi� l'uomo qui? In quante particelle
si spezzetta e si perde? Certo non � brutto dare un'occhiata al teatro e
innamorarsi di una L�dija... essa � graziosa! Andare a coglier fiori con lei in
campagna, passeggiare in carrozza... bene; ma in dieci luoghi diversi in un solo
giorno... disgraziato!� Cos� egli concluse, voltandosi sulla schiena e
rallegrandosi di non avere desideri e pensieri cos� futili, e di non dover correre
qua e l�, ma di poter anzi restare l� sdraiato, conservando la sua dignit� umana e
la sua tranquillit�.
Una nuova scampanellata interruppe le sue riflessioni. Entr� un nuovo ospite.
Era questi un signore in frac verde scuro con bottoni da uniforme, col mento tutto
rasato, ma con fedine scure che gli incorniciavano il viso, con un'espressione
affaticata, ma tranquilla e intelligente negli occhi, un viso appassito ed un
sorriso pensieroso.
- Buon giorno, Sud'binskij! - lo salut� allegramente Oblomov.
- Finalmente sei venuto a dare un'occhiata al vecchio collega! Non ti avvicinare,
non ti avvicinare! Vieni di fuori e porti il freddo.
- Buon giorno, Il'j� Il'�tch. Da un pezzo volevo venire, - disse l'ospite, - ma tu
sai che razza di servizio indiavolato � il nostro! Ecco, guarda, ho tutta una
valigia di pratiche, e ho dovuto dire che, se hanno bisogno di qualcosa, possono
mandare un usciere qua. Non si dispone neppure di un minuto per se stessi.
- Tu ancora non sei andato in ufficio? - domand� Oblomov.
- Ma prima cominciavi alle dieci...
- Prima, s�; ma adesso � un'altra cosa; io mi ci faccio trascinare alle dodici.
Egli accentu� �mi ci faccio trascinare�.
- Ah! ho indovinato! - disse Oblomov. - Sei capoufficio! E' da molto?
Sud'binskij accenn� significativamente di s� con la testa.
- Da Pasqua, - disse egli. - Ma quanto da fare, uno spavento! Dalle otto a
mezzogiorno a casa, da mezzogiorno alle cinque in ufficio, e poi lavoro anche la
sera. Ho perduto ormai l'abitudine di vedere gente!
- Uhm! Capoufficio, guarda un po'! - disse Oblomov. - Mi congratulo! Tu, s�, che
sei in gamba! E siamo stati insieme impiegati di cancelleria. Sono certo che l'anno
venturo farai il salto a consigliere.
- Via, lascia andare! Quest'anno debbo ancora ricevere la corona; io pensavo che mi
avrebbero proposto per �merito�, ma adesso ho occupato un nuovo ufficio; non �
possibile due anni di seguito...
- Vieni a pranzo da me, beviamo alla tua promozione! - disse Oblomov.
- No, oggi pranzo dal vicedirettore. Per gioved� debbo preparare una relazione, un
lavoro infernale! Non ci si pu� fidare delle relazioni che vengono dai governanti.
Bisogna verificare direttamente i registri. Foma Fom�tch � cos� sospettoso: vuoi
vedere tutto di persona. Oggi dopo pranzo guarderemo insieme.
- Come, anche dopo pranzo? - domand� Oblomov incredulo.
- Che cosa pensi? Sar� gi� una bella cosa se mi sbrigo un po' prima, in modo da
poter andare a Ekaterinhof... Sono venuto appunto per domandarti se non vuoi venire
con me a passeggiare. Ti verrei a prendere...
- Non sto tanto bene, non posso, - disse Oblomov, contraendo il viso. - E poi ho
molto da fare... No, non posso!
- Peccato! - disse Sud'binskij, - � una cos� bella giornata. Io spero almeno oggi
di poter respirare.
- Ebbene, che c'� di nuovo da voialtri? - domand� Oblomov.
- C'� parecchio di nuovo: nelle lettere, invece di �devoto servo�, si scrive
�gradite l'assicurazione, ecc.�; per gli elenchi-formulari non si richiedono pi�
due copie. Nel nostro ufficio sono stati aggiunti tre tavolini e due nuovi
impiegati. La nostra commissione � stata chiusa... Molto!
- E dei nostri vecchi colleghi ?
- Per ora nulla; Svinkin ha perduto un incartamento!
- Davvero? E che ha detto il direttore? - domand� Oblomov con voce tremante.
Lo terrorizzava il ricordo del tempo passato.
- Ha ordinato che gli si trattenga lo stipendio fino a che non trover� gli atti. E'
una pratica importante: �sulle riscossioni�. Il direttore pensa, - aggiunse
Sud'binskij quasi sussurrando, - che egli li abbia perduti... apposta.
- Non pu� essere, - disse Oblomov.
- No, no! Non � giusto! - disse Sud'binskij con sussiego e protezione. - Svinkin �
una testa sventata. Qualche volta Dio sa che somme ti caccia fuori, sbaglia tutti i
dati. Io non ne posso pi� con lui; ma non s'� notato mai niente di simile a suo
carico. No, egli non lo farebbe mai! L'incartamento sar� rimasto chiss� dove; lo
trover� pi� tardi.
- Dunque, cos� stanno le cose: sempre in mezzo alle fatiche! - disse Oblomov. - Tu
lavori.
- Terribile, terribile! Per� si capisce, con un uomo come Foma Fom�tch si lavora
volentieri: non ti lascia senza ricompensa; ma non dimentica neppure quelli che non
fanno nulla. Non appena � passato il termine per la promozione, egli fa subito la
proposta, e a chi non pu� ancora essere promosso e non ha ricevuto onorificenze,
procura denaro...
- Tu quanto ricevi?
- Ecco: 1200 rubli di stipendio, in pi� 750 per la mensa, 600 per l'abitazione, 900
per accessori, 500 per trasferte e 1000 rubli per straordinari.
- Accidenti! - disse Oblomov, saltando su dal letto, - hai forse una bella voce,
che?... Guadagni come un tenore italiano!
- Questo � ancora nulla. Peresvetov riceve anche delle gratificazioni e lavora meno
di me, e non capisce nulla. S'intende che non ha la mia riputazione. Io sono molto
apprezzato, - aggiunse egli modestamente, abbassando gli occhi, - il ministro si �
espresso poco tempo fa a mio riguardo con queste parole: �ornamento del ministero�.
- Bravo! - disse Oblomov. - Ma lavorare dalle otto a mezzogiorno e da mezzogiorno
alle cinque, e poi ancora a casa... ahi, ahi!
Egli scosse la testa.
- E che farei se non avessi il mio posto? - domand� Sud'binskij.
- Tante cose! Leggere, scrivere... - disse Oblomov.
- Ed io ora non faccio altro che leggere e scrivere.
- No, non questo: faresti stampare...
- Ma mica tutti possono essere scrittori. Ecco tu, per esempio, non scrivi, -
ribatt� Sud'binskij.
- Ma in compenso ho una propriet� da amministrare, - disse con un sospiro Oblomov.
- Sto preparando un nuovo piano; introduco diversi miglioramenti. Mi affanno, mi
affanno... E tu invece ti occupi di cose altrui, non di cose tue.
- Che fare! Bisogna ben lavorare per guadagnare. L'estate mi riposo: Foma Fom�tch
ha promesso di trovare apposta per me un viaggio di servizio... ecco, cos� mi danno
una indennit� di viaggio per cinque cavalli, tre rubli al giorno di trasferta e
supplemento...
- Questo s� che � comodo! - disse Oblomov con invidia; poi sospir� e si immerse di
nuovo nei suoi pensieri.
- C'� bisogno di soldi: in autunno mi ammoglio, - aggiunse Sud'binskij.
- Che dici? davvero? E con chi? - disse Oblomov interessandosi.
- Scherzi a parte, con la Murasina. Ti ricordi che vivevano accanto a me in
campagna? Tu prendevi il t� da me: devi averla vista.
- No, non mi ricordo! E' carina? - domand� Oblomov.
- S�, carina. Andiamo a pranzo da loro, vuoi?
Oblomov fu imbarazzato.
- S�... bene, solo...
- La settimana ventura, - disse Sud'binskij.
- S�, s�, la settimana ventura, - si rallegr� Oblomov, - non � ancora pronto il
vestito. Ebbene, � un buon partito?
- S�, il padre � consigliere di Stato effettivo, le da diecimila rubli e la casa
gratis. Ci ha dato met� dell'appartamento, dodici stanze; la mobilia � governativa,
il riscaldamento e l'illuminazione anche: si pu� vivere...
- S�, si pu�! Come no! Sei davvero in gamba, Sud'binskij! -aggiunse Oblomov, non
senza invidia.
- Ti invito alle mie nozze, Il'j� Il'�tch, come mio testimonio: guarda...
- Come no, immancabilmente! - disse Oblomov. - E di Kuznc�v, di Vasil'ev, di
Machov, che ne �?
- Kuznc�v � ammogliato da un pezzo, Machov ha preso il mio posto, e Vasil'ev �
stato trasferito in Polonia. Iv�n Petrovitch ha ricevuto l'Ordine di Vladimir.
Oleshkin � diventato eccellenza.
- E' un uomo come si deve! - disse Oblomov.
- Buono, buono; lo merita.
- Molto buono, un carattere dolce, uniforme, - disse Oblomov.
- Sempre cos� pronto a favorirti, - aggiunse Sud'binskij, - e poi, sai, non cerca
neppure di farsi avanti, di danneggiare gli altri, di dare lo sgambetto... fa tutto
quello che pu� per gli altri.
- Un uomo eccellente! Se sbagli qualche cosa nelle pratiche, se citi una legge per
un'altra, non fa niente: ordina subito ad un altro di rifare il lavoro. Un uomo
eccellente! - concluse Oblomov.
- Al contrario il nostro Sem�n Sem�nytch � incorreggibile, - disse Sud'binskij, - �
maestro solo nel buttar polvere negli occhi. Senti un po' che ha fatto qualche
tempo fa: dal governatorato � arrivato il progetto di costruire, accanto agli
edifici appartenenti al nostro ministero, dei canili per i cani messi a far la
guardia alle cose governative contro i furti: il nostro architetto, un uomo in
gamba, competente ed onesto, ha preparato un progetto della spesa molto preciso; ed
ecco che al nostro Sem�n Sem�nytch la somma pare troppo grossa, e avanti a prendere
informazioni su quanto pu� costare la costruzione dei canili. Trova chiss� dove per
trenta copeche di meno ed ecco subito un rapporto...
Rison� di nuovo il campanello.
- Addio, - disse l'impiegato, - mi son messo a chiacchierare, e l� forse c'�
bisogno di me...
- Rimani ancora, - insist� Oblomov. - Ho bisogno di consigliarmi con te: mi son
capitati due guai...
- No, no, torner� piuttosto fra qualche giorno, - disse egli, uscendo.
�E' impegolato, l'amico caro, impegolato fino agli orecchi, - pens� Oblomov,
accompagnandolo con gli occhi. - Ed � cieco, sordo e muto per tutto il resto al
mondo. Ma andr� avanti, col tempo manegger� affari e raggiunger� un alto grado...
Da noi questo si chiama anche far carriera! E quanto poco si richiede da un uomo
per questo: a che gli servono l'intelligenza, i sentimenti? Un lusso! Ed egli vivr�
la sua vita e tante cose resteranno in lui immobili... E intanto lavora da
mezzogiorno alle cinque in ufficio, dalle otto a mezzogiorno a casa... disgraziato!

Prov� un sentimento di gioia tranquilla pensando che dalle nove alle tre, dalle
otto alle nove, poteva restarsene a casa sul divano, e fu tutto orgoglioso al
pensiero ch'egli non aveva nessun rapporto da fare, nessuna carta da scrivere, e
che i suoi sentimenti, la sua fantasia godevano piena libert�.
Oblomov filosofava senza accorgersi che accanto al letto stava un signore magrolino
e nero nero, come coperto tutto quanto dalle fedine, dai baffi e dal pizzo alla
spagnola. Costui era vestito con voluta trascuratezza.
- Buon giorno, Il'j� Il'�tch.
- Buon giorno, Penkin; non vi avvicinate, non vi avvicinate; voi venite di fuori e
portate il freddo! - disse Oblomov.
- Ah, stravagante! - disse quegli. - Sempre lo stesso incorreggibile, spensierato
fannullone!
- S�, spensierato! - disse Oblomov. - Adesso vi mostrer� una lettera che ho
ricevuta dal mio "st�rosta": c'� da rompersi la testa, e voi dite: spensierato! Di
dove venite?
- Dalla libreria: sono andato a domandare se non sono uscite le riviste. Avete
letto il mio articolo?
- No.
- Ve lo mander�, leggetelo.
- Su che cosa? - domand� Oblomov, mentre apriva la bocca in un lungo sbadiglio.
- Sul commercio, sull'emancipazione delle donne, sulle belle giornate d'aprile che
ci son state donate e sulla nuova invenzione contro gli incendi. Come mai non
leggete? E' la nostra vita quotidiana. Pi� di tutto io combatto per l'indirizzo
realistico nella letteratura.
- Avete molto da fare?
- S�, abbastanza. Due articoli di giornale ogni settimana, poi critiche letterarie,
ho scritto or ora un racconto...
- Su che?
- Come in una citt� un sindaco le da sul muso a certi borghesucci...
- S�, questo � davvero indirizzo realistico, - disse Oblomov.
- Non � vero? - conferm� il letterato soddisfatto. - Io sviluppo questa idea e so
che � nuova e ardita. Un viandante qualunque � testimonio di questa scena e
incontrandosi col governatore se ne lamenta. Il governatore ordina ad un impiegato
di recarsi sul posto per indagare, accertare i fatti e in generale raccogliere i
dati sulla persona e il contegno del sindaco. L'impiegato chiama i borghesucci
apparentemente per parlare di commercio, ma intanto assume informazioni sul fatto.
Che cosa fanno quei borghesucci? Si inchinano, salutano e portano alle stelle il
sindaco. L'impiegato allora cerca di prendere informazioni per altre vie, e viene a
sapere che i borghesucci sono dei terribili imbroglioni, che commerciano in merci
avariate e ingannano nel peso e nelle misure anche a danno dello Stato, insomma,
gente immorale e che perci� le busse sono state una giusta punizione...
- Vuoi dire che le busse del sindaco vengono in scena nel racconto come il fato
degli antichi tragici? - disse Oblomov.
- Precisamente, - approv� subito Penkin. - Voi avete molto tatto, Il'j� Il'�tch,
dovreste scrivere. E cos� a me � riuscito di mostrare e l'arbitrio del sindaco, e
la corruzione dei costumi del popolino, la cattiva organizzazione degli impiegati e
la necessit� di misure severe ma legali... Non � vero che questa idea �...
abbastanza nuova ?
- S�, specialmente per me, - disse Oblomov; - io leggo cos� poco...
- Davvero, non si vedono libri qui da voi! - disse Penkin. - Ma vi prego, leggete
almeno una cosa, un poema magnifico: "L'amore di un concussionario per una donna
caduta". Io non posso dirvi chi ne � l'autore: � ancora un segreto.
- Che cosa c'� in questo poema?
- E' rivelato tutto il meccanismo del nostro movimento sociale, e tutto in colori
poetici. Sono toccate tutte le molle, passati in rassegna tutti i gradini della
scala sociale. Vi sono come chiamati a giudizio e il debole, corrotto nobiluccio, e
tutta la schiera dei corrotti impiegati che lo ingannano; e sono analizzate tutte
le categorie di donne cadute... francesi, tedesche e finlandesi, e tutto, tutto...
con una veridicit� sorprendente, piena di vita... Ne ho sentiti dei frammenti, � un
grande autore! in lui si sente ora Dante, ora Shakespeare...
- Accidenti che roba! - disse Oblomov sbalordito, e si sollev�. Penkin ammutol�
all'improvviso, vedendo che veramente aveva esagerato.
- Ecco, voi potete leggere, vedere voi stesso, - aggiunse egli pi� modestamente.
- No, Penkin, io non lo legger�.
- Perch�? E' un libro che fa del chiasso, se ne parla...
- E che ne parlino pure! Ci sono certuni che non hanno altro da fare che parlare.
E' una professione.
- Leggete almeno per curiosit�.
- Ma che cosa c'� di nuovo? - disse Oblomov. - A che scopo scrivere queste cose:
solo per perder tempo...
- Come? � tutto cos� vero, cos� vero! Viene una voglia matta di ridere. Proprio dei
ritratti vivi. Di chiunque si tratti, di un mercante, di un impiegato, di un
ufficiale, di un poliziotto: � la vita tale e quale.
- Ma perch� darsi tanto da fare: per il piacere che chi voi prendete a
rappresentare esca ben riprodotto? Ma vita in tutto questo non ce n'� affatto;
nessuna comprensione di essa, nessuna simpatia, niente di ci� che voi chiamate
umanit�. Non c'� altro che vanit�. Si descrivono i ladri, le donne cadute, come le
acciuffano sulla strada e le portano in prigione. Nel loro racconto non si sentono
le �lacrime invisibili�, ma soltanto un rumoroso, grossolano riso, la cattiveria...
- Ma di che altro c'� bisogno? Benissimo, l'avete detto anche voi: � cattiveria che
ribolle; c'� qui la caccia al vizio rabbioso, il riso di disprezzo per l'uomo
caduto... c'� tutto!
- No, non tutto! - disse Oblomov, improvvisamente riscaldandosi, - descrivi pure un
ladro, una donna caduta, uno stupido gonfiato, ma non dimenticare l'uomo. Dov'�
l'umanit�, dunque? Voi volete scrivere soltanto con la testa! - e Oblomov sibil�
quasi parlando. - Voi credete che il pensiero non abbia bisogno del cuore? No, esso
� fecondato dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete
amaramente su di lui se egli � finito, ma non lo schernite. Amatelo, ricordate in
lui voi stesso e rivolgetevi a lui come a voi stesso, allora io vi legger� e
piegher� la testa davanti a voi... - disse egli, sdraiandosi di nuovo
tranquillamente.
- Si descrive il ladro, la donna caduta, ma si dimentica l'uomo, o non lo si sa
descrivere. Che arte, che colori poetici dunque avete trovato? Perseguitate il
vizio, la sporcizia, soltanto, per carit�, senza pretese di poesia.
- E che, volete dunque che si descriva la natura: le rose, gli usignoli, o la
mattina gelata, mentre tutto intorno ribolle, si muove? Noi non abbiamo bisogno che
della nuda fisiologia della societ�; non abbiamo la testa ai canti, adesso...
- Datemi l'uomo, l'uomo! - disse Oblomov, - amatelo...
- Amare l'usuraio, l'ipocrita, l'impiegato ottuso o ladro? - sentite un po'! Cosa
andate dicendo! Si vede che voi non vi occupate di letteratura! - Penkin si
riscald�. - No, bisogna punirli, cacciarli dall'ambiente sociale, dalla societ�...
- Cacciarli dalla societ�! - cominci� Oblomov come ispirato, alzandosi davanti a
Penkin. - Questo significa dimenticare che in questo vaso era chiuso un principio
superiore; che se egli � un uomo guastato, � tuttavia sempre un uomo, cio� voi
stesso. Cacciare! Ma come lo volete cacciare dall'umanit�, dal grembo della natura,
dalla misericordia divina? - Oblomov quasi grid�, con gli occhi fiammeggianti.
- Esagerate! - disse a sua volta, sorpreso, Penkin.
Oblomov si accorse di aver esagerato anche lui. Tacque all'improvviso, rimase un
momento in piedi, sbadigli� e si sdrai� di nuovo sul divano.
Si sprofondarono tutti e due nel silenzio.
- Che cosa leggete? - domand� Penkin.
- Io... per lo pi� descrizioni di viaggi.
Di nuovo silenzio.
- Allora leggerete il poema quando uscir�? Io ve lo porter�... - disse Penkin.
Oblomov fece con la testa un segno di diniego.
- Allora vi mando il mio racconto? Oblomov fece un segno di assenso.
- Ma � tempo d'andare in tipografia! - disse Penkin. - Ma sapete perch� sono venuto
da voi? Volevo proporvi di venire con me a Ekaterinhof; ho un carrozzino. Domani
debbo scrivere un articolo sulla passeggiata: si osserverebbe insieme e voi mi
comunichereste quello che io non notassi da me; sarebbe pi� allegro. Andiamo...
- No, non sto bene, - disse Oblomov, aggrottando le sopracciglia e coprendosi con
la coperta, - ho paura dell'umido: non � ancora seccato in terra. Piuttosto venite
voi a pranzo da me oggi: si discorrerebbe... Ho due guai...
- No, la nostra redazione oggi � tutta al ristorante Saint-Georges, di dove ci
muoveremo per la passeggiata. E durante la notte debbo scrivere e appena giorno
mandare in tipografia. Arrivederci.
- Arrivederci, Penkin.
�Scrivere durante la notte, - pens� Oblomov, - e dormire quando? Ma egli guadagna
almeno cinquemila rubli all'anno! E' un pane, questo! Ma scrivere sempre, consumare
il proprio pensiero, la propria anima in piccolezze, cambiar d'opinione, far
commercio della propria mente e della propria fantasia, forzare la propria natura,
agitarsi, ribollire, ardere, non conoscere tregua e [ muoversi sempre di qua e di
l�... E scrivere sempre, scrivere sempre, come una ruota, come una macchina: scrivi
domani, dopodomani; arriva la festa, viene l'estate, e lui scrive sempre. E quando
fermarsi e riposare? Disgraziato!�
Egli volse la testa verso la tavola, dove tutto era sgombre, l'inchiostro nel
calamaio s'era seccato, e non si vedevano penne, e si rallegr� di potersene star l�
sdraiato, senza preoccupazioni, cerne un neonato, senza occuparsi di tante cose,
senza veder nulla.. �E la lettera dello "st�rosta" e l'appartamento?� Si ricord� a
un tratto di tutto e si fece pensieroso. Ma ecco una nuova scampanellata.
- Ma che c'�, ricevimento oggi in casa mia? - disse Oblomov e aspett�.
Entr� un uomo di et� indeterminata, dalla fisionomia indeterminata, in quel periodo
appunto in cui � difficile indovinare gli anni; n� bello n� brutto, n� alto n�
basso, n� biondo n� bruno. La natura non gli aveva dato nessun tratto deciso,
rilevante, n� h bene n� in male. Molti lo chiamavano Iv�n Iv�novitch, altri Iv�n
Vas�l'evitch, altri ancora Iv�n Michajlytch.
Anche il suo cognome veniva indicato in modo diverso: alcuni dicevano che era
Ivanov, altri lo chiamavano Vasil'ev o Andreev, altri ancora credevano che si
chiamasse Alekseev. Un estraneo che lo avesse veduto per la prima volta e ne avesse
sentito il cognome, avrebbe subito dimenticato il cognome ed il viso, e anche quel
ch'egli avesse detto. La sua presenza non dava nulla alla societ�, a quel modo che
la sua assenza non le toglieva nulla. Il suo spirito non aveva n� acutezza n�
originalit� n� altre particolarit�, cos� come non aveva particolarit� il suo corpo.
Forse avrebbe saputo almeno raccontare quel che avesse visto e sentito, e
intrattenere cos� gli altri, ma egli non andava in nessun posto: era nato a
Pietroburgo e di l� non s'era mai mosso; per conseguenza vedeva e sentiva quel che
sapevano anche gli altri.
E' simpatico un tale uomo? Ama, odia, soffre? A quanto pare, dovrebbe amare e non
amare, e soffrire, perch� nessuno ne va esente. Ma, chiss� come, egli sa fare in
modo di amar tutti. Ci sono degli uomini nei quali, qualunque cosa si faccia, non
si riesce a suscitare nessun spirito di inimicizia, nessun desiderio di vendetta,
ecc. Qualunque cosa si faccia loro, carezzano sempre. Del resto, bisogna essere
giusti: anche il loro amore, se si divide per gradi, non arriva mai al calore.
Sebbene di essi si dica che amano tutti e perci� sono buoni, in sostanza non amano
nessuno e sono buoni solo perch� non sono cattivi.
S� in presenza d'un uomo simile si fa l'elemosina ad un mendicante, anche lui butta
la sua monetina, ma se lo si rimprovera, lo si caccia via, lo si deride, anche lui
lo rimprovera e deride con gli altri. Non si pu� dirlo ricco perch� non � ricco,
anzi piuttosto povero; ma non si pu� dirlo neppure decisamente povero, perch� ci
sono molti pi� poveri di lui.
Egli ha una rendita di circa trecento rubli all'anno; inoltre � impiegato in un
ufficio di poca importanza e riceve uno stipendio di poca importanza; non si trova
in bisogno e non prende in prestito da nessuno, ma a nessuno verrebbe in mente di
prendere in prestito da lui.
All'ufficio non ha nessuna speciale occupazione fissa perch� n� i colleghi n� i
superiori hanno mai potuto constatare che cosa egli faccia meglio e che cosa
peggio, in modo da stabilire quali sono le sue vere attitudini. Se gli si da da
fare questo o quello, fa tutto in modo che il superiore si trova sempre in
imbarazzo nel giudicare
11 suo lavoro; guarda, guarda, legge, legge e dice soltanto: �Lasciate, guarder�
poi... s�, � quasi come deve essere�.
Non sorprendi mai sul suo volto le tracce della preoccupazione, del sogno, qualche
cosa che mostri che egli parla in quel momento con se stesso, e cos� pure non vedi
mai un suo sguardo scrutatore rivolgersi a qualche oggetto esteriore, che egli
desideri di conoscere. Se lo incontra un conoscente per via e gli domanda: �Dove
vai?�, egli risponde, poniamo: �Vado all'ufficio, al magazzino, a fare una visita�,
ma se l'altro dice: �Io vado alla posta, andiamoci insieme, o andiamo dal sarto, o
a passeggiare�, egli va con lui e dal sarto e alla posta e a passeggiare, nella
direzione contraria a quella in cui andava.
E' difficile che qualcuno abbia notato la sua venuta al mondo, oltre la madre,
pochissimi lo notano nel corso della sua vita, e nessuno certo noter� la sua
scomparsa; nessuno domander� di lui, nessuno lo rimpianger� e nessuno si rallegrer�
della sua morte. Egli non ha n� nemici n� amici, solo innumerevoli conoscenti.
Forse soltanto i funerali attireranno l'attenzione del passante che dar� per la
prima volta a questa indefinita persona un segno d'onore con un profondo inchino; e
forse anche un curioso correr� a domandare il nome del defunto e subito lo
dimenticher�.
Questo Alekseev, Vasil'ev, Andreev, o come pi� vi piace, � il calco imperfetto,
impersonale della massa, la sua eco sorda, il suo confuso riflesso.
Perfino Zach�r, che nelle sue conversazioni sincere fatte sul portone o nella
bottega dava le caratteristiche diverse di tutti gli ospiti che visitavano il suo
padrone, era sempre in imbarazzo quando veniva la volta di questo... diciamo
Alekseev. Egli pensava a lungo, a lungo cercava un qualsiasi tratto spiccato al
quale afferrarsi, nell'aspetto esterno, nelle maniere o nel carattere di questo
personaggio, e finalmente, agitando la mano, diceva: �Non � n� carne n� pesce!�
- Ah! - cos� lo accolse Oblomov. - Siete voi, Alekseev? Buon giorno. Di dove
venite? Non vi avvicinate, non vi avvicinate: io non vi dar� la mano; voi venite di
fuori e fa freddo!
- Ma che freddo! Io non pensavo di venir da voi oggi, - disse Alekseev. - Ma ho
incontrato Ovtchinin e m'ha portato con s�. Io sono venuto a prendervi.
- Per andar dove?
- Da Ovtchinin, andiamo. Ci sono Matv�j Andreitch Aljanov, Kazim�r Albertytch
Pchajlo, Vasilij Sevast'janytch Kolymjagin.
- Perch� si sono riuniti e che cosa vogliono da me?
- Ovtchinin vi invita a pranzo.
- Uhm! A pranzo... - ripet� Oblomov con voce monotona.
- E poi si va tutti a Ekaterinhof; mi ha detto di dirvi che dovreste prendere un
carrozzino.
- E a far che, l�?
- Come! C'� la passeggiata, oggi. Non lo sapete? oggi � il primo maggio!
- Sedetevi: pensiamo un poco... - disse Oblomov.
- Alzatevi voi! E' tempo di vestirsi.
- Aspettate un poco, � ancora presto.
- Che presto! Hanno detto di andare alle dodici: pranzeremo un po' per tempo, verso
le due, e poi via, alla passeggiata. Andiamo dunque, in fretta. D� ordine che vi
diano i vestiti?
- Che vestiti? Io non mi sono ancora lavato.
- Allora lavatevi.
Alekseev cominci� ad andare su e gi� per la camera, poi si ferm� dinanzi ad un
quadro che aveva gi� visto mille volte, guard� furtivamente dalla finestra, prese
un oggetto dallo scaffale, se lo rigir� fra le mani, lo guard� da tutte le parti e
lo rimise a posto, poi riprese ad andare su e gi�, fischiettando: tutto questo per
dar modo ad Oblomov di alzarsi e vestirsi. Pass� cos� una decina di minuti.
- Ma che avete? - domand� egli a un tratto a Il'j� Il'�tch.
- Che?
- State sempre l� sdraiato?
- E che, bisogna alzarsi?
- Ma come! Ci aspettano. Voi volevate venire con me.
- Dove? Io non volevo andare in nessun posto...
- Ma come, Il'j� Il'�tch, adesso adesso si diceva di andare a pranzare da Ovtchinin
e poi a Ekaterinhof...
- Ma vi pare, con questa umidit�! Io non ho pi� niente da vedere l�. Sta per
piovere, guardate fuori com'� buio, - disse fiacco Oblomov.
- Nel cielo non c'� una nuvoletta e voi fantasticate di pioggia. C'� buio perch� le
vostre finestre non sono state lavate chiss� da quanto tempo! Sono sporche,
sporche! Non si vede un accidente; e poi una delle persiane � calata gi�.
- S�, provatevi un po' a toccare questo tasto davanti a Zach�r, subito vi propone
di far venire delle donne e mi caccia di casa per tutto il giorno.
Oblomov si fece pensieroso, e Alekseev tamburell� con le dita sulla tavola, accanto
alla quale s'era messo a sedere, girando distrattamente lo sguardo sulle pareti e
sul soffitto.
- Dunque, che dite? Che cosa facciamo? Vi vestite o restate? - domand� egli dopo
qualche minuto.
-Che?
- Andiamo a Ekaterinhof?...
- E dagli con questo Ekaterinhof! - rispose Oblomov irritato. - Non potreste
starvene qui? Fa freddo qui, o c'� puzzo, che guardate cos� fuori?
- No, qui io sto sempre bene; sono contento, - disse Alekseev.
- E se ci state bene perch� volete andare in un altro posto? Restate piuttosto qui
da me tutto il giorno, pranzate e poi questa sera andate l�, e che Dio vi
accompagni!... Ah, mi dimenticavo, dove posso mai andare! Oggi viene a pranzo
Tarant'ev: � sabato oggi.
- Se � cos�, allora... bene... come volete... - disse Alekseev.
- E dei miei affari vi ho parlato? - domand� vivacemente Oblomov.
- Di che affari? Non so niente, - disse Alekseev, guardandolo con gli occhi
spalancati.
- E perch� mi alzo dunque cos� tardi? Io stavo ancora sdraiato a pensare come uscir
fuori dai guai.
- Che c'�? - domand� Alekseev, sforzandosi di fare una faccia spaventata.
- Due guai! Non so proprio come fare.
- Che guai?
- Mi cacciano dall'appartamento; pensate un po', bisogna fare uno sgombero:
rotture, noie di ogni genere... vengono i brividi a pensarci! Sono otto anni che
vivo in questo appartamento. E' un brutto colpo che mi fa il padrone: �Sgombrate, -
dice, - al pi� presto�.
- Anche al pi� presto! Vuoi dire che bisogna affrettarsi. Ma questo �
insopportabile... sgombrare: quando si sgombra c'� sempre una quantit� di noie, -
disse Alekseev, - rompono, perdono; � una gran seccatura! E voi avete un cos�
bell'appartamento... Quanto pagate?
- Dove se ne trova un altro come questo, - disse Oblomov, -e per di pi� in fretta e
furia? Un appartamento asciutto, caldo; una casa tranquilla: hanno rubato una volta
sola! Il soffitto sembra poco solido, l'intonaco si � tutto staccato, e pure non
cade.
- Davvero, dite! - esclam� Alekseev, dondolando la testa. �Come fare per... non
sgombrare?� pens� fra s�, riflettendo,
Oblomov.
- Avete affittato l'appartamento con contratto? - domand� Alekseev, guardando la
camera dal soffitto al paviment�.
- S�, solo che il termine del contratto � passato; e ho continuato a pagare a
mese... non mi ricordo per� da quando.
- Cosa pensate di fare? - domand�, dopo qualche momento di silenzio, Alekseev, -
sgombrare o restare?
- Non penso nulla, - disse Oblomov. - Non ho nemmeno voglia di pensarci. Lascio che
Zach�r escogiti qualche cosa.
- E pensare che certuni amano tanto cambiar casa, - disse Alekseev, - non trovano
piacere che nel cambiare appartamento.
- E che sgombrino pure questi �certuni�! Io non posso sopportare nessun
cambiamento! E l'appartamento � ancora il meno! - aggiunse Oblomov. - Guardate un
po' qua, che cosa scrive lo "st�rosta". Vi faccio subito vedere la lettera... dove
diavolo � andata a finire? Zach�r, Zach�r!
- Ah, tu, Vergine del Ciclo! - mormor� rauco Zach�r, saltando dalla stufa, - quando
Dio mi chiamer� a s�? - Egli entr� e guard� il signore con lo sguardo torbido.
- Perch� non hai trovato la lettera?
- Ma dove la trovo? Posso sapere io che lettera vi serve? Io non so leggere.
- Poco importa, cerca, - disse Oblomov.
- Voi stesso avete letto ieri sera una lettera, - disse Zach�r, - e poi non l'ho
pi� vista.
- Ma dov'�? - ribatt� indispettito Il'j� Il'�tch. - Io non me la sono mangiata. Mi
ricordo benissimo che tu l'hai presa e l'hai messa in qualche posto. Guarda un po',
cerca!
Egli scosse la coperta: dalle pieghe di questa cadde a terra la lettera.
- Ecco, e voi ve la pigliate sempre con me!...
- Basta, basta! - e Oblomov e Zach�r gridarono nello stesso tempo.
Zach�r usc� e Oblomov cominci� a leggere la lettera, che sembrava scritta col
"kvas" (Bevanda fermentata fatta soprattutto con pane o farina di segala) su di una
carta grigia, con sigillo di ceralacca scura. I caratteri enormi, pallidi si
stendevano in processione solenne, senza rapporto l'uno con l'altro, secondo una
linea verticale, dall'angolo superiore all'inferiore. Il corteo talvolta era
interrotto da una grande macchia d'inchiostro pallido.
�Grazioso signore, - cominci� Oblomov, - illustrissimo, nostro padre e sostegno,
Il'j� Il'�tch...�
Qui Oblomov salt� alcune parole di ossequio e di augurio di buona salute e continu�
verso la met�:
�Espongo alla tua grazia padronale che nel tuo possedimento, o nostro sostegno,
tutto va benissimo. Sono cinque settimane che non piove: si vede che il Signore �
in collera e non ci manda la pioggia. I pi� vecchi non ricordano una simile
siccit�; i raccolti d'estate sono come bruciati dal fuoco. Il raccolto invernale �
in molti punti mangiato dai vermi e in altri i geli prematuri lo hanno distrutto:
l'abbiamo trasformato in estivo, ma non sappiamo se la cosa andr� bene. Che il
Signore misericordioso aiuti la tua grazia e non preoccupiamoci di noi: si crepi
pure! Il giorno di San Giovanni sono andati via altri tre contadini: Laptev,
Balotch�v, e soprattutto Vas'ka, il figlio del fabbro. Io ho mandato le donne a
cercare i loro mariti: le donne non sono tornate e sono rimaste, a quanto si dice,
a C�lki; a C�lki � andato il mio compare da Verchl�vo, lo ha mandato
l'amministratore; dicono che � stato portato un nuovo aratro e l'amministratore ha
mandato il compare a C�lki a guardare quest'aratro. Io ho ordinato al compare di
cercare i fuggiaschi; mi sono inchinato al delegato e lui mi ha detto: "Fai un
rapporto, e allora sar� adoperato ogni mezzo per riportare i contadini al loro
posto"; oltre di questo non ha detto altro, ed io sono caduto ai suoi piedi e l'ho
pregato con le lacrime agli occhi; ma lui ha gridato a squarciagola: " Via, via, ti
ho detto che sar� fatto; presenta il tuo rapporto!" Io per� non ho fatto nessun
rapporto. Qui non si trova nessuno pei lavori: sono andati tutti sulla Volga, a
lavorare sui barconi: cos� stupido � ora il nostro popolo, sostegno nostro,
"b�tjushka", Il'j� Il'�tch! Il nostro lino quest'anno non sar� sul mercato: io ho
chiuso a chiave il seccatoio e l'imbiancatoio e ho messo di guardia giorno e notte
Sytch�g: � un contadino moderato; ma perch� non tocchi nulla io gli sto dietro
giorno e notte. Gli altri bevono maledettamente e chiedono di lavorare a canone.
Per il pagamento degli arretrati non c'� fondi: quest'anno noi ti spediremo,
"b�tjushka" nostro, benefattore nostro, duemila rubli di meno in confronto
dell'anno scorso; purch� la siccit� non mandi tutto in rovina, poi ti manderemo
quello che qui diciamo alla tua grazia�.
Seguivano assicurazioni di devozione e la firma: �Il tuo "st�rosta", umilissimo
schiavo Prokofij Vytjagushkin che ha firmato di sua propria mano�. E seguiva il
segno della croce con l'aggiunta: �Ha scritto sotto dettatura dello "st�rosta" suo
cognato, D�mka lo storpio�.
Oblomov guard� in fondo alla lettera.
- Non c'� nessuna data, - disse egli, - probabilmente la lettera girava l� dallo
"st�rosta" fin dall'anno scorso: vi si parla di San Giovanni, della siccit�! E
adesso s'� ricordato di mandarla!
Si mise a pensare.
- Eh? - continu� egli. - Come vi pare: offre di dare duemila rubli meno dell'anno
scorso! Quanto rimane? Ma quanto ho ricevuto l'anno scorso? - domand�, guardando
Alekseev. - Non ve l'ho detto allora?
Alekseev alz� gli occhi al soffitto e pens�.
- Bisogna domandare a Stolz, appena arriva, - continu� Oblomov, - se non mi
sbaglio, settemila, ottomila... � male non prendere nota! E cos� adesso me ne manda
seimila. Va a finire che morr� di fame! Come ce la posso fare?
- Perch� agitarsi tanto, Il'j� Il'�tch? - disse Alekseev. - Non bisogna mai
abbandonarsi alla disperazione: quando si macina si fa farina,
- Ma voi sentite quel che scrive? Invece di mandarmi il denaro e di consolarmi in
qualche modo, egli, come per ischerno, non mi fa che delle cose sgradevoli. Ed ogni
anno � la stessa storia! Io sono adesso fuori di me! �Duemila rubli di meno!�
- Certo, � una grave perdita! - disse Alekseev, - duemila, non si scherza! Anche
Aleks�j Login si dice che quest'anno riceva solo dodicimila invece di
diciassettemila!
- Gi�, ma sono dodicimila e non seimila, - interruppe Oblomov. - Mi ha
scombussolato lo "st�rosta". Se anche fosse vero che c'� un cattivo raccolto e la
siccit�, perch� rattristarmi in precedenza?
- S�... veramente... - cominci� Alekseev, - non era cosa da farsi; ma che
delicatezza volete aspettarvi da un contadino? E' gente che non capisce nulla.
- E voi che fareste al posto mio? - domand� Oblomov, guardando Alekseev
interrogativamente, con la dolce speranza che questi potesse trovare qualcosa per
tranquillizzarlo.
- Bisogna riflettere, Il'j� Il'�tch, non si pu� decidere cos� senz'altro, - disse
Alekseev.
- Scrivere al governatore? - disse Il'j� Il'�tch, pensoso.
- Chi � il governatore da voi? - domand� Alekseev.
Il'j� Il'�tch non rispose e si sprofond� nei suoi pensieri. Alekseev tacque e
divenne anch'egli meditabondo.
Oblomov, spiegazzando la lettera, appoggi� la testa alle mani, punt� i gomiti sui
ginocchi e rimase cos� seduto per qualche tempo, tormentato da un afflusso di
pensieri infecondi.
- Arrivasse almeno Stolz! - disse. - Scrive che arriver� presto e Dio sa dove va
ancora gironzolando. Egli aggiusterebbe tutto.
Divent� di nuovo triste. Stettero per un pezzo tutti e due zitti. Finalmente,
Oblomov per il primo ritorn� in s�.
- Ecco quel che bisogna fare! - disse egli decisamente, e per poco non scese dal
letto, - e al pi� presto possibile, senza indugiare... Prima di tutto...
Nello stesso tempo rison� una scampanellata furiosa nell'anticamera, tanto che
Oblomov e Alekseev sobbalzarono e Zach�r immediatamente salt� gi� dalla stufa.

3.
- E' in casa? - domand� qualcuno ad alta voce e sgarbatamente in anticamera.
- Dove si deve andare a quest'ora? - rispose ancora pi� sgarbatamente Zach�r.
Entr� un uomo sui quarantanni, che apparteneva di certo ad una razza solida: alto,
largo di spalle e grosso in tutto il corpo, coi tratti del volto spiccati, una
grossa testa, un collo forte e corto, occhi grandi e sporgenti e labbra turgide. Un
rapido sguardo gettato su di lui suscitava subito l'idea di qualche cosa di
grossolano e di sciatto. Si vedeva che egli non andava a caccia di abiti eleganti.
E non sempre lo si vedeva rasato. Ma di ci� evidentemente non gli importava: il
vestito non lo metteva in imbarazzo, egli lo portava anzi con una certa tal quale
cinica dignit�.
Era questi Mich�j Andr�evitch Tarant'ev, compaesano di Oblomov.
Tarant'ev guardava tutto cupamente, con un mezzo disprezzo, con una chiara
avversione per tutto ci� che lo circondava, pronto a gridare contro tutto e tutti
al mondo, come se fosse offeso da qualche ingiustizia o misconosciuto in qualcuno
dei suoi meriti, infine come un carattere forte, perseguitato dal destino, al quale
si sottopone solo malvolentieri e con fierezza.
I suoi movimenti erano arditi e ampi; parlava forte, disinvolto e quasi sempre
irritato; a sentirlo da una certa distanza, faceva l'impressione di tre carri vuoti
che passassero sopra un ponte. Non si pigliava soggezione di nessuno e non cercava
le parole; in generale era sempre grossolano con chiunque avesse da fare, non
esclusi gli amici, come se volesse far sentire che, parlando con qualcuno, anche
pranzando o cenando da lui, gli faceva un grande onore.
Tarant'ev era un uomo ardito e furbo: nessuno meglio di lui era capace di giudicare
qualsiasi questione della vita quotidiana o una faccenda giuridica imbrogliata:
subito creava una teoria sul come agire in questo o quel caso e molto finemente
arrivava alla sua dimostrazione, e in conclusione inveiva ancora, quasi sempre
contro colui che gli aveva chiesto consiglio.
Intanto, era rimasto fino all'et� matura in quello stesso posto di scribacchino che
aveva ottenuto venticinque anni prima. A nessuno, neppure a lui, veniva in mente
che potesse far carriera.
Il fatto � che Tarant'ev era maestro solo nel parlare; a parole decideva tutto
chiaramente e facilmente, in special modo quel che si riferiva agli altri: ma non
appena era necessario muovere un dito, muoversi dal proprio posto, insomma
applicare la teoria da lui creata e darle un corso reale, dimostrare talento
pratico, rapidit�, allora le sue forze non bastavano pi�, tutto gli era troppo
pesante, si sentiva male, si sentiva imbarazzato, o accadeva qualche cosa a cui
egli non voleva metter mano, o, se ci metteva mano, Dio sa come andava a finire. Un
vero e proprio ragazzo; qui non bada a una cosa, l� non conosce qualche particolare
secondario, l� ancora arriva in ritardo e finisce che pianta tutto a met�, o
comincia dalla fine e guasta tutto in modo irreparabile, e per di pi� si mette ad
inveire.
Suo padre, un cancelliere giudiziario provinciale e del tempo antico, aveva pensato
di lasciare al figlio come eredit� la sua arte ed esperienza nello sbrigare gli
affari altrui e la carriera percorsa molto accortamente, ma il destino aveva
stabilito diversamente. Il padre, che un tempo, all'uso russo, aveva formato la
propria cultura con pochi mezzi, non voleva che il figlio restasse indietro in
confronto dei tempi e desiderava che imparasse qualche altra cosa oltre la scienza
di sbrigarsela negli affari. E lo aveva mandato per tre anni a studiare latino dal
prete.
Ben dotato per natura, il ragazzo nei tre anni si era impadronito della grammatica
e della sintassi latina e aveva cominciato a decifrare Cornelio Nepote, ma il padre
aveva deciso che ormai bastava e che queste conoscenze gli davano gi� un enorme
vantaggio rispetto alla vecchia generazione e che, finalmente, maggiori studi
avrebbero potuto essere di danno al servizio dello Stato.
Il sedicenne Mich�j, non sapendo che fare del suo latino, cominci�, in casa dei
genitori, a dimenticarlo, ma in compenso, in attesa dell'onore di presenziare al
tribunale circondariale o distrettuale, presenzi� a tutti i banchettucci del padre,
e a questa scuola, in mezzo a libere ed aperte conversazioni, si raffin� la sua
intelligenza.
Con giovanile impressionabilit� egli ascoltava i racconti del padre e dei suoi
compagni sui pi� diversi affari civili e penali, sui casi curiosi che erano passati
per le mani di tutti quei cancellieri del vecchio tempo.
Ma tutto questo non port� a nulla. Mich�j non divent� n� un faccendiere, n� un
raggiratore, sebbene ve lo spingessero tutti gli sforzi del padre, i quali
sarebbero stati certo coronati da successo se il destino non avesse intralciato i
piani del vecchio. Mich�j veramente si appropri� di tutta la teoria degli
ammaestramenti paterni, non restava che da metterla in pratica, ma, prima della
morte del padre, egli non fece in tempo a entrare nel tribunale e fu condotto a
Pietroburgo da un benefattore che gli procur� un posto di scrivano in un ministero
e poi si dimentic� di lui.
Cos� Tarant'ev rimase un puro teorico per tutta la vita. Nel ministero non ebbe a
che farsi del suo latino e della sottile teoria per decidere a proprio arbitrio le
cause giuste ed ingiuste; intanto portava coscientemente in s� la forza assopita
che dalle circostanze avverse era stata chiusa in lui per sempre, senza speranza di
sfogo, come nelle fiabe erano chiusi fra mura incantate gli spiriti del male,
privati della forza di nuocere. Forse per questa coscienza della forza inutile che
era in lui, Tarant'ev era grossolano nei modi, sgarbato, sempre pronto all'ira e
alle contese.
Per le sue occupazioni d'ufficio: ricopiatura di carte, cucitura di atti, ecc.,
provava solo amarezza e disprezzo. Una sola, estrema speranza gli sorrideva per il
futuro: passare all'ufficio delle gabelle. Era questa l'unica via in cui vedesse un
sostituto conveniente alla carriera preparatagli invano dal padre. In attesa di
ci�, la teoria, bell'e pronta, dello sbruffo e della furberia, creata per lui dal
padre, circa il modo di agire nella vita, la teoria che non aveva trovato degna
applicazione in provincia, era da lui applicata a tutte le minuzie della sua
medesima esistenza a Pietroburgo, e si infiltrava, in mancanza di relazioni
ufficiali, in tutte le sue relazioni private.
Egli era venale nell'anima, per teoria, e s'ingegnava, in mancanza di affari e di
postulanti, a prendere regalie dai colleghi e dagli amici, Dio sa come e perch�, e
dovunque e con chiunque gli fosse possibile, ora con l'astuzia, ora con la
petulanza, si faceva invitare a pranzo o a cena, pretendeva da tutti un rispetto
non meritato ed era attaccabrighe. I suoi abiti logori non lo mettevano per nulla
in imbarazzo, ma era tutto agitato se nella prospettiva della giornata non c'era un
copioso pranzo, convenientemente annaffiato di vino e di vodka.
Per questa ragione nella cerchia dei suoi conoscenti egli rappresentava la parte di
un grosso cane da guardia, che abbaia a tutti, non lascia muovere nessuno, ma nello
stesso tempo acchiappa a volo un pezzo di carne, da qualunque parte e in qualunque
posto gli venga gettato.
Tali erano i due pi� assidui frequentatori di Oblomov. Perch� questi due proletari
russi andavano da lui? Essi lo sapevano bene il perch�: per bere, mangiare, fumare
dei buoni sigari. Essi trovavano un rifugio caldo e tranquillo e sempre la stessa
accoglienza, se non cordiale almeno indifferente.
Ma perch� Oblomov li ricevesse, egli stesso non se ne rendeva conto. Probabilmente
per le stesse ragioni per cui ancor oggi nelle nostre lontane Obl�movki (Cio� i
possessi terrieri, le tenute ereditarie, come quella degli Oblomov) in ogni casa
benestante si affolla uno sciame di simili persone dell'uno e dell'altro sesso,
senza pane, senza occupazione, senza mani per produrre e solo con uno stomaco per
consumare, ma quasi sempre con un titolo o un grado.
Vi sono ancora dei sibariti per i quali questi complementi della vita sono una
necessit� : essi si annoiano se non hanno qualche cosa di superfluo. Chi porger� la
tabacchiera smarrita chiss� dove, chi sollever� il fazzoletto caduto a terra? Con
chi ci si potr� altrimenti lamentare del mal di testa con diritto di simpatia, a
chi raccontare un brutto sogno e domandarne l'interpretazione? Chi vi legger� il
libro per farvi addormentare? Qualche volta un proletario simile pu� anche essere
mandato nella vicina citt� a far delle compere, o pu� aiutarvi
nell'amministrazione, senza che dobbiate affannarvi voi stessi!
Tarant'ev faceva molto chiasso e scuoteva Oblomov dalla sua immobilit� e noia.
Gridava, leticava e offriva una specie di spettacolo, dispensando l'ozioso signore
dalla necessit� di parlare e di agire egli stesso. Nella camera dove regnava il
sonno e la pace, Tarant'ev portava vita, movimento e, qualche volta, notizie del
mondo esterno. Oblomov poteva ascoltare, guardare senza muovere un dito, qualche
cosa di vivace che si muoveva e parlava davanti a lui. Inoltre egli era anche tanto
semplicione da credere che Tarant'ev fosse veramente capace di consigliargli
qualche cosa di sensato.
Le visite di Alekseev, Oblomov le sopportava per un'altra ragione, non meno
importante. Se egli voleva vivere a modo suo, cio� starsene sdraiato in silenzio,
sognare, o passeggiare per la camera, Alekseev sapeva non farsi notare: anch'egli
taceva, sognava, o sfogliava un libro, o esaminava con uno sbadiglio di noia che lo
faceva addirittura lacrimare, i quadri e i gingilli. Egli poteva vivere in questo
modo anche tre giorni di seguito. Se invece Oblomov si annoiava di stare solo e
sentiva il bisogno di esprimersi, di parlare, leggere, ragionare, manifestare la
propria agitazione, c'era sempre pronto e volonteroso l'ascoltatore e il compagno
che condivideva allo stesso modo il suo silenzio e la sua conversazione e i suoi
pensieri, qualunque essi fossero.
Altri ospiti venivano di rado, per qualche momento, come i primi tre: i vivi legami
di Oblomov con essi si rallentavano sempre pi�. Oblomov qualche volta si
interessava di qualche novit�, in una conversazione di cinque minuti, poi,
soddisfatto, taceva. Questi ospiti bisognava ripagarli della stessa moneta,
prendere parte a ci� che li interessava. Essi si immergevano nella folla; ognuno di
essi capiva la vita a modo suo, come non voleva capirla Oblomov, ed essi vi
trascinavano anche lui: tutto ci� non gli piaceva, gli ripugnava, non era di suo
gusto.
Uno solo egli teneva in cuore: anche questi non gli dava pace, amava le novit�, il
mondo, la scienza, e tutta la vita, ma pi� profondamente, con pi� calore, con pi�
sincerit�, e Oblomov, sebbene fosse gentile con tutti, non amava sinceramente che
lui, non credeva che a lui, forse perch� era cresciuto, aveva studiato e vissuto
con lui. Era questi Andr�j K�rlovitch Stolz.
Ora egli era assente, ma Oblomov lo aspettava da un'ora all'altra.

4.
- Buon giorno, compaesano, - disse seccamente Tarant'ev, tendendo la sua mano
pelosa verso Oblomov. - Perch� stai ancora l� sdraiato come un tronco?
- Non ti avvicinare, non ti avvicinare: tu porti il freddo! -disse Oblomov, tirando
su la coperta.
- Che altro vai inventando? porto il freddo! - grid� Tarant'ev. - Via, via, prendi
la mano, dal momento che te la si porge! Fra poco � mezzogiorno e lui si gingilla
ancora!
Egli voleva sollevare Oblomov dal letto, ma questi lo prevenne buttando gi� svelto
le gambe e i piedi andarono immediatamente a infilarsi nelle pantofole.
- Io stesso volevo alzarmi adesso, - disse sbadigliando.
- Lo so io come ti alzi: saresti rimasto a baloccarti fino a ora di pranzo. Ehi,
Zach�r! Dove sei, vecchio stupido? Porta subito il vestito al padrone.
- Voi prima di tutto procuratevi un vostro Zach�r e poi gridate! - disse Zach�r,
entrando nella camera e gettando un'occhiata cattiva a Tarant'ev. - Fuori avete
calpestato tanto fango, come un venditore ambulante! - aggiunse.
- E ancora discorri, brutto muso! - disse Tarant'ev e alz� la gamba per tirare un
calcio a Zach�r che gli passava innanzi; ma Zach�r si ferm�, si volt� e si mise
sulle difese.
- Provatevi a toccarmi, - grid� rauco e furente. - Che roba � questa? Io me ne
vado... - disse egli, avviandosi verso la porta.
- Basta, Mich�j Andreitch, come sei agitato! Perch� lo devi tormentare? - disse
Oblomov. - Zach�r, da' qua quel che mi serve!
Zach�r ritorn� e, guardando Tarant'ev di traverso, gli pass� davanti svelto svelto.
Oblomov, appoggiandosi a lui, si alz� malvolentieri, come se fosse molto stanco, si
avvicin� anche malvolentieri a una grande poltrona e vi si lasci� cadere, restando
immobile, cos� come si era seduto.
Zach�r prese dal tavolino la pomata, il pettine e la spazzola, gli unse il capo con
la pomata, fece la scriminatura e lo ravvi� con la spazzola.
- Volete lavarvi adesso? - domand� egli.
- Aspetto ancora un po', - rispose Oblomov. - Va'!
- Ah, anche voi siete qui? - disse a un tratto Tarant'ev, volgendosi ad Alekseev
mentre Zach�r pettinava Oblomov. - Non vi avevo visto. Che cosa fate qui? Quel
vostro parente � un porco! Io volevo dirvelo sempre...
- Che parente? Io non ho nessun parente, - rispose timidamente Alekseev sbalordito,
spalancando gli occhi in faccia a Tarant'ev.
- Ma s�, quello che � impiegato l�, come si chiama?... Afanas'ev si chiama. Come,
non � vostro parente? Ma s�, � vostro parente.
- Ma io non sono Afanas'ev, io sono Alekseev, - disse Alekseev. - Io non ho
parenti.
- Figuriamoci se non � vostro parente! E' uno senza presenza, come voi, e si chiama
anche lui Vasilij Nikolaitch.
- Ma no; io mi chiamo Iv�n Alekseitch.
- Be', fa lo stesso, vi somiglia. Solo che lui � un porco. Diteglielo quando lo
vedete.
- Io non lo conosco, non l'ho visto mai, - disse Alekseev, aprendo la tabacchiera.
- Date, date un po' di tabacco! - disse Tarant'ev. - Ma � tabacco comune, non �
francese? Proprio cos�, - disse egli, dopo aver odorato. - Come mai non ne avete
del francese? - aggiunse severamente. - S�, un porco come il vostro parente io non
l'ho mai visto, - continu� Tarant'ev. - Una volta, saranno un paio d'anni, presi in
prestito da lui cinquanta rubli. Che vi pare una grossa somma, cinquanta rubli?
Come non dimenticarsene? No, se ne ricorda: dopo un mese, dovunque m'incontra: �E
il vostro debituccio?� dice. Seccante! Come se non bastasse, ieri � venuto al
ministero: �Avete certo avuto lo stipendio, - dice, - adesso potete pagare�. Io gli
ho dato lo stipendio, ma l'ho mortificato in modo tale davanti a tutti che a stento
ha trovato la porta. Dice: �Io sono un pover'uomo. Ne ho bisogno�. Come se io non
ne avessi bisogno. Sono forse cos� ricco da potergli snocciolare cinquanta rubli?
Dammi un sigaro, compaesano.
- I sigari sono l�, nella scatola, - rispose Oblomov, indicando lo scaffale.
Egli sedeva nella poltrona, tutto pensieroso, nella sua bella posizione di ozioso,
senza notare quel che avveniva intorno a lui e senza ascoltare ci� che dicevano.
Guardava amorosamente e si accarezzava le piccole mani bianche.
- Ah! Ma son sempre gli stessi? - domand� severamente Tarant'ev, prendendo un
sigaro e guardando Oblomov.
- S�, sempre gli stessi, - rispose Oblomov, macchinalmente.
- Eppure te l'ho detto di comprarne degli altri, di marca estera! Ecco come ricordi
quel che ti si dice! Guarda di farli trovare il prossimo sabato, se no non torno
per un pezzo. Guarda un po' che schifo! - continu� egli, cominciando a fumare e
gettando una boccata di fumo in aria e aspirandone un'altra. - Non si possono
fumare.
- Sei venuto presto oggi, Mich�j Andreitch, - disse Oblomov, sbadigliando.
- E che, ti son venuto a noia forse?
- No, � una semplice constatazione; tu di solito vieni all'ora di pranzo, e adesso
� appena passato mezzogiorno.
- Io sono venuto apposta pi� presto per sapere che pranzo avremo oggi. Mi dai
sempre a mangiare delle porcherie; cos� sapr� che cosa hai fatto preparare oggi.
- Domandalo di l�, in cucina, - disse Oblomov.
Tarant'ev usc�.
- Caspita! - disse egli ritornando. - Bue e vitello! Ah, fratello Oblomov, tu non
sai vivere, e sei proprietario! Che razza di signore sei? Tu vivi come un piccolo
borghese: non sai fare onore ad un amico. Be', il madera � stato comprato?
- Non lo so, domanda a Zach�r, - disse Oblomov, quasi senza ascoltarlo. - Del vino
l� ce n'� di certo.
- Di quello solito, tedesco? Fanne comprare nel magazzino inglese.
- Ma anche questo va bene, - disse Oblomov, - se no debbo mandare di nuovo!
- Dammi il denaro, io passer� l� davanti e lo porter� io; debbo ancora andare in
qualche posto.
Oblomov rovist� nel cassetto e ne cav� fuori un biglietto rosso da dieci rubli.
- Il madera costa sette rubli, - disse Oblomov, - e questi son dieci.
- Da' qua; l� danno il resto, non aver paura!
Prese dalle mani di Oblomov il biglietto e lo ficc� lesto nella tasca.
- Allora vado, - disse, mettendosi il cappello, - ritorno alle cinque; debbo ancora
andare qua e l�; mi hanno promesso un posto nell'amministrazione delle bevande
alcoliche, e mi hanno detto di andarmi ad informare... Oh, ecco, Il'j� Il'�tch:
perch� oggi non prendi in affitto una carrozza per andare a Ekaterinhof ? Mi
porteresti con te.
Oblomov croll� la testa in segno di diniego.
- Che non ci hai voglia o ti dispiace per i soldi? Ah, fratellaccio! - disse egli.
- Allora, per il momento addio...
- Aspetta, Mich�j Andreitch, - lo interruppe Oblomov, - ho bisogno di consigliarmi
con te sopra un affare.
- Che c'� ancora? Sbrigati: non ho tempo da perdere.
- Mi son capitati due guai, tutto ad un tratto. Mi cacciano dall'appartamento...
- Si vede che non paghi: ben ti sta! - disse Tarant'ev e si mosse per andar via.
- Gi�! Io pago sempre anticipato. No, vogliono trasformare l'appartamento... Ma
aspetta! Dove vai? Dimmi che cosa debbo fare: fanno premura perch� vada via fra una
settimana...
- Ma perch� dovrei essere il tuo consigliere?... Inutilmente ti immagini...
- Io non mi immagino niente, - disse Oblomov. - Non far chiasso e non gridare,
piuttosto pensa che cosa si deve fare. Tu sei un uomo pratico...
Tarant'ev non l'ascoltava gi� pi� e rifletteva.
- Va bene, � tutto fatto, ringraziami, - disse egli levandosi il cappello e
sedendosi, - e ordina che a pranzo ci sia lo sciampagna: il tuo � un affare fatto.
- E come? - domand� Oblomov.
- Ci sar� lo sciampagna?
- S�, se il consiglio lo merita...
- No, tu stesso non meriti che ti si dia un consiglio. Cosa vuoi, che ti consigli
gratis? Allora domanda a lui, - aggiunse indicando Alekseev, - o al suo parente.
- Basta, basta, parla! - disse Oblomov.
- Ecco: domani traslochi...
- Eh! Bella scoperta! Questo lo sapevo anch'io...
- Aspetta, non m'interrompere! - grid� Tarant'ev. - Domani traslochi e vai a stare
dalla mia comare nel quartiere di Vyborg...
- Che novit� son queste? Nel quartiere di Vyborg! Dicono che da quelle parti
d'inverno ci vengono i lupi.
- Qualche volta si, vengono dalle isole, ma a te che ne importa?
- Ci si annoia, � un deserto, non c'� nessuno.
- Menti! Ci vive la mia comare: essa ha una casa sua con un grande orto. E' una
donna distinta, vedova, con due bambini; vive con lei un fratello scapolo: una
testa ben differente da quella di costui, ch'� seduto li nell'angolo, - disse egli,
indicando Alekseev. - Ci mette nel sacco tutti e due, quello l�!
- Ma che me ne importa di tutto questo? - disse impaziente Oblomov. - Io non ci
vado.
- Voglio vedere io come fai a non andarci. Se chiedi consiglio, devi poi dar retta
a quel che ti s� dice.
- Io non ci vado, - disse dec�so Oblomov.
- E allora va' al diavolo! - rispose Tarant'ev, ficcandosi in testa il cappello, e
s'avvi� verso la porta.
- Che stravagante che sei! - aggiunse egli, voltandosi, - cosa ci trovi qui di
tanto bello?
- Come? Qui ho tutto vicino, - disse Oblomov, - i negozi, il teatro, i
conoscenti... il centro della citt�, tutto...
- Che? - interruppe Tarant'ev. - Quanto tempo � che non esci di casa? Di' un po'!
Da quanto tempo non vai a teatro? Da quali conoscenti vai? Perch� diavolo hai
bisogno di questo centro, scusa se te lo domando?
- Come, perch�? Come se i perch� fossero pochi!
- Vedi, non lo sai nemmeno tu! L� invece, pensa un po': tu vivrai l� con la mia
comare, una donna distinta, in pace, tranquillamente; nessuno ti verr� a toccare;
niente chiasso, niente baraonda, tutto pulito, in ordine. Guarda l�, vivi come se
fossi all'albergo, e vuoi essere un nobile, un proprietario! L� � tutto pulito,
tranquillo; hai con chi scambiare una parola, se ti annoi. Oltre a me, non verr�
pi� nessuno a trovarti. Ci sono due ragazzoni, puoi giocare con loro quanto ti
piace! Che vuoi di pi�? E poi anche conveniente, convenientissimo. Qui quanto
paghi?
- Millecinquecento.
- E l�, mille rubli per quasi tutta la casa! E che stanze luminose, carine! La mia
comare voleva gi� da tanto tempo trovare un inquilino tranquillo, per bene. Ecco io
ti propongo.
Oblomov scosse distrattamente la testa in segno di diniego.
- Tu menti, traslocherai! - disse Tarant'ev. - Devi riflettere che ti verr� a
costare non pi� della met�; soltanto sull'appartamento risparmi cinquecento rubli.
Avrai un trattamento due volte pi� buono e pi� pulito; non sarai derubato n� dalla
cuoca, n� da Zach�r...
Nell'anticamera si sent� un brontolio.
- E ci sar� pi� ordine, - continu� Tarant'ev, - adesso � un affar serio sedersi
alla tua tavola! Vuoi il pepe, non c'�, l'aceto non � stato comprato, i coltelli
non sono stati puliti, la biancheria, come tu dici, si perde, dappertutto polvere:
uno schifo! L� c'� una donna che far� i servizi: n� tu, n� il tuo stupido Zach�r...
Il brontolio in anticamera divent� pi� forte.
- Questo vecchio cane, - continu� Tarant'ev, - non avr� pi� nulla a che pensare:
troverai tutto pronto. C'� bisogno di riflettere? Sgombra, e falla finita...
- Ma come vuoi che io cos� a un tratto, di punto in bianco, nel quartiere di
Vyborg...
- E dagli! - disse Tarant'ev, asciugandosi il sudore sul viso. - Adesso � estate;
l� � proprio come in villeggiatura. Cosa stai qui a marcire, tutta l'estate, in via
Gor�chovaja? L� vicino c'� il giardino di Bezborodko. Ochta � sotto mano. La Neva a
due passi, c'� un orto proprio: senza polvere, n� afa! Non c'� da pensarci su; ci
faccio una corsa prima di pranzo. Tu mi dai i soldi per la carrozza e domani
sgomberi...
- Che uomo curioso! - disse Oblomov. - Dio sa cosa gli � saltato in mente: nel
quartiere di Vyborg... A pensar queste cose non ci vuoi molto. Escogita piuttosto
qualche cosa per restar qui. Sono otto anni che vivo qui, non ho voglia di
cambiare...
- E' tutto fatto: tu sgomberi. Io vado subito dalla comare; del posto m'informer�
un'altra volta...
E si accinse ad andar via.
- Aspetta, aspetta! Dove vai? - Oblomov lo ferm�. - Ho un altro affare, ancora pi�
importante. Guarda un po' che lettera ho ricevuto dallo "st�rosta". Decidi un po'
che cosa debbo fare.
- Vedi, che uomo sei! - ribatt� Tarant'ev. - Non sai fare nulla da te. Tutto io,
tutto io! A cosa sei buono, dunque? Tu non sei un uomo, ma un sacco di paglia!
- Dov'� la lettera? Zach�r, Zach�r! L'ha ficcata di nuovo Dio sa dove! - disse
Oblomov.
- Ecco la lettera dello "st�rosta", - disse Alekseev, porgendo la lettera tutta
gualcita.
- Ah, s�, eccola! - ripet� Oblomov e cominci� a leggere ad alta voce.
- Che ne dici? Come debbo fare? - domand�, dopo aver letto, Il'j� Il'�tch. -
Siccit�, cattivo raccolto...
- Sei un uomo perduto, proprio perduto! - disse Tarant'ev.
- Perch� dunque perduto?
- Ma come no?
- Va bene, se sono perduto, dimmi che debbo fare.
- E tu che cosa mi dai?
- Te l'ho gi� detto, ci sar� lo sciampagna: che altro vuoi ancora ?
- Lo sciampagna � per la ricerca dell'appartamento; io sono il tuo benefattore, tu
non lo senti e letichi per di pi�; sei un ingrato! Avanti, cercati da te un
appartamento! E che appartamento! Il pi� si � che vivresti tranquillo come presso
una sorella. Due ragazzini, un fratello scapolo, io verrei tutti � giorni...
- Bene, bene, - interruppe Oblomov, - dimmi piuttosto adesso che cosa debbo fare
con lo "st�rosta".
- No, aggiungi della birra al pranzo e poi te lo dico.
- S�, adesso anche la birra! Come se fosse poco...
- Allora, add�o, - disse Tarant'ev, mettendosi di nuovo il cappello in testa.
- Ah, Dio mio! Lo "st�rosta" scrive qui che le entrate sono diminuite di duemila
rubli, e lui vuole che si aggiunga la birra. Va bene, compra la birra.
- Dammi ancora del denaro! - disse Tarant'ev.
- Ti rimane il resto del biglietto da dieci rubli!
- E la carrozza per andare nel quartiere di Vyborg? Oblomov cacci� fuori ancora un
rublo e con dispetto glielo mise in mano.
- Il tuo "st�rosta" � un furfante, ecco quel che ti dico, - cominci� Tarant'ev,
ficcando il rublo in tasca. - E tu gli credi e lo ascolti a bocca aperta. Senti un
po' che canzone ti canta! Siccit�, cattivo raccolto, mancati pagamenti, contadini
scappati! Bugie, tutte bugie! Io ho sentito che nella nostra regione a Shum�lovo
col raccolto dell'anno scorso hanno pagato tutti i debiti, e da te, guarda, tutto a
un tratto siccit� e cattivo raccolto. Shum�lovo non � lontano pi� di cinquanta
verste da te: come mai l� il grano non � bruciato? E poi i mancati pagamenti! E lui
che cosa ci sta a fare? Perch� non ha sorvegliato? Di dove mai questi mancati
pagamenti? Che forse da noialtri non si lavora o non si vende? Ah, che brigante!
Gli darei io una bella lezione. I contadini sono fuggiti perch� lui si � fatto
pagare e ha permesso che fuggissero; non gli � neppure venuto in mente di reclamare
dal delegato.
- Non pu� essere, - disse Oblomov, - egli riporta nella lettera anche la risposta
del delegato, con tanta naturalezza...
- Eh, te! Non sai mai nulla. S� capisce, tutti i furfanti scrivono con naturalezza;
credimi pure! Ecco, per esempio, - continu� egli indicando Alekseev, - quello l�,
l'anima pura, la pecora innocente, scrive con naturalezza lu�? Ma nemmeno per idea.
Il suo parente, che non per nulla � una bestia, un porco, quello s�. Anche tu non
scrivi con naturalezza! Il tuo "st�rosta" � ben per questo un animale, perch�
scrive con naturalezza e abilit�. Vedi come appiccica bene le parole una all'altra:
�ricondurre ai loro posti�.
- Che cosa dunque debbo fare di lui? - domand� Oblomov.
- Cambialo immediatamente.
- E chi nomino? Che forse conosco i contadini, io? Un altro, forse, sar� peggiore.
Sono dodici anni che manco di l�.
- Va' tu stesso in campagna: altrimenti � impossibile; passa l� l'estate, e
quest'autunno va' direttamente nel nuovo appartamento. Mi occuper� io perch� lo
facciano trovar pronto.
- Nel nuovo appartamento, in campagna, proprio io? Ma che misure disperate proponi!
- disse Oblomov malcontento. - No, per sfuggire gli estremi e tenersi nel mezzo...
- Ah, fratello, Il'j� Il'�tch, tu andrai in rovina del tutto. Io, al tuo posto, da
un bel pezzo avrei ipotecato la propriet� e ne avrei comprata un'altra, oppure una
casa qui, in un bel punto: vale la tua propriet�. E anche la casa laggi� la
ipotecherei e ne comprerei un'altra... L'avessi io la tua propriet�, mi
sentirebbero, te l'assicuro io.
- Finiscila di vantarti e pensa un po' come fare per non sgombrare e non andare in
campagna, in modo che la faccenda si combini.,. - osserv� Oblomov.
- Ma ti muoverai una buona volta dal tuo posto? - disse Tarant'ev, - Guardati
dunque un po': a cosa sei buono? Quale vantaggio ha la patria da te? Non sei capace
neppure di andare nella tua propriet�!
- Per me non � ancora il tempo di andarci, - rispose Il'j� Il'�tch. - Prima lascia
che io finisca il piano delle riforme che ho intenzione di introdurre nella mia
propriet�... Sai una cosa, Mich�j Andreitch? - disse a un tratto Oblomov. - Vacci
tu. Tu conosci l'affare, conosci anche i luoghi, ed io non baderei a spese.
- Ma che sono il tuo amministratore, io? - rispose Tarant'ev superbo. - E poi ho
perduto l'abitudine di trattare coi contadini...
- Che fare? - ripet� soprappensiero Oblomov. - Proprio non lo so.
- Allora scrivi al delegato: domandagli se veramente lo "st�rosta" gli ha parlato
dei contadini che se la sono svignata, - consigli� Tarant'ev, - e pregalo di andare
alla propriet�; poi scrivi al governatore perch� dia disposizione al delegato di
riferirgli come si comporta lo "st�rosta". �Io prego Vostra Eccellenza
d'interessarsi paternamente e di guardare con occhio compassionevole la terribile,
inevitabile sventura che mi minaccia, in seguito alla sfrontata maniera di agire
dello "st�rosta", e l'estrema rovina alla quale io senza scampo vado incontro con
mia moglie e i miei dodici piccoli bambini, che resteranno senza sorveglianza
alcuna e senza un tozzo di pane...�
Oblomov si mise a ridere.
- E dove li piglio tanti ragazzini, se m'invitano a mostrare i miei figli? - disse.
- Storie, scrivi: coi miei dodici bambini; gli passer� accanto all'orecchio senza
entrarci e non si faranno indagini; in compenso sar� �naturale�... Il governatore
dar� la tua lettera al segretario, e tu scrivi nello stesso tempo anche a lui,
naturalmente con un �allegato�, quello l� far� le indagini. E poi prega anche i
tuoi vicini: chi c'� l�?
- Dobrynin abita nelle vicinanze, - disse Oblomov, - io mi sono spesso incontrato
con lui anche qui: adesso � l�.
- E scrivi anche a lu�, pregandolo per benino: �Mi farete con ci�, - digli, - un
enorme favore e mi obbligherete come cristiano, amico e vicino�, e unisci alla
lettera un qualunque ricordo di Pietroburgo... dei sigari o qualcosa di simile.
Ecco come tu devi agire, se no non ne cavi niente. Sei un uomo perduto! Lo farei
ballare io lo "st�rosta", gliele darei io! Quando parte la posta?
- Domani l'altro, - disse Oblomov.
- Allora siediti e scrivi subito.
- Ma parte domani l'altro, perch� debbo scrivere subito? - osserv� Oblomov, - posso
scrivere domani. Ascolta dunque, Mich�j Andreitch, - aggiunse egli, - porta la tua
opera benefica sino in fondo: aggiungo al pranzo del pesce, o della cacciagione.
- Che altro vuoi ?
- Siedi e scrivi. Ti ci vuoi molto a scrivere tre lettere? Tu racconti tutto con
tanta �naturalezza�... - aggiunse, sforzandosi di nascondere un sorriso, - e Iv�n
Alekseev ricopierebbe.
- Eh, cosa ti viene in mente! - rispose Tarant'ev, - che io mi metta a scrivere!
Sono gi� tre giorni che non scrivo neppure in ufficio: appena mi metto a sedere, mi
comincia a lacrimare l'occhio sinistro; ho preso un po' di corrente d'aria e il
sangue mi viene alla testa, appena mi chino. Pigrone, pigrone! Andrai in rovina,
fratello, Il'j� Il'itch, e per niente.
- Ah, se almeno ritornasse presto Andr�j! - disse Oblomov, - egli metterebbe subito
tutto a posto...
- Ecco, hai trovato un bel benefattore! - l'interruppe Tarant'ev, - un maledetto
tedesco, un furbo matricolato!...
Tarant'ev aveva una specie di istintiva avversione per gli stranieri. Ai suoi occhi
francese, tedesco, inglese erano sinonimi di furfante, di imbroglione, di
furbacchione e di brigante. Egli non faceva neppure distinzione tra le varie
nazioni: erano tutti gli stessi ai suoi occhi.
- Senti, Mich�j Andreitch, - disse severamente Oblomov, - io ti ho pregato di
tenere pi� in freno la lingua, specialmente parlando di persona che mi � cara...
- Persona cara! - ribatt� con odio Tarant'ev. - Che cosa hai di comune con lui? E'
un tedesco, lo sanno tutti.
- Mi � pi� caro di qualsiasi parente: io sono cresciuto e ho fatto gli studi
insieme a lu�, e non permetter� delle insolenze...
Tarant'ev divent� di fuoco per la rabbia.
- Ah! se tu mi cambi con un tedesco, - disse egli, - io non metto pi� piede in casa
tua.
Si mise il cappello e si avvicin� alla porta. Oblomov si raddolc� sull'istante.
- Tu dovresti rispettare in lui il mio amico ed esprimerti su di lui con pi�
prudenza. Ecco tutto quello che io chiedo! A quanto pare, non � un gran servizio, -
disse egli.
- Rispettare un tedesco? - disse Tarant'ev con enorme disprezzo. - Perch�?
- Io te l'ho gi� detto: se non altro perch� � cresciuto con me, ha studiato con me.
- Che gran faccenda! Come se fossero pochi quelli con cui s'� studiato insieme!
- Ecco, se egli fosse qui, gi� da un pezzo mi avrebbe liberato da ogni
preoccupazione, senza chiedere n� birra, n� sciampagna... - disse Oblomov.
- Ah! tu mi fai dei rimproveri! Che il diavolo ti porti, colla tua birra e col tuo
sciampagna! Ecco, su, prendi i tuoi denari... Dove diavolo li ho messi? Ho
dimenticato dove li ho ficcati, maledetti soldi!
Cav� fuori un pezzo di carta tutto unto e scarabocchiato.
- No, non � questo, - disse egli, - Dove li ho ficcati?... Cominci� a rovistare le
tasche.
- Non darti la briga, lascia andare, - disse Oblomov, - io non ti faccio nessun
rimprovero, ma soltanto ti prego di esprimerti pi� convenientemente su una persona
che mi � cara e che ha fatto molto per me...
- Molto! - ribatt� malignamente Tarant'ev. - Aspetta, che far� ancora di pi�, tu
dagli retta!
- Perch� mi dici questo? - domand� Oblomov.
- Quando il tuo tedesco ti avr� alleggerito ben bene, allora saprai cosa vuoi dire
cambiare un compaesano, un russo, con un vagabondo qualunque...
- Ascolta, Mich�j Andreitch... - cominci� Oblomov.
- Non c'� niente da ascoltare, ho ascoltato abbastanza, ho sopportato abbastanza!
Il Signore ha visto quante offese ho sopportato... Si capisce, suo padre non vedeva
nemmeno il pane in Sassonia ed � venuto qua ad alzar la cresta.
- Perch� non lasci stare in pace i morti! Che colpa ha il padre?
- Hanno colpa tutti e due, il padre e il figlio, - disse Tarant'ev, cupo, agitando
le mani. - Non per niente mio padre mi consigliava di guardarmi da questi tedeschi,
e mio padre ne aveva conosciuta di gente in vita sua!
- Ma perch� non ti piace suo padre, per esempio? - domand� Il'j� Il'�tch.
- Perch� venne nella nostra provincia con un solo soprabito e in scarpe di legno in
settembre e poi ha lasciato al figlio una fortuna. Che cosa significa questo?
- Prima di tutto ha lasciato al figlio solo quarantamila rubli. Qualche cosa aveva
della dote della moglie, e il resto se lo guadagn� dando lezioni e facendo
l'amministratore: aveva un buon stipendio. Come vedi, il padre era innocente. Quali
sono ora le colpe del figlio?
- Un bravo ragazzo davvero! Tutto a un tratto dei quarantamila lasciatigli dal
padre si fa un capitale di trecentomila, ottiene all'ufficio il titolo di
consigliere, � un gran dotto... adesso va anche in giro! Vuoi far tutto lui! Che
forse un vero bravo russo farebbe questo? Il russo si sceglie qualche cosa, una
sola, ed anche senza tanta fretta, pian pianino, come pu�, ma quelli l�, alla
larga! Se almeno fosse alle gabelle, si capirebbe come mai s'� fatto ricco; invece,
cos�, pfuh! pfuh! C'� del losco. Io lo metterei in prigione. E adesso va
gironzolando, il diavolo lo sa dove! - continu� Tarant'ev. - Perch� ora va in giro
per le terre degli altri?
- Vuole imparare, vedere, sapere.
- Imparare? E che ha imparato poco finora? Che altro ha da imparare? Egli mente,
non credergli: egli ti inganna sotto il naso, come se tu fossi un ragazzine. Che
forse i grandi debbono imparare ancora qualche cosa? Sentite un po', cosa racconta!
Un consigliere che studia ancora! Tu hai studiato a scuola: che forse studi ancora
adesso? E quello l� (e mostr� Alekseev) studia? E il suo parente studia? Fra la
gente per bene chi � che studia? Chi � andato in una scuola tedesca, l�, e impara
le lezioni? Mente! Io ho sentito che � andato a vedere una certa macchina e a
ordinarla: si vede, un torchio per far soldi russi! Io lo metterei dentro... Certe
azioni di societ�... Oh, per me, tutte queste azioni mi rivoltano!
Oblomov scoppi� in una risata.
- Ma perch� digrigni i denti? Non � forse vero quello che io dico? - disse
Tarant'ev.
- Basta, lasciamo stare! - lo interruppe Il'j� Il'�tch. - Tu va' con Dio, dove
volevi andare, ed io con Iv�n Aleks�evitch scriver� queste tre lettere e mi dar� da
fare per buttar gi� al pi� presto il mio piano: tutto in un colpo solo...
Tarant'ev usc�, ma ritorn� subito indietro.
- Me n'ero proprio dimenticato! Sono venuto da te per un affare, - cominci� egli,
con un tono non pi� grossolano. - Sono invitato per domani a un matrimonio: si
sposa R�kotov. Prestami il tuo frac; il mio, come vedi, � un po' logoro...
- Ma come � possibile! - disse Oblomov, aggrottando le ciglia a questa nuova
richiesta. - Il mio frac non ti va...
- Mi va, come non mi va! - Io interruppe Tarant'ev. - Non ricordi, io ho misurato
il tuo abito: come se fosse tagliato per me! Zach�r, Zach�r! Vieni qua, vecchio
animale! - grid� Tarant'ev.
Zach�r ringhi� come un orso, ma non venne.
- Chiamalo tu, Il'j� Il'�tch. E' un bel tipo, sai! - si lament� Tarant'ev.
- Zach�r! - grid� Oblomov.
- Ah, voialtri l�! - si sent� nell'anticamera insieme al solito salto gi� dalla
stufa.
- Che cosa volete? - domand� Zach�r, rivolgendosi a Tarant'ev.
- Porta qui il mio frac nero! - ordin� Il'j� Il'�tch. - Mich�j Andreitch lo deve
provare: domani ha un matrimonio.
- Io non porto il frac, - disse decisamente Zach�r.
- Come osi non ubbidire al padrone? - grid� Tarant'ev. - E tu, Il'j� Il'�tch, non
lo mandi in una casa di correzione?
- Gi�, non ci mancherebbe altro: il povero vecchio in una casa di correzione! -
disse Oblomov. - Zach�r, porta il frac, non fare il cocciuto!
- Non lo porto! - rispose freddamente Zach�r. - Che porti prima indietro il nostro
panciotto e la camicia: sono cinque mesi che son suoi ospiti. Li ha presi per un
onomastico e noi non li abbiamo pi� riveduti: un panciotto di velluto e una camicia
fine di tela di Olanda: costa venticinque rubli. Io non d� il frac!
- Allora, addio! E che il diavolo vi porti! - grid� Tarant'ev in collera, uscendo e
minacciando Zach�r col pugno. - Guarda, Il'j� Il'�tch, che io fisso per te
l'appartamento. Hai sentito? - aggiunse.
- S�, bene, bene! - disse Oblomov impaziente, solo per liberarsi di lui.
- E tu scrivi subito quel che � necessario, - continu� Tarant'ev, - e non
dimenticare di scrivere al governatore che hai dodici figli, �uno pi� piccolo
dell'altro�. E mi raccomando che la minestra sia in tavola alle cinque. Perch� non
hai ordinato che facessero la torta?
Ma Oblomov taceva: gi� da un pezzo non lo sentiva pi� e, con gli occhi chiusi,
pensava a tutt'altro.
Con l'uscita di Tarant'ev un silenzio assoluto torn� a regnare nella camera per una
decina di minuti. Oblomov era sconcertato e per la lettera dello "st�rosta" e per
lo sgombero che lo aspettava e in parte stanco per lo strepito fatto da Tarant'ev.
Finalmente sospir�.
- Ma perch� non scrivete? - domand� piano Alekseev, - Vi preparerei la penna.
- Preparatela e poi andate con Dio! - disse Oblomov. - Io mi ci metto da solo, e
poi voi dopo pranzo le ricopierete.
- Benissimo, - rispose Alekseev. - E veramente io potrei disturbarvi... Io intanto
vado a dire che non ci aspettino ad Ekaterinhof. Addio, Il'j� Il'�tch.
Ma Il'j� Il'�tch non lo ascoltava: egli aveva tirato su le gambe, si era quasi
sdraiato sulla poltrona e si era immerso in qualche cosa fra il dormiveglia e la
meditazione.

5.
Oblomov, nobile di nascita, col grado di segretario in un ministero., viveva da
dodici anni ininterrottamente a Pietroburgo. Da principio, quando erano ancora vivi
i genitori, egli aveva vissuto un po' pi� ristretto, occupando due sole camere e
contentandosi del solo servitore che aveva portato con s� dalla campagna, Zach�r;
ma, morti il padre e la madre, egli era rimasto unico proprietario di
trecentocinquanta anime, ereditate in una lontanissima provincia, quasi in Asia.
Aveva ricevuto invece di cinque, da sette a diecimila rubli di rendita; la sua vita
aveva preso allora altre, pi� larghe proporzioni. Aveva affittato un appartamento
pi� grande, aggiunto alla sua servit� un cuoco e preso un paio di cavalli.
Egli era a quel tempo ancora giovane e, se non si pu� dire che fosse vivace, per lo
meno era pi� vivace di adesso; era ancora pieno di aspirazioni diverse, sperava
sempre in qualche cosa, e si attendeva molto e dal destino e da se stesso; si
preparava sempre ad una carriera, ad una parte da rappresentare, - e prima di tutto
all'impiego che era stato lo scopo della sua venuta a Pietroburgo. Poi aveva
pensato anche a una parte da sostenere nella societ�; infine, in una lontana
prospettiva allo sboccar della giovent� nella maturit�, era balenata e aveva
sorriso alla sua fantasia la felicit� familiare.
Ma � giorni erano successi ai giorni, gli anni agli anni, la peluria del mento s�
era mutata in un'ispida barba, le luci degli occhi in due punti torbidi, la sua
figura si era ingrossata, i capelli avevano cominciato spietatamente a cadere,
aveva bussato alla porta la trentina, ed egli non aveva fatto un passo avanti in
nessun campo, ed et� sempre sul margine della sua arena, l� dove era stato dieci
anni prima.
Sempre si disponeva e preparava a cominciare la vita, sempre disegnava nella
propria mente le linee dell'avvenire; ma ad ogni anno che passava rapidamente sulla
sua testa egli doveva mutare e cancellare qualcosa in questo disegno.
La vita si divideva ai suoi occhi in due parti: una di lavoro e noia - che per lui
erano sinonimi -; l'altra di pace e di calma allegrezza. Per questo, il suo campo
principale di attivit�, l'impiego, lo aveva angustiato nei primi tempi nel modo pi�
spiacevole.
Educato in un lontano angolo di provincia, in mezzo alla mitezza e al tepore degli
usi e costumi della patria, passato, nel corso di vent'anni, da un abbraccio
all'altro di parenti, amici e conoscenti, egli era cos� penetrato del principio
familiare, che anche il futuro impiego gli si presentava sotto l'aspetto di
un'occupazione familiare, come, per esempio, l'oziosa registrazione in un libro
delle entrate e delle uscite, a quel modo che faceva suo padre.
Egli riteneva che gli impiegati di un dato luogo formassero una famiglia di amici,
strettamente legati fra loro, infaticabili nel preoccuparsi della reciproca
tranquillit� e piaceri, che il recarsi in ufficio non fosse un'abitudine
obbligatoria, da seguire ogni giorno, e che Tumido, il caldo o, semplicemente, il
cattivo umore fossero sempre sufficienti e legali pretesti per non andare in
ufficio.
Ma come lo aveva addolorato vedere che era necessario per lo meno un terremoto
perch� un impiegato in buone condizioni di salute non andasse all'ufficio! e i
terremoti, nemmeno a farlo apposta, a Pietroburgo non avvengono; una inondazione,
certo, sarebbe stata un eccellente impedimento, ma anche le inondazioni sono rare.
Ancora pi� si era impensierito, quando erano cominciati a balenare davanti ai suoi
occhi i pacchi di carte con scritto sopra: �urgente� o �urgentissimo�, quando lo si
era incaricato di fare ricerche e rapporti diversi, di rovistare incartamenti e
riempire quaderni di due dita di spessore, che, come per ischerzo, s� chiamavano
�note�; inoltre tutto doveva essere fatto presto, tutti avevano fretta, non si
soffermavano su nulla: non hanno fatto in tempo a levar le mani da un affare che
subito con furore si attaccano ad un altro, come se esso fosse veramente
importantissimo, e, portatolo a termine, lo dimenticano e saltano ad un terzo. E la
cosa continua all'infinito!
Due volte lo avevano fatto alzare di notte per scrivere delle �note�, pi� volte lo
avevano fatto chiamare mentre era a far visita, e sempre per quelle maledette note.
Tutto questo aveva generato in lui una paura e una noia terribile. �Quando si pu�
vivere? Quando si pu� vivere?� ripeteva.
A proposito del superiore, egli aveva sentito dire in casa che questi � il padre
dei suoi subalterni e perci� se n'era formato il pi� ridicolo, il pi� familiare
concetto. Se lo rappresentava come una specie di secondo padre, che vive per una
cosa sola: come ricompensare, cio�, a torto o a ragione, i suoi subalterni,
preoccupandosi non solo dei loro bisogni, ma anche dei loro piaceri.
Il'j� Il'�tch pensava che il superiore a tal punto si mette nella posizione del suo
subalterno, da domandargli premurosamente se ha dormito bene la notte, perch� ha
gli occhi torbidi e se non abbia mal di capo.
Atroce era stata la disillusione il primo giorno del suo servizio. Non appena era
arrivato il capoufficio, tutti se n'erano scappati di qua e di l�, confusi e
imbarazzati, pestandosi l'un l'altro i piedi, e certuni accomodandosi il vestito
pel timore di non essere abbastanza eleganti per presentarsi al capo.
Questo avveniva, come Oblomov not� in seguito, perch� vi � qualche superiore il
quale, nel viso spaventato fino all'ebetismo del proprio dipendente che gli viene
incontro, vede non solo rispetto, ma anche zelo e alle volte perfino capacit� al
proprio servizio.
Il'j� Il'�tch non aveva avuto bisogno di spaventarsi in questo modo del proprio
copoufficio, un uomo buono e gentile di maniere: non faceva male a nessuno, i
dipendenti erano contentissimi e non desideravano di meglio. Nessuno mai aveva
sentito da lui una parola scortese, n� un grido, n� una sfuriata; egli non esigeva
mai niente, pregava sempre. Perch� si lavorasse, pregava; perch� gli si andasse a
far visita, pregava; perch� ci si mettesse agli arresti, pregava. Egli non dava mai
del "tu" a nessuno, sempre del "voi", e al singolo e a tutti insieme. E pure tutti
i suoi dipendenti in sua presenza erano intimiditi: alle sue affabili domande
rispondevano con una voce che non era la loro voce solita e con la quale non
parlavano a nessun altro.
E Il'j� Il'�tch a un tratto si era sentito intimidito, senza sapere egli stesso
perch�, quando il capoufficio era entrato nella sua stanza; e la voce gli era
venuta meno, e aveva sonato del tutto diversa, secca e spiacevole, non appena il
capoufficio gli aveva rivolta la parola. Il'j� Il'�tch soffriva per la paura e la
noia anche con un superiore buono e benevolo. Dio sa che cosa sarebbe stato di lui,
se gli fosse capitato un superiore severo ed esigente!
Oblomov era rimasto in servizio due anni con grandi sforzi: forse l'avrebbe durata
anche un terzo anno, fino al conseguimento del grado, ma un caso speciale lo
costrinse a lasciare il posto prima.
Egli aveva mandato un giorno una certa carta importante ad Arcangelo invece che ad
Astrachan'. La cosa era stata scoperta ed erano state fatte delle indagini per
trovare il colpevole. Tutti gli altri impiegati aspettavano con curiosit� come il
capoufficio avrebbe chiamato Oblomov, come gli avrebbe domandato freddo e
tranquillo �se era stato lui a mandare quella certa carta ad Arcangelo� e tutti si
domandavano con quale voce gli avrebbe risposto Il'j� Il'�tch.
Qualcuno riteneva che egli non avrebbe risposto affatto: non avrebbe potuto.
Guardando gli altri, Il'j� Il'�tch stesso si era spaventato, sebbene e lui e gli
altri tutti sapessero che il capoufficio si sarebbe limitato ad una osservazione;
ma la propria coscienza era pi� severa del rimprovero.
Oblomov non aspett� la meritata punizione, and� a casa e mand� un certificato
medico.
In questo certificato era detto: �Io, qui sottoscritto, certifico, con
l'apposizione del mio timbro, che il segretario collegiale Il'j� Oblomov soffre di
"ipertrofia cardiaca e dilatazione del ventricolo sinistro" ("Hyperthrophia cordis
cum dilatatone ejus ventriculi sinistri"], come anche di mal di fegato cronico
("hepatitis"), che minaccia di svilupparsi con pericolo della salute ed anche della
vita del malato; gli attacchi derivano, secondo quanto � dato presumere, dalla
quotidiana frequenza in ufficio. Perci�, per prevenire la ripetizione e
l'aggravamento degli attacchi, ritengo opportuno proibire temporaneamente al signor
Oblomov di andare all'ufficio e in generale gli prescrivo astensione dal lavoro
intellettuale e da qualsiasi attivit��,
Ma questo aveva giovato solo per qualche tempo: bisognava ben guarire - e dopo la
guarigione la prospettiva era il ritorno quotidiano all'ufficio. Oblomov non
l'aveva sopportato e aveva chiesto il congedo. Cos� era finita - e pi� non s'era
rinnovata - la sua attivit� burocratica.
La parte nella societ� gli era riuscita meglio.
Nei primi anni del suo soggiorno a Pietroburgo, negli anni della prima giovinezza,
i tratti tranquilli del suo viso s� animavano pi� spesso, gli occhi pi� a lungo
luccicavano del fuoco della vita, e da essi sgorgavano raggi di luce, di speranza e
di forza. Egli si agitava come tutti, sperava, si rallegrava di sciocchezze e per
delle sciocchezze soffriva.
Ma tutto questo era accaduto da un pezzo, in quel tenero periodo in cui l'uomo in
ogni altro uomo presuppone un sincero amico, e si innamora quasi di ogni donna, ed
� pronto a dare ad ognuna la mano ed il cuore, cosa che a qualcuno riesce anche di
fare, spesso per piangerne poi tutta la vita.
In quei giorni beati, anche ad Il'j� Il'�tch erano toccati non pochi morbidi,
vellutati, perfino appassionati sguardi dalla folla delle belle, moltissimi
promettenti sorrisi, due o tre baci non privilegiati, e ancor pi� amichevoli
strette di mano, con un dolore da far venire le lacrime.
Del resto, egli non s'era dato mai prigioniero delle belle, mai era stato loro
schiavo, e nemmeno un molto assiduo adoratore, gi� solo per il fatto che
avvicinarsi alle donne porta con s� molti fastidi. Oblomov si limitava piuttosto ad
una adorazione da lontano, a rispettosa distanza.
Raramente il destino lo aveva avvicinato ad una donna a tal punto da farlo
infiammare per pi� giorni e spingerlo a ritenersi innamorato. Perci� i suoi
intrighi amorosi non si erano sviluppati mai in romanzo: essi si fermavano
all'inizio e per la loro innocenza, semplicit� e purezza non la cedevano alle
novelle d'amore di un qualsiasi collegiale. Pi� di tutto egli sfuggiva le pallide,
tristi fanciulle, per lo pi� dagli occhi neri, in cui si riflettono �� tormentosi
giorni e le non innocenti notti�, dai dolori e dalle gioie ignote a tutti, che
hanno sempre qualche cosa da confidare, da dire, e quando bisogna parlare tremano,
si sciolgono in lacrime improvvise, poi a un tratto gettano le braccia al collo
dell'amico e a lungo lo guardano negli occhi, e poi guardano il cielo e dicono che
la loro vita � colpita da una maledizione, e qualche volta perdono i sensi. Egli
sfuggiva Impaurito queste fanciulle. La sua anima era ancora pura e vergine; essa,
forse, aveva aspettato il suo amore, il suo sostegno, la sua passione patetica e
poi, con gli anni, aveva cessato di aspettare e disperava.
Ancora pi� freddamente si era staccato Il'j� Il'�tch dalla folla degli amici.
Subito dopo la prima lettera dello "st�rosta" sul cattivo raccolto e sul mancato
pagamento delle imposte, aveva cambiato il suo primo amico, il cuoco, con una
cuoca, poi aveva venduto i cavalli e, finalmente, si era liberato degli altri
�amici�.
Quasi nulla riusciva ad attirarlo fuori di casa, e cos� ogni giorno pi� fortemente
e tenacemente egli si attaccava alle quattro mura del suo appartamento.
Prima di tutto gli era stato di peso passare l'intera giornata vestito, poi gli era
venuto a noia di pranzare in compagnia fuori di casa, salvo che con intimi
conoscenti, soprattutto scapoli, in casa dei quali era possibile levarsi la
cravatta, sbottonarsi il panciotto e magari �buttarsi gi�� e dormire un'oretta.
Ben presto anche le serate gli erano venute a noia: bisognava indossare il frac,
farsi la barba ogni giorno.
Aveva letto in qualche posto che solo le traspirazioni della mattina sono sane, e
quelle della sera dannose, e l'aveva preso la paura dell'umidit�.
Nonostante tutti questi capricci, al suo amico Stolz riusciva di trascinarlo fra la
gente; ma Stolz spesso si recava a Pietroburgo, a Mosca, a Niginij, in Crimea e poi
anche all'estero, - e senza di lui Oblomov ripiombava nella sua solitudine e nel
suo isolamento, da cui poteva trarlo solo qualche cosa di straordinario, che
uscisse dalla serie dei fenomeni quotidiani della vita; ma non c'era, n� era
prevedibile nulla di simile.
Oltre a tutto questo, gli era tornata coll'andar degli anni una certa infantile
timidezza, il timore del pericolo e del male derivante da tutto ci� che non entrava
nella sfera della sua esistenza quotidiana: conseguenza della mancanza di abitudine
alle manifestazioni diverse della vita esteriore.
Egli non era spaventato, per esempio, dalla crepa nel soffitto della sua camera da
letto: vi si era abituato; non gli veniva neppure in testa che l'aria sempre chiusa
della camera e il continuo sedere in casa erano probabilmente pi� dannosi alla sua
salute che non l'umidit� della notte, che il riempire troppo tutti i giorni lo
stomaco �, in certo senso, un continuo suicidio; ma egli c'era abituato e non se ne
spaventava.
Egli non era abituato al movimento, alla vita, al veder molta gente e alla
confusione.
Nella folla si sentiva soffocare; quando scendeva in una barca temeva sempre di non
arrivare sano e salvo fino all'altra riva; quando andava in carrozza, si aspettava
sempre che i cavalli si sarebbero imbizzarriti e la carrozza rovesciata.
Qualche volta si impadroniva di lui un terrore nervoso: egli sentiva paura nel
silenzio che lo circondava o, semplicemente, ed egli stesso non sapeva perch�, un
brivido gli correva per tutto il corpo. Qualche volta tutto Impaurito sbirciava un
angolo oscuro, aspettando che l'immaginazione gli giocasse qualche brutto scherzo e
gli mostrasse qualche fenomeno soprannaturale.
Cos� era finita anche la sua parte nella societ�. Egli aveva con un gesto della
mano gettato via da s� tutte le speranze giovanili che lo avevano ingannato o che
egli aveva ingannate, tutti i teneri, tristi, luminosi ricordi, che a qualcuno
fanno battere il cuore anche nella vecchiaia.

6.
Che cosa faceva a casa? Leggeva? Scriveva? Studiava?
Si: se un libro, un giornale gli capita sotto mano, egli lo legge.
Se sente parlare di qualche opera eccellente, nasce in lui il desiderio di
conoscerla; egli cerca, chiede il libro e, se glielo portano subito, vi si attacca
e in lui comincia a formarsi un'idea dell'argomento; ancora un passo, ed egli se ne
impadronirebbe, ma eccolo gi� sdraiato che guarda apaticamente il soffitto, e il
libro gli giace accanto, non letto, non compreso.
L'entusiasmo si raffreddava in lui ancora pi� rapidamente che non si accendesse:
egli non ritornava mai al libro abbandonato.
Intanto aveva studiato, come gli altri, come tutti, cio� fino a quindici anni, in
collegio; poi i vecchi genitori, dopo una lunga lotta, si erano decisi a mandare il
loro Iljusha a Mosca, dove, vuoi o non vuoi, aveva seguito i corsi fino all'ultimo.
Il suo carattere timido, apatico gli aveva impedito di manifestare pienamente la
sua infingardaggine e i suoi capricci di fronte agli estranei, nella scuola, dove
non si facevano eccezioni per i figli viziati. Per necessit� era stato seduto
diritto in classe, aveva ascoltato ci� che dicevano i professori, perch� non c'era
possibilit� di fare altrimenti e con fatica, con sudore, con molti sospiri aveva
imparato le lezioni assegnategli.
Tutto ci� era da lui considerato come un castigo del cielo per i nostri peccati.
Non andava oltre il rigo del libro dove il professore, assegnando la lezione, aveva
fatto un segno con l'unghia, non faceva nessuna domanda e non chiedeva nessuna
spiegazione. Era soddisfatto di ci� che era scritto nel quaderno e non manifestava
curiosit� importune neppure quando non capiva tutto quel che sentiva e studiava.
Se gli riusciva, in un modo o nell'altro, di prendere il disopra sul libro che si
chiamava statistica, storia, economia politica, era pienamente soddisfatto,
Quando Stolz gli portava dei libri che bisognava leggere in pi� di quel che si era
studiato, Oblomov lo guardava a lungo, in silenzio.
- Anche tu, Bruto, sei contro di me! - diceva poi con un sospiro, prendendo il
libro.
E questa lettura eccessiva gli sembrava non naturale e pesante.
A che scopo tutti questi quaderni, nei quali si consumano carta, tempo, ed
inchiostro? A che servono i libri di scuola? A che scopo, infine, sei, sette anni
di segregazione, tutta la severit�, le punizioni, i tormenti delle lezioni, il
divieto di correre, di scherzare, di divertirsi prima di aver finito i compiti?
�Quando dunque vivere? - egli domandava a se stesso. - Quando dunque, alla fine,
mettere in circolazione questo capitale di conoscenze, che per la maggior parte non
� neppure necessario per la vita? L'economia politica, per esempio, l'algebra, la
geometria, che cosa me ne far� ad Obl�movka?�
E la storia stessa non fa che metterti di cattivo umore; impari, leggi che �
arrivata l'ora della sventura, che l'uomo � infelice; ed ecco egli raccoglie le sue
forze, lavora, si affaccenda, patisce e si affatica, e prepara sempre i giorni
sereni. Ed eccoli venuti: qui anche la storia potrebbe riposare; invece no, sono
apparse di nuovo le nuvole, di nuovo l'edificio � crollato, di nuovo lavorare,
affaccendarsi... I giorni sereni non durano, fuggono via, e la vita continua a
scorrere, a scorrere sempre, e rottame tiene dietro a rottame.
La lettura seria lo affaticava. I pensatori non erano riusciti a suscitare in lui
la sete delle verit� contemplative... In compenso i poeti lo avevano colpito nel
vivo; ed egli era stato un giovane come tutti. Anche per lui era sopravvenuto il
momento felice della vita che a nessuno � negato e a tutti sorride, in cui
sbocciano le forze, le speranze nell'esistenza, i desideri del bene, dell'ardire e
dell'attivit�, l'epoca del battito violento del cuore e del polso, della
trepidazione, dei discorsi entusiastici e delle lacrime dolci. Mente e cuore si
erano come purificati; egli aveva scrollata via la sonnolenza e l'anima aveva
chiesto attivit�.
Stolz lo aveva aiutato a prolungare questo momento, per quanto ci� fosse possibile
ad una natura come quella del suo amico. Egli aveva sorpreso Oblomov sui poeti e
per un anno e mezzo lo aveva tenuto sotto la ferula del pensiero e della scienza.
Sfruttando il volo entusiastico della giovane fantasia, egli aveva dato alla
lettura dei poeti altri scopi, oltre il godimento, e, severo, aveva mostrato in
lontananza le vie della propria vita e di quella dell'antico, trascinando questi
con s� verso l'avvenire. Tutti e due si erano commossi, avevano pianto e s'erano
solennemente promesso di seguire la strada della ragione.
Il fuoco giovanile di Stolz aveva contagiato Oblomov, che s'era sentito arso dalla
sete di lavoro, per uno scopo lontano, ma attraente.
Il fiore della vita tuttavia si era schiuso senza dar frutti. Oblomov aveva perduta
la passione e solo di quando in quando, per indicazione di Stolz, aveva letto
questo o quel libro, ma non subito, senza fretta, senza avidit�, scorrendo
fiaccamente con gli occhi le righe.
Per quanto potesse essere interessante il punto dove s'era fermato, se questo punto
capitava all'ora del pranzo o del sonno, egli deponeva il libro col dorso in su e
andava a pranzare o spengeva il lume e si coricava.
Se gli si dava il primo volume di un'opera, non chiedeva, dopo
la lettura, il secondo e, se glielo portavano, lentamente arrivava alla fine.
Pi� tardi non aveva resistito pi� nemmeno al primo volume e la maggior parte del
tempo libero la passava coi gomiti appoggiati alla tavola e con la testa sui
gomiti; qualche volta invece dei gomiti adoperava il libro che Stolz gli aveva dato
da leggere.
Cos� Oblomov aveva compiuta la sua carriera scolastica. Il giorno in cui aveva
sentita l'ultima lezione aveva segnato le colonne d'Ercole della sua cultura. Il
direttore dell'Istituto, firmando il suo diploma, come gi� prima il professore con
l'unghia nel libro, aveva segnata la linea oltre la quale il nostro eroe non aveva
ritenuto necessario estendere le sue aspirazioni culturali.
La sua testa rappresentava un complicato archivio di cose morte, di persone, di
epoche, di cifre, di religioni, di verit�, di problemi, di principi politico-
economici, matematici, ecc., senza nessun legame fra loro, e cos� via.
Era come una biblioteca formata di soli volumi scompagnati nei vari campi della
conoscenza.
Lo studio aveva stranamente agito su Il'j� Il'�tch: per lui tra la scienza e la
vita c'era tutto un abisso, che egli non aveva tentato di varcare. La vita esisteva
di per s� e la scienza di per s�.
Egli aveva studiato tutti i diritti vigenti e quelli non pi� vigenti da un pezzo, e
superato anche il corso di pratica giudiziaria; ma quando, per un furto avvenuto in
casa, aveva dovuto scrivere un rapporto alla polizia, aveva preso un foglio di
carta e la penna: aveva pensato, pensato, poi aveva fatto chiamare uno scrivano.
I conti in campagna li teneva lo "st�rosta", �Che cosa ci avrebbe a che fare la
scienza?� si domandava egli dubbioso.
Ed era tornato al suo isolamento senza il carico della scienza, la quale avrebbe
potuto dare un indirizzo al pensiero che passeggiava inquieto o sonnecchiava ozioso
nella sua testa.
Che cosa faceva dunque? Continuava a disegnarsi un modello per la propria vita. In
essa, non senza fondamento, trovava tanta saggezza e tanta poesia che non l'avrebbe
mai esaurita anche senza libri e senza dottrina.
Abbandonato il servizio e la societ�, aveva cominciato a considerare diversamente
il compito della propria esistenza; dopo aver riflettuto a lungo sulla propria
vocazione aveva scoperto alla fine che l'orizzonte della sua attivit� ed esistenza
era chiuso in lui stesso.
Aveva compreso che gli erano destinate la felicit� familiare e le cure della
propriet�. Fino a quel tempo non era stato al corrente nemmeno dei propri affari;
di essi si era occupato Stolz. Egli non conosceva bene n� le entrate, n� le uscite,
n� aveva mai fatto un bilancio: niente.
Il vecchio Oblomov gli aveva lasciato la propriet� nelle stesse condizioni in cui
l'aveva ereditata dal padre. Sebbene avesse vissuto tutta la vita in campagna, non
si era stillato il cervello, n� si era rotta la testa su nuove misure, come si fa
attualmente, per scoprire nuove sorgenti di produttivit� delle terre o per
diffondere e rafforzare le vecchie, ecc. Egli aveva seminato con le stesse sementi
e gli stessi metodi del tempo del nonno e seguite le stesse vie di smercio dei
prodotti dei campi.
Del resto il vecchio era molto contento se un buon raccolto o un aumento di prezzo
gli dava un'entrata maggiore dell'anno precedente: chiamava ci� la benedizione del
cielo. Egli soltanto non amava le nuove trovate e gli artifici per guadagnar
denaro.
- I nostri padri e i nostri nonni non erano pi� stupidi di noi, - diceva egli in
risposta a certi consigli, secondo lui, dannosi, - e hanno vissuto la loro vita
felicemente; la vivremo anche noi e Dio ci dar� da saziarci.
Ricavando, senza scaltri accorgimenti, dalla propriet� quanto gli era necessario
per pranzare e per cenare ogni giorno senza limite con la famiglia e con vari
ospiti, egli ringraziava Dio e considerava come un peccato darsi da fare per
guadagnar di pi�.
Se il sovrintendente gli portava duemila rubli, nascondendone altri mille in tasca,
e piangendo si lamentava della grandine, della siccit�, del cattivo raccolto, il
vecchio Oblomov si faceva il segno della croce e, piangendo anche lui, diceva:
- Sia fatta la volont� di Dio; con Dio non bisogna lottare. Bisogna ringraziare Dio
per quel che c'�.
Dalla morte dei vecchi, le cose dell'amministrazione non solo non erano migliorate,
ma, come si vedeva dalla lettera dello "st�rosta", erano peggiorate. Era chiaro che
Il'j� Il'�tch doveva recarsi in persona a cercare sul posto la causa della graduale
diminuzione delle entrate.
Egli si accingeva sempre a questo viaggio, ma poi lo rimandava, in parte anche
perch� il viaggio era per lui un'impresa quasi nuova ed ignota.
In tutta la sua vita egli aveva fatto un solo viaggio, nella lenta carrozza
postale, in mezzo alle piume, alle casse, ai bauli, ai prosciutti, ai panini e a
ogni genere di carni arrostite e bollite, accompagnato da parecchi servitori.
In questo modo aveva compiuto l'unico viaggio dal suo paese a Mosca e questo
viaggio era rimasto per lui il modello di tutti i viaggi. Adesso, a quanto aveva
sentito, non si viaggiava pi� cos�: anzi, a rotta di collo!
Poi Il'j� Il'�tch aveva rimandato il suo viaggio anche perch� non era preparato
come si deve ad occuparsi dei suoi affari. Egli non era come il padre ed il nonno.
Aveva studiato, aveva vissuto nel mondo: tutto ci� aveva portato in lui delle idee
che al padre e al nonno erano estranee. Egli capiva che non solo il guadagno non �
un peccato, ma che � dovere di ogni cittadino sostenere con oneste fatiche il
benessere generale.
Per questa ragione una gran parte del disegno di vita che andava tracciando nella
sua solitudine era occupata da un nuovo piano, tutto fresco, e pensato secondo le
esigenze del tempo, per riorganizzare le sue terre e amministrare i contadini.
L'idea fondamentale del piano, la sua divisione, le sue parti principali, tutto
questo era gi� da un pezzo nella sua testa; rimanevano solo i particolari, i
calcoli, le cifre.
Sono gi� vari anni che egli instancabilmente lavora a questo piano, pensa, riflette
e camminando e stando sdraiato e in mezzo alla gente; ora lo completa, ora ne muta
qualche parte, ora rinnova nella sua memoria quel che ha pensato ieri e dimenticato
durante la notte; e qualche volta, a un tratto, un'idea nuova, inaspettata
lampeggia nella sua mente e il suo cervello � in moto.
Egli non � un qualsiasi meschino esecutore di un pensiero altrui gi� pronto; egli
stesso � creatore ed esecutore delle proprie idee.
Non appena alzato la mattina dal letto, dopo aver bevuto il t�, si sdraia sul
divano, appoggia la testa alla mano e pensa, senza risparmiare le proprie forze,
sino a che, alla fine, la testa si stanca per il pesante lavoro e la coscienza
dice: oggi � stato fatto abbastanza per il benessere generale.
Solo allora egli si decide a riposare dalle fatiche e a mutare il suo atteggiamento
preoccupato in un altro, meno affaccendato e grave, pi� comodo per fantasticare e
sognare.
Liberatosi dalle preoccupazioni degli affari, Oblomov amava sprofondarsi in se
stesso e vivere nel modo che egli stesso si creava. Gli erano accessibili le gioie
dei pensieri elevati; egli non rimaneva estraneo alle sofferenze umane universali.
Piangeva qualche volta amaramente, nel fondo dell'anima, sulle miserie
dell'umanit�, provava sofferenze sconosciute, indicibili, e malinconia e
aspirazione verso qualcosa di lontano, probabilmente verso quel mondo dove voleva
trascinarlo con s� Stolz...
Lacrime dolci scorrevano sulle sue gote.
Avviene anche che egli si senta pieno di disprezzo per il genere umano, per la
menzogna, la calunnia, il male diffuso nel mondo, e s'infiammi del desiderio di
mostrare all'uomo le sue piaghe, e a un tratto si accendono in lui pensieri che gli
vanno per il capo, su e gi�, come onde nel mare, poi diventano propositi, gli
bruciano il sangue, gli mettono in moto i muscoli; e i nervi si tendono, i
propositi diventano sforzi, ed egli, mosso da una forza morale, in un momento,
rapidamente cambia due o tre volte posizione, con gli occhi luccicanti si alza a
sedere in mezzo al letto, tende la mano e si guarda, pieno d'ispirazione,
intorno... Ecco, ecco, lo sforzo si realizza, si trasforma in atto... e allora,
Signore! quali miracoli, quali benefiche conseguenze ci sarebbe da aspettarsi da un
cos� alto sforzo!...
Ma ecco che gi� � balenato e passato via il mattino, gi� il giorno declina verso la
sera, e con esso inclinano al riposo le affaticate forze di Oblomov: tempeste e
agitazioni si calmano nell'anima, la testa si schiarisce dopo tanti pensieri, il
sangue scorre pi� lentamente nelle vene. Oblomov, tranquillamente, si gira
pensieroso sulla schiena, volgendo lo sguardo malinconico alla finestra, al cielo,
accompagna tristemente con gli occhi il sole, che si posa maestoso dietro un
palazzo di quattro piani.
Quante, quante volte aveva accompagnato cos� il tramonto del sole!
Il giorno dopo di nuovo vita, di nuovo agitazione e sogni! Egli ama pensarsi
qualche volta come un invincibile condottiero d'eserciti, al cui confronto non solo
Napoleone, ma Erusl�n L�zarevitch (Eroe di una famosa fiaba di origine orientale,
arrivata in Russia attraverso gli slavi meridionali) non rappresentano nulla; si
immagina una guerra e la relativa causa: emigrano, per esempio, con lui i popoli
dall'Africa in Europa, o egli organizza nuove crociate, e combatte, decide il
destino dei popoli, distrugge citt�, fa grazia, punisce, e compie atti di bont� e
di magnanimit�.
O si sceglie l'arena del pensatore, del grande artista: tutti gli fanno onore; egli
raccoglie allori; la folla gli corre dietro gridando:
- Guardate, guardate, passa Oblomov, il nostro illustre Il'j� Il'�tch.
Nei momenti di amarezza egli soffre per le preoccupazioni, si rigira sui fianchi,
giace col viso in gi�, qualche volta si perde addirittura del tutto; allora si alza
sul letto in ginocchio, e comincia a pregare ardentemente con tutto il cuore,
scongiurando il cielo di allontanare la tempesta che lo minaccia.
Poi, dopo aver affidato al cielo la cura del suo destino, ridiventa calmo e
indifferente alle cose del mondo, qualunque sia per essere la tempesta.
Cos� metteva egli in opera le sue forze morali, agitandosi spesso per giorni
interi, e solo si risvegliava, con un profondo sospiro, dall'incantevole sogno o
dalla tormentosa preoccupazione, quando il giorno cedeva alla sera e il sole come
un'enorme palla si nascondeva maestosamente dietro un palazzo di quattro piani.
Allora egli lo seguiva di nuovo con uno sguardo pensieroso e con un triste sorriso
e tranquillamente si riposava dall'agitazione.
Nessuno conosceva e vedeva questa vita interiore di Il'j� Il'�tch: tutti pensavano
che Oblomov se ne stesse sdraiato e mangiasse a soddisfazione, e che da lui
null'altro ci fosse da aspettarsi: che appena appena i pensieri si connettessero
nella sua testa. E cos� di lui si parlava, dovunque lo conoscessero. Delle sue
capacit�, di questo vulcanico lavoro intcriore della sua testa ardente, del suo
cuore umano sapeva e poteva testimoniare Stolz, ma Stolz non era quasi mai a
Pietroburgo.
Solo Zach�r, che tutta la vita si era mosso accanto al suo padrone, conosceva
ancora pi� particolarmente tutta la sua esistenza interiore; ma egli era convinto
che il padrone e lui facevano qualche cosa e vivevano normalmente, come si deve, e
che non bisognasse vivere altrimenti.

7.
Zach�r aveva gi� passato i cinquant'anni. Egli non era pi� il diretto discendente
di quei Caleb (Caleb era un personaggio di Walter Scott, che divent� il tipo del
servo fedele) russi, servi, cavalieri senza macchia e senza paura, che spingevano
la loro devozione ai signori fino al sacrificio di se stessi, che si distinguevano
per aver tutte le virt� e nessun vizio. Egli era un cavaliere con macchia e con
paura. Apparteneva a due epoche, e tutte e due avevano impresso il loro marchio su
di lui. Dall'una era passata a lui, in eredit�, la sconfinata devozione alla casa
Oblomov, e dall'altra, la pi� tarda, la raffinatezza e la corruzione dei costumi.
Appassionatamente devoto al suo signore, eran tuttavia rari i giorni in cui non lo
ingannasse. Il servo dei tempi passati tratteneva il suo padrone dallo sciupio e
dalla intemperanza, Zach�r invece amava egli stesso bere con gli amici a spese del
padrone; il servo d'un tempo era casto come un eunuco, e quest'altro invece correva
sempre da una certa comare di specie molto sospetta. Quello era pi� duro d'una
cassaforte nel custodire il denaro del padrone, e Zach�r, sempre all'erta per
guadagnare qualche copeca su qualunque spesa del padrone, immancabilmente si
impadroniva di ogni moneta che trovasse sulla tavola. E cos�, se Il'j� Il'�tch si
dimenticava di chiedere il resto a Zach�r, quello non gli tornava pi� di sicuro.
Somme maggiori egli non rubava, forse perch� misurava i suoi bisogni a copeche, o
perch� temeva di essere scoperto, in ogni modo non per eccesso di onest�.
L'antico Caleb sarebbe piuttosto morto, come un bene avvezzo cane da caccia,
accanto alle provvigioni affidate alla sua sorveglianza, anzich� toccarle; questo
invece era sempre pronto a mangiare e bere anche quel che non gli era affidato;
quello si preoccupava solo che il padrone mangiasse di pi� ed era triste se il
padrone non aveva appetito; questo invece era triste se il padrone mangiava tutto
quel che c'era nel piatto.
Oltre a tutto Zach�r era un pettegolo. In cucina, in bottega, negli incontri sulla
soglia di casa, ogni giorno si lamentava che la sua non era una vita, che un
padrone peggiore del suo non esisteva: capriccioso, avaro, furioso, ch'era
impossibile contentarlo, insomma ch'era meglio morire che stare in casa sua.
Zach�r non faceva ci� per cattiveria, o per desiderio di danneggiare il suo
padrone, ma cos�, per un'abitudine lasciatagli in eredit� dal nonno e dal padre:
dir male del padrone ad ogni occasione.
Qualche volta, per noia, o in mancanza di materiale per la conversazione, o per
suscitare maggior interesse nel pubblico degli ascoltatori, tutto a un tratto
cacciava fuori qualche favola sul conto del padrone.
- Adesso ha l'abitudine di andar sempre da quella vedova, - diceva egli rauco, a
bassa voce, confidenzialmente, - ieri le ha scritto una lettera.
Oppure dichiarava che il suo padrone era un tale giocatore di carte e un tale
ubriacone, come il mondo non aveva ancora prodotto il simile; che tutte le notti
giocava fino all'alba ed era ubriaco fradicio.
Niente di tutto questo avveniva: Il'j� Il'�tch non andava da nessuna vedova,
dormiva placidamente tutte le notti e non prendeva mai le carte in mano.
Zach�r � sudicio. Si rade raramente e, sebbene si lavi le mani e la faccia, a
quanto pare fa pi� vista di lavarsi che non si lavi veramente; con nessun sapone,
del resto, l'avresti lavato bene. Quando fa il bagno, le mani da nere gli si fanno
rosse per un paio d'ore, poi di nuovo nere.
E' assai maldestro: se vuole aprire il portone o la porta, apre una met� mentre
l'altra si chiude, ed egli corre a questa e si chiude l'altra.
Non riesce mai a rialzare da terra la prima volta un fazzoletto o una qualunque
altra cosa, ha bisogno di chinarsi sempre tre volte, come per acchiapparla e solo
alla quarta la tira su, e qualche volta la lascia cadere di nuovo.
Se porta attraverso la stanza una colonna di piatti o altre cose, fin dal primo
passo le cose che stanno di sopra cominciano a disertare al suolo. Da principio ne
vola una; egli fa a un tratto un movimento tardo ed inutile per impedirle di cadere
e ne butta gi� altre due. Egli guarda, con la bocca spalancata per la meraviglia,
le cose che cadono, e non quelle che gli restano in mano, e intanto tiene il
vassoio inclinato e le cose continuano a cadere, - e cos� qualche volta porta fino
all'altro capo della stanza un solo bicchierino o un piatto, e qualche volta,
mormorando e bestemmiando, butta egli stesso tutto quel che gli � rimasto in mano.
Attraversando la camera, ora inciampa con un piede, ora col fianco una sedia, non
sempre capita dritto nella met� della porta aperta e picchia con la spalla contro
l'altra, e ingiuria tutte e due le mezze porte, o il padrone di casa, o il
falegname che le ha fatte.
Nello studio di Oblomov sono rotti o stroncati quasi tutti gli oggetti,
specialmente i piccoli che richiedono di essere trattati con riguardo; e tutto
grazie a Zach�r. Egli applica la sua maniera di prendere in mano gli oggetti, tutti
quanti allo stesso modo, senza far nessuna differenza nel modo di prendere questo o
quello. Gli si ordina, per esempio, di pulire una candela o di versare un bicchier
d'acqua: egli mette in queste due operazioni la stessa forza che impiega per aprire
il portone.
Dio scampi e liberi quando Zach�r � infiammato dallo zelo di contentare il padrone
e si fa prendere dal desiderio di spazzare, pulire, mettere a posto e far ordine
alla svelta, tutto in una volta! Danni e rotture senza fine; un soldato nemico
penetrato in casa non porterebbe tanto danno. Cominciava col rompere, col lasciar
cadere a terra oggetti diversi, col frantumar stoviglie e rovesciar sedie;
bisognava cacciarlo dalla stanza o egli stesso se ne andava brontolando e
bestemmiando.
Per fortuna, rarissimamente era infiammato da tale zelo.
Tutto questo derivava, si capisce, dal fatto che egli era stato educato e aveva
acquistato le sue maniere non nello spazio ristretto e semibuio degli studi e dei
salotti lussuosi e mobiliati capricciosamente, dove il diavolo sa che cosa non ci
si trova, ma in campagna, in ambienti tranquilli, spaziosi e all'aria libera.
L� egli era abituato a servire senza dover tenere in freno i propri movimenti,
accanto a cose massicce; e aveva tra le mani per lo pi� degli strumenti sani e
solidi, come zappe, leve, maniglie di ferro alle porte e sedie tali che ce ne
voleva, soltanto per smuoverle.
Il candeliere, la lampada, il trasparente, il fermacarte sono un'altra cosa: stanno
l� due, tre anni al loro posto - e niente; si prendono appena appena in mano, e son
l� gi� rotti.
- Ah! - diceva egli in casi simili, sorpreso, ad Oblomov. - Guardate qui, signore,
che cosa strana; l'ho appena presa in mano e si � spezzata.
Oppure non diceva nulla e di nascosto, svelto svelto, rimetteva l'oggetto a posto e
accusava poi il padrone di averlo rotto; e qualche volta si giustificava, come
abbiamo veduto al principio del racconto, dicendo che le cose debbono pure aver
fine e che, se anche sono di ferro, la loro vita non pu� essere eterna.
Nei primi due casi era ancora possibile leticare con lui, ma quando, agli estremi,
si serviva dell'ultimo argomento, ogni contraddizione era inutile ed egli aveva
ragione senza appello. Zach�r si era tracciata, una volta per sempre, una
determinata cerchia di attivit�, oltre la quale non andava mai volontariamente.
La mattina preparava il "samov�r", puliva le scarpe e quei vestiti che il padrone
chiedeva, ma non quelli che egli non chiedeva, anche se stavano appesi da dieci
anni. Poi spazzava - tuttavia non ogni giorno - nel mezzo della camera, senza
pulire negli angoli, e spolverando solo la tavola su cui non c'era nulla, e ci� per
non aver la noia di levare via gli oggetti.
Dopo di che si riteneva gi� in diritto di andarsene a sonnecchiare sulla stufa o a
chiacchierare con Anis'ja in cucina o con la portinaia gi� al portone, senza
preoccuparsi di nulla.
Se gli si ordinava di fare qualche altra cosa, eseguiva l'ordine malvolentieri,
dopo una discussione, convinto dell'inutilit� dell'ordine o della impossibilit� di
eseguirlo.
Non era possibile con nessun mezzo spingerlo ad introdurre un nuovo articolo
permanente nella cerchia delle occupazioni che egli stesso si era assegnate.
Se gli si ordinava di pulire, di lavare questa o quella cosa, di portare o di
portar via qualche oggetto, di solito eseguiva l'ordine brontolando; ma era
impossibile ottenere che egli continuasse poi a fare la stessa cosa da s�,
spontaneamente.
Il secondo, terzo giorno e cos� di seguito sarebbe stato necessario dare di nuovo
lo stesso ordine, e di nuovo avere con lui le stesse sgradite spiegazioni.
Nonostante tutto ci�, nonostante cio� che bevesse, facesse pettegolezzi, rubasse ad
Oblomov copeche ed altre piccole monete, rompesse e fracassasse ogni cosa e fosse
un fiaccone, Zach�r era tuttavia un servo profondamente devoto al padrone.
Non avrebbe indugiato un momento a gettarsi per lui nel fuoco o nell'acqua, senza
ritener ci� un atto di eroismo, degno di ammirazione o di ricompensa. Considerava
ci� come una cosa naturale, che non poteva essere diversamente, o, per meglio dire,
non la considerava in nessun modo ed agiva, senza nessuna speciale riflessione.
Non aveva a questo riguardo nessuna teoria. Non gli veniva in mente di sottoporre
ad analisi i propri sentimenti e i propri rapporti con Il'j� Il'�tch; non li aveva
mica creati lui; essi erano passati a lui dal padre, dal nonno, dai fratelli, da
tutti i servi in mezzo ai quali era nato e cresciuto ed erano diventati carne della
sua carne.
Zach�r sarebbe morto al posto del padrone, ritenendo ci� suo naturale e inevitabile
dovere, e perfino senza ritener nulla; si sarebbe semplicemente gettato incontro
alla morte, come un cane che, trovandosi di fronte ad una fiera in un bosco, si
slancia su di essa, senza riflettere perch� debba slanciarsi lui e non il suo
padrone.
Ma in compenso, se fosse stato necessario, per esempio, passare tutta la notte
accanto al letto del signore, senza chiudere occhio, e da ci� fosse dipesa la
salute, o magari anche la vita del signore, Zach�r senza dubbio alcuno si sarebbe
addormentato.
Esteriormente egli non solo non dimostrava servilismo di fronte al padrone, ma era
addirittura rozzo, familiare nei rapporti con lui, si irritava contro di lui, e sul
serio, per ogni sciocchezza, e anzi lo calunniava, come abbiamo detto, sul portone
di casa; tuttavia questo oscurava soltanto temporaneamente, ma non menomava il
sentimento intimo, profondo della sua devozione non solo per Il'j� Il'�tch, ma per
tutto ci� che portava il nome di Oblomov e gli era vicino, caro.
Forse questo sentimento era anche in contraddizione con la vera opinione di Zach�r
sulla personalit� di Oblomov, forse la conoscenza del carattere del padrone aveva
suggerito a Zach�r altre convinzioni. Probabilmente, se qualcuno gli avesse
chiarito il grado del suo attaccamento a Il'j� Il'�tch, egli l'avrebbe contestato.
Zach�r amava Oblomov, come un gatto la sua soffitta, il cavallo la greppia, il cane
il canile nel quale � nato e cresciuto. Nella sfera di questo attaccamento, egli
aveva gi� delle impressioni proprie, personali.
Per esempio, egli amava il cocchiere di Obl�movka pi� del cuoco, la vaccara Varvara
pi� di tutti e due e Il'j� Il'�tch meno di tutti quanti; tuttavia il cuoco di
Obl�movka era per lui il migliore e pi� in alto di tutti gli altri cuochi del
mondo, e Il'j� Il'�tch pi� in alto di tutti i proprietari. Il dispensiere Taraska,
quello non lo poteva soffrire; ma questo stesso Taraska non lo avrebbe cambiato col
migliore uomo del mondo, solo perch� Taraska era di Obl�movka.
Egli trattava familiarmente e rudemente Oblomov a quel modo che lo stregone
siberiano tratta familiarmente e rudemente il suo idolo; lo ripulisce, lo lascia
cadere e qualche volta magari lo picchia anche con ira, ma nella sua anima c'�
continuamente la coscienza della superiorit� della natura di questo idolo sulla
sua.
La pi� piccola occasione era sufficiente per richiamare dal fondo dell'anima di
Zach�r questo sentimento e spingerlo a guardare il suo signore con reverenza e per
fargli perfino piangere lacrime di commozione. Dio lo scampi dal mettere un
qualsiasi altro signore non solo pi� in alto, ma anche alla pari soltanto col suo!
Dio scampi, se questo paragone veniva fatto da un estraneo!
Tutti i signori e gli ospiti che venivano da Oblomov, egli li guardava alquanto
dall'alto in basso e li serviva, porgeva loro il t� con una certa degnazione come
se volesse far sentire l'onore che veniva loro dall'esser ricevuti dal suo padrone.
Li mandava via rudemente:
- Il signore riposa, - diceva egli, guardando superbamente dalla testa ai piedi
colui che lo cercava.
Qualche volta, invece che a far pettegolezzi e calunnie, si metteva ad esaltare
Il'j� Il'�tch in tutte le botteghe e sulle soglie delle case, e allora l'entusiasmo
non aveva fine. Egli cominciava improvvisamente ad enumerare le qualit� del
signore, l'intelligenza, la cordialit�, la generosit�, la bont�, e se il padrone
non aveva abbastanza qualit� per il panegirico, Zach�r le prendeva in prestito
dagli altri e cos� gli attribuiva fama, ricchezza e straordinaria potenza. Se era
necessario spaventare il portinaio, l'amministratore e perfino lo stesso padron di
casa, egli li spaventava sempre col nome del signore: - Aspettate, lo dico al
padrone, - diceva minaccioso, - vedrai quel che ti succede! - Egli non supponeva
che nel mondo ci fosse un'autorit� pi� forte del padrone.
Ma i rapporti esteriori di Oblomov e Zach�r erano sempre in un certo qual modo
quelli di due nemici. Vivendo sempre insieme, si erano venuti a noia
reciprocamente. Una intimit� quotidiana non � mai innocua n� per l'uno n� per
l'altro: � necessaria, dall'una e dall'altra parte, molta esperienza di vita, molta
logica e cordialit�, per potere, godendo solo delle qualit� positive, non offendere
e non essere offeso dalle reciproche manchevolezze.
Il'j� Il'�tch conosceva gi� una grandissima qualit� di Zach�r: la sua devozione, e
vi si era abituato ritenendo perfino che ci� non potesse e non dovesse essere
altrimenti; abituato ad essa una volta per sempre, egli non ne godeva gi� pi�, e
intanto non poteva, nonostante la sua indifferenza a tutto, sopportare
pazientemente gli innumerevoli piccoli difetti di Zach�r.
Se Zach�r, sentendo e nutrendo per il suo signore in fondo all'anima quella
devozione che era caratteristica dei servi del tempo passato, si distingueva da
essi per i suoi difetti moderni, anche Il'j� Il'�tch, da parte sua, apprezzando
nell'intimo la devozione del servo, non aveva verso di lui quelle maniere
amichevoli, quasi di parente, che nutrivano i signori di un tempo per i loro servi.
Egli si permetteva talvolta di leticare grossolanamente con Zach�r. Anch'egli era
venuto a noia al servo. Zach�r, dopo aver servito in giovent� come cameriere nella
casa padronale, era stato promosso cameriere di Il'j� Il'�tch e da allora aveva
cominciato a ritenersi soltanto un oggetto di lusso, un accessorio aristocratico
della casa, destinato a mantenere il decoro e lo splendore dell'antica famiglia, e
non pi� un oggetto di necessit�. Per questo, oltre a vestire la mattina e spogliare
la sera il suo padroncino, egli non faceva pi� nulla.
Pigro per natura, lo era diventato ancora di pi� in seguito alla sua educazione di
servo. Si dava delle arie tra i servi e non si curava nemmeno di preparare il
"samov�r" e di spazzare le stanze. O sonnecchiava in anticamera, o andava a far
delle chiacchiere coi servi, o in cucina, o ancora, per ore intere, con le braccia
incrociate sul petto, stava sul portone e con aria pensierosa e sonnolenta guardava
da tutte le parti.
Dopo una simile vita, era a un tratto caduto sulle sue spalle il servizio di tutta
una casa: servire il signore, spazzare, pulire e andare in giro! Per tutto questo
si era steso sull'anima sua un velo di imbronciata malinconia e nel suo carattere
era comparso un che di rozzo e di aspro; per questo egli brontolava ogni volta che
la voce del signore lo costringeva a lasciare il giaciglio sulla stufa.
Nonostante per� questa tetraggine e bruschezza esteriore, Zach�r era di cuore
abbastanza tenero e buono. Egli amava perfino passare il suo tempo coi bambini. Nel
cortile, sul portone, lo si poteva vedere spesso con un gruppo di ragazzetti. Li
riconciliava, li sgridava, organizzava i loro giochi o semplicemente stava seduto
con loro, tenendone uno sopra un ginocchio, un altro sull'altro, mentre un terzo
sbarazzino di dietro gli cingeva il collo con le braccia, o lo tirava per le
fedine.
Oblomov impediva dunque a Zach�r di vivere, chiamandolo ogni momento presso di s�,
mentre il cuore, il carattere socievole, l'amore per l'inattivit� e un eterno,
insaziabile bisogno di masticare spingevano Zach�r ora dalla comare, ora in cucina,
ora in bottega, ora sul portone.
Essi si conoscevano reciprocamente da lungo tempo e da lungo tempo vivevano
insieme. Zach�r aveva cullato il piccolo Oblomov sulle braccia e Oblomov se lo
ricordava giovane, agile, vorace e furbo.
Il vecchio legame tra loro era indissolubile. Come Il'j� Il'�tch non sapeva
alzarsi, andare a letto, pettinarsi, vestirsi e pranzare senza l'aiuto di Zach�r,
cos� Zach�r non sapeva immaginarsi un altro signore oltre Il'j� Il'�tch, altra
esistenza se non la sua: vestire, nutrire il signore, dirgli delle grossolanit�,
ingannarlo e mentirgli, ma nello stesso tempo interiormente idolatrarlo.

8.
Dopo aver chiuso la porta dietro a Tarant'ev e Alekseev quando essi andarono via,
Zach�r non si risedette al suo posticino, aspettando che il signore lo chiamasse,
perch� aveva sentito che egli si accingeva a scrivere. Ma nello studio di Oblomov
c'era un silenzio di tomba.
Zach�r guard� attraverso una fessura, e che vide? Il'j� Il'�tch stava sdraiato sul
divano con la testa appoggiata sulla palma della mano; davanti a lui stava un
libro. Zach�r apr� la porta.
- Perch� vi siete coricato di nuovo? - domand�.
- Non mi disturbare; non vedi che leggo? - rispose Oblomov a scatti.
- E' tempo di lavarsi e di scrivere, - disse, insistente, Zach�r.
- S�, � tempo davvero, - Il'j� Il'�tch torn� in s�. - Subito: tu va'. Io penser�
ancora un po'.
- Ma quando ha avuto il tempo di ricoricarsi! - borbott� Zach�r, saltando sulla
stufa. - Come � stato svelto!
Oblomov intanto aveva finito di leggere la pagina ingiallita dal tempo, la cui
lettura era stata interrotta un mese prima. Egli rimise il libro a posto e
sbadigli�, poi si sprofond� di nuovo negli insistenti pensieri �sui suoi due guai�.
- Che noia! - mormorava, ora tendendo, ora ritirando le gambe. Si sentiva prendere
dal languore e dai sogni; rivolse gli occhi al cielo, cerc� il suo caro sole, ma
questo era proprio allo zenit e inondava della sua luce accecante il muro bianco di
calcina della casa, dietro la quale Oblomov lo vedeva coricarsi la sera.
�No, prima gli affari, - pens� severamente, - e poi...�
Il mattino campagnolo era passato ormai da un pezzo e anche quello pietroburghese
stava per finire. Da fuori arrivava ad Il'j� Il'�tch un rumore confuso di voci
umane e non umane: il canto di artisti vagabondi che era quasi sempre accompagnato
dall'abbaiare dei cani. Passavano anche venditrici di pesce e in generale si
sentivano voci che offrivano ogni sorta di prodotti.
Oblomov si sdrai� sulla schiena e port� tutte e due le mani dietro il capo. Egli
era occupato nella elaborazione del suo piano di riordinamento della propriet�.
Rapidamente ripercorse nella sua mente alcune questioni serie, fondamentali sulle
imposte, sull'aratura, immagin� una nuova misura, pi� severa, contro l'indolenza e
il vagabondaggio dei contadini, e pass� all'organizzazione della sua propria
esistenza in campagna.
Lo occupava il pensiero di costruire una casa di campagna: si ferm� con piacere per
qualche minuto sulla distribuzione delle stanze, fiss� la lunghezza e la larghezza
della sala da pranzo, di quella del biliardo, pens� anche dove avrebbero guardato
le finestre del suo studio; si ricord� perfino dei mobili e dei tappeti.
Dopo pens� alla divisione dell'edificio laterale della villa, prendendo in
considerazione il numero degli ospiti che aveva intenzione di accogliere, stabil�
il posto per le scuderie, per le rimesse, per la servit� e altri locali secondari.
Finalmente si rivolse al giardino : decise di lasciare come stavano tutti i vecchi
tigli e le vecchie querce, di distruggere i meli ed i peri e di piantare al loro
posto delle acace; pens� ad un parco, ma facendo nella mente il calcolo
approssimativo della spesa, trov� che era troppo caro e, rimandandolo ad altro
tempo, pass� alle aiuole e alle serre.
Qui balen� in lui l'attraente pensiero dei frutti futuri e questo pensiero fu cos�
vivo che egli si trasport� di parecchi anni avanti in campagna, quando la propriet�
sarebbe gi� stata organizzata secondo il suo piano ed egli si sarebbe stabilito l�
per sempre.
Gi� si vede in una sera d'estate sulla terrazza, vicino al tavolino da t�, sotto la
cupola fatta dai rami degli alberi, impenetrabile ai raggi del sole, con una lunga
pipa, mentre pigramente aspira il fumo, godendo, immerso nei suoi pensieri, la
veduta che si scorge attraverso gli alberi e il fresco e la tranquillit�, mentre in
lontananza i campi son tutti gialli e il sole tramonta dietro il noto boschetto di
betulle e arrossa lo stagno, liscio come uno specchio; dai campi sale il vapore;
l'aria si fa pi� fresca, cala il crepuscolo; i contadini a gruppi vanno alle loro
case.
La servit� in riposo sta sulle porte; si sentono delle voci allegre, delle risate,
il suono d'una "balalaika" (Specie di chitarra triangolare a tre corde), le ragazze
giocano a rincorrersi; intorno a lui folleggiano i suoi piccini, si arrampicano
sulle sue ginocchia, gli si attaccano al collo; vicino al "samov�r" siede... la
regina di tutto ci� che � intorno, la sua divinit�... una donna! sua moglie! E
intanto nella sala da pranzo, ammobiliata con elegante semplicit�, brillano e
luccicano delle lampade invitanti; viene apparecchiata la grande tavola tonda;
Zach�r, promosso maggiordomo, con le sue fedine del tutto bianche, apparecchia e
dispone i cristalli dal piacevole tintinn�o e mette a posto le posate d'argento,
gettando ogni momento a terra or un bicchiere, ora una forchetta; ecco ci si siede
a tavola per la ricca cena; � qui anche il compagno della fanciullezza,
l'immutabile amico Stolz e qualche altro viso noto; poi vanno a dormire...
Il viso di Oblomov a un tratto si fece rosso per la felicit�: il sogno era cos�
chiaro, vivo, poetico che egli sull'attimo ficc� il viso nel cuscino. Egli sent� a
un tratto un confuso desiderio d'amore, di tranquilla felicit�, e l'ansia di vedere
i campi e le colline della patria, la sua casa, di avere una moglie e dei
bambini...
Dopo essere rimasto cinque minuti col viso in gi�, si rimise lentamente di nuovo
sulla schiena. Il suo volto era illuminato da un sentimento tenero, commovente: era
felice. Stese lentamente le gambe, con delizia, e i pantaloni gli si rivoltarono un
poco in su, ma egli neppure si accorse di questo piccolo disordine. La fantasia
obbediente lo trasportava, leggera e libera, nel futuro.
Adesso egli si abbandonava del tutto al suo pensiero preferito: pensava ad una
piccola colonia di amici che si sarebbero stabiliti nei villaggi e nelle case, a
quindici o venti verste dalla sua propriet� e che a turno ogni giorno sarebbero
venuti da lui a pranzo, a cena, a ballare; egli vede solo giorni sereni, volti
sereni, senza preoccupazioni e senza rughe, sorridenti, tondi, rossi, con doppio
mento e un appetito insaziabile; e sar� eterna estate, eterna allegria, e dolce
sar� il mangiare, dolce l'oziare...
�Dio, Dio!� disse pieno di felicit� e si svegli�.
In quello stesso momento risonarono nel cortile cinque voci insieme: - Patate!
Sabbia, non avete bisogno di sabbia? Carbone, carbone!... Fate un'offerta, o
signori compassionevoli, per la costruzione del tempio di Dio! - E dalla casa
vicina in costruzione giunse il rumore delle asce, il grido degli operai.
- Oh! - sospir� forte Il'j� Il'�tch tristemente. - Che vita � questa! Che orrore
questo chiasso della capitale! �Quando comincer� l'anelata esistenza paradisiaca?
Quando rivedr� i miei campi, i cari boschetti? - pens�. - Vorrei adesso stare
sdraiato sull'erba sotto un albero, guardare attraverso i rami il sole e contare
quanti uccellini si posano sui rami. E qui sull'erba una bella servetta, dai gomiti
nudi, rotondi e molli e il collo bruciato dal sole, ti porta il pranzo o la
colazione; la bricconcella abbassa lo sguardo e sorride... Quando arriver� questo
tempo beato?...�
�E il piano? E lo "st�rosta", e l'appartamento?� tutto ci� gli torn�
improvvisamente alla memoria.
- S�, s�! - disse in fretta Il'j� Il'�tch, - subito, all'istante! Oblomov si
sollev� svelto e sedette sul divano, poi butt� gi� le
gambe, capit� coi piedi subito nelle pantofole pronte e stette cos� seduto; poi si
alz� del tutto e rimase in piedi un paio di minuti soprappensiero.
- Zach�r, Zach�r! - grid� forte, guardando la tavola ed il calamaio.
- Che c'� ancora? - e si sentirono insieme le parole e il salto.
- Non so come ancora le gambe mi reggono! - aggiunse Zach�r con un rauco mormorio.
- Zach�r! - ripet� Il'j� Il'�tch soprappensiero, senza staccare gli occhi dalla
tavola. - Ecco, vedi... - cominci� egli, mostrando il calamaio, ma, senza finire la
frase, ripiomb� nei suoi pensieri.
Le braccia cominciarono a tendersi verso l'alto, le ginocchia a piegarsi, si stir�,
sbadigli�...
- Dev'essere rimasto un pezzo di formaggio, - disse lentamente, continuando a
stirarsi, - da' qua... il madera; per il pranzo c'� ancora tempo, far� uno
spuntino...
- Dov'� rimasto il formaggio? - domand� Zach�r, - non � rimasto niente...
- Come non � rimasto? - lo interruppe Il'j� Il'�tch. - Me lo ricordo benissimo; era
un pezzo cos�...
- No, no! Non � rimasto nessun pezzo! - insist� cocciuto Zach�r.
- C'era, - disse Il'j� Il'�tch.
- Non c'era, - rispose Zach�r.
- Allora vallo a comprare.
- Datemi i soldi.
- Ecco, l� ci son degli spiccioli, pigliali.
- Qui c'� solo un rublo e quaranta, e ci vuole un rublo e cinquanta.
- L� c'erano ancora delle monete di rame.
- Io non le ho viste! - disse Zach�r, appoggiandosi sull'altro piede. - C'era
l'argento, ed eccolo qui, rame non ce n'era.
- C'era: me lo ha dato ieri il venditore, proprio in mano mia.
- Vi ha dato il resto in mia presenza: ho visto che vi ha dato degli spiccioli, ma
non ho visto il rame...
�Che l'abbia preso Tarant'ev? - pens� indeciso Il'j� Il'�tch. - No, quello avrebbe
preso anche gli altri spiccioli�.
- Che cos'altro c'� di l�? - domand�.
- Niente. Bisogna domandare ad Anis'ja se c'� ancora del prosciutto di ieri, -
disse Zach�r, - debbo portarlo?
- Porta quello che c'�. Ma come mai non � rimasto nulla?
- Nulla! - disse Zach�r e usc�.
Il'j� Il'�tch passeggi� su e gi� per lo studio lentamente e pensieroso.
- S�, un mucchio di preoccupazioni, - disse egli sommessamente. - Ecco l� il piano,
per esempio, che massa di lavoro ancora!... E pure era rimasto del formaggio, -
aggiunse soprappensiero, - se l'� mangiato certo Zach�r, e dice che non c'era! E
dove � andato a finire il rame? - aggiunse, passando la mano sulla tavola.
Un quarto d'ora dopo Zach�r apriva la porta, spingendola col vassoio che teneva con
tutt'e due le mani, e, entrato in camera, voleva col piede richiudere la porta, ma
sbagli� la mossa e il piede colp� il vuoto: il bicchiere cadde e insieme con esso
anche il tappo della bottiglia e un panino.
- Non fai un passo senza rompere qualcosa, - disse Il'j� Il'�tch. - Via, raccogli
almeno quel che hai buttato gi�: e lui sta ancora l� con la bocca spalancata!
Zach�r, col vassoio nelle mani, si chin� per raccattare il pane, ma, piegandosi,
vide a un tratto che aveva le due mani occupate e non poteva raccattarlo.
- Su dunque, raccattalo! - disse ironicamente Il'j� Il'�tch. - Cosa fai? Perch� ti
sei fermato?
- Che il diavolo vi porti, maledetti! - disse Zach�r furibondo, volgendosi alle
cose cadute. - Dove mai s'� visto, fare colazione poco prima di pranzare!
E, posato il vassoio, raccatt� tutto quel che aveva fatto cadere; preso il panino,
vi soffi� sopra e lo pos� sulla tavola.
Il'j� Il'�tch si mise a mangiare, e Zach�r si ferm� a una certa distanza da lui,
guardandolo di traverso, con l'evidente intenzione di dire qualcosa.
Ma Oblomov mangiava senza prestargli la pi� piccola attenzione.
Zach�r toss� due volte.
Oblomov niente.
- L'amministratore ha mandato di nuovo, - disse finalmente, timido, Zach�r; - dice
che l'impresario � stato a domandare se pu� venire a vedere il quartiere. Per i
lavori di riattamento...
Il'j� Il'�tch continuava a mangiare, senza rispondere una parola.
- Il'j� Il'�tch, - disse, dopo un po' di silenzio, Zach�r, ancora pi� piano.
Il'j� Il'�tch finse di non aver sentito.
- La settimana ventura bisogna sgombrare, - disse rauco Zach�r.
Oblomov bevette un bicchier di vino e continu� a tacere.
- Come dobbiamo fare, Il'j� Il'�tch? - domand� Zach�r quasi bisbigliando.
- Ma io ti ho proibito di parlarmene, - disse severamente Il'j� Il'�tch e,
alzatosi, si avvicin� a Zach�r.
Questi si trasse indietro.
- Che uomo velenoso sei, Zach�r! - aggiunse Oblomov con sentimento.
Zach�r si offese.
- Ecco, - disse egli, - velenoso! Perch� sono velenoso? Io non ho ucciso nessuno.
- Come non sei velenoso? - ripet� Il'j� Il'�tch, - tu mi avveleni la vita.
- Io non sono velenoso! - insist� Zach�r.
- Perch� mi perseguiti sempre con l'appartamento?
- Ma che cosa debbo fare?
- E che cosa debbo fare io?
- Voi volevate scrivere al padron di casa.
- Va bene, scriver�; aspetta: non posso mica cos� d'un tratto!
- Voi dovreste scrivere adesso.
- Adesso, adesso! Ho un affare ancora pi� importante. Tu credi che sia come spaccar
legna? uno, due, tre... Ecco, - prosegu�, rigirando la penna asciutta nel calamaio,
- anche inchiostro non ce n'�? Come posso scrivere?
- Aspettate, l'allungo con un po' di "kvas", - disse Zach�r, e, preso il calamaio,
and� svelto in anticamera, mentre Oblomov cercava la carta.
�Non c'� nemmeno carta! - disse egli a se stesso, rovistando nel cassetto e
tastando sulla tavola. - No, non ce n'�! Ah, questo Zach�r: � impossibile vivere
con lui!�
- E tu dici che non sei un uomo velenoso? - disse Il'j� Il'�tch a Zach�r che
ritornava; - non badi proprio a nulla. Come si pu� non tener carta in casa?
- Ma questa � una pena, Il'j� Il'�tch! Io sono cristiano, perch� continuare a
maltrattarmi col dire che sono velenoso? Guarda un po': velenoso! Noi siamo nati e
cresciuti in casa del vecchio padrone, egli si degnava di chiamarci cucciolo e di
tirarci gli orecchi, ma una parola simile non l'abbiamo sentita mai! Non c'erano
fantasie! E' roba da dannare! Ecco la carta.
Prese dallo scaffale e porse ad Oblomov un mezzo foglio di carta grigiastra.
- Che si pu� scrivere su questa carta? - domand� Oblomov, gettandola via. - Io me
ne sono servito per coprire il bicchiere la notte perch� non ci cadesse qualche
cosa di... velenoso.
Zach�r si volt� e guard� il muro.
- Be', non ce n'� bisogno: da' qua, io far� la brutta copia e poi Alekseev
ricopier�.
Il'j� Il'�tch si sedette al tavolino e scrisse rapidamente: �Chiarissimo
signore!...�
- Che inchiostro indecente, - disse. - Un'altra volta, Zach�r, sta' bene attento e
fa' le cose come si deve!
Pens� un poco e cominci� a scrivere.
�L'appartamento nel quale io abito al secondo piano del vostro palazzo e nel quale
avete intenzione di portare dei cambiamenti risponde pienamente al mio tenore di
vita e alle abitudini che io mi sono formate, in seguito al lungo soggiorno
fattovi. Informato dal mio servo, Zach�r Trof�movitch, che voi avete ordinato di
farmi sapere che l'appartamento da me occupato...�
Oblomov si ferm� e rilesse.
- Non va bene, - disse: - qui ci sono due "nel quale" di seguito e qui due "che".
Mormor� e cambi� posto alle parole: il secondo "nel quale" venne a riferirsi al
secondo piano e non all'appartamento; stava di nuovo male. Accomod� ancora e si
mise a pensare come evitare il secondo "che". Cancell�, scrisse di nuovo; cambi�
tre volte di posto il "che", ma ne veniva un nonsenso, oppure un "che" capitava
vicino all'altro.
- Non ci si libera da questo maledetto "che!" - disse impaziente. - Che il diavolo
se la porti, maledetta lettera! Rompersi la testa per delle sciocchezze simili! Io
ho perso l'abitudine di scrivere lettere d'affari. E presto saranno le tre!
- Zach�r, eccoti.
Stracci� la lettera in quattro pezzi e li butt� in terra.
- Hai visto? - domand�.
- Ho visto, - rispose Zach�r, raccattando i pezzi.
- E allora non mi seccare pi� con l'appartamento. Ma cos'altro hai l�?
- I conti.
- Ah, Signore Iddio! Tu mi hai ridotto agli estremi! Quant'� in tutto? su, svelto!
- Al macellaio ottantasei rubli e cinquantaquattro copeche.
Il'j� Il'�tch batt� le mani l'una contro l'altra.
- Tu sei diventato matto? Al solo macellaio un tal mucchio di denaro?
- Sono tre mesi che non paghiamo il macellaio, e s'� formato il mucchio! E' scritto
tutto qui, nessuno ha rubato.
- E poi dici che non sei velenoso? - disse Oblomov. - Hai comprato un milione di
rubli di carne! Cosa ne viene a te? Se almeno ne avessi un vantaggio!
- Non l'ho mica mangiata io! - e Zach�r si fece aspro.
- No? Non l'hai mangiata?
- Perch� mi rinfacciate il mio pane? Ecco qua, guardate! - E gli porse i conti.
- A chi altro ancora? - disse Il'j� Il'�tch respingendo con fastidio il quaderno
tutto unto.
- Ancora centoventun rubli e diciotto copeche al panettiere e all'erbivendolo.
- Ma questa � la rovina! E' una cosa inaudita! - disse Oblomov, fuori di s�. - Sei
forse una vacca tu per ruminare tanta erba?...
- No! Io sono un uomo velenoso! - not� con amarezza Zach�r, voltando addirittura le
spalle al padrone. - Se non faceste entrare Mich�j Andreitch, si spenderebbe meno!
- aggiunse.
- Bene, guarda quanto fa in tutto, conta! - disse Il'j� Il'�tch, e si mise a
contare egli stesso.
Zach�r faceva lo stesso conto sulla punta delle dita.
- Al diavolo, vien sempre fuori una cifra differente! - disse Oblomov. - A te
quanto viene? duecento, no?
- Ecco, aspettate, datemi un po' di tempo! - disse Zach�r, socchiudendo gli occhi e
brontolando: - otto decine, e dieci dieci diciotto, e due decine...
- Ma cos� non finisci mai, - disse Il'j� Il'�tch, - vattene di l� e i conti
portameli domani; procurami piuttosto la carta e l'inchiostro... E' una bella somma
di denaro! Te lo dicevo io di pagare un po' alla volta: no, mi scaraventa tutto
insieme... che gente!
- Duecentosette rubli e settantadue copeche, - disse Zach�r, dopo aver finito di
contare. - Datemi il denaro.
- Come, subito? Aspetta un po': io riscontrer� domani...
- Come volete, Il'j� Il'�tch, essi chiedono...
- Bene, bene, lascia! Ho detto domani e domani li avrai! Va' di l�, e io mi metter�
al lavoro; ho qualcosa di pi� importante.
Il'j� Il'�tch si sedette, tir� le gambe sotto la sedia, ma non fece in tempo a
raccogliere i pensieri che squill� il campanello.
Entr� un piccolo uomo, con una discreta pancetta, un viso bianco, gote rosse e una
testa pelata che sulla nuca era come listata da una frangia di capelli fitti e
neri. La calvizie era tonda, nitida e luccicava come se fosse tornita d'avorio. Il
volto del visitatore si distingueva per un'espressione di preoccupata attenzione
per tutto ci� che guardava, una certa riservatezza nello sguardo e discrezione nel
sorriso e un atteggiamento modestamente ufficiale.
Indossava un ampio frac che quasi ad ogni movimento si apriva, largo e comodo come
un portone. La biancheria brillava di candore, come per essere in armonia con la
calvizie. All'indice della mano destra portava un grande anello massiccio con una
pietra scura.
- Dottore. Che buon vento vi porta? - esclam� Oblomov, tendendo una mano
all'ospite, e con l'altra spostando la sedia.
- Mi sono annoiato che siete tutti sani, non mi chiamate ed io vengo da me, -
rispose il dottore in tono faceto. - No, - aggiunse poi seriamente, - sono stato su
dal vostro vicino e sono venuto a dare un'occhiata anche a voi.
- Grazie. Che cos'ha il vicino?
- Eh, tre, quattro settimane, forse fino all'autunno, e poi... l'acqua in petto: la
solita fine. E voi come state?
Oblomov scosse tristemente la testa.
- Male, dottore. Io stesso avevo pensato di chiedere il vostro consiglio. Non so
che cosa fare. Lo stomaco non funziona, ho una pesantezza sotto il cuore, il
bruciore mi tormenta, ho il respiro difficile... - disse Oblomov con aria
lamentosa.
- Datemi la mano, - disse il dottore che prese il polso e chiuse per un minuto gli
occhi. - Tossite? - domand�.
- La notte, specialmente se ho cenato.
- Uhm! Avete battito al cuore? Vi fa male la testa?
E il dottore fece ancora alcune domande consimili, poi chin� la sua testa pelata e
si sprofond� nei suoi pensieri. Dopo due minuti egli rialz� la testa e con voce
decisa disse:
- Se voi continuerete ancora a vivere due o tre anni in questo clima e a starvene
sdraiato, a mangiar cibi grassi e pesanti, morirete di un colpo.
Oblomov ebbe un fremito.
- Che cosa debbo fare, dunque? Dite, dite, in nome di Dio!
- Fate quello che fanno gli altri: andare all'estero.
- All'estero! - ripet� Oblomov sorpreso.
- S�, che c'�?
- Vi prego, dottore, all'estero! Com'� possibile?
- E perch� non � possibile?
Oblomov in silenzio volse prima gli occhi su se stesso, poi guard� lo studio e
ripet� macchinalmente: - All'estero!
- Che cosa ve lo impedisce?
- Come, che cosa? Tutto...
- Che vuol dire tutto? Non avete denaro?
- S�, s�, ecco, infatti non ho denaro! - esclam� vivacemente Oblomov, tutto lieto
di questo impedimento cos� naturale, dietro il quale egli poteva nascondere la
testa. - Guardate un po' qui, che cosa mi scrive lo "st�rosta"... Dov'� la lettera,
dove diavolo l'ho ficcata? Zach�r!
- Bene, bene, - disse il dottore, - non � affare che mi riguardi; � mio dovere
dirvi che voi dovete cambiare il vostro regime di vita, cambiar luogo, aria,
occupazione: tutto, tutto.
- Bene, ci penser�, - disse Oblomov. - Dove posso andare, che cosa posso fare? -
domand�.
- Andate a Kissingen, o ad Ems, - disse il dottore, - passate l� i mesi di giugno e
luglio; fate la cura delle acque; poi recatevi in Isvizzera o nel Tirolo, a far la
cura dell'uva. L� restate i mesi di settembre ed ottobre...
- E' facile dirlo, nel Tirolo! - sussurr� Il'j� Il'�tch in modo appena
percettibile.
- Poi in qualche luogo secco, per esempio in Egitto...
�Dagli!� pens� Oblomov.
- Lasciate da parte preoccupazioni e fastidi...
- A parole � facile, - not� Oblomov; - voi non ricevete dallo "st�rosta" di queste
lettere...
- Bisogna evitare anche i pensieri, - continu� il dottore.
- I pensieri?
- S�, lo sforzo intellettuale.
- E il piano di riorganizzazione della propriet�? Vi prego, sono io forse un tronco
di tremula?...
- Allora, come volete. Il mio dovere � di mettervi in guardia. E bisogna guardarsi
anche dalle passioni: esse turbano la cura. Bisogna cercare di distrarsi andando a
cavallo, ballando, facendo un movimento moderato all'aria aperta, dei discorsi
piacevoli, specialmente con le signore, perch� il cuore batta leggermente e solo
per sensazioni gradite.
Oblomov lo ascoltava a testa bassa.
- Poi? - domand� egli.
- Poi, che Dio vi scampi e liberi dal leggere e dallo scrivere! Prendete una villa,
con le finestre a mezzogiorno, molti fiori, e intorno musica e donne...
- E che alimentazione?
- Evitate la carne e in genere l'alimentazione animale, come anche quella a base di
farinacei e di conserve. Potete mangiare delle zuppe leggere, verdura; soltanto
state attento: c'� in giro parecchio colera, bisogna stare in guardia... Potete
camminare otto ore al giorno. Andate a caccia...
- Signore!... - gemette Oblomov.
- Infine, - concluse il dottore, - quest'inverno andate a Parigi, e l�, nel vortice
della vita, divertitevi, non pensate a nulla; dal teatro al ballo, al veglione, nei
dintorni, a far visite, che insomma intorno a voi siano amici, chiasso, risa...
- Non c'� bisogno d'altro? - domand� Oblomov con un'irritazione mal celata.
Il dottore pens�...
- Sarebbe bene anche l'aria di mare: andate in Inghilterra e fatevi una passeggiata
sul piroscafo fino in America...
Si alz� e salut�.
- Se farete tutto ci� scrupolosamente... - disse.
- Bene, bene, lo far� senza fallo, - rispose Oblomov sarcasticamente,
accompagnandolo.
Il dottore usc�, lasciando Oblomov nella pi� miserevole situazione. Egli chiuse gli
occhi, mise tutte e due le mani sotto la testa, si raggomitol� nella poltrona e
rimase cos�, senza guardare in nessun posto, senza sentir nulla.
Si ud� dietro di lui una timida voce.
- Il'j� Il'�tch!
- Che? - esclam� egli.
- Che cosa debbo dire all'amministratore?
- Di che?
- Dello sgombero.
- Ricominci? - domand� meravigliato Oblomov.
- Ma che debbo fare, "b�tjushka", Il'j� Il'�tch? Giudicate voi stesso: la mia vita
� gi� cos� amara, io guardo gi� nella tomba...
- No, tu, a quanto pare, vuoi mandare me nella tomba col tuo sgombero, - disse
Oblomov. - Senti un po' quel che ha detto il dottore!
Zach�r non seppe rispondere, solo sospir� cos� profondamente che i capi del suo
fazzoletto da collo tremarono sul suo petto.
- Tu hai deciso di farmi morire, non � vero? - domand� di nuovo Oblomov. - Ti sono
venuto a noia, eh? Su, parla.
- Che Cristo vi assista! Vivete, vivete sano! Chi vi vuoi male? - brontol� Zach�r,
tutto turbato per la tragica piega che cominciava a prendere il discorso.
- Tu! - disse Il'j� Il'�tch. - Ti ho proibito di fare ancora parola dello sgombero
e tu, non passa giorno che me lo ricordi almeno cinque volte: questo mi rovina la
salute, capisci. Anche cos� la mia salute non vai pi� nulla.
- Io ho pensato, signore, che... perch�, ho pensato, non fare lo sgombero? - disse
Zach�r con la voce tremante per l'agitazione interna.
- Perch� non fare lo sgombero! Tu cos� facilmente giudichi la cosa! - disse
Oblomov, voltandosi con la poltrona dalla parte di Zach�r. - Hai tu ponderato bene
che cosa significa cambiar casa? Certo non ci hai pensato?
- Non ci ho pensato! - rispose Zach�r umilmente, pronto ad essere in tutto
d'accordo col padrone pur d'evitare le scene patetiche, che erano per lui peggiori
della peste bubbonica.
- E se non ci hai pensato, ascolta e giudica se possiamo o no cambiar casa. Cosa
vuoi dire sgomberare? Significa dire a me: esci per tutta la giornata e va' in giro
cos� vestito fin dalla mattina...
- E anche se fosse cos�? - not� Zach�r. - Perch� non allontanarsi tutto il giorno?
E' poco sano stare in casa. Che brutta cera avete adesso! Prima eravate fresco come
un cetriolo, e adesso, da che state sempre in casa, Dio sa cosa sembrate. Dovreste
andare a passeggiare, a guardare un po' la gente o qualcos'altro...
- Basta dir sciocchezze, stammi a sentire! - disse Oblomov. -Andare a passeggiare!
- S�, proprio, - continu� Zach�r con gran calore. - Dicono che � arrivato un
fenomeno straordinario: se andaste a vederlo! Potete andare anche a teatro o al
ballo mascherato, e noi qui senza di voi si sgombrerebbe.
- Non dir sciocchezze! Ti preoccupi proprio della tranquillit� del tuo padrone!
Secondo te, io debbo andarmene a gironzolare tutto il giorno; per te � indifferente
che cosa io mangio e dove e come, e se non posso riposare dopo pranzo? Fare lo
sgombero senza di me! Se non badi quando si sgombera, tutto va a pezzi. Lo so io, -
disse Oblomov con crescente convinzione, - che cosa vuoi dire uno sgombero! Vuoi
dire chiasso, rottura di oggetti, tutto per terra in un mucchio: e il baule, e la
spalliera del divano, e i quadri, e le pipe, e i libri, e certe bottiglie che sono
uscite chiss� di dove, che in altri momenti non si vedono mai! Bisogna stare
attenti che la roba non si perda, non si rompa... una met� qui, un'altra met� sul
carro o nel nuovo appartamento: vuoi fumare, prendi la pipa, e il tabacco � gi�
partito... Vuoi sederti, macch�! Qualunque cosa tocchi, ti sporchi; polvere
dappertutto; non hai con che lavarti, e bisogna andare in giro con le mani cos�,
come le hai tu...
- Io ho le mani pulite, - osserv� Zach�r, mostrando due mani che sembravano piante
di piedi.
- Non me le far vedere neppure! - disse Il'j� Il'�tch, voltandosi dall'altra parte.
- E se vuoi bere, - continu�, - ecco c'� la bottiglia e non ci sono i bicchieri...
- Si pu� bere dalla bottiglia! - aggiunse Zach�r bonariamente.
- Per voialtri tutto va cos�: si pu� anche non spazzare, non levare la polvere, non
battere i tappeti. E nel nuovo appartamento, - continu� Il'j� Il'�tch, trascinato
egli stesso dal quadro dello sgombero che gli si presentava cos� vivacemente, -
prima di tre giorni non ti raccapezzi, non c'� niente a posto: i quadri in terra,
appoggiati ai muri, le soprascarpe sul letto, le scarpe insieme al t� e alla
pomata. E non appena guardi, una gamba della poltrona � rotta, il vetro d'un quadro
a pezzi, il divano pieno di macchie. Qualunque cosa tu chieda, nessuno sa dove si
trovi, o s'� perduta o s'� dimenticata nel vecchio appartamento: corri l�...
- Qualche volta si corre anche dieci volte su e gi�! - interruppe Zach�r.
- Dunque, vedi! - continu� Oblomov. - E quando t'alzi la prima volta nel nuovo
appartamento, che fastidio! Non c'� acqua, non c'� carbone, e d'inverno bisogna
starsene al freddo, le camere sono gelate, non c'� legna; va', corri, datti da
fare...
- E qualche volta Dio sa che vicini ti capitano, - not� di nuovo Zach�r, - non ti
prestano nemmeno un fascetta di legna, n� una brocca d'acqua.
- E dunque? - disse Il'j� Il'�tch. - Lo sgombero � finito, siamo alla sera; pare
che le noie debbano finire anch'esse; macch�, continuano per almeno altre due
settimane. Ti pare che tutto sia a posto... no, guarda, c'� ancora qualcosa:
attaccare le tende, mettere a posto i quadri, sei finito, non hai pi� voglia di
vivere... E le spese, le spese...
- L'ultima volta, otto anni fa, � costato duecento rubli, mi ricordo bene, -
conferm� Zach�r.
- Ecco, vedi che roba! - disse Il'j� Il'�tch. - E da principio che vita stramba nel
nuovo appartamento! Credi che ci si abitui presto? Io per lo meno cinque notti non
dormir� nel nuovo posto: mi sentir� rodere dalla malinconia quando mi alzer� e
vedr� qualche altra cosa invece di quella insegna del tornitore l� di rimpetto, e
non vedr� quella vecchietta senza capelli che si affaccia prima di pranzo... Lo
vedi adesso a che punto hai portato il tuo padrone? eh! - domand� Il'j� Il'�tch con
tono di rimprovero.
- Lo vedo, - balbett� Zach�r umilmente.
- Perch� dunque mi hai proposto di cambiar casa? Possono le forze umane sopportar
tutto ci�?
- Io ho pensato che gli altri non sono peggiori di noi, e cambiano casa, cos� anche
noi possiamo... - disse Zach�r.
- Che? che? - esclam� sorpreso Il'j� Il'�tch, alzandosi dalla poltrona. - Che hai
detto?
Zach�r si confuse, non sapendo capire in che modo avesse dato motivo a quella
esclamazione e a quel gesto patetico del padrone. Tacque.
- Gli altri non sono peggiori! - ripet� con orrore Il'j� Il'�tch. - A questo punto
sei arrivato! Io adesso sapr� che per te sono come qualunque �altro�!
Oblomov si inchin� ironicamente a Zach�r e fece un viso offeso al massimo grado.
- Scusatemi, Il'j� Il'�tch, che forse io vi paragonavo con qualche altro?...
- Vattene via! - disse Oblomov imperativamente, mostrando con la mano la porta. -
Io non ti posso vedere. Ah, gli �altri�? Benissimo!
Zach�r si ritir� con un profondo sospiro.
- Che vita, che vita! - brontolava egli, sedendosi sulla stufa.
- Dio mio! - sospir� anche Oblomov. - Ecco, volevo dedicare la mattinata ad un
lavoro proficuo, e mi hanno guastata l'intera giornata! E chi? il mio stesso servo,
devoto, provato. E che cosa ha detto? Come ha potuto?
Oblomov non pot� calmarsi per un pezzette; si sdraiava, si alzava, camminava su e
gi� per la camera e si sdraiava di nuovo. Nel fatto che Zach�r lo aveva abbassato
al grado degli �altri�, egli vedeva una violazione dei suoi diritti all'esclusiva
preferenza che Zach�r doveva dare a lui di fronte a chiunque altro.
Si sprofond� nell'esame di questo paragone e si mise a pensare che cosa fossero
�gli altri� e che cosa lui stesso, fino a che punto fosse possibile e giusto questo
parallelo e quanto grave l'offesa recatagli da Zach�r; finalmente se Zach�r
l'avesse offeso coscientemente, convinto cio� che Il'j� Il'�tch e un �altro�
fossero la stessa cosa, o se quelle parole gli fossero sfuggite dalla lingua, senza
partecipazione della testa. Tutto questo aveva offeso l'amor proprio di Oblomov, ed
egli decise di mostrare a Zach�r la differenza tra lui e quelli che Zach�r
intendeva designare col nome di �altri�, e fargli sentire tutta la bassezza del suo
procedere.
- Zach�r! - grid� lentamente e solennemente. Zach�r, sentendo questa chiamata, non
salt�, come al solito, dalla stufa battendo i piedi, non brontol�, ma scivol� gi�
lentamente e si avvi�, toccando tutto con le mani e coi fianchi, piano piano, mal
volentieri, come un cane che dalla voce del padrone sente che la sua marachella �
stata scoperta e che lo si chiama a render conto.
Zach�r apr� a met� la porta, ma non si decise ad entrare.
- Entra! - disse Il'j� Il'�tch.
Sebbene la porta si aprisse liberamente, tuttavia Zach�r l'apr� di nuovo come se
non potesse passare, e rimase perci� in mezzo alla porta, senza entrare.
Oblomov era seduto sulla sponda del letto.
- Vieni qua! - disse egli insistente.
Zach�r si stacc� a fatica dalla porta, ma la chiuse subito dietro di s� e vi si
appoggi� con la schiena.
- Qua! - ripet� Il'j� Il'�tch, indicando col dito un posto vicino a lui.
Zach�r fece un mezzo passo e si ferm� a qualche metro dal punto indicato.
- Ancora! - disse Oblomov.
Zach�r finse di fare un passo, ma si dondol� solo in avanti, avanz� un piede e
rimase dov'era.
Il'j� Il'�tch, vedendo che per questa volta non gli riusciva in nessun modo di far
venire Zach�r pi� vicino, lo lasci� stare dov'era e lo guard� per qualche tempo in
silenzio con aria di rimprovero.
Zach�r, sentendo l'imbarazzo di questa contemplazione silenziosa della sua persona,
faceva finta di non notare il signore, stava pi� che mai di fianco e non gettava su
Il'j� Il'�tch neppure il suo solito sguardo di sbieco.
Guardava cocciutamente a sinistra, dall'altra parte : l� vide un oggetto che gli
era noto da un pezzo, la frangia delle ragnatele intorno ai quadri e, in un ragno,
un vivente rimprovero alla sua trascuratezza.
- Zach�r! - disse piano Il'j� Il'�tch con dignit�.
Zach�r non rispose; egli evidentemente pensava: �Ebbene, che vuoi? Un altro Zach�r,
forse? Io sono qua, mi vedi�, e volse il suo sguardo, davanti al signore, da
sinistra a destra; e l� anche lo specchio, coperto da un velo di polvere, gli
ricord� qualcosa: attraverso questo velo di polvere lo guardava di sottecchi, come
attraverso la nebbia, il suo stesso volto, brutto e imbronciato.
Egli allontan�, scontento, lo sguardo da questo malinconico oggetto a lui anche
troppo noto, e decise di fermarlo un minuto su Il'j� Il'�tch. I loro sguardi si
incontrarono.
Zach�r non sopport� il rimprovero scritto negli occhi del signore e abbass� i
propri occhi a terra, sotto i piedi: l�, di nuovo, sul tappeto coperto di polvere e
di macchie lesse una triste testimonianza del suo zelo nel servizio.
- Zach�r! - ripet� con sentimento Il'j� Il'�tch.
- Che comandate? - bisbigli� Zach�r in modo appena percettibile ed ebbe un brivido
in previsione del discorso patetico.
- Dammi del "kvas"! - disse Il'j� Il'�tch. Zach�r si sent� il cuore pi� leggero: si
precipit� pieno di gioia, come un ragazzine, alla credenza e port� il "kvas".
- Ebbene, come ti senti? - domand� mitemente Il'j� Il'�tch, dopo aver bevuto,
continuando a tenere il bicchiere in mano. - Non bene, eh?
L'espressione smarrita del volto di Zach�r si raddolc� immediatamente in un raggio
di pentimento che brill� nei suoi lineamenti. Zach�r sent� i primi segni del
sentimento di reverenza per il signore che si era risvegliato nel suo petto e
insinuato nel suo cuore, e si mise a guardare Oblomov fisso negli occhi.
- Senti tu il tuo fallo? - domand� Il'j� Il'�tch.
�Che cosa � mai un "fallo"? - pens� Zach�r con amarezza, - certo qualche cosa di
triste; bisogna piangere senza volere, quando egli comincia a rimproverare in
questo modo�.
- E' che, Il'j� Il'�tch, - cominci� Zach�r con la pi� bassa nota del suo diapason,
- io non ho detto null'altro che, se...
- No, aspetta! - lo interruppe Oblomov. - Capisci o non capisci quello che hai
fatto? Prendi, metti il bicchiere sulla tavola e rispondi!
Zach�r non rispose nulla: decisamente non capiva che cosa avesse fatto, ma questo
non gli impediva di guardare il signore con timore e rispetto; abbass� perfino un
po' la testa, nella coscienza della propria colpa.
- Non sei dunque un uomo velenoso? - disse Oblomov. Zach�r continu� a tacere, solo
batt� tre volte le ciglia con forza.
- Tu hai addolorato il tuo padrone! - disse Il'j� Il'�tch lentamente e guard� fisso
Zach�r, godendo della sua confusione.
Zach�r non sapeva dove nascondersi per l'angoscia.
- Mi hai dunque addolorato? - domand� Il'j� Il'�tch.
- Vi ho addolorato! - sussurr� Zach�r ormai del tutto smarrito per questa nuova
parola "spiacevole".
Egli gett� degli sguardi a destra, a sinistra, davanti a s�, cercando salvezza in
qualche cosa, e di nuovo passarono davanti a lui la ragnatela, la polvere, il
riflesso del suo viso nello specchio ed il viso del padrone.
�Se potessi sprofondarmi sotto terra! Perch� non viene la morte?� pens�, vedendo
che non c'era possibilit� di sfuggire in nessun modo alla scena patetica.
Egli sentiva che le sue ciglia battevano sempre pi� spesso e che stavano per
sgorgargli le lacrime.
Finalmente rispose al padrone con la solita canzone, ma in prosa.
- In che cosa vi ho addolorato, Il'j� Il'�tch? - disse quasi piangendo.
- In che cosa? - ripet� Oblomov. - Hai tu pensato che cosa � �un altro�?
Egli si ferm�, continuando a guardare Zach�r.
- Debbo io dirti che cos'�?
Zach�r si rigir�, come un orso nella sua tana, e sospir� in modo che ne rison� la
stanza.
- �Un altro�, quello che tu intendi, � un miserabile, un uomo rozzo, non educato,
che vive nella sporcizia, poveramente, in soffitta: � capace anche di dormire su
degli stracci nel cortile. Che cosa pu� succedere a un uomo simile? Niente. Egli
crepa a furia di mangiar patate e aringhe. Il bisogno lo scaraventa da un angolo
all'altro ed egli corre di qua e di l� tutto il giorno. Si capisce che egli pu�
anche cambiar casa. Per esempio, Ljagaev prende il suo bastoncino sotto il braccio,
mette un paio di camicie in un fazzoletto da naso, e va... �Dove vai?� - �Cambio
casa�, dice. Ecco che cosa � �un altro�! E io, secondo te, sono �un altro�, eh?
Zach�r lanci� un'occhiata al signore, cambi� di posizione le gambe e tacque.
- Che cosa � �un altro�? - continu� Oblomov. - �Un altro� � un uomo che si pulisce
da s� le scarpe, che si veste da s�, anche se qualche volta pare un signore; ma non
lo �, e non sa neppure che cosa sia un servitore; non ha chi mandare in giro, corre
lui stesso quando ha bisogno di qualche cosa; ed egli stesso smuove la legna nella
stufa, qualche volta leva anche la polvere.
- Tra i tedeschi ce ne sono molti cos�, - disse Zach�r cupo.
- Ecco, vedi! Ed io? Che ti pare, io sono �un altro�?
- Voi siete tutt'altro! - disse lamentosamente Zach�r, senza capire ancora che
volesse dire il signore. - Dio sa che cosa voi...
- Io sono tutt'altro, eh? Aspetta, guarda un po' quello che dici! Pensa un po' come
vive l'�altro�. L'�altro� lavora senza riposo, corre, si da da fare, - continu�
Oblomov, - e, se non lavora, non mangia. L'�altro� si inchina, l'�altro� prega, si
abbassa... Ed io? Avanti, su, decidi: cosa ne pensi? sono �un altro�, io?
- Basta, basta, "b�tjushka", di tormentarmi con parole spiacevoli! - scongiur�
Zach�r. - Ah, Signore!
- Io �un altro�! Che vado forse in giro io, che forse lavoro io? Mangio poco,
forse? Sono magro, ho l'aria patita? Che mi manca qualche cosa, forse? Se non mi
sbaglio, ho qualcuno che mi serve, che fa per me! Io non mi sono mai infilate le
calze da me da che vivo, grazie a Dio! Debbo io inquietarmi? E perch�? E a chi dico
questo? Non hai forse avuto cura di me sin dall'infanzia? Tu sai tutto questo, hai
visto che sono stato allevato negli agi, che non ho mai sofferto n� freddo, n�
fame, che non conosco il bisogno, non ho avuto necessit� di guadagnarmi il pane e
non ho mai dovuto fare lavori grossi. Come dunque hai potuto aver l'animo di
paragonarmi agli altri? Che forse ho io la salute che hanno questi �altri�? Che
forse posso io fare e sopportare tutto questo?
Zach�r aveva ormai definitivamente perduto ogni capacit� di capire il discorso di
Oblomov; ma le labbra gli si erano gonfiate per l'agitazione interna; la scena
patetica rumoreggiava, come una nuvola, sulla sua testa. Egli taceva.
- Zach�r! - ripet� Il'j� Il'�tch.
- Che comandate? - bisbigli� in modo appena percettibile Zach�r.
- Dammi ancora del "kvas".
Zach�r port� il "kvas", e quando Il'j� Il'�tch, dopo aver bevuto gli diede il
bicchiere, egli cerc� di svignarsela.
- No, no, aspetta! - disse Oblomov. - Io ti domando: come hai potuto cos�
crudelmente offendere il signore che hai portato bambino nelle braccia, che hai
servito per tutta la vita e che � il tuo benefattore?
Zach�r non resse pi�: la parola �benefattore� lo annient�. Egli cominci� a battere
le ciglia sempre pi� spesso. Quanto meno capiva quel che gli diceva nel suo
patetico discorso Il'j� Il'�tch, tanto pi� si sentiva triste.
- Sono colpevole, Il'j� Il'�tch, - cominci� a dire roco, pentito, - � per
stupidaggine, davvero, per stupidaggine che io...
E Zach�r, non comprendendo quel che aveva fatto, non sapeva quale verbo adoperare
per finire la sua frase.
- Ed io, - continuava Oblomov con la voce dell'uomo offeso e non apprezzato al suo
giusto valore, - ancora mi preoccupo giorno e notte, mi affatico al punto che la
testa mi brucia, il cuore mi vien meno, e non dormo la notte, e mi giro e mi
rigiro, sempre a pensare come meglio... e perch�? Per chi? Per voi, per voi
contadini, e quindi anche per te. Tu forse pensi, vedendo come qualche volta io mi
nascondo del tutto sotto la coperta con la testa, che io sto l� come un ceppo e
dormo; no, io non dormo, io penso, penso sempre a una cosa sola, come fare perch� i
contadini non siano in miseria, perch� non invidino gli altri, perch� non si
lamentino di me davanti al terribile tribunale di Dio, ma preghino per me e serbino
un buon ricordo. Ingrati! - concluse Oblomov con amaro rimprovero.
Zach�r fu commosso definitivamente dalle ultime "spiacevoli" parole. Cominci� a
poco a poco a singhiozzare; i suoni rauchi e stridenti si confusero questa volta in
una nota impossibile per qualsiasi strumento, salvo forse solo per un "gong" cinese
o per un tam-tam indiano.
- "B�tjushka", Il'j� Il'�tch, - implor� egli. - Basta! Che cosa dite, Signore
Iddio! Ah, Madre Santa Misericordiosa! Quale sventura ci ha a un tratto,
inaspettatamente colpiti...
- E tu, - continuava, senza ascoltare, Oblomov, - tu dovresti vergognarti di dire
una cosa simile! Ecco, che serpente mi sono riscaldato in petto!
- Serpente! - esclam� Zach�r, battendo le mani, e diede in un pianto tale, come se
una ventina di scarabei fossero entrati nella stanza e volassero intorno ronzando.
- Quando mai ho parlato di un serpente? - disse egli fra i singhiozzi. - Io non
l'ho mai vista nemmeno in sogno, una cosa cos� orribile!
Ognuno di loro aveva ormai cessato di capir l'altro e, infine, anche di capire se
stesso.
- Vorrei sapere perch� la tua lingua si rigira cos�, - continu� Il'j� Il'�tch. - Ed
io che nel mio piano gli destinavo una casa a s�, un orto, del grano per il pane,
gli fissavo un salario! Tu saresti dovuto essere il mio amministratore, il mio
maggiordomo, la mia persona di fiducia. I contadini si sarebbero inchinati davanti
a te: Zach�r Trof�movitch, s�, Zach�r Trof�movitch! E lui sempre malcontento, mi
mette in fascio con �gli altri�! Ecco la gratitudine! Onora molto bene il suo
padrone!
Zach�r continuava a singhiozzare; Il'j� Il'�tch era anch'egli commosso. Esortando
Zach�r, si sentiva egli stesso tutto penetrato della coscienza dei benefici che
aveva fatti ai contadini, e pronunzi� gli ultimi rimproveri con voce tremante, con
le lacrime negli occhi.
- E adesso va' con Dio! - disse in tono conciliante a Zach�r. - No, aspetta, dammi
ancora del "kvas"! Ho la gola secca: avresti dovuto tu stesso indovinarlo; non lo
senti che il padrone ha la voce rauca? A questo punto mi hai portato! Spero che tu
abbia compreso il tuo fallo, - riprese Il'j� Il'�tch, quando Zach�r port� il
"kvas", - e d'ora in poi non paragonerai il tuo padrone a �gli altri�. Per scontare
la tua colpa, cerca di aggiustar le cose col padrone in modo ch'io non debba
sgomberare. Ecco come tu vegli sulla tranquillit� del tuo padrone: tu mi hai
sconvolto del tutto e mi hai fatto perdere un'idea nuova ed utile. Ma a chi l'hai
fatta perdere? A te stesso; io mi sono dedicato tutto a voi, per voi ho lasciato
l'ufficio, vivo appartato... Bene, va' con Dio! Ecco, sono le tre! Mancano solo due
ore al pranzo, che cosa si pu� fare in due ore? Niente. E c'� un mucchio di cose da
fare. Giacch� � cos�, la lettera la spedir� con la posta seguente e il piano lo
butter� gi� domani. Adesso mi sdraio un pochino: sono sfinito; cala gi� le tende e
chiudi bene le porte, che nessuno venga a disturbarmi; forse dormo un'eretta;
svegliami alle quattro e mezzo.
Zach�r cominci� a tappare il signore nello studio; prima di tutto lo copr�,
rincalzando ben bene la coperta, poi abbass� le tende, chiuse ermeticamente le
porte e se ne and�.
�Che il diavolo mi porti! Stupido che non sono altro! - brontol� egli, asciugandosi
le lacrime e arrampicandosi sulla stufa. - S�, stupido! Una casa per me, un orto,
un salario! - disse ancora Zach�r, avendo capito solo le ultime parole del lungo
discorso. - E' bravo lui nel dire parole spiacevoli: come se ti piantasse un
coltello nel cuore... Qui � la mia casa e il mio orto, qui posso stendere le gambe!
- aggiunse ancora, battendo con rabbia sul suo lettino. - Un salario! Se io non
raccogliessi le monetine disperse, non mi potrei comprare neppure il tabacco e non
potrei offrir niente alla comare! Che mi prenda un accidente! Perch� non viene la
morte?�
Il'j� Il'�tch s'era sdraiato sulla schiena, ma non si addorment� subito. Pensava,
si agitava...
�Due guai insieme! - disse fra s� ficcando la testa sotto la coperta. - Come si fa
a resistere!�
Ma in verit� questi due "guai", cio� la malaugurata lettera dello st�rosta e lo
sgombero, avevano cessato di agitare Oblomov ed erano gi� passati nella serie dei
ricordi sgraditi.
�Il male minacciato dallo "st�rosta" � ancora lontano, - pens�, - fino ad allora
possono cambiare tante cose: la pioggia potrebbe migliorare il raccolto, e forse lo
"st�rosta" pu� completare il pagamento degli arretrati, e i contadini fuggitivi "
li ricondurranno al luogo di residenza ", come egli scrive�.
�Ma dove sono scappati quei contadini? - si mise a pensare e si sprofond� ancora di
pi� nell'esame artistico di questa circostanza. - Essi sono scappati certo di
notte, con l'umidit�, senza pane. Dove avranno dormito? Forse nel bosco. Ma l� non
si pu� mica restare. Nella capanna c'� tanfo, ma ci fa almeno caldo...�
�E perch� inquietarsi? - pens�. - Il piano sar� presto portato a termine. Perch�
spaventarsi in precedenza? Ah, io...�
Il pensiero dello sgombero lo agitava un po' di pi�. Era il "guaio" pi� fresco, pi�
recente; ma nello spirito facile a tranquillizzarsi di Oblomov anche di questo
fatto si era gi� impadronita la storia. Sebbene egli oscuramente presentisse
l'inevitabilit� dello sgombero, tanto pi� che ci s'era messo di mezzo Tarant'ev,
tuttavia col pensiero egli allontan� questo emozionante avvenimento della sua vita,
sia pure soltanto per una settimana, ed ecco guadagnata tutta una settimana di
tranquillit�.
�Ma, "forse", Zach�r si sarebbe dato da fare per ottenere di non sgomberare
affatto, e "chiss�", se ne sarebbe forse potuto fare a meno! La trasformazione
dell'appartamento poteva essere rimandata all'estate ventura, o sospesa per sempre:
be', in qualche modo faranno! Non � mica possibile... sgomberare!�
Cos� egli alternativamente si agitava e si calmava, e, alla fine, in queste parole
tranquillizzanti e conciliative: "forse, chiss�, in qualche modo", Oblomov trov�
anche questa volta, come trovava sempre, tutta un'arca di speranze e di
consolazioni, come nell'arca dell'alleanza dei nostri padri, e per il momento
riusc� a farsene un riparo contro i due guai.
Gi� un leggero, piacevole torpore scorreva per le sue membra e cominciava a velare
leggerissimamente di sonno i suoi sentimenti, come il primo timido gelo vela la
superficie delle acque; ancora un minuto - e la coscienza se ne sarebbe volata Dio
sa dove, ma Il'j� Il'�tch a un tratto si svegli� e apr� gli occhi.
�Ah, io non mi sono ancora lavato! Come mai! Gi�, e non ho fatto nulla, -
bisbigli�. - Volevo stendere il piano sulla carta e non l'ho steso, al delegato non
ho scritto, al governatore neppure, al padron di casa ho cominciato a scrivere una
lettera e non l'ho finita, i conti non li ho verificati, il denaro non l'ho dato:
cos� se n'� andata tutta la mattinata!�
Si fece pensieroso...
�Che cosa � questo? E l'"altro" avrebbe fatto tutto ci�? - gli balen� a un tratto
nella testa. - L'altro, l'altro... Ma che cosa � dunque l'"altro"?�
Si sprofond� nel paragone di se stesso con gli �altri�. Pens�, pens�: e adesso gli
si form� una immagine dell'�altro� del tutto opposta a quella che egli aveva data a
Zach�r.
Egli dovette confessare a se stesso che l'altro avrebbe scritto tutte le lettere,
in modo che i "nel quale" e i "che" non si sarebbero urtati tra loro, l'altro
avrebbe fatto lo sgombero, e avrebbe scritto il piano e sarebbe andato in
campagna...
�Anch'io potrei far tutto questo... - gli venne a un tratto in mente, - anch'io, a
quanto pare, so scrivere; ho scritto un tempo anche qualcosa di pi� difficile che
delle lettere! Dov'� andata a finire tutta la mia scienza? E cambiar casa che roba
� poi? Tutto sta nel volere! L'"altro" non indossa mai la veste da camera, -
aggiunse alle note caratteristiche dell'"altro", - l'"altro"... - e qui sbadigli�,
- non dorme quasi... l"altro" si gode la vita, va dappertutto, vede tutto, si
interessa di tutto. E io! io... non sono l'"altro"!� aggiunse ormai con tristezza e
si fece ancora pi� meditabondo. Cacci� perfino la testa fuori della coperta.
Sopravvenne uno dei pi� chiari e coscienti minuti della vita di Oblomov.
Quale terrore lo prese quando improvvisamente sorse nella sua anima la viva e
chiara rappresentazione del destino e della missione dell'uomo, e quando gli balen�
il parallelo tra questa missione e la sua vita, quando nella sua testa, uno dopo
l'altro e disordinatamente, timorosamente si agitarono, come uccelletti svegliati
da un improvviso raggio di sole in una rovina sonnolenta, i diversi problemi della
vita!
Si sent� triste e addolorato per la deficienza e l'arresto di sviluppo delle sue
forze morali, per la pesantezza che gl'impediva qualunque cosa; e lo rose l'invidia
per gli altri che vivevano cos� pienamente e largamente, mentre sullo stretto,
miserevole sentiero della sua esisteva sembrava che fosse stata gettata una pesante
pietra.
Nella sua timida anima sorse la tormentosa coscienza che molti lati della sua
natura non erano stati svegliati, che altri erano stati appena toccati e nessuno
era stato sviluppato sino alla fine,
E intanto egli sentiva dolorosamente che in lui era sepolto, come in una tomba, un
principio buono e luminoso, che forse adesso era gi� morto o chiuso come l'oro nel
grembo della montagna, mentre sarebbe stato da un pezzo tempo di far di quest'oro
una moneta.
Ma questo tesoro era coperto da un profondo e pesante strato di scorie e
d'immondizie. Come se qualcuno avesse rubato e sotterrato nella sua anima i tesori
portatigli in dono dal mondo e dalla vita. Qualche cosa gli impediva di gettarsi
nell'arena della vita e volare in essa con tutte le vele dell'intelletto e della
volont�. Un nemico segreto aveva messo su di lui la sua mano pesante al principio
del cammino e l'aveva gettato lontano dalla diritta missione dell'uomo...
E gli pare di non potersi pi� togliere dalla boscaglia selvaggia per tornare sul
diritto sentiero. La foresta intorno a lui e nella sua anima si fa sempre pi� fitta
ed oscura; il sentiero si inselvatichisce sempre pi�; la coscienza si rischiara
sempre pi� raramente e solo per un attimo risveglia le forze dormenti. L'intelletto
e la volont� sono paralizzati da un pezzo, e a quanto pare, senza scampo.
Gli avvenimenti della sua vita si sono rimpiccioliti fino a diventar microscopici,
ma egli non � all'altezza neppure di questi: egli non passa da un avvenimento a un
altro, ma � sballottato da loro come da un'onda all'altra; egli non ha la forza di
opporvisi con l'elasticit� della volont�, n� di farsene trascinare
intelligentemente.
Questa confessione segreta fatta a se stesso lo amareggi� profondamente.
L'infruttuoso rimpianto del passato, i roventi morsi della coscienza lo ferivano
come aghi, ed egli con tutte le sue forze cercava di gettar via da s� il fardello
di questi rimproveri, di trovare un colpevole fuori di s� e di rivolgere contro di
lui il loro strale. Ma chi?...
�Il colpevole di tutto �... Zach�r!� bisbigli�. Si ricord� i particolari della
scena con Zach�r e divent� tutto rosso per la vergogna.
�Se qualcuno avesse sentito?... - pens� rabbrividendo a questo pensiero. - Meno
male che Zach�r non saprebbe raccontarlo a nessuno, e poi non gli crederebbero,
grazie a Dio!�
Sospir�, maled� se stesso, si rigir� da una parte e dall'altra, cerc� il colpevole
e non lo trov�. I suoi sospiri arrivavano perfino all'orecchio di Zach�r.
- Ecco il "kvas" che fa il suo effetto! - brontol� Zach�r stizzito.
�Ma perch� sono cos�? - si domand� Oblomov quasi piangendo e rificc� la testa sotto
la coperta. - Perch�?�
Cercato invano il principio avverso che gli impediva di vivere come si deve, come
vivono �gli altri�, egli sospir�, chiuse gli occhi, e dopo qualche minuto
l'assopimento ricominci� a incatenare a poco a poco tutti i suoi sentimenti.
�Anch'io... vorrei... - disse egli, battendo le ciglia a fatica, - qualche cosa di
simile... La natura mi ha forse cos� maltrattato... Ma no, grazie a Dio, non c'� da
lamentarsi...�
Segu� un sospiro conciliativo. Ed egli pass� dall'agitazione al suo stato normale,
la tranquillit� e l'apatia.
�Che sia questo il mio destino? Che cosa debbo fare?...� bisbigli� fra s�, gi�
vinto dal sonno.
�Duemila rubli di meno di entrate... - disse a un tratto ad alta voce nel sonno. -
Subito, subito, aspetta...� e si svegli� a met�.
�Tuttavia, sarei curioso di sapere... Perch� io... sono cos�?... - disse egli di
nuovo sussurrando. Le sue ciglia si chiusero del tutto. - S�, perch�?...
Probabilmente... presto... perch�...� si sforz� di dire, ma non pronunzi� pi� la
parola.
Egli non scopr� dunque la causa; la lingua si ferm� sulla mezza parola e le labbra
rimasero, come erano, semiaperte. Invece di una parola, si sent� ancora un sospiro
e subito dopo cominci� a diffondersi il ronfare uguale di un uomo che dorme
tranquillamente.
Il sonno ferm� il corso lento e pigro dei suoi pensieri e in un momento lo
trasport� in un'altra epoca, fra altra gente, in un altro luogo, dove ci
trasporteremo anche noi, andandogli dietro col lettore, nel capitolo seguente.

9. IL SOGNO DI OBLOMOV.

Dove siamo? In quale benedetto angolo della terra ci ha portati il sogno di


Oblomov? Quale paese meraviglioso!
Non c'�, � vero, il mare qui, non ci sono alte montagne, rocce ed abissi, n�
foreste vergini: niente di grandioso, di selvaggio e di cupo.
E a che scopo il selvaggio e il grandioso? Il mare, per esempio? A che? Esso
produce soltanto tristezza nell'uomo: guardando il mare, vien voglia di piangere.
Il cuore � preso da angoscia davanti allo sterminato lenzuolo di acque, e lo
sguardo non ha un punto dove riposare, stancato dall'uniformit� del quadro
infinito.
Il mugghio e il rombo furibondo delle onde non accarezzano il nostro debole
orecchio: essi ripetono sempre, dal principio del mondo, la stessa canzone, dal
contenuto cupo e inesplicabile; e sempre si ode lo stesso sospiro, sempre gli
stessi lamenti come di un mostro condannato al supplizio, e le stesse voci
penetranti e sinistre. Gli uccelli non cinguettano intorno. Solo i muti gabbiani,
come dei condannati, volano tristemente lungo la riva e roteano sull'acqua.
L'urlo delle belve � impotente di fronte a questi lamenti della natura, e nulla �
anche la voce dell'uomo, e l'uomo stesso � cos� piccolo, cos� debole e scompare
come impercettibile nei minuti particolari dell'immenso quadro! Forse per questo
gli pesa tanto di guardare il mare.
No, lasciamolo stare il mare! Neppure il suo silenzio e la sua immobilit� generano
un sentimento consolatore nell'anima: nel tremol�o appena percettibile della massa
acquea l'uomo vede sempre, sebbene dormente, la stessa forza immensurabile che poco
prima cos� perfidamente si � fatta scherno della sua superba volont� ed ha cos�
profondamente sepolto i suoi arditi propositi, le sue fatiche e il suo lavoro.
Neppure i monti e gli abissi sono creati per dare allegrezza all'uomo. Essi sono
minacciosi, terribili come gli artigli e i denti della fiera selvaggia cacciati
fuori e diretti contro di lui; essi ci ricordano troppo vivamente la nostra fragile
natura e ci tengono in terrore ed angoscia per la nostra vita. E il cielo l�, sulle
rocce e gli abissi, sembra cos� lontano e irraggiungibile, come se avesse rinnegato
gli uomini.
Non era di questo genere il cantuccio in cui si trov� a un tratto il nostro eroe.
Il cielo, al contrario, pare che l� si stringa ancora pi� alla terra, e non per
gettare con pi� forza i suoi strali, ma solo per abbracciarla pi� forte, con amore:
esso si stende cos� basso sulla testa come il sicuro tetto paterno per proteggere
da ogni intemperie il cantuccio prescelto.
Il sole risplende l� vivo e caldo per quasi met� dell'anno e poi scompare
lentamente, come malvolentieri, come volgendosi ancora due, tre volte indietro a
riguardare il luogo amato e a regalargli in autunno, in mezzo al cattivo tempo, un
giorno chiaro e tiepido.
I monti sono l� soltanto come i modelli di quelle montagne terribili, che sorgono
chiss� dove e che spaventano la fantasia. E' una fila di colline in pend�o, dalle
quali � piacevole lasciarsi andar gi�, sdraiati sulla schiena, o, seduti, guardare,
pensando, il sole che tramonta.
Il fiume scorre allegramente, scherzando e giocando: ora si allarga in un ampio
stagno, ora corre avanti rapidamente o rallenta il suo corso, come soprappensiero,
e striscia appena appena sulle pietre, generando dalle due parti vivaci
ruscelletti, al cui bisbiglio � dolce sonnecchiare.
Tutto il cantuccio per quindici, venti verste intorno presenta una serie di
pittoreschi quadri, di allegri, ridenti paesaggi. Le rive sabbiose e ripide del
chiaro fiumicello, i piccoli cespugli che vanno dal poggio verso la riva, il
burrone sinuoso col ruscelletto in fondo e il boschetto di betulle: tutto sembra
riunito l� a bella posta e dipinto da una mano maestra.
Il cuore stanco di tempeste o ignaro di esse anela a nascondersi in questo
cantuccio obliato da tutti e a vivere una felicit� ignota altrui. Tutto promette l�
una vita tranquilla, lunga, fino a che i capelli si faranno grigi, e una morte
inavvertita, simile al sonno.
Il corso dell'anno si compie l� regolare e imperturbabile.
Secondo l'indicazione del calendario, in marzo comincia la primavera, i ruscelletti
fangosi corrono gi� dalle colline, la terra si sgela e fuma di un tiepido vapore;
il contadino getta via la sua pelliccia, esce in manica di camicia all'aria aperta
e, riparando gli occhi con la mano, ammira a lungo il sole, scrollando le spalle
con piacere; poi tira su il carro rovesciato ora da un lato, ora dall'altro del
timone, oppure osserva e colpisce col piede l'aratro inerte sotto la tettoia, e si
prepara ai consueti lavori.
Non ritornano in primavera le improvvise bufere di neve, che sommergono i campi e
stroncano i rami sotto il peso della neve.
L'inverno, come una bella fredda e inaccessibile, conserva il suo carattere fino
alla venuta regolare del caldo; non irrita con disgeli inaspettati e non opprime
con geli mai sentiti; tutto segue il suo ordine consueto, prescritto dalla natura.
In novembre comincia la neve e il gelo, che verso l'Epifania s'inasprisce in modo
tale che il contadino, uscito un minuto di casa, vi ritorna con la barba gelata; ma
in febbraio un naso fine sente gi� nell'aria il dolce soffio della vicina
primavera.
L'estate, l'estate specialmente � inebbriante in questa regione. L� bisogna cercare
l'aria fresca e secca, colma non del profumo dei limoni e dei lauri, ma
semplicemente del profumo dell'assenzio, dei pini e degli amaraschi; l� bisogna
cercare le giornate chiare, i raggi del sole, qualche volta caldi, ma non mai
ardenti e il cielo per quasi tre mesi limpido, senza nuvole. Quando cominciano le
giornate serene, esse durano tre, quattro settimane; e le sere son tiepide e le
notti afose. Le stelle in cielo brillano cos� cordialmente, cos� amichevolmente.
E quando piove, che benefica pioggia d'estate! Scroscia abbondante e rapida,
saltella allegra, come le grosse e calde lacrime di chi improvvisamente � felice; e
non appena cessa, il sole gi� di nuovo guarda in giro con un chiaro sorriso d'amore
e asciuga campi e colline; e tutto il paese di nuovo risponde al sole con un
sorriso di felicit�.
Gioiosamente il contadino saluta la pioggia: - La pioggerella bagna e il sole
asciuga! - dice, offrendo con godimento alle calde gocce il viso, le spalle e la
schiena.
I temporali l� non sono terribili, ma solo benefici: arrivano sempre a tempo
debito, non dimenticando quasi mai il giorno di sant'Elia, come per confermare la
nota tradizione nel popolo. E anche il numero e la forza dei tuoni sembrano ogni
anno i medesimi, come se l'erario abbia assegnata ogni anno una data quantit� di
elettricit� a tutto il paese. L� non si sente parlare n� di temporali terribili, n�
di devastazioni. Non si � mai letto nulla di simile nei giornali per quanto
riguarda questo cantuccio benedetto da Dio. E non si sarebbe stampata mai una
parola su questo paese se la contadina vedova Marina Kul'k�va di ventotto anni non
avesse partorito quattro bambini in una volta, cosa che non era possibile passare
sotto silenzio.
Dio non ha punito mai questo paese n� con le piaghe d'Egitto, n� con altro
flagello. Nessuno degli abitanti si ricorda di aver mai visto nessun terribile
segno celeste, n� palle di fuoco, n� improvvise tenebre; non esistono nel paese
serpenti velenosi; n� mai ci sono state invasioni di cavallette; non ci sono n�
leoni, n� tigri ruggenti, e neppure orsi e lupi, perch� non ci sono foreste. Pei
campi e per i villaggi vagano soltanto numerose vacche ruminanti, pecore belanti e
galline che chiocciano.
Dio sa se un poeta o un sognatore si sarebbero rallegrati della natura del pacifico
cantuccio! Questi signori, come � noto, amano contemplare la luna e ascoltare il
trillo dell'usignolo. Essi amano la luna civettuola, quella che si adorna di
vaporose nubi e filtra misteriosamente attraverso i rami degli alberi, o versa
fasci di raggi d'argento negli occhi dei suoi adoratori.
Ma in questo paese nessuno neppure sapeva che cosa fosse questa luna: per loro,
dire �luna� era dire �mese� (Si adombra cos� un gioco di parole, che nel testo �
fondato sulla contrapposizione dei due termini che in russo significano �luna�:
"lun�", d'origine dotta, e "mesjac", che inoltre � adoperato da tutti per dire
�mese�). Essa guardava bonariamente con gli occhi spalancati i campi e i villaggi
ed era molto simile ad un bacile di rame ben lucido.
Invano un poeta l'avrebbe guardata con occhi entusiastici: la luna avrebbe guardato
bonariamente anche il poeta, come una bella di campagna dal viso tondo risponde con
lo sguardo agli sguardi appassionati ed eloquenti di un corteggiatore cittadino.
Neanche gli usignoli si sentivano in questo paese, forse perch� non c'erano ombrosi
rifugi n� rose; ma in compenso che abbondanza di quaglie! D'estate, al tempo del
raccolto, i ragazzini le acchiappavano con le mani.
Non si creda per� che la quaglia fosse l� oggetto di piacere gastronomico: no, una
tale corruzione di costumi non era ancora penetrata tra gli abitanti di questa
regione: la quaglia non � un uccello destinato ad essere mangiato. Essa rallegrava
l� col suo canto l'udito della gente; perci� quasi in ogni casa sotto il tetto
pendeva una gabbia di fil di ferro con una quaglia.
Il poeta e il sognatore non sarebbero stati contenti neppure dell'aspetto generale
di questa localit� modesta e semplice. Non sarebbe loro riuscito di veder l� delle
sere secondo il gusto svizzero o scozzese, quando tutta la natura - e il bosco e
l'acqua e le pareti delle capanne e le colline sabbiose - tutto arde come di un
bagliore purpureo; quando su questo sfondo purpureo spicca, lungo la sabbiosa via
serpeggiante, una cavalcata di uomini, accompagnanti una lady nella sua passeggiata
ad una cupa rovina ed affrettantisi al forte castello, dove li aspetta un episodio
della guerra delle Due Rose, raccontato dall'avo, un camoscio per cena ed una
ballata cantata da una giovane miss, con accompagnamento di liuto: quadri di cui la
penna di Walter Scott ha cos� riccamente popolato la nostra fantasia.
No, nel nostro paese non c'era nulla di simile.
Come tutto era tranquillo e sonnolento nei tre o quattro villaggi che formavano
questo cantuccio! Essi si trovavano non lontani uno dall'altro e sembravano buttati
l� a caso dalla mano di un gigante, e, come erano stati sparsi, cos� erano rimasti
da allora.
Una delle casette caduta sull'orlo di un burrone � ancora l� appesa da tempo
immemorabile, met� per aria e appoggiata a tre lunghi pali. Tre, quattro
generazioni vi hanno vissuto tranquille e felici. Pare che una gallina dovrebbe
aver paura ad entrarvi e intanto ci vive con la moglie Onisim Susl�v, un uomo ben
piantato, che non pu� drizzarsi in tutta la sua statura nella sua abitazione.
Non a tutti � concesso di entrare nella casetta di Onisim: solo se il visitatore lo
prega di "volgersi col didietro atta foresta e a lui col davanti". Gli scalini
dell'ingresso sono proprio sull'abisso e, per arrivare ad essi col piede, �
necessario attaccarsi con una mano all'erba e coll'altra al tetto della capanna e
poi salire direttamente sugli scalini. Un'altra casetta � attaccata alla collina
come un nido di rondini; l� tre case sono capitate per caso accanto e altre due
stanno proprio in fondo al burrone.
Nel villaggio tutto � tranquillo e dorme: le casette silenziose hanno le porte
spalancate; non si vede anima viva; solo le mosche volano a nuvole e ronzano
nell'afa.
Si entra in una casa, � del tutto inutile chiamare ad alta voce; un silenzio di
morte sar� la risposta: solo in qualche casa risoner� il sospiro di un malato, o il
sordo colpo di tosse di una vecchietta che aspetta la fine della sua vita sulla
stufa, o apparir� di dietro ad un tramezzo un ragazzine di tre anni, scalzo, coi
capelli lunghi, con la sola camicia addosso, che guarder� fisso in silenzio il
visitatore e timidamente si nasconder� di nuovo.
La stessa calma e pace profonda � anche sui campi; soltanto qua e l�, come una
formica, si affaccenda sulla nera terra un aratore bruciato dal sole, guidando
l'aratro e coprendosi di sudore.
Un silenzio e una calma imperturbabile regnavano anche nei costumi della gente di
questa regione. Non v'erano infatti avvenuti mai n� rapine, n� assassini, n� altri
casi terribili; n� forti passioni, n� ardite imprese l'avevano mai agitata.
E quali passioni e quali imprese avrebbero potuto agitarla? Ognuno li conosceva se
stesso. Gli abitanti di questa regione vivevano molto lontano dagli altri uomini. I
villaggi pi� vicini e il capoluogo di circondario erano almeno a venticinque,
trenta verste. I contadini a un dato momento portavano il grano al vicino porto
sulla Volga, che era la loro Colchide e le loro colonne d'Ercole; una volta
all'anno alcuni si recavano al mercato, e non avevano poi altre relazioni con
nessuno. I loro interessi erano concentrati in loro stessi, e non si urtavano, n�
s'incrociavano con quelli degli altri.
Essi sapevano che a ottanta verste da loro c'era il governatorato, cio� la citt�
dove si trovava il governatore, ma ben pochi vi si recavano; poi sapevano che pi�
lontano, l�, c'erano Saratov e Niginij; avevano sentito dire che c'erano Mosca e
Pietroburgo e che al di l� di Pietroburgo vivevano i francesi o i tedeschi, e pi�
lontano cominciava per essi, come per gli antichi, un mondo oscuro, paesi
sconosciuti, abitati da mostri, da uomini a due teste, da giganti; poi c'erano le
tenebre, e finalmente tutto finiva in quel pesce che regge su di s� la terra.
E poich� il loro cantuccio era quasi inaccessibile, non potevano neppure ricevere
notizia di quel che avveniva nel vasto mondo: i venditori di utensili di legno
vivevano solo a venti verste e non ne sapevano pi� di loro. Non avevano anzi con
che paragonare la propria vita per sapere se vivessero bene o male, se fossero
ricchi o poveri, se potessero desiderare qualche cosa posseduta da altri.
Gente felice, vivevano pensando che non si debba e non si possa vivere altrimenti,
convinti che tutti gli altri vivevano come loro e che vivere altrimenti sarebbe
stato un peccato.
Non avrebbero creduto se si fosse detto che altri uomini arano, seminano, mietono,
vendono diversamente da loro. Quali passioni e agitazioni potevano essi provare?
Anch'essi, come tutti gli uomini, avevano le loro preoccupazioni e le loro
debolezze, come il pagamento delle imposte e dei tributi, come l'ozio e il sonno;
ma con tutto ci� se la cavavano a buon mercato, senza affannarsi. Negli ultimi
cinque anni, fra le varie centinaia di anime, non era morto nessuno, n� di morte
violenta, n� di morte naturale. E se qualcuno per vecchiaia, o per una malattia
inveterata, si addormentava nel sonno eterno, per lungo tempo non cessavano dal
meravigliarsi di questo caso straordinario.
E intanto non sembrava loro affatto straordinario se, per esempio, il fabbro-
ferraio Tar�s per poco non si era procurata la morte asfissiandosi nella sua
baracca, tanto che era stato necessario buttargli dell'acqua addosso.
Tra i delitti, uno solo, cio� il furto di piselli, di carote e di rape negli orti,
era molto diffuso, anzi una volta erano scomparsi anche due porcellini e una
gallina: avvenimento che aveva indignato tutti i dintorni ed era stato unanimemente
attribuito al passaggio avvenuto il giorno prima del carro che portava al mercato
gli utensili di legno. Ma in generale qualsiasi specie di casi era molto rara.
Una volta, tuttavia, era stato trovato un uomo giacente dietro al recinto del
fossato, vicino al ponte, evidentemente abbandonato da un'"artz�l'" (Corporazione
di artigiani, assuntrice di lavori) che era passata per recarsi alla citt�. I
ragazzetti per primi se n'erano accorti e spaventati erano corsi in paese con la
notizia di un certo terribile serpente o lupo mannaro, che era nel fossato,
aggiungendo che esso si era lanciato dietro di loro e per poco non aveva mangiato
Kuz'ka.
I contadini pi� coraggiosi si armarono di forche e di scuri e in gruppo si recarono
al fossato.
- Dove andate? - dissero i vecchi, volendoli trattenere. - Che, non vi � cara la
vita? Di cosa avete bisogno? Non vi cacciate nei pasticci, nessuno vi spinge.
Ma i contadini andarono lo stesso e cominciarono a un centinaio di metri dal ponte
a chiamare il mostro con voci diverse: nessuna risposta; essi si fermarono; poi di
nuovo avanzarono.
Nel fossato giaceva il contadino con la testa appoggiata al pendio; accanto a lui
erano una borsa e un bastone, al quale erano attaccate due paia di "lapti"
(Calzature di scorza di tiglio). I contadini non osavano avvicinarsi e toccarlo.
- Ehi, tu, fratello! - essi gridavano alternandosi e grattandosi chi la nuca e chi
la schiena. - Cosa fai l�? Ehi, tu! Che t'� successo?
Il viandante fece un movimento per sollevare la testa, ma non pot�; certo era
ammalato o molto stanco.
Uno dei contadini si decise a toccarlo con la forca.
- Non lo toccare, non lo toccare! - gridarono molti. - Chiss� chi �! tu vedi, non
dice niente; forse � uno... Non lo toccate, ragazzi!
- Andiamo, - dissero alcuni, - davvero, andiamo; che ci � forse parente quello l�?
Potrebbe succedere qualche cosa!
E tutti tornarono indietro, al villaggio, raccontando ai vecchi che l� c'era un
forestiero, che non diceva nulla e Dio sa chi era...
- Un forestiero, non bisogna toccarlo! - dissero i vecchi, sedendosi sulla soglia
della casa e appoggiando i gomiti sui ginocchi. - Che se la sbrighi lui! Non c'era
neppure ragione d'andarci!
Tale era il cantuccio dove a un tratto si era trasportato Oblomov nel sogno.
Dei tre o quattro villaggi sparsi l�, uno era Sosnovka, un altro Vav�lovka, lontani
una versta l'uno dall'altro. Sosnovka e Vav�lovka erano propriet� ereditaria degli
Oblomov e perci� erano conosciuti col nome generale di Obl�movka. In Sosnovka c'era
la casa e la residenza padronale. A cinque o sei verste da Sosnovka, all'incirca,
si trovava il villaggetto di Verchl�vo, che un tempo era appartenuto anch'esso alla
famiglia Oblomov, ma che da parecchio era passato in altre mani, e ancora qualche
casetta sparsa qua e l�, dello stesso villaggio.
Il villaggio apparteneva ad un ricco proprietario, che non si faceva mai vedere
nella sua propriet�: lo amministrava un intendente tedesco.
Questa era tutta la geografia del cantuccio!
Il'j� Il'�tch si � svegliato la mattina nel suo piccolo lettino. Ha soltanto sette
anni. Per lui tutto � facile, allegro.
Quanto � grazioso, grassoccio, rubicondo! Le guance sono cos� tonde, come un
birichino non riesce a gonfiarle a bella posta.
La "njanja" (Lasciamo il termine russo che indica la nutrice, la balia ma anche la
governante, perch� nessuno di questi termini traduce esattamente "njanja", dato che
la "njanja" accompagnava spesso il pupillo fino all'et� matura e per tutta la vita)
aspetta il suo risveglio. Essa comincia ad infilargli le calze; egli non lascia
fare, scherza, dimena le gambe, la nutrice lo acchiappa e tutti e due ridono,
ridono.
Finalmente, alla "njanja" � riuscito di metterlo in piedi; lo lava, gli pettina la
testolina e lo conduce dalla madre.
Oblomov, vedendo la madre, morta gi� da tempo, anche nel sogno trem� di gioia, di
ardente amore per lei; dalle sue ciglia assonnate sgorgarono lente due calde
lacrime e si fermarono. La madre lo copr� di baci appassionati, poi lo guard� con
occhi ansiosi, preoccupati, per vedere se i suoi occhietti non fossero torbidi, gli
domand� se non avesse male in qualche posto, interrog� la "njanja": aveva dormito
tranquillo? non s'era svegliato la notte? non s'era agitato nel sonno? non aveva la
febbre? Poi lo prese per la mano e lo condusse davanti all'immagine sacra.
L�, in ginocchio e tenendolo abbracciato con un braccio, gli sugger� le parole
della preghiera.
Il ragazzo le ripeteva distratto, guardando la finestra, da cui veniva nella camera
un soffio fresco e l'odore del lill�.
- Mammina, andremo a passeggiare, oggi? - domand� egli a un tratto, interrompendo
la preghiera.
- Andremo, caniccio, - si affrett� ella a rispondere, senza allontanare gli occhi
dall'immagine e dicendo svelta fino alla fine le parole della preghiera.
Il ragazzo le ripeteva fiaccamente, ma la madre metteva in esse tutta la sua anima.
Poi andarono dal padre, e poi a prendere il t�.
Accanto alla tavola per il t� Oblomov vide la vecchissima zia, di pi� di
ottant'anni, che viveva presso di loro, e brontolava continuamente contro la sua
cameriera, la quale, con la testa tremante per la vecchiaia, stava dietro la sua
sedia, pronta a servirla. C'erano l� anche due vecchie zitelle, lontane parenti del
padre, e il cognato di sua madre, un mezzo matto, il proprietario di sette �anime�
Tchekmen�v, che era loro ospite, e ancora altri vecchietti e vecchiette.
Tutto questo stato maggiore e seguito della casa Oblomov si impadron� di Il'j�
Il'�tch e cominci� a coprirlo di carezze e di lodi; egli faceva appena a tempo ad
asciugare le tracce dei non richiesti baci.
Dopo cominciavano a rimpinzarlo di panini, biscotti e panna.
Poi la madre, dopo averlo ancora accarezzato, lo mandava a passeggiare in giardino,
nel cortile e sul prato, col severo avvertimento alla "njanja" di non lasciar solo
il bambino, di non farlo avvicinare ai cavalli, ai cani, al caprone, di non andare
lontani dalla casa, e soprattutto di non lasciarlo andar nel burrone, che era il
posto pi� terribile dei dintorni e che godeva una cattiva reputazione.
L� una volta avevano trovato un cane che era stato dichiarato arrabbiato solo
perch� era fuggito via quando gli uomini si erano scagliati contro di lui con
forche e scuri, ed era scomparso dietro il monte; nel burrone venivano gettate le
carogne; nel burrone si riteneva si nascondessero ladroni e lupi e altri esseri
diversi, che o non si trovavano nella regione o non esistevano affatto al mondo.
Il bambino non aveva aspettato gli ammonimenti della madre: egli era gi� da un
pezzo nel cortile.
Con meraviglia gioiosa, come se fosse la prima volta, egli guardava e correva
intorno alla casa paterna, che aveva il portone a sghimbescio, il tetto di legno
che s'era piegato nel mezzo e sul quale era cresciuto un tenero muschio verde, la
scala oscillante, e tanti edifici laterali e sovrapposti, e un giardino
abbandonato.
Egli ha una voglia pazza di correr su nella galleria pensile che circonda tutta la
casa, per guardar di l� il fiumicello; ma la galleria � decrepita, appena appena si
regge, e solo ai servi � permesso di recarvisi, i padroni non ci vanno.
Non curandosi della proibizione della madre, gi� si dirige verso gli scalini
tentatori, ma sulla scala appare la "njanja" che riesce ad acchiapparlo.
Egli scappa via nel fienile con l'intenzione di arrampicarsi per la ripida scala e
la "njanja" ha fatto appena in tempo ad arrivare al fienile, che � gi� necessario
sventare il proposito del bambino di salire alla colombaia, di andare alla stalla e
- che Dio ci scampi e liberi! - al burrone.
- Ah, Signore, che ragazzo, ha l'argento vivo in corpo! Ma vuoi stare un po'
tranquillo? Vergogna! - diceva la "njanja".
E tutto il giorno e tutti i giorni e tutte le notti della njanja erano pieni di
questa baraonda, di questo continuo correr di qua e di l�: ora un supplizio, ora
una viva gioia a causa del bambino; ora la paura che potesse cadere e rompersi il
naso, ora la commozione per la sua spontanea affettuosit� infantile, ora una cupa
malinconia pensando al suo avvenire lontano: solo questo faceva battere il cuore di
lei, solo questa agitazione faceva ribollire il sangue della vecchietta e teneva su
la sua vita sonnolenta che, forse, altrimenti si sarebbe gi� spenta da tempo.
Non sempre, del resto, il bambino � irrequieto: qualche volta improvvisamente si
calma e, sedutosi accanto alla nutrice, guarda tutto con uno sguardo cos� attento.
La sua intelligenza infantile osserva tutti i fenomeni che gli si svolgono innanzi;
essi penetrano profondamente nella sua anima, poi crescono e maturano insieme a
lui.
E' una mattina magnifica; l'aria � fresca; il sole � ancora basso. La casa, gli
alberi, la colombaia, la galleria pensile, tutto getta un'ombra lunga lunga. Nel
giardino e nel cortile si sono formati dei cantucci freschi che invitano alla
meditazione e al sonno. Solo in lontananza il campo di segale arde come fuoco, e il
fiumicello splende e scintilla al sole tanto da far male agli occhi.
- Perch�, "njanja", qui � scuro e l� � chiaro, e presto sar� chiaro anche qui? -
domanda il fanciullo.
- Perch�, "b�tjushka", il sole va incontro alla luna e non vedendola si rattrista;
ma se da lontano la vede, allora splende di nuovo.
Il bambino diventa pensoso e continua a guardare intorno: egli vede come Ant�p va
col carro a prender l'acqua, e per terra, accanto a lui, cammina un altro Ant�p,
dieci volte pi� grande del vero, e la botte sembra grande come la casa, e l'ombra
del cavallo ha coperto il prato; l'ombra ha fatto soltanto due passi sul prato ed �
scomparsa dietro il monte, e Ant�p non ha ancora fatto in tempo a uscire dal
cortile.
Anche il fanciullo fa due passi, ancora un terzo e scompare dietro il monte.
Egli aveva desiderio di andare verso il monte a vedere dove fosse finito il
cavallo. Eccolo gi� sul portone, ma dalla finestra arriva la voce della mamma.
- "Njanja"! Non vedi, il bambino � corso al sole! Portalo all'ombra; se gli si
scalda la testa, si ammala, gli vien la nausea e non mangia pi�. Finir� per andarti
nel burrone.
- Ah, bricconcello! - brontola piano la "njanja", ritrascinandolo sulla scala.
Il bambino guarda e osserva, con uno sguardo acuto e che abbraccia tutto, cosa
fanno gli adulti, a cosa dedicano la mattinata.
Non il minimo particolare, non il minimo tratto sfugge all'attenzione scrutatrice
del fanciullo; incancellabilmente si imprime nell'anima sua il quadro della casa
paterna: l'intelligenza ancora duttile si penetra di esempi vivi e incoscientemente
disegna il programma della sua vita secondo la vita che lo circonda.
Non si pu� dire che la mattinata passasse invano in casa Oblomov. Il rumore dei
coltelli che tagliavano la carne e la verdura in cucina arrivava fino al villaggio.
Dalla camera della servit� venivano il ronzio di un arcolaio e la voce tranquilla,
sottile di una contadina; era difficile capire se piangesse o improvvisasse un
malinconico canto senza parole. Nel cortile non appena Ant�p � tornato con la
botte, dai pi� diversi angoli sono corsi ad essa, con secchie, tinozze e brocche,
le donne e i cocchieri.
Poi una vecchia ha portato dalla dispensa in cucina una scodella con la farina e un
mucchietto d'uova; poi il cuoco a un tratto ha buttato dell'acqua dalla finestrina
e ha bagnato il cane Arapka, che tutta la mattina, senza volger gli occhi, ha
guardato la finestra, scodinzolando carezzevolmente e leccandosi.
Il vecchio Oblomov stesso non sta senza far nulla. Passa tutta la mattinata seduto
vicino alla finestra a osservare instancabilmente tutto ci� che avviene in cortile.
- Ehi, Ignaska? Cosa porti, stupidone? - domanda ad uno che attraversa il cortile.
- Porto ad arrotare i coltelli, - risponde quello senza guardare il padrone.
- Bene, porta, porta! sta' attento ad arrotarli bene! Poi ferma una donna: - Ehi,
tu, tu! Dove andavi?
- In cantina, "b�tjushka", - dice quella, fermandosi, e, riparati gli occhi con le
mani, guarda verso la finestra, - vado a prendere il latte.
- Bene, va', va'! - risponde il padrone. - Sta' bene attenta a non rovesciare il
latte. - E tu, Zacharka, scapestrato, dove corri di nuovo? - grida subito dopo. -
T'insegner� io a correre! E' la terza volta che corri, l'ho visto io. Torna
indietro, in anticamera.
E Zacharka torna a sonnecchiare in anticamera.
Quando poi ritornano le vacche dai campi, il vecchio per primo si preoccupa che
siano portate all'abbeveratoio; se dalla finestra vede che il cane nel cortile
insegue una gallina, prende subito delle misure severe contro questo disordine.
Anche sua moglie � occupatissima: essa discute per tre ore col sarto Aver'ka come
fare un vestitine per Iljusha con un giubbone di suo marito; essa stessa lo disegna
col gesso e sta attenta che Aver'ka non rubi il panno; poi si reca nella camera
della servit� e ordina a ogni ragazza quanto merletto deve fare nella giornata; poi
chiama a s� Nastas'ja Iv�novna, o Stepanida Ag�povna, o un'altra del suo stato
maggiore per andare insieme a passeggiare nel giardino con lo scopo pratico di
vedere come maturino le mele, se non sia caduta la mela che il giorno prima era gi�
matura, o per far qui un innesto, l� una potatura, e cos� via!
Ma la preoccupazione principale era la cucina e il pranzo. Per il pranzo era
chiamata a consiglio tutta la casa; si invitava alla riunione anche la vecchia zia.
Ognuno proponeva la sua vivanda: chi una minestra con interiora, chi taglierini,
chi trippa, chi ritagli, e chi un intingolo bianco, chi un intingolo rosso.
Ogni consiglio era preso in considerazione, si discuteva minutamente e poi si
accettava o si respingeva con sentenza definitiva della padrona.
In cucina venivano mandate continuamente ora Nastas'ja Iv�novna, ora Stepanida
Ag�povna, a ricordare questo, ad aggiungere quello, a mutare quest'altro, a
prendere lo zucchero, la farina, il vino per le pietanze e a vedere se il cuoco
aveva fatto tutto ci� che era stato ordinato.
La preoccupazione del mangiare era la prima e principale preoccupazione in casa
Oblomov. Quali vitelli si ingrassavano per le feste! Che pollame si allevava!
Quante sottili riflessioni, quante occupazioni e cure vi si dedicavano! Tacchini e
pulcini, destinati agli onomastici e ad altri giorni solenni, venivano nutriti con
le noci; alle oche si toglieva qualsiasi possibilit� di movimento, le si
costringeva a stare appese in una borsa, immobili per alcuni giorni prima della
festa, perch� si gonfiassero di grasso. Quali provviste di conserve dolci e salate,
quali biscotti! Che miele, che "kvas" veniva preparato, quali torte venivano
infornate in Obl�movka!
E cos� fino a mezzogiorno tutti si davano da fare e si affaccendavano, e tutto
viveva d'una vita cos� piena e intensa da formicaio!
Neppure la domenica e i giorni di festa conoscevano riposo quelle formiche
laboriose: anzi allora il battere dei coltelli in cucina risonava pi� frequente e
pi� forte; la contadina faceva diverse volte il viaggio dalla dispensa alla cucina
con un quantitativo doppio di farina e di uova; nel pollaio c'erano pi� strilli e
maggior versamento di sangue. Si preparava una torta colossale, che perfino i
padroni mangiavano ancora il giorno dopo; il terzo o quarto giorno gli avanzi
andavano nella camera delle ragazze; la torta durava fino al venerd�, e un ultimo
avanzo, ormai secco e senza imbottitura, veniva lasciato in segno di particolare
grazia ad Ant�p, il quale, dopo essersi fatto il segno della croce, senza timore
alcuno, rosicchiava rumorosamente quella interessante pietrificazione, godendo pi�
per la coscienza che si trattava d'una torta dei padroni che per la torta stessa,
come un archeologo che con volutt� beve un vino cattivo dal coccio di una tazza
millenaria.
E il ragazzo guardava e osservava tutto con la sua mente infantile, che non
tralasciava nulla. Egli vedeva come, dopo la mattina trascorsa in tante faccende e
cos� utilmente, arrivassero il mezzogiorno ed il pranzo.
Il meriggio � afoso; nel cielo non c'� neppure una nuvoletta. Il sole sta immobile
proprio sulla testa e brucia l'erba. L'aria � stagnante, senza un soffio di vento.
Non si muovono gli alberi, non si increspa l'acqua; sul villaggio e sui campi si
stende una calma assoluta: come se tutto fosse morto. La voce umana nel vuoto
risuona forte e lontana. A qualche decina di metri di distanza si sente volare e
ronzare uno scarabeo, e nell'erba folta si sente ronfare, come se qualcuno vi si
sia sdraiato e dorma di un dolce sonno.
Anche nella casa regna una calma di morte. E' giunta l'ora del sonno generale del
dopopranzo.
Il ragazzo vede che il padre, e la madre, e la vecchia zia, e lo stato maggiore,
tutti si sono dispersi, ognuno nel suo cantuccio; e chi non ha un cantuccio se n'�
andato nel fienile, o nel giardino, o a cercare un po' di fresco nel vestibolo, e
uno s'� coperto il viso col fazzoletto contro le mosche e s'� addormentato l� dove
il caldo e l'abbondante pasto l'hanno gettato a terra. E il giardiniere si �
sdraiato sotto un cespuglio nel giardino, accanto al suo campicello, e il cocchiere
dorme nella scuderia.
Il'j� Il'�tch ha gettato uno sguardo nella camera della servit�: qui tutti si sono
sdraiati sulle panche, in terra, all'ombra, abbandonando i bambini a loro stessi; e
i bambini si trascinano per il cortile e si rotolano nella rena. E i cani si sono
anch'essi ritirati nei canili; tanto non avevano a chi abbaiare!
Era possibile attraversare tutta la casa, senz'incontrare anima viva; si sarebbe
potuto rubare qualunque cosa intorno e portarla via anche con un veicolo, se nella
regione ci fossero stati dei ladri, e nessuno l'avrebbe impedito.
Era un sonno che inghiottiva tutto, che nulla poteva vincere, la vera immagine
della morte. Tutto � morto, solo da ogni angolo viene, in tutti i toni e su tutte
le scale, il russare diverso dei dormienti.
Di tanto in tanto qualcuno solleva a un tratto la testa, guarda senza coscienza,
sorpreso, da tutte le parti e si volta sull'altro fianco, o, senza aprir gli occhi,
sputa e, facendo rumore con le labbra o brontolando qualche cosa nel naso, si
riaddormenta.
Un altro, senza alcuna preparazione preliminare, salta su svelto su tutte e due le
gambe dal suo giaciglio, come avendo paura di perdere dei minuti preziosi, afferra
la boccia del "kvas" e, dopo aver soffiato sulle mosche che vi galleggiano, in modo
che esse passino sull'orlo opposto, - durante la quale operazione queste, finora
rimaste immobili, cominciano a muoversi nella speranza di un miglioramento della
loro posizione, - si inumidisce la gola e poi ricade a dormire, come fucilato!
E il fanciullo osserva, osserva tutto.
Dopo il pranzo, egli � uscito di nuovo all'aria aperta con la "njanja". Ma anche la
"njanja", nonostante tutta la severit� degli ordini della padrona e la propria
volont�, non ha potuto lottare contro il fascino del sonno. Anch'essa ha subito il
contagio di questa malattia che domina su tutta l'Obl�movka.
Da principio essa ha bravamente sorvegliato il fanciullo, senza lasciarlo
allontanare, brontolando severamente per le sue birichinate, poi, sentendo i
sintomi del prossimo contagio, ha cominciato a pregare il fanciullo di non uscire
dal portone, di non stuzzicare il caprone, di non arrampicarsi sulla colombaia o
sulla galleria.
Anch'essa si � seduta in un posticino al fresco: sulla scalinata, sulla soglia
della cantina o semplicemente sull'erba, evidentemente con l'intenzione di fare la
calza e di sorvegliare il fanciullino. Ma ben presto ella lo trattiene fiaccamente,
ciondolando la testa.
�Si arrampicher� sulla galleria, il furfantello, si arrampicher�, - pensava quasi
attraverso il sonno, - oppure... andr� a finire nel burrone...�
Qui la testa della vecchietta si piegava verso le ginocchia, e la calza le sfuggiva
dalle mani; ella perdeva di vista il ragazzo e, aperta un pochino la bocca, si
metteva a russare leggermente.
Con impazienza egli aspettava questo momento, dal quale cominciava la sua vita
indipendente.
Egli era, per cos� dire, solo in tutto il mondo; in punta di piedi scappava via
dalla njanja, e guardava dove ognuno s'era messo a dormire; si fermava ad osservare
fisso come uno dei dormienti si svegliava, sputava e brontolava qualcosa nel sonno;
poi, col cuore tremante, correva sulla galleria pensile, faceva rapidamente il giro
delle assi scricchiolanti, si arrampicava sulla colombaia, si inoltrava nel
giardino, ascoltava come ronzava lo scarabeo e ne seguiva il volo lontano; tendeva
l'orecchio a qualcosa che strideva nell'erba, cercava e acchiappava il disturbatore
della calma; acchiappa una libellula, le strappa le ali e sta a guardare che cosa
succede, oppure le passa attraverso il corpo un filo di paglia e segue con lo
sguardo come essa voli, con questo accessorio; con godimento, trattenendo il
respiro, osserva come un ragno succhia il sangue d'una mosca, come la povera
vittima si dibatte e ronza tra le sue zampe.
E finisce che il ragazzo ammazza e la vittima e il carnefice.
Poi egli sguscia in un canale e scava e cerca certe radici, toglie loro la
corteccia e le mangia voluttuosamente, preferendole alle mele e alla mostarda che
gli da la mammina.
E corre anche fuori del gran portone: vorrebbe andare nel boschetto di betulle; gli
pare che esso sia cos� vicino che ci si pu� arrivare in cinque minuti, senza fare
il giro per la strada, ma direttamente, attraverso il canale, gli steccati e le
fosse; ma ha paura: l�, si dice, ci sono i folletti, i briganti e le bestie feroci.
Vorrebbe correre anche nel burrone: non � pi� lontano di un centinaio di metri dal
giardino; � gi� arrivato sull'orlo, socchiude gli occhi, vuoi guardare come nel
cratere di un vulcano... ma a un tratto davanti a lui sorgono tutte le leggende e
tutte le dicerie intorno al burrone: il terrore si impadronisce di lui, e cos�, pi�
morto che vivo, scappa indietro e, tremando di paura, si butta sulla "njanja" e
sveglia la vecchietta.
Essa scuote via il sonno da s�, si accomoda il fazzoletto sulla testa, si rimette a
posto, col dito, delle ciocche di capelli bianchi e, dandosi l'aria di non aver
dormito affatto, guarda sospettosamente Iljusha, poi le finestre della casa
padronale e comincia con le dita tremanti a far una dopo l'altra le maglie della
calza che tiene sulle ginocchia.
Intanto il caldo ha cominciato a scemare; tutto nella natura si rianima; il sole si
avvicina gi� al bosco.
E nella casa a poco a poco il silenzio � rotto: in qualche angolo ha scricchiolato
una porta; nel cortile si sono sentiti dei passi; nel fienile qualcuno ha
starnutito.
E ben presto dalla cucina in fretta in fretta un uomo, piegato sotto il peso, ha
portato un enorme "samov�r". Ci si comincia a riunire per il t�: uno ha il viso
tutto grinze e gli occhi lacrimanti, un altro delle macchie rosse sulle guance e
sulle terapie, un terzo dopo il sonno parla con una voce che non sembra la sua. E
chi tira su nel naso, chi sbadiglia, chi sbuffa, si gratta la testa e si stira, a
fatica ritornando in s�. Il pranzo e il sonno hanno suscitato una sete
inestinguibile. La sete brucia la gola; ognuno beve almeno dodici tazze di t�, ma
anche questo non giova: si sentono dei sospiri e degli �ah!�, �oh!�; e si fa
ricorso all'acqua di more, di pere, al "kvas", e qualcuno perfino a medicamenti,
pur di calmare l'arsura della gola. Tutti cercano di liberarsi dalla sete, come da
qualche punizione divina; tutti si buttano di qua e di l�, tutti sono spossati,
come una carovana di viaggiatori che nel deserto arabico non riesce a trovare una
sorgente.
Il fanciullo � qui, accanto alla mamma; egli osserva gli strani visi che lo
circondano, presta ascolto alla loro conversazione assonnata e fiacca. Si diverte a
guardarli ed ogni sciocchezza che essi dicano gli sembra interessante.
Dopo il t� ognuno si occupa di qualche cosa: chi si reca al fiume e passeggia
lentamente sulla riva, gettando col piede dei sassolini in acqua, chi si siede alla
finestra ed afferra con gli occhi tutto ci� che avviene, se un gatto corre nel
cortile, se una cornacchia passa a volo, l'osservatore segue questa e quello con lo
sguardo e con la punta del naso, voltando la testa ora a destra, ora a sinistra.
Cos� talvolta i cani amano star seduti per intere giornate alla finestra, mettendo
la testa al sole e seguendo attentamente chiunque passi davanti a loro.
La madre prende Iljusha, gli fa posare la testa sulle sue ginocchia e comincia a
pettinarlo lentamente, ammirando la morbidezza dei capelli e facendola ammirare
anche a Nastas'ja Iv�novna e a Stepanida Ag�povna, e discorre con loro
dell'avvenire di Iljusha, e lo fa eroe d'una epopea maravigliosa ch'ella stessa
immagina. E quelle gli predicono montagne d'oro. Ma ecco comincia a far notte. In
cucina di nuovo crepita il fuoco, di nuovo risuona il frequente battere dei
coltelli: si prepara la cena.
La servit� si � raccolta sul portone della casa: si sente il suono della
"balalaika", si sentono delle risate. E si gioca a caldo e freddo. Il sole intanto
si � gi� nascosto dietro il bosco: ha gettato ancora alcuni raggi appena appena
tiepidi, che hanno attraversato tutto il bosco come una striscia di fuoco,
avvolgendo di oro le cime dei pini. Poi i raggi si sono spenti uno dopo l'altro;
l'ultimo � rimasto pi� a lungo: come un fine ago s'� confitto nel folto dei rami,
poi anch'esso si � spento.
Gli oggetti hanno perduto la loro forma: tutto si � fuso in una massa prima grigia,
poi scura. Il canto degli uccelli a grado a grado si � indebolito; ben presto essi
tacciono del tutto, ad eccezione di uno, testardo, che, come a sfida, in mezzo al
silenzio generale, ha continuato monotonamente a cinguettare, ma sempre pi� di
rado, fino a che anche il suo fischio ha perduto ogni risonanza; esso per un'ultima
volta ha battuto le ali, leggermente ha smosso le foglie intorno a s�... e si �
addormentato.
Tutto � muto. Solo i grilli zirlano pi� forte, come a gara. Dalla terra si alzano
bianchi vapori che si allargano sulla prateria e sul fiume. Anche il fiume si �
calmato; dopo un po' di silenzio si � sentita ancora un'ultima volta battere
l'acqua, poi anch'essa � divenuta immobile.
Si sente l'odore dell'umidit�. L'aria � diventata sempre pi� scura. Gli alberi si
sono raggruppati a formare come dei mostri; la foresta si � fatta paurosa: qualcosa
a un tratto ha scricchiolato, come se uno dei mostri avesse cambiato di posto e un
ramo secco avesse crepitato sotto i suoi piedi. In cielo si � accesa, come un
occhio vivo, la prima stella, e alle finestre della casa balenano i lumi.
Subentrano alcuni minuti di calma solenne di tutta la natura, quei minuti in cui
pi� forte lavora la mente creativa e pi� caldi ribollono i pensieri poetici, quando
nel cuore pi� vivamente fiammeggia la passione o pi� dolorosamente si fa sentire la
nostalgia, quando nell'anima crudele pi� fortemente matura il germe di un pensiero
delittuoso, e quando... in Obl�movka tutti dormono cos� profondamente e
tranquillamente.
- Andiamo, mamma, a passeggiare, - dice Iljusha.
- Cosa ti viene in mente! Andare a passeggiare adesso? - risponde ella, - fa umido,
ti raffreddi i piedini; e poi nel bosco adesso va il mostro che porta via i piccoli
bambini.
- Dove li porta? E com'� questo mostro? Dove abita? - domanda il ragazzo.
E la madre dava libero corso alla fantasia. Il ragazzo ascoltava, aprendo e
chiudendo gli occhi, fino a che, finalmente, il sonno non s'impadroniva di lui.
Veniva la "njanja" e, presolo dalle ginocchia della mamma, lo portava a letto,
mentre egli le abbandonava il capo sulla spalla.
- Grazie a Dio, anche la giornata d'oggi � passata! - dicevano gli abitanti di
Obl�movka, coricandosi, mentre si raschiavan la gola e si facevano il segno della
croce. - L'abbiamo vissuta bene; Dio voglia che sia lo stesso domani! Lode a te, o
Signore! Lode a te, o Signore!
Poi Oblomov sogn� di un altro periodo: in una sera d'inverno senza fine egli si
stringe timoroso alla "njanja", ed essa gli racconta bisbigliando di un paese
sconosciuto dove non ci sono notti, dove non fa freddo, dove si compiono continui
miracoli, dove scorrono fiumi di miele e latte, dove per tutto l'anno nessuno
lavora e dove tutto il giorno passeggiano bravi ragazzi come Il'j� Il'�tch e belle
tali che non se ne parla neppure nelle fiabe e la penna non le sa descrivere.
C'� l� anche una buona maga che qualche volta ci si presenta sotto la figura di
luccio, e si sceglie come protetto un uomo tranquillo e pacifico, in altre parole,
un infingardo al quale tutti fanno torto, e lo colma, cos� di punto in bianco, di
ogni ben di Dio, ed egli non fa altro che mangiare e indossa abiti bell'e pronti, e
poi si sposa con una bellezza inaudita, Militrisa Kirb�t'evna.
Il fanciullo, con gli orecchi e gli occhi spalancati, beveva il racconto
appassionatamente.
La "njanja", o meglio la tradizione, evitava cos� accortamente nel racconto tutto
ci� che esiste nella realt�, che la fantasia e l'intelletto, penetrandosi di quelle
finzioni, ne restavano poi schiavi per sempre fino alla vecchiaia. La "njanja"
bonariamente raccontava la favola di Emelja, lo stupidello, questa maligna e
mordace satira dei nostri avi, e forse anche di noi stessi.
Sebbene l'adulto Il'j� Il'�tch avesse poi saputo che non esistono fiumi di miele e
di latte, che non esistono le buone maghe, sebbene egli scherzasse con un sorriso
sui racconti della "njanja", tuttavia questo sorriso non era sincero ed era
accompagnato da un sospiro segreto: la favola si era per lui fusa con la vita ed
egli incoscientemente si rattristava che la favola non fosse la vita e la vita non
fosse la favola.
Egli sogna involontariamente Militrisa Kirb�t'evna; tutto lo attira l� dove si
passeggia soltanto, dove non ci sono preoccupazioni e dolori; egli conserva per
sempre la disposizione a sdraiarsi sulla stufa, a indossare un abito bello e
pronto, non guadagnato col lavoro, e a mangiare a spese della buona maga.
E il vecchio Oblomov e il nonno avevano ascoltato nella fanciullezza le stesse
favole, tramandate in edizione stereotipa dall'antichit�, dalle labbra delle
"njani" e dei precettori attraverso secoli e generazioni.
La "njanja" intanto disegnava un altro quadro davanti alla fantasia del fanciullo.
Ella gli raccontava delle gesta dei nostri Achilli ed Ulissi, del coraggio di Il'j�
M�rometch, di Dobrynja Nikititch, di Alesa Popovitch, di Polk�n Bogatyr, di
Koletchishtch il passante, di come essi vagarono per la Russia, come vinsero gli
eserciti innumerevoli degli infedeli, come fecero a gara nel bere d'un fiato una
coppa di vino verde, senza raschiarsi in gola; poi gli parlava dei cattivi
briganti, delle reginette dormenti, delle citt� e degli uomini pietrificati; alla
fine passava alla nostra demonologia, ai morti, ai mostri, agli spiriti.
Con la semplicit� e la bonariet� di un Omero, con quella stessa viva verit� di
particolari e plasticit� di quadri, ella deponeva nella memoria e nella
immaginazione infantile l'Iliade della vita russa, creata dai nostri Omeridi in
quei periodi nebulosi in cui all'uomo non erano ancora familiari i pericoli e i
segreti della natura e della vita, quando egli tremava e davanti a un mostro e
davanti ad uno spirito dei boschi, e in Al�sha Popovitch cercava difesa contro i
mali che lo circondavano, quando e nell'aria, e nell'acqua, e nel bosco, e nei
campi regnavano gli esseri miracolosi.
Terribile e incerta era allora la vita dell'uomo; pericoloso gli era varcare la
soglia della casa; da un momento all'altro egli poteva essere sbranato da una
fiera, fatto a pezzi da un brigante, depredato da un tartaro malvagio, o scomparire
senza lasciare traccia e notizia alcuna di s�.
Oppure ad un tratto apparivano segni celesti, colonne e globi di fuoco; e l�, su di
una tomba fresca, si accendeva una fiammella, o nel bosco pareva che qualcuno
passeggiasse con una lanterna e ridesse spaventosamente con gli occhi luccicanti
nell'oscurit�.
All'uomo stesso accadevano tante cose incomprensibili: egli viveva a lungo e bene,
e non gli accadeva nulla, ma, a un tratto, comincia a parlare disordinatamente, o a
gridare con una voce che non era la sua, o vaga assonnato durante le notti; un
altro, senza ragione alcuna, prende a contorcersi per terra. E prima che ci�
avvenisse la gallina aveva cantato da gallo e la cornacchia aveva gracchiato sul
tetto. L'uomo debole si perdeva, guardandosi intorno nella vita con terrore, e
cercava nella fantasia la chiave dei misteri della natura che lo circondava e della
natura sua propria. Ma, forse, il sonno, l'eterna calma di una vita fiacca, la
mancanza di movimento e di qualsiasi reale angoscia, avventura e pericolo
spingevano l'uomo a creare, in mezzo al mondo reale, un altro mondo impossibile, e
a cercare in esso vertigine e godimento per la fantasia oziosa, o la soluzione
delle comuni concatenazioni di circostanze e di cause del fenomeno fuori del
fenomeno stesso.
I nostri poveri avi hanno vissuto come a tentoni; essi non davano ali, n� mettevano
freni alla loro libert�, ma poi ingenuamente si meravigliavano o si spaventavano
degli incomodi e dei mali, e di tutto ci� che era incomprensibile domandavano
ragione ai muti ed oscuri geroglifici della natura.
La morte per loro era causata dal fatto che un defunto precedente era stato portato
via di casa uscendo dal portone con la testa e non coi piedi in avanti; un
incendio, dal fatto che un cane aveva abbaiato tre notti di seguito sotto la
finestra; ed essi si preoccupavano perch� il morto fosse portato fuori dal portone
con le gambe in avanti, ma mangiavano le stesse cose e nella stessa quantit� e
dormivano come prima sulla nuda erba; il cane che aveva abbaiato veniva picchiato o
cacciato dal cortile, ma le scintille del ramo acceso che serviva da lucerna
andavano egualmente a cadere nella fessura del pavimento marcito.
Anche adesso il russo, in mezzo alla realt� rigida e senza fantasia che lo
circonda, ama credere nelle attraenti saghe dell'antichit�, e per molto tempo
ancora, forse, non si staccher� da questa credenza.
Ascoltando dalla "njanja" i racconti del nostro "toson d'oro", l'"uccello di
fuoco", delle muraglie impenetrabili e delle segrete carceri del castello fatato,
il ragazzo ora cercava di farsi coraggio immaginandosi di essere l'eroe di gesta
gloriose, e sentiva un brivido gelido corrergli per le reni, ora soffriva per la
sfortuna del valoroso. I racconti seguivano ai racconti. La "njanja" raccontava con
calore, pittorescamente, con entusiasmo, in certi momenti come ispirata, perch�
essa stessa credeva per met� ai racconti. Gli occhi della vecchia brillavano; la
sua testa tremava per la commozione; la voce si alzava fino a note inconsuete.
Il ragazzo, preso da un terrore sconosciuto, si stringeva a lei con le lacrime agli
occhi.
Se il discorso era intorno ai morti, che escono a mezzanotte dalla tomba, o intorno
alle vittime languenti nella prigionia del mostro, o intorno all'orso dalla gamba
di legno, che va per i villaggi e le campagne a cercare la gamba vera che gli �
stata tagliata, al ragazzo si rizzavano i capelli sul capo per lo spavento,
l'immaginazione infantile ora si arrestava, ora ribolliva; in lui si compiva un
processo tormentoso, dolcemente morboso; i suoi nervi si tendevano come corde.
Quando la "njanja" cupamente ripeteva le parole dell'orso: �Scricchiola,
scricchiola, gamba di tiglio; io son passato per villaggi, son passato per
campagne, tutte le contadine dormono, una sola non dorme, essa siede sulla mia
pelle, cuoce la mia carne, fila il mio pelo�, e cos� via; quando l'orso finalmente
entrava nella capanna e si preparava ad afferrare il ladro della sua gamba, il
ragazzo non reggeva pi�: tremando e strillando si gettava nelle braccia della
"njanja"; gli sgorgavano dagli occhi lacrime di paura e nello stesso tempo rideva
per la gioia di non trovarsi fra gli artigli della belva, ma nel letto, accanto
alla "njanja".
La fantasia del fanciullo si era popolata di strani fantasmi; la paura e la
malinconia si erano annidate per lungo tempo, forse per sempre, nella sua anima.
Egli si guarda intorno tristemente, nella vita vede solo sventura e danno, sogna
sempre quel paese incantato, dove non c'� il male, non ci sono preoccupazioni,
tristezze, dove vive Militrisa Kirb�t'evna, dove si � nutriti e vestiti gratis...
La favola avvinceva in Obl�movka non soltanto i ragazzi, ma anche gli adulti, fino
alla fine della vita. Tutti, in casa e nel villaggio, cominciando dal padrone, da
sua moglie, fino al robusto fabbro Tar�s, tutti tremavano chiss� di che nella sera
scura: ogni albero allora si mutava in un gigante, ogni cespuglio in una caverna di
briganti.
Lo sbattere delle persiane e l'urlo del vento nel camino facevano impallidire e
uomini e donne e bambini. Nessuno nel giorno dell'Epifania usciva solo la sera dopo
le dieci; tutti rifuggivano dall'andare nella stalla la notte prima di Pasqua, per
paura dei folletti.
Ad Obl�movka credevano a tutto: e ai morti e agli spiriti. Se qualcuno raccontava
loro che un covone di fieno era andato a passeggiare pel campo, nessuno rifletteva,
tutti credevano; se qualcuno avesse sparsa la voce che il montone non era un
montone, ma un'altra cosa, o che Marfa o Stepanida era una strega, essi avrebbero
avuto paura anche del montone e di Marfa: non veniva loro neppure in mente di
domandare perch� il montone non era un montone e Marfa era diventata una strega, e
si sarebbero scagliati anche contro chi avesse osato dubitarne, tanto forte era ad
Obl�movka la fede nel meraviglioso!
Il'j� Il'�tch vedr� pi� tardi che il mondo � semplice, che gli spettri non escono
dalle tombe, che i giganti non appena compaiono, li portano subito al baraccone, e
che i briganti sono messi in prigione; ma se scompare la fede nei fantasmi, rimane
un residuo di angoscia e di indefinibile malinconia.
Ha saputo Il'j� Il'�tch che non ci sono mostri i quali facciano del male, e che ci
sia il male appena appena lo sa, e ad ogni passo aspetta qualche cosa di terribile
e ha paura! Anche adesso, se rimane nella camera buia, o se vede un morto, trema
per un'angoscia invincibile, che gli � penetrata nell'anima fin dalla fanciullezza;
dopo aver riso la mattina dei suoi terrori, ne impallidisce di nuovo la sera.
Poi Il'j� Il'�tch si vide a un tratto come fanciullo di tredici o quattordici anni.
Ha gi� studiato a Verchl�vo, a cinque verste da Obl�movka, presso l'amministratore
locale, il tedesco Stolz, che aveva organizzato un piccolo collegio per i figli dei
nobili dei dintorni.
Stolz aveva un figlio, Andr�j, quasi della stessa et� di Oblomov; gli avevano
inoltre affidato un altro ragazzo, che non studiava quasi mai e soffriva di
scrofola, che aveva passato tutta l'infanzia con gli occhi e gli orecchi bendati, e
piangeva sempre di nascosto perch�, invece di essere dalla nonna, era in una casa
estranea, in mezzo a gente cattiva, e nessuno lo accarezzava, e nessuno gli
preparava i pasticcini preferiti. Altri ragazzi nella pensione non c'erano.
Il padre e la madre si erano dovuti piegare a mandare a scuola il birichino
Iljusha. Ci� era costato lacrime, urla e capricci. Finalmente lo avevano portato
via.
Il tedesco era un uomo attivo e severo, come quasi tutti i tedeschi. Forse presso
di lui Iljusha avrebbe anche imparato qualche cosa, se Obl�movka fosse stata a
cinquecento verste da Verchl�vo. Ma cos�, com'era possibile imparare? Il fascino
dell'atmosfera oblomoviana, la maniera di vivere e le abitudini di Obl�movka si
estendevano anche a Verchl�vo; anche questa localit� era stata una volta Obl�movka;
anche l�, ad eccezione di Stolz, tutto respirava quella stessa infingardaggine
primitiva, quella stessa semplicit� di costumi, la stessa calma e la stessa
immobilit�.
La mente e il cuore del fanciullo erano pieni di tutti i quadri, le scene e le
abitudini di questa esistenza, prima ancora che egli avesse visto il primo libro. E
chi sa quanto presto cominci lo sviluppo del germe dell'intelligenza nel cervello
di un bambino? Come � possibile seguire la nascita dei primi concetti e delle prime
impressioni nell'anima infantile? Forse, quando il bambino ha appena dette le prime
parole, e forse anche quando ancora non le ha dette e neppure ha cominciato a
camminare, ma solo ha guardato tutto con quello sguardo infantile fisso e muto che
gli adulti chiamano ottuso, egli ha gi� visto e indovinato il significato e il
legame dei fenomeni della sfera che lo circonda, senza confessarlo n� a se stesso,
n� agli altri.
Forse gi� da un pezzo Iljusha nota e capisce quel che dicono e fanno in sua
presenza: come il suo papa, in pantaloni di felpa e in giubba di panno marrone
ovattata, va su e gi� per la stanza, da un angolo all'altro, tutto il giorno, colle
mani dietro la schiena, e annusa tabacco e si soffia il naso, mentre mammina passa
dal caff� al t�, dal t� al pranzo; e sa che al padre non viene mai neppure in mente
di controllare quanti covoni sono stati falciati o mietuti, o di punire una
mancanza; e sa anche che, se non gli si da subito il fazzoletto da naso, comincia a
gridare che tutto � in disordine e mette sottosopra la casa.
Forse l'intelligenza del fanciullo gi� da un pezzo ha deciso che cos� bisogna
vivere, come vivono gli adulti intorno a lui e non altrimenti. E come potrebbe
infatti giudicare altrimenti? E come vivevano gli adulti in Obl�movka?
Si ponevano essi la questione: perch� ci � data la vita? Dio lo sa! E come vi
rispondevano? Probabilmente in nessun modo: la cosa sembrava loro molto semplice e
chiara. Essi non avevano sentito nulla di una cosiddetta vita operosa, di uomini
che portano nel petto tormentose preoccupazioni, e che per questo o quel motivo
vagano da un angolo all'altro sulla faccia della terra, o consacrano la loro vita
ad un lavoro eterno, senza fine.
Gli abitanti di Obl�movka credevano poco anche alle agitazioni dell'anima, e non
ritenevano vita il turbine delle eterne aspirazioni verso chiss� quali luoghi e
cose; temevano come il fuoco l'entusiasmo delle passioni; e come in altri uomini il
corpo � rapidamente consumato dal lavoro vulcanico del fuoco interno, spirituale,
cos� l'anima degli abitanti di Obl�movka annegava tranquillamente, senza scosse nei
flaccidi corpi.
La loro vita non era segnata, come in altri, da rughe precoci, n� da colpi e
sofferenze morali distruttori. Quella brava gente non concepiva la vita altrimenti
che come un ideale di tranquillit� e d'inerzia, disturbata di tempo in tempo da
vari casi spiacevoli, come le malattie, le perdite, le contese, e tra l'altro il
lavoro. Essi sopportavano il lavoro come una punizione, che era stata inflitta gi�
ai nostri avi, ma non lo potevano amare e sempre, ad ogni occasione, cercavano di
liberarsene, ritenendo ci� possibile e necessario. Mai si agitavano per nebulose
questioni spirituali o morali: per questo erano sempre fiorenti di salute e di
allegria e vivevano a lungo; uomini di quarantanni sembravano dei giovinetti; i
vecchi non lottavano con la morte difficile e tormentosa, ma, avendo vissuto fino
all'inverosimile, morivano come di nascosto, irrigidendosi piano piano ed emettendo
l'ultimo sospiro senza accorgersene. Per questo si dice che gli uomini prima erano
pi� forti. S�, in verit� pi� forti: prima non si affrettavano a spiegare al
fanciullo il significato della vita e a prepararlo ad essa come a qualche cosa di
serio e di complicato: non lo affaticavano sui libri, che generano nella testa la
nebbia di questioni che rodono la mente e il cuore e accorciano la vita.
La norma della vita era pronta e veniva loro data dai genitori che l'avevano
ricevuta, anche pronta, dai nonni, e i nonni dai bisnonni, col comandamento di
vegliare sulla sua santit� e intangibilit�, come sul fuoco di Vesta. E come si
faceva al tempo dei nonni e dei padri, come si faceva all'epoca del padre di Il'j�
Il'�tch, cos�, forse, si fa anche adesso a Obl�movka. A che cosa avrebbero dovuto
pensare, di che cosa avrebbero dovuto inquietarsi, che cosa indagare e quali fini
raggiungere?
Tutto ci� era inutile: la vita come un fiume tranquillo scorreva accanto a loro;
essi non dovevano far altro che sedersi sulla riva di questo fiume e osservare gli
inevitabili fenomeni che, a turno, senza essere chiamati, si manifestavano davanti
a ognuno di loro.
Ed ecco all'immaginazione del dormente Il'j� Il'�tch si presentano a turno, come
quadri vivi, anche i tre principali atti della vita, che si sono svolti nella sua
famiglia come presso i suoi parenti e conoscenti: la nascita, le nozze, i funerali.
Poi si svolse una variopinta processione suddivisa in scene allegre e tristi: il
battesimo, l'onomastico, le feste familiari, l'inizio del digiuno, la fine del
digiuno e i pranzi chiassosi, e le visite di famiglia, saluti, congratulazioni,
lacrime e sorrisi ufficiali. Tutto veniva adempiuto con tanta precisione, tanta
importanza e solennit�!
Gli si presentavano perfino dei volti e la loro espressione in occasioni diverse,
il loro aspetto preoccupato o inquieto. Se si fosse dato loro da combinare un
qualsiasi matrimonio difficile o da preparare delle nozze solenni, o degli
onomastici, avrebbero fatto tutto secondo tutte le regole, senza trascurare il pi�
piccolo particolare. Dove ognuno dovesse essere messo a sedere, che cosa e come si
dovesse servire a tavola, chi dovesse andare alle cerimonie, come interpretare i
segni: in tutto ci� nessuno in Obl�movka commetteva il minimo errore.
Come non saprebbero crescere un bambino? Basta dare un'occhiata ai pesanti e rosei
amorini che quelle mamme portano in braccio o conducono per mano. Esse ci tengono a
che i figli siano grassottelli, bianchi e sani.
Essi rinnegheranno la primavera e non vorranno saperne se al principio di essa non
avranno arrostito un'allodola. Come potrebbero non sapere e non far tutto ci�?
Qui � tutta la loro vita e la loro scienza, qui son tutti i loro dolori e le loro
gioie; essi scacciano perci� qualsiasi preoccupazione e tristezza e non conoscono
altre gioie; la loro vita non � stata che un succedersi di questi avvenimenti
fondamentali e inevitabili, che hanno dato infinito nutrimento alla loro mente e al
loro cuore.
Essi con cuore palpitante aspettavano la festa, il banchetto o la cerimonia, e poi,
battezzato, sposato o seppellito qualcuno, dimenticavano lui e il suo destino e si
sprofondavano nella consueta apatia, dalla quale li ricacciava fuori un nuovo
avvenimento simile, un onomastico, un matrimonio e cos� via.
Non appena nasceva un bambino, la prima preoccupazione dei genitori era di
compiere, con la maggior precisione possibile, senza dimenticar proprio nulla,
tutte le cerimonie richieste dal decoro, cio� imbandire, dopo il battesimo, un
banchetto; dopo cominciavano le attente cure del bimbo. La madre poneva a se stessa
e alla "njanja" questo compito: far crescere un bimbo sano, proteggerlo contro i
raffreddori, contro il malocchio e altre circostanze avverse. Le pi� gravi
preoccupazioni erano rivolte a che il bimbo fosse sempre allegro e mangiasse molto.
Non appena il ragazzo stava ben piantato sulle proprie gambe, non appena cio� non
aveva pi� bisogno di bambinaia, nel cuore della madre si infiltrava il segreto
desiderio di trovargli una compagna, anch'essa quanto pi� fosse possibile sana e
rosea. E di nuovo sopraggiungeva un periodo di feste, di banchetti, infine le
nozze: in questo si concentrava tutto il pathos della vita! Poi cominciava la
ripetizione: nascita dei bambini, cerimonie, banchetti, fino a che i funerali non
mutavano lo scenario; ma non per lungo tempo: gli uni cedevano il posto agli altri,
i bambini diventavano giovanotti e nello stesso tempo fidanzati, si sposavano,
mettevano al mondo altri esseri eguali a loro, e cos�, secondo questo programma, la
vita si allungava come una trama infinita, uniforme, per strapparsi
inavvertitamente sull'orlo stesso della tomba.
Premevano, � vero, di tempo in tempo anche altre preoccupazioni, ma gli abitanti di
Obl�movka le accoglievano per la maggior parte con una stoica immobilit�, e le
preoccupazioni, dopo aver turbinato intorno al loro capo, passavano via, come
uccelli che volano contro una parete liscia, e, non trovando un punto dove
ripararsi, battono invano con le ali contro le dure pietre e volano oltre.
Cos�, per esempio, un giorno era crollata una parte della galleria che girava
intorno ad un lato della casa e aveva seppellito sotto le sue macerie una chioccia
coi pulcini: anche Aksin'ja, la moglie di Ant�p, che sedeva sotto la galleria con
l'arcolaio, avrebbe avuta la parte sua se in quel momento, per sua fortuna, non
fosse andata a prendere del lino. In casa ci fu allarme: tutti corsero, dal pi�
grande al pi� piccolo, e inorridirono al pensiero che, al posto della chioccia coi
pulcini, avrebbe potuto passeggiar l� la padrona con Il'j� Il'�tch. Tutti fecero
�ah! oh!� e cominciarono a rimproverarsi a vicenda di non aver pensato prima: uno a
ricordare la cosa, l'altro a dare ordine di riparare, il terzo a riparare. Tutti
erano meravigliati che la galleria fosse crollata, e la vigilia tutti erano
meravigliati che ancora si reggesse! Cominciarono discussioni sul modo di
rimediare, poi compatimenti per la chioccia e i pulcini, e a poco a poco ognuno
torn� al suo posto, dopo aver severamente proibito di lasciar andare Il'j� Il'�tch
alla galleria pensile. Poi, dopo tre settimane, fu ordinato ad Andrjushka, a
Petrushka e a Vas'ka di raccogliere i rottami e di trascinarli nella rimessa,
affinch� non ingombrassero il cammino. L� essi rimasero fino alla primavera.
Il vecchio Oblomov, ogni volta che li vedeva dalla finestra, cominciava a pensare
al restauro: chiamava il falegname, si consigliava con lui come fosse meglio fare:
costruire una galleria nuova o buttar gi� anche gli avanzi, poi lo rimandava a casa
dicendo:
- Va', ci penser� su.
Questo continu� fino a che Vas'ka, o Mot'ka, venne a dire al padrone che la mattina
era salito sugli avanzi della galleria e aveva veduto come gli angoli fossero ormai
del tutto staccati dai muri, e che da un momento all'altro si poteva avere un altro
crollo. Allora fu chiamato di nuovo il falegname per un consiglio definitivo, in
seguito al quale si decise di puntellare coi vecchi rottami la parte rimasta della
galleria, il che fu fatto alla fine del mese.
- Eh! la galleria sembra rimessa a nuovo! - disse il vecchio Oblomov alla moglie. -
Guarda come Fed�r ha diviso bene i sostegni, come le colonne della casa del
maresciallo! Cos� va bene, durer� ancora un pezzo!
Qualcuno venne a ricordargli che si sarebbero potuti accomodare anche il portone e
la scala, perch� attraverso gli scalini andavano a finire in cantina non soltanto i
gatti, ma anche i maiali.
- S�, s�, bisogna accomodarli, - rispose soprappensiero Il'j� Iv�novitch e si rec�
subito a esaminare la scala.
- Infatti, vedi, dondola tutta, - disse egli, facendo tremare coi piedi la scala,
come una culla.
- Ma dondolava anche quando fu fatta, - not� qualcuno.
- E che vuoi dire che dondolasse? - domand� Oblomov. - Non � venuta gi�, e sono gi�
sedici anni che non si ripara. Che bel lavoro ha fatto Luk�!... Quello era un
falegname... ed � morto. Dio l'abbia in gloria! Adesso la gente s'� guastata, non
lavora pi� cos�.
Ed egli volse gli occhi altrove e la scala, a quanto pare, balla ancora e non �
venuta gi�. Si vede che era davvero un magnifico falegname quel Luk�.
Del resto bisogna render giustizia ai padroni: qualche volta per una disgrazia o
per un inconveniente essi si agitavano sul serio, si riscaldavano e inquietavano.
Come � possibile trascurare o lasciar questo o quello? Bisogna prender subito delle
misure. E non si parla che del modo di riparare il ponte che attraversa il canale o
di chiudere in un dato punto il giardino perch� gli animali non guastino gli
alberi, perch� una parte del recinto era gi� in terra. Il'j� Iv�novitch spingeva la
sua dirigenza a tal punto che una volta, mentre passeggiava per il giardino, tir�
su con le sue stesse mani brontolando e sospirando il recinto, e ordin� al
giardiniere di mettere al pi� presto due pali: il recinto, grazie a questa
accortezza di Oblomov, resistette cos� tutta l'estate, e solo in inverno la neve lo
ributt� gi�.
Finalmente si arriv� a mettere tre nuove tavole al ponticello subito dopo che Ant�p
era caduto gi� nel canale col cavallo e la botte. Egli non aveva fatto ancora in
tempo a guarire che il ponte era di nuovo a posto.
Le vacche e le capre non guadagnarono molto neppure dalla nuova caduta del recinto
nel giardino: esse avevano soltanto mangiato un po' di ribes e si erano messe a
scorticare il decimo tiglio, ma fino ai meli non erano arrivate, quando venne
l'ordine di chiudere il recinto come si deve, circondandolo magari anche di un
canaletto. Due vacche e una capra furono colte in fallo ed ebbero il fatto loro:
una buona bastonata!
Il'j� Il'�tch vede ancora in sogno il grande scuro salotto nella casa paterna, con
le antiche poltrone di legno d'ontano, che eran sempre coperte d'una foderina, con
l'enorme, sgraziato e duro divano di velluto azzurro scolorito e macchiato e una
sola grande poltrona di cuoio.
Comincia la lunga sera d'inverno.
La madre siede sul divano, con le gambe tirate sotto, e fa pigramente la calza per
il ragazzo, sbadigliando e grattandosi di tempo in tempo la testa col ferro da
calza. Accanto a lei sono sedute Nastas'ja Iv�novna e Pelageja Ign�t'evna e, col
naso chinato sul lavoro, cuciono diligentemente per i giorni di festa qualche cosa
per Iljusha, o per suo padre, o per se stesse.
Il padre, con le mani dietro il dorso, va su e gi� per la stanza, tutto
soddisfatto, oppure si siede nella poltrona, e, dopo essere rimasto un po' seduto,
ricomincia ad andare su e gi�, ascoltando attentamente il rumore dei propri passi.
Poi annusa del tabacco, si soffia il naso e annusa di nuovo.
Nella camera brucia senza luccicore una sola candela di sego, e questa � permessa
soltanto nelle sere d'inverno e di autunno. Nei mesi d'estate tutti cercavano di
coricarsi e di alzarsi senza candela, alla luce del giorno. Ci� avveniva in parte
per abitudine, in parte per economia. Gli Oblomov erano avarissimi ogni qualvolta
si trattava di cose che non venivano prodotte in casa, ma che bisognava comprare.
Avrebbero tirato il collo con gioia ad un magnifico tacchino o a una dozzina di
pollastre per l'arrivo di un ospite, ma non avrebbero messo un chicco d'uva passa
di pi� in una pietanza, ed impallidivano se lo stesso ospite aveva l'idea di
mescersi da s� un bicchiere di vino. Del resto, un tale eccesso non avveniva quasi
mai: una cosa simile la poteva fare solo uno scapestrato, un uomo perduto
nell'opinione generale: ospiti simili non si lasciavano neppur entrare.
No, l� regnavano altri costumi: l'ospite non toccava una cosa se non era stato
pregato tre volte. Egli sapeva bene che la preghiera non ripetuta conteneva in s�
la richiesta di rifiutare, pi� spesso che non d'accettare, la pietanza o il vino
che veniva offerto. E due candele non venivano accese per tutti: le candele si
compravano in citt� con denaro ed erano custodite, come tutto ci� che veniva
comprato, sotto chiave dalla padrona di casa. I mozziconi erano accuratamente
contati e conservati. In generale non si amava spendere il denaro e, per quanto la
cosa potesse essere indispensabile, i denari venivano messi fuori sempre con grande
rimpianto, e solo se la spesa era insignificante. Una spesa di una certa importanza
era accompagnata sempre da sospiri, pianti e maledizioni. Gli Oblomov
acconsentivano a sopportare incomodit� di ogni sorta, anzi si abituavano a non
considerarle incomodit�, piuttosto che spendere del denaro. Per questo anche il
divano nel salotto era da un pezzo tutto macchiato, per questo anche la poltrona di
cuoio di Il'j� Iv�novitch era di cuoio soltanto di nome, ma in realt� era mezza di
corda e mezza di stoppa: del cuoio n'era rimasto solo un pezzette sulla spalliera,
il rimanente, gi� da cinque anni era finito in pezzi ed era caduto; per la stessa
ragione, forse, le porte erano tutte storte e la scala traballava. Ma pagare per
qualche cosa, anche la pi� necessaria, duecento, trecento, cinquecento rubli
sarebbe sembrato loro quasi un suicidio.
Sentendo che uno dei giovani proprietari dei dintorni si era recato a Mosca ed
aveva pagato una dozzina di camicie trecento rubli, venticinque rubli le scarpe e
quaranta rubli un panciotto per il matrimonio, il vecchio Oblomov si fece il segno
della croce e disse con espressione di terrore in fretta e furia che un simile
pazzo bisognava mandarlo in gattabuia.
In generale essi erano sordi alle verit� politico-economiche sulla necessit� di una
circolazione rapida e viva dei capitali, sulla produzione intensiva e sullo scambio
dei prodotti. Nella semplicit� della loro anima, comprendevano e mettevano in
pratica un solo impiego di capitali: tenerli nei cassetti.
Sulle poltrone del salotto, in posizioni diverse, seggono e ronfano gli abitanti o
gli ospiti abituali della casa. Tra i presenti regna per lo pi� un profondo
silenzio; tutti si vedono tutti i giorni; i tesori spirituali sono gi�
vicendevolmente esplorati ed esauriti, e novit� dal di fuori se ne ricevono poche.
Calma; risuonano soltanto i passi dei pesanti stivali di Il'j� Iv�novitch, fatti in
casa, e l'orologio a pendolo batte sordamente nella cassetta, e il filo di tanto in
tanto strappato con la mano o coi denti da Pelageja Ign�t'evna, o da Nastas'ja
Iv�novna, rompe il profondo silenzio... Cos� qualche volta passa una mezz'ora non
interrotta che dallo sbadiglio rumoroso di qualcuno che poi si fa il segno della
croce sulla bocca, dicendo: �Signore Iddio!�
Dopo di lui sbadiglia il vicino, poi il seguente, adagio, come per un comando,
spalanca la bocca e cos� via, il gioco contagioso dell'aria nei polmoni fa il giro
di tutti quanti, e qualcuno ha le lacrime agli occhi.
Oppure Il'j� Iv�novitch va alla finestra, getta fuori un'occhiata e dice con una
certa sorpresa:
- Non sono ancora le cinque ed � gi� buio!
- S�, - risponde qualcuno, - in questa stagione � sempre buio; cominciano le serate
lunghe.
E in primavera si meravigliano e si rallegrano che comincino le lunghe giornate. Ma
se domandate a cosa servano loro queste lunghe giornate, essi stessi non lo sanno.
E di nuovo tacciono.
Allora qualcuno comincia a smoccolare la candela e a un tratto la spegne; tutti si
agitano:
- Vuoi dire che verr� un ospite inaspettato! - dice immancabilmente qualcuno.
A volte su questo tema si svolge la conversazione.
- Che ospite potrebbe essere? - domanda la padrona. - Nastas'ja Fadd�evna? Ah,
volesse il ciclo! Ma no; prima della festa non viene. Che piacere sarebbe! Come ci
si abbraccerebbe e come si piangerebbe insieme! E si andrebbe a mattutino e a Messa
insieme... Ma io non le tengo dietro! Cosa fa che son pi� giovane, non potrei star
tanto tempo in piedi!
- Ma quando � andata via? - domanda Il'j� Iv�novitch, - se non mi sbaglio dopo
sant'Elia.
- Ma che dici, Il'j� Iv�novitch; fai sempre confusione, tu! Non ha aspettato
neppure il "semik" (Festa del settimo gioved� dopo Pasqua), - rettifica la moglie.
- Se non mi sbaglio, era qui per il digiuno di san Pietro, - ribatte Il'j�
Iv�novitch.
- Tu sei sempre cos�! - dice la moglie con tono di rimprovero. - Discuti e ti copri
di vergogna...
- Ma come, non era qui per il digiuno di san Pietro? Si fecero allora le torte coi
funghi, che le piacciono...
- Ma era Mar'ja On�simovna: a lei piacciono le torte coi funghi; come non te ne
ricordi! Ma anche Mar'ja On�simovna non � stata fino a sant'Elia, ma solo fino ai
santi Prochor e Nikan�r.
Essi calcolavano il tempo secondo i giorni di festa, secondo le stagioni, secondo
gli avvenimenti familiari, senza riferirsi mai ai mesi e ai giorni. Forse questo
avveniva anche perch�, tranne Oblomov, gli altri confondevano anche i nomi dei mesi
e l'ordine dei giorni.
Lo sconfitto Il'j� Iv�novitch tace di nuovo e tutta la societ� ripiomba nella sua
sonnolenza. Iljusha, che � caduto dietro la schiena della madre, sonnecchia anche
lui, ed anzi qualche volta dorme addirittura.
- S�, - dice poi uno degli ospiti con un profondo sospiro, - ecco, il marito di
Mar'ja On�simovna, il defunto Vasilij Fom�tch, era un uomo santo, Dio l'abbia in
gloria, e pure � morto! Non ha raggiunto neppure i sessant'anni, e avrebbe potuto
viverne cento!
- Tutti moriremo, quando... questo � nelle mani di Dio! - ribatte Pelageja
Ign�t'evna con un sospiro. - Si muore, ma intanto in casa dei Chlopov non fanno in
tempo a battezzare tutti i nuovi nati; ho sentito dire che Anna Andr�evna ha
partorito di nuovo: � il sesto figlio.
- Come se fosse solo Anna Andr�evna! - dice la padrona, - quando si sposer� il
fratello e verranno i figli, s� che i fastidi cresceranno ancora! Anche i pi�
giovani crescono e debbono sposarsi; e l� bisogna far sposare le figliole, e dove
sono tanti fidanzati? Adesso vogliono tutti una dote e per di pi� in contanti...
- Che dite? - domanda Il'j� Iv�novitch, avvicinandosi a quelli che discorrono.
- Ecco, diciamo che...
E gli ripetono il racconto.
- Questa � la vita umana! - nota con aria di maestro Il'j� Iv�novitch. - Uno muore,
un altro nasce, un terzo si sposa, e noi tutti diventiamo vecchi: e nessun giorno
somiglia all'altro, come nessun anno all'altro! E perch� � cos�? Come sarebbe bello
se oggi fosse come ieri, e ieri come domani!... Ti piglia la malinconia, se ci
pensi...
- Il vecchio invecchia, e il giovane cresce, - disse qualcuno in un angolo con voce
assonnata.
- Bisogna pregare di pi� Dio e non pensare a niente! - osserv� severamente la
padrona di casa.
- E' vero, � vero, - fece eco in fretta e angosciato Il'j� Iv�novitch, che ebbe per
un momento la tentazione di filosofare, e poi riprese a camminar per la stanza.
Silenzio di nuovo per un lungo tratto; si sente solo il leggero sibilo del filo che
va su e gi� tirato dall'ago.
Qualche volta la padrona interrompe il silenzio.
- S�, � buio nel cortile, - dice. - Ecco, se Dio ci lascer� arrivare fino alla
festa, verranno i parenti, e si star� pi� allegri e non ci si accorger� di come
passeranno le sere. Se venisse Malan'ja Petrovna, allora s�, ci si divertirebbe!
Che cosa non ti combina! Fondere il piombo, far sciogliere la cera (Per vedete le
figure che ne risultano: usi superstiziosi popolari per interrogare la sorte) e
correre dietro il portone; mi mette sottosopra tutte le ragazze. Combina una
quantit� di giochi... � un bel tipo davvero!
- S�, � una dama di mondo! - nota uno degli ospiti. - Tre anni fa organizz� anche
delle corse gi� per il monte, e fu allora che Luk� Savvitch si fer� al
sopracciglio...
A un tratto tutti si rianimano, guardano Savvitch e scoppiano a ridere.
- Come mai, Luk� Savvitch? Racconta, racconta! - dice Il'j� Iv�novitch e muore
dalle risa.
E tutti continuano a ridere, e Iljusha si sveglia e ride anche lui.
- Cosa c'� da raccontare! - dice imbarazzato Luk� Savvitch. - Ha inventato tutto
Aleks�j Naumytch: non c'� stato proprio nulla!
- Eh! - ribattono tutti in coro. - Come non c'� stato nulla? Che siamo morti,
forse?... E la fronte? Ci si vede ancora una striscia...
E scoppiano a ridere.
- Perch� ridete? - cerca di dire Luk� Savvitch, fra una pausa e l'altra delle
risate. - Io... non � cos�... � stato Vas'ka, quel brigante... mi diede una slitta
vecchia e mi scapp� via, e io...
Una risata generale copr� la sua voce. Invano egli tent� di raccontare fino alla
fine la storia della sua caduta: il riso si propag� per tutta la compagnia, pass�
nell'anticamera e nella camera delle serve, si impadron� di tutta la casa, tutti
ricordarono il comico avvenimento, tutti risero a lungo, concordemente e
"indescrivibilmente", come d�i dell'Olimpo. Non appena cominciavano a tacere,
qualcuno riprendeva e s'era da capo. Finalmente, in qualche modo, a fatica si
calmarono.
- E cos�, andrai di nuovo in slitta queste feste, Luk� Savvitch? -domand�, dopo un
po' di silenzio, Il'j� Iv�novitch.
Di nuovo uno scoppio generale di risa che dur� dieci minuti.
- Non si potrebbe ordinare ad Ant�p di preparare un monticello durante la
quaresima? - dice di nuovo all'improvviso Oblomov, - Luk� Savvitch ama inoltre
scivolar gi�, non ha pazienza...
Il riso di tutta la compagnia non gli permise di parlare.
- Ed � ancora intera quella... slitta, eh? - domand� uno dei presenti attraverso il
riso.
Di nuovo una risata.
Risero a lungo tutti e finalmente a poco a poco si calmarono: uno si asciug� le
lacrime, un altro si soffi� il naso, un terzo toss� furiosamente e sput�, dicendo
con fatica:
- Ah! Signore Iddio! Il catarro mi ha soffocato... ci fece ridere allora, davvero!
Un peccato simile! La schiena in alto e le falde del caffettano all'aria...
Qui segu� l'ultimo definitivo scoppio di risa, il pi� lungo, e poi tutti tacquero.
Uno sospir�, un altro sbadigli� forte mentre diceva qualcosa, e tutto piomb� nel
silenzio. Si sent� come prima solo il tic-tac del pendolo, il battere degli stivali
di Oblomov e il leggero rumore del filo strappato coi denti. A un tratto Il'j�
Iv�novitch si ferm� in mezzo alla stanza con aria inquieta, tenendosi la punta del
naso.
- Che disgrazia � mai questa? guardate qua! - disse egli. - Ci sar� un morto: mi
prude la punta del naso...
- Ah, Signore Iddio! - disse la moglie, battendo le mani. - Perch� ci deve essere
un morto dal momento che prude la punta del naso? Il morto c'� se il naso prude
alla base. Ah, che smemorato che sei, Il'j� Iv�nytch, che il Signore ti assista! Se
tu dicessi questo in societ�, o quando ci sono degli ospiti, che vergogna!
- E cosa vuoi dire quando prude la punta del naso? - domand� confuso Il'j�
Iv�novitch.
- Che guarderai in un bicchiere. Come ti pu� venire in mente: un cadavere!
- Faccio sempre confusione! - disse Il'j� Iv�novitch. - Come ci si pu� ricordare di
tutto? ora prude il naso da un lato, ora in cima, ora prudono le sopracciglia...
- Da un lato, - cominci� Pelageja Iv�novna, - significa notizie: se prudono le
sopracciglia, significa lacrime; se prude la fronte, vuoi dire che bisogna
inchinarsi: se prude a destra, ad un uomo, se a sinistra ad una donna; se prudono
gli orecchi, vuoi dire che verr� a piovere; se prudono le labbra, bisogner� baciare
qualcuno; se i baffi, significa dolciumi; se il gomito, dormire in un posto nuovo;
se la pianta dei piedi, un viaggio...
- Brava, brava davvero, Pelageja Iv�novna! - disse Il'j� Iv�novitch. - E quando il
burro coster� poco, ti pruder� la nuca, eh?...
Le donne cominciarono a ridere e a bisbigliare; alcuni fra gli uomini sorrisero; si
preparava di nuovo uno scoppio di risa, ma in quel momento si sent� nella stanza un
rumore che sembrava nello stesso tempo e il ringhiare di un cane e lo sbuffare di
un gatto, quando si accingono a scagliarsi l'un contro l'altro. Era l'orologio a
pendolo che batteva le ore.
- Ah, sono gi� le nove! - disse Il'j� Iv�novitch con allegra sorpresa. - Caspita,
non ci si accorge nemmeno di come passa il tempo. Ehi, Vas'ka, Van'ka, Mot'ka!
Apparvero tre facce insonnolite.
- Perch� non mettete in tavola? - domand� con sorpresa e dispetto Oblomov. - Ai
padroni non ci pensate neppure, eh? Cosa state l� impalati? Presto, la vodka!
- Ecco perch� prudeva la punta del naso! - disse vivacemente Pelageja Iv�novna. -
Berrete la vodka e guarderete nel bicchiere.
Dopo cena, dopo essersi baciati e fatti il segno della croce l'un l'altro, se ne
vanno tutti a letto e il sonno regna sulle loro teste sgombre di fastidi.
Il'j� Il'�tch non vede in sogno soltanto una o due di simili serate, ma intere
settimane, mesi ed anni di giornate e serate trascorse in questo modo.
Niente disturbava l'uniformit� di questa vita, e gli Oblomov stessi non ne
sentivano il peso, perch� non s'immaginavano neppure un altro andamento di vita; e
quando se lo fossero potuto immaginare, l'avrebbero certamente evitato con orrore.
Un'altra vita essi non la volevano, e non l'avrebbero amata. Avrebbero sofferto se
le circostanze avessero portato mutamenti nella loro esistenza, qualunque essi
fossero. Avrebbero avuto malinconia se l'indomani non fosse stato come il giorno
innanzi, e il posdomani come il domani.
A che la variet�, i mutamenti, i casi imprevisti che gli altri ricercano? Gli altri
vuotino pure questa tazza, � affare che non riguarda loro, gli Oblomov. Che gli
altri vivano pure come loro piace. Gli incidenti, anche se portano qualche
vantaggio, agitano sempre: essi richiedono che ci si preoccupi, ci si dia da fare,
che si corra su e gi�, che non si abbia pace: traffica, scrivi, in una parola,
muoviti. Bel divertimento!
Per interi decenni essi hanno sbuffato, sonnecchiato e sbadigliato, o sono
scoppiati in bonarie risate per qualche arguzia campagnola o, raccolti in circolo,
hanno raccontato quel che han sognato la notte.
Se il sogno era terribile, tutti si facevano pensierosi, avevano paura per davvero;
se era profetico, tutti si rallegravano o rattristavano sinceramente, secondo che
nel sogno era stato visto qualcosa di triste o di confortante. Se il sogno
richiedeva l'adempimento di qualche scongiuro, si prendevano subito efficaci
misure.
Oppure si giocava a carte, a questo o quel gioco di societ�, e i giorni di festa si
faceva con gli ospiti una partita di "boston", o un solitario, o si strologava sul
re di cuori o sulla dama di picche, predicendo matrimoni.
Qualche volta veniva per una, due settimane una qualsiasi Natal'ja Fadd�evna. Da
principio le vecchiette passavano in rivista tutti i dintorni: come vive questo,
cosa fa quest'altro; esse ficcavano il naso non soltanto nell'esistenza familiare,
nella vita che si svolge dietro le quinte, ma anche nei pensieri e nei propositi di
ciascuno, scrutavano in fondo alle anime, criticavano, condannavano gli indegni,
specialmente i mariti infedeli, poi passavano in rassegna i diversi avvenimenti:
onomastici, battesimi, nascite, il trattamento fatto da questo e da quello ai
propri ospiti, chi era invitato e chi no.
Stanche di questo, cominciano a mostrare i loro abiti nuovi, i cappotti e perfino
le sottane e le calze. La padrona di casa si vanta di certe tele, di certi filati o
merletti fatti in casa.
Ma anche questo viene a noia. E allora prendono il caff�, il t�, mangiano
marmellate. Poi subentra di nuovo il silenzio. E stanno l� sedute per un pezzo,
guardandosi l'un l'altra, e di tanto in tanto sospirano pesantemente. Qualche volta
una di esse si mette a piangere.
- Che hai, cara? - domanda un'altra tutta agitata.
- Ah, che tristezza! - risponde l'ospite con un profondo sospiro. - Abbiamo
irritato il Signore Iddio, noi disgraziate. Non ne verr� bene.
- Ah, non farci paura, non sgomentarci, cara! - interrompe la padrona di casa.
- S�, s�, - continua quella. - Sono venuti gli ultimi giorni: un popolo andr�
contro l'altro, un regno contro l'altro... verr� la fine del mondo! - dice
finalmente Natal'ja Fadd�evna, e tutt'e due piangono amaramente.
Natal'ja Fadd�evna non aveva nessuna ragione di arrivare a tale conclusione,
nessuno s'era alzato contro un altro; quell'anno non c'era stata nemmeno la cometa,
ma le vecchie hanno talora degli oscuri presentimenti.
Alle volte questo modo di passare il tempo � interrotto da qualche caso
inaspettato, quando, per esempio, tutti quanti in casa, grandi e piccoli, si
ammalano di asfissia.
Di altre malattie non si sentiva quasi neppur parlare in casa e in campagna; poteva
accadere che qualcuno urtasse nell'oscurit� contro un palo o rotolasse gi� dal
fienile, o che dal tetto cascasse gi� una tavola e colpisse qualcuno in testa. Ma
tutto ci� accadeva di rado, e contro questi casi inaspettati si adoperavano mezzi
casalinghi e provati: il punto colpito era strofinato con spugna di fiume o con
levistico; si faceva bere dell'acqua benedetta o si bisbigliavano delle preghiere,
e tutto era passato.
I casi di asfissia erano invece frequenti. Allora tutti si stendono nel letto; si
sentono esclamazioni, sospiri; uno mette la testa fra i cetrioli e se l'avvolge con
un asciugamano; un altro si mette delle bacche di mortella negli orecchi e odora
del rafano, un terzo in camicia esce fuori al gelo, un quarto si rotola in terra
senza sentimento. Ci� avveniva periodicamente una o due volte al mese, perch� il
calore non lo volevano lasciare andare inutilmente nel tubo e chiudevano le stufe
quando c'erano ancora in esse delle fiamme come in "Roberto il diavolo". Non si
potevano appoggiar le mani n� sulle stufe n� sulle panche: come niente ti venivan
le bolle.
Una volta tuttavia l'uniformit� della vita fu disturbata da un caso veramente
impreveduto. Quando, riposatisi dopo il laborioso pranzo, tutti quanti si erano
riuniti per il t�, a un tratto, di ritorno dalla citt�, arriv� uno dei contadini di
Obl�movka e dopo lunghi sforzi si cav� di seno una lettera tutta gualcita
indirizzata ad Il'j� Ivanytch Oblomov.
Tutti ammutolirono; la padrona si cangi� perfino un poco in viso; e gli occhi di
tutti si tesero e i nasi si allungarono verso la lettera.
- Che roba � mai questa! E da chi viene? - riusc� a dire finalmente la padrona,
tornando in s�.
Oblomov prese la lettera e incerto se la rigir� tra le mani, non sapendo cosa
farne.
- E tu dove l'hai presa? - domand� al contadino. - Chi te l'ha data?
- L�, alla locanda, in citt�, dove m'ero fermato, - rispose il contadino, - vennero
due volte dalla posta a domandare se non c'era nessun contadino di Obl�movka:
dicono, c'� una lettera per il signore.
- E cos�?
- Cos� da principio io mi nascosi; e il soldato and� via con la lettera! Ma il
sacrestano di Verchl�vo mi vide e lo disse. Allora vennero di nuovo. E appena
vennero, cominciarono a ingiuriarmi e mi diedero la lettera; vollero anche cinque
copeche. Io domandai cosa dovevo fare, dove la dovevo mettere. E cos� mi ordinarono
di consegnarla a Vostra Grazia.
- E tu non la dovevi prendere, - osserv� irritata la padrona.
- E io non la presi. Cosa ci serve, una lettera, dico, noi non ne abbiamo bisogno.
Noi non abbiamo avuto l'ordine di prendere delle lettere, dico, io non mi
arrischio; andateci voi con la lettera! Allora venne il soldato a ingiuriarmi sul
serio; voleva reclamare ai superiori, e io la presi.
- Stupido! - disse la padrona.
- Da chi mai pu� venire? - disse soprappensiero Oblomov, guardando l'indirizzo. -
La scrittura mi par di conoscerla, davvero!
E la lettera pass� da una mano all'altra. Cominciarono a far chiacchiere e
congetture: da chi poteva venire, di cosa si poteva trattare? Finirono con l'essere
tutti in imbarazzo.
Il'j� Iv�novitch ordin� che gli cercassero gli occhiali; li cercarono per un'ora e
mezzo. Finalmente egli li inforc� e gi� stava per aprir la lettera.
- Lascia stare, non l'aprire, Il'j� Ivanytch, - lo ferm� impaurita la moglie, -
chiss� mai che lettera �? forse qualche cosa di terribile, qualche disgrazia. Sai
bene com'� la gente adesso! Farai a tempo domani o doman l'altro: non ti scappa
mica.
E la lettera insieme con gli occhiali fu messa sotto chiave. Tutti si occuparono
del t�. E la lettera sarebbe rimasta chiusa per degli anni, se non si fosse
trattato d'un avvenimento troppo straordinario, che aveva messo tutti in
agitazione. Dopo il t� e tutto il giorno dopo non si fece che parlar della lettera.
Finalmente non Tessero pi� e il quarto giorno, riunitisi tutti quanti, ansiosi,
tolsero i suggelli alla lettera. Oblomov gett� un'occhiata alla firma.
- �Radishtchev�, - lesse egli. - Ah, � di Fil�pp Matv�evitch!
- Ah! eh! Guarda un po' da chi viene! - cominciarono a dire da tutte le parti. -
Come, � ancora vivo? Guarda un po', non � ancora morto! Grazie a Dio! Cosa scrive?
Oblomov cominci� a leggere ad alta voce. Risult� che Fil�pp Matv�evitch chiedeva la
ricetta della birra, che veniva fatta molto bene ad Obl�movka.
- Che gli si mandi, gli si mandi! - dissero tutti. - Bisogna scrivere una lettera.
E cos� passarono due settimane.
- Bisogna scrivere, bisogna! - ripeteva Il'j� Iv�novitch alla moglie. - Dov'� la
ricetta?
- E dov'� la ricetta? - rispose la moglie. - Bisogna cercarla. Aspetta, perch�
affrettarsi? Aspettiamo, se Dio vuole, fino alla festa; facciamo il digiuno e poi
scriverai; non scappa mica...
- Infatti, � meglio che scriva anche della festa, - disse Il'j� Iv�novitch.
Il giorno della festa il discorso cadde di nuovo sulla lettera. Il'j� Iv�novitch si
accinse decisamente a scrivere. Si ritir� nello studio, inforc� gli occhiali e
sedette al tavolino. Nella casa regnava un profondo silenzio: era stato dato ordine
di non far rumore e di camminare in punta di piedi.
- Il padrone scrive! - dissero tutti con una voce cos� timida e rispettosa, come
quando in casa c'� un morto.
Egli aveva soltanto scritto: �Egregio signore�, lentamente, storto, con la mano
tremante e con tanta attenzione come se avesse fatto qualche operazione pericolosa,
quando entr� da lui la moglie.
- Ho cercato, cercato, la ricetta non c'�, - disse ella. - Bisogna cercare ancora
nell'armadio in camera da letto. Ma la lettera come bisogner� mandarla?
- Con la posta, - rispose Il'j� Iv�novitch.
- E quanto costa?
Oblomov prese un vecchio calendario.
- Quaranta copeche, - disse egli.
- Ecco, buttar via quaranta copeche per una sciocchezza! - osserv� ella. - Sar�
meglio aspettare che capiti qualche occasione. Di' ai contadini di informarsi.
- Veramente, sar� meglio aspettare un'occasione, - rispose Il'j� Iv�novitch e,
fatta schioccar la penna contro la tavola, la ficc� nel calamaio e si tolse gli
occhiali. - Davvero, � meglio, - concluse. - Non scappa mica: faremo a tempo.
Non si sa se Fil�pp Matv�evitch riusc� ad aver la ricetta.
Il'j� Iv�novitch qualche volta prendeva anche un libro in mano; gli era
indifferente quale. Egli non pensava neppure che la lettura potesse essere una
necessit� essenziale, anzi la considerava un lusso, una di quelle cose di cui si
pu� fare facilmente a meno, cos� come si pu� aver un quadro appeso ad un muro, ma
si pu� anche non avere, si pu� andar a passeggiare, ma si pu� anche non andarci: e
perci� gli era indifferente quale libro fosse; egli lo considerava come una cosa
destinata a distrarre, contro la noia e l'ozio.
- E' un pezzo che non leggo un libro, - dice egli, oppure, cambiando la frase: -
Be', legger� un libro, - o semplicemente, passando, vede il piccolo mucchietto di
libri lasciatigli dal fratello e ne prende uno a caso, senza scegliere: il libro
dei sogni o la "Rossiade" di Cheraskov, o le tragedie di Sumarokov (Cheraskov:
autore di tragedie e poemi (1733-1807); Sumarokov: drammaturgo (1718-1778)) o,
finalmente, un giornale di tre anni prima, e legge tutto con lo stesso piacere,
dicendo di tempo in tempo:
- Guarda un po' che va a pensare! Che brigante! Che ti possano...
Queste esclamazioni si riferiscono agli autori: professione che ai suoi occhi non
godeva di nessun rispetto; egli aveva fatto proprio quel mezzo disprezzo che per
gli scrittori avevano gli uomini del passato. Anch'egli, come tanti altri allora,
considerava l'autore solo come un perditempo, un ozioso, un ubriacone, un buffone,
qualcosa di simile a un ballerino.
A volte nel giornale di tre anni prima legge qualcosa ad alta voce, per tutti, o
comunica le notizie che ha letto.
- Ecco, dall'Aja scrivono, - dice, - che sua Maest� il Re � tornato felicemente
alla reggia dopo un breve viaggio, - e dicendo ci� guarda attraverso gli occhiali
gli ascoltatori. Oppure: - A Vienna l'ambasciatore tal dei tali ha presentato le
sue credenziali.
- Ed ecco, qui scrivono, - legge ancora, - che � stata tradotta in russo un'opera
della signora Genlis.
- Traducono, si capisce, per levar i soldi di tasca a noialtri nobili, - osserva
uno degli ascoltatori, un piccolo proprietario.
E il povero Iljusha intanto va sempre a scuola da Stolz. Non appena si sveglia il
luned� mattina, subito lo prende la malinconia. Egli sente la voce stridula di
Vas'ka, che grida dalla scala:
- Antipka! Attacca il pezzato: bisogna accompagnare il padroncino dal tedesco!
Al povero Iljusha il cuore trema. Triste egli va dalla madre. Questa sa perch� il
ragazzo � triste e comincia a rincorarlo, sospirando essa stessa in segreto al
pensiero di separarsi da lui per tutta una settimana.
Non sanno che cosa dargli da mangiare quella mattina, gli cuociono panini e
tortine, e gli danno da portar con s� conserve salate e dolci, biscotti, e
ghiottonerie d'ogni genere, secche e fresche, e perfino cibarie. Tutto questo in
considerazione che dal tedesco non ci s'ingrassa.
- L� non ti sazi davvero, - dicevano ad Obl�movka, - a pranzo ti danno la minestra,
dell'arrosto, le patate, col t� il burro, ma quanto alla cena "morgen fr�h", cucc�!
Del resto, Il'j� Il'�tch vede in sogno piuttosto quei luned� in cui non sente la
voce di Vas'ka che ordina di attaccare il cavallo pezzato, e invece la madre lo
accoglie al t� con un sorriso e con la piacevole notizia:
- Oggi non vai; gioved� sar� una gran festa; vale la pena di andare avanti e
indietro per tre giorni soli?
Altre volte gli annunziano a un tratto:
- Oggi comincia la settimana in memoria dei genitori morti, altro che scuola:
faremo le ciambelle.
Oppure la mattina del luned� la madre lo guarda fisso e gli dice:
- Hai qualcosa di torbido negli occhi. Sei malato? - e dondola il capo.
Il ragazzo furbo � pi� che sano, ma sta zitto.
- Rimani a casa questa settimana, - ella dice, - e poi sia come Dio vuole.
E tutti in casa erano profondamente convinti che lo studio e la festa dei genitori
non dovevano in nessun modo coincidere e che la festa del gioved� � un impedimento
insuperabile a studiare per tutta la settimana.
Forse soltanto il servitore o la serva a cui toccava occuparsi del ragazzo
borbottava qualche volta:
- Uh, viziato! Te ne andrai presto dal tuo tedesco? Un'altra volta all'improvviso,
nella nota vettura col pezzato, si presenta Antipka a prendere Il'j� Il'�tch a met�
o al principio della settimana.
- E' arrivata Mar'ja S�vishna, oppure Natal'ja Fadd�evna, oppure i Kuzovk�v coi
ragazzi; venite a casa!
E da tre settimane Iljusha � a casa, quando, guarda un po', si � vicini alla
settimana di passione e poi c'� una festa, poi qualcheduno in casa decide che nella
settimana di san Tommaso non si va a scuola; per arrivare all'estate mancano due
settimane, non vale la pena di andare e d'estate anche il tedesco riposa; cos�,
meglio di tutto � rimandare all'autunno.
E guarda un po', Il'j� Il'�tch se l'� spassata per met� dell'anno; e com'�
cresciuto in questo tempo! Come s'� ingrassato! Come dorme saporitamente! In casa
non si saziano di ammirarlo, osservando al contrario che, quando il sabato torna
dalla scuola, � magro e pallido.
- Che ci vuoi molto perch� succeda un guaio? - dicevano il padre e la madre. - A
imparare c'� sempre tempo, e la salute non la trovi a comprare; la salute � pi�
preziosa di tutto nella vita. Quando torna da scuola, pare che sia uscito da un
ospedale; il grasso se ne va tutto, � cos� magro... e cos� sbarazzino: vorrebbe
sempre correre!
- S�, - nota il padre, - studiare non � per lui: chi riesce a torcer le corna al
montone?
E i teneri genitori continuavano a cercar pretesti per trattenere il ragazzo a
casa. E di pretesti, oltre le feste, non ne mancavano. L'inverno sembrava loro
freddo, d'estate non era bene andare col caldo, e qualche volta pioveva, e
d'autunno c'era il fango. Talvolta Antipka sembrava sospetto: � ubriaco, non �
ubriaco, guarda storto: purch� non succeda qualche disgrazia, s'impantaner� o andr�
a sbatter chiss� dove.
Gli Oblomov si sforzavano, del resto, di dare la maggior legalit� a questi
pretesti, ai propri occhi stessi, e specialmente agli occhi di Stolz, che non
risparmiava in faccia e alle spalle i suoi "donnerwetter" per questo modo di
avvezzar male il ragazzo.
I tempi dei Prostak�v e degli Skotinin (Personaggi della commedia "Il minorenne" di
D. I. Fonvizin (1745-92)) eran passati da un pezzo. Il proverbio: "lo studio �
luce, l'ignoranza � tenebra", andava gi� per i villaggi e i paesi insieme ai libri,
portati dai venditori ambulanti.
I vecchi comprendevano il vantaggio dell'istruzione, ma solo il suo vantaggio
esteriore. Essi vedevano che tutti incominciavano a farsi strada, a guadagnar cio�
gradi, croci e denari solo per via dell'istruzione; e che per i vecchi scrivani,
per i faccendieri in servizio, invecchiati nelle abitudini di una volta, fra
virgolette e crocette, andava male.
Cominciavano a girar cattive voci sulla necessit� non solo di saper leggere e
scrivere, ma di tante altre scienze di cui non s'era mai sentito nemmeno il nome.
Tra il consigliere titolare e l'assessore collegiale s'era spalancato un abisso,
per superare il quale serviva da ponte un certo diploma.
I vecchi impiegati, figli dell'abitudine, rampolli della corruzione, cominciavano a
scomparire. Molti che non avevano fatto in tempo a morire, venivano cacciati via,
perch� sospetti, altri erano messi sotto giudizio; i pi� fortunati erano quelli
che, non contando pi� sul nuovo ordine di cose, s'erano ritirati con le ossa sane
nei loro bene acquistati cantucci.
Gli Oblomov comprendevano tutto ci� e conoscevano il vantaggio dell'istruzione, ma
solo questo vantaggio esteriore. Della necessit� interiore dell'istruzione essi
avevano un concetto vago e lontano, e perci� volevano cogliere per il loro Iljusha
qualche brillante vantaggio.
Essi sognavano per lui la divisa ricamata, se lo immaginavano consigliere di corte
e la madre addirittura governatore; ma tutto ci� volevano raggiungerlo per quanto
fosse possibile a buon mercato, con ogni sorta di astuzie, girando intorno alle
pietre e agli impedimenti sparsi sulla via dell'istruzione e degli onori, senza
affaticarsi a saltarli, cio� studiando superficialmente senza esaurire l'anima e il
corpo, senza perdere quel benedetto grasso acquistato nell'infanzia, solo cos� per
salvare le forme prescritte e ottenere come che sia l'attestato nel quale fosse
detto che Iljusha aveva "studiato tutte le arti e le scienze".
Tutto questo sistema oblomoviano di educazione trovava nel sistema di Stolz una
forte opposizione. La lotta era accanita da tutte e due le parti. Stolz colpiva gli
avversari direttamente, apertamente, con tenacia, ed essi sfuggivano ai colpi con
le astuzie anzidette ed altre ancora.
La vittoria non era mai decisiva; forse la tenacia tedesca avrebbe sopraffatta
l'ostinazione e la cocciutaggine degli Oblomov, ma il tedesco trovava difficolt�
dalla sua stessa parte ed era destino che la vittoria non fosse riportata n�
dall'una, n� dall'altra parte. Il fatto � che il figlio di Stolz abituava male
Oblomov, ora suggerendogli le lezioni, ora facendo per lui le traduzioni.
Il'j� Il'�tch vede chiaramente in sogno e la propria esistenza a casa e la vita
passata presso Stolz.
A casa s'� appena svegliato che accanto al letto sta ritto Zacharka, diventato pi�
tardi il suo famoso cameriere Zach�r Trofimytch.
Zach�r, come in precedenza la "njanja", gli infila le calze, gli mette le scarpe, e
Iljusha, ragazzo gi� di quattordici anni, non ha altro da fare che tendergli,
sdraiato, ora l'una, ora l'altra gamba, e non appena gli pare che le cose non
vadano, colpisce col piede Zach�r al naso. E se, malcontento, Zach�r oser�
lamentarsi, avr� dai grandi in soprappi� uno scapaccione.
Poi Zach�r pettina il ragazzo, gli infila la giacca, facendogli passare
attentamente le braccia nelle maniche per non infastidirlo troppo, e ricorda a
Il'j� Il'�tch che bisogna far questo o quello: lavarsi appena alzato, o altro.
Se a Il'j� Il'�tch vien voglia di qualche cosa, gli basta fare un cenno e tre,
quattro servitori si precipitano a soddisfare il suo desiderio; se fa cadere
qualche cosa, oppure deve prendere una cosa e non ci arriva, subito gliela portano,
subito corrono a cercarla: alle volte, al ragazzo, svelto com'�, vien voglia di
correre e far da s�, ma ecco che il padre e la madre e le tre zie a cinque voci
cominciano a gridare:
- Perch�? Dove vai? E Vas'ka, e Van'ka, e Zacharka per cosa ci sono? Ehi! Vas'ka,
Van'ka! Zacharka! Cosa state a guardare, balordi? Ve la dar� io!...
E Il'j� Il'�tch non riesce in nessun modo a far qualche cosa per se stesso. Pi�
tardi egli trov� che cos� era comodo e impar� ad alzar la voce anche lui:
- Ehi, Vas'ka, Van'ka! da' questo, da' quello! Non voglio questo, voglio
quest'altro! Corri e porta qui!
Qualche volta la tenera premura dei genitori gli viene a noia. Se si mette a
correre gi� per la scala, o nel cortile, a un tratto dieci voci disperate risuonano
dietro di lui: - Ah! ah! tenetelo, fermatelo! Cadr�, si far� male... fermo, fermo!
- Se d'inverno gli viene in mente di saltar fuori in anticamera o di aprire un
finestrino, di nuovo grida: - Dove vai? Com'� possibile? Non correre, non andare,
non aprire; ti ammazzi, prendi un raffreddore...
E Iljusha restava tristemente a casa, custodito come un fiore esotico nella serra
e, come questo sotto i vetri, cos� anche lui cresceva lentamente e fiaccamente. Le
forze che cercavano di manifestarsi si ripiegavano in dentro e deperivano,
appassendo.
Qualche volta egli si sveglia cos� ardito, fresco, allegro; sente che in lui
qualche cosa si agita, ribolle, come se gli si fosse insediato dentro un diavoletto
che lo incita di continuo ora a salir sul tetto, ora a saltare in groppa al roano e
ad andarsene a galoppar pei prati, dove falciano il fieno, o a mettersi a
cavalcioni sulla stecconata, o a stuzzicare i cani del villaggio. Oppure a un
tratto gli vien voglia di slanciarsi a tutta corsa attraverso il villaggio e poi
nel campo, poi per i fossati o nel boschetto di betulle, e in tre salti buttarsi
nel fondo del burrone, o unirsi ai ragazzetti a giocare con le palle di neve e
provare le proprie forze.
Il diavoletto l'incita sotto sotto: egli si fa forza, cerca di resistere, alla fine
non ne pu� pi� e a un tratto, senza berretto, in pieno inverno, eccolo saltar gi�
dalla scalinata nella corte e di l� fuori del cancello, prendere in ognuna delle
mani una palla di neve e correre verso un gruppetto di ragazzi.
Il vento freddo gli taglia il viso, il gelo gli pizzica gli orecchi e un soffio
freddo gli entra nella bocca e nella gola - ma il petto gli si gonfia di gioia - ed
egli corre, e chiss� di dove le gambe prendon la forza, e strilla e ride.
Ecco i ragazzetti; egli tira la sua palla di neve, e sbaglia il colpo: non ha
esercizio; s'� appena piegato a fare un'altra palla che tutto un blocco di neve gli
copre il viso; ecco, � caduto, si fa male perch� non � abituato, ma � allegro,
ride, ha gli occhi pieni di lacrime...
Ed a casa l'ira di Dio: non si trova Iljusha! Grida, chiasso. Zacharka � saltato
fuori nella corte e dietro di lui Vas'ka, Mit'ka, Van'ka; tutti corrono, hanno
perduto la testa. Dietro di loro si sono slanciati, acchiappandoli ai calcagni, due
cani, perch� i cani, come si sa, non possono vedere con indifferenza un uomo che
corre.
Gli uomini gridando e urlando, i cani abbaiando corrono per il villaggio.
Finalmente hanno raggiunto i ragazzetti e han cominciato ad amministrar giustizia:
chi � preso per i capelli, chi per gli orecchi, chi riceve uno scapaccione, ed
anche i loro padri non la passano liscia.
Poi, impossessatisi del signorino, l'hanno avvolto nel pastrano dalla fodera di
pelo, preso a bella posta, poi nella pelliccia del padre, poi ancora in due coperte
e cos� l'han portato solennemente a casa in braccio.
A casa hanno gi� perduto la speranza di vederlo, considerandolo perduto, e perci�,
nel trovarlo sano e salvo, la gioia dei genitori � indescrivibile. Ringraziano il
Signore, poi fanno bere a Iljusha della menta, e poi del sambuco, verso sera del
lampone, e poi lo tengono tre giorni a letto, mentre una sola cosa gli potrebbe
giovare: giocar di nuovo alle palle di neve...

10.
Non appena il russare di Il'j� Il'�tch arriv� all'orecchio di Zach�r, questi salt�
gi� con precauzione, senza far rumore, dal suo giaciglio sulla stufa, usc� in punta
di piedi in anticamera, chiuse il signore a chiave e si avvi� verso il portone.
- A Zach�r Trofimytch, benvenuto! E' un pezzetto che non vi si vede! - cominciarono
in tono diverso e i cocchieri, e il cameriere, e le donne e i ragazzetti ch'erano
vicino al portone.
- E lui? Che fa, � uscito? - domand� il custode.
- Russa, - disse cupo Zach�r.
- Come mai? - domand� il cocchiere. - E' un po' presto a quest'ora. Che ha, �
malato?
- Che malato e malato! Ha bevuto! - disse Zach�r con un tono tale di voce, come se
fosse convinto di quel che diceva. - Lo credereste? Ha bevuto da solo una bottiglia
e mezza di Madera, tre litri di "kvas", e cos� � cascato gi�, si capisce!
- Eh! - disse con invidia un cocchiere.
- Ma perch� s'� ubriacato in questo modo oggi? - domand� una delle donne.
- No, Tat'jana Iv�novna, - rispose Zach�r gettandole uno dei suoi sguardi di
traverso, - non � oggi soltanto; non � pi� buono a nulla, viene nausea solo a
parlarne.
- Si vede, come la mia padrona! - osserv� la donna con un sospiro.
- E che, Tat'jana Iv�novna, andr� oggi in qualche posto la vostra padrona? -
domand� il cocchiere; - io dovrei andare per un giretto qua vicino.
- Dove deve andare! - rispose Tat'jana, - se ne sta col suo innamorato; non si
stancano di ammirarsi l'un l'altro.
- Viene spesso da voialtri, - disse il custode, - � seccante la notte, che il
diavolo se lo porti: son gi� usciti o tornati tutti e lui � sempre l'ultimo, e per
di pi� t'ingiuria perch� l'ingresso principale � chiuso... Ci mancherebbe ancora
che per lui dovessi far la guardia all'ingresso!
- Che stupido, cari miei, - disse Tat'jana, - non trovi il simile! Cosa non le
regala? Essa si agghinda tutta, proprio come un pavone, e cammina con tanta boria,
ma se qualcuno vedesse che sottane e che calze porta, una vera vergogna! Per
quindici giorni non si lava il collo, ma la faccia se l'impiastra bene... Come si
fa a non esser cattivi? vien fatto proprio di pensare: �Ah, disgraziata! dovresti
coprirti il capo con un fazzoletto e andare al monastero in pellegrinaggio...�
Tutti risero, ad eccezione di Zach�r.
- Brava, Tat'jana Iv�novna, il colpo non lo sbaglia! - dissero delle voci
d'approvazione.
- E' proprio cos�! - continu� Tat'jana. - Come possono i signori andare in
compagnia d'una donna simile?
- Dove andate? - le domand� qualcuno. - Cosa avete in quel fagotto?
- Porto un vestito alla sarta; mi manda la mia elegantona: dice che le va largo! Ma
quando con Dunjasha mi tocca di legarle il busto stretto stretto, per due o tre
giorni le mani non sono pi� buone a nulla: te le senti tutte stroncate. Ma debbo
andare. Addio per ora!
- Addio, addio! - dissero alcuni.
- Addio, Tat'jana Iv�novna, - disse il cocchiere. - Venite un pochino la sera.
- Non so, forse verr�, ma... be', per adesso addio!
- Addio, - dissero tutti.
- Addio, buona fortuna! - rispose ella, uscendo.
- Addio, Tat'jana Iv�novna! - le grid� dietro ancora una volta il cocchiere.
- Addio! - si sent� la sua voce sonora di lontano.
Quando ella fu andata via, Zach�r parve aspettare il suo turno di parlare. Si
sedette sulla colonnetta di ghisa presso il portone e cominci� a far dondolare le
gambe, gettando cupo e distratto degli sguardi a coloro che passavano a piedi o in
vettura.
- Ebbene, come va il vostro padrone oggi, Zach�r Trofimytch? -domand� il custode.
- Come sempre: scoppia di salute, - disse Zach�r, - intanto in grazia tua ho avuto
un bel po' di pena: a proposito dell'appartamento! Si infuria: gli dispiace proprio
di cambiar casa...
- E che forse � colpa mia? - disse il custode. - Per me ci puoi restare anche tutta
la vita; che son forse io il padrone? Mi danno degli ordini... Se fossi io il
padrone, ma io non sono il padrone...
- E lui che fa, ti ingiuria forse? - domand� un cocchiere.
- Mi ingiuria tanto che non so come Dio mi da la forza di sopportare.
- Be', in fondo � un buon signore quello che ingiuria sempre, - disse uno dei
servitori, lentamente aprendo una tabacchiera rotonda che scricchiol�. Le mani di
tutta la compagnia, escluso Zach�r, si tesero verso il tabacco. E si misero tutti
ad annusare, a starnutire, a sputare.
- E' meglio se ingiuria, - cominci� quello, - quanto pi� ingiuria, tanto meglio �:
per lo meno non ti picchia, se ingiuria. Una volta stavo a servire da un tale: non
sapevo ancora per che motivo e gi� mi sentivo tirare per i capelli.
Zach�r aspett� con disprezzo che quello finisse la sua tirata, poi, rivoltosi al
cocchiere, continu�.
- Disonorare un uomo, senza nessuna ragione, - disse egli, - non gli costa proprio
nulla!
- E' capriccioso, dunque? - domand� il custode.
- Ih! - stridette Zach�r significativamente, ammiccando. - Cos� capriccioso che �
proprio un guaio! E questo non va, e quello
non va, e non sai camminare, e non sei buono a servire, e rompi tutto, e non
pulisci, e rubi, e mangi tutto... Pfu, che ti possano... Oggi ha fatto la tiritera:
una vergogna starlo a sentire! E per che cosa? Era rimasto un pezzetto di formaggio
dall'altra settimana, mi sarei vergognato a darlo a un cane, ma no, non bisognava
mangiarlo! L'ha chiesto. �Non c'��, gli dico, e allora ha cominciato: �Bisognerebbe
impiccarti, cuocerti nella pece bollente, farti a pezzi con le molle roventi,
ficcarti un palo di tremulo nello stomaco!�, Sempre addosso, sempre addosso!...
Cosa ve ne pare? L'altro giorno gli ho bruciato, chiss� come, la gamba con l'acqua
bollente; s'� messo a urlare in un modo! Se io non avessi fatto un salto indietro,
m'avrebbe dato un pugno nel petto... l'ha tentato in tutti i modi; me l'avrebbe
dato di sicuro...
Il cocchiere scosse la testa e il custode disse:
- E' proprio un signore in gamba: non ne lascia passare una!
- Se ingiuria soltanto � un buon signore! - disse di nuovo flemmaticamente lo
stesso servitore. Un altro che non ingiuria � peggiore: ti guarda, ti guarda, poi a
un tratto t'acchiappa per i capelli, e tu non sai ancora perch�!
- S�, per nulla, - disse Zach�r, senza fare nemmeno adesso attenzione alle parole
del servitore che l'aveva interrotto, - la gamba non � ancora guarita del tutto:
continua a ungerla con la pomata; gli sta bene!
- Un signore di carattere! - disse il custode.
- Dio ci scampi e liberi! - continu� Zach�r, - un giorno o l'altro t'ammazza:
t'ammazza a morte, perdio! Per ogni sciocchezzuola t'insulta chiamandoti calvo...
non si ha nemmeno voglia di dir tutto. Oggi ne ha inventata una nuova: �velenoso�,
dice! La lingua s� che gli gira!...
- E che c'�? - disse ancora il solito servitore. - Se ingiuria, bisogna ringraziar
Dio, che gli dia salute... Ma quando sta sempre zitto, e tu gli passi accanto e lui
ti guarda, ti guarda, e poi t'acchiappa... ecco, come quello dal quale sono stato
io. Se ingiuria, � cosa da niente!
- E ben ti sta, - not� Zach�r, arrabbiato per le obiezioni non richieste, - io ti
farei anche peggio.
- Ma come insulta dando del calvo, Zach�r Trofimytch? - domand� un servitorello di
una quindicina d'anni. - Diavolo calvo, forse?
Zach�r volt� lentamente la testa e pos� su di lui il suo sguardo torbido.
- Bada tu! - disse poi aspro. - Sei ancora tanto giovane, fratello, e gi� cos�
sputasentenze! Non faccio mica caso che sei a servizio dal generale: t'acchiappo
per il ciurlo. Meglio che tu vada al tuo posto!
Il servitorello fece un paio di passi indietro, poi si ferm� e guard� Zach�r col
sorriso sulle labbra.
- Cos'hai da mostrare i denti? - disse furioso con voce rauca Zach�r. - Aspetta, se
mi capiti sotto, ti faccio io gli orecchi come si deve: imparerai cos� a mostrare i
denti!
In quello stesso momento venne fuori di corsa dalla porta della casa un enorme
servitore con la livrea aperta, le cordelline e le uose. Si avvicin� al
servitorello, gli diede prima uno schiaffo e poi lo chiam� imbecille.
- Ma che avete, Matv�j Moseitch, perch�? - disse sconcertato e mortificato il
servitorello, tenendosi la guancia e battendo convulsamente le palpebre.
- Ah, ti permetti anche di parlare? - rispose il servitore. - Ti vado cercando per
tutta la casa, e tu sei qui!
Lo afferr� con una mano per i capelli, gli pieg� gi� la testa, e per tre volte
metodicamente, lento ed eguale, lo picchi� sul collo col pugno.
- Il signore ha sonato cinque volte, - aggiunse egli quasi a mo' di morale, - ed io
sono sgridato per causa tua, cucciolo che non sei altro! Va'!
E gli indic� imperativamente con una mano la scala. Il ragazzo rimase un momento
perplesso, batt� le palpebre un paio di volte, gett� un'occhiata al cameriere e,
vedendo che non c'era da aspettar altro da lui se non una ripetizione di quel che
gi� aveva avuto, scosse i capelli e cominci� a salir la scala come se non fosse
successo niente.
Quale trionfo per Zach�r!
- Cos� va bene, cos� va bene, Matv�j Moseitch! Ancora, ancora! - aggiunse egli,
rallegrandosi malvagiamente. - Eh, eh, poche gliene hai date. Bravo, Matv�j
Moseitch! E' troppo saccentello... Eccotelo �il diavolo calvo�! Mostrerai i denti
un'altra volta?
Tutta la servit� rideva, concordemente simpatizzando col servitore che aveva
picchiato il ragazzetto e con Zach�r che malvagiamente se n'era rallegrato. Solo
col servitorello nessuno simpatizzava.
- Ecco, ecco, proprio cos�, che � che non �, faceva il mio padrone di prima, -
cominci� di nuovo il servitore che aveva fino ad allora interrotto Zach�r, - tu
pensi come divertirti un po' e lui subito, come indovinasse quello che pensi, ti
passa accanto, t'acchiappa, ecco, cos� come Matv�j Moseitch ha acchiappato
Andrjushka. E che fa se t'ingiuria soltanto? Bell'affare se ti chiama �diavolo
calvo�.
- Te ti acchiapperebbe anche il suo signore, - gli rispose il cocchiere indicando
Zach�r, - guarda che stoppa ha sulla testa! Ma come acchiappare Zach�r Trofimytch?
Ha la testa come una zucca... che si pu� acciuffare forse per queste due barbe che
ha l� agli zigomi: c'� proprio molto da acciuffare!...
Fu una risata generale e Zach�r ebbe come un colpo a quest'uscita del cocchiere col
quale aveva fin allora chiacchierato amichevolmente.
- E io lo dir� al signore, - cominci� egli a stridere irritato contro il cocchiere,
- trover� ben lui per cosa acchiapparti: te la liscer� lui la barba; ce l'hai tutta
arruffata!
- Bel signore il tuo, se si mette a lisciar le barbe ai cocchieri degli altri!
Pigliatevi prima un cocchiere vostro e poi lisciategli la barba; sei troppo
generoso!
- Non si piglierebbe certo un birbaccione come te per cocchiere, - stridette
Zach�r. - Non sei nemmeno degno d'essere attaccato come cavallo per il mio signore!
- Bel signore il tuo! - not� velenosamente il cocchiere. - Dove te lo sei andato a
pescare?
Risero tutti: e lui, e il custode, e il barbiere, e il servitore e il difensore del
sistema delle ingiurie.
- Ridete, ridete, e io lo dir� al signore! - diceva rauco Zach�r.
- E quanto a te, - aggiunse, rivolgendosi al custode, - dovresti tenere a posto
questi briganti e non ridere. Cosa ci stai a fare qui? Per mantenere l'ordine. E tu
che fai? Lo dir� al signore; aspetta, vedrai!
- Basta, basta, Zach�r Trofimytch! - disse il custode, cercando di calmarlo, - che
cosa ti ha fatto?
- Come si permette di parlare cos� del mio signore? - ribatt� con calore Zach�r,
indicando il cocchiere. - Ma sa lui chi � il mio signore? - domand� egli ancora con
tono pieno di rispetto. - Tu, - aggiunse, rivolgendosi al cocchiere, - non te lo
sogni neppure un signore simile: buono, intelligente, bello! Il tuo invece sembra
una rozza mal nutrita! Fa pena guardarvi quando uscite dalla corte con la giumenta
bruna: dei veri pezzenti! E mangiate ravanelli col "kvas". Guarda l� che pastrano:
non si possono nemmeno contare i buchi.
Bisogna notare che il pastrano del cocchiere era del tutto senza buchi.
- Gi�, un altro cos� non lo trovi, - l'interruppe il cocchiere, e svelto svelto
tir� fuori un pezzo di camicia che spuntava sotto il braccio di Zach�r.
- Ma basta, basta! - ripet� il custode, stendendo le braccia tra di loro.
- Ah, mi strappi il vestito! - grid� Zach�r, tirando fuori ancora di pi� la
camicia. - Aspetta, lo mostrer� al signore! Ecco, guardate cosa m'ha fatto: m'ha
strappato il vestito!...
- Io, si! - disse il cocchiere, un po' spaventato, - te l'avr� date il tuo
signore...
- Il mio signore! - esclam� Zach�r. - Un'anima cos� buona; � oro filato e non un
padrone, che Dio gli dia salute! In casa sua sto come in paradiso; non conosco
nessun bisogno, non m'ha chiamato mai stupido, vivo in pace, tranquillo, mangio i
cibi della sua tavola, vado dove mi pare, ecco come vivo io. E in campagna ho una
casa per me, un orto per me, la mia parte di grano e i contadini mi salutano fino a
terra. Io sono amministratore e maggiordomo! E voi col vostro...
Dalla rabbia gli manc� la voce per annientare definitivamente il suo avversario. Si
ferm� per un istante per raccoglier le forze e trovare una parola velenosa, ma non
la trov� a causa dell'eccesso di fiele che s'era accumulato in lui.
- Aspetta, aspetta, che la pagherai per il vestito: ti insegneranno a strappare i
vestiti... - disse egli alla fine.
Attaccando il suo signore avevano punto sul vivo anche lui. Avevano rimescolato in
lui l'amor proprio e la vanit�: la sua devozione si risvegli� e si manifest� in
tutta la sua forza. Egli era pronto a riversare il veleno del suo fiele non
soltanto sull'avversario, ma sul padrone di lui, e sui parenti del suo signore che
non sapeva neppure se esistessero, e su tutti i suoi conoscenti. E ripet� con
sorprendente esattezza tutte le calunnie, tutte le maldicenze che aveva apprese,
sul conto dei padroni del cocchiere, dal cocchiere stesso nelle loro conversazioni
precedenti.
- Tu e il tuo signore siete dei cenciosi miserabili, degli ebrei, peggio dei
tedeschi! - disse egli. - Io so chi era suo nonno, un commesso di rigattiere. Ieri
sera sono usciti degli ospiti da casa vostra ed ho pensato che nella casa fossero
entrati dei malandrini: faceva pena a vedere! Anche la madre vendeva al mercato
della roba vecchia, vestiti usati e rubati.
- Finitela, finitela!... - cercava di calmarli il custode.
- S�! - diceva Zach�r. - Il mio, grazie a Dio, � di vecchia nobilt�; i suoi amici
son tutti generali, conti e principi. E nemmeno ogni conte ammette in casa sua: a
qualcuno fino alla noia tocca d'aspettare in anticamera... Vengono a trovarlo degli
scrittori...
- Come sono, fratello, gli scrittori? - domand� il custode, volendo interrompere il
litigio. - Degli impiegati forse?
- No, sono dei signori che inventano essi stessi quel che loro serve, - spieg�
Zach�r.
- E che cosa fanno da voi? - domand� il custode.
- Uno chiede una pipa, un altro dello xeres... - disse Zach�r, e si ferm�, avendo
notato che quasi tutti sorridevano ironicamente.
- E voi qui siete tutti quanti dei villanzoni! - aggiunse in fretta in fretta,
squadrando tutti col suo sguardo di traverso. - Ti insegneranno a strappare i
vestiti degli altri! Io lo dir� al mio signore! - aggiunse e svelto si mosse per
andar via.
- Finiscila! Aspetta, aspetta! - gli grid� dietro il custode. - Zach�r Trofimytch!
Andiamo alla birreria, ti prego, andiamo...
Zach�r si ferm� sulla soglia, si volt� rapidamente e, senza guardare il gruppo dei
servi, ancor pi� rapidamente si slanci� nella strada. Arriv�, senza voltarsi verso
nessuno, fino alla porta della birreria ch'era dirimpetto. Qui si volt�, squadr�
col suo sguardo tetro tutta la compagnia e ancora pi� tetramente fece a tutti un
cenno con la mano perch� lo seguissero, e scomparve dietro la porta.
Tutti gli altri si dispersero: chi and� nella birreria, chi in casa; rimase solo il
cameriere.
�E che fa se lo dice al signore? - egli parlava a se stesso soprappensiero, con
flemma, aprendo lentamente la tabacchiera. - Il signore � buono, lo si vede da
tutto, ingiurier� soltanto. E che fa se ingiuria! Un altro, ti guarda, ti guarda e
poi a un tratto per i capelli...�

11.
Passate appena le quattro, Zach�r con cautela, senza far rumore, apr� la porta
dell'anticamera e in punta di piedi pass� nella sua stanza; l� si avvicin� alla
porta dello studio del signore, prima vi accost� l'orecchio, poi si chin� e mise
l'occhio al buco della serratura.
Nello studio risonava un russare eguale.
- Dorme, - bisbigli�, - bisogna svegliarlo; fra poco sono le quattro e mezzo.
Toss� ed entr� nello studio.
- Il'j� Il'�tch! Ah, Il'j� Il'�tch! - cominci� sottovoce, fermo al capezzale di
Oblomov. Questi russava sempre.
- Dorme sodo! - disse Zach�r, - come un muratore. Il'j� Il'�tch! Zach�r tocc�
leggermente Oblomov su una manica.
- Alzatevi: sono le quattro e mezzo.
Il'j� Il'�tch emise in risposta una specie di muggito, ma non si svegli�.
- Alzatevi dunque, Il'j� Il'�tch! Che vergogna � questa! - diceva Zach�r, alzando
la voce. Nessuna risposta.
- Il'j� Il'�tch, - ripet� egli, tirando leggermente il signore per la manica.
Oblomov gir� un po' la testa e a fatica apr� su Zach�r un occhio che parve proprio
quello d'un paralitico.
- Chi �? - domand� egli con voce rauca.
- Sono io. Alzatevi.
- Va' via! - borbott� Il'j� Il'�tch e di nuovo ripiomb� nel suo sonno pesante. Ma
invece di russare cominci� a fischiar nel naso. Zach�r lo tir� per una falda.
- Che vuoi? - domand� minaccioso Oblomov, aprendo a un tratto tutt'e due gli occhi.
- Mi avete dato ordine di svegliarvi.
- Va bene, lo so. Tu hai compiuto il tuo dovere e va' via! Il resto riguarda me...
- Non me ne andr�, - disse Zach�r, toccandolo di nuovo sulla manica.
- Lascia stare, non mi toccare! - cominci� Oblomov mitemente e, ficcata la testa
nel cuscino, si rimise a russare.
- Ma cos� non va, Il'j� Il'�tch, - diceva Zach�r, - io sarei felice e contento, ma
cos� non va proprio.
E tocc� il padrone.
- Fammi la grazia di non disturbarmi, - disse Oblomov in tono imperativo, aprendo
gli occhi.
- S�, adesso dite di farvi la grazia, e poi voi stesso vi arrabbierete perch� non
vi ho svegliato...
- Ah, Dio mio! Che uomo! - disse Oblomov. - Lasciami dormire ancora un minuto; che
cos'� un minuto? Lo so anch'io...
Il'j� Il'�tch tacque, improvvisamente ripreso dal sonno.
- Sai dormir bene! - disse Zach�r, convinto di non essere sentito. - Dorme come un
ceppo di tremula! Ma perch� ci sei venuto al mondo? Alzati dunque, ti si dice... -
url� quasi Zach�r.
- Che? che? - cominci� Oblomov, sollevando la testa minacciosamente.
- Perch�, signore, dico, non vi alzate? - rispose dolcemente
Zach�r.
- No, come hai detto prima, eh? Come osi parlar cos�, eh?
- Come?
- Parlare villanamente.
- Ve sembrato in sogno... Vi giuro, in sogno...
- Tu credi che io dorma? Io non dormo, sento tutto... - Ma dormiva gi� di nuovo.
- Eh! - diceva Zach�r, disperato. - Cosa stai l� come un ceppo? Fa pena guardarti.
Guardate un po', brava gente!... Pfu!... Alzatevi, alzatevi! - ricominci� a un
tratto con voce spaventata. - Il'j� Il'�tch! guardate un po' che succede intorno a
voi...
Oblomov alz� in fretta la testa, si guard� intorno e si coric� di nuovo con un
profondo sospiro.
- Lasciami in pace! - disse egli gravemente. - Io ti ho ordinato di svegliarmi.
Adesso ritiro l'ordine, hai sentito? Mi sveglier� io stesso, quando mi piacer�!
Qualche volta Zach�r lo lasciava cos�, dicendo:
- Be', dormi, che il diavolo ti porti!
Ma altre volte insisteva. Cos� questa volta insist�.
- Alzatevi, alzatevi! - si mise a gridare a squarciagola e con tutte e due le mani
afferr� Oblomov, per la falda e per la manica. Oblomov a un tratto,
inaspettatamente salt� in piedi e si slanci� su Zach�r.
- Aspetta, t'insegner� io a disturbare il signore, quando vuoi
dormire! - disse.
Zach�r se ne scapp� svelto svelto, e Oblomov, fatti tre passi, si svegli� del tutto
e cominci� a stirarsi sbadigliando.
- Dammi... del "kvas"... - disse fra gli sbadigli.
A questo punto, dietro le spalle di Zach�r, qualcuno scoppi� in una sonora risata.
Si voltarono tutti e due.
- Stolz! Stolz! - grid� entusiasmato Oblomov, gettandosi incontro all'ospite.
- Andr�j Ivanytch! - disse sorridendo Zach�r.
Stolz continuava a sbellicarsi dalle risa: aveva assistito a tutta la scena fin dal
principio.
PARTE SECONDA.

1.
Stolz era tedesco solo per met�, per parte di padre: la madre era russa; di fede
era ortodosso; la sua lingua naturale era quella russa: l'aveva imparata dalla
madre e dai libri, nelle aule universitarie e nei giochi coi ragazzi del villaggio,
nelle discussioni coi loro padri e nei mercati di Mosca. La lingua tedesca l'aveva
ereditata dal padre, e anche appresa dai libri.
Stolz era cresciuto ed era stato educato nel paese di Verchl�vo, dove il padre era
amministratore. Dall'et� di otto anni aveva studiato col padre la carta geografica,
decifrato sillabando Herder, Wieland, i versetti della Bibbia e tirate le somme dei
conti mal fatti dei contadini, dei borghesucci e degli operai, mentre con la madre
aveva letta la Storia sacra, imparate le favole di Kryl�v e decifrato sillabando il
"T�l�maque".
Liberatosi dai compiti scolastici, egli correva a distrugger nidi di uccelli
insieme ai ragazzi del paese, e non di rado, durante la lezione o la preghiera,
veniva fuori dalla sua tasca un pigol�o di gracchiette. Qualche volta mentre il
padre, nell'ora della siesta, se ne stava seduto sotto un albero nel giardino a
fumar la pipa, e la madre faceva la maglia o ricamava, veniva a un tratto dalla
strada un gran chiasso e una quantit� di gente faceva irruzione in casa.
- Che � successo? - domandava spaventata la madre.
- Probabilmente portano di nuovo Andr�j, - diceva con sangue freddo il padre.
Le porte si spalancavano e una folla di contadini, di donne e di ragazzini
irrompeva nel giardino. Veramente portavano Andr�j, ma in quale stato: senza
scarpe, col vestito stracciato e il naso insanguinato! qualche volta insanguinato
era quello di un altro ragazzino.
La madre era sempre inquieta quando Andrjusha scompariva per mezza giornata e, se
non ci fosse stata la proibizione categorica del padre di trattenerlo, l'avrebbe
fatto restare accanto a s�.
Ella lo lava, gli cambia la biancheria, il vestito, e Andrjusha per mezza giornata
va in giro come un ragazzetto pulito, bene educato; ma verso sera, e qualche volta
anche la mattina, qualcuno lo riaccompagna a casa tutto sporco, scapigliato,
irriconoscibile, o addirittura i contadini lo riportano su di un carro di fieno, o
infine egli torna coi pescatori nella barca, addormentato sulla rete.
La madre si metteva a piangere, ma il padre niente, anzi rideva.
- Sar� un bravo "Bursch", un bravo "Bursch"! ("Ragazzo" e "studente", "goliardo"
(in tedesco)) - diceva qualche volta.
- Ti prego, Iv�n Bogdanytch, - si lamentava ella, - non passa giorno che non torni
con un livido; poco fa � tornato col naso in sangue.
- Che ragazzo sarebbe se non si rompesse qualche volta il naso o non lo rompesse a
qualche altro? - diceva il padre ridendo.
La madre piangeva, poi si sedeva al piano e dimenticava sonando Herz: le lacrime
cadevano, una dietro l'altra, sui tasti.
Ma ecco arriva, o � portato, Andrjusha; egli comincia a raccontare cos� ardito,
cos� vivace, che anche a lei vien da ridere; e poi egli capisce tutto cos� bene!
Ben presto aveva imparato a leggere il "T�l�maque" bene come lei e a sonar con lei
a quattro mani.
Una volta scomparve per una settimana: la madre si era consumata gli occhi a
piangere, e il padre niente, camminava per il giardino e fumava.
- Ecco, se fosse scomparso il figlio degli Oblomov, - rispose egli alla proposta
della moglie di cercare Andrjusha, - io avrei messo sottosopra tutto il paese ed
anche la polizia dello "Zemstvo" (L'amministratore provinciale), ma Andr�j verr� da
s�. E' un bravo "Bursch"!
Il giorno dopo Andr�j fu trovato tranquillamente addormentato nel suo letto, sotto
al quale era un fucile ed una libbra di polvere e di pallini.
- Dove sei stato? Dove hai preso il fucile? - la madre lo tempest� di domande. -
Perch� taci?
- Cos�! - fu la sola risposta.
Il padre domand� se era pronta la traduzione del capitolo di Cornelio Nepote in
tedesco.
- No, - rispose egli.
Il padre lo afferr� con una mano per il colletto, lo port� fuori della porta, gli
mise il berretto in testa e con una gamba gli diede un tale spintone che per poco
non lo fece cadere.
- Va' di dove sei venuto, - aggiunse egli, - e torna con la traduzione non di uno,
ma di due capitoli, e per la mamma impara la parte della commedia francese che ti
ha assegnata: prima non farti vedere!
Andr�j ritorn� dopo un'altra settimana, ma aveva fatta la traduzione e sapeva la
parte a memoria.
Quando fu pi� grandicello, il padre se lo fece sedere accanto nella vettura, gli
diede le redini e gli ordin� di portarlo alla fabbrica, poi nei campi, poi in
citt�, dai mercanti, ai vari uffici, poi a vedere una certa argilla che egli
prendeva fra le dita, odorava, qualche volta leccava, e dava a odorare al figlio e
spiegava di che qualit� era e a cosa poteva servire. O andavano a vedere come si
ottiene la potassa, o il catrame, oppure come si fa lo strutto.
A quattordici, quindici anni, il ragazzo si recava spesso solo, sul carro o a
cavallo, con un sacco legato alla sella, a far commissioni in citt� per il padre e
non capitava mai che dimenticasse qualche cosa, facesse una cosa per l'altra, non
osservasse a fondo, sbagliasse.
- "Recht gut, mein lieber Jung"! (�Benissimo, mio caro giovane�) - diceva il padre,
dopo aver ascoltato il suo rapporto e, battendogli leggermente la larga palma sulla
spalla, gli dava due o tre rubli, secondo l'importanza dell'incarico.
La madre poi doveva pulire Andrjusha dal nerofumo, dal fango, dall'argilla e dal
grasso.
A lei non piaceva troppo questa educazione pratica, fondata sul lavoro. Ella temeva
che suo figlio potesse diventare un "B�rger" tedesco, di quei borghesi dai quali
proveniva il padre. Ella considerava tutto il popolo tedesco come una massa di
borghesucci patentati e non amava la rozzezza, l'indipendenza e la presunzione con
cui la massa tedesca faceva valere ovunque i suoi diritti di "B�rger", elaborati
nei millenni, allo stesso modo che la vacca porta le sue corna, senza saperle
nascondere al momento opportuno. Secondo lei, in tutto il popolo tedesco non c'era
mai stato e non ci poteva essere neppure un �gentiluomo�. Nel carattere tedesco
essa non trovava morbidezza, delicatezza, indulgenza, nulla di ci� che rende la
vita tanto piacevole nel mondo, che permette di eludere qualche regola, di
trasgredire ad un uso generale, di non sottoporsi ad un regolamento.
�No, questi rusticoni vogliono far penetrare, imporre per forza ci� che essi han
stabilito, ci� che si son ficcati in testa, e son pronti a rompere il muro con la
fronte, pur di agire secondo le regole�.
Ella aveva vissuto come governante in una casa di gente ricca e aveva avuto
occasione di viaggiare all'estero, aveva attraversata tutta la Germania e di tutti
i tedeschi aveva fatto un mucchio solo di fumatori di pipe corte e di commessi che
sputavano a traverso i denti, di operai, di mercanti, di ufficiali dritti come
bastoni e con la faccia da soldato e di impiegati con la faccia volgare, capaci
solo di lavoro grosso e di guadagnar denaro sgobbando, di un triviale e
fastidiosissimo ordine di vita, di un pedante adempimento di doveri: borghesi dalle
maniere angolose, le mani grandi e rozze, il viso borghesemente fresco e il parlar
grossolano.
�Per quanto tu lo vesta bene, - ella pensava, - per quanto fine e bianca sia la
camicia che indossa, anche se le scarpe son di vernice e i guanti gialli, il
tedesco � sempre come tagliato nella pelle per stivali; di sotto ai polsini bianchi
spunteranno sempre le sue mani dure e rossastre, di sotto all'abito elegante verr�
fuori sempre, se non un panettiere, un cameriere. Queste manacce sembra chiedano
soltanto di prendere la lesina o, tutt'al pi�, l'archetto in un'orchestra�.
E nel figlio ella sognava l'ideale di un signore, sia pure venuto su dal nulla, da
un padre borghese, ma tuttavia figlio di una nobile russa, un ragazzine bianco, ben
fatto, con mani e piedi piccini piccini, un viso pulito, uno sguardo chiaro,
ardito, uno di quelli che ella aveva veduti nelle ricche case russe, ed anche
all'estero, ma non dai tedeschi.
E quasi quasi doveva gi� anche lui far girare macine nei mulini e tornare a casa
dalle fabbriche e dai campi come il padre, imbrattato di grasso, di concime, con le
mani rosse e sporche, indurite dal lavoro, e con un appetito da lupo!
Ella si metteva a tagliar le unghie ad Andrjusha, ad arricciargli i capelli, a
cucirgli colletti e polsini eleganti; ordinava in citt� i giacchettini per lui, gli
insegnava ad ascoltare le note nostalgiche di Herz, gli cantava i fiori e la poesia
della vita, gli parlava sussurrando della brillante missione ora del guerriero, ora
dello scrittore, e fantasticava con lui sulla sorte elevata che toccava a
certuni...
E tutta questa prospettiva doveva essere distrutta dal rumore del pallottoliere,
dal lavoro per decifrare le fatture dei contadini tutte macchiate di grasso, dai
rapporti con gli operai!
Ella fin� per odiare anche il carrozzino sul quale Andrjusha si recava in citt� e
il mantello di tela cerata che gli aveva regalato il babbo e i guanti verdi
scamosciati, tutti i rozzi attributi della vita di lavoro.
Per disgrazia, Andrjusha aveva studiato magnificamente e il padre lo aveva fatto
ripetitore nella sua piccola scuola!
Pazienza anche questo; ma egli gli aveva assegnato un salario, come ad un operaio,
secondo l'uso tedesco: dieci rubli al mese, e gli faceva mettere la firma nel
libro.
Consolati, buona madre: tuo figlio � cresciuto sul terreno russo, non nella folla
volgare dalle borghesi corna bovine e dalle mani atte a girar le macine. C'�
l'Obl�movka li vicino: l� � una festa eterna! L� il lavoro viene scrollato via
dalle spalle come un giogo: l� il signore non s'alza all'alba e non va alla
fabbrica, accanto alle ruote e alle molle unte d'olio e di grasso.
Nello stesso Verchl�vo c'�, sebbene vuota e chiusa la maggior parte dell'anno, una
casa dove il ragazzo birichino penetra abbastanza spesso, e l� vede lunghe sale e
gallerie, e ritratti scuri sulle pareti, e in questi ritratti non vede volti
grossolanamente freschi, n� mani grandi e dure, ma occhi languidi ed azzurri,
capelli incipriati, visi dolci, bianchi e petti colmi, e mani delicate solcate
d'azzurre vene, nei tremolanti manichini di trina, posate orgogliosamente
sull'impugnatura della spada; vede fra broccati, velluti e trine, tutta una fila di
generazioni nobilmente e inutilmente trascorse nella mollezza. In quei volti
ripassa la storia di tempi, di nomi, di combattimenti gloriosi; legge in essi la
storia dei tempi antichi, non quella che, tra una boccata di fumo e uno sputo, gli
ha raccontata cento volte il padre della vita in Sassonia tra le barbabietole e le
patate, tra il mercato e l'orto...
Una volta ogni tre anni questo castello improvvisamente si riempiva di gente,
ribolliva di vita, di feste, di balli, e nelle lunghe gallerie la notte brillavano
i lumi.
Arrivavano il principe e la principessa con la famiglia: il principe, un vecchio
dai capelli bianchi, con un viso sbiadito di pergamena, con gli occhi opachi, fuori
delle orbite e la fronte ampia e calva, con tre decorazioni sul petto, la
tabacchiera d'oro, lo scudiscio dal pomo di zaffiro, gli stivali di velluto; la
principessa, d'una bellezza maestosa, una donna alta e grossa, che dava
l'impressione che nessuno mai avesse potuto avvicinarsi a lei, n� abbracciarla n�
baciarla, nemmeno il principe, sebbene ella avesse ben cinque figli. Pareva ch'ella
fosse al disopra di quel mondo, al quale si abbassava una volta ogni tre anni: non
parlava con nessuno, non andava in nessun luogo, ma solo se ne stava nella camera
verde d'angolo insieme a tre vecchiette e attraverso il giardino, per una galleria
coperta, a piedi si recava in chiesa, dove si sedeva dietro un paravento.
Ma in compenso, in casa, oltre il principe e la principessa, c'era tutto un mondo
cos� vivo ed allegro che Andrjusha coi suoi occhietti verdognoli infantili spingeva
lo sguardo ad un tempo in tre o quattro sfere differenti, mentre la sua mente
ardita avidamente e inconsciamente osservava i tipi di quella folla eterogenea,
come si osservano le visioni variopinte d'una mascherata.
C'erano i principi Pierre e Michel, il primo dei quali insegn� subito ad Andrjusha
come vien sonata la sveglia sul tamburo per la cavalleria e per la fanteria, quali
sciabole e speroni portano gli usseri e quali i dragoni, qual � il colore dei
cavalli dei diversi reggimenti e in quali armi bisogna arruolarsi dopo finiti gli
studi senza degradarsi. L'altro, Michel, appena fatta conoscenza con Andrjusha, lo
mise sull'attenti e cominci� a far cose straordinarie coi pugni, ora andando a
finire nel naso, ora nella pancia di Andrjusha, poi gli disse che questa era la
lotta inglese.
Dopo un paio di giorni Andr�j, facendo assegnamento soltanto sulla sua freschezza
campagnola e con l'aiuto delle sue muscolose braccia, gli rovinava il naso e col
metodo inglese e con quello russo, senza scienza alcuna e si guadagnava grande
autorit� di fronte ai principi.
C'erano ancora due principessine, bambine di undici e dodici anni, slanciate,
snelle, elegantemente vestite, che non parlavano con nessuno, non salutavano
nessuno e avevano una gran paura dei contadini. C'era la loro governante,
"mademoiselle" Ernestine, che veniva a bere il caff� dalla mamma di Andrjusha, alla
quale aveva insegnato come fare i buccoli al ragazzo. Qualche volta essa gli faceva
posare la testa sui suoi ginocchi e gli arricciava i capelli intorno a dei pezzetti
di carta, sino a fargli male, poi gli prendeva il viso fra le sue mani bianche e lo
baciava tanto teneramente! C'era poi un tedesco che faceva al tornio tabacchiere e
bottoni, poi un maestro di musica, che si ubriacava da una domenica all'altra, poi
tutta una schiera di cameriere, infine una muta di cani e cagnolini. Tutto questo
riempiva la casa e il paese di frastuono, di voci, di grida e di musica.
Da una parte l'Obl�movka, dall'altra il castello principesco, col suo gran tono di
vita signorile, si urtavano con l'elemento tedesco, e da Andrjusha non venne fuori
n� un buon "Bursch", n� un filisteo.
Il padre di Andrjusha era agronomo, tecnologo, maestro. Dal padre, amministratore
di un'azienda, egli aveva prese lezioni pratiche di agronomia, nelle fabbriche
della Sassonia aveva imparato la tecnologia, dall'universit� pi� vicina, dove
c'erano circa quaranta professori, gli era venuta la vocazione di insegnare ci� che
alla meglio avevano potuto fargli apprendere i quaranta saggi. Pi� in l� non era
andato e cocciutamente se n'era tornato indietro, dopo aver deciso che doveva far
qualcosa, e si era rivolto al padre. Questi gli aveva dato cento talleri, una sacca
nuova e lo aveva lasciato andare per il mondo. Da allora Iv�n Bogd�novitch non
aveva pi� rivisto n� la patria, n� il padre. Sei anni aveva vagabondato per la
Svizzera e l'Austria e ormai da vent'anni era in Russia e benediceva la sua sorte.
Siccome era stato all'universit�, aveva deciso che anche suo figlio dovesse
andarci: poco importava che non sarebbe stata un'universit� tedesca e che
l'universit� russa avrebbe portato nella vita del figlio un rivolgimento,
allontanandolo da quel solco che egli mentalmente vi aveva tracciato. Egli aveva
fatto tutto ci� molto semplicemente: s'era messo nel solco segnato dal nonno e
l'aveva prolungato, come per mezzo di un regolo, fino al suo futuro nipote, ed era
tranquillo, non sospettando per nulla che le variazioni di Herz, i sogni e i
racconti della madre, la galleria e il salotto del castello principesco avrebbero
trasformato lo stretto solco tedesco in una strada cos� larga quale suo nonno, suo
padre ed egli stesso non avrebbero mai sognato. Del resto, in questo caso egli non
fu pedante e non stette ad insistere nella sua idea: solo non avrebbe saputo
immaginare per il figlio una via diversa. Se ne preoccupava poco. Quando il figlio
torn� dall'universit� e visse tre mesi a casa, il padre gli disse che non aveva pi�
nulla da fare a Verchl�vo e che perfino gli Oblomov avevano mandato il figlio a
Pietroburgo e che perci� era tempo anche per lui. Perch� tuttavia egli dovesse
andare a Pietroburgo, perch� non potesse restare a Verchl�vo ad aiutarlo
nell'amministrazione, questo il vecchietto non se lo domand� neppure; egli si
ricordava soltanto che, quando lui aveva finito gli studi, il padre lo aveva
mandato per il mondo.
E anch'egli mand� via il figlio: questo era l'uso tedesco. La madre non era pi� al
mondo e non c'era nessuno che potesse opporsi. Il giorno della partenza, Iv�n
Bogd�novitch diede al figlio cento rubli di carta.
- Andrai a cavallo fino al capoluogo del governatorato, - disse, - l� riceverai da
Kal�nnikov trecentocinquanta rubli. Lascia a lui il cavallo. Se non trovi
Kal�nnikov, vendi il cavallo. Ci sar� presto la fiera: ti daranno quattrocento
rubli, anche senza essere amatori. Il viaggio fino a Mosca ti coster� una
quarantina di rubli, di l� fino a Pietroburgo settantacinque. Ti rimarr� sempre
abbastanza. Poi fa' come vuoi. Con me hai fatto degli affari: sai dunque che io
posseggo un certo capitale, ma prima della mia morte non ci devi contare, ed io,
probabilmente, vivr� ancora vent'anni, a meno che non mi caschi una pietra sulla
testa. La lampada brucia ancora bene e c'� dentro molto olio. L'istruzione l'hai
avuta buona: tutte le carriere ti sono aperte: puoi prendere un impiego, darti al
commercio, fare il letterato, che so, quello che vuoi, quello a cui ti senti pi�
inclinato...
- Io guarder� se non mi riesca di far tutto insieme, - disse Andr�j.
Il padre rise a squarciagola e cominci� a battergli cos� forte sulla spalla che un
cavallo non avrebbe resistito. Andr�j invece come nulla fosse!
- E poi, se non saprai trovar subito da te la tua strada e avrai bisogno di
consiglio, va' da Reinhold: ti insegner� lui. Oh! - aggiunse con le dita in aria e
scotendo la testa, - questo... questo... (egli voleva dir qualche parola di lode,
ma non la trov�). Siamo venuti insieme dalla Sassonia. Ha una casa di quattro
piani. Ti dar� l'indirizzo...
- Non occorre, non me lo dare, - rispose Andr�j, - andr� da lui quando avr� una
casa di quattro piani anch'io, per adesso far� a meno di lui...
Di nuovo uno scossone alla spalla.
Andr�j salt� a cavallo. Due bisacce erano legate alla sella: in una c'era il
mantello di tela cerata e delle grosse scarpe ben chiodate che si vedevan di fuori,
poi alcune camicie di tela di Verchl�vo, cose comprate per l'insistenza del padre;
nell'altra c'era un elegante "frac" di panno fine, un pastrano di pelo grosso, una
dozzina di camicie fini e delle scarpe fatte fare a Mosca, in memoria delle
istruzioni della madre.
- Ebbene! - disse il padre.
- Ebbene! - disse il figlio.
- Tutto? - domand� il padre.
- Tutto! - rispose il figlio.
Si guardarono in silenzio, come se si volessero trapassare a vicenda con lo guardo.
Intanto s'era raccolto intorno un gruppo di vicini curiosi e guardavano a bocca
aperta come l'amministratore lasciava andare il figlio verso l'ignoto.
Padre e figlio si strinsero la mano. Andr�j si mosse a grandi passi.
- Che cucciolo! nemmeno una lacrima! - dissero i vicini. - Ecco l� due cornacchie
ferme sullo steccato che gracchiano: gli porteranno disgrazia col loro
gracchiare!...
- Ma che gli fanno le cornacchie? Lui la notte di san Giovanni va in giro nel bosco
solo: tutto ci� non lo tocca. Un russo non se la caverebbe certo!
- Bravo lui, il vecchio eretico! - not� una madre. - Come se buttasse sulla strada
un gattino; non l'ha nemmeno abbracciato, nemmeno un singhiozzo!
- Ferma! Ferma, Andr�j! - grid� il vecchio. Andr�j ferm� il cavallo.
- Ah! si vede che il cuore finalmente ha parlato! - dissero nella folla con tono di
approvazione.
- Che c'�? - domand� Andr�j.
- La cinghia della sella � debole, bisogna tirarla.
- Arrivo a Shamshj�vka e l'accomodo. Non c'� tempo da perdere, bisogna arrivar
prima di giorno.
- Bene! - disse il padre, agitando la mano.
- Bene! - ripet� il figlio, con un cenno della testa, e, chinatosi un po', stava
per spronare il cavallo.
- Ah, cani, proprio proprio dei cani! Come se fossero degli estranei! - dicevano i
vicini.
Ma a un tratto nella folla rison� un forte pianto: una donna non aveva potuto
resistere.
- "B�tjushka", caro! - disse ella, asciugandosi gli occhi con un angolo del
fazzoletto che aveva in testa. - Povero orfanello! Tu non hai la mamma, nessuno che
ti benedica... Lascia che ti faccia io il segno della croce, caro!...
Andr�j le si avvicin�, salt� gi� da cavallo, abbracci� la vecchietta, poi si
accinse a risalire, e a un tratto scoppi� in pianto, mentre essa gli faceva il
segno della croce e lo baciava. Nelle calde parole di lei aveva sentito come
risonare la voce della madre, la cui tenera immagine sorse un istante davanti a
lui.
Egli abbracci� ancora con forza la donna, si asciug� in fretta in fretta le lacrime
e salt� a cavallo. Due colpi di speroni e scomparve in una nuvola di polvere;
dietro di lui da tutte e due le parti si lanciarono disperatamente ad inseguirlo
tre cagnacci, sgolandosi ad abbaiare.

2.
Stolz era coetaneo di Oblomov: aveva anch'egli passati i trent'anni. Aveva prestato
servizio, poi aveva dato le dimissioni, s'era occupato dei propri affari e s'era
veramente guadagnato una casa e del denaro. Faceva ora parte di una compagnia di
esportazione. Era in continuo movimento : se la compagnia aveva bisogno di mandare
un agente nel Belgio, in Inghilterra, mandava lui; se bisognava scrivere un
progetto o realizzare una nuova idea, sceglievano lui. Nello stesso tempo egli
frequentava la societ� e leggeva: quando trovasse il tempo, Iddio lo sa!
E' tutto ossa, muscoli e nervi, come un cavallo inglese di razza. E' piuttosto
magro: non ha quasi affatto guance, cio� ha delle ossa e dei muscoli, ma senza il
minimo indizio di rotondit� e di grasso; il colore del viso � uguale, un po'
abbronzato, ma di rosso non c'� traccia; gli occhi sono un po' verdastri, ma
espressivi.
Non faceva mai un movimento superfluo. Se stava seduto, sedeva tranquillo; se
agiva, non impiegava che la mimica necessaria. Come nell'organismo non aveva nulla
di superfluo, cos� pure nella condotta morale della propria vita cercava
l'equilibrio tra i lati pratici e le sottili necessit� dello spirito. Le due
tendenze andavano un po' parallele, un po' si incrociavano e intrecciavano per via,
ma mai si confondevano indissolubilmente fra loro.
Egli andava avanti a passo fermo ed ardito; viveva secondo la propria borsa,
cercando di spendere ogni giornata, come ogni rublo, con un controllo continuo e
vigile del tempo, del lavoro, delle forze dell'anima e del cuore impiegate. Pareva
che regolasse le gioie e le tristezze allo stesso modo dei movimenti delle braccia,
o dei passi delle gambe, o come si regolava secondo il buono o il cattivo tempo.
Teneva aperto l'ombrello finch� pioveva, cio� soffriva finch� durava il dolore e
soffriva senza timida rassegnazione, ma con dispetto, con orgoglio, e sopportava
pazientemente solo perch� attribuiva la causa di ogni sofferenza a se stesso e non
l'attaccava, come un pastrano, a un chiodo altrui.
E anche della gioia godeva come di un fiore colto per la strada, fino a che non gli
appassiva fra le mani, senza vuotar mai la tazza sino a quella goccia d'amarezza,
che � in fondo ad ogni godimento.
Avere un concetto semplice, cio� diritto e reale della vita: questo era il suo
costante problema e, cercando di arrivare gradualmente alla sua soluzione, ne
comprendeva tutta la difficolt� ed era interiormente superbo e felice ogni volta
che gli accadeva di scorgere sul suo cammino un tratto tortuoso e di avanzare con
passo diritto.
�E' difficile e complicato vivere semplicemente!� diceva spesso a se stesso e con
rapidi sguardi osservava dove fosse una curva, dove una stortura, dove il filo
della vita cominciasse ad attorcersi o a formar nodi irregolari e confusi.
Pi� di tutto egli temeva l'immaginazione, questa compagna bifronte che ti mostra un
lato del viso amichevole e ne ha un altro avverso, amica quando meno hai fede in
lei, e nemica quando ti addormenti fiducioso accompagnato dal suo dolce bisbiglio.
Ogni sogno gli faceva paura, o se entrava nel dominio del sogno, vi entrava come si
entra in una grotta dove sia l'iscrizione: "ma solitude", "mon hermitage", "mon
repos", sapendo l'ora e il minuto in cui se ne uscir�. Per il sogno, per gli enigmi
e i misteri non c'era posto nella sua anima. Ci� che non si piegava all'analisi
dell'esperienza, della verit� pratica, era ai suoi occhi un'illusione ottica,
questo o quel riflesso di raggi e di colori sulla retina, o, infine, un fatto per
il quale non era arrivato ancora il momento dell'esperienza. Non c'era in lui
neppure quella dose di dilettantismo che ama perlustrare le regioni del magico o
spinge al donchisciottismo nel campo delle ipotesi e delle scoperte mille anni
prima che queste avvengano. Egli si fermava ostinatamente sulla soglia del mistero,
senza mostrare n� la fede del fanciullo, n� il dubbio del fatuo, ma aspettava la
comparsa della legge e con essa la chiave per aprirla.
Con la stessa delicatezza e cautela con cui sorvegliava l'immaginazione,
sorvegliava anche il cuore. Qui, inciampando spesso, aveva dovuto riconoscere che
la sfera delle funzioni del cuore era ancora "terra incognita". Ringraziava
calorosamente la sorte se in questa regione ignota gli riusciva di distinguere a
tempo la menzogna imbellettata dalla pallida verit�, e non si lamentava quando, a
causa di un inganno sagacemente nascosto tra i fiori, inciampava soltanto senza
cadere, se il cuore batteva soltanto febbrilmente e con forza, ed era contento e
felice se non si inondava addirittura di sangue, se non sudava freddo e la sua vita
non era offuscata per molto tempo da una lunga ombra.
Si considerava felice per il solo fatto che gli riusciva di mantenersi alla stessa
altezza e, galoppando sul cavalluccio del sentimento, non varcava quella linea
sottile che divide il mondo del sentimento dal mondo della menzogna e della
sentimentalit�, il mondo della verit� dal mondo del ridicolo, o, saltando indietro,
non andava a finire sul terreno arido e sabbioso della rudezza, della
sofisticazione, della diffidenza, della meschinit�, della castrazione del cuore.
Anche nei momenti in cui era trascinato, sentiva il terreno sotto i piedi ed una
sufficiente forza in s� per potere, in caso estremo, strapparsi al fascino ed
essere libero. Non si lasciava accecare dalla bellezza e perci� non dimenticava,
non umiliava la sua dignit� di uomo, non era schiavo, non �giaceva ai piedi� delle
belle, anche se doveva rinunziare alle pi� ardenti gioie. Non aveva idoli, ma in
compenso aveva conservata la forza dell'anima, la resistenza del corpo, era
castamente superbo; veniva da lui come un soffio di freschezza e di forza, davanti
alla quale involontariamente si turbavano anche le donne meno timide. Egli
conosceva il valore di queste qualit� rare e preziose e le spendeva con tanta
parsimonia da esser detto egoista, insensibile. La sua resistenza agli impulsi, il
suo saper non uscire dai limiti della naturalezza e della libert� dello spirito gli
venivano rimproverati, mentre veniva giustificato, e talvolta invidiato e ammirato,
chi s'era precipitato in un pantano e aveva distrutto la propria e l'altrui
esistenza.
- Le passioni, le passioni giustificano tutto, - si diceva intorno a lui, - e voi
nel vostro egoismo risparmiate solo voi stesso: vedremo per chi.
- Per qualcuno certo mi risparmio, - diceva egli soprappensiero, come guardando in
lontananza, e continuava a non credere nella poesia delle passioni, non si
entusiasmava delle loro manifestazioni burrascose e delle loro conseguenze
devastatrici, e voleva sempre vedere l'ideale dell'esistenza e delle aspirazioni
umane nella severa comprensione e direzione della vita.
E quanto pi� lo contraddicevano, tanto pi� profondamente si irrigidiva nella sua
ostinazione e cadeva perfino, per lo meno nelle discussioni, in un fanatismo
puritano. Diceva che �la missione normale dell'uomo � vivere le quattro stagioni
dell'anno, cio� le quattro et�, senza salti, e portar la coppa della vita fino
all'ultimo giorno, senza averne versata invano neppure una goccia, e che l'eguale e
lento ardere del fuoco � migliore dei violenti incendi, qualunque poesia possa
essere in essi�. Come conclusione, aggiungeva che �sarebbe stato felice se fosse
riuscito a provare su se stesso la bont� della propria convinzione, ma non sperava
di arrivarci, essendo la cosa difficilissima�.
E intanto continuava ad andare ostinatamente per la via scelta. Non s'era mai dato
il caso che si fosse fermato a riflettere su qualche cosa con tormentosa
sofferenza; evidentemente non lo divoravano i rimorsi di un cuore stanco; non aveva
l'anima malata e non si perdeva mai nelle circostanze difficili, complicate o
nuove, ma le affrontava come vecchie conoscenze, come se vivesse una seconda volta
e passasse per luoghi gi� noti. Qualunque cosa gli capitasse, egli applicava subito
il metodo adatto, come una massaia sceglie subito dal mazzo di chiavi che porta
alla cintura quella che occorre per questa o quella porta.
Al disopra di tutto egli metteva la costanza nel raggiungere gli scopi; era questo,
secondo lui, indizio di carattere, e alle persone che avevano questa tenacia egli
non negava mai il suo rispetto, per quanto insignificanti fossero i loro scopi.
- Questi son uomini! - soleva dire.
E' superfluo aggiungere che egli stesso tendeva al suo scopo, superando arditamente
tutti gli ostacoli e rinunziando solo quando sulla sua strada si levava un muro o
si spalancava un abisso invalicabile. Non era per� capace di armarsi di quella
temerariet� che, chiusi gli occhi, salta l'abisso o scavalca il muro alla ventura.
Egli misurava l'abisso o il muro e, se non c'erano mezzi sicuri per superarli, se
ne andava, senza preoccuparsi di quel che si sarebbe potuto dir di lui. Perch� si
formasse un tale carattere, erano forse anche necessari elementi misti, come quelli
con cui s'era formato Stolz. Gli uomini attivi da noi gi� da tempo hanno preso
cinque o sei forme stereotipate, pigramente guardandosi intorno con gli occhi
socchiusi hanno messo mano alla macchina sociale e sonnecchiando l'hanno fatta
muovere nel solco consueto, mettendo il piede nelle impronte lasciate dal
predecessore. Ma ecco, gli occhi non sonnecchiano pi�, si sono sentiti dei passi
arditi e lunghi, delle voci vive... Quanti Stolz dovranno apparire sotto nomi
russi!
Come un uomo simile poteva essere intimo di Oblomov, del quale ogni tratto, ogni
passo, tutta l'esistenza era una urlante protesta contro la vita di Stolz? A quanto
pare, � questione gi� risolta che gli estremi, se non sono motivo di simpatia, come
s'� a lungo creduto, tuttavia non vi si oppongono affatto.
Per di pi� li legavano l'infanzia e la scuola, due forti molle, poi le carezze
russe, le buone, grasse carezze che abbondantemente gli Oblomov avevano prodigate
al ragazzine tedesco, poi la parte di forte che Stolz sosteneva accanto a Oblomov
sia dal punto di vista fisico che da quello morale; infine, e soprattutto, alla
base della natura di Oblomov c'era un principio buono, luminoso, simpatizzante per
tutto ci� che � bene e che rispondeva all'appello di quel cuore semplice, ingenuo,
eternamente fiducioso.
Chiunque avesse guardato a caso o intenzionalmente in quell'anima luminosa,
infantile - fosse stato anche un uomo cupo o cattivo, - non avrebbe potuto negargli
simpatia o, se le circostanze non permettevano un avvicinamento, almeno un buono e
durevole ricordo.
Andr�j spesso, strappandosi agli affari, o alla folla mondana, a una serata, a un
ballo, se ne veniva a passare un po' di tempo sul largo divano di Oblomov, a
sfogare e calmare, in una pigra conversazione, la sua anima agitata o stanca, e
provava sempre quel sentimento di calma che prova chi dalle sale magnifiche ritorna
al proprio tetto modesto o dalla bellezza della natura meridionale ritorna al
boschetto di betulle, dove ha passeggiato fanciullo.

3.
- Buon giorno, Il'j�. Come sono contento di vederti! Come va? Stai bene? - domand�
Stolz.
- Oh, no, male, fratello Andr�j, - disse Oblomov, - altro che star bene!
- E che, sei malato? - domand� Stolz preoccupato.
- Gli orzaioli non mi lasciano in pace: solo la settimana scorsa me n'� finito uno
sull'occhio destro, ed ecco che ne comincia un altro.
Stolz si mise a ridere.
- Soltanto? - domand� egli. - Te li sei fatti venire dormendo troppo.
- E che �soltanto�! ho un terribile bruciore allo stomaco. Avresti dovuto sentire
quel che ha detto poc'anzi il dottore. �Andate all'estero, ha detto, se no vi andr�
male: vi potrebbe venire un colpo�.
- Ebbene, e tu?
- Non vado.
- E perch�?
- Abbi pazienza. Senti che cosa ha aggiunto : �Dovete vivere in montagna, oppure
andare in Egitto o in America�.
- E che? - disse freddamente Stolz. - In Egitto ci arrivi in due settimane, in
America in tre.
- Oh, mio caro Andr�j, anche tu! C'era un solo uomo ragionevole e anche quello �
diventato matto. Ma chi va in America e in Egitto! Gli inglesi: ma quelli li ha
fatti cos� il Signore Iddio. E non hanno dove vivere a casa loro. Ma da noi chi
vuoi che ci vada? Qualche disperato per il quale la vita non ha valore.
- Davvero, che eroismo: ti metti in una carrozza o t'imbarchi su di un bastimento,
respiri l'aria pura, guardi paesi stranieri, citt�, usi, meraviglie d'ogni sorta...
Ah! Bene, di' come vanno le tue cose? Che c'� a Obl�movka?
- Ah!... - sospir� Oblomov, facendo con la mano un gesto desolato.
- Che cosa � successo?
- Che cosa? � la vita che incalza!
- E ringraziamo Iddio! - disse Stolz.
- Come, ringraziare Iddio! Se ti facesse soltanto delle carezze, invece non ti da
pace, sai, come a scuola, quando uno scolaretto tranquillo � tormentato dagli
attaccabrighe: chi gli da un pizzicotto di nascosto, chi a un tratto l'assale di
fronte e lo copre di sabbia... non se ne pu� pi�!
- Tu sei troppo pacifico. Che cosa dunque � successo?
- Due disgrazie.
- Ma quali?
- Sono rovinato del tutto.
- Come mai?
- Adesso ti legger� ci� che scrive lo "st�rosta"... dov'� la lettera? Zach�r!
Zach�r!
Zach�r trov� la lettera. Stolz la lesse e rise, probabilmente a causa dello stile
dello "st�rosta".
- Che imbroglione questo "st�rosta"! - disse. - Ha mollato le redini ai contadini e
poi si lamenta. Meglio sarebbe dar loro i passaporti e lasciarli andare.
- Ma scusa, cos� verr� la voglia a tutti, - ribatt� Oblomov.
- Che facciano pure, - disse spensieratamente Stolz. - Chi sta bene ed ha
vantaggio, non se ne andr�; se a qualcuno non conviene, non conviene neanche a te:
perch� tenerlo?
- Ma guarda cosa va a pensare! - disse Il'j� Il'�tch. - A Obl�movka i contadini
sono pacifici, casalinghi, perch� dovrebbero andar girando a destra e a manca?
- Ma tu dunque non sai, - lo interruppe Stolz, - a Verchl�vo vogliono fabbricare un
deposito ed � stata fatta la proposta di costruire una nuova strada con
massicciata, cos� che anche Obl�movka non sar� lontana dalla strada maestra; in
citt� sar� organizzato il mercato...
- Ah, Dio mio! - esclam� Oblomov. - Non ci mancava che questo. L'Obl�movka era cos�
appartata, cos� solitaria, e adesso il mercato, la strada maestra! I contadini
prenderanno l'abitudine di andare in citt�, verranno da noi i mercanti. Tutto �
rovinato. Sventura!
Stolz rise.
- E non � forse una sventura? - continu� Oblomov. - I contadini erano cos� cos�,
non c'era nulla da dire, n� in bene, n� in male, facevano i loro affari, non si
lasciavano attirare da nulla! Adesso si corromperanno! Cominceranno i t�, i caff�,
i pantaloni di velluto, le armoniche, gli stivali lucidi... una rovina!
- Se � cos�, certo non va bene, - osserv� Stolz. - Ma tu apri una scuola nel
villaggio...
- Non � prematuro? - domand� Oblomov, - l'istruzione � dannosa per il contadino:
insegnagli qualcosa e non vorr� pi� arare...
- Ma i contadini leggeranno appunto come si deve arare, curioso che sei! Per�
ascolta: senza scherzi, tu dovresti quest'anno andare per un po' in campagna.
- S�, � vero: solo che il mio piano non � ancora completo... - osserv� timidamente
Oblomov.
- Non c'� bisogno di nessun piano! - disse Stolz. - Basta che tu ci vada: sul posto
vedrai che cosa c'� da fare. E' un pezzo che ti dai da fare con questo tuo piano;
come mai non � ancora pronto? Che cosa fai, dunque?
- Eh, fratello mio! Come se io avessi solo gli affari della propriet�. E l'altra
mia disgrazia?
- Ma quale?
- Mi cacciano dall'appartamento.
- Come sarebbe a dire, ti cacciano?
- Cos�: sgombra, dicono, e basta.
- E che te ne importa?
- Come che importa? Io mi son logorati i fianchi e la schiena, a furia di rotolarmi
nel letto per queste preoccupazioni. Sono solo: bisogna far questo, quest'altro,
tenere i conti, pagar qui, l�, qui ancora, e paffete, un trasloco! Se ne va una
quantit� terribile di denaro, io stesso non so dove va a finire! Che � che non �,
resti senza un soldo!
- Sei davvero un uomo male avvezzo! ti preoccupi di cambiar casa! - disse sorpreso
Stolz. - A proposito di denaro: ne hai molto con te? Dammi cinquecento rubli: ho
bisogno di spedirli subito e domani li prendo dall'ufficio...
- Aspetta! Lasciami ricordare... Ho ricevuto mille rubli dalla campagna or non �
molto, e adesso � rimasto... ecco, aspetta...
Oblomov cominci� a frugar nei cassetti.
- Ecco qui... dieci, venti, ecco duecento rubli... eccone ancora venti. Qui c'erano
anche degli spiccioli... Zach�r, Zach�r!
Zach�r, come al solito, salt� gi� dal suo letto sulla stufa, ed entr� nella camera.
- Dove sono le venti copeche ch'erano qui sulla tavola? Ce le ho lasciate ieri...
- Ma che avete con queste venti copeche, Il'j� Il'�tch! Io vi ho gi� detto che qui
non ci sono mai state queste venti copeche...
- Non ci sono mai state? Te le hanno date di resto per le arance...
- Le avete date a qualcuno e ve ne siete dimenticato, - disse Zach�r, voltandosi
verso la porta.
Stolz scoppi� in una risata.
- Ah, ah, abitanti di Obl�movka! - disse in tono di rimprovero. - Non sanno neppure
quanti soldi hanno in tasca!
- E poco fa quanto denaro avete dato a Mich�j Andreitch? - ricord� Zach�r.
- Ah, s�, ecco, Tarant'ev ha preso ancora dieci rubli, - e Oblomov si volse
vivacemente a Stolz, - ed io l'avevo dimenticato.
- Perch� ricevi quest'animale? - osserv� Stolz.
- Proprio, perch� riceverlo? - s'intromise Zach�r, - viene come se entrasse in casa
sua, o in trattoria. S'� preso una camicia e il panciotto del signore, e non si
sono pi� visti! Poco fa era venuto a chiedere il frac: �Prestamelo!� Se voi, Andr�j
Ivanytch, gli d�ste una lezione...
- Questo non � affar tuo, Zach�r. Vattene al tuo posto! - osserv� seccamente
Oblomov.
- Dammi un foglio di carta da lettera, - disse Stolz, - debbo scrivere un
biglietto.
- Zach�r, da' la carta; Andr�j Ivanytch ne ha bisogno... - disse Oblomov.
- Ma non ce n'�! L'avete cercata poco fa, - rispose dall'anticamera Zach�r senza
neppure entrare nella stanza.
- Ma un pezzetto qualunque! - insist� Stolz.
Oblomov cerc� sulla tavola: non ce n'era nemmeno un pezzette.
- Dammi almeno una carta da visita.
- Da un pezzette non ne ho, di carte da visita! - disse Oblomov.
- Ma cosa t'� successo! - ribatt� con ironia Stolz. - E ti prepari ad avviar delle
imprese, scrivi un piano. Ma dimmi un po', vai in qualche posto? dove vai? chi
vedi?
- Dove vado? Esco veramente poco, me ne sto sempre in casa; ecco, il piano mi agita
e per soprappi� l'appartamento... Meno male che Tarant'ev voleva darsi d'attorno,
cercare...
- Ma viene qualcuno a trovarti?
- Viene... ecco, viene Tarant'ev, e ancora Aleks'eev. Poco fa c'� stato il
dottore... c'� stato Penkin, Sud'binskij, Volkov...
- Non vedo neanche dei libri da te, - disse Stolz.
- Ecco un libro! - osserv� Oblomov, indicando il libro che era sulla tavola.
- Che cos'�? - domand� Stolz, dopo aver guardato il libro:
- "Viaggio in Africa". Anche la pagina dove ti sei fermato ha fatto la muffa. Non
si vede un giornale... Leggi i giornali?
- No, la stampa � piccola, guasta gli occhi... e non c'� necessit�: se avviene
qualche cosa di nuovo, non senti parlar d'altro per tutto il giorno da tutte le
parti.
- Scusami, Il'j�! - disse Stolz, guardando Oblomov con un'espressione di stupore. -
Ma tu cosa fai? Te ne stai l� come un mucchio di pasta tutto accartocciato.
- S�, � vero, Andr�j, come un mucchio di pasta, - rispose tristemente Oblomov.
- Ma l'averne coscienza � forse una giustificazione?
- No, � soltanto una risposta alle tue parole; io non mi giustifico, - osserv� con
un sospiro Oblomov.
- Bisogna dunque svegliarsi da questo sonno.
- Prima ho provato e non ci son riuscito; ma adesso... a che scopo? Niente ti
provoca, l'anima non ha slanci, il cervello dorme tranquillo! - concluse egli con
un'amarezza percettibile. - Ma basta di ci�... Di' piuttosto, di dove vieni adesso?
- Da Kiev. Fra un paio di settimane vado all'estero. Vieni anche tu...
- Bene; magari... - decise Oblomov.
- Allora siediti, scrivi la domanda, domani la presenti...
- Subito, domani! - cominci� Oblomov, riprendendosi. - Che fretta c'�, come se
qualcuno c'inseguisse! Ci penseremo, ne riparleremo e poi, Dio aiuter�! Forse
sarebbe bene andar prima in campagna e all'estero dopo...
- Perch� dopo? Non te l'ha ordinato il dottore? Tu prima butta via da te tutto il
grasso, il peso del corpo, cos� anche il sonno lascer� la tua anima. Occorre far
ginnastica, col corpo e con lo spirito.
- No, Andr�j, tutto ci� mi stancher�: la mia salute non va bene. No, � meglio che
tu mi lasci stare, parti solo...
Stolz gett� un'occhiata ad Oblomov sdraiato. Oblomov guard� Stolz.
Stolz scosse la testa e Oblomov sospir�.
- A quanto pare sei stanco anche di vivere? - domand� Stolz.
- S�, � vero anche questo, Andr�j.
Andr�j cercava nella sua testa il modo di toccare nel vivo Oblomov, e si domandava
dove potesse essere questo suo punto vivo, ed intanto lo osservava in silenzio. Ad
un tratto si mise a ridere.
- Come va che hai una calza di filo e l'altra di cotone? - not� all'improvviso,
indicando i piedi di Oblomov. - E perch� hai messo la camicia alla rovescia?
Oblomov si guard� i piedi, poi la camicia.
- E' vero, - confess� confuso. - Questo Zach�r mi � stato dato proprio per castigo.
Tu non puoi credere quanto io mi tormenti con lui! Discute, risponde
insolentemente; guai a chiedergli di lavorare.
- Ah, Il'j�, Il'j�! - disse Stolz. - No, io non ti lascer� cos�. Fra una settimana
non ti riconoscerai pi�. Questa sera stessa ti dir� il mio piano dettagliato di ci�
che ho intenzione di fare di me e di te, ma ora vestiti. Aspetta, ti scuoter� io.
Zach�r! - grid� egli. - Vieni a vestire Il'j� Il'�tch!
- Ma che hai, ti prego! Debbono venire Tarant'ev e Aleks'eev a pranzare. E poi
vorrebbero...
- Zach�r, - continuava Stolz, senza ascoltarlo, - portagli i vestiti.
- Pronto, "b�tjushka", Andr�j Ivanytch, ho solo da pulire le scarpe, - rispose
Zach�r di buona voglia.
- Come? Sono le cinque e non hai ancora pulite le scarpe?
- Per pulite eran pulite fin dalla settimana scorsa, ma il signore non � mai uscito
e cos� hanno perduto il lucido...
- Portale come sono. Bisogna portare la mia valigia nel salotto, mi fermer� da voi.
Io mi vestir� subito, e tu tienti pronto, Il'j�. Pranzeremo in qualche posto lungo
la strada, poi andremo a far due, tre visite...
- Ma tu sei... come si pu� cos� a un tratto... aspetta... lasciami pensare... non
mi son fatta la barba...
- Non c'� nulla da pensare e da grattarsi la testa... Ti farai la barba lungo la
strada: ti porter� io.
- Ma a chi dobbiamo far visita? - esclam� tristemente Oblomov. - A gente ch'io non
conosco? Cosa ti viene in testa! Io preferisco andar da Iv�n Ger�simovitch: da tre
giorni non ci vado.
- Chi � Iv�n Ger�simytch?
- Quel tale ch'era impiegato con me...
- Ah, quel canuto esecutore giudiziario! Ma cosa ci hai trovato in lui? Che gusto
ad ammazzare il tempo con quel cretino!
- Con che asprezza parli della gente qualche volta, Andr�j. Dio sa come! Iv�n
Ger�simovitch � un brav'uomo, solo che non porta le camicie di tela d'Olanda.
- Ma cosa fai da lui? Di cosa parli con lui? - domand� Stolz.
- Da lui, sai, tutto � regolare; ci si sta tanto bene! Le stanze sono piccine;
nelle poltrone ti sprofondi fino alla testa, non ti si vede pi�. Le finestre sono
chiuse dall'edera e dai cactus, c'� pi� di una dozzina di canarini, tre cani, cos�
buoni! La tavola � sempre carica di antipasti. Tutte le stampe che ci sono
rappresentano scene familiari. Quando ci vai, non hai pi� voglia d'andar via. Stai
l� senza preoccupazioni, senza pensare a nulla; sai che vicino a te c'� un uomo...
certo non � un sapiente e a scambiar idee con lui non c'� da pensare, ma in
compenso � un uomo senza furberie, buono, cordiale, senza pretese, che non ti
offender� alle spalle!
- Ma che fate, allora?
- Che facciamo? Io arrivo, ci sediamo uno di fronte all'altro nelle poltrone,
tiriamo su le gambe; lui fuma...
- E tu?
- Anch'io fumo, ascolto come cinguettano i canarini. Poi Marfa porta il "samov�r".
- Tarant'ev, Iv�n Ger�simytch! - disse Stolz, stringendosi nelle spalle. - Su,
vestiti in fretta, - gli fece premura. - A Tarant'ev, quando verr�, - soggiunse
egli, volgendosi a Zach�r, - dirai che non pranziamo in casa e che Il'j� Il'�tch
non pranzer� in casa per tutta l'estate, e che in autunno avr� molto da fare e sar�
difficile vederlo...
- Lo dir�, non dubitate, dir� tutto, - rispose Zach�r: - e il pranzo gi� preparato?
- Mangialo insieme a qualcuno e buon pro ti faccia.
- Il signore sar� servito.
Dieci minuti dopo, Stolz usciva dal salotto vestito, rasato e pettinato, mentre
Oblomov stava malinconicamente sul letto, abbottonando con lentezza il petto della
camicia, senza riuscire a far entrare il bottone nell'asola. Davanti a lui,
appoggiato a un ginocchio, stava Zach�r tenendo una scarpa non lucidata, come se
tenesse un piatto, e preparandosi a infilarla nel piede al padrone, quando questi
avesse finito di abbottonar la camicia.
- Non hai ancora messe le scarpe! - disse Stolz. - Su, Il'j�, presto, presto!
- Ma dove? E perch�? - diceva angosciosamente Oblomov. - Cosa ho ancora da veder
l�? Io sono un uomo arretrato, non ho voglia...
- Presto, presto! - faceva premura Stolz.

4..
Sebbene fosse gi� abbastanza tardi, fecero in tempo a passare qua e l� per affari,
poi Stolz invit� a pranzo un proprietario di miniere d'oro, infine andarono alla
villa di quest'ultimo a prendere il t�, e l� trovarono una grande compagnia ed
Oblomov si trov� all'improvviso in mezzo a tanta gente. Tornarono a casa a notte
avanzata.
L'indomani, e il giorno seguente ancora, e tutta la settimana, passarono
inavvertitamente. Oblomov protestava, si lamentava, leticava, ma era trascinato e
accompagnava dappertutto l'amico.
Una volta, tornando tardi da qualche posto, protest� con particolare energia contro
questa vita turbinosa.
- Per giornate intere, - brontol� egli, infilando la veste da camera, - senza
togliere le scarpe: bruciano i piedi addirittura! Non mi piace questa vostra vita
pietroburghese! - continu� sdraiandosi sul divano.
- E quale vita ti piace, allora? - domand� Stolz.
- Una vita diversa da questa.
- Ma che cosa precisamente non ti � piaciuto in questa vita?
- Tutto; il continuo correre come a gara, l'eterno gioco delle miserabili
passioncelle, specialmente dell'avidit�, il mettersi vicendevolmente bastoni fra i
piedi, i pettegolezzi, le chiacchiere, i reciproci dispetti e poi quello squadrarsi
da capo a piedi; quando ascolti, ti vengono le vertigini, ti istupidisci. Ti pare
gente intelligente, gente tutta piena di dignit�, e non senti altro: �A questo
hanno dato questo, quello ha avuto l'appalto�. �Scusate, per quale ragione?� grida
qualcuno. �Questo s'� rovinato al gioco ieri al club, quello prende trecentomila!�
Noia, noia, noia!... Dove va a finir l'uomo, qui? Dov'� la sua interezza? Dove si �
nascosto? In quali sciocchezze si � sminuzzato?
- Ma di qualche cosa devono pure occuparsi il mondo e la societ�, - disse Stolz, -
ognuno ha i propri interessi. E' la vita...
- Il mondo, la societ�! Probabilmente tu, Andr�j, a bella posta mi porti in questo
mondo e in questa societ�, per farmi passar la voglia di viverci. La vita: bella
vita! Cosa c'� da cercar l�? Interessi dello spirito e del cuore? Guarda un po'
qual � il centro intorno al quale si muove tutto ci�: non c'� un centro, non c'�
nulla, di profondo, che possa toccarti sul vivo. Son tutti quanti dei cadaveri,
degli addormentati, peggio di me, questi membri della societ� o del mondo! Che cosa
li guida nella vita? Va bene, essi non stanno sdraiati, ma vanno e vengono ogni
giorno, come mosche, avanti e indietro, e che ne vien fuori? Entri in un salone e
non ammiri mai abbastanza con che simmetria sono disposti gli ospiti, come stanno
seduti tranquilli e pensierosi... intorno al tavolino da gioco. Non c'� che dire,
un bel compito di vita! Ottimo esempio per una mente che cerca movimento! Non sono
questi dei cadaveri? Non dormono essi tutta la vita seduti? Perch� io sono pi�
colpevole di loro, se me ne sto sdraiato a casa mia e non mi rompo il capo con
fanti, re e regine?
- Ma tutto ci� � vecchio, se n'� parlato mille volte, - osserv� Stolz. - Non hai
nulla di nuovo?
- E la nostra migliore giovent� che cosa fa? Non dorme forse camminando,
scarrozzando per il Nevskij e ballando? Un vuoto continuo avvicendarsi di giorni! E
osserva con che superbia e dignit� inaudita, con che sguardo ripugnante guardano
chi non � vestito come loro, chi non porta i loro nomi e titoli. E s'illudono,
disgraziati, d'essere al disopra della folla: �Noi prestiamo servizio dove, oltre
di noi, nessuno presta servizio; noi sediamo nella prima fila di poltrone, noi
andiamo ai balli del principe N., dove lasciano entrare soltanto noi...� E quando
si riuniscono fra di loro si ubriacano e leticano come selvaggi. Sono questi uomini
vivi, svegli? E non soltanto la giovent�: guarda gli uomini anziani. Si riuniscono
e si offrono l'un l'altro da mangiare senza cordialit�, senza bont�, senza
reciproca simpatia! Si riuniscono a pranzo, danno una serata come se andassero
all'ufficio, senza allegria, freddamente, per vantarsi del cuoco, del salotto e poi
ridere alle spalle l'uno dell'altro e darsi lo sgambetto. L'altro giorno, a pranzo,
non sapevo dove guardare, mi sarei nascosto sotto la tavola, quando cominciarono a
straziare la riputazione degli assenti: �Quello � stupido, questo � vile,
quell'altro � ladro, quell'altro ancora ridicolo�, una vera caccia a cavallo! E
dicendo queste cose si guardano con certi occhi, come per dire: �Provati a uscire
ed avrai lo stesso servizio!...� Perch� si riuniscono insieme se son cos�? Perch�
si danno cos� forti strette di mano? Non una risata sincera, non un lampo di
simpatia! Si sforzano di attirare qualcuno che abbia un alto grado, un nome sonoro:
�Da me c'� stato il tale, io sono stato dal tale�, cos� si vantano i poi. Ma che
vita � questa? Io non ne voglio sapere. Che ci posso ' imparare, che posso
ricavarne?
- Sai una cosa, Il'j�? - disse Stolz. - Tu ragioni come un �antico�: nei vecchi
libri si scriveva sempre cos�. Ma del resto anche questo � bene: per lo meno
ragioni, non dormi. Che altro ancora c'�? continua.
- Perch� continuare? Guarda: nessuno ha qui un viso fresco, sano.
- E' il clima, - l'interruppe Stolz. - Anche il tuo viso � tutto appassito e tu non
corri, stai sempre sdraiato.
- Nessuno ha uno sguardo chiaro, sereno, - continu� Oblomov, - si attaccano l'un
l'altro la loro preoccupazione tormentosa, la loro angoscia, cercano tutti qualche
cosa morbosamente. E meno male se cercassero la verit�, il bene per s� e per gli
altri. No, essi impallidiscono appena un compagno ha fortuna. Uno ha una
preoccupazione: andare l'indomani al tribunale; � gi� il quinto anno che la sua
causa si trascina, l'avversario vince, ed egli per cinque anni non ha che un
pensiero nella testa, un desiderio: dar lo sgambetto all'altro e sulla sua caduta
costruire l'edificio del proprio benessere. Per cinque anni si muove, siede e
sospira nelle anticamere: ecco l'ideale, lo scopo della vita! Un altro soffre
perch� � condannato ad andare ogni giorno all'ufficio e restarvi fino alle cinque e
un altro sospira penosamente perch� non ha una simile grazia...
- Sei un filosofo, Il'j�! - disse Stolz. - Tutti si danno da fare, tu soltanto non
hai bisogno di nulla!
- Ecco, per esempio, quel signore giallo con gli occhiali, - continu� Oblomov, - mi
s'� attaccato: voleva sapere se avevo letto il discorso di un certo deputato, e
spalanc� gli occhi, quando gli dissi che non leggo giornali. E cominci� a parlare
di Luigi Filippo come se fosse suo padre. Poi si attacc� di nuovo per sapere la mia
opinione sulla partenza da Roma dell'ambasciatore francese. Ma come � possibile
condannarsi per tutta la vita a imbottirsi ogni giorno delle notizie di tutto il
mondo e gridare per una settimana fino a perdere il fiato! Oggi Mehmet-Al� ha
mandato una nave a Costantinopoli, ed egli si scervella: perch�? Domani Don Carlos
fa fiasco, ed egli � di nuovo in terribile allarme. L� scavano un canale, qui
mandano un distaccamento in Oriente; Dio mio, � scoppiato l'incendio! e tutto
alterato, corre, grida, come se fosse aggredito lui. Ragionano,, discutono a
proposito e a sproposito, e in fondo si annoiano, tutto ci� non li interessa;
attraverso quei gridi si sente un sonno eterno! Tutto ci� � loro estraneo, come se
andassero in giro col cappello di un altro. Non hanno occupazioni proprie e si
buttano da tutte le parti senza una direzione precisa. Sotto questo loro voler
abbracciar tutto si nasconde il vuoto, la mancanza di simpatia per ogni cosa!
Scegliersi un modesto sentiero di lavoro e seguirlo, scavare un solco profondo:
questa � una cosa noiosa, oscura; qui il saper tutto non giova, e non c'� a chi
buttar polvere negli occhi.
- Ma io e te non ci siamo buttati da tutte le parti. Dov'� il nostro modesto
sentiero di lavoro? - domand� Stolz.
Oblomov all'improvviso ammutol�.
- Ecco, io finir� soltanto... il mio piano... - disse egli. - Che Dio li protegga!
- soggiunse con dispetto. - Io non li tocco, non cerco nulla; solo che in quel che
fanno non vedo la vita normale. No, non � vita la loro, ma alterazione della norma,
dell'ideale di vita che la natura ha dato come scopo all'uomo...
- Qual � dunque questo ideale, questa norma della vita?
Oblomov non rispose.
- Allora dimmi, che vita ti tracceresti tu? - continu� a domandare Stolz.
- L'ho gi� tracciata.
- Come? Parla dunque, su!
- Come? - disse Oblomov, voltandosi sulla schiena e guardando il soffitto. - Come?
Me ne andrei in campagna.
- Che cosa te l'impedisce?
- Il piano non � finito. Poi non andrei solo, ma con una moglie...
- Ah, ecco, ecco! Che Dio ti protegga! Ma cosa aspetti? Ancora tre o quattro anni e
nessuno pi� vorr� sposarti...
- Che farci? vuoi dire che non � destino! - disse Oblomov, sospirando. - I mezzi
non me lo permettono.
- Scusa, e Obl�movka? Trecento anime.
- Cosa sono? Come vivere, con la moglie?
- In due come vivere?
- E se verranno i figli?
- Educherai i figli e loro si guadagneranno la vita da s�; sappili indirizzare in
modo...
- No, perch� ridurre dei nobili a semplici artigiani! - interruppe seccamente
Oblomov. - Ma, anche a prescindere dai figli, come � possibile in due? Del resto,
si dice cos� per dire: in due, ma, appena ti ammogli, t'arrivano in casa altre
donne chiss� di dove. Dai un'occhiata in qualunque famiglia: parenti, non parenti,
se non vivono in casa addirittura, vengono tutti i giorni a bere il caff�, a
pranzare... Come sfamare con trecento anime tanti pensionanti?
- Bene, supponiamo che ti regalassero ancora trecentomila rubli, che cosa ne
faresti? - domand� Stolz con vivissima curiosit�.
- Subito in banca li porterei, - disse Oblomov, - e vivrei con gli interessi.
- Quegli interessi sono piccoli; e perch� non dare i denari ad una societ�, per
esempio alla nostra?
- No, Andrej, non me la fai.
- Come, non avresti fiducia neppure in me?
- A nessun costo; non per te, ma tutto pu� succedere: la societ� fallisce ed eccoti
senza un soldo. In una banca � un altro affare.
- Va bene; e che cosa faresti?
- Passerei in una casa nuova, messa su con tutte le comodit�... Nei dintorni
abiterebbero dei buoni vicini, tu, per esempio... No, tu non puoi star fermo in un
posto...
- E te ne staresti l� per sempre? Non ti moveresti mai?
- A nessun costo!
- E allora perch� dappertutto ci si da da fare a costruir ferrovie, piroscafi, se
l'ideale della vita � starsene sempre allo stesso posto? Presentiamo, Il'j�, un
progetto che fermi tutto; cos� non andremo in nessun luogo.
- C'� tanta gente oltre di noi; ci son tanti amministratori, impiegati,
commercianti, funzionari, viaggiatori a spasso che non hanno un loro cantuccio. Che
viaggino pure loro!
- Ma tu chi sei? Oblomov taceva.
- A che classe della societ� ritieni di appartenere?
- Domandalo a Zach�r, - disse Oblomov.
Stolz soddisfece alla lettera il desiderio di Oblomov.
- Zach�r! - grid�.
Venne Zach�r con gli occhi assonnati.
- Chi � qui sdraiato? - domand� Stolz.
Zach�r si svegli� a un tratto e guard� sospettosamente, di traverso, prima Stolz,
poi Oblomov.
- Come chi? Non lo vedete forse?
- Non vedo, - disse Stolz.
- Ma che novit� � questa? E' il signore Il'j� Il'�tch. Egli sorrise.
- Bene, va'.
- Il signore! - ripet� Stolz e scoppi� in una risata.
- Be', gentleman, - corresse contrariato Oblomov.
- No, no, tu sei il signore! - continuava ridendo Stolz.
- Ma che differenza c'�? - domand� Oblomov. - Gentleman � lo stesso che signore.
- Gentleman � un signore, - precis� Stolz, - che si mette da s� le calze e da s� si
toglie le scarpe.
- S�, l'inglese, da s�, perch� da loro ci sono pochi servi, ma il russo...
- Continua dunque a dipingermi l'ideale della tua vita... Su via, dei buoni amici
intorno; e che altro? Come passeresti le tue giornate?
- Ecco, mi alzerei la mattina, - cominci� Oblomov, mettendo le mani sotto la nuca,
mentre sul suo viso si spandeva un'espressione di calma: col pensiero egli era gi�
in campagna. - Il tempo � magnifico, il ciclo azzurro, azzurrissimo, neppure una
nuvoletta, - continuava egli; - da un lato della casa, nel mio piano, c'� un
balcone ad oriente, verso il giardino, verso i campi; l'altro lato guarda il
villaggio. In attesa che si svegli mia moglie, indosserei la veste da camera e
passeggerei nel giardino per respirare l'aria mattutina; l� troverei il
giardiniere, insieme con lui innaffierei i fiori, taglierei i cespugli, poterei gli
alberi. Farei un mazzo di fiori per mia moglie. Poi andrei nel bagno, o andrei a
fare il bagno nel fiume; ecco, ritorno: il balcone � gi� aperto; mia moglie � in
vestaglia, con una leggera cuffietta che si regge appena, per poco il vento non
gliela porta via dalla testa... Ella m'aspetta. �Il t� � pronto�, dice. Che bacio!
Che t�! Che poltrona comoda! Mi siedo alla tavola; ci sono i biscotti, la panna, il
burro fresco...
- E poi?
- Poi indossato un ampio soprabito o una giacchetta qualunque, con un braccio
intorno alla vita di mia moglie, m'internerei con lei in un viale scuro senza fine;
si camminerebbe lentamente, soprappensiero, in silenzio, o si penserebbe ad alta
voce, si sognerebbe, si conterebbero i minuti di felicit�, come i battiti del
polso; si ascolterebbe come pulsa il cuore e sembra venir meno; si cercherebbe
simpatia nella natura... e si arriverebbe senza accorgersene al fiume, ai campi...
Il fiume mormora appena; le spighe si agitano al vento, fa caldo... ci si mette in
barca, mia moglie voga, alza appena il remo...
- Ma tu sei poeta, Il'j�! - lo interruppe Stolz.
- S�, poeta nella vita, perch� la vita � poesia. Gli uomini hanno un bel
contraffarla! Poi si pu� andar nella serra, - continu� Oblomov, inebbriandosi egli
stesso dell'ideale di felicit� che aveva dipinto.
Egli traeva dall'immaginazione dei quadri bell'e pronti, gi� da un pezzo dipinti, e
perci� parlava con animazione, senza fermarsi. - Andremmo ad osservare le pesche,
l'uva, - continuava, - diremmo quali bisogna portare in tavola, poi si tornerebbe
per una leggera colazione e si aspetterebbero le visite... poi, ecco che arriva o
un biglietto a mia moglie da una certa Mar'ja Petrovna insieme ad un libro o a
delle carte di musica, o un ananas che c'� stato mandato in dono; oppure nella
serra � maturato un enorme cocomero e lo mandi a un buon amico per il pranzo
dell'indomani, e magari ci vai tu stesso... E in cucina intanto tutto bolle; il
cuoco, in berretta e grembiale bianco come la neve, si affaccenda, mette una
casseruola, ne leva un'altra, qui da una rigirata, l� si mette a impastare, poi
butta l'acqua... i coltelli non fanno che battere... tritano la verdura... l�
preparano il gelato... Prima di pranzo � piacevole dare un'occhiata in cucina,
aprire una casseruola, annusare, osservare come si preparano i pasticcini, come si
batte la panna. Poi mi sdraierei sopra un sof�: mia moglie legge ad alta voce
qualche novit�; ci fermiamo, discutiamo... Ma ecco gli ospiti, per esempio, tu con
tua moglie.
- Bah, fai pigliar moglie anche a me?
- Assolutamente! Ancora due o tre amici, sempre le stesse facce. Riprendiamo la
conversazione interrotta del giorno prima, si scherza, oppure segue un silenzio
eloquente, ci si immerge nei propri pensieri: non per la perdita di un posto, non
per una causa in senato, ma per la pienezza dei desideri soddisfatti, per un senso
di felicit�... Non si sentono filippiche lanciate con la bava alla bocca contro un
assente, non si vedono sguardi che ti promettono di far la stessa cosa con te, non
appena avrai varcata la porta. Con chi non s'ama, con chi non � buono non si divide
il pane e il sale. Negli occhi dei presenti si vede simpatia, nello scherzo si
sente un riso sincero, non cattivo... Tutto come detta l'anima! Quel che � negli
occhi, nelle parole, � anche nel cuore! Dopo il pranzo il "moka", un avana sulla
terrazza...
- Tu mi dipingi la vita che han condotto i padri e i nonni...
- No, non � quella, - ribatt� Oblomov, quasi offeso, - dove mai? Che forse mia
moglie si occuperebbe di far marmellate e metter funghi sott'olio? Conterebbe essa
forse le matasse di filo o misurerebbe la tela? Picchierebbe forse le serve sulle
guance? Senti: carte di musica, libri, pianoforte, mobilio elegante...
- Bene, e tu?
- Io non leggerei i giornali dell'anno prima, non andrei in calesse e non mangerei
taglierini ed oche, ma farei istruire il mio cuoco al "club" inglese o presso un
ambasciatore.
- Bene, e poi?
- Poi, quando il caldo cadesse un po', ce ne andremmo in "telega" (Il carro lungo e
stretto dei contadini russi) col "samov�r" e del dessert nel boschetto di betulle o
in un prato, sull'erba falciata, stenderemmo tra i covoni dei tappeti e ce la
godremmo fino all'ora della bistecca e della cotoletta. I contadini tornano dal
campo, con le falci sulle spalle; l� passa un carico di fieno, che copre e la
"telega" e il cavallo, e in cima vien fuori un berretto di contadino con fiori e
una testolina di ragazzo; l� una folla di donne scalze, con le falci, che
cantano... A un tratto han visto i signori, hanno smesso, s'inchinano. Una di esse,
col collo abbronzato dal sole, coi gomiti nudi, con gli occhi timidamente
abbassati, ma furbi, si schermisce un pochino, solo per forma, dalla carezza del
padrone, ma � felice... tss... che la moglie non veda. Dio scampi e liberi!
Oblomov e Stolz si sbellicarono dalle risa.
- Fa umido nel campo, - concluse Oblomov, - � buio; la nebbia, come un mare che si
� rovesciato, copre la segale; i cavalli tremano nelle spalle e battono gli
zoccoli: � tempo di tornare a casa. In casa hanno gi� accesi i lumi; in cucina
battono in cinque i coltelli: una casseruola di funghi, cotolette, bacche... poi
musica... "Casta diva... Casta diva!" - inton� Oblomov. - Non posso ricordare a
freddo "Casta diva", - disse, dopo aver cantato il principio della cavatina, - come
consuma il suo cuore piangendo, questa donna! Che tristezza � in questi suoni! E
nessuno sa niente intorno... Lei sola... il suo segreto l'opprime; ella lo confida
alla luna...
- Tu ami quest'aria? Ne son proprio lieto; la canta magnificamente Ol'ga
Il'�nskaja. Te la far� conoscere: quella � una voce, quello � un canto! E lei
stessa, che deliziosa creatura! Del resto, forse, io non giudico spassionatamente:
ho un debole per lei... Non ti distrarre per�, non ti distrarre, - aggiunse Stolz,
- racconta!
- Be'! - continu� Oblomov, - che cosa raccontare ancora?... Questo � tutto!... Gli
ospiti vanno nelle camere loro assegnate, e l'indomani ognuno se ne va per conto
suo: chi a pescare, chi a caccia, e chi semplicemente se ne sta in casa...
- Cos�, semplicemente, senza aver nulla per le mani? - domand� Stolz.
- Cosa bisogna avere in mano? il fazzoletto per il naso, forse. Non vorresti vivere
anche tu cos�? - domand� Oblomov. - Eh? non � questa la vita?
- E cos� tutta l'esistenza? - domand� Stolz.
- Fino ai capelli bianchi, fino alla tomba. Questa � vita!
- No, questa non � vita!
- Come, non � vita? Che cosa ci manca? Pensa che non vedresti neppure un viso
pallido, sofferente, non conosceresti preoccupazioni, non sentiresti parlar di
senato, di borsa, di azioni, di conferenze, di ricevimenti ministeriali, di gradi,
di aumento di diarie. Solo conversazioni di tuo gusto! Non avresti mai bisogno di
cambiar casa, il che � gi� di per s� importante. E questa non � vita?
- Non � vita! - ripet� ostinato Stolz.
- E che cos'� secondo te?
- E'... - (Stolz si era fatto pensieroso e cercava come chiamare quella vita), -
�... oblomovismo, - disse egli alla fine.
- Oblomovismo! - ripet� lentamente Il'j� Il'�tch, meravigliato di questa strana
parola e dividendola in sillabe. - O-blo-mo-vi-smo!
Guard� stranamente e fissamente Stolz.
- E in che consiste l'ideale della vita secondo te? Non � esso l'oblomovismo? -
domand� egli senza slancio, timidamente. - Che non tendono forse tutti a quello che
io sogno? Ti prego! - aggiunse egli pi� arditamente. - Che forse lo scopo di tutto
il vostro affaccendarvi, delle vostre passioni e guerre, del vostro commercio e
della vostra politica non � il raggiungimento della calma, l'aspirazione a questo
ideale di paradiso perduto?
- Anche la tua utopia � oblomovistica, - ribatt� Stolz.
- Tutti cercano pace e riposo, - si difese Oblomov.
- Non tutti, e tu stesso dieci anni fa non cercavi questo nella vita.
- E che cosa cercavo? - domand� dubbioso Oblomov, immergendosi col pensiero nel
passato.
- Ricordati, pensa. Dove sono i tuoi libri, le traduzioni?
- Zach�r li ha ficcati non so dove, - rispose Oblomov, - debbono essere qui in
qualche angolo.
- In qualche angolo! - disse con tono di rimprovero Stolz. - In questo angolo sono
dunque anche i tuoi princip�: �lavorare fintanto che reggono le forze, perch� la
Russia ha bisogno di braccia e di teste per elaborare le fonti inesauribili (sono
parole tue); lavorare per riposare pi� dolcemente e riposare significa vivere un
altro lato della vita, il lato artistico, bello, la vita degli artisti, dei poeti�.
Anche queste tue idee Zach�r le ha messe in un angolo? Non ti ricordi che volevi,
letti i libri, visitare i paesi stranieri per meglio conoscere e amare il tuo
paese? �Tutta la vita � pensiero e lavoro�, affermavi tu allora, �magari un lavoro
ignorato, oscuro, ma ininterrotto, e bisogna morire con la coscienza di aver
compiuto il proprio dovere�. Eh! in quale angolo hai gettato tutto ci�?
- S�... s� - disse Oblomov, seguendo inquieto ogni parola di Stolz, - mi ricordo
che... proprio... mi pare... Come no, - disse egli, ricordando all'improvviso il
passato, - � vero, Andr�j, noi ci accingevamo a percorrere in lungo e in largo
l'Europa, a traversar la Svizzera a piedi, a bruciarci i piedi sul Vesuvio, a
scendere nelle rovine di Ercolano. Per poco non siamo impazziti. Quante
sciocchezze!...
- Sciocchezze! - ripet� in tono di rimprovero Stolz. - Non hai detto tu con le
lacrime agli occhi, guardando le riproduzioni delle Madonne di Raffaello, della
"Notte" del Correggio, dell'"Apollo" del Belvedere: �Dio mio! Non mi sar� dunque
mai dato di vederne gli originali e di ammutolire per l'impressione di essere
davanti a un'opera di Michelangelo, di Tiziano e di calpestare il suolo di Roma?
Dovr� dunque per tutta la vita vedere questi mirti e cipressi ed aranci nelle serre
e non nella loro patria? Non respirare l'aria d'Italia, e inebbriarmi nell'azzurro
suo ciclo?� E quanti magnifici fuochi d'artificio uscivano allora dalla tua testa!
Sciocchezze!
- S�, s�, mi ricordo! - disse Oblomov, riandando col pensiero al passato. - Tu mi
prendesti per la mano e dicesti: �Diamoci la parola che non moriremo senza aver
visto tutto ci�...�
- Mi ricordo, - continu� Stolz, - come tu una volta mi portasti una traduzione di
Say, con una dedica per il mio onomastico; la traduzione l'ho conservata intatta. E
come ti chiudesti col maestro di matematica perch� volevi assolutamente arrivare a
sapere a che ti servisse conoscere circoli e quadrati, ma a met� gettasti via tutto
e cos� non ci arrivasti. Ti mettesti a studiar l'inglese e... non l'imparasti! E
quando io feci il piano di andare all'estero, e ti invitai a visitare con me le
universit� tedesche, tu saltasti su, mi abbracciasti e mi tendesti solennemente la
mano: �Io vengo ovunque con te, Andr�j�. Son tutte parole tue. Tu sei stato sempre
un po' attore. Che non � vero, Il'j�? Io sono stato due volte all'estero e, dopo
aver conosciuto la nostra saggezza, tranquillamente mi son seduto sui banchi
studenteschi a Bonn, a Jena, a Erlangen, poi ho imparato a conoscere l'Europa come
il mio podere. Ma ammettiamo che un viaggio all'estero sia un lusso e non tutti
sono tenuti e in condizioni di farlo; ma la Russia? Io ho visitata la Russia in
lungo e in largo. Lavoro...
- Smetterai una buona volta di lavorare, - osserv� Oblomov.
- Non smetter� mai. Perch� dovrei smettere?
- Quando avrai raddoppiato il tuo capitale, - disse Oblomov.
- Non smetter� neppure quando l'avr� quadruplicato.
- Ma a che scopo ti affatichi, - riprese Oblomov dopo qualche istante di silenzio,
- se il tuo scopo non � quello di trovar l'indipendenza e poi ritirarti a godere un
po' di pace?
- Oblomovismo campagnolo! - disse Stolz.
- Oppure, prestando servizio, raggiungere una posizione e un nome nella societ� e
poi godere in un ozio onorato la meritata pace...
- Oblomovismo pietroburghese! - ribatt� Stolz.
- Ma allora quando bisogna vivere? - replic� Oblomov con dispetto alle osservazioni
di Stolz. - A che scopo tormentarsi tutta la vita?
- Per amore dello stesso lavoro e niente pi�. Il lavoro � l'immagine, il contenuto,
l'elemento e lo scopo della vita, per lo meno della mia vita. Tu invece hai
eliminato il lavoro dalla tua vita: a che cosa somiglia essa ora? Io cercher� di
sollevarti, forse per l'ultima volta. Se poi continuerai ancora a startene l�
seduto, coi tuoi Tarant'ev e Alekseev, sarai perduto del tutto e diventerai di peso
anche a te stesso. Adesso o mai! - concluse egli.
Oblomov lo ascoltava, guardandolo con occhi inquieti. Come se l'amico gli avesse
messo davanti uno specchio ed egli fosse spaventato, riconoscendosi.
- Non mi rimproverare, Andr�j, ma anzi aiutami per davvero! - cominci� egli con un
sospiro. - Io stesso mi tormento; e se tu, per esempio, avessi visto e sentito oggi
com'io mi scavavo da me stesso la fossa e mi compiangevo, non avresti avuto il
coraggio di rimproverarmi. So tutto, capisco tutto, ma non ho n� forza n� volont�.
Dammi la tua volont� e la tua mente e portami dove vuoi. Forse ti seguir�; da solo
non sapr� muovermi. Tu dici la verit�: �Adesso o mai!� Ancora un anno e sar� troppo
tardi!
- Ma sei tu questo, Il'j�? - disse Andr�j. - Io mi ricordo di te come di un ragazzo
snello, vivace, che ogni giorno da Prec�stenka si recava a K�drino; l�, nel
giardinetto... non hai dimenticato le due sorelle? E Rousseau, Schiller, Goethe,
Byron, che tu portavi loro, togliendo dalle loro mani i romanzi della Cottin e
della Genlis... li hai dimenticati? Ti davi delle arie davanti a loro, volevi
migliorare il loro gusto...
Oblomov salt� su dal divano.
- Come, anche questo ti ricordi, Andr�j? S�, s�! Io sognavo con loro, sussurravo
loro speranze per il futuro, coltivavo piani, pensieri e... anche sentimenti, di
nascosto perch� tu non ridessi di me. E tutto � morto allora e non si � pi�
ripetuto! E dove � andato a finire tutto ci�? Perch� si � spento? E'
incomprensibile! Io non ho avuto n� tempeste n� agitazioni; non ho perduto nulla;
nessun giogo ha oppresso la mia coscienza: essa � pura come cristallo; nessun colpo
ha ucciso in me il mio amor proprio, eppure, Dio sa perch�, tutto va in rovina!
Egli sospir�.
- Sai, Andr�j, nella mia vita non ha divampato mai un fuoco n� salvatore n�
distruttore. Essa non � stata, come in tutti gli altri, simile al mattino che a
poco a poco � avvolto nei colori, nel fuoco, poi si trasforma in giorno che arde e
ribolle e vibra nel luminoso meriggio, e poi, sempre pi� calmo e pi� pallido,
naturalmente e gradualmente si spegne a sera. No, la mia vita � cominciata col
tramonto. E' strano, ma � cos�! Dal primo momento che ho avuto coscienza di me
stesso, ho sentito che mi spegnevo. Cominciai a spegnermi mentre scrivevo atti
all'ufficio, mi spensi poi leggendo nei libri quelle verit� delle quali non sapevo
che fare nella vita; mi spensi con gli amici, ascoltando i loro discorsi, i loro
pettegolezzi, le loro punzecchiature, il loro malvagio e freddo chiacchierare, il
loro vuoto, guardando l'amicizia tenuta su da incontri senza scopo e senza
simpatia; mi spensi e consumai le mie forze con Mina a cui pagavo pi� della met�
delle mie entrate, immaginandomi di amarla; mi spensi nel triste e fiacco
passeggiar per il "Nevskij Prosp�kt", tra le pellicce d'orso ed i baveri di
castoro, nelle serate, nei giorni di ricevimento, dove mi si accoglieva
gioiosamente come un discreto fidanzato; mi spensi sprecando in sciocchezze la vita
e l'intelligenza, trasferendomi dalla citt� in campagna, dalla campagna in via
Gor�chovaja, contrassegnando la primavera con l'arrivo delle ostriche e delle
aragoste, l'autunno e l'inverno coi giorni di ricevimento, l'estate con le
passeggiate, e tutta la vita con una fiacca e tranquilla sonnolenza, come tutti gli
altri... Perfino l'amor proprio, in che cosa l'ho consumato? Nell'ordinar vestiti
ad un sarto di grido? Nell'andar in una casa nota? Nel farmi stringere la mano dal
Principe P.? E l'amor proprio � il sale della vita! In che cosa l'ho sprecato? O io
non ho compresa la vita, o essa non � buona a nulla, o io non ho conosciuto o
veduto nulla di meglio, nessuno me l'ha mostrato. Tu sei apparso e scomparso come
una cometa luminosamente, rapidamente, ed io ho dimenticato tutto e mi sono
spento...
Stolz non rispondeva pi� al discorso di Oblomov col suo sorriso ironico e
noncurante. Egli ascoltava e taceva imbronciato.
- Tu hai detto poco fa che il mio viso non � fresco, che � appassito, - continu�
Oblomov; - s�, io sono vizzo, vecchio e logoro come un mantello usato, ma non a
causa del clima, del lavoro, bens� perch� per dodici anni � stata chiusa per me una
luce che cercava l'uscita, ma ha bruciato soltanto la sua prigione, senza
liberarsi, e si � spenta. Cos�, mio caro Andr�j, sono passati dodici anni: io non
avevo pi� desiderio di svegliarmi.
- Perch� non ti sei strappato via, non sei scappato lontano, ma ti sei lasciato
andar gi� in silenzio? - domand� impaziente Stolz.
- Dove?
- Dove? Sia pure anche coi tuoi contadini sulla Volga: anche l� c'� movimento, ci
sono degli interessi, uno scopo, del lavoro. Io andrei in Siberia, a Sitcha.
- Tu prescrivi sempre dei mezzi cos� energici! - not� Oblomov triste. - Sono io del
resto il solo? Guarda: Michajlov, Petr�v, Sem�nov, Alekseev, Stepanov... non
finisci mai di contare; il nostro nome � legione!
Stolz era ancora sotto l'influsso della confessione di Oblomov e taceva. Poi
sospir�.
- S�, � passata molt'acqua sotto i ponti! - disse. - Ma io cos� non ti lascer�, io
ti porter� via di qui, prima di tutto all'estero, poi in campagna; dimagrirai un
pochino, perderai un po' del tuo "spleen" e troveremo per te anche
un'occupazione...
- S�, andiamo dove che sia! - sfugg� ad Oblomov.
- Domani ci occuperemo del passaporto, poi ci prepareremo... Bada ch'io non mollo,
hai sentito, Il'j�?
- Tu dici subito: domani! - rispose Oblomov, come se cadesse dalle nuvole.
- Ah, tu vorresti �non rimandare a domani ci� che pu� essere fatto oggi?� Che
fretta! Oggi � troppo tardi, - aggiunse Stolz. -Ma fra quindici giorni saremo gi�
lontani...
- Che dici, Andr�j, fra quindici giorni; ti prego, cos� all'improvviso!... - disse
Oblomov. - Lasciami pensar bene e prepararmi... Ci vuole un "tarant�s" (Vettura
russa da viaggio)... tra un sei mesi...
- Ma che "tarant�s"! Fino al confine andremo con la posta, o per piroscafo fino a
Lubecca, come sar� pi� comodo; e poi in molti di quei paesi c'� la ferrovia.
- E l'appartamento, e Zach�r, e Obl�movka? Bisogna provvedere, - cerc� di
difendersi Oblomov.
- Oblomovismo, oblomovismo! - disse Stolz, ridendo, poi prese una candela, augur�
ad Oblomov la buona notte e and� a dormire. - Adesso o mai, ricordati! - aggiunse,
voltandosi verso Oblomov e chiudendo la porta dietro di s�.

5.
�Adesso, o mai!�: queste minacciose parole si presentarono alla memoria di Oblomov,
appena si svegli� la mattina dopo.
Si alz�, and� tre volte su e gi� per la camera, e gett� un'occhiata nel salotto:
Stolz seduto scriveva.
- Zach�r! - chiam�.
Non si sente il salto gi� dalla stufa, Zach�r non viene: Stolz lo ha mandato alla
posta.
Oblomov si avvicin� alla sua tavola coperta di polvere, sedette, prese la penna,
l'immerse nel calamaio, ma non c'era inchiostro, cerc� della carta: pure nulla.
Rimase soprappensiero e si mise automaticamente a tracciare dei segni col dito
sulla polvere, poi guard� quel che aveva scritto; lesse: �oblomovismo�.
Cancell� rapidamente con la manica lo scritto. Questa parola egli l'aveva sognata
durante la notte, tracciata con lettere di fuoco sui muri, come Baldassarre al
festino.
Arriv� Zach�r e, trovando Oblomov non a letto, ma in piedi, lo guard� con uno
sguardo torbido. In questo sguardo ottuso di meraviglia era scritto: �oblomovismo!�
�Una parola, - pens� Il'j� Il'�tch, - ma quanto... velenosa!...�
Zach�r, secondo l'abitudine, prese il pettine, la spazzola, l'asciugamano e si
avvicin� ad Il'j� Il'�tch per pettinarlo.
- Va' al diavolo! - disse irritato Oblomov e fece saltare la spazzola dalle mani di
Zach�r che aveva gi� lasciato cadere il pettine...
- Non vi coricate di nuovo? - domand� Zach�r. - Accomoderei il letto.
- Portami inchiostro e carta, - rispose Oblomov. Oblomov continuava a pensare alle
parole: �Adesso, o mai!�
Prestando ascolto a questo appello disperato della ragione e della forza, egli
cercava di capire quanta volont� ancora gli restasse e dove egli avrebbe portato,
come avrebbe impiegato questo meschino residuo. Dopo aver tormentosamente
riflettuto, prese la penna, tir� fuori dall'angolo un libro, con l'intenzione di
leggere, scrivere e pensare in un'ora tutto quel che non aveva letto, scritto e
pensato nel corso di dieci anni.
Che cosa doveva fare, adesso? Andare avanti o restare? Questa domanda oblomoviana
era per lui pi� profonda del dubbio di Amleto. Andare avanti significava gettar via
d'un colpo l'ampia veste da camera, e non soltanto dalle spalle, ma anche
dall'anima, dalla mente; significava levar via, insieme alla polvere e alle
ragnatele dai muri, anche la ragnatela dagli occhi e diventar veggente!
Qual era il primo passo da fare? Di dove cominciare? �Non so, non posso... no...
giocher� di astuzia, so anche... Ma Stolz � qui, sotto mano; mi dir� lui�.
Ma che cosa dir�? - In una settimana - dir� - bisogna buttar gi� le istruzioni
particolareggiate per il fiduciario da mandare in campagna, ipotecare l'Obl�movka,
comprare un'altra terra, mandare il piano delle costruzioni, lasciare
l'appartamento, fare il passaporto e andarsene per sei mesi all'estero, liberarsi
del grasso superfluo, gettar via la propria pesantezza, rinfrescar l'anima con
quell'aria che una volta aveva sognata con l'amico, vivere senza veste da camera,
senza Zach�r e Tarant'ev, infilarsi da s� le calze e togliersi da s� le scarpe,
dormire soltanto la notte, andare dove vanno tutti, in ferrovia, in piroscafo,
poi... Poi... stabilirsi ad Obl�movka, imparare che cosa � la semina e che cosa la
trebbiatura, perch� ci son contadini poveri e contadini ricchi, andare nei campi,
alle elezioni, all'officina, ai mulini e ai depositi. Nello stesso tempo leggere i
giornali, i libri, agitarsi perch� gli inglesi hanno mandato una nave in Oriente...
Ecco quel che egli dir�! Questo significa andare avanti... E cos� tutta la vita!
Addio, ideale poetico della vita! Questa � una fucina e non la vita: qui ci son
fiamme, calore, chiasso, colpi di martello... quando dunque vivere? Non � meglio
restare? Restare significa indossare la camicia alla rovescia, sentire il salto di
Zach�r gi� dalla stufa, pranzare con Tarant'ev, pensar poco intorno ad ogni cosa,
non leggere fino alla fine il viaggio in Africa, invecchiare pacificamente
nell'appartamento della comare di Tarant'ev...
�Adesso, o mai!� - �Essere o non essere!� Oblomov si sollev� sulla poltrona, ma il
piede non si infil� subito nella pantofola e sedette di nuovo.
Due settimane pi� tardi Stolz parti per l'Inghilterra, dopo essersi fatto dare da
Oblomov la parola che sarebbe andato direttamente a Parigi. Il'j� Il'�tch aveva gi�
avuto il passaporto, s'era gi� ordinato un pastrano da viaggio e aveva comprato un
berretto. Cos� avanti erano andate le cose.
Gi� Zach�r aveva sagacemente dimostrato che bastava ordinare un solo paio di
scarpe, facendo risuolare l'altro. Oblomov aveva comprata una coperta, un corpetto
di lana, un n�cessaire da viaggio, voleva comprare anche un sacco per provviste, ma
almeno dieci persone gli avevano detto che all'estero non si portano provviste con
s�.
Zach�r correva tutto sudato per le botteghe e i negozi e, sebbene dei resti che
riceveva molte monete da dieci e cinque copeche andassero a finire nelle sue
tasche, tuttavia malediceva Andr�j Iv�novitch e tutti quelli che hanno inventato i
viaggi.
- Che cosa far� l� solo? - diceva in una bottega, - dicono che l� si sia serviti
solo da donne. Come pu� una donna cavar le scarpe al padrone? E come potr� infilar
le calze ai piedi nudi del signore?...
Egli sorrise in un modo che perfino le fedine gli si alzarono su dai lati e scosse
la testa. Oblomov non perdeva tempo, scriveva quel che doveva portar via e quel che
doveva lasciare. Tarant'ev fu incaricato di portare i mobili e tutto il resto
nell'appartamento della comare, nel quartiere di Vyborg, di chiuderli in tre stanze
e di custodirli fino al ritorno del signore dall'estero.
Gi� i conoscenti di Oblomov, alcuni con incredulit�, altri ridendo, altri ancora
spaventati, dicevano: - Parte; pensate un po', Oblomov che s'� mosso!
Ma Oblomov non part� n� dopo un mese, n� dopo tre.
La vigilia del viaggio, nella notte, gli si gonfi� un labbro.
- Una mosca mi ha punto, non � possibile mettersi in mare con un labbro simile! -
disse e decise di aspettare il piroscafo seguente.
Ecco l'agosto, Stolz � gi� a Parigi; scrive a Oblomov delle lettere furibonde, ma
non riceve risposta. Perch�? Forse perch� l'inchiostro s'� seccato nel calamaio e
non c'� carta? O forse perch� nello stile di Oblomov si incontrano troppo spesso i
"che" e "il quale", o finalmente perch� Oblomov, nel grido minaccioso �adesso o
mai�, ha scelto quest'ultimo, si � messe le mani sotto la testa e Zach�r invano
cerca di svegliarlo? Ma no, il calamaio � pieno d'inchiostro, sulla tavola ci sono
delle lettere, c'� della carta perfino con lo stemma familiare e per di pi� coperta
della scrittura di Oblomov. Quando egli scrive anche alcune pagine di seguito, non
mette mai due volte "il quale"; il suo stile scorre liberamente e a tratti � anche
espressivo ed eloquente come in �quei giorni�, quando con Stolz sognava una vita di
lavoro ed i viaggi. Si alza alle sette, legge, porta in qualche luogo i suoi libri.
Sul suo viso non c'� n� sonno, n� stanchezza, n� noia. Esso si � anzi colorito, gli
occhi brillano ed esprimono ardire, o per lo meno sicurezza di s�. Non indossa pi�
la lunga veste da camera: Tarant'ev l'ha portata insieme alle altre cose dalla
comare. Oblomov siede con un libro o scrive avvolto in un pastrano da casa; al
collo porta una leggera cravatta, il collo della camicia � rovesciato e splende
come neve. Esce in abito eccellentemente tagliato, porta un cappello da damerino...
E' allegro, canticchia... Perch� tutto questo?
Ecco, egli siede presso la finestra della sua villa (vive adesso in una villa, a
qualche versta dalla citt�), e accanto a lui � un mazzo di fiori. Sta finendo di
scrivere qualche cosa in fretta e, attraverso i cespugli, guarda continuamente il
viottolo e continua a scrivere.
A un tratto sul viottolo la ghiaia ha scricchiolato sotto passi leggeri; Oblomov ha
gettato via la penna, preso il mazzo di fiori ed � corso alla finestra.
- Siete voi, Ol'ga Serg�evna? Subito, subito! - disse, prese il berretto e la
canna, corse al cancelletto, diede il braccio ad una bellissima donna e scomparve
con lei nel bosco, all'ombra degli enormi abeti...
Zach�r usc� da un cantuccio, lo segui con lo sguardo, chiuse la stanza e se ne and�
in cucina.
- E' uscito! - disse ad Anis'ja.
- E a pranzo verr�?
- E chi lo sa! - rispose assonnato Zach�r.
Zach�r � sempre lo stesso: le stesse enormi fedine, la barba non fatta, lo stesso
panciotto grigio e un buco nella giacca, ma ha sposato Anis'ja, o perch� l'ha rotta
con la comare o per il principio che ogni uomo deve ammogliarsi; si � sposato, ma,
contrariamente al proverbio, non � cambiato.
Stolz aveva presentato Oblomov a Ol'ga e alla zia di lei. Quando Stolz aveva
accompagnato Oblomov la prima volta dalla zia di Ol'ga, c'erano degli ospiti:
Oblomov s'era sentito oppresso e, come al solito, imbarazzato. �Mi piacerebbe
levarmi i guanti, - pensava egli, - in questa stanza fa caldo. Ho proprio perduto
l'abitudine di tutto!...�
Stolz si mise accanto ad Ol'ga, che sedeva sola, sotto la lampada, un po' discosto
dalla tavola del t�, con la schiena appoggiata alla poltrona, e poco si occupava di
ci� che avveniva intorno a lei.
Ella si rallegr� molto nel vedere Stolz; anche se i suoi occhi non brillarono e le
sue gote non diventarono rosse, tuttavia su tutto il suo viso si sparse una luce
eguale, serena, e comparve un sorriso. Ella lo chiamava suo amico, lo amava perch�
la faceva sempre ridere, non l'annoiava, ma anche un po' lo temeva perch� si
sentiva troppo bambina in confronto di lui. Quando una questione, un dubbio le
nascevano nella mente, ella non si decideva subito a confidarglielo: egli era
troppo innanzi, troppo in alto, cosicch� talvolta l'amor proprio di lei soffriva di
questa immaturit�, di questa distanza di mente e d'et�. Stolz a sua volta
l'ammirava disinteressatamente, come una creatura meravigliosa, dotata di una
profumata freschezza di spirito e di sentimento. Ella era ai suoi occhi solo una
bambina deliziosa, che dava grandi speranze di s�. Tuttavia con lei si intratteneva
pi� volentieri e pi� spesso che con le altre donne, perch�, sia pure
incoscientemente, ella seguiva una via semplice e naturale di vita e, per la sua
felice natura, per la sua educazione sana e non artificiosa, non rifuggiva dalla
naturale manifestazione del pensiero, del sentimento, della volont� neppure nel pi�
piccolo e impercettibile moto degli occhi, delle labbra e delle mani. Per questo
forse ella andava cos� sicura per questa via, che di tempo in tempo sentiva accanto
i passi ancora pi� sicuri dell'�amico� e nel quale aveva fede, e su di essi
misurava i propri. Comunque fosse, era raro trovare in una fanciulla tanta
semplicit� e libert� naturale di sguardo, di parola, di procedere. Nei suoi occhi
non si leggeva mai: �Adesso stringo un po' le labbra e mi fo pensierosa; non mi sta
male. Guardo e mi spavento, lancio un piccolo grido e tutti corrono subito a me. Mi
seggo al pianoforte e stendo appena appena le punte dei piedi...� Non c'era in lei
n� artificio, n� civetteria, n� menzogna, n� sottintesi, n� fronzoli! Eppure Stolz
era quasi il solo ad apprezzarla; eppure pi� di una volta durante il ballo era
rimasta senza cavaliere, senza nascondere la noia; eppure, guardandola, i pi�
gentili fra i giovanotti perdevano la loro parlantina, non sapendo che cosa dirle e
come...
Alcuni la consideravano semplice, limitata, superficiale, perch� dalle sue labbra
non sgorgavano n� sagge sentenze intorno alla vita e all'amore, n� rapide,
inaspettate e ardite repliche, n� giudizi sulla musica e la letteratura letti nei
libri o sentiti da altri: ella parlava poco e solo di cose sue, di poca importanza,
ed era evitata dai �cavalieri� pi� intelligenti e disinvolti; i timidi al contrario
la consideravano troppo sensata e la temevano un poco. Solo Stolz parlava con lei
senza tregua e la teneva allegra. Ella amava la musica, ma cantava per lo pi� sola
o in presenza di Stolz o di qualche amica di collegio, ma cantava, secondo le
parole di Stolz, come non canta nessuna cantante.
Non appena Stolz s'era seduto al suo fianco, subito nella stanza aveva echeggiato
la sua risata, una risata cos� sonora, cos� sincera e comunicativa che chiunque la
sentiva rideva a sua volta, senza sapere il perch�. Ma Stolz non la fece soltanto
ridere: dopo una mezz'ora ella lo ascoltava con curiosit� e con raddoppiata
curiosit� portava i suoi occhi su Oblomov, e Oblomov davanti a quegli sguardi
avrebbe voluto sprofondar sotterra.
�Cosa dicono di me?� pensava egli, lanciando loro inquieto delle occhiate di
traverso. Egli voleva andarsene, ma la zia di Ol'ga lo chiam� alla tavola e se lo
fece sedere accanto sotto gli sguardi incrociati di tutti i presenti.
Egli si volt� timidamente verso Stolz: questi non c'era pi�; guard� Ol'ga e
incontr� lo stesso sguardo curioso diretto a lui.
�Non fa che fissarmi!� pens�, guardandosi turbato il vestito. Si pass� perfino il
fazzoletto sul viso pensando che forse aveva il naso sporco, si tocc� la cravatta
per vedere se non s'era sciolta: qualche volta gli succedeva; no, tutto era a
posto, e lei continuava a guardarlo!
Un servitore gli port� una tazza di t� e gli tese un vassoio con biscottini. Egli
volle soffocare in s� l'imbarazzo, sembrare sciolto e in questa scioltezza prese un
tale mucchio di pasticcini, biscotti ed altro che una ragazzina che gli sedeva
vicino si mise a ridere. Altri guardarono il mucchio con curiosit�.
�Dio mio, anche lei mi guarda! - pensava Oblomov. - Che me ne faccio di questo
mucchio di biscotti?�
Egli vide, senza guardare, come Ol'ga s'alz� dal suo posto e se ne and� in un altro
angolo. Si sent� alleggerire il cuore. La ragazzina invece continuava a tener fissi
gli occhi su lui, aspettando di vedere che cosa avrebbe fatto dei biscotti.
�Me li manger� svelto svelto�, pens� egli e cominci� rapidamente a farne strage;
per fortuna essi gli si scioglievano in bocca.
Rimasero solo due biscotti; sospir� liberamente e si decise a guardare dove se
n'era andata Ol'ga...
O Dio! ella � l� in piedi presso un busto, appoggiata al piedistallo, e segue i
suoi movimenti. Era andata via dal suo posto evidentemente per guardarlo con pi�
libert�: ella aveva notato il suo imbarazzo a proposito dei biscotti.
A cena ella sedette all'altro estremo della tavola, chiacchier�, mangi�, e pareva
non occuparsi affatto di lui. Ma non appena Oblomov timorosamente si voltava dalla
sua parte con la speranza ch'ella non guardasse, incontrava lo sguardo di lei tutto
pieno di curiosit�, ma nello stesso tempo cos� buono...
Dopo cena Oblomov si accommiat� in fretta dalla zia; ella lo invit� a pranzo per il
giorno seguente e lo preg� di trasmettere l'invito anche a Stolz. Il'j� Il'�tch
s'inchin� e, senza levar gli occhi, attravers� tutta la sala. Ecco, subito dopo il
pianoforte un paravento e la porta. Gett� un'occhiata; al pianoforte stava Ol'ga
che lo guardava con grande curiosit�. Gli sembr� che ella sorridesse.
�Certamente Andr�j le ha raccontato che ieri avevo messo calze differenti o la
camicia alla rovescia!� concluse fra s� e and� a casa di cattivo umore e per la
supposizione fatta e ancor pi� per l'invito a pranzo, al quale aveva risposto con
un inchino, cio�, accettando.
Da questo momento lo sguardo insistente di Ol'ga non usc� pi� dalla testa di
Oblomov. Invano si stendeva in tutta la sua lunghezza sulla schiena, invano
prendeva le pose pi� comode e pigre, non si addormentava. E la veste da camera gli
divenne odiosa, Zach�r gli parve stupido e insopportabile, la polvere e le
ragnatele insoffribili.
Ordin� che fossero portati via alcuni brutti quadri che gli aveva appiccicati un
protettore di artisti poveri; accomod� egli stesso la tenda che da un pezzo non si
poteva tirar su, chiam� Anis'ja e le ordin� di pulire le finestre, tolse le
ragnatele, poi si sdrai� su di un fianco e per un'ora intera pens� ad Ol'ga. Da
principio si occup� attentamente dell'aspetto esteriore di lei, rievocandone nella
memoria il ritratto. Ol'ga non era una bellezza, nel senso stretto della parola,
cio� non aveva n� accecante bianchezza, n� vivace colorito sulle gote e le labbra,
e gli occhi non ardevano di un fuoco intcriore; non aveva n� labbra di corallo n�
perle al posto dei denti, n� mani da miniatura come un bambino di cinque anni, con
le dita come acini d'uva. Ma se fosse stata convertita in una statua, sarebbe stata
la statua della grazia e dell'armonia. Alla sua figura piuttosto alta corrispondeva
la grandezza della testa e a questa l'ovale delle proporzioni del viso; tutto ci�,
a sua volta, armonizzava con le spalle, le spalle col busto...
Chiunque l'incontrasse, anche un distratto, doveva fermarsi un istante davanti a
questa creatura cos� severamente, meditatamente ed artisticamente modellata. Il
naso formava una linea graziosa, appena appena convessa; le labbra erano sottili e
per lo pi� serrate: segno di un pensiero ininterrottamente teso. La stessa presenza
di un pensiero eloquente brillava nello sguardo acuto, sempre sveglio ed attento
degli occhi scuri, grigio-azzurri. Le sopracciglia davano una particolare bellezza
agli occhi; non erano arcuate, non circondavano gli occhi come due esili fili
assottigliati con le dita, no, erano due morbide strisce bianco-scure, quasi
dritte, che solo di rado stavano simmetricamente: una era di una linea pi� alta
dell'altra e ne derivava una piccola ruga sul sopracciglio che sembrava dire che l�
dietro c'era un pensiero.
Ol'ga camminava con la testa un po' piegata innanzi, ma cos� elegantemente,
nobilmente appoggiata sul collo sottile e superbo! si moveva con tutto il corpo
egualmente, con passi leggeri, quasi impercettibili...
�Ma perch� ieri mi ha guardato cos� fisso? - pensava Oblomov. - Andr�j giura che
non ha parlato n� delle calze n� della camicia, ma ha parlato della sua amicizia
per me, le ha raccontato come siamo cresciuti, come abbiamo studiato insieme, tutto
ci� che c'� stato di bello tra noi, e tra l'altro (ha raccontato anche questo) come
Oblomov � infelice, come tutto quel che c'� di buono va in rovina per mancanza di
attivit� e di interesse, come � debole il fuoco della vita e come...�
�Che c'� da sorridere? - continuava a pensare Oblomov. - Se in lei ci fosse un
tantino di cuore, ella dovrebbe rabbrividire, sanguinare dalla piet�, e invece...
Be', che Dio la protegga! Smetter�
di pensarci! Ci vado solo oggi a pranzo, poi non metto pi� piede in casa loro�.
E i giorni seguivano ai giorni, ed egli era sempre l�, con i piedi, le mani e la
testa.
Un bel mattino Tarant'ev trasport� tutta la casa di Oblomov dalla comare, nel
vicolo, nel quartiere di Vyborg, e Oblomov pass� tre giorni come da un pezzo non
gli era capitato: senza letto, senza divano, pranzando in casa della zia di Ol'ga.
A un tratto risult� che di fronte alla loro villa ce n'era un'altra libera. Oblomov
l'affitt� senza nemmeno visitarla ed � l� che vive adesso. E' con Ol'ga dalla
mattina alla sera: legge con lei, le manda dei fiori, passeggia con lei sulle rive
del lago, sulle colline... lui, Oblomov.
Che cosa non avviene in questo mondo? Ma come ci� era potuto succedere? Ecco come.
Quando egli e Stolz avevano pranzato dalla zia di Ol'ga, Oblomov durante il pranzo
aveva provato le stesse sofferenze della vigilia, aveva masticato sotto lo sguardo
di Ol'ga, aveva parlato, sapendo, sentendo che su di lui, come un sole, era posato
quello sguardo e lo bruciava, lo agitava, gli scuoteva i nervi, il sangue. A
malapena sul balcone, mentre fumava il sigaro, gli era riuscito per un momento di
nascondersi, dietro il fumo, a quello sguardo silenzioso, tenace.
�Ma che cos'� questo? - diceva egli a se stesso, rigirandosi da tutte le parti. -
Ma � un vero tormento! Mi vuoi dunque prendere in giro? Ella non guarda nessun
altro cos�: non osa. Io sono pi� pacifico, ed ecco che lei... Io le parler�! -
decise: - e piuttosto le dir� io stesso con le parole quel che lei mi cava
dall'anima con gli occhi�.
A un tratto ella gli apparve innanzi sulla soglia del balcone; egli le avvicin� una
sedia e lei gli si sedette accanto.
- E' vero che vi annoiate molto? - domand� ella.
- E' vero, - rispose egli. - Solo, non molto... Ho delle occupazioni.
- Andr�j Ivanytch dice che scrivete un certo piano.
- S�, voglio andare a vivere in campagna, e mi ci preparo a poco a poco.
- E all'estero andrete?
- Certamente, non appena Andr�j Ivanytch sar� pronto.
- Andate volentieri? - domand� ella.
- S�, molto volentieri...
Egli la guard� : sul suo viso guizzava un sorriso, che ora le illuminava gli occhi,
ora si diffondeva sulle guance, solo le labbra restavano serrate, come sempre. Egli
non aveva abbastanza forza d'animo per mentire tranquillamente.
- Io sono un poco... pigro... - disse egli: - ma...
Nello stesso momento si sent� irritato perch� a Ol'ga era riuscito cos� facilmente,
quasi senza parlare, di strappargli la confessione della sua pigrizia. �Che cosa �
ella per me? Ho forse paura di lei?� pens�.
- Pigro! - ella replic� con un'espressione di furberia appena appena percettibile.
- Ma come pu� essere? Un uomo pigro � una cosa che non capisco.
�Cosa c'� qui da non capire? - pens� egli: - mi pare una cosa semplice�.
- Io passo quasi tutto il mio tempo a casa, e perci� Andr�j crede che io...
- Ma probabilmente voi scrivete molto, - ella disse, - leggete. Avete letto?...
Lo guardava fisso.
- No, non l'ho letto, - disse egli all'improvviso, spaventato all'idea che ella
volesse fargli un esame.
- Che cosa? - domand� ella ridendo. Anch'egli rise.
- Credevo che voleste domandarmi di qualche romanzo; io non leggo romanzi.
- Non avete indovinato; io volevo domandarvi di descrizioni di viaggi...
Egli la guard� con occhio scrutatore: tutto il viso di lei rideva, ma le labbra
no...
�Oh! s�, lei... con lei bisogna essere accorti...�, pens� Oblomov.
- Che cosa dunque leggete? - domand� ella con curiosit�.
- Io veramente, amo soprattutto i viaggi...
- In Africa? - ella domand� piano e furbescamente.
Egli si fece rosso indovinando, non senza fondamento, che ella doveva sapere non
solo quel che egli leggeva, ma anche come leggeva.
- Amate la musica? - domand� ella, per toglierlo d'imbarazzo.
In quel momento si avvicin� Stolz.
- Il'j�! Io ho detto a Ol'ga Serg�evna che tu ami appassionatamente la musica e
l'ho pregata di cantare qualche cosa... "Casta diva".
- Perch� chiacchieri sul mio conto? - rispose Oblomov. - Io non amo affatto
appassionatamente la musica...
- Ma come sei! - interruppe Stolz. - Par quasi che sia offeso! Io lo presento come
un uomo per bene, ed egli si affretta a disingannare gli altri sul suo conto!
- Io respingo solo la parte di amatore: � una parte sospetta ed anche difficile!
- Quale musica vi piace di pi�? - domand� Ol'ga.
- E' difficile rispondere a questa domanda! Tutta la musica mi piace! Qualche volta
ascolto con piacere da un organetto stonato un qualunque motivo che mi si � fermato
nella memoria; un'altra volta lascio a met� un'opera; ora � Meyerbeer che mi
scuote, ora semplicemente una canzone di marinai: secondo l'umore. Qualche volta
chiudo gli orecchi perfino a Mozart...
- Vuoi dire che voi amate la musica sinceramente.
- Cantate dunque qualche cosa, Ol'ga Serg�evna, - preg� Stolz.
- E se adesso "monsieur" Oblomov � nello stato d'animo da chiuder gli orecchi? -
disse ella, rivolgendosi a lui.
- Qui bisognerebbe dire qualche complimento, - rispose Oblomov. - Io non son
capace, ma anche se lo fossi, non mi deciderei...
- E perch�?
- E se voi cantaste male! - not� Oblomov ingenuamente. - Mi sentirei poi cos�
imbarazzato...
- Come ieri coi biscotti... - scapp� detto a Ol'ga, ed ella stessa arross�, e Dio
sa cosa avrebbe dato per non averlo detto. - Scusate, ho fatto male!... - disse.
Oblomov non se l'aspettava assolutamente e si smarr�.
- E' un cattivo tradimento! - disse egli a mezza voce.
- No, forse una piccola vendetta, e anche questa, ve l'assicuro, non premeditata,
perch� non avete saputo trovare neanche un complimento per me.
- Forse lo trover� quando sentir�.
- E voi volete che io canti? - domand� ella.
- No, � lui che vuole, - rispose Oblomov, indicando Stolz.
- E voi?
Oblomov scosse la testa in segno di diniego.
- Io non posso volere ci� che non conosco.
- Tu sei uno zoticone, Il'j�, - osserv� Stolz. - Ecco cosa vuoi dire starsene
sdraiato in casa e infilarsi le calze...
- Ti prego, Andr�j, - lo interruppe vivamente Oblomov, senza lasciarlo finire. -
Non mi costerebbe nulla dire: �Ah, sar� molto felice, voi cantate, certo
eccellentemente...� - continu� egli, volgendosi ad Ol'ga, - �questo mi procurer� un
piacere�, eccetera eccetera. Ma davvero � necessario?
- Ma voi potevate per lo meno desiderare che io cantassi... anche solo per
curiosit�.
- Non oso, - rispose Oblomov, - voi non siete un'artista di teatro...
- Bene, canter� qualcosa per voi, - disse ella a Stolz.
- Il'j�, prepara il complimento.
Si era intanto fatto sera. Fu accesa la lampada, la cui luce, come la luna, passava
attraverso l'ingraticciata coperta di edera. Il crepuscolo nascondeva i contorni
del viso e della figura di Ol'ga, gettando su di lei come un velo di crespo; il
viso era nell'ombra: si sentiva solo la sua voce morbida, ma forte, scossa dal
tremito nervoso del sentimento.
Ella cant� molte arie e romanze, secondo le indicazioni di Stolz; alcune
esprimevano sofferenza, con un oscuro presentimento di felicit�, altre gioia, ma
con un germe gi� di tristezza. Le parole, i suoni, quella voce virginea, pura e
forte facevano battere il cuore, tremare i nervi, scintillar gli occhi e sgorgare
le lacrime. Nello stesso momento si voleva morire, non essere svegliati dai suoni,
e subito il cuore aveva nuova sete di vita.
Oblomov era scosso dai singulti, si sentiva venir meno, a fatica tratteneva le
lacrime e ancor pi� stentava a soffocare un grido gioioso, che gli voleva erompere
dall'anima. Da tempo egli non aveva sentito un tale ardire, una tale forza in se
stesso, una forza che sembrava sollevarsi dal fondo della sua anima, pronta a gesta
eroiche. In quel momento sarebbe partito anche per l'estero, se non gli fosse
rimasto che salire su un veicolo e partire.
Come chiusura Ol'ga cant� "Casta diva": l'entusiasmo, i pensieri che gli
attraversavano la testa come lampi, il tremito che come una puntura d'ago gli
correva per il corpo, tutto ci� annient� Oblomov: egli era all'estremo delle sue
forze.
- Siete contento di me, oggi? - domand� ad un tratto Ol'ga a Stolz, smettendo di
cantare.
- Domandate ad Oblomov quel che ha da dire, - disse Stolz.
- Ah! - sfugg� ad Oblomov.
Prese all'improvviso la mano di Ol'ga, ma la lasci� subito e fu tutto imbarazzato.
- Scusate... - mormor�.
- Avete sentito? - disse Stolz ad Ol'ga. - Ora di' la verit�, Il'j�: da quanto
tempo non ti succedeva una cosa simile?
- Questo sarebbe potuto succedere anche questa mattina, se sotto le finestre fosse
passato un organetto stonato... - si intromise Ol'ga bonariamente, e cos�
delicatamente da togliere ogni punta al sarcasmo.
Egli la guard� con rimprovero.
- Egli tiene ancora chiuse le doppie finestre e non si sente nulla di ci� che
accade fuori, - aggiunse Stolz.
Stolz prese la mano di Ol'ga.
- Non so a che cosa attribuirlo, ma oggi avete cantato come non avete cantato mai,
Ol'ga Serg�evna, per lo meno io da molto tempo non vi ho sentito cos�. Ecco il mio
complimento! - disse baciandole un dito dopo l'altro.
Stolz si accomiat�. Anche Oblomov voleva andar via, ma Stolz ed Ol'ga lo
trattennero.
- Ho da fare, - osserv� Stolz, - e tu invece vai a sdraiarti... � ancora presto...
- Andr�j, Andrej! - disse Oblomov con un tono di preghiera nella voce. - No, io
oggi non posso restare e me ne vado! - aggiunse e and� via.
Non dorm� tutta la notte: triste e pensieroso cammin� su e gi� per la camera;
all'alba usc� di casa, and� lungo la Nev�, passeggi� per le vie, e Dio solo sa a
che cosa pensava, che cosa sentiva... Tre giorni dopo era di nuovo da loro e la
sera, quando gli altri ospiti sedettero a giocare a carte, si trov� con Ol'ga
vicino al pianoforte. La zia aveva mal di capo e se ne stava nello studio a odorar
sali.
- Volete che vi mostri la collezione di disegni che Andr�j Ivanytch mi ha portata
da Odessa? - domand� Ol'ga. - O ve li ha gi� mostrati lui?
- Voi, a quanto pare, vi sforzate di far gli onori di casa occupandomi in qualche
modo? - domand� Oblomov. - Ma � inutile!
- Perch� inutile? Io vorrei che non vi annoiaste, che vi sentiste qui come a casa
vostra, senza imbarazzo, libero e leggero, e che non ve ne andaste... a
sdraiarvi...
�E' un essere cattivo, ironico!� pens� Oblomov, ammirando involontariamente ogni
movimento di lei.
- Voi volete ch'io mi senta qui libero e leggero e che non mi annoi? - ripet� egli.
- S�, - rispose ella, guardandolo come il giorno prima, ma con una espressione di
maggiore curiosit� e bont�.
- Per ottener ci�, in primo luogo non mi guardate come adesso, e come mi guardavate
poco fa...
La curiosit� negli occhi di lei crebbe.
- E' proprio il vostro sguardo che mi mette in imbarazzo... Dov'� il mio cappello?
- Ma perch� vi mette in imbarazzo? - domand� ella dolcemente, e il suo sguardo
perdette ogni espressione di curiosit�. Esso divenne buono e gentile.
- Non so; ma mi sembra che con questo sguardo voi riusciate a cavar da me quel che
non voglio che altri sappiano, e specialmente voi...
- E perch�? Voi siete amico di Andr�j Ivanytch, ed egli � mio amico, per
conseguenza...
- Per conseguenza non c'� nessuna ragione che voi sappiate di me tutto ci� che sa
Andr�j Ivanytch, - aggiunse egli.
- Ragione no, ma c'� la possibilit�...
- Grazie alla sincerit� del mio amico, un cattivo servizio da parte sua!...
- Ma che avete forse dei segreti? - domand� ella. - Qualche delitto? - aggiunse
ridendo e allontanandosi da lui.
- Forse, - rispose egli sospirando.
- Certo, � un grave delitto, - diss'ella timidamente e a bassa voce, - mettere
delle calze differenti.
Oblomov prese energicamente il cappello.
- Io non posso resistere! - disse. - E voi volete ch'io non mi senta imbarazzato!
Io la romper� con Andr�j. Anche questo vi ha detto?
- Oggi mi ha fatto ridere straordinariamente, - aggiunse Ol'ga,
- egli mette tutto in ridicolo. Perdonate, non lo far� pi�, e mi sforzer� anche di
guardarvi diversamente...
Il suo viso prese un'espressione tra il furbesco e il serio.
- Tutto ci� � ancora in primo luogo, - continu� Ol'ga, - va bene, io non vi guardo
pi� come ieri, adesso quindi vi sentite libero, senza imbarazzo. Segue, in secondo
luogo: che cosa fare perch� non vi annoiate?
Egli guard� fisso nei suoi occhi grigio-azzurri, carezzevoli.
- Adesso siete voi che mi guardate in un certo modo strano...
- disse ella.
i Egli pareva infatti la guardasse non con gli occhi, sibbene col pensiero, con
tutta la sua volont�, come un magnetizzatore, ma la guardava involontariamente, non
avendo la forza di non guardarla.
�Dio mio, come � graziosa! Ci sono dunque simili creature al mondo! - pensava,
guardandola con occhi quasi spaventati. - Questo candore, questi occhi, cupi come
un abisso e nei quali nello stesso tempo qualche cosa brilla, l'anima forse! Si pu�
leggere nel suo sorriso come in un libro; dietro il sorriso questi denti e tutta la
testa... com'� posata delicatamente sulle spalle, vi si piega come un fiorellino,
ed emana un tale profumo...�
�S�, io prender� qualcosa da lei, - pensava egli, - qualcosa da lei passa in me.
Qui il cuore comincia a ribollire e a battere... Qui sento qualcosa che prima mi
pare non ci fosse... Dio mio, che felicit� guardarla! Viene addirittura meno il
respiro�. Questi pensieri passavano in lui come un turbine ed egli continuava a
guardarla, come si guarda in una lontananza infinita, in un abisso senza fondo,
dimentichi di s�, con volutt�.
- Ma basta adesso, "monsieur" Oblomov, di guardarmi in questo modo! - disse ella,
voltando il capo imbarazzata, ma la curiosit� prevalse ed ella riport� su di lui il
suo sguardo.
Egli non udiva nulla.
In realt� continuava a guardarla, senza sentir le parole di lei, e indagava in
silenzio quel che avveniva in lui; si tocc� la testa: anche qui qualche cosa si
agitava, turbinava rapidamente. Egli non riusciva ad afferrare i propri pensieri:
essi svolazzavano come uno stormo di uccelli e qualche cosa gli faceva male presso
il cuore, al fianco sinistro.
- Non mi guardate dunque cos� stranamente, - disse ella: - sono anch'io
imbarazzata. Anche voi, probabilmente, volete sorprendere qualche cosa nella mia
anima...
- Che cosa posso io sorprendere in voi? - domand� egli macchinalmente.
- Anch'io ho i miei "piani" cominciati e non portati a termine, - ella rispose.
A questo accenno al piano non finito egli torn� in s�.
- Strano! - not�, - voi siete cattiva, ma avete lo sguardo buono. Non per nulla si
dice che non bisogna credere alle donne: esse mentono intenzionalmente con la
lingua e senz'intenzione con lo sguardo, col sorriso, col colore del volto, perfino
con gli svenimenti...
Ella non lasci� che quest'impressione si rafforzasse, gli prese dolcemente il
cappello e sedette su una sedia.
- Non lo far� pi�, non lo far� pi�, - ripet� animatamente. -Ah! perdonatemi, ho una
lingua insopportabile! Ma, vi giuro, non � uno scherno! - ella disse quasi cantando
e nell'intonazione di questa frase trem� un sentimento.
Oblomov si tranquillizz�.
- Quell'Andr�j!... - disse con tono di rimprovero.
- Bene, in secondo luogo, ditemi dunque, che cosa bisogna fare perch� non vi
annoiate?
- Cantate! - disse egli.
- Eccolo il complimento che aspettavo! - lo interruppe ella arrossendo
gioiosamente. - Sapete, - continu� con animazione, - se voi l'altro ieri non aveste
detto quell'�ah!� dopo il mio canto, quella notte forse non mi sarei addormentata,
forse avrei pianto.
- Perch�? - domand� sorpreso Oblomov. Ella riflette.
- Non lo so io stessa, - disse poi.
- Voi avete molto amor proprio: ecco perch�.
- S�, certamente, � per questo, - disse ella pensierosa, toccando i tasti con una
mano, - ma l'amor proprio � ovunque e in gran quantit�! Andr�j Ivanytch dice che �
quasi la sola molla che domina le volont�. Voi probabilmente non ne avete ed � per
questo che...
Ella non fin�.
- Che? - domand� egli.
- Niente, niente, cos�, - ella cerc� di accomodare. - Io voglio bene ad Andr�j
Ivanytch, - continu� ella, - non soltanto perch� mi diverte (qualche volta egli
parla ed io piango), e non perch� mi vuoi bene, ma, forse, perch�... mi vuoi bene
pi� che agli altri: vedete dove va a ficcarsi l'amor proprio!
- Voi volete bene ad Andr�j ? - domand� Oblomov e sprofond� il suo sguardo teso,
indagatore nei suoi occhi.
- S�, certo, dal momento che egli vuoi bene a me pi� che agli altri, io tanto
pi�... - rispose ella seriamente.
Oblomov la guard� in silenzio: ella gli rispose col suo sguardo semplice,
silenzioso.
- Egli vuol bene anche ad Anna Vas�l'evna, a Zinaida Mich�jlovna, ma non cos�, -
continu� Ol'ga, - egli non star� due ore con loro, non le far� ridere e non
racconter� loro nulla con tutto il cuore; parla d'affari, di teatro, di novit�, ma
con me parla come con una sorella... no, come con una figlia, - aggiunse ella in
fretta, - qualche volta mi rimprovera perfino se non capisco subito qualche cosa, o
non obbedisco, o non son d'accordo con lui. Ma loro non le rimprovera mica, ed io
per questo gli voglio ancora pi� bene. Amor proprio! - aggiunse soprappensiero, -
ma non so cosa sia venuto a far qui, col mio canto! Da un pezzo mi dicono tanto
bene del mio canto, e voi non volevate neppure ascoltarmi; ci foste come costretto!
E se dopo di ci� ve ne foste andato senza dir neppure una parola, se io non avessi
notato nulla sul vostro viso... credo mi sarei ammalata... s� precisamente, questo
� amor proprio! - concluse ella con fermezza.
- E voi avete notato qualche cosa sul mio viso? - domand� egli.
- Delle lacrime, per quanto voi cercaste di nasconderle; � questo un brutto tratto
degli uomini, vergognarsi del proprio cuore. Anche questo � amor proprio, ma un
falso amor proprio. Sarebbe meglio che si vergognassero qualche volta della loro
intelligenza: essa si sbaglia pi� spesso. Perfino Andr�j Ivanytch, anche lui si
vergogna del cuore. Io gliel'ho detto e lui ne ha convenuto. E voi?
- Come non convenirne, guardandovi! - disse egli.
- Ancora un complimento! Come siete... Ella non trov� la parola.
- Banale! - fin� Oblomov, senza staccar gli occhi da lei. Ella con un sorriso
conferm� il significato della parola.
- Questo appunto io temevo, quando non volevo pregarvi di cantare... Che si pu�
dire quando si ascolta per la prima volta? E qualche cosa bisogna pur dire. E'
difficile essere accorto e sincero nello stesso tempo, specialmente nel sentimento,
sotto l'influenza di una tale impressione, come allora...
- Ed io veramente cantai allora come da tempo non cantavo, come forse mai avevo
cantato... Non mi domandate di cantare, io non canter� pi� cos�... Aspettate,
canter� ancora una cosa... - disse e nello stesso momento il viso le s'infiamm�,
gli occhi luccicarono, ella si sedette, prese con forza due o tre accordi e cant�.
Dio mio, che cosa si sentiva in questo canto! Speranze, oscuro timore di tempeste,
e tempeste, e slanci di felicit�: tutto risonava non nel canto, ma nella sua voce.
Ella cant� a lungo, di tratto in tratto gettando ad Oblomov un'occhiata e
domandando fanciullescamente:
- Basta? No, ecco, ancora, - e cantava di nuovo.
Aveva le guance e gli orecchi di fuoco per l'agitazione: in qualche momento sul
viso fresco le brillavano a un tratto i lampi del sentimento e fiammeggiava il
raggio di una cos� matura passione, come se ella vivesse col cuore un lontano
futuro periodo della vita, poi questo raggio improvviso si spegneva di nuovo e la
voce risonava nuovamente fresca ed argentina.
Anche in Oblomov giocava una vita simile: gli sembrava di vivere e sentir tutto ci�
non da un'ora, o due, ma da interi anni... Entrambi esteriormente immobili, erano
divorati da uno stesso fuoco interiore, tremavano di un egual fremito; negli occhi
avevano lacrime, provocate dallo stesso stato d'animo. Erano questi i sintomi di
quelle passioni che dovevano evidentemente agitare un giorno la giovane anima di
lei, che adesso era in potere soltanto di fugaci moti e sprazzi delle forze
dormenti della vita.
Ella fin� con un lungo, risonante accordo e la sua voce vi si perse. Si ferm�
all'improvviso, pos� le mani sulle ginocchia e agitata, commossa ella stessa,
guard� Oblomov: che faceva egli? Sul volto di lui brillava l'aurora della felicit�
ridestata, sorgente dal fondo dell'anima; lo sguardo gonfio di lacrime era fisso su
di lei.
Adesso anch'ella, come gi� lui, involontariamente gli prese la mano.
- Che avete? - domand�. - Che viso avete! Perch�?
Ma ella sapeva perch� Oblomov aveva quel viso e dentro di s� modestamente
trionfava, compiacendosi di questa manifestazione della propria forza.
- Guardatevi nello specchio, - continu� ella, indicandogli con un sorriso lo
specchio in cui si vedeva il volto di lui, - i vostri occhi luccicano, Dio mio,
sono pieni di lacrime. Come sentite profondamente la musica!...
- No, io sento... non la musica... ma... l'amore! - disse piano Oblomov.
Ella lasci� istantaneamente la mano di Oblomov e mut� viso. Il suo sguardo
s'incontr� con quello di lui, fisso su di lei: questo sguardo era immobile, quasi
folle. Attraverso di esso non guardava Oblomov, ma la passione.
Ol'ga comprese che la parola gli era sfuggita, che egli non era padrone di s� e che
quella parola era la verit�.
Egli si riebbe, prese il cappello e, senza volgersi indietro, corse fuori. Ella non
lo seguiva pi� col suo sguardo curioso, ma a lungo, immobile, rimase accanto al
pianoforte, come una statua, guardando fisso in gi�; solo il petto le si sollevava
e abbassava violentemente...

6.
Ad Oblomov, nel suo pigro starsene sdraiato in pose pigre, nel suo ottuso
sonnecchiare e nei suoi impulsi ispirati, la donna era sempre apparsa anzitutto
come moglie, e solo qualche volta come amante.
Nelle sue fantasticherie si librava l'immagine di una donna alta e slanciata, con
le mani tranquillamente piegate sul petto, con uno sguardo calmo, ma superbo,
seduta con noncuranza in mezzo all'edera del boschetto, moventesi con passo leggero
sul tappeto, sulla ghiaia del viale, con la figura ondeggiante e la testa
graziosamente appoggiata sulle spalle, con un'espressione pensosa; come un ideale,
come l'incarnazione di un'intera vita colma di tenerezza e di pace solenne, come la
pace stessa.
Ella gli appariva nei sogni da principio in mezzo ai fiori, davanti all'altare, con
un lungo velo, poi al capezzale del letto coniugale, con gli occhi pudicamente
abbassati, infine come madre, in mezzo ad un gruppo di bambini. Gli appariva con
sulle labbra un sorriso che non aveva nulla di passionale, e degli occhi che non
erano umidi di desideri; il suo sorriso era pieno di simpatia per lui, il marito, e
di indulgenza per tutti gli altri; lo sguardo benevolo solo per lui e pudico,
perfino severo con gli altri.
Egli non voleva veder mai in lei dei fremiti, sentir parlare di sogni ardenti, di
lacrime improvvise, di turbamenti e di passaggi folli dalla tristezza alla gioia.
Egli non voleva n� chiaro di luna, n� malinconia. Ella non doveva impallidire
all'improvviso, venir meno, essere scossa da esuberanze di sentimento...
�Donne simili hanno degli amanti, - diceva egli, - e danno anche molti fastidi:
dottori, stazioni balneari e un abisso di capricci d'ogni sorta. Non si pu� dormire
tranquilli!� Invece accanto ad una moglie tranquilla, superbamente pudica, si pu�
dormire senza preoccupazioni! Ci si addormenta con la certezza che risvegliandosi
si incontrer� sempre lo stesso sguardo mite e simpatico. E dopo venti, trent'anni,
in risposta al proprio sguardo affettuoso, s'incontrer� sempre negli occhi di lei
lo stesso mite raggio di simpatia serenamente brillante. E cos� fino alla tomba!
�Non � forse questo lo scopo segreto di ognuno e di ognuna: trovare nel proprio
amico una immutabile fisionomia di pace, un fluire eternamente eguale del
sentimento? E' ben questa la norma dell'amore, e basta allontanarsene un poco,
basta che esso muti o si raffreddi, per soffrire; non � perci� il mio ideale
l'ideale di tutti? - egli pensava. - Non � questo il coronamento, il chiarimento
dei reciproci rapporti fra i sessi?�
Dare alla passione uno sfogo legale, indicare l'ordine alla corrente, come al fiume
per il bene di tutta la regione, � un problema universale, � la vetta del
progresso, alla quale tendono tutte queste George Sand, ma senza riuscire a
raggiungerla. Dopo averlo risolto non vi sono pi� n� tradimenti, n� raffreddamenti,
ma un battito in eterno eguale di un cuore serenamente felice, per conseguenza una
vita eternamente piena, una linfa eterna di vita, un'eterna salute morale.
Vi sono esempi di una tale felicit�, ma sono rari: li indicano come fenomeni.
Bisogna nascere per questo, si dice. Ma perch� non si potrebbe essere educati ad
essa, andarle incontro coscientemente?
La passione! Tutto ci� � bello nelle poesie, sulla scena, dove si muovono attori
avvolti in mantelli, col pugnale in mano, ma poi se ne vanno, uccisi e uccisori, a
cenare insieme...
Sarebbe bene se anche le passioni finissero cos�, ma di solito resta fumo, lezzo e
nemmeno un briciolo di felicit�. I ricordi non servono ad altro che a suscitar
vergogna e a far strappare i capelli.
Finalmente, quando si � colpiti da una tale sventura, la passione, � come se si
capitasse in una strada rovinata, montagnosa, impraticabile, sulla quale anche i
cavalli cadono e il passeggero vien meno, mentre il villaggio natale � gi� in
vista: bisogna non perderlo d'occhio e togliersi al pi� presto possibile dal luogo
pericoloso...
S�, la passione deve essere limitata, soffocata, affogata nel matrimonio...
Egli sarebbe fuggito via terrorizzato da una donna che lo avesse bruciato con gli
occhi, o che avesse sospirato o fosse caduta con gli occhi chiusi sulle sue spalle,
per attaccarsi, appena ritornata in s�, al suo collo, fino a soffocarlo... Questo �
un fuoco d'artificio, � l'esplosione di una botte di polvere; e poi che ne segue?
Assordimento, accecamento e capelli bruciacchiati!
Ma guardiamo che donna era Ol'ga!
Per un pezzo dopo che a Oblomov era sfuggita la confessione, essi non si videro da
solo a sola. Egli si nascondeva come uno scolaretto, appena scorgeva Ol'ga. Ella
s'era mutata verso di lui, ma non scappava n� era fredda: solo divenne pi�
pensierosa. Come se le dispiacesse che fosse accaduto qualcosa che le impediva di
tormentare Oblomov con lo sguardo curioso fisso su di lui e di punzecchiarlo
bonariamente a proposito del suo starsene sdraiato, della sua pigrizia, della sua
goffaggine...
Si risvegliava in lei un senso di comicit�, ma era il senso di comicit� della madre
che non pu� non sorridere guardando il buffo vestito del figlio. Stolz era partito
ed ella si annoiava di non poter cantare per nessuno; il pianoforte era chiuso, in
una parola eran tutti e due come oppressi, inceppati, imbarazzati. E come era stato
bello in principio! Con che semplicit� si erano conosciuti! Come s'erano avvicinati
liberamente! Oblomov era pi� semplice di Stolz e pi� buono di lui, anche se non la
faceva rider tanto, o la faceva ridere con la propria persona, e perdonava cos�
facilmente gli scherzi.
Poi, Stolz, partendo, aveva affidato Oblomov ad Ol'ga, pregandola di tenerlo
d'occhio, d'impedirgli di restarsene seduto in casa. E nella intelligente e
graziosa testolina di lei s'era gi� formato un piano per disavvezzare Oblomov dal
dormire dopo pranzo; e non solo non gli permetteva di dormire, ma nemmeno di
sdraiarsi sul divano: se ne faceva dar la parola d'onore. Ella sognava di
�ordinargli di leggere i libri� che le aveva lasciati Stolz, poi di leggere ogni
giorno i giornali e di raccontarle le novit�, di scrivere le lettere necessarie in
campagna, di stendere il piano di organizzazione della propriet�, di prepararsi ad
andare all'estero, in una parola, di non lasciarlo sonnecchiare; ella gli avrebbe
additato una meta, fatto riamare tutto ci� che aveva cessato di amare, e Stolz non
lo avrebbe riconosciuto, ritornando.
E tutto questo miracolo l'avrebbe compiuto lei, cos� timida, cos� silenziosa, a cui
nessuno finora aveva dato ascolto, che ancora non aveva cominciato a vivere! Ella
sarebbe stata autrice di un simile mutamento! Questo era gi� cominciato: ella s'era
appena messa a cantare ed Oblomov era gi� un altro...
Egli avrebbe vissuto, agito, benedetto la vita e lei. Far ritornare un uomo alla
vita: quanta gloria per il dottore che salva un malato disperato! E salvare
un'intelligenza, un'anima che perisce moralmente?...
Ella addirittura trem� di superbia e di gioia; consider� ci� come un compito
affidatole dall'alto. Nel pensiero aveva gi� fatto di Oblomov il proprio segretario
e bibliotecario.
E a un tratto tutto ci� doveva finire! Ella non sapeva come contenersi e perci�
taceva quando incontrava Oblomov.
Oblomov si tormentava all'idea di averla spaventata, offesa, e attendeva degli
sguardi fulminanti, una fredda severit� e tremava, vedendola, e cambiava strada.
Intanto s'era gi� trasferito alla villa e per tre giorni aveva vagato solo per le
colline, attraverso il pantano, nel bosco, o era andato al villaggio e s'era seduto
oziosamente accanto alle porte dei contadini a guardare i ragazzini e i vitelli
correre intorno e le oche starnazzare nello stagno. Presso la villa c'era un lago e
un enorme parco : egli evitava di andarci per non incontrare Ol'ga sola. �Il
diavolo m'ha spinto a parlare!� pensava e nemmeno si domandava se davvero aveva
detto la verit� o se aveva semplicemente subito l'azione momentanea della musica
sui nervi. Il senso di imbarazzo, di mortificazione o di vergogna, com'egli si
esprimeva, che s'era impadronito di lui, gl'impediva di capire che impulso fosse
stato quello e, in generale, di capire che cosa fosse Ol'ga per lui. Egli non
tentava neppure di analizzare quel che c'era in pi� nel suo cuore, quel nucleo che
prima non c'era. Tutti i suoi sentimenti si erano trasformati in un sentimento
solo, quello della vergogna. Se per un momento ella appariva alla sua
immaginazione, sorgeva anche quell'immagine, quell'ideale di tranquillit�
realizzata, di vita felice: questo ideale era appunto Ol'ga. Le due immagini si
fondevano, si compenetravano.
- Ah, che cosa ho fatto! - diceva egli. - Ho guastato tutto. Meno male che Stolz �
partito; ella non ha avuto il tempo di raccontarglielo; altrimenti io sarei
sprofondato sotto terra! Amore, lacrime, che � roba per me questa? E la zia di
Ol'ga non mi manda a invitare: certamente ella le ha detto... Dio mio!
Cos� pensava, spingendosi nel folto del parco, in un viale laterale.
Ol'ga era preoccupata solo al pensiero di come si sarebbe incontrata con lui, di
come la cosa sarebbe andata a finire: in silenzio, come se nulla fosse accaduto, o
era necessario dirgli qualche cosa? E che cosa dirgli? Doveva fargli il viso
severo, guardarlo superbamente, o addirittura non guardarlo, ma seccamente e
alteramente osservare che ella �non si sarebbe mai aspettata da lui un simile modo
d'agire: per chi l'aveva presa che si era permessa una simile sfrontatezza?� Cos�
S�nitchka durante la mazurca aveva risposto all'alfiere di cavalleria, sebbene ella
stessa, con tutte le sue forze, avesse cercato di fargli girar la testa.
�Ma che cosa c'era di sfrontato? - ella si domandava. - E se davvero sente cos�,
perch� non dirlo?... Tuttavia, come pu� essere, ci siamo appena conosciuti...
Questo nessun altro l'avrebbe detto, a nessun costo, vedendo una donna la seconda o
terza volta; nessuno avrebbe provato l'amore cos� rapidamente. Solo Oblomov
poteva...�
Ma ella si ricord� che aveva sentito dire e aveva letto che l'amore viene talvolta
all'improvviso.
�Anche lui ha avuto uno slancio, un impulso; adesso non si fa vedere: si vergogna;
non � dunque sfrontatezza. Ma di chi � la colpa? - pens� ella ancora: - certo di
Andr�j Ivanytch che mi ha fatto cantare�.
Ma Oblomov da principio non voleva sentire, lei s'era dispiaciuta e... aveva
cercato... Ella arross�: s�, con tutte le sue forze aveva cercato di smuoverlo.
Stolz aveva detto di lui che era apatico, che nulla l'interessava, che tutto in lui
s'era spento... Ed ecco, ella aveva voluto vedere se proprio tutto s'era spento, e
aveva cantato, cantato... come non mai...
�Dio mio! io sono colpevole: gli domander� perdono... Ma di che? Che gli dir�:
signor Oblomov, io sono colpevole, io vi ho lusingato... Che vergogna! Non � la
verit�! - disse ella, facendosi rossa e battendo col piede per terra. - Chi oser�
pensarlo?... Che forse sapevo io quel che sarebbe accaduto?... E se non fosse
successo, se non gli fosse sfuggito nulla, allora?... Non so...� pens� ancora.
Da quel giorno ella sent� qualcosa di strano nel cuore... grave doveva essere stata
per lei l'offesa... c'era perfino una punta di febbre, sulle guance si accendevano
due macchioline rosa...
- Eccitazione... un po' di febbre, - disse il dottore.
�Che cosa ha fatto quell'Oblomov! Oh, bisogna dargli una lezione perch� non si
ripeta nulla di simile! Pregher� "ma tante" di non lasciarlo pi� venire: egli non
deve abbandonarsi... Come ha osato!� pensava ella andando per il parco; gli occhi
le ardevano... A un tratto ella sente che qualcuno cammina.
#�Qualcuno viene...� pens� Oblomov.
E si trovarono faccia a faccia.
- Ol'ga Serg�evna! - disse, tremando come una foglia di tremula.
- Il'j� Il'�tch! - ella rispose timidamente, e tutt'e due si fermarono.
- Buon giorno, - disse egli.
- Buon giorno, - disse ella.
- Dove andate? - egli domand�.
- Cos�... - ella disse, senza sollevar gli occhi.
- Vi disturbo?
- Oh, per niente... - rispose Ol'ga, lanciandogli una occhiata rapida e piena di
curiosit�.
- Posso venir con voi? - domand� egli a un tratto, gettandole uno sguardo
scrutatore.
Continuarono la strada in silenzio. N� la bacchetta del professore, n� le
sopracciglia del preside avevano mai, in tutta la vita, fatto battere il cuore di
Oblomov cos� forte come adesso. Egli voleva dire qualche cosa, si sforzava, ma le
parole non gli venivano alla lingua; solo il cuore batteva incredibilmente, come in
previsione di una sventura.
- Non avete ricevuto lettere da Andr�j Ivanytch? - domand� ella.
- Ne ho ricevute, - rispose Oblomov.
- Che cosa vi scrive?
- Mi chiama a Parigi.
- E voi?
- Parto.
- Quando?
- Un po' pi� in l�... no, domani... appena sar� pronto.
- E perch� tanto presto? - domand� ella. Egli tacque.
- La villa non vi piace, oppure... dite, perch� volete partire? �Sfrontato! vuole
ancora partire!� pens�.
- Mi sento male, a disagio, come scottato... - balbett� Oblomov, senza guardarla.
Ella tacque, strapp� un ramoscello di lill� e l'odor� nascondendovi il naso e il
viso.
- Sentite, che buon odore! - disse e col ramoscello copr� il naso anche a lui.
- Ma qui ci sono dei mughetti! Aspettate che li raccolgo, - disse egli, piegandosi
sull'erba; - il loro profumo � anche migliore: sanno pi� di campo, di cespuglio,
c'� pi� natura in essi. Il lill� invece cresce sempre accanto alle case, i rami si
ficcano nelle finestre e l'odore � troppo dolce. Sui mughetti la rugiada non s'�
ancora seccata.
Egli le porse alcuni mughetti.
- E la reseda vi piace? - domand� ella.
- No: odora troppo forte; non amo n� la reseda n� le rose. In generale non amo i
fiori; nei campi va ancora, ma nella stanza, quante seccature... sporcizia...
- E a voi piace che le stanze siano pulite? - domand� ella, guardandolo
furbescamente. - Non sopportate il sudiciume?
- S�, ma ho un certo servitore... - borbott� egli. �Oh, cattiva!� aggiunse fra s�.
- Andrete direttamente a Parigi? - ella domand�.
- S�, Stolz mi aspetta da un pezzo.
- Portategli una mia lettera; la scriver�, - disse ella.
- Datemela oggi: domani mi trasferisco in citt�.
- Domani? E perch� cos� presto? Come se qualcuno vi cacciasse!
- E' proprio cos�...
- E chi?
- La vergogna... - bisbigli� egli.
- La vergogna! - ripet� ella macchinalmente. �Ecco, adesso glielo dico: signor
Oblomov, io non mi aspettavo...�
- S�, Ol'ga Serg�evna, - disse egli alla fine, facendo uno sforzo, - voi certo vi
meraviglierete... vi irriterete...
�Bene, � tempo... ecco il momento buono. - Il cuore le batteva forte. - Non posso,
mio Dio!�
Egli si sforzava di guardarla in faccia per sapere che cosa ella pensasse; ma ella
odorava i mughetti e il lill� e lei stessa non sapeva... che cosa dirgli, che cosa
fare.
�Ah, S�nitchka avrebbe subito immaginato qualche cosa e io sono cos� stupida, non
so fare nulla... � un tormento!�
- Io ho dimenticato del tutto... - disse ella.
- Credetemi, fu una cosa involontaria... non potei trattenermi... - egli si mise a
dire, armandosi a poco a poco di coraggio. - Se in quel momento fosse scoppiato un
fulmine o una pietra mi fosse caduta addosso, io l'avrei detto lo stesso. Nessuna
forza avrebbe potuto trattenermi... In nome di Dio, non credete che io volessi...
Un minuto dopo Dio sa quel che avrei dato per ritirare la parola inconsiderata...
Ella camminava col capo basso e odorava i fiori.
- Dimenticate, - continu� egli, - dimenticate, tanto pi� che non � vero...
- Non � vero? - ripet� ella all'improvviso, raddrizzandosi e lasciando cadere i
fiori.
I suoi occhi si spalancarono e luccicarono di meraviglia...
- Come non � vero? - ripet� ancora.
- Ma s�, in nome di Dio, non vi irritate e dimenticate. Vi assicuro, � stato solo
un momento di abbandono... a causa della musica.
- Solo a causa della musica!
Mut� colore in viso: le due macchiette rosa scomparvero e gli occhi si oscurarono.
�Ecco, non c'� niente! ecco, egli ha ritirata la parola inconsiderata e non bisogna
adirarsi! Bene, bene... adesso posso essere tranquilla... Si pu� come prima
parlare, scherzare...� pens� ella e, passando, strapp� con forza un ramoscello da
un albero, ne stacc� con le labbra una fogliolina e poi subito gett� a terra e il
ramo e la fogliolina.
- Non siete adirata? Avete dimenticato? - disse Oblomov, piegandosi verso di lei.
- Che cosa? Di che cosa mi pregate? - rispose ella agitata, quasi con dispetto,
voltando in l� il viso. - Io ho dimenticato tutto: ho cos� poca memoria, io!
Egli tacque e non seppe che cosa fare. Vide solo quella stizza improvvisa, ma non
ne cap� la ragione.
�Dio mio! - pens� ella. - Ecco, tutto � tornato a posto, come se quella scena non
ci fosse stata, grazie a Dio! E... Ah, Dio mio! Che cosa � questo? Ah, S�nitchka,
S�nitchka! Come sei felice tu!�
- Vado a casa, - disse ella a un tratto, affrettando il passo e voltando per un
altro viale.
Si sentiva le lacrime in gola. Aveva paura di scoppiare in pianto.
- Non di l�, di qui si fa pi� presto, - osserv� Oblomov. �Imbecille, - disse fra
s�, triste, - che bisogno c'era di spiegarsi! L'ho offesa ancora di pi�. Non
bisognava ricordare: era ormai passato tutto, la cosa si sarebbe dimenticata.
Adesso non c'� che fare, debbo chiedere scusa�.
�Certo, io sono indispettita, - pens� ella, - perch� non ho fatto in tempo a dire:
"'monsieur' Oblomov, io non mi aspettavo che vi sareste permesso..." Egli mi ha
prevenuta... "Non � vero" guarda un po', anche mentire! Come ha osato?�
- Avete proprio dimenticato? - domand� egli, piano.
- Ho dimenticato tutto, tutto! - disse ella rapidamente, affrettando il passo verso
casa.
- Datemi la mano per dimostrarmi che non siete adirata. Ella, senza guardarlo, gli
porse la punta delle dita e, non appena egli le ebbe toccate, subito tir� indietro
la mano.
- No, voi siete adirata! - disse egli con un sospiro. - Come assicurarvi che �
stato un momento di abbandono, che non mi sarei permesso tanta libert�?... No,
certo, non ascolter� mai pi� il vostro canto...
- Non assicurate nulla: non ho bisogno io delle vostre assicurazioni... - disse
ella con vivacit�. - Io stessa non canter�!
- Bene, star� zitto, - disse egli, - solo vi prego, non andatevene cos�, se no mi
rimane un tale peso sull'anima...
Ella rallent� il passo e tese l'orecchio alle parole di lui.
- Se � vero che vi sareste messa a piangere se non aveste udito il mio �ah!� dopo
il vostro canto, adesso, se ve ne andate cos�, senza sorridermi, senza darmi
amichevolmente la mano, io... abbiate piet�, Ol'ga Serg�evna! Io mi ammaler�, gi�
mi tremano i ginocchi, a mala pena mi reggo in piedi...
- Perch�? - domand� ella all'improvviso, guardandolo.
- Io stesso non lo so, - disse egli, - la vergogna m'� passata: io non mi vergogno
della mia parola... mi sembra che in essa...
Di nuovo egli ebbe l'impressione di un formicol�o al cuore; di nuovo gli parve che
vi fosse nel suo cuore qualche cosa di troppo; di nuovo lo sguardo curioso e
carezzevole di lei lo scott�. Ella si volse a lui cos� graziosamente, con tanta
inquietudine aspett� la risposta!
- Che in essa?... - domand� impaziente.
- No, ho paura di dirlo: voi vi adirerete di nuovo.
- Dite! - disse ella imperativamente. Egli taceva.
- Dunque?
- Mi vien di nuovo da piangere a guardarvi... Vedete, io non ho amor proprio, io
non mi vergogno del mio cuore...
- Perch� piangere? - domand� ella, e sulle sue guance riapparvero le macchiette
rosee.
- Io sento sempre la vostra voce... io sento di nuovo...
- Che cosa? - disse ella, e le lacrime risaliron su dal suo petto; aspettava tutta
tesa.
Erano arrivati alla scalinata.
- Sento... - si affrett� Oblomov, ma si ferm� di nuovo. Ella saliva gli scalini
lentamente, come a fatica.
- La stessa musica... la stessa agitazione... lo stesso senti... perdonate,
perdonate, non sono padrone di me...
- Signor Oblomov... - cominci� ella severamente, ma poi a un tratto il suo volto
s'illumin� del raggio di un sorriso... - io non sono adirata, vi perdono, -
aggiunse ella dolcemente, - solo d'ora innanzi...
Senza voltarsi indietro, gli tese la mano; egli l'afferr� e ne baci� la palma; ella
gliela premette pian piano alle labbra e in un lampo scomparve dietro la porta a
vetri. Egli rimase come pietrificato.

7.
A lungo la segu� con gli occhi spalancati, con la bocca aperta, a lungo il suo
sguardo vag� sui cespugli...
Passarono degli estranei, volarono degli uccelli. Una contadina gli domand� se non
voleva comprar delle bacche: il suo stordimento continuava.
Pian pianino ritorn� nello stesso viale e cos�, arriv� fino a met� di esso, dove
trov� i mughetti che Ol'ga aveva lasciato cadere, il ramoscello di lill� che ella
aveva strappato e gettato via con dispetto.
�Perch� ha fatto questo?...�, cominci� egli a riflettere, ricordando.
- Stupido, stupido! - disse a un tratto ad alta voce, raccogliendo i mughetti, il
ramoscello, e quasi di corsa si slanci� per il viale.
- Io domandavo perdono, e lei... ah, � mai possibile? Che idea!
Felice, raggiante, �con la luna sulla fronte�, secondo l'espressione della sua
njanja, arriv� a casa, sedette in un angolo del divano e rapidamente sulla polvere
della tavola scrisse a grandi lettere: �Ol'ga�.
- Ah, che polvere! - not�, ritornando in s� dopo l'entusiasmo.
- Zach�r, Zach�r! - grid� a lungo, perch� Zach�r era coi cocchieri sul portone che
dava nel vicolo.
- Vieni! - disse Anis'ja a Zach�r, tirandolo per la manica. - E' un pezzo che il
signore ti chiama.
- Guarda, Zach�r, che cos'� questo? - disse Il'j� Il'�tch, ma dolcemente, con
bont�: non era in quel momento capace di adirarsi.
- Tu vuoi che anche qui si ripeta lo stesso disordine: polvere, ragnatele? No;
scusa, ma io non lo permetto. Anche Ol'ga Serg�evna non mi da pace: �Voi amate la
sporcizia�, dice.
- Per loro � facile parlare: hanno cinque servitori, - not� Zach�r voltandosi verso
la porta.
- Dove vai? Mettiti a scopare: qui non si pu� sedere, non ci si pu� appoggiare coi
gomiti... E' una porcheria, � oblomovismo!
Zach�r si fece cupo e guard� il padrone di traverso. �Ci siamo! - pens�, - ha
inventato un'altra parola spiacevole! Ma la conosco!�
- Allora spazzi o no? - domand� Oblomov.
- Perch� debbo spazzare? Ho gi� spazzato oggi! - rispose testardo Zach�r.
- E di dove � venuta la polvere, se hai spazzato? guarda qui, qui! Che non succeda
pi�! Subito, spazza!
- Ho spazzato, - ripet� Zach�r, - non debbo mica spazzar dieci volte! La polvere
viene dalla strada... qui siamo in campagna, in villa: c'� molta polvere nella
strada.
- Zach�r Trofimytch, - cominci� Anis'ja, guardando dentro dall'altra stanza, - �
uno sbaglio spazzare prima il pavimento e poi pulire le tavole: la polvere si posa
di nuovo... Dovresti prima...
- Che vorresti darmi una lezione? - disse rauco e furioso Zach�r. - Va' al tuo
posto!
- Ma dove s'� visto, spazzare prima il pavimento e poi pulire le tavole?... E' per
questo che il padrone si arrabbia...
- Ah, tu, tu! - grid� egli, spingendola col gomito sul petto.
Ella sorrise e si ritir�. Oblomov fece anche a Zach�r segno d'uscire. Appoggi� la
testa sul cuscino ricamato e si port� una mano al cuore per sentire come batteva.
�Questo � male, - disse fra s�. - Che fare? Se domando consiglio al medico, �
capace di mandarmi in Abissinia�.
Quando Zach�r e Anis'ja non s'erano ancora sposati, ognuno si occupava delle
proprie faccende e non si immischiava in quelle dell'altro, cio� Anis'ja si
occupava della spesa e della cucina e partecipava alla pulizia delle stanze solo
una volta all'anno, quando lavava i pavimenti. Ma dopo il matrimonio l'accesso alle
stanze del signore le era diventato pi� libero. Ella aiutava Zach�r e le stanze
erano pi� pulite, e in generale parte degli obblighi del marito erano ricaduti su
di lei, un po' per la sua bont�, un po' anche per il despotismo di Zach�r.
- Ecco qui, batti il tappeto, - strideva egli imperiosamente; oppure: - dovresti
riordinare quel che � ammucchiato l� nell'angolo, e le cose inutili portarle in
cucina, - diceva egli.
Cos� fu beato per un mese: nelle stanze tutto era pulito, il signore non
brontolava, non diceva �parole spiacevoli� e lui, Zach�r, non faceva nulla. Ma
questa beatitudine pass� presto, e per la seguente ragione.
Non appena avevano cominciato insieme, lui e Anis'ja, a far ordine nelle stanze del
signore, tutto ci� che faceva lui era mal fatto. Ogni suo passo era uno sbaglio.
Per cinquantacinque anni era vissuto con la persuasione che tutto ci� che faceva
non potesse essere fatto altrimenti e meglio. E a un tratto, in due settimane,
Anis'ja gli aveva dimostrato che egli non era buono a nulla, e per di pi� ella
faceva tutto con tale offensiva condiscendenza, cos� dolcemente come si fa solo coi
bambini o con gli stupidi, e per giunta lo guardava sempre con un sorriso!
- Tu, Zach�r Trofimytch, - gli diceva carezzevolmente, - fai male a chiuder prima
la stufa e poi ad aprir la finestra: la stanza si raffredda di nuovo.
- E come si deve fare secondo te? - domandava lui con villania di marito, - quando
bisogna aprire?
- Quando accendi: l'aria viene tirata dentro, e poi si riscalda di nuovo, -
rispondeva ella tranquilla.
- Che stupida! Ho fatto cos� per vent'anni e voglio proprio cambiare per far
piacere a te...
Nell'armadio tutto era insieme: t�, zucchero, liquori, posate, cera per le scarpe,
spazzole e sapone. Una volta, tornato a casa, egli vide che il sapone era sul
lavamano, le spazzole e la cera per le scarpe in cucina sulla finestra, e il t� e
lo zucchero in un cassetto dell'armadio.
- Perch� mi metti tutto sottosopra a modo tuo? - domand� minaccioso. - Eh? Io ho
messo apposta tutto in un angolo, per avere la roba sottomano, e tu mi butti tutto
di qua e di l�.
- Ma l'ho fatto perch� il t� non puzzasse di sapone, - not� ella mitemente.
Un'altra volta gli fece vedere due o tre buchi fatti dalle tarme nel vestito del
signore, e disse che una volta alla settimana bisognava battere e spazzolare il
vestito.
- Da' qui, che lo batto con lo scopette, - concluse gentilmente. Egli le strapp� lo
scopette e il frac che ella aveva presi in mano
e li rimise al solito posto.
Un'altra volta, quando egli, secondo la sua abitudine, si mise a brontolar contro
il signore, dicendo che questi lo rimproverava senza ragione per gli scarafaggi e
che �non li aveva mica inventati lui, Zach�r�, Anis'ja, senza parlare, tolse dai
palchetti le croste e le briciole di pan nero che vi si trovavano da tempo
immemorabile, spolver� e lav� gli armadi, le stoviglie, e gli scarafaggi
scomparvero quasi del tutto.
Zach�r non capiva ancora bene di che si trattasse e attribuiva tutto allo zelo di
lei. Ma quando una volta, portando un vassoio con tazze e bicchieri, ruppe due
bicchieri e cominci�, secondo il solito, a bestemmiare e voleva buttar a terra
tutto il vassoio ed ella glielo tolse dalle mani, vi mise degli altri bicchieri, la
zuccheriera, il pane, tutto disposto in modo che nemmeno una tazza si mosse, e gli
mostr� come prendere il vassoio con una mano sola e reggerlo saldamente con
l'altra, e poi attravers� due volte la stanza, movendo il vassoio a destra e a
sinistra senza che nemmeno un cucchiaino oscillasse, allora tutt'a un tratto Zach�r
vide chiaramente che Anis'ja era pi� intelligente di lui! Egli le strapp� il
vassoio dalle mani, lasci� cadere tutti i bicchieri e da allora non gliela pot� pi�
perdonare.
- Ecco, vedi come bisogna fare! - ella aggiunse ancora sommessamente.
Egli la guard� con ottusa alterigia ed ella si mise a ridere.
- Ah, contadina, soldataccia, vuoi fare la saputella? Ma che avevamo forse ad
Obl�movka una simile casa? E pure tutto si reggeva su di me: solo tra servitori e
ragazzi erano quindici persone! E di voialtre donne tante da non potersene
ricordare i nomi... E tu qui... Ah, tu!...
- Io faccio questo per il meglio, - cominci�.
- Be', be', be'! - diss'egli rauco, mettendole il gomito sul petto con gesto
minaccioso. - Via di qua, dalle stanze del signore, via in cucina... E fa' quel che
devi fare!
Ella sorrise e usc�, ed egli, cupo, la segu� con uno sguardo di traverso.
Il suo orgoglio soffriva ed egli trattava perci� la moglie in modo arcigno. Quando
tuttavia accadeva che Il'j� Il'�tch chiedesse qualche cosa, e questa non c'era, o
risultava rotta, o in generale, quando succedeva qualche disordine in casa e sulla
testa di Zach�r si addensava la tempesta, accompagnata da �parole spiacevoli�,
Zach�r ammiccava ad Anis'ja, indicava con la testa lo studio del signore e, col
dito teso, diceva piano in tono imperativo:
- Va' tu dal signore: ha bisogno di qualcosa.
Anis'ja entrava e la tempesta si risolveva sempre in una semplice spiegazione. E lo
stesso Zach�r, non appena nel discorso di Oblomov cominciavano a far capolino le
�parole spiacevoli�, gli proponeva di chiamare Anis'ja.
Cos� le stanze di Oblomov sarebbero state di nuovo nell'abbandono se non ci fosse
stata Anis'ja: ella si considerava gi� facente parte della casa di Oblomov,
incoscientemente condivideva l'inscindibile legame del marito con la vita, la casa
e la persona di Il'j� Il'�tch, e il suo occhio femminile e la sua mano industre
vigilavano nelle camere abbandonate. Non appena Zach�r se ne andava in qualche
posto, subito Anis'ja levava la polvere dalle tavole, dai divani, apriva le
finestre, accomodava le tende, riportava al loro posto le scarpe gettate nel mezzo
della stanza, i pantaloni appesi alle poltrone di parata, metteva in ordine i
vestiti, e perfino le carte, le matite, il tagliacarte e le penne sul tavolino;
faceva insomma un ordine generale; smuoveva il letto schiacciato, accomodava i
guanciali, e tutto in tre riprese; poi lanciava ancora un rapido sguardo a tutta la
camera, metteva a posto una sedia, chiudeva un cassetto semiaperto del canterano,
portava via un tovagliolo dalla tavola e in fretta se la svignava in cucina se
sentiva lo scricchiol�o delle scarpe di Zach�r.
Ella era una donna vivace, svelta, di quarantasette anni, con un sorriso
preoccupato, degli occhi che correvano rapidamente da tutte le parti, un collo e un
petto ben piantati e delle mani rosse e tenaci che non si stancavano mai.
Non aveva quasi faccia: solo il naso si vedeva bene; per quanto non fosse molto
grande, sembrava essersi staccato dal viso, o esservi stato malamente attaccato,
inoltre la sua parte inferiore era rivolta all'ins� e perci� il viso, di dietro,
non si vedeva quasi: la faccia era cos� dimagrita e appassita che del naso si aveva
gi� notizia prima ancora che si fosse notato il viso.
Ce ne son molti al mondo di uomini come Zach�r. Ci sono dei diplomatici che
ascoltano con indifferenza il consiglio della moglie, o alzano le spalle, ma poi,
zitti zitti, scrivono alla stregua di questo consiglio. A volte un impiegato
fischiettando, con una smorfia di piet�, risponde alle chiacchiere della moglie
intorno a qualche affare importante e l'indomani riferisce con gravita al ministro
basandosi su quelle chiacchiere. Questi signori trattano le mogli con la stessa
severit� o leggerezza, degnandosi a malapena di parlare, considerandole, se non
proprio delle femminucce, come faceva Zach�r, come dei fiori, creati per distrarre
dalla vita grave degli affari...
Il sole del meriggio gi� da un pezzo bruciava i vialetti del parco. Tutti sedevano
all'ombra sotto tende di tela; solo le balie coi piccini, a gruppi, passeggiavano
arditamente e sedevano sull'erba, sotto i raggi meridiani.
Oblomov era ancora sdraiato sul divano, credendo e non credendo al senso della
conversazione del mattino con Ol'ga.
�Ella mi ama, ella prova qualche cosa per me. E' mai possibile? Ella sogna pensando
a me; per me ha cantato cos� appassionatamente e la musica ci ha comunicato una
reciproca simpatia�.
Un sentimento d'orgoglio si impadron� di lui, la vita brill� con le sue magiche
prospettive, con tutti i suoi colori e delle luci che ancora poco prima non aveva.
Egli si vedeva gi� all'estero con lei, in Isvizzera, sui laghi, in Italia,
passeggiar fra le rovine di Roma, farsi trascinar sulle gondole, poi perdersi nella
folla di Parigi, di Londra, poi... poi nel suo paradiso terrestre, ad Obl�movka.
Ella � una divinit�, con quel suo caro balbett�o, con quel suo visetto grazioso,
bianco, con quel suo collo sottile, delicato... I contadini non hanno mai visto
nulla di simile; si prosternano davanti a quell'angelo. Ella passa leggermente
sull'erba, cammina con lui all'ombra del boschetto di betulle, canta per lui...
Ed egli sente la vita, ne sente il corso tranquillo, le dolci correnti, il
mormor�o... egli cade in fantasticherie che nascono dai desideri soddisfatti, dalla
pienezza della felicit�...
Ad un tratto il suo viso si oscur�.
�No, non pu� essere! - disse ad alta voce, alzandosi dal divano e passeggiando per
la camera. - Amar me, ridicolo come sono, col mio sguardo assonnato, le guance
appassite... Ella non fa che ridere alle mie spalle...�
Si ferm� davanti allo specchio e si guard� a lungo, da principio con avversione;
poi il suo sguardo si rischiar�; sorrise perfino. �Mi par quasi di essere
migliorato, pi� fresco che non fossi in citt�, -disse; - i miei occhi non sono pi�
torbidi... Ecco, � apparso un orzaiolo ed � subito scomparso... Forse � effetto
dell'aria di qui; cammino molto, non bevo vino, non sto sdraiato... Non ho bisogno
d'andare in Egitto�.
Venne un uomo da parte di Mar'ja Mich�jlovna, la zia di Ol'ga, ad invitarlo a
pranzo.
- Vengo, vengo! - disse Oblomov. L'uomo si accinse ad andar via.
- Aspetta! Ecco, a te -. E gli diede del denaro.
Si sentiva allegro, leggero. Nella natura � tutto cos� chiaro. Gli uomini sono
tutti cos� buoni, tutti se la godono; tutti hanno la felicit� in viso. Solo Zach�r
� cupo, guarda sempre il signore di traverso; in compenso Anis'ja sorride cos�
bonariamente...
�Mi procurer� un cane, - decise Oblomov, - o un gatto... meglio un gatto: i gatti
sono carezzevoli, fanno le fusa�.
Corse da Ol'ga.
�Ma, tuttavia... Ol'ga mi ama! - pens� lungo la strada. - Creatura giovane, fresca!
Alla sua immaginazione si apre ora la sfera pi� poetica della vita: certamente
sogna dei giovani dai riccioli neri, slanciati, alti, dalla forza pensierosa
nascosta e dall'ardire sul viso, dal sorriso superbo, con negli occhi quella
scintilla che si perde e trema nello sguardo e penetra cos� facilmente nel cuore;
dalla voce morbida e fresca che suona come una corda metallica. Infine, non si
amano soltanto i giovani e l'ardire sul viso e l'abilit� nel ballare la mazurca e
nel cavalcare... Ol'ga non � una ragazza da dozzina, il cui cuore possa essere
solleticato da un paio di baffi e l'orecchio commuoversi al suono di una sciabola;
ma allora occorre un'altra cosa... la forza della mente, per esempio, perch� la
donna si pieghi e s'inchini a questa mente e le si inchini anche il mondo... Oppure
un artista celebrato... Invece che cosa sono io? Oblomov e niente pi�. Ecco, Stolz,
lui � tutt'altro tipo: Stolz � una mente, una forza, ha la capacit� di dirigere se
stesso, gli altri, il destino. Dovunque vada, con chiunque si incontri, egli domina
e par che suoni su di uno strumento... E io? Nemmeno con Zach�r me la cavo...
nemmeno con me stesso... Io sono Oblomov! Stolz! Oh, Dio!... Ella ama Stolz, -
pens� terrorizzato, - l'ha detto lei stessa: come un amico, dice lei, ma questa �
una bugia, forse incosciente... L'amicizia tra uomo e donna non esiste...�
Rallent� sempre pi� il passo, oppresso dai dubbi.
�E se con me facesse soltanto la civettuola? E se...�
Si ferm� del tutto e per un momento si irrigid�.
�E se non fosse che un inganno, una congiura?... E di dove l'ho appreso che mi ama?
Lei non l'ha detto: � stato il satanico bisbiglio della vanit�! Andr�j! Ma
davvero?... Non pu� essere: ella � cos�... cos�... Eccola!� disse ad un tratto
gioiosamente, scorgendo Ol'ga che gli veniva incontro.
Ol'ga gli tese la mano con un allegro sorriso.
�No, ella non � cos�, non � un'ingannatrice, - decise egli: - le ingannatrici non
guardano con uno sguardo cos� carezzevole; esse non ridono cos� sinceramente... non
fanno che squittire... Ma... ella per� non l'ha detto, che mi ama! - pens� di nuovo
spaventato: era stata solo una sua interpretazione... - Ma perch� quella stizza?...
Signore, in che vortice sono andato a finire!�
- Che cosa avete? - domand� ella.
- Un ramoscello.
- Che ramoscello?
- Lo vedete: di lill�.
- Dove l'avete preso? Qui non c'� lill�. Dove andavate?
- Questo ramoscello voi stessa l'avete strappato e gettato via ieri.
- Perch� l'avete raccolto?
- Cos�, mi piace che... l'abbiate buttato via con dispetto.
- Vi piace il dispetto, questa � una novit�! E perch�?
- Non ve lo dir�.
- Ditemelo, vi prego...
- A nessun costo, per nessun compenso!
- Vi scongiuro!
Egli scosse il capo negativamente.
- E se canter� per voi?
- Allora... forse...
- Vuoi dire che solo la musica agisce su di voi? - domand� ella con le ciglia
aggrottate. - E' cos�?
- S�, la musica interpretata da voi...
- Bene, allora canter�... "Casta diva, casta di..." - ella cominci� l'invocazione
di Norma, e si ferm�. - Be', adesso parlate! -disse.
Egli lott� un pezzetto con se stesso.
- No, no! - concluse ancora pi� energicamente di prima. - A nessun costo... mai! E
se non � vero, se mi � soltanto sembrato!... Mai, mai!
- Ma che cos'�? Qualche cosa di terribile, - disse ella, col pensiero teso su
questa domanda e lo sguardo indagatore fermo su di lui. Poi il viso di lei si
riemp� a poco a poco di consapevolezza; in ogni suo tratto penetr� il raggio del
pensiero, e all'improvviso tutto il volto le si illumin�... Anche il sole talora,
uscendo dalle nuvole, a poco a poco illumina un cespuglio, poi un altro, poi un
tetto, infine riversa su tutto il paesaggio la sua luce. Ella sapeva ormai il
pensiero di Oblomov.
- No, no, la lingua non mi si muove... - ripeteva Oblomov:
- non domandatelo neppure.
- Io non vi domando nulla, - rispose ella indifferente.
- Come? Adesso adesso...
- Andiamo a casa, - disse ella seriamente, senza ascoltarlo, - "ma tante" aspetta.
Ella and� avanti, lo lasci� con la zia e si ritir� nella sua camera.

8.
Tutto quel giorno fu un giorno di graduale delusione per Oblomov. Egli lo pass� con
la zia di Ol'ga, una donna intelligentissima, distinta, vestita sempre
magnificamente, sempre con un abito nuovo di seta che le stava a pennello, sempre
con elegantissimi colletti di pizzo; anche la sua cuffietta era fatta con molto
gusto, e i nastri erano accomodati in modo molto civettuolo per il suo viso di
quasi cinquantenne, ma ancora fresco. Una catenina reggeva l'occhialetto d'oro.
I suoi atteggiamenti, i suoi gesti erano pieni di dignit�; ella sapeva
drappeggiarsi con grande abilit� nel ricco scialle, ed appoggiarsi a tempo col
gomito sul cuscino ricamato, e adagiarsi maestosamente sul divano. Mai la si
sarebbe trovata al lavoro: il chinarsi, il cucire, l'occuparsi di sciocchezzuole
non si addiceva al suo viso, alla sua figura grave. Anche gli ordini alla servit�
erano dati da lei con tono noncurante, breve e secco.
Qualche volta ella leggeva, non scriveva per� mai; parlava bene, del resto per lo
pi� in francese. Aveva subito notato che Oblomov non era padrone del francese e fin
dal secondo giorno era tornata al russo.
Nella conversazione non fantasticava n� faceva dello spirito, come se nella sua
testa fosse tracciata una linea rigida, oltre la quale la sua mente non andava mai.
Era evidente che il sentimento, le simpatie, non escluso l'amore, entravano o erano
entrati nella sua esistenza alla pari con gli altri elementi della vita, laddove
nelle altre donne si nota subito che l'amore, se non in realt�, certo a parole, ha
parte in tutte le questioni della vita, e tutto il resto entra solo di straforo, in
quanto l'amore lasci un po' di spazio.
In questa donna andava avanti a tutto il saper vivere, il saper comandare a se
stessa, il tenere in equilibrio il pensiero e l'intenzione, l'intenzione e
l'esecuzione. Era impossibile sorprenderla impreparata, alla sprovvista, come un
nemico vigilante, del quale, per quanto facciate, vi sentite sempre lo sguardo
addosso. Il suo elemento era il gran mondo e perci� il tatto, la prudenza andavano
in lei avanti ad ogni pensiero, ad ogni parola e movimento.
Ella non svelava mai a nessuno i moti segreti del proprio cuore, non confidava a
nessuno i segreti della propria anima; non si vedeva mai accanto a lei una buona
amica, una vecchietta con la quale ella parlasse a bassa voce sorbendo il caff�.
Soltanto col barone von Langwagen rimaneva spesso a quattrocchi; la sera egli si
fermava a volte fino a mezzanotte, ma quasi sempre in presenza di Ol'ga; per lo pi�
restavano silenziosi, ma silenziosi in un modo pieno d'intelligenza e di
significato, come se sapessero qualcosa che gli altri non sapevano... ecco tutto. A
quanto pare, piaceva loro stare insieme: era l'unica conclusione che si poteva
trarre guardandoli; ella lo trattava come trattava tutti: benevolmente, con bont�,
ma con la stessa calma e serenit�.
Le cattive lingue avevano tentato di approfittarsene e avevano fatto allusione ad
una certa antica amicizia, ad un viaggio all'estero da essi compiuto insieme; ma
nel contegno di lei non traspariva neppure l'ombra di una speciale simpatia
nascosta, che, se ci fosse stata, sarebbe venuta a galla.
Del resto, egli era curatore di una piccola propriet� di Ol'ga che era finita sotto
sequestro per una fornitura e vi era rimasta. Il barone seguiva il processo, faceva
cio� scrivere delle carte ad un impiegato, le leggeva con l'occhialetto, le firmava
e per mezzo dello stesso impiegato le mandava nei vari uffici, mentre per mezzo
delle proprie relazioni dava al processo un corso soddisfacente. Egli dava speranza
di una prossima e lieta soluzione. Ci� aveva fatto cessare le cattive voci e tutti
erano ormai avvezzi a vedere in casa il barone come un parente. Aveva circa
cinquantanni, ma era ancora molto fresco; si tingeva solo i baffi e zoppicava
leggermente da una gamba. Era cortese fino alla raffinatezza, non fumava mai in
presenza delle signore, non accavallava le gambe e biasimava severamente i
giovanotti che in societ� si permettevano di rovesciarsi nella poltrona e di alzare
il ginocchio e le scarpe all'altezza del naso. Anche in salotto teneva i guanti che
toglieva solo quando si sedeva a tavola.
Era vestito secondo l'ultima moda e portava una quantit� di nastrini all'occhiello
del frac. Andava sempre in carrozza chiusa e aveva una cura straordinaria dei
cavalli; prima di salire in carrozza, faceva un giro intorno ad essi, ne esaminava
la bardatura e perfino gli zoccoli, qualche volta cavava di tasca un fazzoletto
bianco e fregava le spalle o la schiena dei cavalli per vedere se erano stati ben
puliti.
Accoglieva i conoscenti con un sorriso benevolmente cortese, gl'ignoti da principio
freddamente, ma dopo la presentazione alla freddezza subentrava il sorriso, sul
quale il nuovo conoscente poteva da quel momento contare per sempre.
Discuteva di tutto: e della virt� e del carovita, delle scienze e del mondo galante
con la stessa precisione; esprimeva la propria opinione con frasi chiare e compiute
come se parlasse per sentenze gi� pronte, elencate in qualche corso di studi e
lanciate nel mondo come norme di carattere generale.
I rapporti tra Ol'ga e la zia erano stati finora molto semplici e tranquilli: nella
tenerezza esse non passavano mai i limiti della moderazione, e mai tra loro sorgeva
un'ombra di malcontento. Questo in parte derivava dal carattere di Mar'ja
Mich�jlovna, la zia di Ol'ga, in parte dall'assoluta mancanza di motivi per tutte e
due di comportarsi diversamente. Alla zia non veniva mai in mente di chiedere ad
Ol'ga qualcosa che contrastasse decisamente coi suoi desideri; Ol'ga non si sarebbe
mai sognata di non soddisfare il desiderio della zia, di non seguire il suo
consiglio. E in che si manifestavano questi desideri? Nella scelta d'un vestito,
nella pettinatura, nell'andare, per esempio, al teatro francese o all'opera. Ol'ga
obbediva in quanto la zia esprimeva un desiderio o dava un consiglio, nulla pi�, e
lei lo dava sempre con una moderazione che rasentava la freddezza, fino a che lo
permettevano i suoi diritti di zia, mai di pi�.
Queste relazioni erano cos� incolori che non sarebbe stato possibile dire se nel
carattere della zia c'era una qualsiasi pretesa all'obbedienza di Ol'ga, alla sua
particolare tenerezza, o se nel carattere di Ol'ga c'era questa obbedienza e una
particolare tenerezza per la zia. In compenso, vedendole insieme per la prima
volta, si poteva subito dire che erano zia e nipote e non madre e figlia.
- Vado dalla sarta, hai bisogno di qualche cosa? - domandava la zia.
- S�, "ma tante", ho bisogno di cambiare l'abito lill�, - diceva Ol'ga, ed esse
andavano insieme; oppure: - No, "ma tante", ci sono stata che � poco.
La zia con due dita le prendeva le guance, la baciava in fronte, mentre ella
baciava la mano alla zia, ed una andava via e l'altra restava.
- Affitteremo di nuovo la stessa villa? - diceva la zia con un tono che non era n�
interrogativo n� affermativo, come se discorresse con se stessa senza decidersi.
- S�, ci si sta molto bene, - diceva Ol'ga. E si affittava la villa.
Ma se Ol'ga diceva:
- Ah! "ma tante", possibile che non siate stufa di questo bosco e di questa sabbia?
Non sarebbe meglio cercare altrove?
- Vedremo, - diceva la zia. - Vogliamo andare a teatro, Olen'ka? � tanto tempo che
si dice bene di questa commedia.
- Con piacere, - rispondeva Ol'ga, ma senza alcun desiderio affrettato di dar
soddisfazione e senza alcuna espressione di remissivit�.
Qualche volta discutevano leggermente.
- Scusa, "ma ch�re", che ti stanno bene i nastri verdi? - diceva la zia. - Prendili
color paglia.
- Ah, "ma tante", ne ho gi� portati sei color paglia, mi son venuti a noia.
- Bene, allora prendili "pens�e".
- Ma questi vi piacciono?
La zia guardava e scuoteva lentamente la testa.
- Come vuoi, "ma ch�re", ma, al tuo posto, li prenderei "pens�e" o color paglia.
- No, "ma tante", io preferisco prendere questi, - diceva Ol'ga dolcemente, e
prendeva quel che le piaceva.
Ol'ga non domandava consiglio alla zia come ad un'autorit�, il cui giudizio dovesse
esser legge per lei, ma cos�, come avrebbe domandato consiglio ad una qualsiasi
altra donna pi� esperta di lei.
- "Ma tante", avete letto questo libro? di che cosa si tratta? - domandava ella.
- Una porcheria! - diceva la zia e metteva il libro da parte, senza per�
nasconderlo e senza prendere nessuna misura perch� Ol'ga non lo leggesse.
E ad Ol'ga non sarebbe mai venuto in mente di leggerlo. Se tutte e due erano in
dubbio, la stessa domanda veniva rivolta o al barone von Langwagen o a Stolz,
quando era presente, e il libro veniva letto o no, secondo il loro giudizio.
- "Ma ch�re" Ol'ga! - diceva qualche volta la zia. - Intorno a quel giovanotto che
ti avvicina spesso dai Zavadskij, mi han raccontato ieri una storia molto stupida.
E basta. Ol'ga poteva poi fare come le piaceva: parlare con lui
o no.
La comparsa di Oblomov non suscit� in casa nessuna domanda, nessuna particolare
attenzione n� nella zia, n� nel barone, e neppure in Stolz. Quest'ultimo voleva
introdurre l'amico in una famiglia in cui tutto fosse un po' rigido, dove non solo
non ti propongono di dormire un po' dopo pranzo, ma dove � sconveniente perfino
accavallar le gambe, dove bisogna essere ben vestiti, stare attenti a quel che si
dice, in una parola dove non � permesso n� sonnecchiare, n� abbandonarsi, dove la
conversazione � sempre vivace e attuale.
Inoltre Stolz pensava che l'introdurre nella sonnolenta vita di Oblomov la presenza
di una giovane donna, simpatica, intelligente, vivace ed anche ironica, sarebbe
stato come introdurre in una stanza scura una lampada dalla quale si diffonde una
luce uniforme in tutti gli angoli bui, e la temperatura sale di alcuni gradi e la
stanza sembra pi� allegra. Questo era il risultato a cui egli mirava, facendo
conoscere il suo amico ad Ol'ga. Egli non prevedeva che ne sarebbe venuto fuori un
bel fuoco d'artificio, e Ol'ga e Oblomov ancor meno di lui.
Il'j� Il'�tch rimase un paio d'ore con la zia correttamente, senza accavallare
neppure una volta le gambe, parlando di tutto come si deve, anzi perfino
spingendole due volte destramente lo sgabello sotto i piedi. Poi venne il barone
che gli sorrise gentilmente e gli strinse amichevolmente la mano. Oblomov si
comport� in modo ancora pi� corretto e tutti e tre furono molto soddisfatti l'uno
dell'altro. La zia considerava le conversazioni appartate di Oblomov e di Ol'ga, le
loro passeggiate come... o, per meglio dire, non le considerava in alcun modo.
Passeggiare con un giovanotto, con un bellimbusto, quest'era un altro affare: anche
allora ella non avrebbe detto nulla, ma col suo tatto naturale, avrebbe rimesse le
cose a posto; sarebbe andata una o due volte con loro ella stessa, oppure avrebbe
mandato una terza persona, e le passeggiate sarebbero finite di per s�. Ma
passeggiare �con "m'sieur" Oblomov�, stare con lui nell'angolo della sala, sul
balcone... che c'era di male? Egli aveva trent'anni: non si sarebbe messo certo a
parlar con lei di sciocchezze, non le avrebbe dato certi libri... A nessuno veniva
in mente nulla di simile. Inoltre la zia aveva sentito che Stolz alla vigilia della
partenza aveva raccomandato ad Ol'ga di non lasciar sonnecchiare Oblomov, di
proibirgli di dormire, di tormentarlo, di tiranneggiarlo, di dargli degli
incarichi, in una parola di servirsi di lui. L'aveva anche pregata di non perdere
mai Oblomov di vista, di invitarlo il pi� spesso possibile, di farlo partecipare a
passeggiate ed escursioni, di scuoterlo in ogni modo, se non fosse partito per
l'estero.
Ol'ga non si mostr� fino a che egli rimase con la zia e il tempo passava molto
lentamente. Oblomov fu nuovamente preso e dal caldo e dal gelo. Adesso egli
indovinava la causa del mutamento di Ol'ga. Questo mutamento era per lui ancora pi�
opprimente di quello di prima. Il precedente errore lo spaventava e mortificava;
adesso si sentiva oppresso, imbarazzato, freddo, triste, come ci si sente quando il
tempo � umido e piovigginoso. Egli le aveva fatto capire che aveva indovinato il
suo amore per lui, ma forse aveva presunto fuori posto. Era davvero un'offesa, e
difficilmente riparabile. E se era vero, che goffaggine! Era stato semplicemente un
fatuo. Poteva aver impaurito il sentimento che batteva timidamente nel giovane
cuore verginale e vi si posava cauto e leggero, come un uccellino su di un ramo: un
rumore estraneo, un fruscio ed eccolo volato via!
Egli aspettava con palpito e tremore la venuta di Ol'ga a pranzo: che avrebbe
detto? come l'avrebbe guardato?...
Ella venne, ed egli non pot� trattenere la meraviglia, guardandola; a malapena la
riconobbe. Ella aveva un viso diverso, perfino un'altra voce. Il suo sorriso
giovane, ingenuo, quasi infantile non comparve nemmeno una volta sulle labbra di
lei, nemmeno una volta ella lo guard� con quei suoi occhi aperti, spalancati, nei
quali si esprimeva ora un dubbio, ora una semplice bonaria curiosit�, come se non
avesse pi� nulla da domandare, nulla da sapere e nulla di cui meravigliarsi! Lo
sguardo di lei non lo seguiva pi� come prima. Ella lo guardava come se lo
conoscesse da tempo, come se egli per lei non rappresentasse nulla, ecco, come il
barone: in una parola, come se egli non l'avesse vista per un anno e di un anno
ella fosse cresciuta. Non c'era per� in lei severit�, n� dispetto; ella scherzava e
perfino rideva, e rispondeva con esattezza a domande alle quali prima non avrebbe
risposto nulla. Si vedeva che aveva deciso di fare quel che fanno le altre e che
prima non faceva. La libert� e l'assenza di soggezione che permettono di dire tutto
quel che si ha in mente erano scomparse. Dove erano andate a finire?
Dopo il pranzo egli le si avvicin� domandando se sarebbe andata a passeggiare.
Ella, senza rispondergli, si rivolse alla zia e domand�:
- "Andiamo" a passeggiare?
- Se non si va lontano, - disse la zia. - Fammi dare l'ombrellino.
E andarono tutti. Camminarono fiaccamente, guardavano in lontananza, verso
Pietroburgo; arrivarono fino al bosco e ritornarono sul balcone.
- Oggi, mi pare, non siete disposta a cantare? Ho timore di pregarvene, - disse
Oblomov sperando che la rigidezza di Ol'ga sarebbe finita e in lei sarebbe tornata
l'allegria, e almeno in una parola, nel sorriso, nel canto avrebbe brillato un
raggio di sincerit�, di spontaneit� e di fiducia.
- Fa caldo! - not� la zia.
- Non importa, prover�, - disse Ol'ga e cant� una romanza.
Egli ascoltava e non credeva ai propri orecchi. Non era lei: dov'era dunque quel
tono appassionato dell'altra volta? Ella cantava con tanta purezza, tanta
precisione, eppure... come... come cantano tutte le signorine pregate di cantare in
societ�: senza entusiasmo. Ella aveva tolta via la sua anima dal canto e
nell'ascoltatore nemmeno un nervo si sentiva toccato. Faceva forse la scaltra,
fingeva, era adirata? Non era possibile capir nulla: ella guardava dolcemente,
parlava volentieri, ma parlava allo stesso modo che cantava, come tutte... Che cosa
significava ci�?
Oblomov, senza aspettare il t�, prese il cappello e si conged�.
- Venite pi� spesso, - disse la zia, - se non vi annoiate, noi siamo tutti i giorni
in casa sole, ma la domenica ci son sempre degli ospiti, non vi annoierete.
Il barone si alz� gentilmente e gli fece un inchino.
Ol'ga gli fece un cenno con la testa come ad un buon conoscente e, quando egli
usc�, si volt� verso la finestra, guard� da quella parte e ascolt� indifferente i
passi di Oblomov che si allontanavano.
Quelle due ore e i seguenti tre, quattro giorni, tutt'al pi� una settimana, avevano
avuto su di lei una profonda influenza, l'avevano spinta molto avanti. Sole le
donne sono capaci di una cos� rapida fioritura di forze, di un cos� rapido sviluppo
di tutti i lati dell'anima. Era come se il corso di lezioni della vita non si
svolgesse per lei da un giorno all'altro, ma da un'ora all'altra. Ogni minima,
impercettibile esperienza, ogni caso che, come un uccello, baleni appena davanti al
naso di un uomo, � afferrato con inspiegabile rapidit� da una fanciulla: ella ne
segue il volo in lontananza e la curva che esso descrive rimane nella memoria di
lei come un segno incancellabile, come una lezione, un ammonimento. L� dove l'uomo
ha bisogno di un cartello indicatore, a una fanciulla basta il venticello
sussurrante, il tremito dell'aria a malapena afferratole dall'orecchio. Perch�, in
seguito a quali cagioni, sul volto di una fanciulla, una settimana prima ancora
cos� spensierata, cos� ingenua da muovere al riso, si posa a un tratto un grave
pensiero? E qual � questo pensiero? Che cosa riguarda? Pare che in esso ci sia
tutto, la logica, la filosofia pratica e speculativa dell'uomo, un intero sistema
di vita! Un "cousin" che l'ha lasciata or non � molto ancora bambina, e ha appena
finito il corso di studi e messe le spalline, vedendola, corre a lei allegramente
con l'intenzione di scuoterla, come gi� prima, per le spalle, di fare un giro con
lei tenendola per le mani, di saltar sulle sedie, sui divani e... a un tratto,
guardatala fisso in viso, si intimidisce, si allontana confuso e comprende che,
mentre egli � ancora un ragazzo, lei � gi� una donna!
Come mai? Che cosa � successo? Un dramma? Un avvenimento importante? Qualche novit�
di cui gi� tutta la citt� � informata?
Niente, n� "maman", n� "mon oncle", n� "ma tante", n� la "njanja", n� la cameriera,
nessuno sa niente. E quando poteva succedere? ha ballato due mazurche, qualche
quadriglia e le � venuto un po' di mal di capo: la notte non ha dormito... E poi
tutto � passato, ma sul viso di lei c'� qualche cosa di nuovo: ella guarda
diversamente, ha smesso di ridere sonoramente, non mangia pi� una pera intera in un
boccone, non racconta pi� �come in collegio�... Ha finito anche lei il corso di
studi.
Oblomov l'indomani e il giorno dopo ancora, come l'ipotetico cugino, non riconobbe
addirittura Ol'ga e la guard� timidamente, mentre lei lo guardava semplicemente, ma
senza la curiosit� d'una volta, senza tenerezza, cos� come guardano le altre. �Che
le � accaduto? Che cosa pensa? - egli si tormentava con tutte queste domande. - Non
ci capisco nulla!� E come avrebbe potuto egli comprendere che in lei era accaduto
quel che accade in un giovane di venticinque anni, con l'aiuto di venticinque
professori, di biblioteche, dopo aver vagato per il mondo, talvolta anche con
l'aiuto di una certa perdita del profumo morale dell'anima, della freschezza del
pensiero e di una certa perdita di capelli, che ella cio� era entrata nella sfera
della coscienza di se stessa? Questo passo era stato fatto da lei cos�
semplicemente e con cos� poco dispendio!
�No, questo � noioso e opprimente! - concluse egli. - Mi trasferir� nel quartiere
di Vyborg, lavorer�, legger�, partir� per Obl�movka... solo! - aggiunse con
profonda malinconia. - Senza di lei! Addio, mio paradiso, mio luminoso, tranquillo
ideale di vita!�
IL quarto e il quinto giorno non and� da loro; non lesse, non scrisse, si avvi� per
fare una passeggiata, usc� sulla strada polverosa, da dove cominciava la salita.
�Bel gusto arrampicarsi con questo caldo!� disse fra s�, sbadigli� e torn�
indietro, si sdrai� sul divano e si addorment� di un sonno profondo, come quando
dormiva in via Gor�chovaja, nella stanza polverosa con le tende abbassate.
Ebbe dei sogni confusi. Quando si svegli�, vide davanti a s� la tavola
apparecchiata, la minestra, la carne battuta. Zach�r in piedi guardava insonnolito
dalla finestra; nella stanza accanto Anis'ja faceva rumore coi piatti.
Pranz�, sedette presso la finestra. Che noia, che uggia, sempre cos� solo! Di nuovo
nessuna voglia di niente, nessun desiderio di muoversi!
- Guardate, signore, i vicini vi hanno portato un gattino; dobbiamo tenerlo? Ieri
ne volevate uno, - disse Anis'ja, pensando di distrarlo, e gli pos� il gattino
sulle ginocchia.
Egli cominci� a carezzarlo; ma anche col gattino che noia!
- Zach�r! - disse.
- Che comandate? - rispose Zach�r.
- Io forse ritorno in citt�, - disse Oblomov.
- Dove, in citt�? Non abbiamo appartamento.
- Nel quartiere di Vyborg.
- Che ragione c'� di passare da una campagna all'altra? - ribatt� Zach�r. - Cosa ci
avete da vedere? Forse Mich�j Andreitch?
- Qui si sta male...
- Dobbiamo di nuovo traslocare? Signore Iddio! Siamo ancora tutti stanchi; non
riesco a trovare due tazze e lo spazzolone per i pavimenti; se non li ha presi
Mich�j Andreitch, vuoi dire che son perduti.
Oblomov taceva. Zach�r usc� e ritorn� subito trascinando un baule e una sacca da
viaggio.
- E questi qui dove dobbiamo metterli? Non sarebbe meglio venderli? - disse egli,
spingendo il baule col piede.
- Ma che, sei diventato pazzo? Fra pochi giorni debbo partire per l'estero, - lo
interruppe Oblomov infuriato.
- Per l'estero! - disse Zach�r sogghignando, - se aveste detto qualche altra cosa,
ma all'estero!
- Cosa ci trovi di strano? Parto e basta... Ho gi� il passaporto pronto, - disse
Oblomov.
- E laggi� chi vi lever� le scarpe? - not� ironicamente Zach�r. - Una cameriera,
forse? Senza di me sarete un uomo rovinato!
Egli sogghign� di nuovo in modo tale che le fedine e le sopracciglia gli si
alzarono dalle due parti.
- Tu dici sempre delle sciocchezze! Porta via e vattene! - rispose Oblomov,
indispettito.
Il giorno dopo, Oblomov s'era appena svegliato alle dieci, quando Zach�r, dandogli
il t�, gli disse che, andando dal fornaio, aveva incontrata la signorina.
- Che signorina? - domand� Oblomov.
- La signorina Il'�nskaja, Ol'ga Serg�evna.
- Ebbene? - domand� impaziente Oblomov.
- Mi ha detto di salutarvi e ha domandato se state bene e che cosa fate.
- E tu che le hai detto?
- Le ho detto che state bene, e quanto al fare, che dovreste fare?... - rispose
Zach�r.
- Perch� aggiungi le tue stupide considerazioni? - not� Oblomov. - �Che dovreste
fare?� Che ne sai tu di quel che io debbo fare? E poi?
- Ha domandato dove avete pranzato ieri.
- E tu?
- Le ho detto che avete pranzato e cenato a casa. �Ma che forse cena lui?� ha
domandato la signorina. �Ha mangiato solo due pollastrelli�, le ho detto.
- St-t-tupido! - disse Oblomov con forza.
- Perch� stupido? Non � forse la verit�? - disse Zach�r. - Posso mostrare ancora
gli ossi...
- Sei proprio uno stupido! - ripet� Oblomov. - Ebbene, e lei?
- Ha sorriso. �Perch� tanto poco?� ha domandato poi.
- Che stupido! - ripet� Oblomov. - Potevi anche raccontare che mi metti la camicia
alla rovescia.
- Non me l'ha domandato e non l'ho detto, - rispose Zach�r.
- Che cosa ti ha ancora domandato?
- Ha domandato che cosa avete fatto in questi giorni.
- E tu?
- �Non fa nulla, - ho detto, - sta sempre sdraiato�.
- Ah!... - pronunci� con grande dispetto Oblomov, stringendosi i pugni alle tempie.
- Va' via! - aggiunse minacciosamente. - Se ti permetterai ancora una volta di
raccontare di me simili sciocchezze, ti far� veder io! Che veleno in quest'uomo!
- Perch� dovrei mentire adesso, nella vecchiaia? - si giustific� Zach�r.
- Va' via! - ripet� Il'j� Il'�tch.
Zach�r non aveva paura delle ingiurie, purch� il signore non dicesse �parole
spiacevoli�.
- Ho detto che volete traslocare nel quartiere di Vyborg, - concluse egli.
- Va' via! - url� imperiosamente Oblomov.
Zach�r usc� e riemp� del suo sospiro tutta l'anticamera; Oblomov cominci� a bere il
t�.
Bevuto il t�, dall'enorme massa di panini e ciambelle prese solo un panino, temendo
di nuovo l'indiscrezione di Zach�r. Poi fum� un sigaro e sedette a tavolino,
sfogli� un libro, lesse una pagina e voleva andare avanti: il libro era intonso.
Strapp� le pagine col dito: naturalmente, si formarono tanti denti, e il libro era
di Stolz che proprio riguardo ai libri era cos� pedante e severo! Le carte, le
matite, tutti i piccoli oggetti dovevano stare l� dove erano stati messi! Oblomov
avrebbe dovuto prendere un tagliacarte, ma un tagliacarte non c'era; poteva certo
chiedere un coltello, ma prefer� rimettere il libro al suo posto e sdraiarsi sul
divano; s'era appena appoggiato con la mano sul cuscino ricamato per sdraiarsi il
pi� comodamente possibile, che Zach�r entr� nella stanza.
- La signorina vi manda anche a pregare di andare a... come si chiama, oh!...
- Perch� non l'hai detto prima, due ore fa? - domand� in fretta Oblomov.
- Mi avete ordinato di uscire, non mi avete lasciato finire... - ribatt� Zach�r.
- Tu mi uccidi, Zach�r! - disse Oblomov pateticamente.
�Eccolo che ricomincia! - pens� Zach�r, presentando al signore la fedina sinistra e
guardando il muro; - adesso mi dir� qualche parolina... come l'altro giorno!�
- Dove debbo andare? - domand� Oblomov.
- L�, in quel... come si chiama? Nel giardino, o...
- Nel parco? - domand� Oblomov.
- Nel parco, proprio cos�: �a passeggiare, se gli fa piacere, io sar� l��...
- Da vestirsi!
Oblomov percorse in lungo e in largo il parco, guard� fra i viali, sotto le
pergole. Ol'ga non c'era. And� finalmente nel viale dove aveva avuto la spiegazione
con lei, e la trov� l�, su di una panchina, non lontana dal punto dove aveva
strappato e buttato via il ramoscello di lill�.
- Pensavo gi� che non sareste venuto, - disse ella cordialmente.
- E' un pezzo che vi cerco per tutto il parco, - rispose egli.
- Sapevo che avreste cercato e perci� apposta mi son seduta qui, in questo viale:
pensavo che vi sareste passato di sicuro.
Egli voleva domandare: �Perch� l'avete pensato?� ma la guard� e non disse nulla.
Il viso di lei non era quello di quando avevano passeggiato l�, ma quello che egli
le aveva veduto l'ultima volta e per cui s'era tanto agitato. Anche la cordialit�
era contenuta, tutta l'espressione del viso era come chiusa, fissa; cap� che non
era pi� possibile continuar con lei il gioco degli indovinelli, delle allusioni e
delle domande ingenue, che questo momento infantile ed allegro era ormai superato.
Molte cose che non erano state dette, e alle quali ci si sarebbe potuto avvicinare
soltanto con una domanda astuta, erano ormai tra loro gi� decise senza parole,
senza spiegazioni, Dio sa come, ma ritornarci era impossibile!
- Perch� non vi siete fatto vedere per tanto tempo? - domand� ella.
Egli tacque. Avrebbe voluto di nuovo farle capire per via indiretta che il fascino
misterioso delle loro relazioni era scomparso, che la riservatezza di cui ella si
era circondata come di una nuvola, quasi si fosse ritratta in se stessa, gli pesava
sull'anima ed egli non sapeva pi� come fare, come comportarsi con lei. Tuttavia
egli sentiva che il minimo accenno a ci� avrebbe provocato in lei uno sguardo di
meraviglia e le loro relazioni sarebbero diventate ancora pi� fredde, e forse
quella scintilla di simpatia che egli quasi aveva spenta fin da principio sarebbe
scomparsa del tutto. Bisognava riaccenderla piano e con cautela, ma come, egli non
lo sapeva.
Capiva confusamente che ella era cresciuta ed era ora quasi maggiore di lui e che
da quel momento non era pi� possibile il ritorno alla fiducia infantile di prima,
che davanti a loro era il Rubicone e che la felicit� perduta si trovava sull'altra
riva: bisognava passare.
Ma come? E se fosse passato solo?
Ella capiva pi� chiaramente di lui quel che in lui avveniva e perci� il vantaggio
era dalla parte di lei. Ella gli guardava apertamente nell'anima e vedeva come sul
fondo dell'anima gli nasceva il sentimento e come giocava e veniva fuori; vedeva
che con lui le astuzie, la furberia, la civetteria femminile, gli strumenti di
S�nitchka, erano del tutto superflui perch� non si presentava alcuna lotta. Ella
vedeva perfino che, nonostante la sua giovane et�, in quella simpatia toccava a lei
la prima e pi� importante parte, che da lui c'era da aspettarsi solo una profonda
impressione, un'appassionata e pigra devozione, un'eterna armonia con ogni battito
del suo cuore, ma nessun atto di volont�, nessun pensiero attivo. In un attimo ella
aveva pesato il proprio potere su di lui, e le piaceva questa funzione di stella
polare, di raggio di luce che ella spandeva su quel lago immobile e che vi si
rifletteva. In questo duello il suo primato aveva gi� trionfato in vario modo. In
questa commedia, o tragedia, secondo le circostanze, tutt'e due gli attori appaiono
quasi sempre con lo stesso carattere di tormentatore, o tormentatrice, e di
vittima.
Ol'ga, come ogni donna nella parte principale, cio� nella parte di tormentatrice,
naturalmente meno di altre e incoscientemente, non poteva rinunziare al piacere di
giocare un po' con lui come il gatto col topo; talvolta, come un lampo, come un
improvviso capriccio, balenava in lei il sentimento, ma subito dopo ella si
richiudeva e sprofondava in se stessa; pi� spesso per� lo spingeva avanti, sapendo
che lui da solo non avrebbe fatto nemmeno un passo e sarebbe rimasto immobile l�
dove ella lo avesse lasciato.
- Siete stato occupato? - domand� continuando a ricamare.
�Io direi che sono stato occupato, ma quel Zach�r!� sospir� egli dentro di s�.
- S�, ho letto qualche cosa, - rispose negligentemente.
- Che cosa, un romanzo? - domand� ella, e lev� su di lui gli occhi per vedere con
che faccia egli avrebbe mentito.
- No, io romanzi non ne leggo quasi per nulla, - rispose egli molto
tranquillamente, - ho letto la "Storia delle invenzioni e scoperte".
�Sia ringraziato Iddio che ne ho scorse un po' le pagine oggi!� pens� egli.
- In russo? - domand� ella.
- No, in inglese.
- Ah, voi leggete l'inglese?
- Con fatica, ma lo leggo. E voi, siete stata in citt�? - aggiunse, soprattutto per
allontanare il discorso dal libro.
- No, sono stata sempre in casa. Lavoro sempre qui, in questo viale.
- Sempre qui?
- S�, questo viale mi piace molto, e vi sono grata di avermelo mostrato; qui non
passa quasi nessuno...
- Ma io non ve l'ho mostrato, - interruppe egli, - noi ci siamo incontrati qui per
caso, non vi ricordate?
- S�, � vero.
Tacquero tutti e due.
- E il vostro orzaiolo � passato del tutto? - domand� ella guardandolo fissa
nell'occhio destro.
Egli arross�.
- Grazie a Dio, � passato, - disse.
- Bagnate l'occhio con semplice vino, se comincia a prudere, - continu� ella, -
cos� gli orzaioli non si formano. Me l'ha insegnato la mia "njanja".
�Ma perch� parla sempre degli orzaioli?� pens� Oblomov.
- E non cenate la sera, - aggiunse ella seriamente.
�Zach�r!� sent� nella gola come un violento bisogno di gridare.
- Basta mangiar molto la sera, - continu� ella, senza levar gli occhi dal lavoro, -
e poi starsene tre giorni sdraiato, soprattutto sulla schiena, per aver subito
degli orzaioli.
�S-t-t-tupido!� ringhi� dentro di s� Oblomov pensando a Zach�r.
- Che lavoro fate? - domand� egli, per cambiar discorso.
- Un tira-campanello, - disse ella, dispiegando il canovaccio e mostrandogli il
disegno, - � per il barone. Bello?
- S�, molto bello, il disegno � molto grazioso. E' un ramo di lill�?
- Pare... s�, - rispose ella con noncuranza. - Ho scelto a caso, quel ch'�
capitato...
Ella arross� un po' e arrotol� lesta il canovaccio.
�Ma � una bella noia se continua cos�, se non mi riesce di cavar nulla da lei, -
pens� egli, - un altro, Stolz per esempio, ci riuscirebbe, io non sono buono�.
Egli si imbronci� e guard� intorno assonnato. Ella lo guard�, poi ripose il lavoro
nel cesto.
- Andiamo al boschetto, - disse ella, dandogli da portare il cesto, poi apr�
l'ombrellino, si accomod� il vestito e si mosse. - Perch� siete triste? - domand�.
- Non so, Ol'ga Serg�evna! E perch� dovrei essere allegro? E come?
- Occupatevi, andate pi� spesso con la gente.
- Occuparsi! Ci si pu� occupare, quando si ha uno scopo. Che scopo ho io? Nessuno.
- Lo scopo � vivere.
- Quando non si sa per che cosa si vive, si vive cos� come capita, alla giornata;
ti rallegri che � passata un'altra giornata, che � venuta la notte e nel sonno
affoghi la stupida domanda perch� hai vissuto questo giorno e perch� vivrai domani.
Ella ascoltava in silenzio, con uno sguardo severo: nelle ciglia aggrottate si
nascondeva qualche cosa di cupo, nella linea delle labbra, come un serpente, si
muoveva qualcosa tra l'incredulit� e il disdegno...
- Perch� si � vissuto! - ripet� ella. - Ma che pu� esserci un'esistenza del tutto
inutile?
- Pu� esserci. La mia, per esempio, - diss'egli.
- Non sapete ancora qual � lo scopo della vostra vita? - domand� ella, fermandosi.
- Non lo credo: voi vi calunniate, altrimenti non sareste degno di vivere...
- Io ho gi� passato quel punto dove dev'esserci la vita, e avanti non c'� pi�
nulla.
Egli sospir� ed ella sorrise.
- Pi� nulla? - ripet� ella interrogativamente, ma con vivacit�, con allegria,
ridendo, come non prestandogli fede e prevedendo che qualcosa nel futuro egli
avrebbe avuto.
- Voi ridete, - egli prosegu�, - ma � cos�! Ella and� avanti in silenzio, a capo
chino.
- Per che cosa e per chi vivr� io? - disse egli seguendola. - Che cosa cercare, in
che direzione volgere i pensieri, i propositi? Il fiore della vita � appassito,
sono rimaste solo le spine.
Andavano lentamente: ella ascoltava distratta, passando strapp� un ramo di lill�,
e, senza guardarlo, glielo porse.
- Che cosa � questo? - domand� egli timido.
- Lo vedete: un ramo.
- Che ramo? - disse egli, guardandola con gli occhi spalancati.
- Di lill�.
- Lo so... ma che significa?
- Il fiore della vita e... Egli si ferm�, lei anche.
- Eh?... - ripet� egli interrogativamente.
- Il mio dispetto, - disse ella, guardandolo fisso, con lo sguardo concentrato, e
il sorriso di lei diceva che ella sapeva quel che facesse. La nuvola della
inaccessibilit� s'era dileguata. Il suo sguardo era eloquente e comprensibile. Come
se ella a bella posta avesse aperta una pagina nota di un libro e permesso di
leggere un passo segreto.
- Vuoi dire che io posso sperare... - disse egli all'improvviso, accendendosi di
gioia.
- Tutto! Ma...
Ella tacque. Egli era come risuscitato a un tratto. E lei, a sua volta, non
riconobbe Oblomov: il viso nebuloso e sonnolento di lui s'era in un attimo
trasformato, gli occhi s'erano aperti, le guance arrossate, i pensieri messi in
moto; negli occhi brillarono desiderio e volont�. Ella lesse chiaramente in questo
muto gioco del viso che ad Oblomov era apparso lo scopo della vita.
- La vita di nuovo mi si apre dinanzi, - disse egli, come in sogno: - eccola, nei
vostri occhi, nel vostro sorriso, in questo ramoscello, nella "Casta diva"... tutto
� qui...
Ella scosse la testa.
- No, non tutto... la met�. - La migliore?
- Forse, - diss'ella.
- E dov'� l'altra? Che altro ancora dopo di questo?
- Cercate.
- Perch�?
- Per non perdere la prima, - fin� ella, gli porse la mano e andarono verso casa.
Egli ora gettava degli sguardi entusiastici, furtivi, alla testolina, alla figura,
ai capelli di lei, ora premeva a s� il ramoscello di lill�.
�Tutto, tutto mio! Mio!� ripeteva soprappensiero e non credeva a se stesso.
- Non traslocherete nel quartiere di Vyborg? - domand� ella, quando egli se ne and�
a casa.
Egli rise e non diede nemmeno dello stupido a Zach�r.

9.
Da allora non ci furono pi� mutamenti improvvisi in Ol'ga. Ella era sempre eguale e
tranquilla con la zia e in societ�, ma viveva e sentiva la vita solo con Oblomov.
Non domandava pi� a nessuno che cosa dovesse fare, come dovesse agire, non si
appoggiava pi� nel pensiero all'autorit� di S�nitchka. A mano a mano che le si
aprivano innanzi le varie fasi della vita, cio� del sentimento, ella
perspicacemente ne osservava le manifestazioni, con acuta attenzione ascoltava la
voce del proprio istinto e la paragonava con le poche osservazioni che aveva in
riserva, e procedeva cauta, tastando col piede il terreno sul quale avanzava.
Non aveva con chi confidarsi. La zia? Ella sorvolava su simili questioni cos�
abilmente e leggermente che Ol'ga non era mai riuscita ad averne un parere da
conservare nella propria memoria. Stolz era assente. Oblomov? Ma questi era appunto
la Galatea, con la quale a lei toccava di esser Pigmalione.
La sua vita s'era riempita cos� silenziosamente, cos� all'insaputa di tutti, che
ella viveva nella sua nuova sfera senza richiamar l'attenzione, senza impulsi ed
agitazioni visibili. Continuava a fare quel che faceva prima, per tutti gli altri,
ma lo faceva diversamente. Andava al teatro francese, ma il contenuto della
commedia acquistava un certo rapporto con la sua vita; leggeva un libro e nel libro
c'erano immancabilmente delle righe con le scintille della sua mente, e qua e l�
brillava la fiamma dei suoi sentimenti, erano scritte le parole dette il giorno
prima, come se l'autore fosse stato in ascolto a sentire i battiti del suo cuore.
Nel bosco c'erano gli stessi alberi, ma il loro mormorio aveva un significato
speciale: tra essi e lei c'era una specie di vivo accordo. Gli uccelli non
cinguettavano e trillavano semplicemente, ma dicevano qualche cosa fra di loro; e
tutto intorno parlava, tutto rispondeva al suo stato d'animo: sbocciava un fiore e
a lei sembrava di sentirne il respiro.
Anche nei sogni c'era ormai una vita nuova: essi si popolarono di visioni, di
immagini, con le quali talvolta ella parlava ad alta voce... esse le raccontavano
qualche cosa, ma cos� confusamente che non le riusciva di capire e si sforzava di
parlar loro, di domandare, e anch'ella diceva qualche cosa d'incomprensibile. Solo
Katja la mattina dopo la informava che l'aveva sentita parlare in sogno.
Ella ricord� le predizioni di Stolz: egli le diceva spesso che non aveva ancora
cominciato a vivere, e lei talora si offendeva perch� egli la considerava una
bambina, mentre aveva gi� vent'anni. Ma adesso capiva che egli aveva ragione e che
ella solo adesso cominciava a vivere.
�Ecco, quando cominceranno a muoversi tutte le forze nel vostro organismo, allora
si sveglier� la vita anche intorno a voi, e voi vedrete quel che oggi i vostri
occhi non possono vedere, udrete ci� che ora non potete udire: suoner� la musica
dei nervi, udrete il frastuono delle sfere, ascolterete il crescere dell'erba
(Frasi tratte dalla lirica di Pushkin: "Il Profeta".). Aspettate, non affrettatevi,
verr� da s�!� aveva minacciato egli.
Ed era venuto!
�Probabilmente si muovono le forze, l'organismo si � svegliato...� diceva ella con
le parole di lui, ascoltando attenta l'insolito palpito, acutamente e timidamente
osservando ogni nuova manifestazione della nuova forza che si risvegliava.
Ella non si abbandon� alla fantasia, non si pieg� all'improvviso palpito delle
foglie, alle visioni notturne, al mormor�o misterioso, quando di notte le sembrava
che qualcuno si chinasse sul suo orecchio e le dicesse qualche cosa di oscuro e
d'incomprensibile!
- I nervi! - ripeteva ella talvolta con un sorriso, attraverso le lacrime, vincendo
a stento la paura e sostenendo la lotta dei nervi, non ancora abbastanza
resistenti, con le forze risvegliantisi.
Si alzava da letto, beveva un bicchiere d'acqua, apriva la finestra, si rinfrescava
il viso facendo ventaglio del fazzoletto e ritornava in s� dal sogno ad occhi
aperti e da quello ad occhi chiusi.
Ad Oblomov, appena sveglio la mattina, la prima immagine che si presentava era
l'immagine di Ol'ga, in tutta la sua grandezza, con un ramo di lill� fra le mani.
Egli si addormentava col pensiero di lei, andava a passeggiare, leggeva: ella era
sempre l�, davanti a lui. Col pensiero egli conversava con lei senza intervallo e
giorno e notte. Alla "Storia delle invenzioni e scoperte" aggiungeva sempre qualche
nuova scoperta nell'aspetto o nel carattere di Ol'ga, inventava sempre qualche caso
per incontrarsi con lei, per mandarle un libro, farle una sorpresa. Dopo aver
parlato con lei quando si incontravano, continuava tra s� la conversazione a casa,
cosicch� avveniva che entrasse Zach�r ed egli, col tono straordinariamente tenero e
dolce col quale nel pensiero parlava con Ol'ga, gli diceva:
- Tu, diavolo spelato, mi hai dato di nuovo le scarpe senza pulirle: bada ch'io non
te le faccia pagare...
Ma la spensieratezza l'aveva gi� lasciato da quel momento in cui ella aveva cantato
per lui la prima volta. Egli non viveva gi� pi� la vita di prima, quando gli era
del tutto indifferente starsene sdraiato sulla schiena a guardare il muro, presente
Alekseev, oppure starsene da Iv�n Ger�simovitch, in quei giorni in cui non
aspettava niente e nessuno, n� di giorno n� di notte.
Adesso e il giorno e la notte, ogni ora del mattino e della sera aveva la sua
speciale figura ed era piena di un radioso splendore o scolorita e tenebrosa,
secondo che era presente Ol'ga o non c'era e perci� tutto era noioso e morto.
Tutto questo si rifletteva nella sua esistenza: nella sua testa c'era tutta una
rete di quotidiane, momentanee considerazioni, congetture, previsioni, tormenti
dell'ignoto, e tutto a causa delle questioni: l'avrebbe vista o no? Che cosa ella
avrebbe detto e fatto? Come l'avrebbe guardato? Che incarico gli avrebbe dato, che
gli avrebbe domandato, sarebbe stata contenta o no? Tutte queste considerazioni
erano diventate questioni essenziali della sua esistenza.
�Ah, se si potesse provare soltanto questo tepore dell'amore senza le sue
agitazioni! - sognava egli. - No, la vita ti tocca, ovunque tu vada, ti scotta!
Quanto nuovo movimento � entrato in essa all'improvviso, quante nuove occupazioni!
L'amore � una difficilissima scuola di vita!�
Egli aveva gi� letto alcuni libri: Ol'ga l'aveva pregato di raccontargliene il
contenuto e l'aveva ascoltato con incredibile pazienza. Egli aveva scritto alcune
lettere in campagna, aveva sostituito lo "st�rosta" e per mezzo di Stolz era
entrato in rapporti con uno dei suoi vicini. Sarebbe anche andato in campagna, se
avesse ritenuto possibile allontanarsi da Ol'ga. Aveva smesso di cenare e gi� da
due settimane non sapeva pi� cosa significasse mettersi a riposar di giorno.
Nel corso di due, tre settimane avevano visitato insieme tutti i dintorni di
Pietroburgo. La zia, Ol'ga, il barone e lui apparivano a tutti i concerti, alle
grandi feste. Parlavano di andare in Finlandia, a Imatra.
Quanto ad Oblomov, egli non sarebbe uscito dal parco, ma Ol'ga inventava sempre
qualche cosa di nuovo e bastava che egli fosse titubante all'invito di andare in
qualche posto, perch� la gita si realizzasse. E allora i sorrisi di Ol'ga non
avevano fine. Per cinque verste intorno non c'era una sola collina che egli non
avesse salita parecchie volte.
Intanto la loro simpatia cresceva, si sviluppava e si manifestava secondo le sue
leggi infallibili. Ol'ga fioriva insieme al suo sentimento. I suoi occhi divennero
pi� luminosi, i suoi movimenti acquistarono grazia, il suo petto si era sviluppato
rigogliosamente e ondeggiava ritmicamente.
- Ti sei fatta pi� bella in campagna, Ol'ga, - le diceva la zia. Il sorriso del
barone esprimeva lo stesso complimento. Ol'ga, arrossendo, chinava la testa sulla
spalla della zia e questa delicatamente le accarezzava la guancia.
- Ol'ga, Ol'ga! - chiam� una volta Oblomov, quasi bisbigliando, ai piedi della
collina, dove ella gli aveva detto che si sarebbero incontrati per andare a
passeggiare.
Nessuna risposta. Egli guard� l'orologio.
- Ol'ga Serg�evna! - aggiunse ad alta voce. Silenzio.
Ella era in cima alla collina, sentiva la chiamata, ma, trattenendo il riso, non
rispondeva. Voleva costringerlo a salir su.
- Ol'ga Serg�evna! - chiam� egli, dopo essersi arrampicato attraverso i cespugli
fino a met� della collina, guardando in su. �Mi ha dato appuntamento alle cinque e
mezzo�, disse egli fra s�.
Ella non pot� trattenere il riso.
- Ol'ga, Ol'ga! Ah, ma siete l�! - disse egli e sali fino in cima.
- Uh! Che gusto nascondersi sulla collina! - Egli le si sedette accanto. - Per
tormentar me, tormentate voi stessa.
- Da dove venite? Direttamente da casa? - domand� ella.
- No, sono stato a casa vostra; l� mi hanno detto che eravate gi� uscita.
- Che cosa avete fatto, oggi? - domand� Ol'ga.
- Oggi...
- Avete leticato con Zach�r?
Egli rise come se fosse stata una cosa del tutto impossibile.
- No, ho letto la �Revue�. Ma, ascoltate, Ol'ga...
Tuttavia egli non disse nulla, sedette accanto a lei e si sprofond� nella
contemplazione del suo profilo, della sua testa, del movimento della sua mano che
andava avanti e indietro secondo che infilasse l'ago nel canovaccio o lo traesse
fuori. Egli teneva lo sguardo fisso su di lei come una lente ustoria e non riusciva
a volgerlo altrove. Stava immobile e solo lo sguardo si moveva a destra, a
sinistra, in alto, in basso, secondo che si moveva la mano. Era in lui come una
tesa attivit�: una rafforzata circolazione del sangue, un raddoppiato battito del
polso e palpitare del cuore, tutto ci� agiva cos� fortemente su di lui che il
respiro gli s'era fatto lento e pesante, come avviene nei momenti del supplizio e
in quelli del massimo godimento dello spirito. Egli era muto e non poteva muoversi:
solo gli occhi umidi di commozione erano volti a lei ineluttabilmente.
Ella gli lanciava uno sguardo profondo di tanto in tanto, leggeva il suo semplice
pensiero, impresso nel viso, e pensava: �Dio mio! Come ama! Com'� tenero, com'�
tenero!� ed era orgogliosa e trionfante di vedere ai suoi piedi quell'uomo
soggiogato dalla sua forza.
Il momento delle allusioni simboliche, dei sorrisi eloquenti, dei rami di lill� era
irremissibilmente passato. L'amore s'era fatto pi� severo, pi� esigente, cominciava
a trasformarsi in dovere: comparivano i reciproci diritti. Le due parti si facevano
sempre pi� sincere: gli equivoci, i dubbi scomparivano e lasciavano il posto a
questioni pi� chiare e positive. Ella aveva continuato a pungerlo con leggero
sarcasmo per gli anni da lui uccisi inutilmente, non aveva indugiato a pronunziare
la sua severa condanna, aveva punita l'apatia di lui pi� profondamente e pi�
positivamente di Stolz; poi, a misura che s'era avvicinata a lui, dal sarcasmo
sull'esistenza fiacca e molle di Oblomov era passata alle manifestazioni dispotiche
della propria volont�, gli aveva ricordato arditamente lo scopo della vita e i suoi
doveri, ed esigeva severamente da lui che si movesse, costringeva la sua mente a
lavorare, ora attirandolo in qualche sottile problema di vita a lei ben noto, ora
proponendogli ella stessa qualche problema per lei poco chiaro o inaccessibile.
Ed egli si dava da fare, si rompeva il capo, si scervellava per non cadere agli
occhi di lei o per aiutarla a sciogliere qualche nodo, se non aveva addirittura il
coraggio di tagliarlo.
Tutta la tattica femminile di lei era compenetrata di tenera simpatia; tutti gli
sforzi di lui per seguire il movimento della mente di lei respiravano la passione.
Ma pi� spesso egli era spossato, si sdraiava ai piedi di lei, si portava la mano al
cuore ed ascoltava come batteva, senza togliere da lei il suo sguardo pieno di
ammirazione e di entusiasmo.
�Come mi ama!� ella si ripeteva in quei momenti, ammirandolo. Ma se talvolta notava
gli antichi tratti nell'anima di Oblomov - ed ella sapeva profondamente guardare in
quest'anima, - se notava la minima stanchezza, un appena visibile sonnecchiar della
vita, lo copriva di rimproveri, e a questi si mescolava qualche volta l'amarezza
del pentimento, il timore di avere sbagliato.
Talvolta, appena si accingeva a sbadigliare, appena apriva la bocca, egli era
sorpreso dallo sguardo di meraviglia di lei: subito la bocca si richiudeva e con
tanta forza che i denti battevano. Ella perseguitava la minima ombra di sonnolenza
anche sul viso di lui. Gli domandava non solo che cosa facesse, ma che cosa avrebbe
fatto.
Ancora pi� fortemente che non in seguito ai rimproveri, si svegliava in lui
l'ardire, quando notava che la sua stanchezza stancava anche lei e la faceva fredda
e indifferente. Allora in lui appariva una vera febbre di vita, di forza, di
attivit�, e l'ombra scompariva di nuovo, e la simpatia sgorgava di nuovo come una
fontana forte e chiara.
Ma tutte queste preoccupazioni non erano finora uscite dal cerchio magico
dell'amore; l'attivit� di lui era negativa: non dormiva, leggeva, qualche volta
pensava di scrivere il piano, camminava molto, faceva lunghe escursioni.
L'ulteriore corso della vita, il senso stesso di essa, il lavoro erano in lui
ancora allo stato di intenzioni.
�Ma quale vita, quale attivit� esige ancora Andr�j ? - pensava, spalancando gli
occhi dopo pranzo per non addormentarsi. - Che forse questa non � vita? Che l'amore
non equivale a servire? Lo dovrebbe provar lui! Ogni giorno dieci verste a piedi!
Ieri ho pernottato in citt�, in un indecente alberghetto, vestito, mi son levato
solo le scarpe, e Zach�r non c'era, solo per eseguire una commissione di lei!�
Pi� tormentoso di tutto era per lui quando Ol'ga gli sottoponeva qualche questione
speciale e pretendeva da lui, come da un professore, piena soddisfazione; e questo
avveniva spesso e non per pedanteria, ma perch� in lei era sincero il desiderio di
sapere. Spesso ella dimenticava perfino i suoi scopi relativamente ad Oblomov,
trascinata dai problemi stessi.
- Perch� a noi queste cose non le insegnano? - diceva ella con pensieroso dispetto,
ascoltando talvolta avidamente frammenti di una conversazione intorno ad argomenti
generalmente ritenuti inutili per le donne. Una volta lo affront� con domande
intorno alle stelle duplici: egli commise l'imprudenza di richiamarsi a Herschel e
fu mandato in citt� a leggere il libro per riferirne poi il contenuto fino a che
ella non si ritenne soddisfatta.
Un'altra volta, sempre per imprudenza, egli si lasci� sfuggire, in una
conversazione col barone, due o tre parole intorno alle varie scuole di pittura, -
di nuovo lavoro per una settimana: leggere, riferire; poi si recarono
all'�Ermitage� (Famosa e ricchissima galleria di quadri a Pietroburgo.), e l� egli
dovette ancora dar spiegazioni su quanto aveva letto. E se egli diceva qualche cosa
a casaccio, ella subito se ne accorgeva e non gli dava pace. Poi per una settimana
egli dovette andare in giro pei negozi in cerca delle riproduzioni dei quadri pi�
belli.
Il povero Oblomov ora ripeteva quel che una volta aveva imparato, ora si gettava
nelle librerie per trovar nuove opere e qualche volta non dormiva l'intera notte,
sfogliava libri, leggeva per poter il giorno dopo rispondere come a caso alla
domanda del giorno prima con conoscenze attinte all'archivio della memoria. Ella
non poneva le questioni con distrazione femminile o per soddisfare il capriccio del
momento di conoscere questo o quello, ma tenacemente, impazientemente, e quando
Oblomov taceva lo puniva col suo lungo sguardo indagatore. Come tremava Oblomov a
questo sguardo!
- Perch� non dite nulla, perch� tacete? - domand� ella. - Si potrebbe credere che
vi annoiate.
- Ah! - disse egli, come tornando in s� da uno svenimento. - Come vi amo!
- Davvero? Se non l'avessi domandato io, non si direbbe!
- Che forse non sentite quel che avviene in me? - cominci� egli. - Sapete, mi �
difficile perfino parlare. Ecco, qui... datemi la mano, qualche cosa mi disturba,
come se qualche cosa di pesante, una pietra, vi fosse stata messa sopra; sapete,
come quando si prova un profondo dolore; e intanto, strano, sia nel dolore che
nella felicit�, nell'organismo il processo � lo stesso: si respira a malapena, si
ha voglia di piangere! Se piangessi, come avviene nei gravi dolori, mi sentirei
meglio...
Ella lo guard� in silenzio, come per verificare le sue parole, paragon� queste a
quel che egli portava scritto in viso e sorrise: la prova era soddisfacente. Sul
suo volto si diffuse il soffio della felicit�, ma di una felicit� serena, che nulla
avrebbe potuto turbare.
Si vedeva che ella non soffriva, ma era contenta come era contenta la natura in
quel tranquillo mattino.
- Che cosa avviene in me? - domand� pensieroso Oblomov, come parlando a se stesso.
- Posso dirvi una cosa?
- Dite.
- Voi siete... innamorato.
- S�, certo, - conferm� egli, togliendole la mano dal lavoro, tuttavia senza
baciargliela, ma solo premendo le dita alle proprie labbra, disposto a tenerla a
lungo cos�.
Ella cerc� di ritirar pian piano la mano, ma egli teneva forte.
- Ora basta, lasciate, - disse ella.
- E voi? - domand� egli. - Voi... non siete innamorata...
- Innamorata, no... ci� non mi piace: io vi amo! - disse ella e lo guard� a lungo
come per confermare a se stessa che lo amava.
- A...mo! - disse Oblomov. - Ma amare si pu� la madre, il padre, la balia, perfino
un cagnolino: tutto ci� coincide col comune concetto collettivo di �amore� come una
vecchia...
- Veste da camera? - disse ella ridendo. - "A propos", dov'� la vostra veste da
camera?
- Che veste da camera? Io non ne ho mai avute. Ella lo guard� con un sorriso di
rimprovero.
- Ah, voi vi riferite alla mia vecchia veste da camera! - disse egli. - Io aspetto,
l'anima mi si � irrigidita nell'impazienza di sentire come sgorgher� il sentimento
dal vostro cuore, con qual nome voi chiamerete questi impulsi, e voi... Che Dio vi
benedica, Ol'ga! S�, io sono innamorato di voi e vi dico che senza di ci� non c'�
vero amore; non ci si innamora n� del padre, n� della madre, n� della balia; si
amano.
- Non so, - disse ella soprappensiero, come sprofondandosi in se stessa e
sforzandosi di capire quel che avveniva in lei. - Non so se sono innamorata di voi;
se no, vuoi dire che non � venuto ancora il momento; so soltanto che cos� non ho
amato n� il babbo, n� la mamma, n� la "njanja"...
- E qual � la differenza? Sentite voi qualche cosa di speciale? - insist� egli.
- Volete saperlo? - domand� ella furbescamente.
- S�, s�, s�! Davvero non sentite il bisogno di dirlo?
- Ma perch� volete saperlo?
- Per viverne ogni minuto: oggi, tutta la notte, domani, fino al prossimo
incontro... Io vivo solo di questo.
- Ecco, vedete, voi avete bisogno di rinnovare ogni giorno la provvista della
vostra tenerezza; questa � la differenza fra chi � innamorato e chi ama... Io...
- Voi?... - aspett� egli impaziente.
- Io amo diversamente, - disse ella appoggiandosi con la schiena alla panchina e
seguendo con gli occhi le nuvole che passavano. - Senza di voi mi annoio; mi
dispiace staccarmi da voi per poco, mi addoloro se per molto. Io ho saputo e visto
e credo una volta per sempre che voi mi amate e sono felice, anche se non mi
ripetete continuamente che mi amate. Di pi� e meglio non so amare.
�Sembrano... le parole di Cordelia�, pens� Oblomov, guardando Ol'ga
appassionatamente...
- Se voi moriste, - continu� ella dopo una breve pausa, - io porterei eterno lutto
e non sorriderei pi� nella vita. Se vi innamoraste di un'altra non mormorerei e non
vi maledirei, ma vi augurerei felicit�... Per me amare �... � la vita stessa, e la
vita...
Ella cercava l'espressione.
- Che cos'� la vita, secondo voi? - domand� Oblomov.
- La vita � dovere, e perci� anche l'amore � dovere: mi pare come se Dio me l'abbia
mandato, - fin� ella, alzando gli occhi al cielo, - e mi abbia ordinato di amare.
- Cordelia! - disse forte Oblomov. - Ed ha solo ventun anni! Ecco dunque quel che �
l'amore secondo voi! - aggiunse egli soprappensiero.
- S�, e credo di aver forza abbastanza per amar tutta la vita... �Chi le ha
suggerito ci�! - pens� Oblomov guardandola in
adorazione. - Non certo per la via dell'esperienza, della sofferenza e del fuoco e
del fumo � arrivata a questo semplice e chiaro concetto della vita e dell'amore�.
- E vi sono gioie vive, vi sono passioni? - prese egli a dire.
- Non so, non ho provato e non so che cosa ci� sia.
- Oh, come io lo comprendo adesso!
- Forse anch'io col tempo lo comprender�, forse anche in me vi saranno quegli
impulsi che sono in voi, forse anch'io incontrandovi non creder� che mi siate
innanzi... Ma ci� deve essere molto comico! - aggiunse ella allegramente. - Che
occhi fate voi talvolta: io credo che "ma tante" lo noti.
- Ma in che consiste per voi la felicit� dell'amore, - domand� egli, - se non
conoscete quelle gioie che provo io?
- In che consiste? Ecco qui, - disse ella indicando se stessa, lui, la solitudine
che li circondava. - Che forse non � questa la felicit�, che forse ho vissuto mai
cos�? Prima non sarei rimasta qui sola nemmeno un quarto d'ora, senza un libro,
senza musica, tra questi alberi. Parlare con un uomo, ad eccezione di Andr�j
Ivanytch, mi annoiava: pensavo sempre come restar sola... E adesso... � allegro
anche tacere in due! - Ella gir� gli occhi intorno sugli alberi, sull'erba, poi li
ferm� su di lui, sorrise e gli porse la mano.
- Non prover� forse dolore quando ve ne andrete? - aggiunse ella. - Non mi
affretter� forse ad andare a letto per addormentarmi e accorciare cos� la notte
noiosa? Non mander� forse da voi domattina? Che forse...
Ad ogni �forse� il viso di Oblomov si illuminava, lo sguardo si riempiva di raggi.
- S�, s�, - ripet� egli, - anch'io aspetto il mattino, e la notte mi pesa, e domani
mander� da voi non per affari, ma per pronunciare ancora una volta il vostro nome e
sentir come suona, e ascoltare qualche particolare intorno a voi, invidiare chi vi
avr� visto prima di me... Noi pensiamo, aspettiamo, viviamo e speriamo egualmente.
Perdonate, Ol'ga, i miei dubbi: io sono convinto che voi mi amate come non avete
amato n� il babbo, n� la zia, n�...
- ...un cagnolino, - disse ella e rise. - Credetemi, - concluse ella, - com'io vi
credo, e non dubitate, non agitate con dubbi inconsistenti questa felicit�, se no
essa vola via. Quando io considero una cosa come mia, bisogna che me la strappino,
perch� io la restituisca. Io lo so, non importa che sia giovane, ma... Sapete, -
disse ella con convinzione nella voce, - in questo mese, da che vi conosco, ho
pensato e provato tanto, come se avessi letto e riletto un grosso libro... Non
dubitate...
- Non posso non dubitare, - l'interruppe egli, - non me lo chiedete. Adesso,
accanto a voi, son sicuro di tutto: il vostro sguardo, la vostra voce, tutto mi
parla... Voi mi guardate come se parlaste: non ho bisogno di parole, io so leggere
nei vostri sguardi. Ma quando voi non ci siete, comincia un tormentoso gioco di
dubbi, di domande, ed ho bisogno di correre di nuovo a voi, di guardarvi di nuovo,
perch� altrimenti non credo. Che cos'� questo?
- Ma io vi credo: perch�? - domand� ella.
- Come potreste non credermi! Davanti a voi vi � un pazzo, contagiato dalla
passione! Nei miei occhi voi vi vedete, penso, come in uno specchio. Inoltre voi
avete vent'anni; guardate voi stessa: pu� un uomo, incontrandovi, non pagarvi il
tributo della sua ammirazione... sia pure con uno sguardo? A conoscervi, udirvi,
guardarvi a lungo, amarvi, c'� da diventar pazzi! E voi siete cos� uguale,
tranquilla; e se passa un giorno, due senza che io abbia sentito da voi �io vi
amo�, comincia un'agitazione qui... - Egli indic� il cuore.
- Vi amo, vi amo, vi amo, eccovi una provvista per tre giorni! - disse ella
alzandosi dalla panchina.
- Voi scherzate sempre, ed io mi sento in un tal modo! - sospir� egli, andando con
lei gi� per la collina.
Cos� rison� questo stesso motivo fra loro nelle sue diverse variazioni. Incontri,
conversazioni: sempre la stessa canzone, le stesse note, la stessa luce, che ardeva
luminosa, e solo si spezzava in raggi rosei, verdi, gialli e tremava nell'atmosfera
circostante. Ogni giorno, ogni ora portavano nuovi suoni e raggi, ma la luce era
sempre la stessa, il motivo sempre quello.
E l'uno e l'altra ascoltavano questi suoni, e li afferravano e si affrettavano a
cantarsi l'un l'altro quel che avevano sentito, senza sospettare che l'indomani
altri suoni avrebbero risonato, altri raggi brillato e dimenticando l'indomani il
canto del giorno prima. Ella dava alle effusioni del suo cuore quei colori di cui
ardeva la sua immaginazione in quel momento e credeva che essi rispondessero alla
natura e si affrettava, in una civetteria innocente e incosciente, ad apparire
magnificamente adorna agli occhi del suo amico. Egli credeva ancora di pi� in quei
magici suoni, in quella luce incantevole e si affrettava ad apparirle ornato di
tutta la sua passione, a mostrarle tutto lo splendore e la forza del fuoco che gli
consumava l'anima.
Essi non mentivano n� a se stessi, n� l'uno all'altro; esprimevano solo quel che
diceva il cuore, ma la voce di questo passava attraverso l'immaginazione.
In fondo, a Oblomov non importava che Ol'ga apparisse come Cordelia e restasse
fedele a questa immagine, o che andasse per una nuova via e si trasformasse in
un'altra visione, purch� gli apparisse in quei colori e quelle luci in cui viveva
nel suo cuore, purch� egli si sentisse felice.
E Ol'ga non si domandava se il suo appassionato amico sarebbe andato a raccogliere
il suo guanto ove ella lo avesse gettato nelle fauci di un leone, se si sarebbe
gettato per lei in un abisso, purch� ella vedesse in lui i sintomi della passione,
purch� egli restasse fedele al suo ideale di uomo, per di pi� di uomo svegliatosi
alla vita per opera di lei, purch� i raggi del suo sguardo e del suo sorriso
accendessero in lui il fuoco dell'ardire ed egli non cessasse di vedere in lei lo
scopo della vita.
E perci� nella immagine di Cordelia, nel fuoco della passione di Oblomov, si
rifletteva solo un momento, solo un soffio passeggero dell'amore, solo il suo
mattino, solo un ricamo capriccioso di esso. L'indomani ne sarebbe gi� brillato un
altro... forse egualmente bello, ma tuttavia un altro...

10.
Oblomov si trovava nello stato di un uomo che ha accompagnato or ora con gli occhi
il tramonto del sole in una giornata d'estate e gode delle tracce di fuoco lasciate
da quello e non stacca lo sguardo dal chiarore, non si volta indietro, l� di dove
viene la notte, e pensa solo al ritorno del calore e della luce l'indomani.
Egli stava sdraiato sulla schiena e godeva delle ultime tracce dell'incontro del
giorno precedente. �Vi amo, vi amo, vi amo�, risonava ancora ai suoi orecchi pi�
bello di ogni canto di Ol'ga; si posavano ancora su di lui gli ultimi raggi del
profondo sguardo di lei. Egli cercava di indagare il senso, di determinare il grado
dell'amore di lei e cominciava gi� ad abbandonarsi al sonno, quando i a un
tratto...
L'indomani Oblomov si alz� pallido e cupo, con sul volto i segni d'una notte
insonne; la fronte era tutta rugosa, negli occhi non c'era alcun fuoco, alcun
desiderio. La superbia, l'allegro sguardo ardito, la cosciente, misurata rapidit�
di movimenti di un uomo occupato, tutto era scomparso.
Bevette fiaccamente il t�, non tocc� nemmeno un libro, non si sedette al tavolino,
fum� pensieroso un sigaro e sedette sul divano. Prima si sarebbe sdraiato, ma ora
ne aveva perduto l'abitudine e nemmeno il cuscino gli faceva gola; tuttavia si
appoggi� col gomito, sintomo delle precedenti inclinazioni. Era cupo, sospirava di
tratto in tratto, scrollava le spalle e scuoteva con compunta tristezza la testa.
Qualche cosa fortemente lavorava in lui, ma non era l'amore. L'immagine di Ol'ga �
davanti a lui, ma sempre avvolta nella nebbia, senza raggi luminosi, come estranea;
egli la guarda con uno sguardo di malato e sospira.
�Bisogna vivere come ordina Dio e non come si vuole; � una norma saggia, ma...�
E si sprofond� nei suoi pensieri.
�S�, non si pu� vivere come si vuole, � chiaro, - cominci� a parlar dentro di lui
una voce cupa, arrogante, - si cade in un caos di contraddizioni, che nessuna mente
umana, per quanto ardita e profonda, riesce a districare! Un giorno si desidera, il
giorno dopo si raggiunge quel che si � desiderato appassionatamente, l'indomani
ancora si arrossisce di aver desiderato, poi si maledice la vita perch� il
desiderio si � realizzato; ecco quel che deriva dal marciare indipendenti e arditi
nella vita, ecco le conseguenze del volere arbitrario. Bisogna andare avanti a
tentoni, chiudere gli occhi a una. quantit� di cose e non vaneggiare per la
felicit�, non osar mormorare se essa fugge: ecco la vita! Chi ha inventato che la
vita � felicit�, godimento? Pazzi! - La vita � vita, obbligo, - dice Ol'ga,
-dovere, e il dovere � pesante. Adempiamo dunque il dovere...�
Sospir�.
�Non ci vedremo pi�, io ed Ol'ga... Dio mio! Tu mi hai aperti gli occhi e indicato
il mio dovere, - disse egli, guardando il ciclo, - ma dove prender la forza?
Separarmi da lei! Adesso � ancora possibile, sebbene con dolore; in compenso pi�
tardi non maledir� me stesso di non essermi staccato. Adesso verr� qualcuno mandato
da lei, ella voleva infatti mandare... Lei non si aspetta ci�...�
Qual era la causa di questi pensieri? Da quale vento era stato a un tratto
investito Oblomov? Quali nuvole aveva portato questo vento? Perch� si sottometteva
egli a un cos� doloroso giogo? Ieri egli guardava ancora nell'anima di Ol'ga e vi
vedeva un mondo luminoso e un luminoso avvenire, vi leggeva oroscopi per s� e per
lei. Che cosa era accaduto? Probabilmente aveva cenato o era stato sdraiato sulla
schiena e lo stato d'animo poetico aveva ceduto il posto a degli orrori. Spesso
avviene di addormentarsi d'estate in una sera tranquilla, senza nuvole, piena di
stelle luccicanti, e di pensare come sar� bella l'indomani la campagna alle prime
luci del mattino! Come sar� allegro sprofondarsi nel bosco e ripararsi dal
calore!... E all'improvviso ci si sveglia al rumore della pioggia e si vedono grige
nuvole tristi: freddo, umido...
Oblomov la sera prima, come al solito, aveva ascoltato il battito del proprio
cuore, poi l'aveva palpato con le mani per sentire se ne fosse aumentato il
gonfiore, e finalmente s'era sprofondato nell'analisi della propria felicit�, e a
un tratto aveva incontrata una goccia d'amarezza e s'era avvelenato.
L'avvelenamento ag� con forza e rapidamente. Egli ripass� nella mente tutta la sua
vita: per la centesima volta il pentimento e il tard� rimpianto per il passato gli
si ridestarono nel cuore. Pens� che cosa sarebbe stato ora se fosse andato avanti
arditamente, come sarebbe stata pi� ricca e pi� piena la sua vita se fosse stato
attivo, e si domand� che cosa era egli adesso e come e perch� poteva amarlo
Ol'ga...
Non era un errore? quest'idea balen� nella sua mente e il baleno cadde nel cuore e
lo fer�. Sospir� profondamente. �Un errore! s�, ecco!� e questo pensiero gli
ronzava senza tregua nel capo.
�Vi amo, vi amo, vi amo�, di nuovo queste parole gli risonarono nella memoria e il
cuore cominci� a riscaldargli, poi a un tratto si raffredd� di nuovo. Anche questo
triplice �amo� di Ol'ga che cos'era? Un inganno dei suoi occhi, l'astuto bisbiglio
del cuore ancora ozioso; non amore, ma solo presentimento dell'amore!
Questa voce avrebbe risonato una volta, e cos� potente, con un tale accordo da far
tremare tutto il mondo. L'avrebbero sentita e la zia e il barone, e l'eco se ne
sarebbe propagata lontano! Quel sentimento non poteva scorrere cos�
tranquillamente, come un ruscelletto che si nasconde nell'erba con un mormorio
appena percettibile.
Ella amava adesso a quel modo che ricamava: pian piano, pigramente vien fuori il
disegno, ancor pi� pigramente ella lo svolge, lo ammira, poi lo ripone e dimentica.
S�, questa era solo la preparazione all'amore, un esperimento, ed egli un oggetto
che le era capitato sottomano per l'esperimento, per caso... Il caso li aveva
avvicinati. Ella da sola non lo avrebbe notato: Stolz aveva richiamato la sua
attenzione su di lui, aveva contagiato il giovane cuore sensibile con la sua
simpatia, in lei era nata della compassione per la sua situazione e la vanitosa
ambizione di scuotere dal sonno la sua anima pigra, e poi abbandonarla.
�Era tutto! - diss'egli terrorizzato, alzandosi dal letto e accendendo la lampada
con la mano tremante. - Altro non c'� e non c'� stato�. Ella era pronta ad
accoglier l'amore, il suo cuore aspettava teso, per caso aveva incontrato lui e
commesso l'errore... Bastava che apparisse un altro, ed ella si sarebbe risvegliata
con spavento dall'errore! Come lo avrebbe guardato allora, come avrebbe distolto da
lui lo sguardo... Orrore! �Io rubo cosa altrui! Io sono un ladro! Che cosa faccio,
che cosa faccio? Come sono accecato, Dio mio!�
Si guard� nello specchio: era pallido, giallo, gli occhi erano torbidi. Si ricord�
di quei giovani felici che hanno uno sguardo umido, pensieroso, ma forte e
profondo, come lo sguardo di lei, con una tremante scintilla negli occhi, e la
certezza della vittoria nel sorriso, e l'andatura cos� ardita, e la voce cos�
sonora. Egli avrebbe aspettato fino a che uno di essi fosse apparso, ella si
sarebbe all'improvviso infiammata, lo avrebbe guardato, lui, Oblomov e... sarebbe
scoppiata in una risata!
Gett� di nuovo un'occhiata allo specchio. �Non si amano uomini come me!� disse. Poi
si sdrai� e nascose il viso nel cuscino. �Addio, Ol'ga, sii felice�, concluse fra
s�.
- Zach�r! - chiam� la mattina seguente. - Se viene qualcuno da parte degli
Il'inskij a domandar di me, di' che non sono in casa, che sono andato in citt�.
- Benissimo.
�S�... no, � meglio scriverle, - disse fra s�, - se no le sembrer� strano ch'io sia
scomparso all'improvviso. E' necessaria una spiegazione�. Sedette al tavolino e
cominci� a scrivere presto, con ardore, con una fretta febbrile, non come in
principio di maggio aveva scritto al padrone di casa. Nemmeno una volta gli capit�
di scrivere troppo vicino due "che" o "il quale".
�Vi sembrer� strano, Ol'ga Serg�evna, - scrisse egli, - di veder invece di me
questa lettera, mentre noi c'incontriamo cos� spesso. Leggetela fino in fondo e
vedrete che non potevo agire diversamente. Bisognava cominciare con questa lettera:
ci saremmo allora risparmiati tutti e due molti rimorsi di coscienza; ma anche
adesso non � troppo tardi. Noi ci siamo innamorati cos� all'improvviso e
rapidamente uno dell'altro come se ad un tratto ci fossimo tutti e due ammalati, e
questo mi ha impedito di tornare in me prima. Inoltre, guardandovi e ascoltandovi
per ore intere, chi si sarebbe assunto il grave compito di distruggere il fascino?
Come raccogliere ad ogni momento la forza di volont� e la prudenza necessaria per
fermarsi ad ogni pend�o e non lasciarsi trascinare? Io ho pensato ogni giorno: "Non
mi lascio trascinar oltre, mi fermo, dipende da me", e mi sono invece abbandonato,
e adesso � cominciata la lotta nella quale ho bisogno del vostro aiuto. Solo oggi,
questa notte, ho compreso come i miei piedi sono rapidamente scivolati; solo ieri
ho potuto guardare pi� profondamente nell'abisso nel quale sto precipitando ed ho
deciso di fermarmi. Io parlo solo di me, non per egoismo, ma perch�, quando io sar�
nel fondo di questo abisso, voi volerete come un puro angelo in alto ed io non so
se vorrete neppure guardare in fondo ad esso. Ascoltate, io vi dico semplicemente e
francamente, senza ambagi: voi non mi amate e non mi potete amare. Prestate ascolto
alla mia esperienza e credetemi incondizionatamente. Il mio cuore ha gi� cominciato
a battere da tempo; ammettiamo che abbia battuto falsamente e irregolarmente, ma
ci� stesso mi ha insegnato a distinguere il suo battito regolare da quello
accidentale. Voi non potete, ma io posso e debbo sapere dov'� la verit� e dove
l'errore, ed io ho l'obbligo di ammonire chi ancora non ha avuto il tempo di
saperlo. E perci� vi ammonisco: voi siete in errore, volgetevi indietro! Fino a che
tra noi l'amore � apparso come una visione leggera e sorridente, fino a che ha
avuto la voce della "Casta diva" ed il profumo di un ramoscello di lill�, e si �
manifestato nell'inespressa simpatia e nel timido sguardo, io l'ho creduto un gioco
dell'immaginazione, un sussurro della vanit�. Ma il gioco � passato; io mi sono
ammalato d'amore e sento in me i sintomi della passione; voi siete diventata
pensierosa, grave; mi dedicateli vostro tempo libero; i vostri nervi si sono tesi;
avete cominciato ad agitarvi, e allora, cio� adesso, io mi sono spaventato e ho
sentito che mi incombe il dovere di fermarvi e di dirvi che cosa � questo.
�Io vi ho detto che vi amo e voi mi avete risposto la stessa cosa: non sentite
quale dissonanza? La sentirete pi� tardi quando sar� in fondo all'abisso.
Guardatemi, esaminate la mia esistenza: vi � mai possibile amarmi? mi amate voi?
"Vi amo, vi amo, vi amo! " mi avete detto ieri. No, no, no! vi rispondo io
fermamente. Voi non mi amate, ma tuttavia non mentite, mi affretto ad aggiungere,
non mi ingannate, non potete dire s� quando in voi risuona "no". Io voglio solo
dimostrarvi che il vostro "amo" attuale non � vero amore, ma futuro amore; �
solamente una incosciente necessit� di amare, che, per mancanza di vero nutrimento,
per mancanza di fuoco, arde di una luce falsa, che non riscalda, si manifesta in
alcune donne in tenerezza per un bambino, per un'altra donna, magari semplicemente
in lacrime, in attacchi isterici. Fin da principio io avrei dovuto dirvi
severamente: "vi siete sbagliata, davanti a voi non � colui che aspettavate, del
quale sognavate. Aspettate, egli verr�, e allora voi vi sveglierete; vi
rammaricherete e vergognerete del vostro errore, e questo rammarico e questa
vergogna a me faranno male"; ecco che cosa avrei dovuto dirvi, se per natura avessi
una mente pi� perspicace, un'anima pi� ardita, se, infine, fossi pi� sincero... Io
l'ho detto, ma vi ricordate come? col timore che voi lo credeste e cos� succedesse;
io vi ho detto in precedenza tutto ci� che poi possono dire gli altri, per
prepararvi a non udire e a non credere, ma mi sono affrettato a cercarvi e ho
pensato " fino a che l'altro verr�, io sar� felice ". Eccola la logica dell'amore e
delle passioni!
�Adesso io penso gi� diversamente. Che cosa sar� quando io mi sar� abituato a voi,
quando vedervi non sar� pi� un lusso, ma una necessit� della mia vita, quando
l'amore mi si avviticchier� al cuore? (non per nulla io vi sento un indurimento).
Come strapparsi allora ad esso? Come superare questo dolore? Io star� male, allora.
Neppure adesso riesco a pensarci senza paura. Se voi foste pi� esperta, pi� innanzi
negli anni, io benedirei la mia felicit� e vi tenderei la mano per sempre. Ma
cos�...
�Ma perch� vi scrivo? Perch� non sono venuto io stesso a dirvi che il desiderio di
vedervi cresce ogni giorno e che pur debbo non vedervi? Pensate voi stessa se mi
sarebbe bastato il coraggio di dirvi questo guardandovi in viso! Qualche volta
vorrei dirvi qualcosa di simile e dico tutt'alro. Forse il vostro viso esprimerebbe
dolore (se � vero che non vi annoiate con me), oppure voi, non comprendendo le mie
buone intenzioni, vi offendereste: io non sopporterei n� l'una cosa n� l'altra,
direi di nuovo qualche cosa di diverso e le buone intenzioni si dileguerebbero e si
finirebbe con la promessa di vedersi il giorno dopo. Adesso senza di voi la
situazione � diversa; i vostri occhi miti, il vostro visino buono e leggiadro non
sono davanti a me; la carta sopporta e tace, ed io scrivo tranquillo (mento): "noi
non ci rivedremo pi�" (non mento).
�Un altro aggiungerebbe: "scrivo e m'inondo di lacrime", ma io non poso davanti a
voi e non mi drappeggio nel mio dolore, perch� non voglio rafforzare il dolore,
aumentare la piet� e la tristezza. Tutto questo drappeggiamento nasconde di solito
l'intenzione di affondar sempre pi� le radici nel terreno del sentimento, mentre io
; ne voglio distruggere e in voi e in me anche il seme. E poi il piangere si addice
solo o ai seduttori che vogliono conquistare con le frasi l'incauta vanit� delle
donne, o ai sognatori sentimentali. Io dico ci� mentre mi separo da voi come ci si
separa da un buon amico che si accinge ad un lungo viaggio. Fra tre settimane, fra
un mese, sarebbe troppo tardi, troppo difficile. L'amore fa incredibili progressi,
� la cancrena dell'anima. Io sono gi� adesso irriconoscibile, non conto pi� secondo
le ore e i giorni, secondo l'alba e il tramonto, ma secondo che vi ho vista o non
vi ho vista, secondo che vi vedr� o non vi vedr�, secondo che verrete o non
verrete... Tutto ci� va bene per la giovent� che sopporta facilmente agitazioni
piacevoli e spiacevoli, ma per me ci vuole la tranquillit�, sia pur essa noiosa e
sonnolenta, che per� io conosco bene: le tempeste non sono per me.
�Molti si meraviglierebbero del mio modo di procedere: perch� scappa? direbbero
essi; altri riderebbero di me: io mi rassegno anche a questo. Se mi decido a non
vedervi pi�, vuoi dire che son deciso a tutto. Nella mia profonda tristezza mi
conforta un poco il pensiero che questo breve episodio della nostra vita mi lascer�
un ricordo cos� puro e profumato che baster� esso solo ad impedire il ritorno del
passato sonno spirituale, e a voi servir�, senza danneggiarvi, come guida per la
vostra vita futura, normale. Addio, angelo, volate via presto, come un uccellino
spaventato vola via da un ramo dove si � posato per isbaglio, fuggite via con la
stessa sua leggerezza ed allegria, con lo stesso ardire, dal ramoscello dove vi
siete posata per caso!�
Oblomov scrisse ispirato; la penna volava sulle pagine. Gli occhi gli luccicavano,
le guance gli ardevano. La lettera risult� lunga come tutte le lettere d'amore: gli
amanti sono terribilmente loquaci.
�Strano! Adesso non sento pi� quel fastidio e quel peso! - pensava egli. - Sono
quasi felice... Perch�? Forse deriva dal fatto che ho messo nella lettera il peso
della mia anima�.
Rilesse la lettera, la pieg� e sigill�.
- Zach�r! - disse. - Quando verr� il servo degli Il'inskij, dagli questa lettera
per la signorina.
- Benissimo, - disse Zach�r.
Oblomov si sentiva davvero quasi allegro. Stese le gambe sul divano e domand�
perfino se non c'era qualcosa per far colazione. Mangi� due uova e fum� un sigaro.
Il suo cuore e la sua testa lavoravano: egli viveva. Si immaginava come Ol'ga
avrebbe ricevuta la lettera, come si sarebbe meravigliata e che viso avrebbe fatto
leggendola. Che sarebbe successo dopo?... Egli si godeva la prospettiva di quella
giornata, la novit� della situazione... Con stringimento di cuore prestava ascolto
ad ogni sbatter di porta: non era giunto il servitore? non leggeva gi� Ol'ga la
lettera?... No, nell'anticamera era silenzio.
�Che significa ci�? - pens� inquieto, - non � venuto nessuno; come mai ?�
Una voce misteriosa gli sussurrava: �Perch� ti agiti? Non hai forse bisogno che non
venga nessuno, se devi rompere ogni rapporto?� Ma egli soffocava questa voce.
Dopo una mezz'ora gli riusc� di chiamare Zach�r che se ne stava in istrada col
cocchiere.
- Non c'� stato nessuno? - domand�. - Non son venuti?
- S�, son venuti, - ripet� Zach�r. - E tu?
- Ho detto che non ci siete, che siete andato in citt�. Oblomov gli spalanc� gli
occhi in faccia.
- Perch� hai detto questo? - domand� egli. - Che cosa ti ho ordinato di fare quando
sarebbe venuto il servitore?
- Ma non � venuto il servitore, � venuta la cameriera, - ribatt� Zach�r con
imperturbabile calma.
- E la lettera l'hai data?
- Niente affatto: voi mi avete ordinato prima di dire che non siete in casa, e poi
di dare la lettera. Appena verr� il servitore, gliela dar�.
- No, no, tu... semplicemente mi uccidi. Dov'� la lettera? Da' qua! - disse
Oblomov.
Zach�r port� la lettera, gi� abbastanza insudiciata.
- Lavati le mani e sta' attento! - disse Oblomov irato, indicando le macchie.
- Io ho le mani pulite, - ribatt� Zach�r, guardando da parte.
- Anis'ja, Anis'ja! - grid� Oblomov.
Anis'ja si sporse a met� della porta dell'anticamera.
- Guarda cosa fa Zach�r, - si lament� Oblomov. - Prendi tu questa lettera e d�lla
al servitore o alla cameriera, a chiunque venga da parte degli Il'inskij perch� la
porti alla signorina, hai capito?
- Ho capito, "b�tjushka". Favorite darmi la lettera, la consegner�.
Ma non appena fu in anticamera, Zach�r le strapp� la lettera di mano.
- Lascia, lascia, - grid� egli, - occupati dei tuoi affari di donna!
Dopo poco venne di nuovo la cameriera. Zach�r and� ad aprire la porta. Anis'ja si
avvicin� alla cameriera, ma Zach�r le lanci� un'occhiata furibonda.
- Cosa vuoi? - domand� rauco.
- Sono venuta a sentire, come tu...
- Via, via! - minacci� egli spingendola col gomito.
Ella sorrise e and� via, ma dalla stanza accanto guard� se Zach�r faceva quel che
aveva ordinato il padrone. Il'j� Il'�tch, sentito il rumore venne egli stesso a
vedere di che si trattava.
- Che c'�, Katja? - domand� egli.
- La signorina m'ha mandata a domandare dove siete andato. E voi non siete neanche
partito, siete in casa! Corro a dirglielo, - disse ella e voleva scappar via.
- Io sono in casa. E' questo qui che dice sempre bugie, - disse Oblomov. - Da' alla
signorina questa lettera!
- Va bene.
- Dov'� la signorina adesso?
- La signorina � andata in giro per il paese, e mi ha ordinato di dirvi che, se
avete finito il libro, vi aspetta alle due in giardino.
Ella and� via.
�No, non vado... perch� irritare il sentimento quando tutto deve finire?...� pens�
Oblomov, mettendosi in via per il paese.
Egli vide da lontano come Ol'ga saliva la collina, come Katja la raggiungeva e le
dava la lettera; vide come Ol'ga si fermava per un istante, guardava la lettera,
pensava, faceva un cenno a Katja ed entrava nel viale del parco.
Oblomov gir� la collina, entr� nello stesso viale dall'altra parte e, arrivato a
met�, sedette sull'erba, fra i cespugli, ad aspettare.
�Ella passer� di qui, - pens�, - io guarder� solo, senz'essere notato, che cosa
far� e mi allontaner� per sempre�.
Attese col cuore angosciato i passi di lei. Niente, silenzio. La natura viveva la
sua vita attiva; intorno ribolliva un lavoro minuto invisibile, e tutto sembrava
immerso in una pace solenne.
Nell'erba tutto si moveva, strisciava, si agitava. Ecco le formiche corrono da
tutte le parti cos� affaccendate, si urtano, si sorpassano, si affrettano; sembra,
a guardar dall'alto, un mercato di uomini: gli stessi aggruppamene, la stessa
ressa, lo stesso correre di popolo avanti e indietro.
Ecco, un calabrone ronza intorno ad un fiore e si ficca nel suo calice; ecco, uno
sciame di mosche circonda una goccia che � sgorgata dalla fessura di un tiglio;
ecco, un uccello nel folto da un pezzo ripete sempre lo stesso grido, forse chiama
un compagno.
Ecco, due farfalle, rigirandosi una intorno all'altra nell'aria, come in un valzer,
volano via lungo i tronchi degli alberi. L'erba ha un profumo cos� forte; e un
ininterrotto strid�o sale da essa...
�Che confusione! - pens� Oblomov, guardando tutto quel movimento e ascoltando il
sottile frastuono della natura: - e di fuori tutto sembra tranquillo, calmo!...�
E i passi non si sentivano ancora. Finalmente, ecco... �Oh! - sospir� aprendo i
rami leggermente. - Lei, lei... che cos'�? piange! Dio mio!�
Ol'ga camminava adagio e si asciugava le lacrime col fazzoletto; ma le aveva appena
asciugate che subito ne sgorgavano delle altre. Ella se ne vergognava, le
inghiottiva, voleva nascondersi perfino agli alberi e non poteva. Oblomov non aveva
mai visto le lacrime di Ol'ga. Adesso non se le aspettava ed esse lo bruciarono,
tuttavia non tanto da scottarlo, ma da dargli una specie di tepore. Egli le si
avvicin� rapidamente.
- Ol'ga, Ol'ga! - disse teneramente, seguendola.
Ella rabbrivid�, si guard� intorno, gli gett� un'occhiata sorpresa, poi si volt� ed
and� oltre. Egli le si mise accanto.
- Voi piangete!
Le lacrime sgorgarono dagli occhi di lei ancora pi� forte. Ella non riusciva a
trattenerle e si premeva il fazzoletto al viso; finalmente scoppi� in singhiozzi e
sedette sulla prima panchina.
- Che cosa ho fatto! - sussurr� egli spaventato, e le prese la mano cercando di
staccargliela dal viso.
- Lasciatemi! - disse ella. - Andate via! Perch� siete qui? Io so che non debbo
piangere. Perch� piangere? Voi avete ragione; s�, tutto pu� accadere.
- Che debbo fare per non vedere queste lacrime? - domand� egli, in ginocchio
davanti a lei. - Dite, ordinate: son pronto a tutto...
- Voi le avete fatte venire, le lacrime, e non � in vostro potere di fermarle...
Voi non siete cos� forte! Lasciatemi! - aggiunse, sventolandosi col fazzoletto.
Egli la guard� e nel pensiero si copr� di maledizioni.
- Maledetta lettera! - disse pieno di pentimento.
Ella apr� il cestino da lavoro, ne cav� la lettera e gliela diede.
- Prendete, - disse, - e portatela via, perch� io non continui a piangere,
vedendola.
Egli in silenzio mise la lettera in tasca e sedette accanto a lei, col capo chino.
- Almeno renderete giustizia alle mie intenzioni, Ol'ga? - disse egli piano. - E'
una prova di quanto mi stia a cuore la vostra felicit�.
- S�, a cuore! - sospir� ella. - No, Il'j� Il'�tch. Voi forse avete avuto invidia
della mia serena felicit� e vi siete affrettato a turbarla.
- Turbarla! Ma avete voi letto la mia lettera? Io ve la ripeto...
- Non l'ho letta fino alla fine, perch� i miei occhi si sono riempiti di lacrime;
io sono ancora cos� sciocca! Ma il resto l'ho indovinato: non la ripetete, non
voglio continuare a piangere.
Le lacrime ricominciarono a scorrere.
- Ma non mi stacco io forse da voi, - cominci� egli, - perch� vedo la vostra
felicit� nel futuro e sacrifico me stesso?... Faccio forse ci� tranquillamente? Non
piange tutto in me? Perch� dunque lo faccio?
- Perch�? - ripet� ella, smettendo a un tratto di piangere e volgendosi a lui. -
Perch� dunque vi siete nascosto fra i cespugli per vedere se io avrei pianto e come
avrei pianto? ecco perch�! Se voi volevate sinceramente quel che avete scritto
nella lettera, se voi eravate convinto che fosse necessario separarsi, dovevate
partire per l'estero senza avermi riveduta.
- Che idea!... - disse egli con tono di rimprovero e non fin�. Questa supposizione
lo sorprese perch� a un tratto vide chiaramente che Ol'ga aveva ragione.
- S�, - conferm� ella, - ieri voi avevate bisogno del mio �vi amo�, oggi avete
avuto bisogno delle mie lacrime, e domani forse vorrete vedere come io muoio.
- Ol'ga, perch� offendermi cos�? Come non credete che io darei adesso met� della
mia vita per sentirvi ridere e non veder le vostre lacrime...
- S�, adesso, forse, quando avete gi� visto come piange per voi una donna... No, -
aggiunse ella, - voi non avete cuore. Voi non volevate le mie lacrime, dite voi, ma
allora non dovevate fare come se le voleste...
- Ma che forse io sapevo?... - esclam� egli, portandosi tutt'e due le mani al
petto.
- Il cuore, quando ama, ha la sua intelligenza, - ribatt� ella, - esso sa quel che
vuole e sa in precedenza: quel che sar�. Io ieri non avrei potuto venire qui: ci
sono stati da noi all'improvviso degli ospiti, ma io sapevo che voi vi sareste
tormentato, aspettandomi, forse avreste dormito male e sono venuta perch� non
volevo che voi soffriste... E voi... voi siete contento di vedermi piangere...
Guardate, guardate, godete!...
Ed ella scoppi� di nuovo in pianto.
- Io stesso ho dormito male, Ol'ga, mi sono tormentato tutta la notte...
- E v'� spiaciuto che io abbia dormito bene, che io non mi tormenti, non � vero? -
l'interruppe ella. - Se io non avessi pianto adesso, dormireste male anche oggi.
- Ma che cosa debbo fare? domandar perdono? - disse egli con devota tenerezza.
- Domandano perdono i bambini, oppure chi pesta un piede a un altro nella folla; le
scuse qui non servono a nulla, - disse ella, facendosi di nuovo vento col
fazzoletto.
- Ma se fosse vero, Ol'ga? se la mia idea fosse giusta e il vostro amore un errore?
Se voi amerete un altro e, guardando me allora, arrossirete...
- E allora? - domand� ella guardandolo con uno sguardo cos� penetrante,
ironicamente profondo che egli si confuse.
�Ella vuoi farmi dire qualche cosa! - pens� egli. - In guardia, Il'j� Il'�tch!�
- Come �e allora�! - ripet� macchinalmente, guardandola inquieto senza indovinare
quale idea si andasse formando nella testa di lei, come giustificasse ella il suo
�e allora� quando, evidentemente, non era possibile giustificare le conseguenze di
quell'amore, se era un errore.
Ella lo guardava cos� consapevolmente, con tanta sicurezza, con un cos� evidente
pieno dominio del proprio pensiero.
- Voi avete paura, - ribatt� ella pungente, - di cadere �in fondo a un abisso�; vi
spaventa lo smacco futuro, se io cesser� di amarvi! �Star� male�, scrivete voi...
Egli non riusciva ancora a capir bene.
- Ma io star� bene se mi innamorer� di un altro. Vuoi dire che sar� felice! E voi
dite che �prevedete la mia felicit� e siete pronto a sacrificar tutto per me,
perfino la vita�?
Egli la guard� fisso battendo solo a tratti e lentamente gli occhi. �Ecco dove ha
portato la logica! - bisbigli�. - Devo confessare che non me lo aspettavo...� Ed
ella lo guardava cos� sarcasticamente da capo a piedi.
- E la felicit�, per la quale diventate pazzo? - continu� ella. - E queste
mattinate, queste serate, questo parco, e il mio �vi amo�, tutto ci� non vale
nulla, non vale un sacrificio, un dolore?
�Ah, se potessi sprofondarmi sottoterra!� pens� egli, tormentandosi interiormente
sempre pi�, quanto pi� chiaro gli appariva il pensiero di Ol'ga.
- E se, - cominci� ella a domandare con calore, - se voi vi stancherete di questo
amore, come vi siete stancato dei libri, dell'ufficio, della vita mondana? se, col
tempo, senza rivali, senza un altro amore, vi addormenterete a un tratto accanto a
me come sul divano in casa vostra e la mia voce non riuscir� a svegliarvi? Se il
gonfiore al cuore passer� e non dico un'altra donna, ma la vecchia veste da camera
vi sar� pi� cara?...
- Ol'ga, queste sono assurdit�! - l'interruppe egli irritato, allontanandosi da
lei.
- Perch� assurdit�? Voi dite che io �mi sbaglio, che mi innamorer� di un altro� ed
io penso talvolta semplicemente che cesserete d'amarmi. E allora? Come mi assolver�
di quel che faccio adesso? Se non di fronte agli altri e al mondo, almeno di fronte
a me stessa?... Anch'io a volte non dormo per questo, ma non vi tormenter� con
ipotesi sull'avvenire, perch� credo nel meglio. In me la felicit� � pi� forte del
timore. Io apprezzo i vostri occhi, quando luccicano per causa mia, lo sforzo che
fate quando vi arrampicate sulle colline per cercarmi, e quando dimenticate d'esser
pigro e, nonostante il caldo, correte in citt� per prender per me un libro e dei
fiori, e mi accorgo che vi ho fatto sorridere ed apprezzare la vita... Io aspetto,
cerco una cosa sola, la felicit�, e credo di averla trovata. Se mi sbaglio, se �
vero che pianger� sul mio errore, per lo meno sento qui (ella si port� la mano al
cuore) che non ho colpa; significa che il destino non l'ha voluto, Dio non l'ha
concesso. Ma io non temo le lacrime future; non pianger� invano; con le lacrime mi
sar� comprata qualche cosa... Io mi sento cos� bene... mi sentivo!... - aggiunse
ella.
- Allora facciamo che sia bene di nuovo! - preg� Oblomov.
- Voi vedete solo buio davanti a voi; la felicit� per voi non ha valore... Questa �
ingratitudine, - continu� ella, - questo non � amore, �...
- Egoismo! - fin� Oblomov e non os� guardare Ol'ga, domandarle perdono.
- Andate, - disse ella, - dove volevate andare.
Egli la guard�. Gli occhi di lei erano asciutti. Ella guardava in basso e con
l'ombrello faceva dei segni sulla ghiaia.
- Sdraiatevi di nuovo sulla schiena, - aggiunse, - non vi sbaglierete, �non
precipiterete nell'abisso�.
- Io mi sono avvelenato ed ho avvelenato anche voi, invece d'essere semplicemente e
sinceramente felice... - mormor� egli con tono di pentimento.
- Bevete del "kvas", non avvelenatevi, - disse ella ironicamente.
- Ol'ga! Non � generoso! - disse egli. - Dopo che io stesso mi son punito con la
coscienza di...
- S�, a parole voi vi punite, vi gettate nell'abisso, date met� della vita, ma se
sopraggiunge un dubbio, una notte insonne, come diventate tenero con voi stesso,
accorto, come vi preoccupate, come vedete lontano nel futuro!...
�Quale verit�, e come � semplice!� pens� Oblomov, ma si vergogn� di dirlo ad alta
voce. Perch� non l'aveva capito da s�, ma aveva avuto bisogno della spiegazione di
una donna che appena cominciava a vivere? Come rapidamente ella aveva capito! Lei
che ancor di recente aveva l'aria di una bambina!
- Noi non abbiamo altro da dirci, - concluse ella, alzandosi. - Addio, Il'j�
Il'�tch, e state... tranquillo, dal momento che in ci� consiste la vostra felicit�.
- Ol'ga! No, in nome di Dio, no! Adesso che tutto � chiaro, non cacciatemi... -
disse egli prendendola per la mano.
- Che cosa volete da me? Voi dubitate che il mio amore per voi sia un errore; io
non posso calmare il vostro dubbio; forse � davvero un errore, non so...
Egli le lasci� la mano. Di nuovo gli pendeva una lama sul capo.
- Come non sapete? Che forse non sentite? - domand� egli, di nuovo col dubbio sul
volto. - Che forse sospettate?
- Io non sospetto nulla; io vi ho detto ieri che cosa sento, ma quel che sar� fra
un anno, non so. Che forse dopo una felicit� ce n'� una seconda, una terza? -
domand� ella guardandolo con gli occhi spalancati. - Dite, voi siete pi� esperto di
me.
Ma egli non voleva ormai pi� confermarla in questa idea e tacque, facendo
ondeggiare con una mano un alberello di acacia.
- No, si ama una volta sola! - ripet� egli, come uno scolaro che ha imparato la
frase a memoria.
- Vedete dunque: anch'io cos� credo, - aggiunse ella. - Se poi non � cos�, allora
io potr� anche cessare di amarvi, potr� addolorarmi dell'errore, e voi anche; forse
allora ci separeremo!... Amare due, tre volte... no. Non lo voglio credere!
Egli sospir�. Quel "forse" gli rodeva l'anima e perci� soprappensiero si mise a
seguirla. Ad ogni passo si sentiva meglio: l'"errore" da lui stesso inventato
durante la notte gli sembrava cos� lontano... �Non soltanto l'amore, ma tutta la
vita � cos�... - gli venne ad un tratto in testa, - e se si respinge ogni evento
come un errore, quando non sar� errore? Che mi succede? Come se fossi accecato...�
- Ol'ga, - disse egli, toccandola appena con due dita alla vita (ella si ferm�), -
voi siete pi� intelligente di me.
Ella scosse il capo.
- No, pi� semplice e pi� coraggiosa. Che cosa temete? Davvero pensate che si possa
cessar d'amare? - domand� con superba sicurezza.
- Adesso anch'io non ho paura! - disse egli ardito. - Con voi il destino non �
terribile!
- Queste parole io le ho lette poco tempo fa... mi pare in Sue, - ella ribatt�
all'improvviso ironicamente, solo che l� le dice una donna ad un uomo...
Ad Oblomov spunt� il rossore in viso.
- Ol'ga! Che torni di nuovo tutto come ieri, - preg� egli, - e io non avr� paura
degli "errori".
Ella taceva.
- S�? - domand� egli timidamente. Ella taceva.
- Ebbene, se non volete dirlo, datemi un segno qualunque... un ramoscello di
lill�...
- Il lill� non c'� pi�! - rispose ella. - Vedete cosa ne � rimasto? � tutto
appassito!
- Non c'� pi�, � tutto appassito! - ripet� egli, guardando il lill�. - Anche la
lettera non c'� pi�! - disse egli all'improvviso.
Ella scosse il capo negativamente. Egli la segu� e continu� a pensar fra s� alla
lettera, alla felicit� di ieri, al lill� appassito.
�Davvero, i lill� appassiscono! - pens�. - Perch� questa lettera? Perch� non ho
dormito tutta la notte e ho scritta questa lettera stamattina? Ecco, adesso l'anima
sembra di nuovo tranquilla... -(sbadigli�) - ho un sonno terribile. E se la lettera
non ci fosse stata, nulla sarebbe successo : ella non avrebbe pianto, tutto sarebbe
come ieri, staremmo seduti qui tranquilli, nel viale, ci guarderemmo, parleremmo
della felicit�. Ed oggi, e domani...� Sbadigli� a bocca aperta.
Pi� avanti gli venne a un tratto in mente che cosa sarebbe stato se la lettera
avesse raggiunto il suo scopo, se ella avesse condivisa la sua idea, si fosse
spaventata come lui degli errori e delle future tempeste, se avesse ascoltata la
sua cosiddetta esperienza e saggezza e avesse acconsentito a separarsi, a
dimenticarsi. Dio mio! salutarsi, anche in citt�, nel nuovo appartamento! Sarebbe
seguita una lunga notte, un noioso domani, un insopportabile posdomani e una serie
di giorni sempre pi� pallidi... Com'era ci� possibile? Ci� significava la morte!
Eppure sarebbe stato cos�. Si sarebbe ammalato. Egli non voleva la separazione, non
l'avrebbe sopportata, sarebbe venuto a scongiurarla. �Ma perch� ho scritto questa
lettera?� si domand�.
- Ol'ga Serg�evna!
- Che c'�?
- A tutte le mie confessioni io debbo aggiungerne ancora una...
- Quale?
- Che la lettera non era punto necessaria...
- Al contrario, necessarissima, - disse ella energicamente.
Ella si guard� intorno e rise, vedendo il viso ch'egli aveva fatto, e come il sonno
gli era a un tratto passato e gli occhi di lui s'erano sbarrati per la meraviglia.
- Necessarissima? - ripet� egli lentamente, fissandola meravigliato di dietro la
schiena.
Ma l� non c'erano che le due nappine del mantello. �Ma che significano queste
lacrime e questi rimproveri? Un'astuzia forse?� Ma Ol'ga non era astuta; egli lo
vedeva chiaramente. All'astuzia ricorrono solo le donne pi� o meno limitate. Esse,
in mancanza di una retta intelligenza, muovono le molle della piccola vita
quotidiana per mezzo dell'astuzia, intrecciano come un ricamo la loro politica
casalinga, non accorgendosi come si svolgano le linee principali della vita e da
che parte si dirigano e come si incrocino. L'astuzia � una moneta spicciola con cui
non si pu� comprar molto. Come con una moneta spicciola si possono vivere una, due
ore, con l'astuzia si pu� nascondere qualche cosa, ingannare, alterare la realt�,
ma essa non basta per abbracciar con lo sguardo il lontano orizzonte, per dar
principio e fine a qualche evento importante. L'astuzia � miope: vede bene solo
sotto il naso, ma non lontano e perci� spesso finisce col cadere essa stessa in
quella trappola che ha teso ad altri. Ol'ga era semplicemente saggia: come aveva
facilmente e chiaramente risolta la questione d'oggi, cos� ne avrebbe risolta
qualunque altra! Ella vedeva subito il senso reale di un avvenimento e l'affrontava
per la via diretta. L'astuzia � come un topo: corre intorno, si nasconde... il
carattere d'Ol'ga era del tutto diverso.
- Che c'�? Quale altra novit�?
- Perch� la lettera era necessaria? - domand� egli.
- Perch�? - ripet� ella e rapidamente si volse a lui, con un viso allegro,
soddisfatta di vedere che ad ogni passo lo spingeva sempre pi� in un vicolo chiuso.
- Perch�, - cominci� poi lentamente, - perch� non avete dormito la notte, avete
sempre scritto per me; anch'io sono un'egoista! Questo, in primo luogo...
- Ma perch� mi avete rimproverato or ora, se siete adesso d'accordo con me? -
l'interruppe Oblomov.
- Perch� vi siete inventato dei tormenti. Io non ne ho inventati, ma essi sono
venuti ed io godo che siano gi� passati, mentre voi li avete preparati e ne avete
goduto in precedenza. Voi siete cattivo! Perci� vi ho rimproverato. Poi... nella
vostra lettera giocano pensieri... sentimenti... voi avete vissuto questa notte e
questa mattina non come il solito, ma come vorremmo il vostro amico ed io... questo
in secondo luogo; infine, in terzo luogo...
Ella gli si avvicin� tanto ch'egli sent� il sangue affluirgli al cuore e al
cervello e cominci� a respirare pesantemente, agitato. Ella lo guardava dritto
negli occhi.
- In terzo luogo perch� in questa lettera, come in uno specchio, si vede la vostra
tenerezza, la vostra delicatezza, la vostra preoccupazione per me, il timore per la
mia felicit�, la vostra coscienza pura... tutto ci� che Andr�j Ivanytch mi ha
mostrato in voi e per cui vi amo e dimentico la vostra pigrizia e apatia... Voi vi
siete rivelato involontariamente: voi non siete egoista, Il'j� Il'�tch, voi non
avete scritto perch� ci si separasse, voi questo non lo volevate, ma perch�
temevate di ingannarmi... La vostra onest� ha parlato, altrimenti la vostra lettera
mi avrebbe offesa ed io non avrei pianto, per superbia! Vedete, io so perch� vi amo
e non ho paura di errori; io non mi sbaglio...
Mentre diceva ci� ella apparve a Oblomov in un vero splendore. I suoi occhi
brillavano nel trionfo dell'amore, nella coscienza della forza: sulle guance
s'erano accese le due macchie rosee. Ed egli era la causa di tutto ci�! Con un solo
impulso del suo cuore onesto egli aveva acceso nell'anima di lei questo fuoco,
questo splendore.
- Ol'ga! Voi... siete migliore di tutte le donne, voi siete la migliore donna del
mondo! - disse egli entusiasmato e, trascinato dall'entusiasmo, allarg� le braccia
chinandosi su di lei. - In nome di Dio... un bacio, in pegno di questa felicit�
inesprimibile, - sussurr� egli come vaneggiando.
Ella fece immediatamente un passo indietro; la luce trionfante e il colore
scomparvero dal suo viso; gli occhi miti si fecero minacciosi.
- Mai, mai! Non avvicinatevi! - disse spaventata, quasi con terrore, mettendo tutte
e due le braccia e l'ombrello tra lui e se stessa e si ferm�, come pietrificata,
senza respirare, in un atteggiamento minaccioso, con uno sguardo minaccioso.
Egli si calm� subito : davanti a lui non era la mite Ol'ga, ma la dea della
superbia e dell'ira, offesa, con le labbra strette e un lampo negli occhi.
- Perdonate!... - sussurr�, confuso, annientato.
Ella si volt� lentamente e si mosse guardando timorosa al disopra della spalla che
cosa egli facesse. Ma egli non faceva nulla: andava piano, come un cane battuto,
con la coda bassa. Ella avrebbe voluto allungare il passo, ma, vedendo il volto di
lui, soffoc� un sorriso e cammin� pi� piano, solo fremendo di tanto in tanto. Una
macchia rosea le compariva ora su una guancia, ora sull'altra. Quanto pi� andava
avanti, tanto pi� il suo viso si rischiarava, il respiro si faceva pi� regolare e
pi� tranquillo, fino a che ella non riprese la sua andatura normale. Ella vide come
il suo �mai� fosse sacro per Oblomov e la sua ira a poco a poco si calm� e cedette
il posto alla piet�. E and� sempre pi� lentamente... Avrebbe voluto attenuare il
suo impeto e cerc� un pretesto per rivolgergli la parola.
�Ho guastato tutto! Questo, s�, � stato un errore! " Mai "! Dio mio! I lill� sono
appassiti, - pensava egli, guardando i rami di lill� pendenti; - la giornata di
ieri � appassita, e la lettera � appassita, e questo momento, il pi� bello della
mia vita, in cui una donna per la prima volta mi ha detto che vi � in me qualche
cosa di buono, anche questo � appassito!...�
Guard� Ol'ga, che si era fermata e lo aspettava con gli occhi bassi.
- Datemi la lettera!... - disse ella sottovoce.
- E' appassita! - rispose egli tristemente, porgendole la lettera.
Ella di nuovo gli si avvicin� e pieg� ancora il capo; le sue palpebre erano
abbassate del tutto... Tremava quasi. Egli le diede la lettera; ella non alzava il
capo, non si allontanava.
- Voi mi avete spaventata, - aggiunse con dolcezza.
- Perdonate, Ol'ga, - mormor� egli. Ella tacque.
- Questo minaccioso �mai�!... - disse egli tristemente e sospir�.
- Appassir�! - bisbigli� ella in modo appena percettibile, arrossendo.
E gli gett� uno sguardo timido, carezzevole, gli prese le due mani, le strinse fra
le sue, poi se le port� al cuore.
- Ascoltate come batte! - disse ella. - Mi avete spaventata! Lasciatemi!
E senza pi� guardarlo, si volt� e corse via, sollevando appena un po' il vestito.
- Dove correte cos�? Io sono stanco, non posso tenervi dietro...
- Lasciatemi. Corro a cantare, cantare, cantare!... - ripet� ella col viso in
fiamme. - Mi sento soffocare in petto, ho quasi male!
Egli rimase fermo e la segu� a lungo con lo sguardo, come un angelo che volasse
via. �E' mai possibile che anche questo momento debba appassire? - pens� quasi
triste e non si accorse se camminava o stava fermo. - I lill� sono passati, - pens�
di nuovo, - ieri � passato e la notte coi suoi fantasmi, il suo incubo anche... S�!
ed anche questo momento passer� come i lill�! Ma passata la notte, � fiorita gi� la
nuova alba...�
- Che cosa � ci�? - disse ad alta voce, come perduto, - e l'amore anche... l'amore?
E io pensavo che l'amore, come un caldo meriggio, stesse sugli amanti e nulla si
movesse, nulla respirasse nella sua atmosfera; invece neppure nell'amore � la pace,
esso va avanti, chiss� dove, avanti... �come tutta la vita�: cos� dice Stolz. E non
� nato ancora il Giosu� che gli ordini: �fermati!� Che sar� domani? - si domand�
egli agitato e fiaccamente, soprappensiero, torn� a casa.
Passando sotto le finestre di Ol'ga sent� come il petto soffocato di lei si
liberava nelle note di Schubert, singhiozzando quasi di felicit�.
Dio mio! Come � bello vivere!

11.
Oblomov trov� a casa una nuova lettera di Stolz che cominciava e finiva con le
parole: �Ora o mai!�, era piena di rimproveri per la sua immobilit� e conteneva
infine l'invito a partire immancabilmente per la Svizzera, dove Stolz si accingeva
a recarsi, e di l� per l'Italia.
In caso contrario egli invitava Oblomov a recarsi in campagna, a metter ordine nei
propri affari, a scuotere i contadini dalla loro fiacchezza, ad assicurarsi delle
proprie entrate e a provvedere di presenza alla costruzione della nuova casa.
�Ricordati il nostro patto: ora o mai�, cos� concludeva Stolz.
�Ora, ora, ora! - ripet� Oblomov. - Andr�j non sa quale poema si svolge nella mia
vita. Quali altri affari ancora! Potr� io mai essere occupato come adesso? Dovrebbe
provare un po' lui! Si dice dei francesi, degli inglesi che lavorano sempre e
pensano sempre al lavoro. Viaggiano per tutta l'Europa e qualcuno perfino per
l'Asia e l'Africa, cos� senza far nulla: per riempire di disegni un album, o
scavare delle antichit�, o ammazzare dei leoni o prendere dei serpenti. Oppure se
ne stanno a casa in un nobile ozio: fanno colazione, pranzano con gli amici, con
delle signore, questo � tutto il loro lavoro. Sono io forse un ergastolano? Andrej
non fa che ripetere: "lavora, lavora, come un cavallo!" A che scopo? Io sono sazio
ed ho di che vestirmi. Tuttavia Ol'ga mi ha domandato di nuovo se ho intenzione di
andare ad Obl�movka...�
Egli cominci� a scrivere, a riflettere e si rec� perfino dall'architetto. Ben
presto sulla piccola tavola nella sua stanza fu pronto il piano della casa, del
giardino. Una casa comoda, con due balconi.
�Qui io, qui Ol'ga, qui la camera da letto, qui quella dei bambini... - pens� egli
sorridendo. - Ma i contadini, i contadini... - e il sorriso scomparve, la
preoccupazione gli incresp� la fronte. - Il vicino scrive, entra in particolari,
parla dell'aratura, del raccolto... Che noia! e propone anche di fare in comune una
strada fino al mercato del villaggio, con un ponte sul fiume, chiede tremila rubli,
propone di impegnare Obl�movka... E che ne so io se ci� � utile?... E ne varr� la
pena? Non mi inganner�?... Egli � una persona onesta: Stolz lo conosce, ma si pu�
ingannare anche lui e i denari, visti e non visti! Tremila rubli non sono una
sciocchezza! Dove li prendo? No, no, io ho paura! Egli scrive ancora di mandare
alcuni contadini sulla terra incolta e chiede subito risposta; tutto subito. Si
assume di procurare tutti i documenti per dare in pegno la propriet�. Vorrebbe che
gli mandassi la procura, che andassi a farla vidimare in tribunale! E io non so
nemmeno dove sia il tribunale e quando si apra�.
Erano gi� passate due settimane senza che Oblomov avesse risposto al vicino; Ol'ga
stessa gli aveva domandato se era stato al tribunale. Stolz gli aveva scritto da
poco e aveva scritto anche ad Ol'ga per sapere che cosa egli facesse. Ol'ga del
resto poteva sorvegliare l'attivit� di Oblomov solo superficialmente nel campo a
lei accessibile: vedere se era allegro, se andava volentieri qua e l�, se era
puntuale, che interesse prendeva alle notizie della citt�, alla conversazione
generale. Pi� attentamente di tutto ella sorvegliava che egli non perdesse di vista
il principale scopo della vita. Se ella gli domandava se era stato al tribunale, lo
faceva solo per poter rispondere qualche cosa a Stolz intorno agli affari del suo
amico.
L'estate era al suo punto massimo; luglio stava per finire; il tempo era magnifico.
Oblomov non si staccava quasi mai da Ol'ga. Nei giorni chiari era nel parco e nel
caldo meriggio cercava con lei rifugio nel boschetto, in mezzo ai pini, e, sdraiato
ai piedi di lei, leggeva ad alta voce; ella faceva un nuovo lavoro di ricamo: per
lui.
Anche in loro regna l'ardente estate: compaiono di tratto in tratto delle nuvole e
passan via. Se egli ha avuto dei sogni pesanti e nel cuore battono i dubbi, Ol'ga,
come un angelo, � in guardia; ella lo scruta con i suoi occhi luminosi per vedere
che cosa ha nel cuore, e tutto torna in pace e di nuovo il sentimento scorre
ritmicamente, come un fiume, riflettendo i sempre nuovi aspetti del ciclo.
L'opinione di Ol'ga sulla vita, sull'amore, su tutto, diventava sempre pi� chiara e
precisa. Pi� sicura di prima ella guardava intorno a s�, senza inquietarsi per
l'avvenire; sempre nuovi aspetti dell'intelligenza, nuovi tratti del carattere si
rivelavano in lei. Ora la sua opinione si manifestava in modo poeticamente vario e
profondo, ora in modo regolare, chiaro, progressivo e naturale... C'era in lei una
tenacia che vinceva non solo le minacce del destino, ma perfino la pigrizia e
l'apatia di Oblomov. Non appena un proposito sorgeva in lei, subito cominciava il
lavor�o interno. Non si sentiva parlar d'altro. E se non se ne sentiva parlare, si
vedeva che nella sua mente c'era sempre la stessa cosa, ch'ella non avrebbe
dimenticato n� rinunziato, non si sarebbe smarrita, ma avrebbe pensato a tutto e
raggiunto quel che cercava. Egli non poteva capire di dove le venisse questa forza,
questo tatto, questo saper fare, questo sapersi comportare in qualunque
circostanza.
�Ci� deriva, - pensava Oblomov, - dal fatto che uno dei sopraccigli non � piano, ma
si solleva sempre un pochino, e su di esso c'� quella piccola, sottile ruga appena
percettibile... S�, in quella ruga si annida la sua tenacia�.
Anche se l'espressione del viso era tranquilla, luminosa, la piccola ruga non si
stendeva mai e il sopracciglio non si raddrizzava. Ma forza esteriore, maniere e
inclinazioni brusche in lei non ce n'erano. L'energia delle intenzioni e la tenacia
non la facevano uscire d'un passo dalla sua sfera femminile. Ella non voleva
affatto dominare, mettere, per esempio, a posto con una frase tagliente un
adoratore goffo, sbalordendo tutto il salotto con la prontezza della sua
intelligenza perch� da ogni angolo si gridasse: brava, brava!
C'era anzi in lei la timidezza caratteristica di tante donne: ella non tremava
vedendo un topo, non sveniva per la caduta di una sedia, ma temeva di allontanarsi
da casa e tornava indietro vedendo un contadino che le fosse parso sospetto e la
notte chiudeva la finestra, perch� non entrassero i ladri.
Era poi molto accessibile al sentimento della compassione, della piet�. Non era
difficile provocare in lei le lacrime, era facile arrivare al suo cuore. Nell'amore
era cos� dolce; in tutti i suoi rapporti c'era tanta tenerezza, tanta attenzione
delicata: in una parola, era una donna!
Qualche volta nel suo parlare c'era una scintilla di sarcasmo, ma splendeva in esso
tanta grazia, tanta mite e gentile intelligenza che chiunque avrebbe offerto con
gioia la fronte!
In compenso non temeva le correnti d'aria, andava leggermente vestita dopo il
tramonto; era piena di salute, mangiava con appetito, aveva i suoi piatti preferiti
e sapeva prepararli. E' vero che molte altre sanno tutto ci�, ma queste altre non
sanno che fare in questo o quel caso, o se lo sanno, lo sanno solo per sentito
dire, senza rendersene conto, richiamandosi all'autorit� di una zia, di una
cugina... Molte non sanno neppure che cosa vogliono, e se si decidono, agiscono
fiaccamente come in dubbio se la cosa sia o non sia necessaria. E ci� forse perch�
hanno le sopracciglia spianate, tenute bene a posto con le dita e non hanno la ruga
sulla fronte.
Tra Oblomov e Ol'ga si formarono dei rapporti segreti, invisibili per gli altri:
ogni sguardo, ogni parola insignificante detta in presenza d'altri aveva per loro
un senso speciale. In ogni cosa essi vedevano un riferimento all'amore. Ol'ga
talvolta si faceva tutta rossa, nonostante la propria sicurezza di s�, se a tavola
si raccontava la storia di un amore che somigliasse alla sua storia e, siccome
tutte le storie d'amore si somigliano, le capitava spesso di dover arrossire. E
Oblomov, ad un qualsiasi accenno allo stesso tema, nella confusione metteva nel t�
una tale quantit� di biscotti che non si poteva fare a meno di ridere. Diventarono
cos� accorti e guardinghi. Qualche volta Ol'ga evitava di dire alla zia che aveva
visto Oblomov, ed egli diceva a casa che si recava in citt� e poi andava nel parco.
Tuttavia, per quanto l'intelligenza di Ol'ga fosse serena, per quanto
consapevolmente ella si guardasse intorno, per quanto fosse fresca e sana, tuttavia
dei sintomi morbosi cominciarono ad apparire anche in lei. Di tratto in tratto si
impadroniva di lei un'inquietudine sulla quale si metteva a riflettere, ma senza
riuscire a spiegarsela. Talvolta, andando nel caldo meriggio al braccio di Oblomov,
ella si appoggiava pigramente alla spalla di lui e continuava a camminare
macchinalmente, in una specie di sfinimento, e non diceva parola. L'ardire le
veniva meno; lo sguardo, stanco, senza vivacit�, restava immobile, fisso in un
punto solo, come se fosse per lei una fatica rivolgerlo ad altro oggetto. Si
sentiva oppressa, qualche cosa le serrava il petto, l'agitava. Si levava allora la
mantiglia, il fazzoletto dalle spalle, ma neppure ci� le giovava, si sentiva sempre
come soffocata, oppressa. Si sarebbe sdraiata ai piedi di un albero e vi sarebbe
rimasta intere ore.
Oblomov si smarriva, con un ramoscello le faceva vento davanti al viso, ma ella con
un segno di impazienza respingeva le sue cure e continuava a tormentarsi. Poi a un
tratto sospirava, si guardava intorno consapevolmente, gli gettava un'occhiata, gli
stringeva la mano, sorrideva e di nuovo le ritornava l'ardire e il riso, e
riprendeva il dominio di s�.
Una sera ella cadde in particolar modo in questo stato d'agitazione, una specie di
sonnambulismo d'amore, e apparve ad Oblomov in un nuovo aspetto. L'aria era calda,
soffocante, dal bosco veniva con sordo fruscio un vento tiepido; il cielo si andava
coprendo di grevi nuvole. Il buio si faceva sempre maggiore.
- Piover�, - disse il barone e and� a casa.
La zia si ritir� nella sua camera, Ol'ga suon� a lungo, soprappensiero, ma alla
fine si ferm�.
- Non posso, mi tremano le dita, mi sento soffocare, - disse ella ad Oblomov. -
Andiamo in giardino.
Passeggiarono a lungo, in silenzio, per i viali, tenendosi per mano. Ella aveva le
mani umide e molli. Entrarono nel parco. Alberi e cespugli si confondevano in una
massa cupa; non si vedeva nulla a due passi di distanza; solo i viottoli sabbiosi
serpeggiavano come strisce bianche.
Ol'ga guardava fissa nell'oscurit� e si stringeva ad Oblomov. Errarono in silenzio.
- Ho paura! - disse ella ad un tratto, rabbrividendo, mentre quasi a tentoni
avanzavano nello stretto viale, tra due pareti nere, impenetrabili di alberi.
- Di che? - domand� egli. - Non temere, Ol'ga, io sono con te.
- Ho paura anche di te! - disse ella bisbigliando. - Ma � una paura cos� piacevole!
Il cuore mi si ferma. Dammi la mano; senti come batte! - Dicendo ci� rabbrivid� e
si guard� intorno. - Vedi, vedi? - sussurr� tremando ed afferrandolo forte con
tutte e due le mani alla spalla. - Non vedi qualcuno nell'oscurit�?... - Ella si
strinse ancor pi� a lui.
- Non c'� nessuno... - disse egli; ma anche lui sent� come un formicol�o nella
schiena.
- Chiudimi gli occhi con qualche cosa, subito... pi� forte! - sussurr� ella. -
Adesso basta... sono i nervi, - aggiunse agitata. - Ecco, di nuovo! Guarda, chi �
l�? Sediamoci sopra una panchina...
Egli a tentoni cerc� una panchina e la fece sedere.
- Andiamo a casa, Ol'ga, - disse egli cercando di persuaderla, - non stai bene.
Ella gli pos� la testa sulla spalla.
- No, qui l'aria � pi� fresca; mi sento soffocare, qui, al cuore.
Ella gli respirava ardentemente vicino alla guancia. Egli le tocc� leggermente la
testa con la mano: anche la testa ardeva. Il petto respirava pesantemente e solo
con frequenti sospiri sembrava alleggerirsi.
- Non � meglio tornare a casa? - domand� di nuovo Oblomov inquieto, - dovresti
coricarti...
- No, no, lasciami, non toccarmi... - disse ella con voce languida, appena
percettibile. - Ho un gran bruciore qui... - e indic� il petto.
- Davvero, andiamo a casa... - fece premura Oblomov.
- No, aspetta, passer�... - Ella gli stringeva la mano, solo di tratto in tratto lo
guardava negli occhi, sempre in silenzio. Poi cominci� a piangere, dapprima piano,
poi forte. Egli si smarr�.
- In nome di Dio, Ol'ga, andiamo subito a casa! - diss'egli di nuovo inquieto.
- Non � niente, - rispose ella singhiozzando, - lasciami piangere... il bruciore
andr� via con le lacrime, mi sentir� meglio; non sono che i nervi...
Nell'oscurit� egli sentiva com'ella respirava pesantemente, mentre le lacrime
ardenti di lei gli gocciolavano sulla mano che ella teneva stretta convulsamente.
Egli non moveva un dito, non respirava. Intanto ella gli teneva la testa sulla
spalla, e il respiro ardente di lei gli sfiorava la guancia... Anch'egli tremava,
ma non osava toccarle con le labbra le guance.
Finalmente ella si calm� e il respiro si fece pi� regolare... Ma era come
ammutolita. Egli pens� che si fosse addormentata e non osava muoversi.
- Ol'ga! - chiam� finalmente, sussurrando.-
- Che? - sussurr� anche lei e sospir� forte. - Ecco, � passato, - aggiunse
languida, - mi sento meglio, respiro liberamente.
- Andiamo, - egli disse.
- Andiamo, - ripet� ella involontariamente. - Caro! - bisbigli� poi con tenerezza
e, strettagli la mano, appoggiandosi alla sua spalla, con passi incerti arriv� fino
a casa.
Nel salotto egli la guard�: ella era debole, ma sorrideva con un sorriso strano,
incosciente, come sotto l'influenza di un sogno. La fece sedere sopra un divano, si
mise in ginocchio davanti a lei, baciandole, con profonda commozione, pi� volte la
mano. Ella lo guardava sempre con lo stesso sorriso, lasciando tutte e due le mani
in quelle di lui, e l'accompagn� poi con gli occhi fino alla porta. Sulla porta
egli si volse: ella lo guardava sempre, e sul viso aveva lo stesso abbattimento, lo
stesso caldo sorriso, come se non potesse vincerlo...
Egli and� via pensieroso. Dove aveva visto quel sorriso? Si ricord� di un quadro in
cui era dipinta una donna con un sorriso simile... ma non era Cordelia.
Il giorno dopo egli mand� a domandare come stava.
Gli fu fatto dire:
- Grazie a Dio, sta bene e vi prega di venire oggi a pranzo; stasera poi andranno
tutti a vedere i fuochi d'artificio, a cinque verste dalla villa.
Egli non credette e and� personalmente. Ol'ga era fresca come un fiore: i suoi
occhi brillavano, arditi e vivaci, le guance avevano le due macchie rosee, la voce
era cos� sonora! Ma quando Oblomov le si avvicin�, ella si confuse, fu l� l� per
gridare e, quando egli le domand� come si sentiva, divent� tutta rossa.
- E' stato un piccolo disturbo nervoso, - disse in fretta. - "Ma tante" dice che
bisogna andare a letto pi� presto. E' solo da poco che... - Ella non fin� e si
volt� altrove come a chiedere d'essere lasciata tranquilla. Perch� si fosse
confusa, non lo sapeva neppure lei. Perch� la mordeva e bruciava il ricordo della
sera precedente, il ricordo del disturbo nervoso?
Si vergognava di qualche cosa ed era indispettita contro qualcuno, un po' contro se
stessa, un po' contro Oblomov. E a momenti le sembrava che Oblomov le fosse
diventato pi� caro, pi� vicino, le sembrava di sentirsi attratta verso di lui fino
a piangerne, come se dalla sera precedente fosse sorta tra loro un'affinit�
misteriosa... Per un pezzo non aveva potuto dormire, e la mattina aveva passeggiato
agitata per il viale, dal parco a casa e viceversa, pensando, pensando, perdendosi
in ipotesi, ora imbronciandosi, ora ad un tratto infiammandosi e sorridendo, senza
riuscire a decider nulla.
�Ah, S�nitchka! - pensava irritata. - Come � felice! Avrebbe subito deciso che cosa
fare!�
E Oblomov? Perch� era stato cos� muto e immobile con Ol'ga, nonostante che il
respiro di lei sfiorasse come fuoco le sue guance, e le lacrime di lei gli avessero
bagnata la mano, ed egli l'avesse portata quasi fra le braccia a casa, ascoltando
l'indiscreto mormor�o del suo cuore?... Che avrebbe fatto un altro? Gli altri
guardano cos� sfrontatamente... Sebbene avesse passata la sua giovinezza in mezzo
alla giovent� onnisciente che ritiene di aver risolti tutti i problemi della vita e
non crede in nulla e tutto analizza freddamente, Oblomov aveva conservata
nell'animo la fede nell'amicizia, nell'amore, nell'onore umano e, per quanto
potesse essersi sbagliato e ancora potesse sbagliarsi nel giudicare la gente, il
suo cuore ne soffriva, ma la sua fede nel bene non ne rimaneva scossa. Dentro di s�
egli si inchinava alla purezza della donna, ne riconosceva il potere e il diritto e
si sacrificava ad essa. Gli mancava tuttavia la forza di carattere per riconoscere
apertamente questa dottrina del bene e questo rispetto dell'innocenza. In seguito
si inebbriava del suo aroma, ma qualche volta partecipava anche al coro dei cinici
che fremevano perfino al sospetto di essere considerati puri e rispettosi della
purezza, e al loro coro selvaggio aggiungeva la sua parola sventata. Egli non si
rendeva mai chiaramente conto del peso che ha una parola di bene, di verit�, di
purezza, gettata nella corrente dei discorsi generali; della profonda derivazione
di corrente che essa pu� provocare; non pensava che, detta arditamente e a voce
alta, senza il rossore di una falsa vergogna, ma coraggiosamente, questa parola non
affoga tra le selvagge grida dei satiri mondani, ma cade come una perla nella
profondit� della vita sociale e trova sempre una sua conchiglia. Molti, davanti a
una buona parola, si arrestano, arrossendo di vergogna, e arditamente, ad alta voce
dicono qualche parola leggera, senza sospettare che anch'essa disgraziatamente non
cade invano, ma lascia una lunga striscia di male, spesso incancellabile.
In compenso Oblomov non aveva rimproveri da farsi per la pratica della vita:
nessuna macchia, nessun rimprovero di aver agito per freddo, calcolato cinismo,
senza entusiasmo e senza lotta, pesava sulla sua coscienza. Egli non poteva
ascoltare le solite conversazioni sul modo come il tale aveva scambiati con un
altro i cavalli, la mobilia, il tal altro l'amante... e le relative conseguenze di
questi scambi... Pi� d'una volta aveva sofferto per questa perdita di dignit� e di
onore del tale o tal altro, per la sudicia caduta di una donna a lui estranea, ma
aveva taciuto, temendo il giudizio del mondo.
Tutto ci� doveva essere indovinato, ed Ol'ga l'aveva indovinato.
Gli uomini ridono di simili originali, ma le donne li riconoscono subito; le donne
pure, caste, li amano per simpatia; le corrotte cercano di avvicinarli per
rinfrescarsi dalla loro corruzione.
L'estate avanzava e finiva. Le mattine e le sere si facevano oscure ed umide. Non
solo i lill�, ma anche i tigli sfiorirono, le bacche scomparvero.
Oblomov e Ol'ga si vedevano ogni giorno.
Egli inseguiva la vita, cio� cercava di impadronirsi di nuovo di tutto ci� che da
tempo aveva abbandonato; sapeva ora perch� l'ambasciatore francese aveva lasciato
Roma, perch� gli inglesi mandavano navi con truppe in Oriente, si interessava di
sapere quando sarebbe stata costruita la nuova ferrovia in Germania o in Francia.
Tuttavia non si occupava della strada che da Obl�movka doveva portare al villaggio,
non faceva vidimare al tribunale la procura per il vicino e non rispondeva alle
lettere di Stolz. Si interessava solo di ci� che entrava nella cerchia delle
quotidiane conversazioni in casa di Ol'ga e si trovava nei giornali che arrivavano,
e seguiva, grazie alle insistenze di Ol'ga, la letteratura straniera contemporanea.
Tutto il resto affondava nella sfera del puro amore.
Nonostante i frequenti mutamenti in questa rosea atmosfera, l'orizzonte era senza
nuvole. Se ad Ol'ga capitava di riflettere su Oblomov, sul proprio amore per lui, e
se questo amore lasciava al suo cuore spazio e tempo libero, se tutte le sue
domande non trovavano piena e pronta risposta nella mente di lui e la volont� di
lui taceva all'appello della sua volont�; oppure all'ardire e al palpito della sua
vita egli rispondeva solo con uno sguardo appassionatamente immobile, una pesante
angoscia si impadroniva di lei: qualche cosa di freddo, come un serpente, le si
insinuava nel cuore, ne fugava i sogni e il caldo fantastico mondo dell'amore si
trasformava in una giornata autunnale, quando tutti gli oggetti prendono un color
grigio uniforme. Ella cercava da che cosa provenisse questo vuoto, questa
insoddisfazione della felicit�. Che cosa le mancava? Di che cosa aveva bisogno? Era
pure il suo destino di amare Oblomov! Quest'amore era giustificato dalla mitezza di
lui, dalla sua pura fede nel bene, e soprattutto dalla sua tenerezza, una tenerezza
che ella non aveva vista mai negli occhi di un uomo. Che importava che egli non
rispondesse ad ogni sguardo di lei con uno sguardo di comprensione e che non sempre
nella voce di lui risonasse quel che ella aveva sentito una volta tra veglia e
sonno?... Questa era immaginazione e nervosismo: perch� prestare loro ascolto e
sofisticare? E infine, se avesse voluto liberarsi da questo amore, come avrebbe
potuto liberarsene? Ormai era cosa fatta: ella lo amava e non � possibile gettar
via da s� l'amore a capriccio, come un vestito. �Non si ama due volte nella vita, -
pensava, -� immorale, si dice...�
E cos� ella imparava l'amore, lo sperimentava ed ogni nuovo passo lo accompagnava
con una lacrima o con un sorriso e vi rifletteva su. Infine era apparsa
quell'espressione di concentrazione in se stessa, sotto la quale si nascondevano e
le lacrime e il sorriso e di cui tanto si spaventava Oblomov. Di questi pensieri,
di questa lotta per� ella non faceva cenno ad Oblomov. Oblomov non imparava ad
amare, ma si sprofondava in quel suo dolce assopimento, di cui aveva un tempo
sognato ad alta voce in presenza di Stolz. Di tempo in tempo egli ricominciava a
credere in una vita continuamente serena, e rivedeva in sogno l'Obl�movka, abitata
da persone buone, amichevoli e senza preoccupazioni, la terrazza sulla quale si
stava a sedere e a fantasticare nella pienezza della felicit� soddisfatta. Anche
adesso si abbandonava qualche volta a questo fantasticare e s'era perfino
addormentato un paio di volte nel bosco, in attesa di Ol'ga che tardava... quando
all'improvviso inaspettatamente l'aveva investito una nuvola.
Una volta tornavano insieme da una passeggiata, fiaccamente, in silenzio, e mentre
attraversavano la via maestra furono avvolti da una nuvola di polvere; in mezzo
alla polvere correva una carrozza, e in questa carrozza sedeva S�nitchka col marito
e un altro signore, e un'altra signora...
- Ol'ga! Ol'ga! Ol'ga Serg�evna! - si sentirono delle grida. La carrozza si ferm�.
Signori e signore ne scesero, circondarono
Ol'ga, cominciarono a far complimenti, a baciarsi, a parlar tutti insieme, senza
accorgersi per un pezzo della presenza di Oblomov. Poi ad un tratto tutti lo
notarono e lo guardarono, uno dei signori addirittura con l'occhialetto.
- Chi �? - domand� piano S�nitchka.
- Il'j� Il'�tch Oblomov, - Ol'ga lo present�.
Andarono fino a casa tutti insieme a piedi. Oblomov si sentiva imbarazzato; rimase
indietro e gi� aveva messo la gamba attraverso la siepe per svignarsela via per il
campo, quando Ol'ga con uno sguardo lo fece tornare indietro. Questo sarebbe stato
nulla, ma tutti quei signori e signore lo guardavano cos� stranamente! E anche
questo del resto sarebbe stato nulla; anche prima lo si guardava di solito cos�,
grazie al suo aspetto assonnato e annoiato, alla sua trascuratezza nel vestire. Ma
� che lo stesso strano sguardo quei signori e quelle signore lo posavano su Ol'ga!
A causa di questo sguardo sospetto rivolto ad Ol'ga egli sent� agghiacciarsi il
cuore; sent� qualche cosa che lo mordeva cos� dolorosamente e tormentosamente che
non lo pot� sopportare e se ne torn� a casa pensieroso, imbronciato.
Il giorno dopo n� il grazioso cinguett�o, n� la carezzevole vivacit� di Ol'ga
poterono rallegrarlo. Alle insistenti domande di lei dovette rispondere accusando
dolor di testa e sopportare pazientemente che gli fossero versate sul capo
settantacinque copeche di acqua di Colonia. Inoltre, l'indomani ancora, quando
tornarono tardi a casa, la zia li scrut� un po' troppo maliziosamente, specialmente
lui, poi abbass� le grosse palpebre un po' gonfie, e i suoi occhi sembravano
guardare attraverso di esse, infine, soprappensiero, si port� al naso la boccettina
dei sali.
Oblomov si torment�, ma tacque. Non riusciva a decidersi a confidare i suoi dubbi
ad Ol'ga, temendo di agitarla, di spaventarla, e, a dire il vero, temeva anche per
se stesso, non volendo mettere in agitazione con una questione di cos� grande
importanza il suo mondo sereno e senza nuvole. Ormai non si trattava pi� di sapere
se fosse o no un errore l'amore di lei per lui, ma se non fosse un errore tutto il
loro amore, quegli appuntamenti nel bosco, da soli a soli, qualche volta di sera
tardi. �Io le volevo strappare un bacio, - pens� con spavento, - e secondo il
codice della morale questo � un delitto penale, e grave, non insignificante! E ad
esso son preceduti tanti altri gradini; strette di mano, dichiarazione, lettere...
Siamo passati per tutto questo. Ma, - continu� a pensare, sollevando il capo, - le
mie intenzioni sono oneste, io...�
E all'improvviso la nuvola scomparve e davanti a lui si present� luminosa come un
giorno di festa, l'Obl�movka, tutta avvolta dai raggi del sole, con le sue colline
verdi e il fiumicello argenteo: egli passeggia con Ol'ga per il lungo viale,
soprappensiero, tenendola per la vita, si siede con lei sotto la pergola, sulla
terrazza... Intorno a lei tutti piegano il capo devotamente: in una parola, si
realizza tutto ci� che aveva detto a Stolz.
�S�, s�; ma da questo avrei dovuto cominciare, - pens� egli di nuovo spaventato. -
Il triplice: vi amo, il ramo di lill�, la confessione, tutto ci� doveva essere il
pegno di felicit� di tutta la vita e non doveva ripetersi con una donna onesta. Che
ho fatto io? Chi sono?� Questi pensieri gli battevano nel capo come martellate.
�Io sono un seduttore, un corteggiatore! Ci manca solo che io, come un vecchio
disgustoso Celadone, con gli occhi di triglia e il naso rosso, mi metta
all'occhiello la rosa rubata ad una donna e sussurri all'orecchio d'un amico la mia
vittoria per... per... Ah, Dio mio, dove sono andato a finire! Questo, s�, che �
l'abisso! Ed Ol'ga non vola in alto su di esso, ma giace nel fondo... perch�,
perch�...�
Egli perdeva ogni forza, piangeva come un bambino, perch� i bei colori della sua
vita ad un tratto erano impalliditi ed Ol'ga sarebbe stata la sua vittima. Tutto il
suo amore era un delitto, una macchia sulla coscienza! Poi per un momento la mente
agitata si rischiar� al pensiero che a tutto ci� c'era una soluzione legale:
bastava tendere ad Ol'ga la mano con l'anello...
�S�, s�, - disse a se stesso con un tremito gioioso, - e uno sguardo di timido
consenso sar� la risposta... Ella non dir� neppure una parola, diventer� rossa,
sorrider� in fondo all'anima, poi il suo sguardo si riempir� di lacrime...�
Delle lacrime ed un sorriso, una mano tesa in silenzio, poi una gioia viva, una
felice vivacit� di movimenti, poi una conversazione lunga lunga, un bisbiglio a
quattrocchi, quel fiducioso bisbiglio delle anime, quel misterioso accordo di
fondere due vite in una vita sola! In tutte le piccolezze, in tutte le
conversazioni intorno alle cose quotidiane, sarebbe penetrato l'amore, invisibile a
tutti, fuorch� a loro. E nessuno avrebbe osato offenderli con uno sguardo...
L'espressione del suo viso divenne ad un tratto cos� severa, cos� grave. �S�, -
disse a se stesso, - ecco qual � il mondo della vera, onesta, duratura felicit�!
Debbo vergognarmi di aver finora nascosto questi fiori, di essermi goduto il
profumo dell'amore come un ragazzino, di aver cercato appuntamenti, passeggiate al
chiaro di luna, ascoltato il battito di un cuore verginale, spiato il tremito dei
suoi sogni... Dio, Dio!�
Arross� fino agli orecchi.
�Questa sera Ol'ga sapr� quali doveri impone l'amore; oggi sar� l'ultimo
appuntamento da soli a soli, oggi...�
Si port� la mano al cuore: batteva forte, ma eguale, come deve battere il cuore
degli uomini onesti. Di nuovo l'agit� il pensiero di come si sarebbe da principio
addolorata Ol'ga quand'egli le avesse detto che bisognava non vedersi; poi egli
avrebbe timidamente annunziata la sua intenzione, dopo aver cercato di conoscere i
pensieri di lei al riguardo, si sarebbe estasiato del turbamento di lei, e poi... E
continu� cos� a sognare il timido assenso di lei, il sorriso e le lacrime che
l'avrebbero accompagnato, la mano tesa in silenzio, il lungo, misterioso bisbiglio
e il bacio dato in faccia a tutto il mondo.

12.
Corse a cercare Ol'ga. A casa gli dissero che era uscita; and� in paese: non c'era.
Vede che, lontano, ella s'eleva come un angelo verso il ciclo, sale la collina,
appoggia cos� leggermente il piede, ed il suo corpo ondeggia.
Le corre dietro, ma ella sfiora appena l'erba e sembra davvero volare. Solo a met�
della collina comincia a chiamarla. Ella l'aspetta un po', ma non appena egli �
vicino, di nuovo va avanti, lasciando una grande distanza fra loro, si ferma e
ride.
Finalmente egli si ferm�, convinto che ella non l'avrebbe lasciato. Ed ella corse
verso di lui alcuni passi, gli porse la mano e, ridendo, lo trascin� dietro di s�.
Entrarono nel boschetto: egli si tolse il cappello e lei col fazzoletto gli asciug�
la fronte e cominci� a fargli vento sul viso con l'ombrellino.
Ol'ga era molto animata, loquace, vispa; ora trascinata all'improvviso da un
impulso di tenerezza, ora sprofondata nei propri pensieri.
- Indovina che cosa ho fatto ieri? - domand� ella quando si furono seduti
all'ombra.
- Hai letto?
Ella scosse il capo.
- Hai scritto?
-No.
- Cantato?
- No. Ho cercata la buona fortuna. Ieri � stata da noi la governante della
contessa, che sa predire l'avvenire sulle carte, ed io l'ho interrogata sul mio
avvenire.
- E cos�?
- Nulla. E' venuto fuori un viaggio, poi una gran folla, e dappertutto un biondo,
dappertutto... Io mi son fatta tutta rossa quando, in presenza di Katja, ha detto
che il re di quadri pensa a me. Quando voleva dirmi a chi penso io, ho mescolato le
carte e son corsa via. Tu pensi a me? - domand� all'improvviso.
- Ah! - diss'egli. - Se fosse possibile pensar meno!
- Ed io! - disse ella pensosa. - Ho gi� dimenticato come si viva diversamente.
Quando tu, la settimana scorsa, mi hai fatto il broncio e, irritato, non sei venuto
per due giorni, io mi sono cambiata, sono diventata cattiva. Mi son bisticciata con
Katja, come tu con Zach�r: vedo che piange di nascosto, ma non mi fa nessuna pena;
non rispondo a "ma tante", non sto a sentire che cosa dice, non faccio nulla, non
voglio andare in nessun posto. E non appena tu sei venuto, son diventata di nuovo
un'altra. Ho regalato a Katja l'abito lill�...
- Questo � amore! - disse egli pateticamente.
- Cosa? Il vestito lill�?
- Tutto! Nelle tue parole io riconosco me stesso: anche per me senza di te non c'�
giorno, n� vita. Di notte non faccio che vedere in sogno delle valli fiorite.
Quando ti vedo son buono, attivo; se non ti vedo mi annoio, son fiacco, voglio
sdraiarmi e non pensare a nulla... Ama, non vergognarti del tuo amore -. A un
tratto tacque. �Che cosa dico? Io non sono mica venuto per questo�, pens� e toss�;
aggrott� le ciglia.
- E se ad un tratto morissi? - domand� ella.
- Che idea! - rispose egli con noncuranza.
- S�, - continu� ella, - prender� freddo, mi verr� un febbrone; tu verrai a
cercarmi qui, non ci sar�; verrai a casa, ti diranno che son malata; l'indomani lo
stesso; le persiane della mia camera saranno chiuse, il dottore scuoter� il capo;
Katja uscir� in punta dei piedi, tutta piangente e ti bisbiglier�: � malata,
muore...
- Ah! - disse improvvisamente Oblomov. Ella scoppi� in una risata.
- Che sar� di te allora? - domand�, guardandolo in viso.
- Che sar� di me? Impazzir�, mi uccider�, e tu guarirai!
- No, no, finiscila! - disse ella impaurita. - A cosa ci hanno portato i nostri
discorsi! Soltanto tu non devi venire da me morto; io ho paura dei morti...
Egli rise, e lei anche.
- Dio mio, che bambini siamo! - disse ella, abbandonando questo discorso.
Egli toss� di nuovo.
- Ascolta... io volevo dirti una cosa.
- Che cosa? - ed ella si volse a lui con vivacit�. Egli taceva intimorito.
- Ebbene, parla, - disse ella, tirandolo leggermente per la manica.
- Niente, cos�... - egli disse spaventato.
- No, tu hai qualche cosa nella mente. Egli taceva.
- Se � qualche cosa di terribile, meglio non dir nulla, - disse ella. - No, dillo!
- aggiunse subito.
- Non � nulla, una sciocchezza.
- No, no, c'� qualche cosa, parla! - insist� ella, tenendolo forte per i due lembi
della giacca, e cos� da vicino che egli doveva voltare il viso a destra e a
sinistra per non soggiacere alla tentazione di baciarla. Egli non si sarebbe
schermito, ma il minaccioso �mai� di lei gli risonava ancora nell'orecchio.
- Di'!... - insist� ella.
- Non posso, non � necessario... - continu� a schermirsi Oblomov.
- E come hai potuto predicare che �la fiducia � la base della reciproca felicit��,
che �non ci deve essere nemmeno una piega del cuore che non si riveli all'occhio
dell'amico�? Di chi sono queste parole?
- Io volevo solo dire, - continu� egli lentamente, - che io ti amo tanto, tanto,
che se...
Egli indugi�.
- Ebbene? - domand� ella impaziente.
- Che se tu ti innamorassi di un altro ed egli fosse capace pi� di me di farti
felice, io... in silenzio inghiottirei la mia sventura e gli lascerei il posto
libero.
Ella lasci� andare il lembo della giacca che aveva fra le dita.
- Perch�? - domand� sorpresa. - Questo non lo capisco. Io non ti lascerei a
nessuna; non voglio che tu sia felice con un'altra. E' troppo complicato, non lo
capisco -. Il suo sguardo vagava da un albero all'altro. - Vuoi dire che tu non mi
ami! - disse.
- Al contrario, ti amo fino al sacrifizio, se son pronto a sacrificarmi.
- E perch�? Chi te lo chiede?
- Ho detto, nel caso che tu t'innamorassi d'un altro.
- Di un altro! Ma sei pazzo! Perch�, dal momento che amo te? Che forse tu amerai
un'altra?
- Perch� mi stai a sentire? Dio sa quel che dico e tu mi credi! Io volevo dir
tutt'altro...
- E che cosa volevi dire?
- Io volevo dire che son colpevole di fronte a te, da tanto tempo colpevole...
- Di che? Come mai? - domand� ella. - Non mi ami? Hai scherzato forse? Di' su,
presto!
- No, no, non � questo, - disse egli abbattuto. - Ecco, vedi... - cominci�
indeciso, - noi c'incontriamo... di nascosto...
- Di nascosto? Perch� di nascosto? Io quasi ogni volta dico a "ma tante" che ti ho
visto...
- Davvero ogni volta? - domand� egli inquieto.
- Che c'� di male?
- Io sono colpevole: io avrei dovuto dirti da un pezzo che cos�... non si fa...
- L'hai detto, - disse ella.
- L'ho detto? Ah! S�, � vero, ti ho accennato. Vuoi dire che ho fatto il mio dovere
-. Egli si fece coraggio, tutto contento che Ol'ga cos� facilmente gli avesse tolto
il peso della responsabilit�.
- E che altro? - domand� ella.
- Ancora... questo � tutto, - rispose egli.
- Non � vero! - osserv� categoricamente Ol'ga, - c'� ancora qualche cosa; tu non
hai detto tutto.
- Io pensavo... - cominci� egli, desiderando di dare un tono indifferente alle
parole, - che...
Si ferm�: ella aspettava.
- Che dobbiamo vederci pi� di rado... - La guard� timidamente.
- E perch�? - ella domand�, dopo aver pensato.
- C'� una serpe che mi rode: la coscienza. Noi restiamo cos� a lungo soli: io mi
agito, il cuore mi si ferma; anche tu sei inquieta... io temo... - disse egli con
fatica.
- Che cosa?
- Tu sei giovane e non conosci tutti i pericoli, Ol'ga. Qualche volta l'uomo non �
padrone di s�; in lui domina una certa forza infernale, il cuore gli si avvolge di
tenebre e dai suoi occhi si sprigionano lampi. La serenit� dello spirito vien meno;
il rispetto per la purezza, l'innocenza, tutto porta via il turbine; l'uomo perde
il dominio di s�; la passione lo brucia, e allora sotto i piedi si spalanca
l'abisso.
Ella rabbrivid� addirittura.
- Ebbene? Che si apra l'abisso! - disse guardandolo con gli occhi spalancati.
Egli taceva; non c'era altro da dire, e non era necessario dir altro.
Ella lo guard� a lungo come se gli leggesse qualche cosa scritto nelle rughe della
fronte e pens� ad ogni parola e ad ogni sguardo di lui, rievoc� tutta la storia del
loro amore; arriv� fino all'oscura sera nel giardino e arross�.
- Tu dici sempre delle sciocchezze! - osserv� in fretta, guardando da parte. - Io
non ho visto mai lampi nei tuoi occhi... tu mi guardi quasi sempre... come... la
mia "njanja" Kuzm�nitchna! - aggiunse e rise.
- Tu scherzi, Ol'ga, ma io, senza scherzare, ti dico... io non ho ancora detto
tutto.
- Che altro c'�? - domand�. - Quale abisso? Egli sospir�.
- Questo: che non dobbiamo vederci... da soli a soli...
- Perch�?
- Non � bene...
Ella si fece pensierosa.
- S�, si dice che non � bene, - disse ella perplessa, - ma perch�?
- Che si dir� quando si sapr�, quando si sparger� la voce...
- Chi dir�? Io non ho mamma: lei sola avrebbe potuto domandarmi perch� io mi
incontro con te e solo davanti a lei avrei pianto in risposta e detto che non
faccio nulla di male, e tu lo stesso. Lei mi avrebbe creduta. Chi altro? - domand�
ancora.
- La zia, - disse Oblomov.
- La zia?
Ol'ga scosse il capo tristemente e negativamente.
- Lei non lo domander� mai. Se io me ne andassi, non mi cercherebbe e non
domanderebbe di me ed io non verrei pi� a dirle dove son stata e che ho fatto. Chi
altro ancora?
- Gli altri, tutti... Proprio in questi giorni S�nitchka ha guardato te e me ed ha
sorriso, e tutti quei signori e signore che erano con lei, anche...
E le raccont� l'agitazione in cui aveva vissuto da quel momento.
- Fino a che ella guard� solo me, - aggiunse, - non me ne import� affatto, ma
quando il suo sguardo cadde su di te, mi si agghiacciarono le mani e le gambe.
- Ebbene? - domand� ella freddamente.
- Da allora io mi tormento giorno e notte, mi rompo la testa: come prevenire le
chiacchiere? mi son preoccupato di non spaventarti... E' un pezzo che volevo
parlarti...
- Preoccupazione inutile! - ribatt� ella. - Io lo sapevo anche senza di te...
- Come lo sapevi? - domand� egli sorpreso.
- Cos�. S�nitchka mi ha parlato, mi ha scrutata, mi ha punzecchiata e mi ha perfino
insegnato come comportarmi con te...
- E tu non mi hai detto nulla, Ol'ga! - la rimprover� Oblomov.
- Nemmeno tu finora mi avevi parlato della tua preoccupazione.
- E tu che cosa le hai risposto? - domand� egli.
- Niente. Che cosa c'era da rispondere? Son diventata rossa e basta.
- Dio mio! A che siamo arrivati: tu arrossisci? - disse egli spaventato. - Come
siamo imprudenti! Che ne verr� fuori?
Egli la guard� con aria interrogativa.
- Non so, - rispose ella mitemente.
Oblomov aveva pensato di calmarsi, dividendo la propria preoccupazione con Ol'ga, e
di attingere dagli occhi e dalle serene parole di lei forza e volont�, e perci�,
non trovando una risposta viva e decisa, si perde d'animo. Sul suo viso si dipinse
un'espressione di incertezza, il suo sguardo vagava intorno tristemente. Nel suo
interno ardeva una leggera febbre. Egli aveva quasi dimenticata Ol'ga; davanti a
lui si affollavano S�nitchka col marito e gli altri ospiti; si sentivano le loro
chiacchiere, il loro riso.
Ol'ga, invece d'essere come al solito piena d'iniziativa, taceva, lo aveva guardato
freddamente e ancor pi� freddamente aveva pronunziato il suo �non so�. Ed egli non
cercava o non sapeva penetrare il senso nascosto di quel �non so�.
Anch'egli taceva; senza l'aiuto altrui il pensiero e l'intenzione in lui non
maturavano e, come una mela matura, non sarebbero mai caduti da s�: bisognava
coglierli.
Ol'ga lo guard� per qualche minuto, poi indoss� la mantiglia, lev� da un ramo lo
scialle che vi aveva appeso, lentamente se lo mise in testa e prese l'ombrellino.
- Dove vai? Cos� presto! - domand� egli tornato in s�.
- No, � tardi. Tu hai detta la verit�, - disse ella tristemente pensierosa. - Noi
siamo andati troppo innanzi e non c'� via d'uscita: bisogna salutarsi al pi� presto
e cancellare le tracce del passato. Addio! - aggiunse seccamente con dolore e,
chinata la testa, si incammin� per il viottolo.
- Ol'ga, ti prego! Come possiamo non rivederci? Io... Ol'ga! Ella and� oltre senza
ascoltare; la ghiaia scricchiolava seccamente sotto le sue scarpe.
- Ol'ga Serg�evna! - grid� egli. Lei non sentiva, andava oltre.
- In nome di Dio, voltati! - grid� egli, non con la voce, ma con le lacrime. -
Anche un delinquente va ascoltato... Dio mio! Ma non hai dunque cuore?... Ecco le
donne!
Si sedette e si copr� gli occhi con tutte e due le mani. I passi non si sentivano
pi�.
- E' andata via! - disse, quasi spaventato, e sollev� il capo. Ol'ga era davanti a
lui.
Egli le prese una mano gioiosamente.
- Non sei andata via, non vai via?... - disse egli. - Non andar via: ricordati che
se vai via io sono morto!
- E se non vado via, sono una delinquente, e tu anche: ricordatelo, Il'j�.
- Ah, no...
- Come no? Se S�nitchka e suo marito ci trovano ancora una volta insieme, io sono
rovinata.
Egli fremette.
- Senti, - cominci� a dire in fretta e impappinandosi, - io non ho detto tutto... -
e si ferm�.
Quello che a casa gli era sembrato cos� semplice, naturale, indispensabile, e gli
aveva sorriso, quello che era la sua felicit�, gli si spalancava ora davanti come
un abisso. Gli veniva meno il respiro a doverlo attraversare. Il passo era
decisamente molto ardito.
- Viene qualcuno! - disse Ol'ga.
Si sentirono dei passi in un viale laterale.
- Che non sia S�nitchka? - domand� Oblomov con gli occhi sbarrati dalla paura.
Passarono due signori e una signora sconosciuti. A Oblomov il cuore si allegger�.
- Ol'ga, - cominci� egli in fretta e le prese una mano, - andiamo l� dove non c'�
nessuno. Ecco, sediamoci qui.
La fece sedere sopra una panchina ed egli si gett� sull'erba, accanto a lei.
- Tu ti sei infiammata, sei andata via, ed io non avevo ancora detto tutto, Ol'ga.
- E me ne andr� di nuovo e non torner� pi� se continuerai a giocar con me, - disse
ella. - Una volta ti son piaciute le mie lacrime; adesso, forse, vorresti vedermi
ai tuoi piedi, e cos�, a poco alla volta, ridurrai tua schiava, e far capricci,
predicar la morale, piangere, spaventarti, spaventarmi, per poi domandarmi che cosa
dobbiamo fare? Ricordatevi, Il'j� Il'�tch, - aggiunse ella superbamente, alzandosi,
- che io sono molto cresciuta da quando vi ho conosciuto e so come si chiama il
gioco che voi giocate... ma le mie lacrime non le vedrete pi�...
- Ah, Dio mio, io non gioco! - disse egli con convinzione.
- Allora tanto peggio per voi, - osserv� ella seccamente. - A tutti i vostri
timori, ammonimenti e indovinelli io risponder� una cosa sola: che fino all'attuale
appuntamento io vi ho amato e non sapevo che fare; adesso lo so, - concluse ella
decisamente, preparandosi ad andar via, - e non domander� consiglio a voi.
- Anch'io lo so, - disse egli, trattenendola per la mano e facendola seder di
nuovo. Poi tacque un minuto, come per raccoglier le forze. - Figurati che il mio
cuore � pieno di un solo desiderio, la mia testa di un solo pensiero, ma la volont�
e la lingua non mi aiutano; voglio parlare e le parole non vengono. Ed � pure cos�
semplice, cos�... Aiutami, Ol'ga.
- Io non so che cosa voi pensiate...
- Nel nome di Dio, smetti questo "voi": il tuo sguardo superbo m'uccide, ogni tua
parola mi agghiaccia...
Ella rise.
- Tu sei pazzo! - disse, mettendogli una mano sul capo.
- Ecco, adesso ho riavuto il dono del pensiero e della parola! Ol'ga, - disse egli,
gettandosi ai ginocchi di lei, - sii mia moglie!
Ella tacque e si volt� dalla parte opposta.
- Ol'ga, dammi la mano! - continu� egli.
Ella non gliela diede. Egli stesso gliela prese e se la port� alle labbra. Ella non
la ritir�. La mano era calda, morbida e un po' umida. Egli cerc� di guardarla in
viso; ella si volt� ancora di pi� da un'altra parte.
- Taci? - disse egli, inquieto, interrogativamente, baciandole la mano.
- Segno di consenso! - disse ella piano, senza guardarlo ancora.
- Che senti adesso! Che pensi? - domand� egli, ricordandosi il suo sogno del timido
consenso di lei, delle lacrime...
- Quel che senti e pensi tu, - rispose ella, continuando a guardar verso il bosco;
solo il movimento del petto mostrava che ella faceva uno sforzo per trattenersi.
�Ha le lacrime agli occhi?� pens� Oblomov, ma ella continuava a guardare
ostinatamente in gi�.
- Sei indifferente, tranquilla? - disse egli, sforzandosi di trarla a s�.
- Non indifferente, ma tranquilla.
- Perch�?
- Perch� me lo aspettavo da tempo e m'ero abituata a questa idea.
- Da tempo, - ripet� egli sorpreso.
- S�, da quel momento in cui ti diedi il ramoscello di lill�... io nel pensiero ti
chiamai...
Ella non fini.
- Da quel momento!
Egli apr� le braccia e voleva stringerla a s�.
- L'abisso si spalanca, i lampi fiammeggiano... attenzione! - disse ella
furbescamente, sfuggendo abilmente all'abbraccio e allontanando il braccio di lui
con l'ombrellino.
Egli si ricord� del minaccioso �mai� e si calm�.
- Ma tu non hai mai detto nulla, nemmeno accennato... - disse egli.
- Non siamo noi che ci sposiamo, ci danno o ci prendono in ispose.
- Da quel momento... proprio? - ripet� egli pensieroso.
- Credi tu che, se io non ti avessi capito, sarei stata con te sola, avrei passato
con te le serate sotto la pergola, ti avrei ascoltato e creduto? - disse ella
superba.
- Cos� dunque... - cominci� egli, alterandosi in viso e lasciandole la mano.
Uno strano pensiero gli balen� nella mente.
Ella lo guardava con tranquillo orgoglio e fermamente aspettava; ed egli in quel
momento avrebbe voluto non orgoglio e fermezza, ma lacrime, passione e inebbriante
felicit�, sia pure per un attimo, a cui la vita di indisturbata calma sarebbe
seguita poi!
E invece n� lacrime improvvise di inaspettata felicit�, n� timido assenso! Come
spiegar ci�? Nel suo cuore si svegli� e si mosse il serpe del dubbio... Lo amava
ella o voleva semplicemente sposarsi?
- Ma c'� un'altra via verso la felicit�, - disse egli.
- Quale? - domand� Ol'ga.
- Qualche volta l'amore non aspetta, non pazienta, non calcola... La donna � tutto
un fuoco e tremore, e prova insieme tormenti e gioie, quali...
- Io non conosco questa via.
- La via sulla quale la donna sacrifica tutto: la tranquillit�, il rispetto, la
stima, e trova ricompensa nell'amore... che prende per lei il posto di tutto.
- Ma abbiamo bisogno noi di questa via?
- No.
- Vorresti tu trovare la felicit� su questa via, a costo della mia tranquillit� e
del mio onore?
- Oh, no, no! te lo giuro, a nessun costo, - disse egli con calore.
- E perch� dunque ne hai parlato?
- Veramente, non so...
- Ma io lo so: tu vorresti sapere se io avrei sacrificato a te la mia tranquillit�,
se io sarei andata con te per questa via. Non � vero?
- S�, hai indovinato... Ebbene?
- Mai, a nessun costo! - disse ella fermamente. Egli si fece pensieroso, poi
sospir�.
- S�, � una via terribile, e occorre molto amore perch� una donna possa seguir su
di essa un uomo: andare in rovina e tuttavia amare sempre.
Egli la guard� interrogativamente, e lei nulla: solo la ruga sulle sopracciglia si
mosse, ma il viso rimase tranquillo.
- Pensa, - disse egli, - che S�nitchka, che non vale il tuo dito mignolo, farebbe
finta di non riconoscerti incontrandoti.
Ol'ga sorrise ed il suo sguardo rimase sereno. Oblomov invece si lasci� trascinare
dalla voce del suo amor proprio che chiedeva il sacrificio del cuore di Ol'ga per
inebbriarsene.
- Pensa che gli uomini, avvicinandoti, non abbasserebbero gli occhi
rispettosamente, ma ti guarderebbero con un sorriso ardito e malizioso...
Egli la guard�: ella moveva lentamente con l'ombrellino una pietruzza sulla sabbia.
- Tu entreresti in un salotto e alcune cuffie si moverebbero di sdegno, qualcuna di
esse ti eviterebbe... eppure il tuo orgoglio sarebbe lo stesso e tu avresti
egualmente chiara coscienza che sei superiore e migliore di tutte le altre.
- Ma perch� mi dici tutti questi orrori? - disse ella tranquilla. - Io non andr�
mai per questa via.
- Mai? - domand� Oblomov triste.
- Mai! - ella ripet�.
- S�, - riprese egli pensieroso, - tu non avresti abbastanza forza per guardar la
vergogna negli occhi. Forse tu non avresti paura della morte: non il supplizio �
terribile, ma i preparativi, questi tormenti di ogni ora; tu non li sopporteresti e
ti consumeresti, no?
Egli continuava a guardarla negli occhi, per vedere come ella si sarebbe
comportata.
Ella lo guardava allegramente: il quadro terribile non l'aveva turbata; sulle sue
labbra scherzava un leggero sorriso.
- Io non voglio consumarmi n� morire! Non � questo, - disse ella, - si pu� non
andare per questa via ed amare ancora pi� fortemente...
- Perch� non andresti per questa via, se non hai paura?... - domand� egli
insistente, quasi con dispetto.
- Perch� su di essa... in seguito ci si separa sempre, - disse ella, - e io...
dovrei separarmi da te!...
Ella si ferm�, gli pos� una mano sulla spalla, lo guard� a lungo e poi, a un
tratto, buttato da parte l'ombrellino, rapidamente e ardentemente gli gett� le
braccia al collo, lo baci�, si fece rossa rossa, gli premette il viso sul petto e
aggiunse pian piano:
- Mai!
Egli gett� un grido di gioia e cadde sull'erba ai suoi piedi.

PARTE TERZA.

1.
Oblomov, tornando a casa, era raggiante. Il sangue gli ribolliva nelle vene, i suoi
occhi luccicavano. Gli pareva che perfino i capelli gli ardessero. Cos� entr� nella
sua camera, e all'improvviso l'esultanza svan� e gli occhi, in uno stupore
spiacevole, gli si fermarono in un punto: nella sua poltrona era seduto Tarant'ev.
- Perch� ti fai tanto aspettare? Dove vai gironzolando? - domand� severamente
Tarant'ev, tendendogli la mano pelosa. - Anche il tuo vecchio diavolo se l'�
svignata via: chiedo di fare uno spuntino, niente; un po' di vodka, nemmeno questa
m'ha dato.
- Passeggiavo qui nel boschetto, - rispose negligentemente Oblomov, non ancora
riavutosi dall'offesa che rappresentava per lui la comparsa del compaesano, e per
di pi� in un tal momento!
Egli aveva dimenticato la tetra atmosfera nella quale aveva a lungo vissuto e si
era disavvezzato dalla sua aria soffocante. Tarant'ev in un istante parve
rigettarlo dal ciclo nel pantano. Oblomov si domandava tormentosamente. �Perch� �
venuto Tarant'ev? e per un pezzo?� e lo martori� l'idea che quello forse sarebbe
rimasto a pranzo ed egli non sarebbe potuto andare dagli Il'inskij. �Come mandarlo
via, anche a costo di rimetterci qualcosa?� questa era l'unica idea che occupava
Oblomov. Aspettava in silenzio e cupo quel che avrebbe detto Tarant'ev.
- Compaesano, perch� non vieni a veder l'appartamento? - domand� Tarant'ev.
- Non ce n'� bisogno, - disse Oblomov, cercando di non guardare Tarant'ev. - Io...
non mi trasferir� laggi�.
- Come? Non ti trasferirai? - ribatt� minaccioso Tarant'ev. - L'hai affittato e non
ci vai? E il contratto?
- Quale contratto?
- L'hai dimenticato? Hai firmato il contratto per un anno. Paga gli ottocento
rubli, e vattene dove ti pare. Quattro persone l'avevano gi� visitato e lo volevano
prendere: s'� rifiutato a tutti. Uno lo voleva affittare per tre anni.
Oblomov si ricord� soltanto allora che proprio il giorno del trasloco in campagna,
Tarant'ev gli aveva portato una carta che egli aveva firmato senza leggere.
�Ah, Dio mio! che cosa ho fatto?� pens�.
- Ma a me l'appartamento non serve, - disse Oblomov, - io vado all'estero...
- All'estero! - lo interruppe Tarant'ev. - Con quel tedesco? Macch�, non parti di
certo!
- Perch� non parto? Ho gi� il passaporto: te lo mostro. Ho gi� comprato il baule.
- Non partirai! - ripet� indifferente Tarant'ev. - Dammi piuttosto i denari per sei
mesi anticipati.
- Non ho denari.
- Trovali dove vuoi; il fratello della comare, Iv�n Matveitch, non scherza.
Ricorrer� subito al tribunale; non te la caverai facilmente. Io ho pagato coi miei,
restituiscimeli.
- E tu dove li hai presi tanti denari? - domand� Oblomov.
- E a te che importa? Ho riscosso un vecchio debito. Da' il denaro! Son venuto per
questo.
- Bene, verr� in questi giorni, subaffitter� l'appartamento; adesso ho fretta -. E
cominci� ad abbottonarsi la giubba.
- Ma che appartamento ti serve? Migliore di questo non lo trovi in tutta la citt�.
Non l'hai visto? - disse Tarant'ev.
- E non lo voglio vedere, - rispose Oblomov, - perch� debbo trasferirmi l�? E'
troppo lontano...
- Da dove? - domand� volgarmente Tarant'ev. Ma Oblomov non disse da dove.
- Dal centro, - aggiunse dopo qualche istante.
- Da quale centro? A che ti serve? Per star sdraiato?
- No, io adesso non sto pi� sdraiato.
- Come mai?
- Cos�. Io... oggi... - continu� Oblomov.
- Cosa? - lo interruppe Tarant'ev.
- Non pranzo in casa...
- Dammi il denaro e va' al diavolo!
- Quale denaro? - ripet� con impazienza Oblomov. - In questi giorni passer�
nell'appartamento, parler� con la padrona.
- Quale padrona? La comare? E che ne sa lei? Una femmina! No, parla piuttosto con
suo fratello. Vedrai!
- Va bene, passer� e parler� con lui.
- Gi�, che ti aspetti! Da' il denaro e finiscila.
- Non ho denaro; debbo prenderlo in prestito.
- Allora pagami adesso per lo meno la vettura, - insist� Tarant'ev, - tre rubli
d'argento.
- E dov'� la tua vettura? E perch� tre rubli d'argento?
- L'ho mandata via. Come perch�? Non voleva nemmeno portarmi: �Sulla ghiaia?� dice.
E anche di qui son tre rubli d'argento: sono cos� ventidue rubli di carta.
- C'� una diligenza che parte di qui e costa cinquanta copeche, - disse Oblomov, -
in ogni modo, prendi!
Cav� fuori quattro rubli d'argento. Tarant'ev li fece subito sparire in tasca.
- Mi devi ancora sette rubli di carta, - aggiunse egli. - Per il pranzo.
- Quale pranzo?
- Non faccio a tempo a tornare in citt�: mi toccher� pranzare lungo la strada in
trattoria; qui tutto � caro: mi leveranno almeno cinque rubli.
Oblomov in silenzio cav� fuori un altro rublo d'argento e glielo gett�. Non s'era
messo a sedere, aspettando impazientemente che Tarant'ev se ne andasse, ma quello
non si moveva.
- Ordina che mi si porti qualcosa per far uno spuntino, - disse egli.
- Ma non volevi pranzare in trattoria? - not� Oblomov.
- Pranzare! Ma adesso � sonata appena l'una. Oblomov ordin� a Zach�r di portar
qualche cosa.
- Non c'� niente, non s'� cucinato, - rispose Zach�r, guardando torvo Tarant'ev. -
E voi, Mich�j Andreitch, quando riporterete la camicia e il panciotto del padrone?
- Che camicia e panciotto? - rispose Tarant'ev. - Li ho restituiti da un pezzo.
- Quando? - domand� Zach�r.
- Non te li ho forse messi proprio io nelle mani, quando avete fatto lo sgombero?
Li avrai ficcati in qualche fagotto, e adesso li chiedi di nuovo...
Zach�r rimase di stucco.
- Ah, Signore Iddio! Ma che vergogna � questa, Il'j� Il'�tch! -esclam� egli,
volgendosi ad Oblomov.
- Canta, canta questa canzone! - ribatt� Tarant'ev. - Te li sarai bevuti ed ora me
li chiedi.
- No, da quando son nato non ho venduto mai niente del padrone per bere! - disse
rauco Zach�r. - Voi...
- Finiscila, Zach�r! - interruppe severo Oblomov.
- Siete stato voi che ci avete portato via uno spazzolone e due tazze? - domand� di
nuovo Zach�r.
- Che spazzolone? - url� Tarant'ev. - Ah, vecchio furfante! Porta piuttosto un po'
di antipasti.
- Sentite, Il'j� Il'�tch, come ingiuria? - disse Zach�r. - In casa non c'� nulla,
nemmeno pane, e Anis'ja � uscita, - concluse egli, e and� via.
- E tu dove pranzi? - domand� Tarant'ev. - Davvero un miracolo: Oblomov che
passeggia nel boschetto e non pranza in casa... Quando farai il trasloco? L'autunno
si avvicina. Vieni a vedere.
- Bene, bene, uno di questi giorni...
- Non dimenticare di portare il denaro!
- Si, s�, s�... - disse Oblomov impaziente.
- E nell'appartamento non hai bisogno di nulla? Per te son stati ridipinti a nuovo
i pavimenti, i soffitti, le finestre, le porte, tutto: pi� di cento rubli hanno
speso.
- S�, s�, va bene... Ah, ecco cosa ti volevo dire, - si ricord� ad un tratto
Oblomov. - Va', per piacere, al tribunale; ho bisogno di far vidimare una
procura...
- E che faccio forse il galoppino, io? - rispose Tarant'ev.
- Ti do qualche altra cosa per il pranzo, - disse Oblomov.
- Si consumano pi� scarpe di quanto tu non possa aggiungere.
- Vacci, ti pagher�.
- Non posso andare al tribunale, io, - disse cupo Tarant'ev.
- Perch�?
- Ho dei nemici, gente che ha del rancore contro di me, e aspetta solo l'occasione
di rovinarmi.
- Va bene, ci andr� io stesso, - disse Oblomov, e prese il berretto.
- Quando verrai alla casa nuova, Iv�n Matveitch ti far� tutto. E' un uomo d'oro,
non � come quei villan rifatti di tedeschi. Un impiegato russo autentico, sta da
trent'anni sempre sulla stessa sedia e comanda l'ufficio come gli pare e piace ed
ha dei soldarelli; eppure non prende mai la carrozza; e il suo "frac" non �
migliore del mio; � pi� cheto dell'acqua, modesto modesto, e parla che lo si sente
appena; non gironzola per i paesi stranieri come quel tuo...
- Tarant'ev! - grid� Oblomov, battendo il pugno sulla tavola. - Non parlare di cose
che non capisci!
Tarant'ev spalanc� gli occhi a questa inaudita uscita di Oblomov, e dimentic�
perfino di far l'offeso per essere stato messo al disotto di Stolz.
- Come ti sei fatto, fratello mio! - borbott�, prendendo il cappello. - Che
sveltezza!
Lisci� il proprio cappello con la manica, lo guard� e poi guard� il cappello di
Oblomov sulla scansia.
- Tu non porti il cappello, tu adesso porti il berretto, - disse prendendo il
cappello di Oblomov e provandoselo, - dammelo per l'estate.
Oblomov, senza aprir bocca, gli tolse il cappello dalla testa, lo rimise al posto
di prima, poi incroci� le braccia sul petto e attese che Tarant'ev se ne andasse.
- Be', che il diavolo ti porti! - disse Tarant'ev, infilando goffamente la porta. -
Tu, amico, oggi sei un po'... cos�... Parla dunque con Iv�n Matveitch, e provati a
non portare i denari!

2.
Egli se ne and� e Oblomov sedette di cattivo umore nella poltrona. A lungo cerc�
invano di liberarsi di quella volgare impressione. Finalmente si ricord� della
mattinata e la mostruosa apparizione di Tarant'ev gli vol� via dalla testa; sul suo
volto ricomparve il sorriso.
In piedi davanti allo specchio a lungo si accomod� la cravatta e a lungo sorrise
guardando se sulla guancia non ci fosse ancora la traccia dell'ardente bacio di
Ol'ga.
�Due "mai", - disse fra s� gioiosamente commosso, - ma qual differenza fra essi:
uno era gi� appassito e l'altro � fiorito cos� magnificamente...�
Poi si sprofond� sempre pi� nei pensieri. Sentiva che la luminosa serena festa
dell'amore era ormai lontana e che l'amore diventava veramente dovere, si mescolava
a tutta la sua vita, entrava a far parte delle sue funzioni abituali e cominciava a
impallidire, a perdere i suoi colori radiosi. Forse in quella mattinata era
balenato il suo ultimo roseo raggio; d'ora in poi non avrebbe avuto pi� luminosi
splendori, ma avrebbe invisibilmente scaldata la vita; la vita l'avrebbe assorbito
ed esso ne sarebbe diventata la molla forte, s�, ma nascosta. Da allora le sue
manifestazioni sarebbero state cos� semplici, comuni!
Il poema finiva e cominciava la severa storia: le pratiche ufficiali, poi il
viaggio ad Obl�movka, la costruzione della casa, l'ipoteca, la costruzione della
strada, poi l'interminabile esame degli affari correnti coi contadini, il rumore
del pallottoliere per i conti, il viso premuroso dell'amministratore, le elezioni
dei nobili, le sedute del tribunale. Qua e l� soltanto, di rado, brillerebbe lo
sguardo di Ol'ga, risonerebbero le note della "Casta diva", schioccherebbe un bacio
frettoloso, poi di nuovo sui lavori, in citt�, poi di nuovo l'amministratore, i
colpi secchi del pallottoliere.
Sono arrivati degli ospiti ma anche questo non � un sollievo: le conversazioni si
aggirano sulla quantit� di vino che uno fa distillare, sulla quantit� di panno che
un altro fornisce al governo... Che cosa � dunque? E' questo ch'egli si �
ripromesso? E' forse vita, questa? E pure tutti vivono cos�, come se in questo
appunto consistesse la vita. E ad Andr�j questa vita piace!
Ma il fidanzamento, le nozze, � pur questa la poesia della vita, un fiore pronto,
appena sbocciato. Immagin� come avrebbe condotta Ol'ga all'altare: ella ha un ramo
di fiori d'arancio fra i capelli; dalla testa le scende un lungo velo. Nella folla
si sente un mormorio di meraviglia. Ella pudicamente, col petto leggermente agitato
e la testa chinata con orgoglio e con grazia, porge la mano e non sa come guardare
tutti i presenti. Ora brilla il sorriso, ora compaiono le lacrime, ora la piega
delle sopracciglia rivela nel suo movimento un pensiero.
A casa, quando gli ospiti andranno via, ella, ancora nel suo magnifico
abbigliamento, gli si getter� sul petto, come oggi...
�No, corro da Ol'ga, non posso pensare e sentire solo, - fantasticava. - Racconter�
a tutti, al mondo intero... no, prima alla zia, poi al barone, scriver� a Stolz:
come sar� sorpreso! Poi lo dir� a Zach�r: egli si inchiner� fino a terra e urler�
dalla gioia: gli regaler� venticinque rubli. Verr� Anis'ja, cercher� di prendermi
la mano per baciarla: le dar� dieci rubli; poi... poi, grider� di gioia a tutto il
mondo, grider� in modo tale che si dir�: "Oblomov � felice, Oblomov si sposa!"
Adesso corro da Ol'ga: l� mi aspetta un bisbiglio prolungato, il patto segreto di
fondere due vite in una!...�
Corse da Ol'ga. Ella ascolt� con un sorriso i suoi sogni; ma appena egli salt� in
piedi per correre a dare l'annunzio alla zia, aggrott� talmente le sopracciglia che
ad Oblomov venne meno il coraggio.
- Nemmeno una parola a nessuno! - disse ella, portando un dito alle labbra e
facendogli segno di parlar piano perch� la zia nella stanza accanto non sentisse. -
Non � ancora il momento!
- Ma quando sar� il momento, se tutto � ormai deciso fra noi? - domand� egli
impaziente. - Che cosa bisogna fare adesso? Da cosa cominciare? Non si pu� mica
star con le braccia incrociate. Cominciano i doveri, la vita grave...
- S�, comincia, - ripet� ella, guardandolo fisso.
- Io volevo fare appunto il primo passo, andar dalla zia.
- Questo � l'ultimo passo.
- E quale il primo?
- Il primo... andare al tribunale. Non bisogna far fare un documento?
- S�... domani.
- E perch� non oggi?
- Oggi... oggi � un tale giorno e allontanarmi da te, Ol'ga!
- Bene, sia pure domani. E poi...
- Poi: dire tutto alla zia, scrivere a Stolz...
- No, poi andare ad Obl�movka... Andr�j Ivanytch ha scritto che in campagna c'� da
fare non so che cosa, una costruzione, mi pare... - disse ella, continuando a
guardarlo.
- Dio mio! - disse Oblomov. - A star a sentire Stolz, la zia non sapr� mai nulla!
Egli dice che bisogna cominciare a costruire la casa, poi la strada, a fondare le
scuole... Non basta un secolo per far tutto questo. Noi ci andremo insieme, Ol'ga,
e allora...
- E dove andremo? C'� la casa?
- No: la vecchia � in cattive condizioni; la scalinata, mi pare, � tutta
sconquassata...
- E allora dove andremo? - domand� ella.
- Bisogna cercare un appartamento qui.
- Anche per questo bisogna andare in citt�, - osserv� ella, - � il secondo passo...
- Poi... - cominci� egli.
- Prima fa' questi due passi e poi vedremo.
�Ma cos'� questo? - pens� tristemente Oblomov: - niente bisbiglio prolungato,
niente patto segreto di fondere due vite in una! Tutto differente da come pensavo.
Come � strana questa Ol'ga! Non si ferma su nulla, non si abbandona dolcemente al
momento poetico, come se non sapesse sognare, come se non avesse bisogno
d'immergersi nei pensieri! "Va' subito in tribunale, a cercar l'appartamento", tal
quale come Andr�j! Come se fossero tutti d'accordo di accelerare il ritmo della
vita!�
L'indomani, con un foglio di carta bollata, egli si rec� in citt�: prima di tutto
in tribunale. Vi si rec� malvolentieri, sbadigliando e guardando da tutte le parti.
Non sapeva dove il tribunale si trovasse e pass� perci� da Iv�n Ger�simytch per
domandargli in quale sezione bisognasse far vidimare la procura.
Quello si rallegr� di vedere Oblomov e non gli permise di andar via senza aver
fatto colazione. Poi mand� a chiamare ancora un amico per informarsi da lui su quel
che bisognasse fare, perch� da un pezzo egli non si occupava pi� di affari. La
colazione e il consiglio finirono alle tre, per andare al tribunale era gi� tardi e
l'indomani era sabato, gli uffici erano chiusi e perci� bisogn� rimandare al
luned�.
Oblomov si rec� nel quartiere di Vyborg a vedere il nuovo appartamento. Per un
pezzo la carrozza, passando fra lunghe stecconate, segu� dei vicoletti. Finalmente
si trov� una guardia, la quale disse che la strada era in un altro isolato, l�
vicino, e mostr� una strada ancora senza case, limitata da stecconate, ancora piena
di erba e di profondi solchi.
Oblomov prosegu�, ammirando le ortiche vicino alle stecconate e i sorbi che
occhieggiavano al di l�. Finalmente la guardia mostr� una vecchia casetta in una
corte e disse:
- E' questa.
�Casa della vedova del segretario collegiale Pshenicyn�, lesse Oblomov sulla porta
e ordin� al cocchiere di entrare nella corte.
La corte era grande non pi� d'una stanza, cosicch� la carrozza urt� col timone
contro un angolo e mise in fuga una schiera di polli, che si sparpagliarono in
fretta schiamazzando, alcuni perfino svolazzando, un grosso cane nero cominci� a
tirar la catena a destra e a sinistra, abbaiando disperatamente e cercando di
arrivare al muso dei cavalli.
Oblomov sedeva nella carrozza alla stessa altezza delle finestre e non sapeva come
uscire. Alle finestre, che erano tutte coperte di reseda, di calendule e di
garofani, cominciarono a sbucar delle teste. Oblomov riusc� finalmente a scendere
di carrozza: il cane abbai� ancora pi� furiosamente. Egli sal� la scala e si
incontr� in una vecchietta grinzosa col "saraf�n" tirato su e annodato alla
cintola.
- Chi volete? - domand� essa.
- La padrona di casa, la signora Pshen�cyna.
La vecchietta chin� confusa la testa.
- Volete forse Iv�n Matveitch? - domand�. - Non � a casa; non � ancora tornato
dall'ufficio.
- Voglio veder la padrona, - disse Oblomov.
Intanto in casa continuava il chiasso. Ora da una, ora da un'altra finestra sbucava
una testa; la porta dietro la vecchietta si apr� un po' e si richiuse; diverse
facce guardarono dalla fessura.
Oblomov si volt�: nella corte c'erano due ragazzi, un maschietto e una bambina che
lo guardavano incuriositi. Chiss� di dove sbuc� un contadino assonnato in giacca di
pelo di montone e, riparandosi gli occhi dal sole con la mano, guard� pigramente
Oblomov e la carrozza. Il cane continuava ad abbaiare cupo a intervalli, e bastava
che Oblomov si movesse o un cavallo battesse lo zoccolo perch� ricominciassero gli
strattoni alla catena e dei latrati incessanti.
Al di l� della stecconata a destra, Oblomov vide un orto che non finiva mai, tutto
coperto di cavoli e, a sinistra, alcuni alberi e una pergola di legno verde.
- Volete vedere Agaf'ja Matv�evna? - domand� la vecchietta. - Perch�?
- Di' alla padrona della casa, - disse Oblomov, - che ho bisogno di vederla: ho
affittato l'appartamento qui.
- Ah, siete il nuovo inquilino, il conoscente di Mich�j Andreitch. Favorite, vado a
dirlo.
Ella apr� la porta e dalla porta scapparon via alcune teste e qualcuno corse per la
stanza. Oblomov fece appena in tempo a vedere una donna col collo e i gomiti nudi,
senza cuffia, bianca, abbastanza pienotta, che sorrise per esser stata sorpresa
cos� da un estraneo e corse anch'essa via dalla porta.
- Entrate, vi prego, nella stanza, - disse la vecchietta, e condusse Oblomov,
attraverso una piccola anticamera, in una camera abbastanza ampia, e lo preg� di
aspettare. - La padrona viene subito, - aggiunse.
�E il cane continua ad abbaiare�, pens� Oblomov, osservando la camera.
Ad un tratto i suoi occhi si fermarono su oggetti noti: tutta la camera era piena
di cose sue. Le sue tavole polverose, le sedie ammucchiate sul letto, le materasse,
i guanciali, gli scaffali, il vasellame, tutto in gran disordine.
- Che roba � questa? Niente a posto, niente in ordine! - disse egli. - Che
porcheria!
Ad un tratto dietro di lui scricchiol� una porta, e nella camera entr� quella
stessa donna che egli aveva visto col collo e i gomiti nudi. Poteva aver
trent'anni. Era molto bianca e piena di viso, come se il colorito non avesse potuto
farsi strada attraverso le guance. Sopracciglia non ne aveva quasi affatto, e al
loro posto c'erano due strisce lucide, come gonfie, con radi peli chiari. Gli occhi
grigi erano bonari, come tutta l'espressione del viso; le mani bianche, ma rozze,
con dei grossi nodi di vene rilevati. Indossava un vestito che le prendeva giusto
giusto la vita: si vedeva che ella non ricorreva a nessun artificio, nemmeno ad una
gonna abbondante che le aumentasse le anche e le restringesse la vita. Perci� anche
il suo busto chiuso, quando ella non portava lo scialle, sarebbe potuto servire ad
un pittore od a uno scultore come modello di un petto forte e sano, senza offendere
la sua pudicizia. Il vestito, in confronto dello scialle e della cuffia elegante,
appariva vecchio e logoro. Ella non aspettava visite e, quando Oblomov s'era fatto
annunziare, aveva gettato lo scialle della domenica sul vestito di casa ed aveva
messa la cuffia. Entr� timidamente e si ferm� guardando Oblomov imbarazzata.
Oblomov si alz� e si inchin�. - Ho il piacere di parlare con la signora Pshen�cyna?
- domand�.
- Appunto, - rispose ella. - Forse avete bisogno di parlare con mio fratello? -
aggiunse indecisa. - Egli � in ufficio, non torner� prima delle cinque.
- No, io volevo parlare con voi, - cominci� Oblomov, quando ella sedette sul
divano, quanto era possibile lontano da lui, e si mise a guardare l'orlo del
proprio scialle che la copriva, come una gualdrappa, fino a terra. Anche le mani le
aveva nascoste sotto lo scialle.
- Io ho affittato l'appartamento, ma adesso, per varie circostanze, debbo cercare
un appartamento in un'altra parte della citt�, e perci� sono venuto a parlar con
voi.
Ella lo ascolt� ottusamente, e ottusamente si mise a pensare.
- Mio fratello adesso non c'�, - disse.
- Ma questa casa non � vostra? - domand� Oblomov.
- E' mia, - rispose ella brevemente.
- Ho creduto che voi stessa poteste decidere...
- Mio fratello non c'�; � lui che si occupa di tutto, - disse ella con voce
monotona, guardando per la prima volta Oblomov in viso e abbassando subito di nuovo
gli occhi sullo scialle.
�Ha un viso semplice, ma piacevole, - pens� Oblomov condiscendente, - deve essere
una brava donna!�
In quel momento una testa di bambina sbuc� di dietro la porta. Agaf'ja Matv�evna le
fece di nascosto un cenno minaccioso con la testa e quella scomparve.
- E dove � impiegato vostro fratello?
- Nella cancelleria.
- In quale?
- Dove si iscrivono i contadini... non so come si chiama.
Ella sorrise bonariamente, ma subito il suo viso riprese l'espressione consueta.
- Voi non vivete qui sola con vostro fratello? - domand� Oblomov.
- No, ho due bambini: il maschietto ha quasi otto anni, la ragazza sei, - cominci�
ella abbastanza loquacemente e il suo viso si rianim�; - c'� poi la nonna, che �
malata e va solo in chiesa; prima andava al mercato con Akulina, ma dopo san Nicola
ha smesso: le si gonfiano i piedi. E anche in chiesa sta quasi sempre seduta sui
gradini. Questo � tutto. Qualche volta viene la cognata a farci visita, qualche
volta Mich�j Andreitch.
- E Mich�j Andreitch viene spesso?
- Qualche volta rimane qui un mese; � amico di mio fratello e stanno sempre
insieme.
E tacque, avendo esaurita tutta la sua provvista di pensieri e di parole.
- Che calma c'� qui da voi! - disse Oblomov. - Se non abbaiasse il cane, si
potrebbe credere che non c'� anima viva.
Ella in risposta sorrise.
- Uscite spesso? - domand� Oblomov.
- Qualche volta d'estate. Poco fa, il giorno di sant'Elia siamo andati alla
Polveriera.
- Ci va molta gente? - domand� Oblomov, guardando, attraverso lo scialle aperto, il
forte petto di lei grosso come un cuscino e calmo.
- No, quest'anno c'� stata poca gente: di mattina ha piovuto, poi s'� messo al
bello. Ma se no, ci va molta gente.
- E dove andate ancora?
- Usciamo poco. Mio fratello va con Mich�j Andreitch a pescare, poi fanno la zuppa
di pesce, ma noi stiamo sempre in casa.
- Davvero sempre in casa?
- Vi assicuro, Dio m'� testimone. L'anno scorso siamo stati a K�lpino e adesso
andiamo qualche volta nel bosco. Il 24 giugno � l'onomastico di mio fratello e
facciamo un pranzo e vengono tutti gli impiegati della cancelleria.
- E a far visite ci andate?
- Mio fratello s�, ma io coi ragazzi vado solo a pranzo dai suoi parenti a Pasqua e
a Natale.
Non c'era di cos'altro parlare.
- Avete dei fiori: vi piacciono? - domand� egli.
Ella sorrise.
- No, - disse, - non abbiamo tempo di occuparci dei fiori. I ragazzi sono stati con
Akulina nel giardino del conte, e il giardiniere glieli ha regalati, ma i gerani e
le agavi sono qui da molto tempo, quando era ancora vivo mio marito.
In quel momento si precipit� nella camera Akulina; fra le sue mani si dibatteva
disperatamente con le ali e le zampe un grosso gallo.
- Debbo dare al bottegaio questo gallo, Agaf'ja Matv�evna? - domand� essa.
- Ma che fai? Va', va'! - disse la padrona mortificata. - Lo vedi, ci son degli
ospiti.
- Ho solo domandato, - disse Akulina, prendendo il gallo per le zampe, con la testa
in gi�, - offre settanta copeche.
- Va', va' in cucina! - disse Agaf'ja Matv�evna, - dagli il grigio con le macchie e
non questo, - aggiunse in fretta, e tutta vergognosa nascose le mani sotto lo
scialle e abbass� gli occhi.
- Le faccende domestiche! - disse Oblomov.
- S�, abbiamo molte galline; vendiamo le uova e i pulcini. Qui, tutte le ville e la
casa del conte si servono da noi, - rispose ella, guardando Oblomov molto pi�
arditamente.
E il suo viso prese un'espressione attiva e preoccupata; anche l'ottusit�
scompariva, quando ella cominciava a parlar di cose note. Ad ogni domanda nuova che
non riguardava scopi positivi, a lei noti, rispondeva con un sorriso o col
silenzio.
- Bisognerebbe far ordine qui, - osserv� Oblomov, indicando il mucchio di mobili...
- Noi volevamo, ma mio fratello non ha permesso, - l'interruppe ella con vivacit� e
questa volta guard� Oblomov arditamente: - �Dio sa cosa ci ha l�, nei cassetti e
negli armadi, - ha detto, - poi si perde qualcosa e siamo noi responsabili...�
Ella fece una pausa e sorrise.
- Com'� prudente vostro fratello! - aggiunse Oblomov.
Ella sorrise di nuovo leggermente e subito riprese la sua espressione consueta. Il
sorriso era in lei pi� che altro un mezzo per nascondere la sua incapacit� di dire
o di fare quel che occorreva in questo o quel caso.
- Io non posso aspettare fino al suo ritorno, - disse Oblomov, - riferitegli voi,
vi prego, che per diverse circostanze non ho pi� bisogno dell'appartamento e perci�
lo prego di cederlo ad un altro inquilino; io dal canto mio cercher� pure qualcuno
che ne abbia bisogno.
Ella ascolt� ottusamente, battendo gli occhi.
- Quanto al contratto, vogliate dirgli...
- Ma lui non � a casa, adesso, - ella ripet�, - favorite piuttosto di nuovo domani:
domani � sabato e non va all'ufficio.
- Io sono terribilmente occupato, non ho un momento libero, - cerc� di scusarsi
Oblomov. - Vogliate solo dirgli che, poich� la caparra rimane a vostro vantaggio,
ed io trover� un altro inquilino...
- Ma mio fratello non c'�, - ella ripet� in modo monotono, - e non viene ancora...
- E guard� nella strada. - Di solito passa di qui, vicino alle finestre: quando
passa si vede, ma adesso non c'�...
- Bene, io vado... - disse Oblomov.
- E quando verr� mio fratello, che dovr� dirgli? Quando traslocherete?
- Ditegli quel che vi ho pregato di dire, - disse Oblomov, - che cio� per varie
circostanze...
- Meglio sarebbe che veniste domani e parlaste con lui... - ripet� ella.
- Domani non posso.
- Allora doman l'altro, domenica: dopo la Messa c'� sempre della vodka e uno
spuntino. Viene anche Mich�j Andreitch.
- Davvero viene anche Mich�j Andreitch?
- Dio m'� testimonio, - ella aggiunse.
- Io non posso nemmeno doman l'altro, - si scus� impaziente Oblomov.
- Allora la settimana ventura... - ella osserv�. - E quando traslocherete? Darei
ordine di lavare i pavimenti e di levar la polvere.
- Ma io non traslocher�, - disse egli.
- Come? E della roba che ne facciamo?
- Vogliate dire a vostro fratello, - cominci� Oblomov lentamente, staccando le
parole, con gli occhi puntati proprio sul petto di lei, - che per varie
circostanze...
- Non viene ancora, non si vede, - disse ella, monotona, guardando la stecconata
che divideva la strada dalla corte. - Io conosco anche i suoi passi; sul
marciapiede di legno si sente quando qualcuno cammina. Passa poca gente qui...
- Gli riferirete dunque quel che vi ho detto? - domand� Oblomov inchinandosi e
uscendo.
- Tra una mezz'oretta sar� qui... - disse la padrona con una inquietudine non
naturale, come se volesse trattenere Oblomov con la voce.
- Io non posso pi� aspettare, - decise egli, aprendo la porta. Il cane, vedendolo
sulla scala, ricominci� ad abbaiare e a dar strattoni alla catena. Il cocchiere,
che s'era addormentato appoggiato sui gomiti, fece indietreggiare i cavalli; i
polli, in grande agitazione, corsero di nuovo da tutte le parti, e alle finestre
ricomparvero alcune teste.
- Cos� io dir� a mio fratello che voi siete stato qui, - aggiunse la padrona
inquieta quando Oblomov si sedette nella carrozza.
- S�, e ditegli che io per varie circostanze non posso tener per me l'appartamento
e che lo ceder� a un altro oppure che... cerchi lui!..
- Verso quest'ora di solito torna... - disse ella ascoltandolo distrattamente. -
Gli dir� che fate conto di tornare.
- S�, ripasser� in questi giorni, - disse Oblomov.
Accompagnata dal disperato abbaiare del cane, la carrozza usc� dal cortile e
cominci� a traballare sulle fosse della straducola non selciata. All'estremo della
strada apparve un uomo, di mezz'et�, indossante un pastrano logoro, con un grande
pacco di carte sotto il braccio, con un grosso bastone e soprascarpe, nonostante
che fosse una giornata calda e secca. Andava svelto, guardando da tutte le parti,
con un'andatura tale come se volesse sfondare il marciapiede di legno. Oblomov lo
segu� con lo sguardo e lo vide entrare nel portone della Pshen�cyna.
�Probabilmente � il fratello che torna! - pens�. - Che il diavolo se lo porti! Mi
toccherebbe di parlar con lui ancora un'ora, e io ho fame e caldo! Ed Ol'ga
m'aspetta... Sar� per un'altra volta!�
- Pi� presto! - disse al cocchiere.
�Dovrei cercare un altro appartamento, - si ricord� all'improvviso, guardando da
tutte le parti, oltre la stecconata. - Bisogna tornare indietro alla Morskaja o
alla Konj�shennaja... Un'altra volta!� concluse fra s�.
- Pi� presto, pi� presto!

3.
Alla fine d'agosto vennero le piogge e i camini delle ville dove c'erano stufe
cominciarono a fumare, mentre gli abitanti di quelle in cui non c'erano andavano in
giro con le guance fasciate. Finalmente un poco alla volta le ville si vuotarono.
Oblomov non aveva messo piede in citt�, e una mattina dalla finestra vide
trasportare su carri e a braccia la mobilia degli Il'inskij. Sebbene ora non gli
sembrasse pi� un atto eroico il traslocare o il pranzare dove capitava e il non
stare sdraiato la giornata intera, tuttavia non sapeva dove la notte sarebbe andato
a posar la testa. Restare in villa solo, ora che il parco e il boschetto erano
deserti e le imposte delle finestre di Ol'ga erano chiuse, gli sembrava una cosa
assolutamente impossibile. Pass� in rivista le stanze deserte, fece il giro del
parco, sal� e scese la collina e si sent� stringere il cuore per la tristezza.
Ordin� a Zach�r e ad Anis'ja di andare nel
quartiere di Vyborg, dove decise di rimanere fino a quando avrebbe avuto un nuovo
appartamento, e si rec� in citt�, pranz� alla svelta in trattoria e and� a passar
la sera da Ol'ga.
Ma le sere autunnali in citt� non somigliano alle lunghe, chiare giornate e serate
nel parco e nel boschetto. Egli non poteva pi� vedere Ol'ga tre volte al giorno;
Katja non veniva da parte di Ol'ga a prender notizie, n� egli poteva mandare Zach�r
a portare un biglietto a cinque verste di distanza. E cos� quel fiorente, estivo
poema d'amore sembr� fermarsi, impigrirsi, come se ne venisse meno il contenuto.
A volte essi tacevano per intere mezz'ore. Ol'ga si sprofondava nel lavoro, contava
a bassa voce con l'ago i quadretti del ricamo, ed egli si sprofondava nel caos dei
suoi pensieri e viveva in anticipo, assai lontano dal presente. Solo talvolta,
guardandola fisso, egli trasaliva appassionatamente, oppure era lei che gli
lanciava un'occhiata e sorrideva, sorprendendo un raggio di tenera devozione e di
muta felicit� negli occhi di lui.
Per tre giorni di seguito egli venne in citt� da Ol'ga e pranz� da loro, col
pretesto che la sua casa non era ancora a posto e che, siccome in quella stessa
settimana avrebbe preso un nuovo appartamento, non valeva la pena di sistemarsi
nell'alloggio provvisorio. Ma il quarto giorno gli sembr� indiscreto andarci ancora
e, dopo aver gironzolato nei pressi della casa degli Il'inskij, se ne torn� a casa
sospirando. Il quinto giorno gli Il'inskij pranzarono fuori. Il sesto giorno Ol'ga
gli disse di trovarsi in un negozio dove ella sarebbe andata e di dove egli avrebbe
poi potuto accompagnarla a casa a piedi, mentre la carrozza li avrebbe seguiti.
Tutto ci� era imbarazzante; s'imbatterono in certi conoscenti che salutarono,
qualcuno anche si ferm� a parlare.
- Ah, Dio mio, che tortura! - diceva egli tutto sudato per la paura e l'imbarazzo
della situazione.
Anche la zia lo guardava coi suoi grandi occhi languidi e odorava pensosa la sua
boccetta di sali, come se per causa sua avesse mal di testa. E a lui toccava far
tanto cammino. Dal quartiere di Vyborg la strada era lunga e la sera bisognava
ancora tornare indietro : tre ore.
- Parliamo con la zia, - insisteva egli, - cos� io posso stare in casa vostra fin
dalla mattina, e nessuno mormorer�!...
- E in tribunale ci sei stato?
Oblomov aveva una gran voglia di dire: �ci sono stato e ho fatto tutto�, ma sapeva
che Ol'ga lo avrebbe guardato fisso e gli avrebbe letta la menzogna in viso. In
risposta sospir�.
- Ah! se tu sapessi com'� difficile! - disse.
- E col fratello della padrona hai parlato? Hai trovato la casa? - domand� ella
ancora, senza alzar gli occhi.
- Egli non � mai in casa la mattina e la sera io sono sempre qui, - disse egli,
lieto di aver trovato una scusa.
Ol'ga sospir�, ma non disse nulla.
- Domani parler� certamente col fratello della padrona, - la tranquillizz� Oblomov.
- Domani � domenica ed egli non va in ufficio.
- Fino a che non sar� definito tutto, - disse Ol'ga pensosa, - non si potr� parlare
a "ma tante" e bisogner� vedersi pi� di rado.
- S�, s�... � vero, - aggiunse Oblomov scoraggiato.
- Tu pranzerai da noi la domenica, il nostro giorno, e ancora, per esempio, il
mercoled�, solo, - disse ella. - Poi potremo incontrarci a teatro; tu saprai quando
ci andremo noi, e verrai anche tu.
- S�, � vero, - diss'egli, lieto che ella si fosse assunto il compito di regolare i
loro incontri.
- Se verr� qualche bella giornata, - ella concluse, - io andr� a fare una
passeggiata al Giardino d'Estate, e tu potrai venire l�, questo ci ricorder� il
parco... il nostro parco, - ripet� ella con sentimento.
Egli le baci� in silenzio la mano e si conged� per rivederla la domenica. Ella
l'accompagn� tristemente con lo sguardo, poi sedette al pianoforte e si immerse
tutta nei suoni. Il cuore piangeva qualche cosa, ed i suoni anche. Volle cantare;
non pot�!
L'indomani Oblomov, alzatosi, indoss� il bizzarro soprabito che aveva portato in
campagna. Da un pezzo aveva detto addio alla veste da camera ed anzi aveva dato
ordine di chiuderla nell'armadio.
Zach�r, come al solito, facendo dondolare il vassoio, si avvicin� goffamente alla
tavola col caff� e le ciambelle. E come al solito, dietro di lui, Anis'ja si
sporgeva a met� dalla porta per vedere se Zach�r sarebbe riuscito a portar la tazza
fino alla tavola e poi scomparire immediatamente se Zach�r: avesse deposto
felicemente il vassoio, oppure accorrere in fretta accanto a lui se qualcosa fosse
caduto, per salvare il resto. Quando ci� accadeva, Zach�r scoppiava in ingiurie,
prima contro gli oggetti, poi contro la moglie, facendo un movimento col gomito per
colpirla nel petto.
- Che buon caff�! Chi � che lo prepara? - domand� Oblomov.
- La padrona, - disse Zach�r, - sono sei giorni, sempre lei: �Voi�, dice, �mettete
troppa cicoria e non fate bollire abbastanza. Lasciate fare a me!�
- Eccellente, - ripet� Oblomov, mescendosene un'altra tazza.
- Ringraziala.
- Eccola l�, - disse Zach�r, indicando la porta della stanza accanto semiaperta. -
E' la loro dispensa o qualcosa di simile; lei lavora l� e ci tengono il t�, lo
zucchero, il caff�, il vasellame.
Oblomov vedeva solo la schiena della padrona, la nuca, una parte del collo bianco e
i gomiti nudi.
- Perch� muove cos� svelta i gomiti? - domand� Oblomov.
- Chiss�! Forse stira dei merletti.
Oblomov vedeva come si muovevano i gomiti e come si curvava e raddrizzava la
schiena. Quand'ella si chinava si vedevano la sottana bianca, le calze pulite e le
gambe rotonde e piene.
�Moglie di impiegatuccio, ma ha dei gomiti da far invidia a una contessa, perfino
con le fossette!� pens� Oblomov.
A mezzogiorno Zach�r venne a domandare se desiderava di assaggiare la pizza: era la
padrona che mandava ad offrirla.
- Oggi � domenica, fanno la pizza.
- S�, me l'immagino, buona davvero! - disse noncurante Oblomov. - Con la cipolla o
con le carote...
- Una pizza per niente peggiore delle nostre di Obl�movka, - osserv� Zach�r, - con
carne di pollastrino e funghi freschi.
- Ah, come dev'essere buona: porta pure! Chi l'ha preparata? Quella sudicia serva?
- Macch�! - disse sprezzantemente Zach�r. - Se non ci fosse la padrona, quella non
saprebbe neppure fare la pasta. La padrona fa tutto lei in cucina. La pizza l'ha
preparata insieme ad Anis'ja.
Dopo cinque minuti dalla stanza accanto si tese verso Oblomov un braccio nudo,
appena appena coperto dallo scialle a lui gi� noto, porgendo un piatto su cui
fumava, bollente, un'enorme fetta di pizza.
- Vi ringrazio tanto, - disse cordialmente Oblomov nel prendere la pizza e,
gettando un'occhiata alla porta, fiss� lo sguardo sul petto alto e le spalle nude
della padrona.
La porta si richiuse frettolosamente.
- Non vorreste un po' di vodka? - domand� una voce.
- Non ne bevo; grazie tante, - disse Oblomov ancora pi� cordialmente. - Ma che
vodka avete?
- Nostra, casalinga; la prepariamo noi stessi con foglie di ribes, - disse la voce.
- Non l'ho mai bevuta preparata con foglie di ribes, fatemela assaggiare.
Il braccio nudo si sporse di nuovo con un piatto su cui era un bicchierino di
vodka, Oblomov bevette e gli piacque molto.
- Vi son molto grato, - disse egli, cercando di gettare uno sguardo attraverso la
porta, ma la porta si richiuse.
- Perch� non vi fate vedere, non vi si pu� dare il buon giorno? - disse Oblomov in
tono di rimprovero.
La padrona rise leggermente dietro la porta.
- Non son presentabile, sono stata sempre in cucina. Adesso mi vestir�; mio
fratello torner� presto dalla Messa, - ella rispose.
- Ah! "a propos" di vostro fratello, - osserv� Oblomov, - ho bisogno di parlargli.
Pregatelo di venire da me.
- Va bene, glielo dir� appena torner�.
- E chi � che tosse? Di chi � questa tosse cos� secca? - domand� Oblomov.
- E' la nonna; sono gi� otto anni che tosse.
E la porta si richiuse.
�Che donna... semplice! - pens� Oblomov, - eppure c'� in lei qualche cosa... E si
mantiene cos� pulita!�
Fino ad allora Oblomov non aveva ancora trovato il tempo di far conoscenza col
fratello della padrona. Egli aveva visto soltanto, ed anche questo raramente,
stando ancora a letto, come la mattina presto attraverso il cancello passava svelto
svelto, con un grosso pacco di carte sotto il braccio, un uomo che subito
scompariva nel vicolo, per ricomparire, alle cinque, di nuovo, con lo stesso pacco
di carte e, dopo essere passato davanti alla finestra, scomparir di nuovo dietro la
scala della casa. In casa non lo si sentiva affatto. Eppure si vedeva, specialmente
la mattina, che in casa viveva della gente: in cucina battevano i coltelli; dalla
finestra si sentiva una contadina sciacquar qualcosa l� nell'angolo, e il portinaio
spaccar legna o spinger un carretto a due ruote con un barile d'acqua e dietro la
parete piangere i bambini e tossire la vecchia con la sua tosse secca e continua.
Oblomov aveva per s� quattro stanze, cio� tutta l'infilata delle stanze a cui si
accedeva dalla scala principale. La padrona con la famiglia abitava due camere di
dietro e il fratello viveva al piano di sopra in una cameretta.
Lo studio e la camera di Oblomov avevano le finestre sulla corte, il salotto sul
giardinetto e il salone su di un grande orto di cavoli e patate. Nel salotto alle
finestre pendevano delle tende di cotone scolorite. Lungo le pareti erano allineate
strette delle semplici sedie di legno, imitazione noce; sotto lo specchio era un
tavolino da gioco; sulle finestre erano stretti uno all'altro dei vasi di gerani
e di amaranti e pendevano quattro gabbie con lucherini e canarini. Il fratello
della padrona entr� in punta di piedi e rispose con un triplice inchino al saluto
di Oblomov. La sua uniforme d'impiegato era tutta abbottonata e sarebbe stato
difficile dire se egli portasse biancheria o no; la cravatta era legata con un
semplice nodo e le sue punte erano nascoste sotto l'abito. Aveva una quarantina
d'anni, portava un ciuffo dritto sulla fronte, mentre altri due ciuffi simili a
orecchie di cane di media grandezza erano noncurantemente lasciati al vento sulle
tempie. Gli occhi grigi non guardavano subito l'oggetto, ma prima lanciavano
un'occhiata furtiva e solo la seconda volta si fermavano. Delle mani egli sembrava
vergognarsi e quando parlava cercava di nasconderle o tutte e due insieme dietro la
schiena, o una nel corpetto e una dietro la schiena. Porgendo al capo-ufficio una
carta e spiegando qualche cosa, egli teneva una mano dietro il dorso, e col dito
medio dell'altra mano, l'unghia in gi�, indicava o un rigo o una parola e, dopo
aver indicato, nascondeva subito anche questa mano dietro la schiena, forse perch�
le dita erano un po' grasse, rosse e tremavano un po' e a lui non senza ragione
sembrava non del tutto decente farne spesso mostra.
- Avete ordinato, - cominci� egli, dopo aver gettato a Oblomov il suo doppio
sguardo, - avete ordinato che io venissi da voi.
- S�, volevo parlarvi a proposito dell'appartamento. Sedetevi, vi prego! - rispose
cortesemente Oblomov.
Iv�n Matveitch, dopo che l'invito fu ripetuto, si decise a sedersi, col corpo
curvato in avanti e le mani tirate nelle maniche.
- Per diverse circostanze debbo cercarmi un altro appartamento, - disse Oblomov, -
perci� vorrei subaffittare questo.
- Adesso � difficile subaffittare, - rispose Iv�n Matveitch dopo aver tossito nelle
dita e aver subito dopo nascoste le mani nelle maniche, - se foste venuto alla fine
dell'estate, allora molti cercavano casa.
- Io sono venuto, ma voi non c'eravate, - l'interruppe Oblomov.
- Mia sorella me l'ha detto, - aggiunse l'impiegato. - Ma non inquietatevi per
l'appartamento; qui starete comodamente. Forse gli uccelli vi disturbano?
- Quali uccelli?
- I polli.
E' vero che Oblomov sentiva sempre fin dalle prime ore del mattino sotto le sue
finestre il rumoroso coccod� della chioccia e il pigolare dei pulcini, ma che
gliene importava? Davanti a lui era l'immagine di Ol'ga ed egli a mala pena si
accorgeva di quanto lo circondava.
- No, non fa niente, - disse, - credevo che voi parlaste dei canarini: cominciano a
cantare fin dalla mattina.
- Li porteranno via, - rispose Iv�n Matv�evitch.
- Anche questo non fa niente, - osserv� Oblomov, - ma io non posso restare per
diverse circostanze.
- Come volete, - rispose Iv�n Matv�evitch. - Ma se non troverete un altro
inquilino, come faremo per il contratto? Darete un indennizzo? Ci perderete.
- Quanto ci vuole? - domand� Oblomov.
- Adesso faremo il conto.
Egli port� il contratto e il pallottoliere per contare.
- Ecco: per l'appartamento dovete ottocento rubli carta, avete dato cento rubli di
caparra, restano settecento rubli.
- Ma davvero volete prendere l'affitto di tutto un anno, quando io non sono stato
da voi nemmeno due settimane? - lo interruppe Oblomov.
- Come? - ribatt� mitemente e persuasivamente Iv�n Matv�evitch. - Mia sorella
avrebbe un danno ingiusto. Lei � una povera vedova, che vive solo di quel che da la
casa e forse guadagna in pi� qualcosa vendendo uova e pulcini per vestire i
ragazzi.
- Ma vi prego, cos� non � possibile, - disse Oblomov, - io non sono stato da voi
nemmeno due settimane. Che cos'� questo?
- Ma � detto nel contratto, - disse Iv�n Matv�evitch, indicando col dito medio due
righe e subito ricacciando il dito nella manica, - vogliate leggere: �Se io,
Oblomov, vorr� lasciare l'appartamento prima del termine fissato, sar� tenuto o a
subaffittarlo alle stesse condizioni o a indennizzare la signora Pshen�cyna col
pagamento dell'intera annata, fino al primo giugno del prossimo anno�. Cos� lesse
Oblomov.
- Ma come? - disse egli. - Questo � ingiusto.
- E' per legge cos�, - osserv� Iv�n Matv�evitch. - Avete firmato voi stesso: ecco
la firma -. Di nuovo apparve il dito a indicar la firma, e di nuovo scomparve.
- Quanto? - domand� Oblomov.
- Settecento rubli, - e Iv�n Matv�evitch cominci� a contare di nuovo con lo stesso
dito, nascondendolo ogni volta prontamente nel pugno, - inoltre centocinquanta
rubli per la stalla e la scuderia -. E batt� di nuovo col dito sul pallottoliere.
- Ma, scusate, io non ho cavalli; a che scopo la stalla e la scuderia? - ribatt�
vivacemente Oblomov.
- Ma � scritto nel contratto, - osserv� Iv�n Matv�evitch indicando col dito. -
Mich�j Andreitch ha detto che avete i cavalli.
- Mich�j Andreitch! - esclam� irritato Oblomov. - Datemi il contratto!
- Ecco, questa qui � la copia, il contratto appartiene a mia sorella, - disse
dolcemente Iv�n Matv�evitch, prendendo il contratto in mano. - Inoltre, per l'orto
e il consumo di cavoli, barbabietole ed altre verdure per una persona bisogna
calcolare approssimativamente duecentocinquanta rubli...
Ed egli voleva muovere le palline del pallottoliere.
- Che orto? Che cavoli? Io non so nulla, che cosa dite! - ribatt� quasi minaccioso
Oblomov.
- Ecco, � nel contratto: Mich�j Andreitch ha detto che prendete l'appartamento a
queste condizioni...
- Ma che roba � questa, disporre dei miei pasti a mia insaputa? Io non voglio n�
cavoli n� barbabietole... - disse Oblomov, alzandosi. Anche Iv�n Matv�evitch si
alz�.
- Prego, non � a vostra insaputa: qui c'� la vostra firma! - ribatt� egli. E di
nuovo il grosso dito trem� sulla firma e tutto il foglio trem� nella sua mano.
- Quanto � dunque in tutto? - domand� impaziente Oblomov.
- C'� ancora la pittura del soffitto e delle porte, la riparazione delle finestre
in cucina, i nuovi cardini alle porte: centocinquanta rubli carta e ventotto
copeche.
- Come, anche questo in conto mio? - domand� Oblomov sbalordito. - Le riparazioni
sono sempre a carico del padrone. Chi � che entra in un appartamento non ancora in
ordine?...
- Ecco qui, nel contratto � detto che � a carico vostro, - disse Iv�n Matv�evitch,
mostrando da lontano col dito il punto della carta dove ci� era scritto. - Totale:
milletrecentocinquantaquattro rubli e ventotto copeche! - concluse egli brevemente,
portando tutte e due le mani e il contratto dietro la schiena.
- Ma io dove li prendo? Io non ho denari! - ribatt� Oblomov, andando su e gi� per
la stanza. - Ho proprio bisogno delle vostre barbabietole e dei vostri cavoli, io!
- Come volete! - aggiunse piano Iv�n Matv�evitch. - Non vi inquietate: qui starete
bene, - aggiunse. - Quanto ai denari... mia sorella aspetter�.
- Ma io non posso, non posso per diverse circostanze! Avete sentito?
- Va bene. Come volete, - rispose Iv�n Matv�evitch, obbediente, facendo un passo
indietro.
- Bene, io cercher� di subaffittare l'appartamento! - disse Oblomov, facendo
all'impiegato un cenno con la testa.
- E' difficile; del resto, come volete! - concluse Iv�n Matv�evitch e, dopo aver
fatto un triplice inchino, usc�.
Oblomov cav� il portafoglio e cont� i denari: in tutto trecentocinque rubli. Rimase
di stucco.
�Dove ho ficcati i denari? - si domand� stupito, quasi con terrore. - Al principio
dell'estate dalla campagna hanno mandato milleduecento rubli, e adesso ne ho solo
trecento!�
Cominci� a contare, richiamando alla memoria tutte le spese, ma riusc� a ricordarsi
solo duecentocinquanta rubli.
�Ma dove sono andati a finire?�
- Zach�r, Zach�r!
- Che comandate?
- Dove sono andati a finire i denari? Io non ho pi� denari! Zach�r cominci� a
rovistar nelle tasche, cacci� fuori alcune monetine e le mise sulla tavola.
- Ecco qui, ho dimenticato di restituirveli; sono rimasti dello sgombero, - disse
egli.
- Ma cosa te ne vieni fuori con gli spiccioli? Dimmi dove sono andati a finire
ottocento rubli.
- E che ne so, io? So forse io dove spendete il denaro voi, quel che date ai
cocchieri?
- S�, � vero, per le carrozze ho speso molto, - si ricord� Oblomov, guardando
Zach�r. - Non ti ricordi quanto abbiamo dato al cocchiere in campagna?
- Come posso ricordarmi! - ribatt� Zach�r. - Una volta mi avete ordinato di dare
trenta rubli, questo me lo ricordo.
- Perch� non hai preso nota? - lo rimprover� Oblomov. - E' un guaio essere
analfabeta!
- Ho vissuto tutta la vita da analfabeta, grazie a Dio, non peggio degli altri! -
ribatt� Zach�r, guardando da parte.
�Ha ragione Stolz, che bisogna mettere delle scuole in campagna!� pens� Oblomov.
- Ecco, la gente diceva che gli Il'inskij ne avevano uno istruito, - continu�
Zach�r, - e ha portato via l'argenteria dalla credenza.
�Dio scampi e liberi! - pens� spaventato Oblomov. - E veramente quelli che sono un
po' istruiti son gente cos� immorale! vanno in giro per le osterie con l'armonica,
bevono il t�... No, � troppo presto per mettere le scuole!...�
- E che altre spese ancora abbiamo fatto? - domand� egli.
- E che ne so io? Avete dato del denaro a Mich�j Andreitch...
- E' vero, - si rallegr� Oblomov, ricordando. - Ecco, per la carrozza, trenta, a
Tarant'ev, mi pare, venticinque... E che altri ancora?
Egli guardava Zach�r soprappensiero e interrogativamente. Zach�r, cupo, guardava
lui di sottecchi.
- Forse Anis'ja si ricorda? - domand� Oblomov.
- Come pu� ricordarsi quella stupida? Cosa pu� sapere una donnetta? - disse Zach�r
con disprezzo.
- Non mi ricordo! - concluse malinconicamente Oblomov: - che ci siano stati i
ladri?
- Se ci fossero stati i ladri avrebbero preso tutto, - disse Zach�r uscendo.
Oblomov sedette sulla poltrona e si sprofond� nei suoi pensieri. �Dove vado a
prendere il denaro? - pens�, e sud� freddo.
- Quando manderanno dalla campagna e quanto?�
Diede un'occhiata all'orologio: le due; era tempo di andare da Ol'ga. Era il giorno
dell'invito a pranzo. A poco a poco si rasseren�, ordin� di chiamare una vettura e
si fece portare in via Morskaja.

4.
Disse ad Ol'ga di aver parlato col fratello della padrona e aggiunse in fretta che
c'era speranza di subaffittare l'appartamento in quella settimana stessa.
Prima di pranzo Ol'ga si rec� con la zia a fare una visita ed egli and� a vedere
degli appartamenti nelle vicinanze. Gli avevano indicato due case: in una trov� un
appartamento di quattro stanze per quattromila rubli carta; in un'altra per cinque
stanze gli chiesero seimila rubli.
- Terribile! Terribile! - ripet� egli, tappandosi gli orecchi e scappando via,
mentre i portieri lo guardavano sbalorditi. Aggiungendo a simili cifre i mille e
pi� rubli che egli doveva pagare alla Pshen�cyna, si spavent� tanto che non riusc�
neppure a far la somma; acceler� il passo e corse da Ol'ga.
C'era gente. Ol'ga era tutta animata; parl�, cant�, fece furore. Soltanto Oblomov
ascolt� distratto, mentre ella cantava e parlava proprio per lui, affinch� egli non
se ne stesse col naso in gi� e le ciglia socchiuse, affinch� tutto parlasse e
cantasse continuamente in lui.
- Vieni domani a teatro, abbiamo un palco, - disse ella. �Di sera, con questo fango
e cos� lontano!� pens� Oblomov, ma, guardatala negli occhi, rispose al suo sorriso
con un sorriso affermativo.
- Prendi l'abbonamento ad un poltrona, - ella soggiunse. - La settimana ventura
verranno i Maevskij; "ma tante" li ha invitati nel nostro palco.
E lo guard� negli occhi per vedere la sua gioia. �Signore! - pens� egli con
terrore. - Ed io non ho che trecento rubli!�
- Ecco, prega il barone; egli conosce tutti l�; domani stesso i mander� a prendere
le poltrone.
Ed ella sorrise di nuovo e anch'egli sorrise guardandola e con i un sorriso si
volse al barone, e questi, anche con un sorriso, si assunse l'incarico di mandare a
prendere il biglietto.
- Per adesso in poltrona, ma poi, quando avrai portato a termine gli affari, -
soggiunse Ol'ga, - occuperai di diritto il posto nel 1 nostro palco -. E sorrise
come sorrideva quando era pienamente ; felice.
Ah, che soffio di felicit� lo avvolse a un tratto, quando Ol'ga sollev� un pochino
il velo dell'affascinante orizzonte, circondato di sorrisi come di fiori!
Oblomov dimentic� anche che non aveva denaro; solo la mattina seguente, quando vide
passare sotto le finestre il pacchetto di carte del fratello della padrona, si
ricord� della procura e preg� Iv�n Matv�evitch di occuparsi lui della vidimazione
al tribunale. Quegli lesse la procura, dichiar� che c'era un punto poco chiaro e si
assunse di chiarirlo.
La carta fu copiata di nuovo, finalmente vidimata e spedita. Oblomov lo annunzio
trionfante ad Ol'ga e si tranquillizz� per un pezzo.
Egli era contento perch� fino all'arrivo della risposta non era necessario cercare
l'appartamento e i denari dovuti alla Pshen�cyna un po' alla volta venivano
scontati. �Si potrebbe vivere anche qui, , - pens�, - se non fosse cos� lontano; in
casa c'� tanto ordine e tutto procede bene�. In realt� tutto in casa andava
benissimo. Sebbene per Oblomov si cucinasse a parte, l'occhio della padrona
vigilava anche il suo mangiare.
Una volta Il'j� Il'�tch entr� in cucina e trov� Agaf'ja Matv�evna ed Anis'ja quasi
abbracciate. Se esiste una simpatia fra le anime, se i cuori fratelli si sentono
reciprocamente da lontano, nulla avrebbe potuto dimostrarlo meglio della simpatia
che legava tra loro Agaf'ja Matv�evna ed Anis'ja. Dal primo sguardo, dalla prima
parola, dal primo gesto si erano capite ed apprezzate. Dal modo come Anis'ja,
armata di un attizzatoio e di uno straccio, con le maniche rimboccate, in cinque
minuti aveva messo in ordine i fornelli che non erano stati accesi per sei mesi,
dal modo come con un colpo di spazzola aveva levata la polvere dalle scans�e, dalle
pareti e dalla tavola; dal modo con cui a rapidi colpi aveva spazzato in terra e
sui banchi e cavato la cenere dalla stufa, Agaf'ja Matv�evna aveva valutata Anis'ja
e l'aiuto che gliene sarebbe venuto nelle faccende domestiche. E da quel momento le
aveva dato un posto nel suo cuore.
Anis'ja, a sua volta, dopo aver visto una sola volta come Agaf'ja Matv�evna regnava
in cucina e coi suoi occhi di falco senza ciglia notava ogni movimento goffo della
pesante e lenta Akulina; dopo aver sentito come rimbombava la sua voce ordinando di
levare, mettere, riscaldare, salare; e come al mercato con uno sguardo solo, e
tutt'al pi� toccando con un dito, senz'errore decideva quanti mesi aveva una
gallina, se il pesce era stato pescato di fresco e da quanto tempo era stato colto
il prezzemolo o l'insalata, con meraviglia e rispettoso timore le aveva fissato gli
occhi addosso ed aveva concluso che lei, Anis'ja, aveva mancata la propria
missione, che il suo campo non era la cucina di Oblomov dove la sua rapidit�,
sempre pulsante, e la sua nervosa febbre di movimento era solo diretta ad
acchiappare a volo un piatto o un bicchiere lasciati cadere da Zach�r e la sua
esperienza e finezza di osservazione erano soffocate dalla cupa invidia e dalla
grossolana alterigia del marito. Le due donne si erano reciprocamente comprese ed
erano diventate inseparabili.
Quando Oblomov non pranzava in casa, Anis'ja assisteva nella cucina la padrona e,
per amore dell'attivit�, si dava da fare, metteva e levava le pignatte, e quasi
nello stesso tempo apriva la credenza, prendeva ci� che le serviva e chiudeva prima
ancora che Akulina riuscisse a capire di cosa si trattava. La ricompensa di Anis'ja
era il pranzo e sei tazzine di caff� la mattina e altrettanto la sera, e una franca
e lunga conversazione con la padrona, conversazione che talvolta arrivava fino al
bisbiglio confidenziale.
Quando Oblomov pranzava in casa, la padrona aiutava Anis'ja, le indicava cio� con
la parola o col dito se fosse tempo o no di levare l'arrosto, se bisognasse
aggiungere alla salsa un po' di vino rosso o della "smetana" (Crema di latte
cagliato molto usata nella cucina russa), come dovesse essere bollito il pesce,
eccetera.
Dio mio, quali nozioni di economia domestica esse si erano scambiate, e non
soltanto relative alla cucina, ma alla tela grezza, al filo, al cucito, al bucato,
al modo di lavare i vestiti e sbiancar le trine, pulire i guanti e smacchiar le
stoffe; e all'uso dei medicinali domestici, delle erbe, e a tutto ci� che � stato
conquistato in una data sfera della vita dallo spirito osservatore e
dall'esperienza secolare!
Il'j� Il'�tch si alzava la mattina alle nove, qualche volta vedeva, attraverso il
cancello, il pacco di carte che passava, portato sotto il braccio dal fratello
della padrona che andava all'ufficio, poi prendeva il caff�. Il caff� era sempre
cos� buono, la panna densa, i panini al burro croccanti. Poi accendeva il sigaro e
ascoltava attentamente come la chioccia faceva il suo grave coccod� e i pulcini
pigolavano e i canarini trillavano e i lucherini fischiavano. Aveva dato ordine di
non portarli via.
- Ricordano la campagna, l'Obl�movka, - aveva detto.
Poi leggeva, per finire i libri cominciati in villeggiatura, e qualche volta con
negligenza si sdraiava col libro in mano sul divano.
C'� intorno una calma ideale: solo di tanto in tanto passa per la strada qualche
soldato o un gruppo di contadini, con le asce alla cintola. Raramente penetra in
quel deserto un venditore ambulante e, fermo davanti al cancello, grida per una
buona mezz'ora: �Mele, cocomeri di Astrachan'!�, per modo che, anche se non vuoi,
finisci per comperare qualcosa.
Qualche volta viene Masha, la figlia della padrona, a dirgli, da parte della
mammina, che son venuti a vendere i funghi prataioli e gli agarici e a domandargli
se non vuole che se ne compri un cestello per lui; oppure � lui che chiama Vanja,
il figlio della padrona, e gli domanda che cosa ha imparato, lo fa leggere o
scrivere e guarda se legge e scrive bene.
Se i bambini non chiudono bene dietro di loro la porta, egli vede il collo nudo e i
gomiti in eterno movimento e la schiena della padrona. Ella � sempre al lavoro, o
stira, o pesta, o strofina, e non fa pi� cerimonie, non si getta pi� lo scialle
sulle spalle, quando s'accorge ch'egli la vede attraverso la porta socchiusa; ma
sorride soltanto e di nuovo con gran cura pesta o stira o strofina qualche cosa
sulla grande tavola.
Talvolta col libro in mano egli si avvicinava alla porta, la guardava e attaccava
discorso.
- Lavorate sempre! - le disse una volta.
Ella sorrise e con zelo riprese a girare il macinino del caff�, mentre il suo
gomito tracciava dei giri cos� rapidi che Oblomov doveva batter le palpebre.
- Ma vi stancherete, - continu� egli.
- No, ci sono abituata, - rispose ella facendo scricchiolare il macinino.
- E quando non c'� lavoro, che cosa fate?
- Come pu� non esserci lavoro? Lavoro ce n'� sempre, - disse ella. - La mattina
preparare il pranzo, dopo pranzo cucire, e la sera la cena.
- Voi cenate?
- Come si sta senza cena? ceniamo, si capisce. La vigilia dei giorni di festa
andiamo ai vespri.
- Questo � bene, - la lod� Oblomov. - In che chiesa andate?
- Alla chiesa della Nativit�: � la nostra parrocchia.
- E leggete qualche cosa?
Ella lo guard� ottusamente e non apr� bocca.
- Avete dei libri?
- Mio fratello ne ha, ma non li legge. I giornali li prendiamo dalla trattoria e
qualche volta mio fratello legge ad alta voce... Vanitchka ha molti libri.
- Ma non vi riposate proprio mai?
- Vi giuro di no!
- E a teatro non ci andate?
- Mio fratello ci va durante le feste di Natale.
- E voi?
- E quando potrei? E la cena? - domand� ella, guardandolo di traverso.
- La cuoca senza che ci siate voi pu�...
- Akulina! - ribatt� ella sorpresa. - Ma come � possibile? Cosa pu� fare senza di
me? La cena non sarebbe pronta neppure per il giorno dopo. Io ho tutte le chiavi.
Silenzio. Oblomov ammirava i suoi gomiti pieni e rotondi.
- Che belle braccia che avete, - disse egli ad un tratto, - si potrebbero
dipingere.
Ella sorrise e si confuse un po'.
- Si lavora male con le maniche, - si giustific�, - adesso ci sono certi abiti! le
maniche si sporcherebbero tutte.
E tacque. Anche Oblomov taceva.
�Appena avr� finito di macinare il caff�, - mormor� fra s� la padrona, - spezzer�
lo zucchero. E poi, non bisogna dimenticare di mandar a prendere la cannella�.
- Dovreste maritarvi, - disse Oblomov, - siete una brava massaia.
Ella sorrise e cominci� a travasare il caff� in un grande vaso di vetro.
- Davvero, - aggiunse Oblomov.
- E chi mi piglia coi ragazzi? - rispose ella, e cominci� a contar qualcosa a
memoria. - Due decine... - disse pensierosa, - � mai possibile che ce li metta
tutti?
E messo il vaso del caff� nella credenza, corse in cucina. Oblomov torn� in camera
e si mise a leggere un libro.
�Una donna ancora fresca, sana e che brava massaia! Davvero dovrebbe maritarsi...�,
disse fra s� e si sprofond� nel pensiero... di Ol'ga.
Quando era tempo buono, Oblomov si metteva il berretto e faceva un giro nei
dintorni; ora andava a mettere i piedi nel fango, ora entrava in spiacevoli
rapporti con dei cani e se ne tornava a casa.
E a casa la tavola era gi� apparecchiata e le pietanze erano cos� saporite, servite
cos� bene! Qualche volta attraverso la porta s'allungava un braccio nudo e porgeva
un piatto: era la padrona che pregava di assaggiare la pizza fatta dalle sue mani.
- C'� calma da queste parti, ci si sta bene, soltanto ci si annoia! - diceva
Oblomov, andando a teatro.
Una volta, tornato dal teatro, insieme al cocchiere dovette picchiare per quasi
un'ora al portone; il cane a furia di saltare e d'abbaiare perse la voce. Tutto
intirizzito, Oblomov si adir� molto e dichiar� che il giorno dopo sarebbe andato
via. Ma pass� il giorno dopo e un altro ancora e tutta una settimana ma non se ne
and�.
Gli pesava di non vedere Ol'ga all'infuori dei giorni fissi, di non sentirne la
voce, di non leggere nei suoi occhi sempre quella tenerezza, quell'amore e quella
felicit� immutabili.
In compenso, nei giorni fissati viveva come aveva vissuto l'estate, ascoltava
tutt'orecchi il canto di lei, la guardava negli occhi, e in presenza di estranei
gli bastava un solo suo sguardo, indifferente per gli altri, ma profondo e
significativo per lui.
A misura per� che si avvicinava l'inverno, i loro incontri a quattrocchi si
facevano sempre pi� rari. Dagli Il'inskij venivano sempre visite e per intere
giornate Oblomov non riusciva a dir due parole con lei. Essi si scambiavano degli
sguardi. Gli sguardi di lei esprimevano qualche volta stanchezza e impazienza.
Con le ciglia aggrottate ella guardava tutti gli ospiti. Oblomov un paio di volte
si annoi� addirittura. Una volta anzi dopo il pranzo tent� di prendere il cappello
e di andar via.
- Dove andate? - domand� meravigliata Ol'ga, che gli si trovava accanto, cercando
di levargli il cappello di mano.
- Lasciatemi andare a casa...
- Perch�? - domand� ella. Una delle sue sopracciglia era pi� in alto dell'altra. -
Che cosa avete?
- Sono cos�... - disse egli, e poteva appena tenere gli occhi aperti dal sonno.
- Non vi lascer� davvero. Avete forse intenzione di andare a dormire? - domand�
ella, guardandolo prima in un occhio, poi nell'altro.
- Che dite! - ribatt� Oblomov vivacemente. - Dormire di giorno? Io semplicemente mi
annoio -. E le diede il cappello.
- Oggi a teatro, - disse ella.
- Ma non saremo insieme nel palco, - aggiunse egli con un sospiro.
- E che fa? E che ti par niente il fatto che ci vedremo, che tu potrai venire negli
intervalli, ti avvicinerai all'uscita e mi darai la mano quando salir� in
carrozza?... Siete pregato di venire! - aggiunse ella imperativamente. - Che novit�
son queste!
Non c'era nulla da fare; egli and� a teatro, sbadigli� come se volesse inghiottir
tutta la scena, si gratt� continuamente la nuca e non fece che cambiar di posto
alle gambe accavallate.
�Che finisca almeno presto e che io possa stare vicino a lei e non debba
trascinarmi da tanto lontano, - pensava. - Dopo una simile estate, vedersi solo di
tanto in tanto, di nascosto, rappresentar la parte del ragazzine innamorato... A
dire la verit�, se fossi stato ammogliato, oggi al teatro non ci sarei venuto: � la
sesta volta che sento quest'opera!...�
Nell'intervallo and� nel palco di Ol'ga e a malapena trov� un posticino fra due
bellimbusti. Dopo cinque minuti se la svign� e si ferm� all'ingresso delle
poltrone, nella folla. Era cominciato l'atto e tutti si affrettavano verso i loro
posti. Anche i bellimbusti del palco erano l� e senza vedere Oblomov parlavano fra
loro.
- Chi � quel signore che � stato or ora nel palco degli Il'inskij? - domand� uno.
- Un certo Oblomov, - rispose l'altro con indifferenza.
- Che Oblomov?
- Un... proprietario, un amico di Stolz.
- Ah! - disse l'altro significativamente. - Un amico di Stolz! E che cosa fa qui?
- "Dieu sait"! - rispose l'altro, e andarono ai loro posti. Pure questa
conversazione insignificante gett� Oblomov in un grande smarrimento.
�"Chi � quel 'signore'... 'un certo' Oblomov... cosa fa qui... 'Dieu sait'..." -
tutto ci� gli rimbombava nella testa. - Un certo! Che cosa faccio qui! Come, cosa
faccio? Amo Ol'ga, sono il suo... Ecco, la questione � gi� sorta: che cosa faccio
qui? Si sono accorti... Ah, Dio mio! Bisogna far qualcosa...�
Non vedeva nulla di quel che avveniva sulla scena, quali cavalieri e dame si
movessero; l'orchestra tuonava ed egli non sentiva. Si voltava da tutte le parti e
contava quanti conoscenti fossero in teatro; ecco qui, l�, ce ne sono dappertutto e
tutti domandano: �Chi � quel signore che � entrato nel palco di Ol'ga?...� - �Un
certo Oblomov!� cos� dicono tutti.
�S�, io sono un "certo"! - pens� egli nel suo timido abbattimento. - Mi conoscono
perch� sono amico di Stolz. Perch� vado da Ol'ga? "Dieu sait"!... Ecco, ecco quei
bellimbusti guardano prima me, poi il palco di Ol'ga!�
Egli guard� verso il palco; il binoccolo di Ol'ga era diretto verso di lui.
�Oh Signore! - pens� egli. - Nemmeno lei mi leva gli occhi di dosso? Che cosa ha
trovato in me? Un bel tesoro davvero! Ecco, mi pare che indichi la scena adesso...
e quei bellimbusti ridono, mi guardano... Signore, Signore!�
Di nuovo, tutto agitato, si gratt� furiosamente la nuca e di nuovo cambi� posto
alle gambe.
Ella aveva invitato quei bellimbusti a casa a prendere il t� dopo il teatro, aveva
promesso di ripetere la cavatina e aveva detto ad Oblomov di andare anche lui.
�No, oggi non ci vado; bisogna decidere tutto al pi� presto, e poi... Com'� che non
viene la risposta dalla campagna? Sarei gi� partito da un pezzo, prima di partire
ci saremmo fidanzati... Ah, lei mi guarda sempre! Un guaio, proprio!�
Senza aspettare la fine dell'opera, and� a casa. Un poco alla volta l'impressione
si attenu�, e di nuovo egli guard� Ol'ga a quattr'occhi con un palpito di felicit�,
ascolt�, con soffocate lacrime di entusiasmo, il canto di lei in presenza d'altri,
e, tornato a casa, si sdrai� all'insaputa di Ol'ga, sul divano, ma non per dormire,
non per giacervi come un tronco morto, ma per sognare di lei, giocare mentalmente
con la propria felicit� e agitarsi gettando uno sguardo alla propria futura vita
casalinga, pacifica, nella quale Ol'ga col suo splendore avrebbe illuminato tutto
in torno. Gettando questo sguardo all'avvenire, qualche volta involontariamente, ma
qualche volta premeditatamente, egli gettava uno sguardo, attraverso la porta
socchiusa, anche ai gomiti della padrona in continuo movimento.
Un giorno la calma nella natura e in casa era ideale; n� frastuono di vetture, n�
sbatter di porte; si sentiva solo il ritmico "tic-tac" del pendolo e il canto dei
canarini venir dall'anticamera; ma ci� non turbava la calma, anzi le dava una certa
sfumatura di vita.
Il'j� Il'�tch stava sdraiato noncurantemente sul divano, giocando con la pantofola:
ora la lasciava cadere in terra, ora la sollevava in aria, ora la faceva dondolare,
e quella cadeva, ed egli la risollevava da terra col piede... Entr� Zach�r e si
ferm� sulla porta.
- Che vuoi? - domand� distratto Oblomov.
Zach�r taceva e lo guardava, non come al solito, di traverso, ma quasi in faccia.
- Eh? - domand� Oblomov, dopo averlo squadrato sorpreso, - che � pronta la pizza,
forse?
- Avete trovato l'appartamento? - domand� a sua volta Zach�r.
- Non ancora. Che c'�?
- Io non ho ancora fatto ordine: il vasellame, i vestiti, i bauli, � tutto ancora
ammucchiato insieme nello stanzino. Debbo far ordine?
- Aspetta, - disse Oblomov distratto, - io aspetto risposta dalla campagna.
- Vuoi dire che il matrimonio sar� dopo Natale? - aggiunse Zach�r.
- Che matrimonio? - domand� di scatto Oblomov, alzandosi.
- Si sa, il vostro! - rispose Zach�r, come di cosa gi� da un pezzo decisa. - Non vi
sposate, forse?
- Io mi spo... so? E con chi? - domand� spaventato Oblomov, divorando Zach�r con
gli occhi pieni di stupore.
- Con la signorina Il'�n... - Zach�r non aveva finito che Oblomov gli era gi� quasi
addosso.
- Come ti � venuta questa idea, disgraziato? - esclam� Oblomov pateticamente, con
voce trattenuta, facendoglisi sempre pi� addosso.
- Perch� sono un disgraziato? Sia lodato il Signore! - disse Zach�r,
indietreggiando verso la porta. - Chi? I servi degli Il'inskij lo dicevano gi�
quest'estate.
- Ssss!... - sibil� Oblomov, levando il dito in alto e minacciando Zach�r, - non
una parola di pi�!
- Ma che l'ho inventato, forse? - disse Zach�r.
- Nemmeno una parola! - ripet� Oblomov, guardandolo minacciosamente e gli mostr� la
porta.
Zach�r usc� e sospir� cos� forte che si sent� in tutte le stanze. Oblomov stentava
a tornare in s�; era sempre fermo nella stessa posizione e guardava con terrore il
punto dove era stato Zach�r, poi, con un gesto di disperazione, si port� le mani al
capo e si sedette sulla poltrona.
�La servit� lo sa! - gli ronzava nella testa, - si fanno chiacchiere nelle cucine,
nelle camere dei servi! Ecco a cosa siamo arrivati! Egli ha osato domandare quando
ci sar� il matrimonio. E la zia non sospetta ancora, o forse sospetta altra cosa,
cattiva... Ahi, ahi, ahi, che cosa pu� pensare! Ed io? E Ol'ga? Disgraziato, che
cosa ho fatto! - disse, rivoltandosi pesantemente sul divano col viso nel cuscino.
- Matrimonio! Di questo attimo poetico nella vita di coloro che si amano,
coronamento della felicit�, hanno cominciato a parlarne i servitori, i cocchieri,
quando ancora nulla � deciso, quando dalla campagna non c'� ancora una risposta, ed
io ho il portafoglio vuoto, e non ho trovato l'appartamento...�
E cominci� ad analizzare quell'attimo poetico, che aveva perduto il suo colorito
non appena aveva cominciato a parlarne Zach�r. E vide l'altra faccia della medaglia
e tormentosamente cominci� a rigirarsi da un fianco all'altro, si sdrai� sulla
schiena, poi di scatto si alz�, fece tre passi per la camera, e torn� a sdraiarsi.
�Finir� male! - pensava intanto in anticamera Zach�r spaventato. - Che diavolo mi
ha spinto!�
�Di dove l'hanno saputo? - continuava a pensare Oblomov. -Ol'ga non ha parlato, io
non osavo neppure pensare ad alta voce, e i servitori danno gi� tutto per deciso!
Ecco cosa significano gli appuntamenti a quattrocchi, la poesia delle albe e dei
tramonti, gli sguardi appassionati e il canto affascinante! Oh, questi poemi
d'amore non finiscono mai bene! Bisogna prima andare in chiesa e poi nuotare in
un'atmosfera di beatitudine!... Dio mio, Dio mio! Correre dalla zia, prendere Ol'ga
per la mano e dire: ecco la mia fidanzata! Ma non � pronto nulla, dalla campagna
non c'� risposta, non ho denari, non c'� l'appartamento! No, bisogna prima di tutto
cacciare dalla testa di Zach�r questa idea, soffocare le voci, come una fiamma,
perch� non si diffondano, perch� non ci sia fuoco e fumo... Il matrimonio! Che
cos'� il matrimonio?...�
Sorrise quasi, ricordando il suo vecchio ideale poetico del matrimonio, il lungo
velo bianco, il ramo di fiori d'arancio, il sussurro della folla... Ma i colori non
erano pi� quelli: qui, nella folla c'era il rozzo e sudicio Zach�r e tutta la
servit� degli Il'inskij, una fila di carrozze, visi estranei, freddamente curiosi.
Poi, tutto gli apparve cos� noioso, terribile...
- Bisogna cacciar dalla testa di Zach�r questa idea, affinch� egli la ritenga
assurda, - decise fra s�, ora agitandosi convulsamente, ora tormentosamente
pensando.
Dopo un'ora chiam� Zach�r.
Zach�r finse di non sentire, e cerc� di andarsene di soppiatto in cucina. Aveva gi�
aperta a met� la porta senza farla scricchiolare, ma non capit� col fianco nella
met� aperta e con la spalla urt� nell'altra per modo che tutte e due le met� si
spalancarono con fracasso.
- Zach�r, - grid� imperiosamente Oblomov.
- Che volete? - rispose Zach�r dall'anticamera.
- Vieni qua! - disse Il'j� Il'�tch.
- Debbo portarvi qualche cosa? Ordinate ed io ve la porter�, - rispose.
- Vieni qua! - ripet� Oblomov tenace e sillabando.
- Ah, perch� non mi prende la morte! - sibil� rauco Zach�r entrando timidamente. -
Ebbene, che volete? - domand� egli, incagliandosi nella porta.
- Vieni qua! - disse Oblomov con voce solennemente misteriosa, indicando a Zach�r
dove mettersi, ma cos� vicino che quello gli si sarebbe quasi dovuto sedere sulle
ginocchia.
- Dove debbo venire? Posso sentire anche di qui, - ribatt� Zach�r, fermo
ostinatamente presso la porta.
- Avvicinati, ti ho detto! - disse minacciosamente Oblomov.
Zach�r fece un passo e si ferm� come un monumento, guardando fuori della finestra
le galline che giravano di qua e di l�, e offrendo agli occhi del padrone una delle
fedine grossa come una spazzola. Il'j� Il'�tch in un'ora sola s'era tanto mutato
per l'emozione da apparir dimagrito; gli occhi inquieti non stavano fermi.
�Adesso comincia!� pens� Zach�r, facendosi sempre pi� cupo.
- Come hai potuto fare al tuo padrone una domanda cos� insensata? - domand�
Oblomov.
�Ecco comincia�, continuava a pensare Zach�r, battendo gli occhi nell'angosciosa
attesa delle �parole spiacevoli�.
- Io ti domando come ti � potuta venire in mente una simile assurdit�? - ripet�
Oblomov.
Zach�r taceva.
- Senti o non senti? Perch� ti permetti non solo di pensare, ma perfino di
parlare?...
- Permettete, Il'j� Il'�tch, � meglio che chiami Anis'ja... - rispose Zach�r, e
fece un passo verso la porta.
- Io voglio parlare con te e non con Anis'ja, - ribatt� Oblomov. - Perch� hai
inventato un'assurdit� simile?
- Io non ho inventato nulla, - disse Zach�r. - Sono i servitori degli Il'inskij che
l'hanno raccontato.
- E a loro chi l'ha detto?
- E che so io? Katja l'ha detto a Sem�n, Sem�n a Nikita, Nikita a Vasilisa,
Vasilisa ad Anis'ja e Anis'ja a me... - disse Zach�r.
- Signore, Signore! Tutti! - disse Oblomov con terrore. - Tutto ci� � insensato,
assurdo, � una menzogna, � una calunnia, hai sentito? - disse Oblomov, battendo col
pugno sulla tavola. - Questo non pu� essere!
- Perch� non pu� essere? - lo interruppe indifferente Zach�r. - Una cosa di tutti i
giorni, un matrimonio. Non soltanto voi, tutti si sposano.
- Tutti! - disse Oblomov. - Sei maestro, tu, nel paragonarmi agli altri, a tutti!
Questo non pu� essere. Non �, e non � stato! Il matrimonio una cosa di tutti i
giorni: avete sentito? Che cos'� un matrimonio?
Zach�r cerc� di guardare Oblomov, ma vide gli occhi di questi furiosamente fissi su
di lui, e subito rivolse lo sguardo a destra, nell'angolo.
- Ascolta, io ti spiegher� di che si tratta: �Matrimonio, matrimonio�, comincia a
dire la gente che non ha nulla da fare, le donnette, i ragazzi, nelle botteghe, nei
negozi, ai mercati. Un tale finisce di chiamarsi Il'j� Il'�tch, oppure P�tr
Petrovitch, e si chiama il �fidanzato�. Ieri nessuno lo guardava e domani tutti gli
spalancano gli occhi in faccia come ad un imbecille qualunque. Non gli danno pace
n� a teatro, n� per la strada. �Ecco, ecco il fidanzato!� bisbigliano tutti. E
tutti quelli che lo avvicinano durante la giornata spiano l'occasione per fare una
faccia pi� stupida del solito, ecco, come l'hai tu in questo momento, - (Zach�r
svelto svelto port� di nuovo lo sguardo sulla corte), - e per dire qualche cosa pi�
sciocca del solito. Ecco, come comincia! E ogni giorno ti tocca andare fin dalla
mattina, come un disperato, dalla fidanzata, sempre in guanti gialli e con vestiti
nuovi fiammanti, e aver l'aria allegra, e non mangiare, non bere come si deve, ma
campare di vento e di fiori! E questo per tre, quattro mesi! Vedi! Posso io fare
una cosa simile?
Oblomov si ferm� e guard� se una simile descrizione degli inconvenienti del
fidanzamento agisse su Zach�r.
- Posso andare? - domand� Zach�r, voltandosi verso la porta.
- No, sta' fermo! Siccome sei maestro nel mettere in giro voci false, impara perch�
sono false.
- Che cosa debbo imparare? - domand� Zach�r guardando le pareti della camera.
- Tu hai dimenticato quanto il fidanzato e la fidanzata debbano correre di qua e di
l�, darsi da fare. E chi correrebbe per me dai sarti, dai calzolai, dai negozianti
di mobili, tu forse? Io non posso farmi a pezzi da cento parti. E tutti in citt� lo
saprebbero. �Oblomov si sposa, avete sentito?� - �Davvero? E chi sposa? Quando
saranno le nozze?� - diceva Oblomov, cambiando voce ogni volta. - Chiacchiere e
chiacchiere. Io mi tormento e solo per questo mi metter� a letto malato, e tu te ne
vieni fuori col matrimonio. Ed egli guard� di nuovo Zach�r.
- Debbo chiamare Anis'ja? - domand� Zach�r.
- Perch� Anis'ja? Sei tu, e non Anis'ja, che hai messa fuori questa supposizione
avventata.
- Ma per che colpa mi punisce il Signore, oggi? - mormor� Zach�r, sospirando con
tanta forza che gli si sollevarono le spalle.
- E le spese? - continuava Oblomov. - E i denari dove sono? Hai visto quanti ne ho?
- domand� egli quasi minaccioso. - E l'appartamento dov'�? Qui bisogna pagare mille
rubli, e per prenderne un altro pagare tremila rubli, e l'ammobiliamento quanto? E
la carrozza, il cuoco, tutto il necessario! Dove li piglio, io?
- Ma come si sposano gli altri che posseggono trecento anime? - ribatt� Zach�r, ma
se ne pent� subito perch� il padrone balz� su dal divano e quasi gli salt� addosso.
- E tu di nuovo con �gli altri!� Guarda! - disse egli, minacciandolo col dito. -
Gli altri vivono in due stanze sole, tutt'al pi� in tre: la stanza da pranzo e il
salotto, tutto qui; altri vi dormono perfino coi bambini accanto e tutta la servit�
si riduce a una ragazza. La padrona stessa va al mercato! Che forse Ol'ga Serg�evna
va al mercato?
- Ma al mercato potrei andarci io, - osserv� Zach�r.
- Tu sai quanto riceviamo dall'Obl�movka? - domand� Oblomov. - Hai sentito quel che
scrive lo "st�rosta"? �Duemila rubli di meno�. E bisogna costruire la strada,
mettere le scuole, andare ad Obl�movka; e l� non c'� dove vivere, la casa non c'�
ancora... Che matrimonio? Cosa t'� venuto in mente?
Oblomov si ferm�. Egli stesso era terrorizzato da questa prospettiva minacciosa,
senza scampo. Le rose, i fiori d'arancio, la festa brillante, il bisbiglio di
ammirazione nella folla, tutto ad un tratto si spense. Cambi� di colore e si
sprofond� nei suoi pensieri. Poi a poco a poco si riprese, si guard� intorno e vide
Zach�r.
- Che vuoi? - domand� cupo.
- Mi avete ordinato di non muovermi! - disse Zach�r.
- Va' via! - e impaziente Oblomov fece un movimento con la mano.
Zach�r rapidamente fece un passo verso la porta.
- No, fermati! - gli ordin� all'improvviso Oblomov.
- Ora debbo andare, ora restare! - brontol� Zach�r, tenendosi alla porta.
- Come hai osato mettere in giro su di me delle voci cos� insensate? - domand�
Oblomov con un sussurro agitato.
- Ma quando le ho messe in giro, Il'j� Il'�tch? Non sono stato io, ma i servitori
degli Il'inskij che han detto che il signore ha chiesto la mano...
- Ssss... - sibil� Oblomov, minacciando con la mano, - nemmeno una parola, mai! Hai
sentito?
- Ho sentito, - rispose timidamente Zach�r.
- Smetterai di diffondere simili sciocchezze?
- Smetter�, - rispose piano Zach�r, che non aveva capito nemmeno la met� delle
parole dette da Oblomov e sapeva solo che esse erano �spiacevoli�.
- E bada, se senti che ne parlano, di' che sono sciocchezze, che non c'� stato e
non ci pu� essere nulla! - aggiunse bisbigliando Oblomov.
- Va bene, - disse Zach�r in modo appena percettibile.
Oblomov si volt� a guardarlo e lo minacci� col dito. Zach�r ammiccava di continuo
con gli occhi spaventati e cercava di avvicinarsi alla porta in punta di piedi.
- Chi � stato il primo? - domand� Oblomov riafferrandolo.
- Katja l'ha detto a Sem�n, Sem�n a Nikita, - sussurr� Zach�r, - Nikita a
Vasilisa...
- E tu l'hai spifferato a tutti! Io ti... - sibil� Oblomov minaccioso. - Mettere in
giro delle calunnie sul padrone! Ah!
- Ma perch� mi tormentate con parole spiacevoli? - disse Zach�r: - io chiamo
Anis'ja: lei sa tutto...
- Che cosa sa? Parla, parla subito...
Zach�r in un attimo sgusci� fuori della porta e con straordinaria rapidit� arriv�
in cucina.
- Lascia la padella e va' subito dal signore! - disse ad Anis'ja indicandole la
porta col pollice. Anis'ja diede la padella ad Akulina, lev� fuori il lembo della
gonna che aveva ficcato nella cintola, si batt� con le palme delle mani sui fianchi
e, pulitosi con l'indice il naso, and� dal signore. In cinque minuti tranquillizz�
Il'j� Il'�tch, dicendo che nessuno aveva mai parlato di matrimonio. Lei avrebbe
potuto giurare, e fece atto di togliere l'immagine sacra dalla parete, che ne
sentiva parlare per la prima volta; al contrario aveva sentito dir tutt'altro, che
cio� il barone aveva domandata la signorina...
- Come il barone! - salt� su Il'j� Il'�tch, e gli si irrigid� non soltanto il
cuore, ma anche le braccia e le gambe.
- Ma anche questa � una sciocchezza! - si affrett� a dire Anis'ja, vedendo che era
caduta dalla padella nella brace, - � stata Katja che l'ha detto a Sem�n, e Sem�n a
Marfa, e Marfa ha confuso tutto e l'ha raccontato a Nikita, e Nikita ha detto:
�sarebbe bello se il vostro padrone Il'j� Il'�tch domandasse la signorina...�
- Che stupido quel Nikita! - not� Oblomov.
- Proprio uno stupido, - conferm� Anis'ja. - Pare che dorma anche quando siede
dietro la carrozza. Ma Vasilisa non ci ha creduto, - e in fretta in fretta essa
continu� a dire che quello glielo aveva detto il giorno dell'Assunzione, e a
Vasilisa la "njanja" aveva detto che la signorina non pensava a maritarsi, e che
era impossibile che il nostro padrone non si fosse gi� trovata da un pezzo una
fidanzata, se avesse voluto ammogliarsi, e che da poco tempo aveva veduto Samojlo,
il quale aveva proprio riso all'idea che ne potesse uscire un matrimonio. �C'� pi�
l'aria di un funerale che di un matrimonio - aveva detto - e la zia ha sempre mal
di capo e la signorina piange e sta zitta; e in casa non si prepara il corredo e la
signorina ha una quantit� di calze rotte e nessuno le rattoppa, e la settimana
scorsa hanno perfino impegnata l'argenteria...�
�Impegnata l'argenteria? Vuoi dire che nemmeno loro hanno denari!� pens� Oblomov,
scorrendo con lo sguardo spaventato tutte le pareti e fermando gli occhi sul naso
di Anis'ja, perch� non aveva su che altro fermarli. Sembrava che essa dicesse tutto
ci� non con la bocca, ma col naso.
- Guarda di non ripetere sciocchezze! - osserv� Oblomov, minacciandola col dito.
- Che sciocchezze! Io non ci penso neppure, - e le parole di Anis'ja crepitarono
come un ramo che brucia, - non c'� niente di niente, io lo sento oggi per la prima
volta, lo giuro davanti al Signore, che mi si possa aprir la terra sotto i piedi!
Mi sono meravigliata quando me l'avete detto, mi sono spaventata, ho perfino
tremato! Com'� possibile? Ma quale matrimonio? Ma non se lo � sognato nessuno! Io
non parlo con nessuno, sto sempre in cucina. E' un mese che non vedo i servi degli
Il'inskij, ho perfin dimenticato come si chiamano. E qui con chi dovrei
chiacchierare? Io parlo solo con la padrona delle cose di casa; con la vecchia non
� possibile parlare; ha la tosse ed � dura d'orecchi; Akulina � una stupidona e il
guardiano un ubriacone; restano solo i ragazzini: dovrei chiacchierare con quelli
l�? Io mi sono perfino dimenticata la faccia della signorina...
- Bene, bene! - disse Oblomov, facendole impazientemente cenno con la mano di andar
via.
- Come si pu� parlare quando non c'� nulla? - aggiunse ancora Anis'ja, uscendo. -
Nikita forse ha detto qualche cosa, ma per gli stupidi non ci son leggi. A me una
cosa simile non viene neppure in testa: lavoro tutto il giorno, io, ho altro da
pensare. Dio sa che roba �! Ecco, c'� un'immagine sacra al muro... - E qui il naso
parlante scomparve dietro la porta, ma il brontolio si continu� ancora a sentire
per un buon minuto.
- Ecco, ecco! Anche Anis'ja dice che � una cosa impossibile! - sussurr� Oblomov,
stringendo le mani l'una contro l'altra! - Felicit�, felicit�! - aggiunse poi
causticamente. - Come sei fragile e incerta! Il velo, la corona, l'amore, l'amore!
E i denari dove sono? Di che cosa vivere? Anche te bisogna comprare, o amore, o
pura felicit� legittima!
Da questo momento i sogni e la pace abbandonarono Oblomov. Cominci� a dormir male,
a mangiar poco, a guardar tutto cupo e distratto.
Aveva voluto spaventare Zach�r e s'era spaventato pi� di lui, quand'era penetrato
nel lato pratico del problema del matrimonio e aveva visto che questo �, certo, un
passo poetico, ma nello stesso tempo anche reale e ufficiale nella vera e grave
realt� e nella serie degli obblighi severi.
Non s'era immaginata cos� la conversazione con Zach�r. Si ricord� come avrebbe
voluto solamente annunziare a Zach�r le nozze e come aveva pensato che Zach�r
avrebbe gridato di gioia e gli si sarebbe gettato ai piedi; egli avrebbe regalato a
lui venticinque rubli e ad Anis'ja dieci...
Si ricord� tutto: e il fremito di felicit� che aveva provato allora, e la mano di
Ol'ga, e l'appassionato bacio di lei... e s'irrigid�: �E' tutto appassito, �
passato!� rison� una voce dentro di lui.
- E ora?...

5.
Oblomov non sapeva immaginare con quali occhi si sarebbe mostrato a Ol'ga, che cosa
ella gli avrebbe detto e che cosa avrebbe detto lui, e decise di non recarsi da lei
il mercoled�, rimandando l'incontro alla domenica, quando dagli Il'inskij si
sarebbero trovati degli ospiti ed egli non avrebbe avuto occasione di parlare con
lei da solo a sola.
Raccontarle delle stupide chiacchiere della gente non voleva per non agitarla con
un male irrimediabile, ma anche non dir niente gli era assai difficile: egli non
sapeva fingere ed ella gli avrebbe strappato tutto quel che egli avesse voluto
nascondere anche nei pi� profondi abissi dell'anima.
Presa questa decisione, egli si sent� un po' pi� tranquillo e scrisse in campagna
al vicino suo procuratore un'altra lettera, chiedendogli con insistenza di
affrettare la risposta e possibilmente una risposta soddisfacente.
Poi cominci� a pensare come impiegare quel lungo, insopportabile mercoled�, che
sarebbe stato invece, senza la sua decisione, cos� pieno della presenza di Ol'ga,
della invisibile conversazione delle loro anime e del canto di lei. Cos'era venuto
in mente a Zach�r di allarmarlo all'improvviso cos� fuori luogo!
Decise di andare da Iv�n Ger�simovitch e di pranzar con lui per accorgersi il meno
possibile del vuoto insopportabile della giornata. Quanto alla domenica, egli
avrebbe avuto il tempo di prepararsi e prima di quel giorno forse sarebbe arrivata
la risposta dalla campagna.
Arriv� anche il dopodomani. Lo svegli� il furioso saltare e abbaiare del cane alla
catena. Qualcuno entr� nella corte, domand� di qualcuno. Il portiere chiam� Zach�r.
Zach�r port� a Oblomov una lettera venuta con la posta.
- Dalla signorina Il'�nskaja, - disse Zach�r.
- Cosa ne sai tu? - domand� franco Oblomov: - menti!
- In campagna portavano sempre delle lettere cos� da parte di lei, - conferm�
Zach�r.
�Forse non sta bene? che vuoi dire questo?� pensava Oblomov, aprendo la lettera.
�Non voglio aspettare mercoled� (scriveva Ol'ga): mi annoio tanto quando non vi
vedo a lungo che domani vi aspetter� immancabilmente alle tre nel Giardino
d'Estate�.
Ecco tutto.
Di nuovo gli si sollev� l'inquietudine dal fondo dell'anima, di nuovo egli cominci�
ad agitarsi al pensiero di ci� che avrebbe detto ad Ol'ga e del modo come l'avrebbe
guardata. �Non son capace, non posso, - disse egli a se stesso. - Dovrei imparare
da Stolz�.
Ma si tranquillizz� al pensiero che probabilmente ella sarebbe venuta con la zia, o
con un'altra signora, con Mar'ja Sem�novna, per esempio, che le voleva tanto bene e
l'ammirava tanto. Sperava di poter nascondere in loro presenza la propria
perplessit� e si prepar� ad essere loquace e cortese.
�E che ora � andata a scegliere, proprio al momento del pranzo!� pens�, avviandosi,
un po' pigramente, verso il Giardino d'Estate.
Era appena entrato nel lungo viale che vide alzarsi da una panchina e andargli
incontro una donna con un velo. Egli non riconobbe affatto Ol'ga in lei: sola! non
poteva essere! Non si sarebbe decisa, non avrebbe avuto pretesti per uscir di casa.
Tuttavia... l'andatura sembra quella di lei: cos� leggermente e rapidamente si
muovono i suoi piedi, come se non facessero dei passi, ma sfiorassero la terra; lo
stesso collo e la stessa testa un po' piegata in avanti, come se i suoi occhi
cercassero qualche cosa sotto i piedi.
Un altro avrebbe potuto riconoscerla dal cappello, dal vestito, ma egli, anche dopo
essere stato con Ol'ga tutta una mattinata, non avrebbe saputo poi dire che
cappello e vestito ella portasse.
Nel giardino non c'� quasi nessuno; un signore anziano cammina svelto,
evidentemente fa del moto per salute: poi due... non dame, ma donne, una balia con
due bambini intirizziti a tal punto da avere il viso livido. Le foglie sono gi�
cadute e si vede tutto attraverso i rami; i corvi sono sugli alberi e gracchiano in
un modo cos� sgradevole. Del resto la giornata � bella, limpida, e, coprendosi
bene, si pu� anche star caldi.
La donna sotto il velo si avvicina sempre pi�...
- E' lei! - disse Oblomov e si ferm� impaurito, non credendo ai propri occhi.
- Come, tu? Che hai? - domand� egli prendendole una mano.
- Come sono contenta che sei venuto! - disse ella senza rispondere alla sua
domanda, - pensavo che non saresti venuto, cominciavo gi� ad aver paura!
- Ma come mai sei qui, in che modo? - continuava a domandar egli smarrito.
- Lascia stare; che sono tutte queste domande? E' noioso. Volevo vederti e sono
venuta, ecco tutto!
Ella gli stringeva forte la mano e lo guardava allegra, spensierata, cos�
evidentemente ed apertamente godendo il momento rubato al destino, ch'egli sent�
perfino l'invidia di non poter condividere il suo umore giocondo. Tuttavia per
quanto fosse preoccupato, non pot� per un istante non abbandonarsi anche lui,
vedendo il viso di lei, libero da quel pensiero concentrato che di solito giocava
nelle sue sopracciglia e si manifestava nella ruga della fronte; in questo momento
ella non gli appariva in quella meravigliosa maturit� di lineamenti che pi� d'una
volta lo aveva agitato. Il suo viso respirava una tale fiducia infantile nel
destino, nella felicit�, in lui... Ella era molto graziosa.
- Ah, come son contenta! Come son contenta! - ripet� ella sorridendo e guardandolo.
- Pensavo che oggi non ti avrei visto. Ieri mi ha presa a un tratto una tale
malinconia, non so perch�, e perci� ti ho scritto. E tu sei contento?
Ella gli gett� un'occhiata in viso.
- Perch� sei cos� imbronciato, oggi? Taci? Non sei contento? Io pensavo che sarebbe
impazzito di gioia e lui sembra dormire. Svegliatevi, signore, con voi c'� Ol'ga!
E, per rimproverarlo, lo spinse leggermente via da s�.
- Non stai bene? Che hai? - insisteva.
- No, sto bene e sono felice, - si affrett� egli a dire, affinch� le cose non
arrivassero al punto in cui ella gli avrebbe cavato dall'animo tutti i suoi
segreti. - Io sono soltanto preoccupato perch� sei sola...
- E' gi� la mia preoccupazione, - disse ella con impazienza. - Sarebbe stato meglio
se fossi venuta con "ma tante"?
- Meglio, Ol'ga...
- Se l'avessi saputo l'avrei pregata, - l'interruppe con tono offeso Ol'ga,
liberando la propria mano da quella di lui. - Io pensavo che per te non ci fosse
felicit� maggiore che restare un po' con me.
- Non c'� e non ci pu� essere! - rispose Oblomov. - Ma come mai sei sola...
- E' inutile parlarne tanto; parliamo piuttosto d'altro, - disse ella
spensieratamente. - Ascolta... Che cosa volevo dire? Ho dimenticato...
- Forse come mai sei venuta qui sola? - cominci� egli, guardandosi attorno
inquieto.
- Ah, no! Ripeti sempre lo stesso. Come non t'� venuto a noia! Che cosa volevo
dire? Non importa, lo ricorder� dopo. Ah, come si sta bene qui: tutte le foglie
sono cadute, "feuilles d'automne", ti ricordi Victor Hugo? L� c'� il sole, la
Neva... Andiamo verso la Neva, facciamo un giro in barca...
- Che dici! Fa tanto freddo ed io sono soltanto in cappotto ovattato...
- Anch'io ho soltanto un abito ovattato. Che importa! Andiamo, andiamo.
Ella correva e lo trascinava. Egli resisteva e brontolava. Eppure bisogn� mettersi
in barca e andare.
- Ma come mai sei venuta sola qui? - insisteva sempre inquieto Oblomov.
- Debbo raccontar come? - ella astutamente lo stuzzic� quando furono in mezzo al
fiume. - Adesso posso: tu di qui non puoi andar via; l� saresti scappato.
- E perch�? - cominci� egli sgomento.
- Domani verrai? - domand� ella, invece di rispondergli. �Ah, Dio mio! - pens�
Oblomov. - Come se mi avesse letto nel pensiero che non volevo andarci�.
- Verr�, - rispose ad alta voce.
- Fin dalla mattina, per tutto il giorno? Egli titub�.
- Allora non lo dir�, - disse ella.
- Verr� per tutto il giorno.
- Ecco, vedi... - cominci� ella seriamente, - io ti ho chiamato qui oggi per
dirti...
- Che cosa? - domand� egli spaventato.
- Per dirti... di venire domani da noi.
- Ah, Dio mio! - l'interruppe egli con impazienza. - Ma come sei venuta qui?
- Qui? - ripet� ella distratta. - Come son venuta qui? Sono venuta,
semplicemente... Aspetta... ma non vale la pena di parlarne!
Ella prese nella mano un po' d'acqua e gliela spruzz� in viso. Egli strinse gli
occhi e trasal�, mentre ella rideva.
- Che acqua fredda, la mano mi si � tutta gelata! Dio mio, come mi diverto, come si
sta bene! - continu� ella, guardando da tutte le parti. - Domani ci verremo di
nuovo, ma direttamente da casa...
- E adesso non sei venuta direttamente da casa? Di dove sei venuta? - domand� egli
in fretta.
- Da un negozio, - rispose ella.
- Da quale negozio?
- Come da quale negozio? Te l'ho gi� detto in giardino da quale...
- Non � vero, non me l'hai detto... - disse egli impaziente.
- Non l'ho detto! Strano. Ho dimenticato! Sono uscita di casa con un servitore per
andare dall'orefice...
- Ebbene?
- Ebbene, ecco... Che chiesa � quella? - domand� ella all'improvviso al barcaiolo,
indicando un punto lontano.
- Quale? Quella l�? - domand� il barcaiolo.
- E' il convento Smol'nyj! - disse Oblomov impaziente. - Allora, sei andata al
negozio e li?...
- L� ci sono delle belle cose... Ah, che braccialetto che ho visto!
- Non si tratta del braccialetto! - l'interruppe Oblomov: - che hai fatto dopo?
- Non c'� altro, - disse ella distratta, osservando il luogo intorno.
- E dov'� il servitore? - continu� Oblomov.
- E' andato a casa, - rispose ella appena, continuando a guardar gli edifici della
riva opposta.
- E tu che hai fatto? - disse egli.
- Come si deve star bene l�! Non ci si potrebbe andare? - domand� ella, indicando
con l'ombrello la riva opposta. - Tu abiti da quella parte, � vero?
- S�.
- In quale via? Fammi vedere.
- E il servitore? - domandava ancora Oblomov.
- L'ho mandato a prendere il braccialetto, - rispose ella con noncuranza. - Lui �
andato a casa, ed io sono venuta qui.
- Perch� hai fatto questo? - disse Oblomov, guardandola con gli occhi spalancati.
Egli aveva la paura dipinta sul viso. Ella finse di essere spaventata.
- Parla seriamente, Ol'ga, smetti di scherzare.
- Io non scherzo, � proprio cos�! - disse ella con calma. - Io ho dimenticato a
bella posta a casa il braccialetto e "ma tante" mi aveva chiesto di andare al
negozio. Tu certo non saresti stato capace d'inventare una cosa simile! - soggiunse
ella con orgoglio, come se avesse fatto qualche cosa di molto importante.
- E se il servitore ritorna? - domand� egli.
- Ho lasciato ordine di dirgli d'aspettarmi, che sono andata in un altro negozio, e
invece sono qua...
- E se Mar'ja Mich�jlovna ti domandasse in quale altro negozio sei stata?
- Dir� che sono stata dalla sarta.
- E se domandasse alla sarta?
- E se a un tratto la Neva andasse a finir nel mare? e se la barca si capovolgesse,
e se la via Morskaja e la nostra casa sprofondassero, e se all'improvviso tu non mi
volessi pi� bene... - disse ella e di nuovo gli schizz� l'acqua in viso.
- A quest'ora il servitore sar� tornato, aspetta... - disse egli, asciugandosi. -
Barcaiolo, torniamo!
- No, no! - ordin� ella al barcaiolo.
- Torniamo! Il servitore aspetta, - ripet� Oblomov.
- Che aspetti! Non torniamo ancora!
Ma Oblomov insistette e tornarono nel giardino, che attraversarono, lui in fretta,
lei invece, pian piano, appoggiandosi al suo braccio.
- Ma perch� ti affretti? - diceva ella. - Aspetta, voglio stare un po' con te.
Ella rallent� ancora di pi� il passo, stringendoglisi forte al fianco e guardandolo
di tratto in tratto proprio in viso, mentre egli le parlava grave e noioso di
doveri e di obblighi. Ella ascoltava distrattamente, con un sorriso languido, con
la testa chinata, lo sguardo in gi� o di nuovo fisso sul viso di lui, e pensava ad
altro.
- Ascolta, Ol'ga, - diceva egli solenne, - nonostante il timore di provocare la tua
irritazione e attirarmi i tuoi rimproveri, io debbo risolutamente dirti che siamo
andati troppo lontano. E' mio obbligo, mio dovere dirtelo.
- Dire che cosa? - domand� ella con impazienza.
- Che facciamo molto male a incontrarci di nascosto.
- Me l'hai gi� detto in campagna, - disse ella pensosa.
- S�, ma allora io non avevo il dominio di me: con una mano respingevo e con
l'altra trattenevo. Tu eri fiduciosa, ed io... era come se... come se ti
ingannassi... Allora era un sentimento ancora del tutto nuovo...
- E adesso non � pi� una novit� e tu cominci ad annoiarti.
- Ma no, Ol'ga, sei ingiusta. Nuovo, dico io, e perci� non c'era n� tempo n�
possibilit� d'essere ragionevoli. La coscienza mi uccide: tu sei giovane, conosci
poco il mondo e gli uomini e sei cos� pura, l'amore � per te cos� caro, che non ti
viene neppure in mente a quale severo biasimo andiamo incontro tutti e due per
quello che facciamo, specialmente io...
- Ma che facciamo? - domand� ella fermandosi.
- Come? Tu inganni la zia, esci di nascosto di casa, ti incontri a quattrocchi con
un uomo... Provati a dir tutto ci� domenica, in presenza degli ospiti...
- E perch� non dirlo? - ed ella pronunzi� le sue parole tranquillamente. - Forse lo
dir�...
- E vedrai, - continu� egli, - la zia avr� uno svenimento, le signore scapperanno,
e gli uomini ti guarderanno sfrontatamente.
Ella si fece pensosa.
- Ma non siamo forse fidanzati? - replic�.
- S�, s�, cara Ol'ga, - continu� egli, stringendole tutte e due le mani, - e perci�
tanto pi� severi e prudenti dobbiamo essere ad ogni nostro passo. Io voglio
portarti superbamente al mio braccio per questo viale, pubblicamente e non di
nascosto, in modo che gli sguardi si abbassino rispettosi davanti a te e non ti
fissino sfrontatamente, e a nessuno venga il sospetto che tu, creatura superba,
dimenticando e pudore ed educazione, possa aver perduta la testa e violati i tuoi
doveri...
- Io non ho dimenticato n� pudore, n� educazione, n� doveri, - rispose ella con
orgoglio, ritirando le mani.
- Lo so, lo so, angelo mio, ma questo non lo dico io; lo dir� la gente, il mondo, e
non te lo perdoner�. Cerca di capire, in nome di Dio, quel che io voglio. Io voglio
che anche agli occhi del mondo tu sia pura e irreprensibile come sei in realt�...
Ella camminava ora tutta immersa nei suoi pensieri.
- Cerca di capire a che scopo io ti dico ci�: tu sarai infelice e su me solo cadr�
la responsabilit�. Si dir� che ti ho trascinata, nascondendoti apposta l'abisso. Tu
con me sei pura e serena, ma chi potrai convincere che � cos�? Chi creder�?
- E' vero, - disse ella trasalendo. - Ascolta, dunque, - soggiunse risolutamente, -
diremo tutto a "ma tante" e domani lei ci benedir�.
Oblomov impallid�.
- Che hai? - domand� ella.
- Aspetta, Ol'ga: perch� tanta premura? - aggiunse egli in fretta.
Le labbra gli tremavano.
- Non sei stato proprio tu due settimane fa a farmi premura? -domand� ella,
guardandolo seccamente e attentamente.
- S�, ma io allora non avevo pensato ai preparativi, ed essi sono molti! - disse
egli sospirando. - Aspettiamo solo la lettera dalla campagna.
- Perch� aspettar questa lettera? Che dalla risposta dipende forse la tua
decisione? - domand� ella, scrutandolo ancora pi� attentamente.
- Che idea! No; ma tuttavia � necessario prendere in considerazione tante cose;
bisogner� pur dire alla zia quando avverranno le nozze. Con lei non parleremo di
amore, ma d'affari, ed io adesso non sono affatto preparato.
- Ne parleremo allora, quando riceveremo la lettera, ma intanto tutti sapranno che
siamo fidanzati, e ci vedremo ogni giorno. Mi annoio, - aggiunse ella, - mi danno
malinconia queste lunghe giornate d'attesa: tutti notano, mi fanno delle domande,
alludono maliziosamente a te... Tutto questo m'� venuto a noia!
- Alludono a me? - e Oblomov stent� a pronunziare queste parole.
- S�, grazie a S�nitchka.
- Ecco, vedi, vedi. E allora non mi hai dato retta, ti sei adirata.
- E che c'� da vedere? Non vedo nulla, vedo solo che sei un pauroso... Io non ho
paura di queste allusioni.
- Non sono pauroso, ma prudente. Ma andiamo via di qui, in nome di Dio, Ol'ga:
guarda, arriva una carrozza. Forse sono dei conoscenti! Ah! sono tutto sudato...
Andiamo, andiamo... - continu� egli Impaurito e comunicando la sua paura anche a
lei.
- S�, andiamo presto, - disse ella a bassa voce rapidamente.
E corsero quasi per il viale in fondo al giardino, senza dire una parola, Oblomov
guardando inquieto da tutte le parti, ed ella col capo profondamente chino e
coprendosi col velo.
- Allora domani, - disse ella, quando furono quasi vicini al negozio dove
l'aspettava il servitore.
- No, meglio dopodomani... o no, venerd�, o sabato, - rispose egli.
- Perch� dunque?
- Ma... vedi, Ol'ga... io spero sempre che possa arrivare la lettera.
- Va bene. Ma domani vieni a pranzo, hai sentito?
- S�, s�, bene, bene! - soggiunse egli in fretta, mentre ella entrava nel negozio.
�Ah, Dio mio, a che siamo arrivati! Che pietra m'� cascata addosso! Che debbo fare,
adesso? S�nitchka! Zach�r! Quei bellimbusti!...�

6.
Oblomov non si accorse neppure che Zach�r gli serv� il pranzo completamente freddo,
non si accorse di come dopo il pranzo si trov� a letto e si addorment� d'un sonno
duro come una pietra.
Il giorno dopo trasal� al pensiero di andare da Ol'ga: com'era possibile! Con
grande vivacit� si rappresent� il modo significativo con cui tutti l'avrebbero
guardato. Il portiere gi� lo salutava sempre in un modo particolarmente gentile.
Sem�n correva addirittura a rompicollo quando egli chiedeva un bicchier d'acqua.
Katja e la "njanja" lo seguivano sempre con un sorriso amichevole.
�Fidanzato, fidanzato!� era scritto sulla fronte di tutti, ed egli non aveva ancora
chiesto il consenso della zia, non aveva denari e non sapeva quando ne avrebbe
avuti, e neppure quanto gli avrebbe dato all'anno la sua propriet�; non aveva
neppure la casa in campagna; bel fidanzato davvero!
Decise cos� che, fino a che non avesse avuto notizie positive dalla campagna, si
sarebbe incontrato con Ol'ga solo la domenica, e in presenza d'altri. Perci�,
quando arriv� l'indomani, non pens� neppure a prepararsi fin dalla mattina ad andar
da lei. Non si fece la barba, non si vest�, sfogli� pigramente dei giornali
francesi, presi la settimana prima dagli Il'inskij, non guard�, come al solito,
continuamente l'orologio e non si imbronci� a veder le sfere andare innanzi cos�
lentamente.
Zach�r e Anis'ja, ritenendo che egli non avrebbe pranzato in casa, non gli avevano
nemmeno domandato che cosa preparare. Egli li strapazz� ben bene, dichiarando che
non ogni mercoled� pranzava dagli Il'inskij, che questa era una �calunnia�, che
egli pranzava da Iv�n Ger�simovitch e che da allora in poi, ad eccezione di qualche
domenica, non tutte, avrebbe pranzato in casa.
Anis'ja corse a gambe levate al mercato a comprare le regaglie d'oca per la
minestra preferita di Oblomov.
Intanto erano venuti da lui i figlioli della padrona: egli verific� le addizioni e
sottrazioni di Vanja e trov� due errori. A Masha tracci� le linee nel quaderno e
scrisse le maiuscole. Poi ascolt� il canto dei canarini e guard� dalla porta
socchiusa i gomiti della padrona che comparivano di tanto in tanto in gran
movimento.
Dopo l'una la padrona gli domand� da dietro la porta se non voleva un po'
d'antipasto: avevano preparate le "vatrushki" (Specie di frittelle fatte con
farina, zucchero, uova, ricotta e burro). Cos� portarono le "vatrushki" e un
bicchierino di vodka di ribes.
L'agitazione di Il'j� Il'�tch diminu� un poco, cedendo il posto ad una ottusit� di
pensiero che gli rimase fin quasi all'ora di pranzo. Dopo pranzo, non appena
sdraiato sul divano, cominci� a piegar la testa, sopraffatto dal sonno, la porta
che dava nelle stanze della padrona si apr� ed apparve Agaf'ja Matv�evna tenendo
sulle braccia due vere piramidi di calze.
Ella le pos� su due sedie e Oblomov salt� su e le offr� una terza sedia, ma ella
non si sedette: non era nelle sue abitudini; era sempre in piedi, sempre occupata e
in movimento.
- Ecco, oggi ho messo in ordine le vostre calze, - disse, - cinquantacinque paia,
ma quasi tutte rotte.
- Come siete buona, - disse Oblomov, avvicinandosi a lei e prendendola per ischerzo
leggermente pei gomiti.
Ella sorrise.
- Perch� vi disturbate? Mi sento davvero mortificato.
- Non � nulla, � affare delle massaie; voi non avete nessuno che possa tener la
vostra roba in ordine, e a me piace, - continu� ella. - Ecco, queste venti paia non
sono pi� buone a nulla, non vale nemmeno la pena di rattopparle.
- Buttatele via tutte, vi prego! perch� vi occupate di questi stracci? Posso
comprarne delle nuove...
- Buttarle? e perch�? A queste si possono mettere le punte nuove, - ed ella
cominci� a contar rapidamente le calze.
- Ma sedetevi, vi prego, perch� restate in piedi?
- No, grazie, non ho tempo di mettermi a sedere. Oggi da noi si fa il bucato;
bisogna preparare la biancheria.
- Voi siete un miracolo e non una padrona di casa! - disse egli fermandole gli
occhi sul petto e sul collo.
Ella sorrise.
- Allora che facciamo? facciamo far le punte nuove alle calze? Ordiner� filo e
cotone. C'� una vecchia che ce lo porta dalla campagna; qui non vale la pena di
comprarlo, � tutto marcio.
- Visto che siete cos� buona, fatemi questo favore, - disse Oblomov, - solo io sono
mortificato di darvi tutte queste noie.
- Non � nulla; e cosa si farebbe, altrimenti? Ecco, queste le accomoder� io stessa,
quest'altre le dar� alla nonna; domani verr� a star con noi per un po' di tempo mia
cognata: la sera non avremo nulla da fare e accomoderemo le calze. La mia Masha
comincia gi� a far la calza, solo si lascia sempre scappare i ferri: sono troppo
grandi per le sue mani.
- Davvero anche Masha comincia ad abituarsi? - domand� Oblomov.
- Ma s�, certo.
- Non so come ringraziarvi, - disse Oblomov, guardandola con quello stesso piacere
con cui la mattina aveva guardato le frittelle calde. - Vi ringrazio molto molto e
non rester� debitore, specialmente con Masha: le comprer� dei vestitini di seta, la
vestir� come una bambola.
- Ma che dite? Che gratitudine? Ma vi pare, dei vestitini di seta per Masha?
Nemmeno quelli di cotone resistono addosso a lei; sembra che bruci tutto,
specialmente le scarpe: non si fa nemmeno in tempo a comprarle al mercato e gi� son
consumate.
- Perch� tanta fretta? - disse egli. - Restate un po', io non sono occupato.
- Un'altra volta, un giorno di festa; e voi venite da noi a prendere il caff�,
fateci questo onore. Adesso si fa il bucato, vado a vedere se Akulina ha
cominciato...
- Bene, bene, non oso trattenervi, - disse Oblomov, seguendo con gli occhi la
schiena e i gomiti di lei.
- Ho tirato fuori dallo stanzino la vostra veste da camera, - continu� ella, - si
pu� accomodarla e lavarla: la stoffa � eccellente! Potr� servirvi ancora per un
pezzo.
- E' una cosa inutile! Io non la porto pi�, ne ho perduta l'abitudine, non mi serve
pi�.
- Non fa niente, � meglio lavarla. Forse l'indosserete ancora una volta... per le
nozze! - concluse ella ridendo e chiuse la porta.
Ad Oblomov pass� subito anche la voglia di dormire, aguzz� le orecchie e si
strofin� gli occhi.
�Anche lei sa, tutti! - disse fra s�, lasciandosi cadere sulla sedia preparata per
la padrona. - O Zach�r, Zach�r!�
Di nuovo si rivers� su Zach�r il torrente delle parole �spiacevoli�, di nuovo
Anis'ja ripet� con la sua voce nasale che per la prima volta sentiva parlar di
nozze dalla padrona, che conversando con lei non s'era mai detta una parola e che
le nozze non ci sarebbero state perch� era una cosa impossibile. E che doveva
averlo inventato il nemico del genere umano, �che gli possa sprofondar la terra
sotto i piedi�, e che la padrona era pronta a giurar sulle immagini sacre di non
aver mai saputo nulla della signorina Il'�nskaja e di aver pensato ad una fidanzata
cos�, in generale...
E Anis'ja disse tante cose che Il'j� Il'�tch la mand� via con un gesto della mano.
Il giorno dopo Zach�r si prov� a chiedere che lo si lasciasse andare nella vecchia
casa di via Gor�chovaja a trovare degli amici, ma Oblomov glieli diede lui gli
amici, per modo che quello scapp� a gambe levate.
- L� non sanno ancora nulla; bisogna quindi andarci a diffondere la calunnia!
Rimani a casa! - aggiunse Oblomov minacciosamente.
Pass� il mercoled�. Il gioved� Oblomov ricevette di nuovo per mezzo della posta una
lettera di Ol'ga che gli domandava che cosa era successo, perch� non s'era fatto
vedere. Scriveva che aveva pianto tutta la sera e la notte non aveva quasi dormito.
�Piange, non dorme, angelo mio! - esclam� Oblomov. - Signore! Perch� mi ama? Perch�
io l'amo? Perch� ci siamo incontrati? Colpa di Andr�j; � lui che ci ha inoculato
l'amore, come si fa col vaiuolo. E che vita � questa, tutte queste agitazioni,
quest'ansia! Quando verr� dunque la tranquilla felicit�, la pace?�
Si sdrai� sospirando rumorosamente, si alz� di nuovo, usc� perfino nella strada, e
sempre cercava e ricercava una norma di vita, una esistenza che avesse un contenuto
e nello stesso tempo scorresse tranquilla, giorno per giorno, una goccia dopo
l'altra, in una muta contemplazione della natura e nelle tranquille manifestazioni
successive di una vita familiare pacificamente animata. Egli non voleva
immaginarsela come un largo, rumoroso fiume irrompente e dalle onde ribollenti,
come se la rappresentava Stolz.
�Questa � una malattia, - pensava Oblomov, - un febbrone, come saltar dalle
cateratte di un fiume, dove le dighe sono state strappate via e minaccia
l'inondazione�.
Scrisse ad Ol'ga che nel Giardino d'Estate s'era un po' raffreddato, aveva dovuto
prendere qualche bevanda calda e restare un paio di giorni in casa, ma che adesso
era tutto passato e sperava di vederla domenica.
Ella gli rispose lodandolo perch� s'era riguardato, gli consigliava di restare in
casa anche la domenica se fosse stato necessario e aggiungeva che era disposta a
soffrire anche una settimana, purch� egli si riguardasse.
La risposta la port� Nikita, quello stesso che, a sentire Anis'ja, aveva la maggior
colpa delle chiacchiere messe in giro. Egli port� da parte della signorina dei
libri nuovi; ella gli chiedeva di leggerli e di dirle, al prossimo incontro, se ne
valeva la pena per lei.
Ella chiedeva risposta sulle condizioni della salute. Oblomov, scritta la risposta,
la consegn� personalmente a Nikita accompagnandolo egli stesso dall'anticamera
nella corte e seguendolo poi con gli occhi fino alla porta, affinch� a quello non
venisse in mente di andare in cucina a ripetere la �calunnia�, e Zach�r non potesse
accompagnarlo in istrada.
Egli si era rallegrato molto della proposta di Ol'ga di riguardarsi e di non andare
la domenica, e le aveva scritto che, veramente, per rimettersi del tutto, sarebbe
ancora dovuto restare qualche giorno in casa.
La domenica and� a far visita alla padrona, bevette il caff�, mangi� la pizza calda
e all'ora di pranzo mand� Zach�r sull'altra riva del fiume a comprare i gelati e i
confetti per i bambini.
A fatica Zach�r pot� riattraversare il fiume; i ponti erano gi� stati tolti perch�
la Neva cominciava a gelare. Oblomov non poteva nemmeno pensare ad andare il
mercoled� seguente da Ol'ga. Certo, gli sarebbe stato possibile recarsi adesso
sull'altra riva, stabilirsi per qualche giorno in casa di Iv�n Ger�simovitch e
pranzare ogni giorno da Ol'ga. Avrebbe avuto un pretesto plausibile: la Neva s'era
gelata ed egli non aveva fatto in tempo a riattraversarla. Questa fu la prima idea
di Oblomov e mise gi� le gambe dal divano ma, dopo aver pensato un po', col viso
preoccupato e con un sospiro, lentamente si sdrai� di nuovo al suo posto.
No, era meglio lasciare che le chiacchiere tacessero, che gli estranei che
frequentavano la casa di Ol'ga lo dimenticassero un po' e lo rivedessero poi ogni
giorno quando fosse stato ufficialmente fidanzato di Ol'ga.
�E' noioso aspettare, ma non c'� che fare�, aggiunse con un sospiro, accingendosi a
leggere i libri mandati da Ol'ga.
Lesse una quindicina di pagine. Masha venne a chiamarlo per domandargli se non
voleva andare a vedere come il fiume si gelava. Egli and� e torn� per l'ora del t�.
Cos� passavano i giorni. Il'j� Il'�tch si annoiava, leggeva, andava in istrada, e a
casa gettava delle occhiate alla padrona attraverso la porta e scambiava, dalla
noia, qualche parola con lei. Una volta le macin� perfino tre libbre di caff� e lo
fece con tanto zelo da averne la fronte umida di sudore.
Tent� di darle un libro. Ella, movendo lentamente le labbra, ne lesse sottovoce il
titolo e glielo restitu�, dicendo che l'avrebbe preso quando fossero arrivate le
feste di Natale e l'avrebbe fatto leggere ad alta voce da Vanja: cos� avrebbe
sentito anche la nonna; adesso non aveva tempo.
Intanto sulla Neva erano stati messi i ponticelli e un bel giorno il disperato
abbaiare del cane annunzio di nuovo l'apparizione di Nikita che portava ad Oblomov
un libro e una letterina in cui gli si chiedevano notizie della salute.
Oblomov temeva di dover subito andare per il ponticello sull'altra riva del fiume.
Non si fece vedere da Nikita e scrisse che gli era venuta una leggera infiammazione
alla gola per cui non si decideva ancora ad uscire, e che �il crudele destino lo
privava per qualche altro giorno della felicit� di vedere la sua cara Ol'ga�.
Ordin� energicamente a Zach�r di non permettersi di parlar con Nikita, segu� di
nuovo costui con gli occhi fino alla porta e minacci� Anis'ja col dito, quando
questa, cacciato il naso fuori della cucina, si accinse a domandar qualche cosa a
Nikita.

7.
Pass� una settimana. Oblomov, ogni mattina appena alzato, prima di tutto domandava
inquieto se erano stati rimessi a posto i ponti.
- Non ancora, - gli dicevano, ed egli passava la giornata tranquillamente,
ascoltando il "tic-tac" del pendolo, lo scricchiol�o del macinino da caff� e il
canto dei canarini.
I pulcini non pigolavano pi� perch� da un pezzo erano diventati polli anziani e si
nascondevano nei pollai. I libri mandatigli da Ol'ga non ebbe il tempo di leggerli:
il primo di essi, com'egli l'aveva posato a pagina centocinque, col dorso in aria,
cos� era rimasto gi� da parecchi giorni.
In compenso egli si occupava di pi� dei bimbi della padrona. Vanja era un ragazzine
molto intelligente, in tre volte aveva imparato le principali citt� d'Europa e
Il'j� Il'�tch aveva promesso di regalargli, non appena sarebbe andato in citt�
sull'altra riva del fiume, un piccolo mappamondo; M�shen'ka gli aveva orlato tre
fazzoletti: - male, � vero, ma in compenso era cos� divertente vederla lavorare con
le sue piccole manine. Per di pi� correva a fargli vedere quasi ogni centimetro del
suo lavoro. Con la padrona Oblomov conversava continuamente, non appena ne scorgeva
i gomiti attraverso la porta socchiusa. Dal movimento dei gomiti egli sapeva gi�
distinguere che cosa ella faceva: se maneggiava il setaccio, se macinava, se
stirava.
Aveva perfino tentato di attaccare discorso con la nonna, ma questa non portava mai
a termine una conversazione: si fermava a met� della parola, si appoggiava col
pugno contro il muro, si piegava in gi� e cominciava a tossire, come se compisse un
lavoro pesante, poi un bel oh!, e cos� finiva la conversazione. Soltanto il
fratello della padrona non vedeva affatto, o vedeva come rapidamente compariva e
scompariva il pacco di carte sotto il suo braccio davanti alle finestre; in casa
non lo si sentiva per nulla. E se per caso Oblomov entrava nella stanza dove essi
pranzavano stretti stretti come un mucchio solo, egli si puliva alla svelta le
labbra con le dita e si nascondeva nella sua stanzetta sotto il tetto.
Un giorno, quando Oblomov s'era appena svegliato senza preoccupazioni e aveva
cominciato a bere il caff�, all'improvviso Zach�r annunzio che i ponti erano stati
rimessi a posto. Il cuore di Oblomov batt� forte.
�E domani � domenica, - si disse, - bisogna andare da Ol'ga, sopportare
tormentosamente tutto il giorno gli sguardi curiosi e significativi degli estranei
e poi dichiarare ad Ol'ga quando ho intenzione di parlar con la zia�.
Ed era sempre nella stessa impossibilit� di andare avanti.
Si rappresent� al vivo come sarebbe stato reso ufficiale il fidanzamento, come nei
giorni seguenti sarebbero arrivati una quantit� di signori e signore, ed egli
sarebbe diventato un oggetto di curiosit�, come avrebbero dato il pranzo ufficiale
e bevuto alla sua salute. Poi... poi, per diritto e dovere di fidanzato, egli
avrebbe portato alla fidanzata un regalo...
�Un regalo!� disse a se stesso con terrore e scoppi� in un'amara risata.
Un regalo! E non aveva in tasca che duecento rubli! Anche se il denaro fosse stato
mandato, ci� sarebbe avvenuto solo per Natale, e forse anche pi� tardi, quando il
grano fosse stato venduto; e quando sarebbe stato venduto e quanto ce ne fosse e
che somma se ne sarebbe potuta ricavare, tutto questo doveva spiegare la lettera
dalla campagna, e questa lettera non arrivava. Come fare? Addio, tranquillit� di
quindici giorni!
Tra queste preoccupazioni gli si presentavano il bellissimo viso di Ol'ga e le
vellutate, folte sopracciglia di lei, cos� loquaci, e quei suoi intelligenti occhi
grigio-azzurri, e tutta la testolina e la treccia che ella lasciava scendere cos�
bassa sulla nuca e che completava la nobilt� di tutta la figura, dalla testa alle
spalle e alla cintola.
Ma bastava solo che egli cominciasse a palpitare d'amore che subito, come una
pietra, lo schiacciava il grave pensiero: che fare? come affrontare la questione
del matrimonio, dove prendere il denaro, come vivere poi?... �Aspetter� ancora,
forse domani o domani l'altro arriva la lettera�. E si rimetteva a calcolare quando
la sua lettera poteva essere arrivata al paese, quanto tempo poteva aver indugiato
il vicino a rispondere e quanto tempo occorreva per l'arrivo della risposta.
�Dovrebbe essere qui fra tre, quattro giorni; aspetter� ancora ad andare da Ol'ga�,
decise, tanto pi� che probabilmente ella poteva non sapere che i ponti erano a
posto...
- Katja, i ponti sono a posto? - domandava appena svegliata quella stessa mattina
Ol'ga alla cameriera.
E questa domanda s'era ripetuta fino ad allora tutti i giorni. Oblomov non lo
sospettava.
- Non so, signorina; non ho ancora visto n� il cocchiere n� il portiere e Nikita
non sa.
- Tu non sai mai quello che mi serve! - disse Ol'ga malcontenta, sdraiata nel letto
e osservando la catenina che aveva al collo.
- Vado subito a domandare, signorina. Non ho osato uscire, pensando che vi sareste
svegliata, se no avrei gi� fatto una corsa -. E Katja spar�.
Ol'ga apr� il cassetto del comodino e prese l'ultimo biglietto di Oblomov. �E'
malato, poverino, - pens� preoccupata, - � solo, si annoia... Ah, Dio mio, quanto
durer� ancora...�
Non riusc� a finire il pensiero che Katja, tutta rossa in viso, entr� di volo in
camera.
- Sono a posto, sono a posto, da questa notte! - disse gioiosamente e prese tra le
braccia la signorina che svelta svelta era saltata gi� dal letto, le infil� una
blusa e le avvicin� le minuscole pantofole. Ol'ga apr� rapidamente un cassetto, ne
cav� fuori qualcosa che fece passare tra le dita di Katja e questa le baci� la
mano. Tutto ci�: il salto dal letto, il passaggio della moneta e il bacio della
mano si sussegu� in un attimo. �Ah, domani � domenica, che fortuna! Egli viene!�
pens� Ol'ga e si vest� svelta svelta, bevette il t� in fretta e con la zia and� a
far delle spese.
- "Ma tante", domani andiamo a Messa nel monastero Smol'nyj ? - domand� alla zia.
La zia aggrott� un po' le ciglia, riflette, poi disse:
- Va bene; per� � molto lontano, "ma ch�re". Che ti viene in mente, d'inverno!
Ad Ol'ga era venuto in mente soltanto perch� Oblomov le aveva mostrato quella
chiesa dal fiume ed ella voleva pregare l�... per lui, perch� egli guarisse subito,
perch� l'amasse, fosse contento di lei... e finisse presto quell'indecisione,
quell'incertezza... Povera Ol'ga!
E arriv� la domenica. Ol'ga seppe fare in modo che tutto il pranzo venisse
preparato secondo il gusto di Oblomov.
Ella indoss� un abito bianco, nascose sotto i merletti il braccialetto che egli le
aveva regalato, si pettin� come piaceva a lui. Il giorno prima aveva fatto
accordare il pianoforte e durante la mattina prov� la "Casta diva". La voce era
sonora, come non era pi� stata dopo la villeggiatura. Poi cominci� ad aspettare.
Il barone la trov� in questa attesa e le disse che s'era fatta pi� bella, come
durante l'estate, ma che era dimagrita un poco.
- La mancanza dell'aria di campagna e un piccolo disordine nel vostro sistema di
vita hanno evidentemente agito su di voi, - disse egli. - Cara Ol'ga Serg�evna, voi
avete bisogno dell'aria dei campi e della campagna.
Egli le baci� la mano pi� volte e i suoi baffi tinti le lasciarono perfino una
macchiolina sulle dita.
- S�, la campagna, - rispose ella pensierosa, ma non a lui, sibbene a qualcuno,
nell'aria.
- "A propos" di campagna, - egli soggiunse, - il mese venturo il vostro affare sar�
finito, ed in aprile potrete andare nella vostra tenuta. Non � grande, ma la
posizione � divina! Sarete contenta. Che casa! E il giardino! C'� un padiglione sul
colle; ve ne innamorerete. La vista sul fiume... voi non potete ricordarvene,
avevate cinque anni, quando il vostro babbo ne part� e vi port� via.
- Ah, come sar� felice! - disse ella e si fece di nuovo pensierosa. �Adesso �
deciso, - pens�, - andremo l�, ma egli non lo sapr� prima che...�
- Il mese venturo, barone? - domand� vivacemente. - Certo?
- Come � certo che voi siete bella sempre, ma oggi in particolare, - disse egli e
si rec� dalla zia.
Ol'ga rimase a sedere e cominci� a sognare la sua prossima felicit�, ma decise di
non parlare ad Oblomov di questa novit� e dei suoi piani di avvenire. Voleva
seguire fino alla fine come nell'anima pigra di lui l'amore avrebbe compiuto il suo
rivolgimento, com'egli si sarebbe liberato del giogo dell'infingardaggine e piegato
alla prossima felicit�, e, ricevuta una risposta favorevole dalla campagna, sarebbe
corso, volato a lei raggiante e le avrebbe deposto la lettera ai piedi e tutti e
due, a gara, si sarebbero precipitati dalla zia, e... Allora ella gli avrebbe detto
che anche lei aveva una propriet� in campagna, un giardino, un padiglione con la
vista sul fiume e una casa, completamente pronta per viverci, cosicch� prima
sarebbero andati l� e poi ad Obl�movka. �No, non voglio che arrivi una risposta
favorevole, - pens� ella, - egli sar� superbo e non si rallegrer� neppure a sentire
che io ho una mia propriet�, una casa, un giardino... No, meglio che venga agitato
da una lettera spiacevole, a dire che in campagna tutto � in disordine, che deve
recarcisi egli stesso. Egli partir� in fretta e furia, dar� alla svelta tutte le
disposizioni necessarie, dimenticher� molte cose, non sapr� come fare e ritorner�
indietro e all'improvviso sapr� che non c'era bisogno di correre, che abbiamo una
casa, un giardino e un padiglione con la vista sul fiume e che si pu� vivere anche
senza l'Obl�movka... S�, s�, ella non glielo dir� a nessun costo, resister� fino
alla fine; che vada pure l�, che si muova, si agiti, tutto per lei, in nome della
futura felicit�! Oppure, no: perch� mandarlo in campagna, separarsi? No, quando
egli verr� in abito da viaggio, pallido e triste, a salutarla per quel mese di
separazione, ella ad un tratto gli dir� che non � necessario partire fino
all'estate: allora partiranno insieme...�
Cos� ella sognava, e corse dal barone per avvertirlo che non doveva per ora parlare
con "nessuno", decisamente con "nessuno", di quella novit�. Si capisce che con
"nessuno" ella intendeva soltanto Oblomov.
- Va bene, va bene, perch� parlarne? - conferm� egli. - Forse solo a "monsieur"
Oblomov, se capita il discorso...
Ol'ga si trattenne e disse con indifferenza:
- No, non lo dite nemmeno a lui.
- La vostra volont�, come sapete, � legge per me... - aggiunse il barone
gentilmente.
Ella non era priva di malizia. Se aveva gran desiderio di gettare uno sguardo ad
Oblomov in presenza d'altri, prima guardava consecutivamente altre tre persone e
poi lui.
Quante preoccupazioni, e tutto per Oblomov! Quante volte si accesero le due
macchioline sulle sue guance! Quante volte tocc� ella ora questo, ora quel tasto
del pianoforte per vedere se era stato bene accordato, quante volte cambi� di posto
alle carte di musica. Ed egli non veniva! Che voleva dir ci�?
Le tre, le quattro, ed egli non veniva! Alle quattro e mezzo la sua bellezza ed il
fiore delle sue guance cominciarono a scomparire; ella si fece cupa e quando
sedette a tavola era tutta pallida.
E gli altri nulla: nessuno notava nulla, tutti mangiavano la pietanza preparata per
lui, conversavano cos� allegramente, indifferentemente.
Egli non venne n� dopo pranzo, n� la sera. Fino alle dieci Ol'ga fu agitata dalla
speranza, dalla paura; alle dieci si ritir�.
Prima scaric� su di lui mentalmente la bile che si era accumulata nel suo cuore;
non uno dei sarcasmi mordaci e delle parole roventi del suo vocabolario ella gli
risparmi� nel pensiero come punizione. Poi ebbe l'impressione che il suo organismo
fosse invaso dal fuoco, poi dal gelo.
�Egli � malato, � solo; non pu� neppure scrivere...� quest'idea balen� nella sua
mente e, impadronitasi di lei, non la lasci� dormire tutta la notte. Si assop� come
febbricitante verso le due, vaneggi�, ma la mattina dopo, sebbene pallida, era
tranquilla e decisa.
Il luned� mattina la padrona guard� nello studio di Oblomov e disse:
- C'� una ragazza che domanda di voi.
- Di me? Non pu� essere! - rispose Oblomov. - Dov'�?
- Eccola: si � sbagliata ed � venuta per la nostra scala. Posso farla entrare?
Oblomov non sapeva ancora che cosa decidere, quando si vide innanzi Katja. La
padrona usc�.
- Katja! - esclam� egli sorpreso. - Come mai? Che c'�?
- La signorina � qui, - ella bisbigli�, - ha ordinato di domandare...
Oblomov cambi� colore.
- Ol'ga Serg�evna! - bisbigli� egli terrorizzato. - Non pu� essere. Katja, tu
scherzi! Non tormentarmi!
- E' la verit�: la signorina si � fermata in una vettura d'affitto davanti al
magazzino del t� ed aspetta; vuoi venire qui. Mi ha mandato a dirvi di allontanare
Zach�r. Tra mezz'ora sar� qui.
- Vado io da lei, � meglio. Come pu� venire qui Ol'ga Serg�evna?
- Non fareste a tempo. La signorina pu� arrivare da un momento all'altro. Lei crede
che voi siate malato. Addio, corro via: lei � sola, mi aspetta... - E usc�.
Oblomov con una rapidit� straordinaria si mise la cravatta, il panciotto, le
scarpe, e chiam� Zach�r.
- Zach�r, qualche giorno fa mi hai domandato di andare a trovar qualcuno sull'altra
riva, alla Gor�chovaja; vacci adesso! - disse Oblomov, in una agitazione febbrile.
- Non ci vado! - disse deciso Zach�r.
- Vacci e subito! - insistette Oblomov.
- Da chi volete che vada in giorno feriale? Non ci andr�! - disse testardo Zach�r.
- Va' e divertiti, non t'incaponire, dal momento che il padrone ti usa la cortesia
di lasciarti andare... vattene dai tuoi amici!
- Belli amici!
- Che non vuoi andare con loro?
- Sono furfanti tali, che non li vorrei nemmeno vedere un'altra volta.
- Va' dunque, va'! - insistette ancora Oblomov, e il sangue gli sal� alla testa.
- No, oggi resto in casa tutto il giorno. Ci andr� forse domenica prossima! -
rifiut� indifferente Zach�r.
- No, adesso e subito! - gli fece premura Oblomov agitato. - Tu devi...
- Ma dove me ne vado cos� senza ragione? - ribatt� Zach�r. - Va' a passeggiare un
paio d'ore: hai un grugno cos� assonnato; va' a pigliare un po' d'aria.
- Il mio grugno � quel che �, come l'abbiamo sempre noialtri,
- disse Zach�r, guardando pigramente dalla finestra. �Ah, mio Dio, lei sta per
venire!� pens� Oblomov, asciugandosi il sudore della fronte.
- Va' dunque a passeggiare, quando ti si prega! Ecco, prendi, son venti copeche:
va' a bere un bicchiere di birra con un amico.
- Piuttosto rimango sul pianerottolo; dove me ne vado con questo gelo? O meglio, me
ne sto un po' sul portone, questo s�...
- No, lontano dal portone, - disse vivacemente Oblomov, - vattene nell'altra
strada, a sinistra, in giardino, dall'altra parte.
�Ma che roba � questa? - pens� Zach�r, - mi manda a passeggiare; ma una cosa simile
non s'� mai vista�.
- Meglio domenica, Il'j� Il'�tch...
- Te ne vai o no? - disse Oblomov, avvicinandoglisi coi denti stretti.
Zach�r scomparve e Oblomov chiam� Anis'ja.
- Va' al mercato, - le disse, - e compra quel che occorre per il pranzo...
- Ho gi� comprato tutto; presto sar� pronto... - cominci� il naso.
- Taci e ubbidisci! - grid� Oblomov in modo tale che Anis'ja si spavent�.
- Compra... degli asparagi... - concluse egli, non sapendo che cosa ordinarle di
comprare.
- Ma adesso dove li trovo gli asparagi, "b�tjushka"?
- Marsc! - grid� egli ed ella corse via. - Corri quanto pi� puoi, - le grid� egli
appresso, - e non ti guardare indietro e torna quanto pi� piano puoi, non mostrare
il naso qui prima di due ore.
- Ma che roba � questa! - disse Zach�r ad Anis'ja, incontrandola sul portone. - Mi
ha mandato a passeggiare, mi ha dato venti copeche. Dove vado a passeggiare?
- E' affare del signore, - osserv� la sagace Anis'ja. - Va' da Artemij, il
cocchiere del conte, e offrigli il t�; lui ti offre sempre da bere, io intanto
corro al mercato.
- Ma che roba � questa, Artemij ? - anche a lui Zach�r rivolse la stessa domanda. -
Il signore mi ha mandato a passeggiare e mi ha pagato da bere...
- Che non abbia pensato lui di prendere una sbornia? - disse furbescamente Artemij,
- cos� ha dato qualche cosa anche a te perch� non lo invidiassi. Andiamo! - Egli
ammicc� a Zach�r e con la testa accenn� una certa strada.
- Andiamo! - ripet� Zach�r e anche lui accenn� col capo la stessa strada.
- Ma che cosa strana: mandare a passeggiare! - disse egli rauco fra di s�,
sogghignando.
Se ne andarono, e Anis'ja, dopo essere corsa fino al primo crocevia, si sedette
dietro la siepe, in un fossato, e aspett� quel che sarebbe avvenuto.
Oblomov spiava e aspettava: ecco, qualcuno ha tirato l'anello del portone e nello
stesso tempo comincia l'abbaiare del cane che salta legato alla catena.
- Maledetto cane! - e Oblomov digrign� i denti, prese il berretto e corse verso il
portone, l'apr� e condusse Ol'ga quasi fra le braccia fino al pianerottolo. Ella
era sola. Katja l'aspettava nella vettura, poco lontano.
- Non sei malato? Non sei a letto? Ma che hai? - domand� ella in fretta, senza
togliere n� il mantello n� il cappello e osservandolo da capo a piedi, quando
entrarono nello studio.
- Adesso sto meglio, l'infiammazione alla gola � passata... quasi del tutto, -
disse egli, toccandosi e tossendo leggermente.
- Perch� ieri non sei venuto? - domand� ella, guardandolo con uno sguardo cos�
penetrante che egli non pot� nemmeno dire una parola.
- Ma come ti sei decisa, Ol'ga, a fare un passo simile? - disse spaventato. - Ma
sai tu quello che fai?...
- Di questo parleremo poi! - l'interruppe ella impaziente. - Io ti domando: che
cosa significa che non ti fai vedere?
Egli taceva.
- Hai avuto un orzaiolo? - domand� ella.
Egli taceva.
- Tu non sei stato malato, non hai avuto male alla gola, - disse ella, muovendo le
sopracciglia.
- No, - rispose Oblomov con la voce di uno scolaretto.
- Mi hai ingannata! - e lo guard� sbalordita. - Perch�?
- Io ti spiegher� tutto, Ol'ga, - si giustific� egli, - una ragione importante mi
ha costretto a non venire per due settimane... io ho avuto paura...
- Di che? - domand� ella, sedendosi e togliendosi mantello e cappello.
Egli prese l'uno e l'altro e li mise sul divano.
- Delle sciocchezze, dei pettegolezzi...
- E non hai avuto paura che io non dormissi stanotte e pensassi Dio sa cosa e mi
ammalassi? - disse ella, scrutandolo col suo sguardo indagatore.
- Tu sai, Ol'ga, quel che avviene in me qui, - disse egli, indicando il cuore e la
testa. - Io sono tutto agitato, � come se ardessi. Non sai quel che � successo?
- Che cosa ancora � successo? - domand� ella freddamente.
- Quanto si sono diffuse le voci sul conto tuo e mio? Io non volevo agitarti e ho
avuto paura di mostrarmi.
Egli le raccont� tutto quel che aveva saputo da Zach�r, da Anis'ja, ricord� la
conversazione dei due bellimbusti in teatro e concluse dicendo che da quel momento
non aveva dormito pi�, in ogni sguardo vedendo una domanda o un rimprovero o una
maliziosa allusione ai loro convegni.
- Ma abbiamo pure deciso di parlare in questa settimana con ma tante, - rispose
ella, - queste chiacchiere cesseranno subito.
- S�, ma io non volevo parlare con la zia prima di aver ricevuta la lettera. Io so
che la zia non mi domander� del mio amore, ma della mia propriet�, vorr� avere dei
particolari, ed io non ne posso dir nulla fino a che non ricevo una risposta dal
mio procuratore.
Ella sospir�.
- Se io non ti conoscessi, - disse soprappensiero, - Dio sa che cosa potrei
pensare. Aver paura di agitarmi con le chiacchiere dei servi, e non aver paura di
darmi delle ansie! Io finisco col non capirci pi�.
- Io pensavo che le chiacchiere ti avrebbero agitata. Katja, Marfa, S�men e
quell'imbecille di Nikita, Dio sa cosa dicono...
- Lo so da un pezzo quel che dicono, - disse ella indifferente.
- Come lo sai?
- Cos�. Katja e la "njanja" da un pezzo me l'hanno detto; esse mi domandano di te e
mi han fatte le loro congratulazioni...
- Davvero ti han fatto le congratulazioni? - domand� egli spaventato. - E tu che
hai detto?
- Niente, ho ringraziato; ho regalato un fazzoletto alla "njanja" che mi ha
promesso di andare a piedi al convento di San Sergio. Io ho promesso a Katja di
interessarmi di lei e di darla sposa al pasticciere: anche lei ha il suo romanzo...
Egli la guard� con occhi meravigliati e spaventati.
- Tu vieni ogni giorno da noi, � naturale che i servi ne parlino, - aggiunse ella,
- sono sempre i primi. Con S�nitchka fu lo stesso: perch� ti spaventi tanto?
- Ecco di dove vengono le voci! - disse egli lentamente.
- Sono forse infondate? Non � la verit�?
- La verit�! - ripet� Oblomov n� interrogativamente n� affermativamente. - S�, -
aggiunse dopo un po', - infatti � la verit�: solo, io non voglio che essi sappiano
dei nostri incontri; � di questo che ho paura...
- Hai paura, tremi come un bambino... Non capisco! Che mi rapisci, forse?
Egli fu imbarazzato; ella lo guardava attentamente.
- Ascolta, - disse ella, - qui c'� qualche menzogna, qualche cosa che non va...
Vieni qui e dimmi tutto ci� che hai nella mente. Tu avresti potuto non venire un
giorno, due, una settimana per prudenza, ma mi avresti avvertita, mi avresti
scritto. Io non sono una bambina, tu lo sai, e non mi si confonde tanto facilmente
con una sciocchezza. Che cosa significa tutto ci�?
Egli pens�, poi le baci� la mano e sospir�.
- Ecco, Ol'ga, quel che penso, - disse egli, - la mia fantasia durante tutto questo
tempo � stata spaventata per te da tutti questi orrori, la mia mente � cos�
logorata dalle preoccupazioni, il cuore cos� malato, ora per il riaccendersi delle
speranze, ora per il loro dileguare, ora per l'attesa, che tutto il mio organismo
ne � sconvolto: � come intorpidito ed ha bisogno di calma, sia pure temporanea...
- Ma perch� il mio organismo non � intorpidito ed io cerco la calma presso di te?
- Tu hai forze fresche, giovani ed ami serenamente, tranquillamente, ed io... ma tu
sai come ti amo! - disse egli inginocchiandosi davanti a lei e baciandole le mani.
- No, lo so poco, tu sei cos� strano che io mi perdo in supposizioni; la mente mi
si spenge e cos� la speranza... presto finiremo col non capirci pi�: ecco il male.
Tacquero tutti e due.
- Che cosa hai fatto in questi giorni? - domand� ella, dando per la prima volta
un'occhiata alla stanza. - Non � bello qui da te; che camere basse! Le finestre
piccole, le tende vecchie... Dove sono le altre stanze?
Egli si affrett� a mostrarle l'appartamento per soffocare la domanda su quel che
avesse fatto in quei giorni. Poi ella si sedette sul divano, egli si mise sul
tappeto, ai suoi piedi.
- Che cosa hai fatto in queste due settimane? - domand� ella di nuovo.
- Ho letto, scritto, pensato a te.
- Hai letto i miei libri? Dove sono? Me li riprendo.
Ella prese dalla tavola il libro e guard� la pagina aperta: era coperta di polvere.
- Tu non hai letto! - disse ella.
- No, - rispose egli.
Ella guard� i cuscini sgualciti, tutto il disordine della camera, le finestre
polverose, la scrivania, tocc� un paio di fogli di carta coperti di polvere, mosse
la penna nel calamaio secco e guard� Oblomov con sorpresa.
- Che cosa hai fatto? - ripet�. - Tu non hai n� scritto n� letto.
- Ho avuto poco tempo, - cominci� egli balbettando: - la mattina, quando ti alzi,
fanno le camere e ti disturbano, poi si comincia a parlar del pranzo, poi vengono i
bambini della padrona e ti chiedono di rivedere i loro compiti, poi si pranza. Dopo
pranzo... quando potevo leggere?
- Tu hai dormito dopo pranzo, - disse ella cos� categoricamente che, dopo un
momento di indecisione, egli rispose piano:
- Ho dormito...
- E perch�?
- Per ammazzare il tempo: tu non eri con me. Ol'ga, e la vita � noiosa,
insopportabile senza di te...
Egli si ferm�, mentre ella lo guardava severamente.
- Il'j�, - disse gravemente. - Ricordi quando nel parco dicesti che in te s'era
accesa una nuova vita, assicurasti ch'io sono lo scopo della tua vita, il tuo
ideale, e mi prendesti per la mano e dicesti ch'essa era tua? ricordi come io ti
dissi di s�?
- Che � forse possibile dimenticare? Ci� non ha mutato tutta la mia vita? Non vedi
come sono felice?
- No, non lo vedo; tu mi hai ingannata, - disse ella freddamente, - tu ti sei di
nuovo lasciato andare...
- Ingannata! Ma � un peccato dire una cosa simile! Dio mi � testimonio, io mi
butterei sul momento in un abisso!...
- S�, se l'abisso fosse qui, sotto i piedi, in questo momento, - ella lo
interruppe; - ma rimandando di tre giorni, ci ripenseresti su, ti spaventeresti,
specialmente se Zach�r e Anis'ja cominciassero a far chiacchiere... Questo non �
amore.
- Tu dubiti del mio amore? - disse egli con calore. - Tu credi che io indugi perch�
temo per me e non per te? Ma non circondo io il tuo nome come di una muraglia, non
ti proteggo come una mamma perch� nulla sfiori il tuo orecchio... Ah, Ol'ga!
Chiedimi delle prove! Ti ripeto che, se tu con un altro potessi essere pi� felice,
io senza mormorare cederei i miei diritti; se fosse necessario morire per te,
morirei con gioia! - disse egli con le lacrime agli occhi.
- Ma tutto ci� � inutile, nessuno lo chiede! Perch� sacrificar la vita? Fa' quel
che � necessario! E' una manovra degli uomini scaltri offrire sacrifici inutili o
irrealizzabili, per non fare quelli necessari. Tu non sei scaltro, lo so, ma...
- Tu non sai quanta salute mi son costate queste sofferenze e preoccupazioni! -
continu� egli. - Io non ho altro pensiero da che ti conosco... S�, anche adesso, ti
ripeto, tu sei lo scopo della mia vita, e tu soltanto. Se tu non rimani con me,
muoio o impazzisco. Io adesso respiro, guardo, penso e sento solo attraverso di te!
Perch� meravigliarsi se mi addormento e cado nei giorni in cui non ti vedo? Tutto
mi disgusta, mi infastidisce; io sono una macchina: cammino, faccio qualcosa e non
mi accorgo di quel che faccio. Tu sei il fuoco e la forza di questa macchina, -
disse egli, inginocchiandosi di nuovo e rialzandosi subito.
I suoi occhi brillavano, come gi� un tempo, nel parco. Di nuovo l'orgoglio e la
forza di volont� raggiavano in essi.
- Io son pronto ad andare dove tu mi ordinerai, a far ci� che vorrai. Io sento che
vivo quando tu mi guardi, parli, canti...
Ol'ga ascoltava queste effusioni di passione severamente pensosa.
- Ascolta, Il'j�, - disse ella, - io credo al tuo amore e alla mia forza su di te.
Perch� dunque mi spaventi con la tua indecisione e mi costringi a dubitare? Io sono
lo scopo della tua vita, dici tu, e intanto tendi a questo scopo cos� timidamente,
lentamente; e hai ancora tanto da camminare; devi sollevarti al disopra di me. Io
aspetto questo da te! Io ho veduto degli uomini felici, che amano, - aggiunse ella
sospirando, - tutto ribolle in loro, e la loro tranquillit� non somiglia alla tua;
essi non abbassano il capo, i loro occhi sono aperti; dormono a malapena,
agiscono!... E tu... No, non sembra proprio che l'amore, che io sia lo scopo della
tua vita...
Ella scosse il capo dubbiosa.
- Tu, tu!... - disse egli, baciandole di nuovo le mani e di nuovo agitandosi ai
suoi piedi. - Tu sola! Dio mio, quale felicit�! - afferm� egli come in delirio. - E
tu pensi che sia possibile ingannarti, addormentarsi dopo un tale risveglio, non
diventare eroi! Voi vedrete, tu e Andr�j, - continu� egli, guardandosi intorno con
occhi ispirati, - fino a quale altezza pu� sollevare un uomo l'amore di una donna
come te! Guardami, guardami: non sono io risuscitato, non vivo io in questo
momento? Andiamo via di qui! Via, via! Io non posso restar qui nemmeno un momento
di pi�; soffoco, mi disgusta! - disse, guardandosi intorno con un disgusto sincero.
- Lasciami assaporare oggi questo sentimento. Oh, se questo fuoco potesse
bruciarmi, come adesso, anche domani e sempre! Ma appena tu non ci sei, mi spengo,
mi abbandono! Adesso mi son rianimato, son risuscitato! Mi pare che... Ol'ga,
Ol'ga! Tu sei la pi� bella di tutte al mondo, la prima fra le donne, tu, tu...
Egli pos� il viso sulla mano di lei e si arrest�. La lingua non gli si moveva pi�.
Egli si premette la mano di lei sul cuore per calmare l'agitazione, volse ad Ol'ga
il suo sguardo umido, appassionato e rimase immobile.
�E' tenero, tenero, tenero!� pens� Ol'ga, non per� col sospiro che aveva
accompagnato questo pensiero nel parco, e si fece grave.
- Debbo andare! - disse affettuosamente, riprendendosi. Egli si scosse dalla sua
ebbrezza.
- Tu qui, mio Dio! In casa mia? - e al suo sguardo entusiastico si sostitu� un
timido guardarsi intorno. Le parole ardenti non uscivano pi� dalle sue labbra.
In fretta prese il cappello e il mantello di Ol'ga e nella confusione stava per
metterle il mantello in testa. Ella rise.
- Non temere per me, "ma tante" � partita per tutta la giornata; a casa solo la
"njanja" sa ch'io sono uscita. Accompagnami.
Ella gli diede la mano e senza emozione, tranquilla, nella superba coscienza della
sua innocenza, attravers� la corte, mentre il cane scuoteva la catena e abbaiava
disperatamente, si sedette nella carrozza e and� via.
Dalle finestre della padrona guardarono delle teste, da un angolo, dietro la siepe,
sbuc� la testa di Anis'ja.
Quando la carrozza volt� nell'altra strada, Anis'ja torn� a casa e disse che aveva
girato tutto il mercato senza riuscire a trovar gli asparagi. Zach�r torn� tre ore
pi� tardi e dorm� poi ventiquattro ore.
Oblomov and� a lungo su e gi� per la camera senza sentir le gambe, senza sentire i
propri passi: camminava come staccato dal suolo.
Solo quando si spense il rumore delle ruote della carrozza che gli portavano via la
vita, la felicit�, la sua inquietudine cess�, la testa e la schiena si rialzarono,
lo splendore dell'ispirazione torn� sul suo viso e gli occhi gli si inumidirono di
felicit�, di commozione. In tutto il suo organismo si diffuse un certo calore, e
freschezza, ed energia. E di nuovo, come prima, avrebbe voluto improvvisamente
andar via, lontano, dove che fosse: da Stolz, insieme ad Ol'ga, e in campagna, nei
campi e nei boschi; oppure chiudersi nel suo studio e sprofondarsi nel lavoro, o
andare fino al porto di Rybinsk, e costruire la strada, e leggere il libro or ora
uscito e di cui tutti parlano, andare al teatro, oggi stesso... S�, oggi ella era
stata da lui, egli sarebbe andato da lei e poi al teatro. Che giornata piena! Come
si respira bene in questa vita, nella sfera di Ol'ga, nei raggi della sua luce
verginale, della sua ardita forza, della sua intelligenza sottile e profonda! Egli
camminava come se volasse: come se qualcuno lo portasse per la stanza.
�Avanti, avanti! - dice Ol'ga, - pi� in alto, pi� in alto, l� dove la forza della
tenerezza e della grazia perde i suoi diritti e comincia il regno dell'uomo!�
Come vede ella chiaramente la vita! Come sa leggere in questo libro difficile la
propria via e con l'istinto indicare anche a lui la sua. Le due vite, come due
fiumi, si debbono fondere: egli � la sua guida, il capo! Ella vede quali forze e
capacit� egli possiede, sa quanto egli pu� e umilmente aspetta il dominio di lui.
Magnifica Ol'ga! Incrollabile e semplice, ma nello stesso tempo decisa, naturale
come la vita stessa!
�Come tutto � disgustoso qui! - disse, guardandosi intorno. - E questo angelo si �
abbassato fino al pantano, l'ha reso sacro con la sua presenza!�
Guard� pieno d'amore la sedia sulla quale ella si era seduta, e all'improvviso i
suoi occhi luccicarono: sul pavimento, accanto alla sedia, aveva visto un minuscolo
guanto.
�Un pegno! La sua mano! E' un presagio! Oh!...� sospir� appassionatamente, premendo
il guanto alle labbra.
La padrona si affacci� alla porta, offrendo di fargli vedere della tela che si
vendeva: forse aveva bisogno di qualcosa?
Ma egli ringrazi� seccamente, senza pensare di dare la solita occhiata ai gomiti, e
si scus� dicendo di essere molto occupato. Poi si sprofond� nei ricordi
dell'estate, ripens� tutti i particolari di quel tempo, ricord� ogni albero, ogni
cespuglio, ogni panchina, ogni parola detta allora, e trov� tutto ancora pi� caro
di quando ne aveva goduto.
Perdette del tutto il dominio di s�: cant�, si mise a parlare gentilmente con
Anis'ja, scherz� sul fatto che ella non aveva figli e promise di far da padrino se
le fosse nato un figliolo. Insieme a Masha fece un tal baccano che la padrona venne
a vedere e cacci� via la bambina perch� non disturbasse l'inquilino nel suo
�lavoro�.
Il resto della giornata aument� ancora la sua follia. Ol'ga fu allegra, cant�, poi
andarono all'opera e dopo egli and� a prendere il t� a casa loro e la conversazione
tra la zia, il barone, Ol'ga e lui fu cos� cordiale e sincera che egli si sent�
pienamente membro di quella piccola famiglia. Basta vivere solo; egli aveva ora il
suo angoletto; aveva abbastanza sprecato la propria vita; ora aveva luce e calore e
la vita diventava tanto bella!
Durante la notte dormi poco: lesse continuamente i libri di Ol'ga e riusc� a
leggere un volume e mezzo.
�Domani arriver� la lettera dalla campagna, - pens� ed il suo cuore batt�, batt�...
- Finalmente!�

8.
L'indomani Zach�r, facendo ordine nella camera, trov� sulla scrivania il piccolo
guanto, lo guard� a lungo, sorrise, poi lo porse ad Oblomov.
- Deve averlo dimenticato la signorina Il'�nskaja, - disse egli.
- Diavolo! - url� Il'j� Il'�tch, strappandogli il guanto di mano. - Menti! Che
signorina Il'�nskaja mi vai contando! L'avr� dimenticato la cucitrice che � venuta
a misurar le camicie. Come ti permetti di inventar certe cose!
- Perch� diavolo? Che cosa invento, io? Di l�, dalla padrona, dicono...
- Cosa dicono? - domand� Oblomov.
- Che la signorina Il'�nskaja � stata qui con la sua cameriera...
- Dio mio! - disse con terrore Oblomov. - E come la conoscono la signorina
Il'�nskaja? Tu o Anis'ja avete chiacchierato...
Improvvisamente Anis'ja si sporse fino a met� dalla porta dell'anticamera.
- Come non ti vergogni, Zach�r Trof�movitch, di dir tante sciocchezze! Non gli dare
retta, "b�tjushka", - disse ella, - nessuno ha detto nulla e nessuno sa nulla, ve
lo giuro in nome di Cristo...
- Via! - grid� Zach�r con la sua voce rauca, mirando a colpirla col gomito nel
petto. - Ficchi sempre il naso dove non sei chiamata.
Anis'ja scomparve. Oblomov minacci� Zach�r con tutti e due i pugni, poi apr�
rapidamente la porta che dava nell'appartamento della padrona. Agaf'ja Matv�evna
era seduta in terra e rovistava tra gli stracci di un vecchio baule; accanto a lei
un mucchio di pezze, di ovatta, di vecchi vestiti, di bottoni e ritagli di pelli.
- Sentite, - disse Oblomov gentilmente, ma agitato, - i miei servi dicono una
quantit� di sciocchezze: in nome di Dio, non date loro retta.
- Io non ho sentito nulla, - disse la padrona. - Che cosa dicono?
- A proposito della visita di ieri, - continu� Oblomov, - dicono che � venuta una
certa signorina...
- Ma a noi che importa della gente che viene dagli inquilini ? - disse la padrona.
- Ma non credeteci, vi prego, � calunnia e niente altro! Non c'� stata nessuna
signorina: � venuta soltanto la cucitrice a provarmi le camicie...
- Dove avete ordinate le vostre camicie? Chi � che ve le fa? - domand� la padrona
con vivacit�.
- Al magazzino francese...
- Fatemele vedere quando ve le portano; io conosco due ragazze che cuciono e
trapuntano meglio di qualunque francese. Io stessa ho visto come lavorano, mi hanno
mostrato quel che hanno fatto per il conte Metlinskij; nessuno cuce cos�. Le
camicie che portate non sono cucite cos� bene...
- Benissimo, me ne ricorder�. Ma voi, in nome di Dio, non pensate che sia stata qui
una signorina...
- Ma a noi che importa della gente che viene dagli inquilini? Anche se era una
signorina...
- No, no! - ribatt� Oblomov. - Vi prego, la signorina di cui chiacchiera Zach�r �
di statura alta e parla con una voce di basso, e questa invece, la cucitrice, voi
avete sentito con che voce sottile parla: ha una voce magnifica. Vi prego, non
credete...
- Ma a noi che importa? - disse ancora la padrona, mentre egli se ne andava. - Non
dimenticate, quando avrete bisogno di camicie, di dirlo a me: le mie conoscenti
cuciono cos� bene... si chiamano Lizaveta Nikolavna e Mar'ja Nikolavna.
- Bene, bene, non dimenticher�; solo voi non credete, vi prego. Egli usc�, poi si
vest� e and� da Ol'ga.
Ritornato la sera a casa, trov� sulla tavola la lettera del vicino, del suo
fiduciario in campagna. Corse alla lampada, lesse... e gli caddero le braccia.
�Vi prego caldamente di affidare ad altri la vostra procura, - scriveva il vicino,
- perch� ho tanto da fare che, in coscienza, non posso seguire come � necessario
gli affari della vostra propriet�. Meglio di tutto sarebbe che voi veniste qui, e
ancor meglio che vi stabiliste nella propriet�. La propriet� � buona, ma molto
trascurata. Prima di tutto bisogna accuratamente dividere le giornate di lavoro e i
canoni in natura; senza il padrone ci� non pu� essere fatto; i contadini sono male
avvezzi, non danno ascolto al nuovo "st�rosta" e il vecchio � un birbone che deve
essere sorvegliato. E' impossibile calcolare le entrate. Col disordine attuale
difficilmente ricaverete pi� di tremila rubli, e anche questi solo se verrete voi
stesso qui. Io calcolo il reddito del grano; in quanto ai canoni in natura c'� poco
da contare; bisogna prendere i contadini nelle proprie mani energicamente e
calcolare gli arretrati: per far questo occorrono circa tre mesi. Il raccolto del
grano � stato buono e di prezzo, e in marzo o aprile potrete avere il denaro, se
sorveglierete voi stesso la vendita. Quanto a denaro liquido adesso non c'� nulla.
Per ci� che riguarda la strada attraverso Verchl�vo e il ponte, non avendo avuto
alcuna risposta da voi, ho deciso con Odontov e Belovodov di far passare la strada
per Nelki, cosicch� l'Obl�movka rimane fuori. In conclusione, vi ripeto la
preghiera di venire quanto pi� presto � possibile: in tre mesi potrete sapere su
che cosa contare per l'anno prossimo. A proposito, adesso ci sono le elezioni: non
vorreste farvi eleggere giudice? Affrettatevi. La vostra casa (era aggiunto in
fondo) � in cattivissime condizioni. Ho ordinato perci� alla donna che attende al
bestiame, al vecchio cocchiere e alle due vecchie serve di lasciar la casa per una
capanna; restarvi ancora sarebbe stato pericoloso�.
Alla lettera era aggiunto un elenco indicante quanti ettolitri di grano erano stati
mietuti e trebbiati, quanti ne erano stati messi in magazzino, e quanti erano stati
destinati alla vendita, ed altri simili particolari di amministrazione.
�Nemmeno un centesimo disponibile, andare io stesso per tre mesi, riordinare la
situazione dei contadini, calcolare le entrate, partecipare alle elezioni�, tutte
queste notizie, come una schiera di spettri, avvolsero Oblomov, Gli sembr� di
essere improvvisamente in una foresta, di notte, quando in ogni cespuglio ed albero
si crede di vedere un brigante, uno spirito o una belva.
�Ma questa � una vergogna: io non mi arrendo!� ripeteva a se stesso, cercando di
distinguere questi spettri, come un pauroso si sforza, attraverso le ciglia chiuse,
di guardare gli spettri, e non sente che freddo nel cuore e debolezza nelle braccia
e nelle gambe.
Che cosa aveva sperato Oblomov? Egli aveva pensato di trovar specificato nella
lettera quanto avrebbe potuto ricevere, e si capisce, il massimo possibile, per
esempio sei, settemila rubli; e che la casa era ancora in buone condizioni, cos�
che, se fosse stato necessario, ci si sarebbe potuto vivere in attesa della
costruzione della nuova; che, infine, il suo procuratore gli avrebbe spedito tre,
quattromila rubli: in una parola aveva sperato di trovar nella lettera quello
stesso riso di vita, quello stesso amore che trovava nei biglietti di Ol'ga.
Egli non volteggi� pi� per la camera sfiorando il pavimento, non scherz� pi� con
Anis'ja, non si abbandon� pi� alle speranze di felicit�: esse dovevano essere
rimandate di tre mesi; ma no! In tre mesi egli avrebbe appena visto un po' chiaro
nei suoi affari, conosciuta la sua propriet�, e le nozze...
�Alle nozze non c'� neppure da pensare prima di un altro anno, - disse egli
angosciato, - s�, s�, fra un anno, non prima�. Egli doveva ancora scrivere il suo
piano, parlare con l'architetto... poi... sospir� profondamente.
�Prendere del denaro in prestito!� questo pensiero gli balen� nella mente, ma lo
respinse.
�E' impossibile! E se non potr� restituirlo in tempo? Se gli affari andranno male,
verranno a riscuotere e non potr� pagare, e il nome degli Oblomov finora puro e
intangibile?... Dio scampi! Addio tranquillit�, orgoglio! no, no! Altri prendono in
prestito, ma si tormentano, si danno da fare, non dormono, come se un d�mone fosse
entrato in loro. S�, i debiti sono un d�mone, che nulla riesce a cacciare, ad
eccezione del denaro!
�Ci sono dei furbacchioni che vivono tutta la loro vita alle spalle degli altri,
acchiappano a destra e a sinistra e non se ne danno per intesi. Come possano
dormire e pranzare tranquilli � incomprensibile! Un debito! le sue conseguenze
sarebbero state un lavoro senza uscita, come quello di un ergastolano, o il
disonore.
�Impegnare la propriet�? E non era lo stesso che fare un debito, solo pi� spietato
e senza possibilit� di rinvii? Pagati gli interessi ogni anno, non sarebbe rimasto
nulla per vivere! La felicit� era rinviata di un anno!�
Oblomov sospir� dolorosamente e si gett� sul letto, ma si riprese subito e si alz�.
Che cosa gli aveva detto Ol'ga? Non aveva ella fatto appello a lui come ad un uomo,
creduto nelle sue forze? Ella aspettava di vederlo andare avanti, sollevarsi ad
un'altezza da cui le avrebbe teso la mano per condurla con s�, mostrarle il
cammino. S�, s�, ma di dove cominciare?
Egli pens�, pens�, poi all'improvviso si batt� in fronte e and� dalla padrona.
- Vostro fratello � in casa? - domand�.
- E' in casa, ma dorme gi�.
- Pregatelo di venir da me domani, - disse Oblomov, - ho bisogno di vederlo.

9.
Il fratello della padrona entr� nella camera di Oblomov con lo stesso cerimoniale
della volta precedente, con la stessa precauzione si sedette, ritir� le mani nelle
maniche e aspett� quel che Il'j� Il'�tch avrebbe detto.
- Ho ricevuto dalla campagna una lettera molto spiacevole, in risposta alla procura
che spedii tempo fa, vi ricordate? - disse Oblomov. - Ecco, leggete voi stesso.
Iv�n Matv�evitch prese la lettera e con gli occhi esperti ne scorse le righe,
mentre la lettera leggermente tremava fra le sue dita. Dopo aver letto, pos� la
lettera sulla tavola e nascose le mani dietro la schiena.
- Che ne pensate? che cosa fare adesso? - domand� Oblomov.
- Vi si consiglia di andar voi stesso, - disse Iv�n Matv�evitch. - Perch� no?
milleduecento verste non sono poi Dio sa che! Tra una settimana la strada sar� in
buone condizioni; potreste partire.
- Io ho perduta l'abitudine di viaggiare; senza abitudine e per di pi� d'inverno,
lo confesso, mi sarebbe difficile, non vorrei... E poi, in campagna solo � una gran
noia!
- Avete molti contadini che pagano il canone? - domand� Iv�n Matv�evitch.
- S�... non so: manco da un pezzo dalla campagna.
- E' necessario saperlo; se no come si fa? non � possibile altrimenti calcolare le
entrate.
- S�, sarebbe necessario, - ripet� Oblomov, - anche il vicino lo scrive, ma � che
siamo arrivati gi� all'inverno.
- E a quanto calcolate il canone?
- Il canone? Mi pare... aspettate, ci deve essere un elenco in qualche posto... Gi�
allora lo fece Stolz, ma � difficile trovarlo: Zach�r l'avr� ficcato chiss� dove.
Poi ve lo mostrer�... se non mi sbaglio, trenta rubli per appezzamento.
- E come sono i vostri contadini? Come vivono? - continu� a domandare Iv�n
Matv�evitch. - Sono agiati, poveri, rovinati? E come sono organizzate le giornate
di lavoro gratuito?
- Sentite, - disse Oblomov, avvicinandoglisi e prendendolo confidenzialmente per
tutti e due i risvolti della piccola tenuta.
Iv�n Matv�evitch si alz� svelto svelto, ma Oblomov lo fece risedere.
- Ascoltate, - ripet� egli a intervalli e quasi bisbigliando, - io non so che cosa
sia il lavoro della campagna, che cosa significhi contadino povero e contadino
ricco; non so che cosa significhi una misura di segale o di avena, e che cosa
costi, e in che mese si semini e in quale si raccolga, come e quando si venda; non
so se sono ricco o povero, se fra un anno sar� sazio o sar� un pezzente. Non so
niente! - concluse egli triste, lasciando i risvolti della tenuta di Iv�n
Matv�evitch e allontanandosi da lui, - perci� parlate e consigliatemi come se fossi
un ragazzino.
- Ma come � possibile, bisogna sapere! senza questi elementi non ci si pu�
raccapezzare, - disse con un umile sorriso Iv�n Matv�evitch, dopo essersi alzato e
aver messo una mano dietro la schiena e l'altra nella cintola. - Il proprietario
deve conoscere la sua propriet� e sapere quel che c'� da fare... - disse egli
sentenziosamente.
- Ed io non lo so. Insegnatemelo, se potete.
- Io non mi sono mai occupato di cose simili, bisogna consigliarsi con gente
esperta. Nella lettera qui, - continu� Iv�n Matv�evitch, indicando col dito medio,
con l'unghia in gi�, la pagina della lettera, - vi si scrive di partecipare alle
elezioni: sarebbe molto bene davvero! Vi stabilireste l� come giudice del
circondario e intanto prendereste conoscenza anche della vostra propriet�.
- Ma io non so che cosa sia un tribunale, che cosa vi si faccia, in che cosa
consista il servizio! - disse ancora Oblomov in modo molto espressivo, ma a mezza
voce, avvicinandosi tanto a Iv�n Matv�evitch da toccargli quasi il naso.
- Vi abituerete. Avete ben prestato servizio qui al ministero: nel complesso �
dappertutto lo stesso; solo nelle forme c'� qualche piccola differenza. Dappertutto
elenchi, rapporti, protocolli. Basta che ci sia un buon segretario; preoccuparsi,
di che? dovreste solo firmare. Se sapete come si fa nei ministeri...
- Io non so come si fa nei ministeri, - disse con voce monotona Oblomov.
Iv�n Matv�evitch gett� su Oblomov il suo doppio sguardo e tacque.
- Probabilmente non avete fatto altro che leggere libri? - osserv� egli con lo
stesso umile sorriso.
- Libri! - ribatt� Oblomov con angoscia e si ferm�.
Non ebbe il coraggio e non ritenne necessario di mettere del tutto a nudo la
propria anima di fronte ad un impiegato.
�Io non conosco nemmeno i libri�, pens�, ma le parole non vennero sulle labbra e si
manifestarono solo in un triste sospiro.
- Certo vi sarete occupato di qualche cosa, - aggiunse umilmente Iv�n Matv�evitch,
come se avesse letta nella mente di Oblomov la risposta relativa ai libri, - non
pu� essere che...
- Pu� essere, Iv�n Matv�evitch, ne avete qui la prova: io! Chi sono io? Che cosa
sono io? Andatelo a domandare a Zach�r ed egli vi dir�: �il signore�. S�, io sono
un signore, e non so far niente! Fate voi qualcosa, se sapete, e aiutatemi se
potete, e per la vostra fatica prendetevi quel che volete: per questo c'�
l'istruzione.
Egli cominci� ad andar su e gi� per la camera; Iv�n Matv�evitch invece rimase fermo
al suo posto voltandosi leggermente ogni volta con tutto il corpo verso l'angolo
dov'era Oblomov. Tutti e due tacquero per qualche momento.
- Dove avete studiato? - domand� Oblomov fermandosi di nuovo davanti a Iv�n
Matv�evitch.
- Da principio al ginnasio, ma quand'ero gi� in sesta mio padre mi prese con s� e
mi destin� alla carriera di impiegato. Che istruzione � la nostra! Leggere,
scrivere, un po' di grammatica e d'aritmetica, di pi� niente. In qualche modo mi
sono abituato al lavoro e pi� o meno me la cavo. Non � stato mica cos� per voi: voi
avete studiato le vere scienze...
- S�, - conferm� con un sospiro Oblomov, - � vero, io ho studiato anche l'algebra
superiore e l'economia politica e il diritto, e non ho imparato a sbrigar gli
affari. Vedete, con tutta la mia algebra superiore non so quali siano le mie
entrate. Dopo aver studiato, sono stato in campagna, ho ascoltato, guardato come si
faceva da noi a casa e nella propriet�, e intorno a noi: niente di comune col
diritto studiato all'universit�. Sono venuto qui, ho pensato di farmi strada in
qualche modo con l'economia politica... E mi si � detto che le scienze mi sarebbero
servite col tempo, forse in vecchiaia, ma prima bisognava avere un impiego e per
questo bastava una scienza sola: sgorbiar carte. E cos� io non ho imparato e sono
rimasto semplicemente un signore e voi invece avete imparato: trovate voi qualche
espediente.
- Va bene, - disse, finalmente, Iv�n Matv�evitch. Oblomov gli si ferm� davanti in
attesa di quel che egli avrebbe detto.
- Si potrebbe affidar la cosa a un uomo esperto e trasferire a lui la procura, -
disse Iv�n Matv�evitch.
- Ma dove prendere un tale uomo? - domand� Oblomov.
- Io ho un collega, Is�j Fom�tch Zat�rtyj: balbetta un po' ma � un uomo esperto e
attivo. Ha amministrato per tre anni una grande propriet�, e il proprietario l'ha
licenziato solo perch� balbetta. Egli potrebbe mettersi al vostro servizio.
- Ma ci si pu� fidare di lui?
- Un'anima purissima, non vi preoccupate! E' capace di rimetterci del suo, pur di
contentare. Sono dodici anni ch'� in servizio da noi.
- E come pu� partire se � in servizio?
- Non fa niente, prender� una licenza di quattro mesi. Basta che vi decidiate ed io
lo porto qua. Solo che non andr� gratis...
- Certamente no, - conferm� Oblomov.
- Voi gli fisserete un tanto per le spese di viaggio, un tanto al giorno e un
compenso alla fine. Ci andr� certamente.
- Vi sono molto grato: voi mi liberate da molte preoccupazioni, - disse Oblomov,
tendendogli la mano. - Come si chiama?
- Is�j Fom�tch Zat�rtyj, - ripet� Iv�n Matv�evitch, asciugandosi rapidamente la
mano col risvolto dell'altra manica e, presa per un momento la mano di Oblomov,
subito ritir� la propria nella manica. - Domani gli parler� e lo condurr� qui.
- S�, venite a pranzo e chiacchiereremo. Vi sono molto grato, molto grato! - disse
Oblomov accompagnando Iv�n Matv�evitch fino alla porta.

10.
La sera di quello stesso giorno, in una casa a due piani, che da una parte dava
sulla strada dove viveva Oblomov e dall'altra sulla riva del fiume, in una delle
stanze del piano superiore si trovarono insieme Iv�n Matv�evitch e Tarant'ev.
Era questo un cosiddetto albergo, alla porta del quale si trovavano sempre due o
tre vetture vuote, i cui cocchieri sedevano al pianterreno a bere il t� dai
piattini. Il piano superiore era destinato ai �signori� del quartiere di Vyborg.
Sulla tavola davanti a Iv�n Matv�evitch e a Tarant'ev era il t� ed una bottiglia di
rum.
- Puro rum della Giamaica, - disse Iv�n Matv�evitch, versandosi del rum nel
bicchiere con mano tremante. - Non sdegnare, compare, un piccolo trattamento.
- Confessa che ne vale la pena, - rispose Tarant'ev, - avrebbe potuto marcir la
casa, prima di trovare un inquilino simile.
- Giusto giusto, - l'interruppe Iv�n Matv�evitch. - E se tutto si combina e
Zat�rtyj va al paese, ci sar� da bere!
- Ma tu sei avaro, compare: con te bisogna contrattare, - disse Tarant'ev, -
cinquanta rubli per un simile inquilino!
- Ho paura che mi scappi via, - osserv� Iv�n Matv�evitch.
- Ma va', dove vuoi che scappi? Non lo cacci via adesso!
- E il matrimonio? Si sposa, dicono. Tarant'ev scoppi� in una risata.
- Si sposa! Vuoi far scommessa che non si sposa? - ribatt� egli. - C'� Zach�r che
l'aiuta a dormire, altro che sposarsi! Fino ad ora io l'ho beneficato: senza di me,
fratello mio, o sarebbe morto di fame o sarebbe finito in prigione. Viene un
ispettore, oppure il padrone di casa, domanda di qualche cosa, lui non sa mai nulla
di nulla: tutto io. Non pensa a nulla...
- Proprio a nulla: non sa cosa si fa in tribunale, che cosa si fa nei ministeri,
come sono i suoi contadini. Che testa! Mi veniva perfino da ridere!...
- E che contratto, che contratto ha firmato? - si vant� Tarant'ev. - Sei maestro tu
nello scriver carte, Iv�n Matv�evitch, un vero maestro! Ti ricordi il babbo
buon'anima! E anch'io ero in gamba, ma ho perso l'abitudine, ti giuro, ho perso
l'abitudine. Mi siedo e dagli a scorrer le lacrime! Non l'ha nemmeno letto e l'ha
firmato! E l'orto, e la stalla, e il deposito!
- S�, compare, fino a che ci saranno in Russia degli idioti che firmano le carte
senza leggerle, si potr� ancora viver bene. Se no, roba da morire! A sentir parlare
i vecchi, � un'altra cosa. Ma che capitale mi son fatto io in venticinque anni di
servizio? Si pu� vivere nel quartiere di Vyborg, senza mostrare il naso nel mondo:
non mi lamento, sar� pi� che sufficiente! Ma per avere un appartamento sulla
Lit�naja, dei tappeti, sposare una ricca, far frequentare ai figli l'alta societ�:
per far questo ormai � passato il tempo. Il grugno, a quanto pare, non � per la
quale, le dita, vedi, son rosse perch� bevi la vodka... E come si fa a non berla?
Provatici! Sei peggio di un servitore, dicono; ma ora anche un servitore non porta
delle scarpe come queste e cambia ogni giorno la camicia. L'educazione � un'altra:
i giovincelli han preso il disopra: posano, leggono, parlano francese...
- E non capiscono niente d'affari, - aggiunse Tarant'ev.
- No, caro, capiscono: � che gli affari son diversi, vogliono semplificare e ci fan
delle porcherie. Non c'� bisogno di scrivere; copiare � superfluo, � una perdita di
tempo; si pu� far pi� presto... e fan porcherie!
- Ma il contratto � firmato: non ci ha potuto far porcherie! -
disse Tarant'ev.
- Certo, ormai � gi� consacrato! Beviamo, compare. Intanto manda Zat�rtyj ad
Obl�movka, quello succhier� un pochette: il resto andr� agli eredi...
- Sia pure! - osserv� Tarant'ev. - Ma chi sono gli eredi: di terzo, quarto grado:
un sangue veramente molto annacquato...
- Solo ho paura del matrimonio! - disse Iv�n Matv�evitch.
- Non aver paura, ti si dice. Ricordati la mia parola.
- Dici? - rispose allegramente Iv�n Matv�evitch. - Ma egli sgrana gli occhi su mia
sorella, - aggiunse abbassando la voce.
- Davvero? - disse sorpreso Tarant'ev.
- Solo taci! Giuro che � cos�...
- Guarda un po'! - si meravigli� Tarant'ev, tornando a stento in s�, - e non me lo
sarei nemmeno sognato. E lei?
- Lei? Tu la conosci!
E batt� col pugno sulla tavola.
- Che sa fare i suoi interessi? Una mucca, una vera mucca: la picchi o l'abbracci,
sorride sempre, come un cavallo che vede l'avena. Un'altra al posto suo... eh, eh!
Io non cesser� di sorvegliare, tu capisci cosa significherebbe!

11.
�Quattro mesi! Ancora quattro mesi di costrizione, di appuntamenti segreti, di visi
sospetti, di sorrisi! - pensava Oblomov, salendo la scalinata della casa degli
Il'inskij. - Dio mio, quando finir�? E Ol'ga far� premura: oggi, domani. E' cos�
tenace, cos� inflessibile! E' difficile convincerla...�
Oblomov arriv� quasi alla camera di Ol'ga senza incontrar nessuno. Ol'ga sedeva nel
suo piccolo salottino, che precedeva la camera, ed era sprofondata nella lettura di
un libro.
All'improvvisa comparsa di Oblomov ella trasal�, poi affabilmente, con un sorriso,
gli tese la mano, ma gli occhi parvero continuare a leggere: guardava distratta.
- Sei sola? - domand� egli.
- S�, "ma tante" si � recata a C�rskoe Sel�, e mi invitava ad andare con lei.
Pranzeremo quasi soli: verr� solo Mar'ja Sem�novna; altrimenti non avrei potuto
riceverti. Oggi non potrai spiegarti. Come tutto ci� � noioso! In compenso
domani... - aggiunse ella e sorrise. - E cosa avresti detto se oggi fossi andata a
C�rskoe Sel� ? - domand� ella scherzosamente.
Egli taceva.
- Sei preoccupato? - continu� ella.
- Ho ricevuto la lettera dalla campagna, - disse egli monotono.
- Dov'�? L'hai con te?
Egli le diede la lettera.
- Io non ci capisco nulla, - disse ella, dopo aver guardata la carta.
Egli prese la lettera e la lesse ad alta voce. Ella si fece pensierosa.
- E adesso? - domand� dopo un momento di silenzio.
- Oggi mi sono consigliato col fratello della padrona, - rispose Oblomov, - ed egli
mi ha raccomandato un procuratore, Is�j Fom�tch Zat�rtyj: io lo incaricher� di
sbrigar tutto...
- Un estraneo, uno sconosciuto! - ribatt� meravigliata Ol'ga. - Raccogliere i
pagamenti, esaminare la situazione dei contadini, sorvegliare la vendita del
grano...
- Ha detto che � un uomo onestissimo, son dodici anni che serve nel suo ufficio...
Solo balbetta un po'...
- E il fratello della padrona che uomo �? lo conosci?
- No; ma pare un uomo cos� positivo, attivo, e per di pi� io vivo in casa sua: si
farebbe scrupolo d'ingannarmi.
Ol'ga taceva con gli occhi bassi.
- Altrimenti mi tocca d'andar personalmente, - disse Oblomov, - e, lo confesso, non
vorrei. Ho perduta del tutto l'abitudine di viaggiare in vettura, specialmente
d'inverno... anzi non ho viaggiato mai d'inverno.
Ella continuava a guardare in gi�, movendo la punta della scarpa.
- Ed anche se vado, - continu� Oblomov, - non ne vien fuori nulla lo stesso: non
riuscir� a vederci chiaro; i contadini mi inganneranno; lo "starosta" mi dir� quel
che gli pare ed io dovr� credergli; di denari me ne dar� quanto gli passer� per la
testa. Ah, se fosse qui Andr�j! egli sbrigherebbe subito tutto, - aggiunse
afflitto.
Ol'ga sorrise, o, per meglio dire, sorrisero solo le sue labbra, ma non il cuore,
il cuore era colmo d'angoscia. Ella si mise a guardare dalla finestra, socchiudendo
leggermente uno degli occhi e seguendo ogni veicolo che passava.
- Intanto questo procuratore ha amministrato una grande propriet�, - continuava
Oblomov, - il padrone lo ha mandato via perch� balbettava. Io gli dar� la procura e
gli affider� i piani: egli disporr� l'acquisto dei materiali per la costruzione
della casa, vender� il grano, porter� i denari, e allora... Come sono contento, mia
cara Ol'ga, - aggiunse egli, baciandole la mano, - che non debbo lasciarti! Io non
sopporterei la separazione: senza di te in campagna, solo... che orrore! Ma adesso
noi dobbiamo essere molto cauti.
Ella lo guard� con gli occhi spalancati e aspett�.
- S�, - cominci� egli a dire lentamente, quasi balbettando, - vedersi di rado; ieri
hanno chiacchierato di nuovo da noi, perfino in casa della padrona... ed io non
voglio che ci� si ripeta... Non appena tutto sar� a posto, il procuratore avr� date
le disposizioni per la costruzione della casa e porter� il denaro... tutto ci�
finir� in meno di un anno... allora non ci saranno pi� separazioni, parleremo con
la zia, e... e...
Egli guard� Ol'ga: ella aveva perduto i sensi. La testa era piegata da una parte e
dalle labbra illividite si vedevano i denti. Egli non aveva notato, nell'effusione
della gioia e della fantasia, che, mentre diceva le parole: �appena tutto sar� a
posto, il procuratore avr� date le disposizioni�, Ol'ga era impallidita e non aveva
sentito la fine della frase.
- Ol'ga!... Dio mio, si sente male! - disse egli e tir� il campanello.
- La signorina si sente male! - disse egli a Katja accorsa. - Presto, dell'acqua...
dei sali...
- Signore Iddio! E' stata cos� allegra tutta la mattina... Che cosa � successo? -
bisbigli� Katja, portando i sali presi sul tavolino della zia e andando su e gi�
col bicchiere d'acqua.
Ol'ga rinvenne, si alz�, con l'aiuto di Katja e di Oblomov, dalla poltrona e,
barcollando, and� nella propria camera.
- Passer�, - disse con debole voce, - sono i nervi; ho dormito male, questa notte.
Katja, chiudi la porta, e voi aspettatemi: mi rimetto un po' e ritorno.
Oblomov, rimasto solo, accost� l'orecchio alla porta, guard� da una fessura della
serratura, ma non vide e non sent� nulla.
Dopo una mezz'ora and� fino alla stanza della servit� e domand� a Katja:
- Come sta la signorina?
- Non so, - disse Katja, - si � sdraiata sul letto e mi ha mandata via; poi, quando
sono rientrata nella camera, sedeva in una poltrona.
Oblomov ritorn� nel salotto, guard� di nuovo la porta: non si sentiva nulla.
Batt� un colpo leggermente con un dito: nessuna risposta. Si sedette e si mise a
pensare. Molto pens� e ripens� in quell'ora e mezzo, mut� molte idee e prese molte
nuove decisioni. Finalmente si ferm� su questo piano: egli sarebbe partito insieme
al procuratore per la campagna, ma prima avrebbe chiesto il consenso della zia, si
sarebbe fidanzato con Ol'ga, avrebbe incaricato Iv�n Gher�simovitch di cercare un
appartamento ed avrebbe preso del denaro in prestito... solo un poco, per celebrare
il matrimonio. Il debito sarebbe stato pagato con la vendita del grano. Perch�
s'era tanto avvilito? Ah, Dio mio, come tutto pu� cambiare in un solo minuto! E l�,
in campagna, egli insieme al procuratore avrebbe prese le misure per la riscossione
dei canoni, infine avrebbe scritto a Stolz, questi avrebbe dato del denaro, poi
sarebbe venuto a riordinare l'Obl�movka magnificamente, avrebbe fatto strade
dappertutto, costruito ponti e aperte scuole... E l�, egli con Ol'ga!... Dio, Dio,
eccola, la felicit�! E come mai tutto ci� non gli era venuto in mente!
Si sent� ad un tratto cos� allegro, sereno; cominci� ad andare da un angolo
all'altro, fece perfino schioccare pian piano le dita, per poco non cominci� a
gridar dalla gioia, si avvicin� infine alla porta di Ol'ga e chiam� a voce bassa,
ma allegra:
- Ol'ga, Ol'ga! Vi debbo dire una cosa! - disse egli, appoggiando le labbra sulla
fessura della porta. - Non ve l'aspettate proprio... - Aveva perfino deciso di
restare con lei ed aspettare il ritorno della zia. �Oggi stesso le parleremo ed io
partir� da fidanzato�.
La porta si apr� pian piano ed apparve Ol'ga: egli le gett� un'occhiata e subito si
perdette d'animo; ogni gioia si dilegu�: Ol'ga sembrava invecchiata. Pallida, ma
con gli occhi luccicanti; nelle labbra serrate, in ogni tratto del volto si
nascondeva una tesa vita interiore, incatenata, come nel ghiaccio, da una
tranquillit� e immobilit� forzata.
Nel suo sguardo egli lesse una decisione, ma quale, non capiva; solo il cuore gli
batteva, batteva come non mai. Non aveva avuto mai dei momenti simili nella sua
vita.
- Ascolta, Ol'ga, non mi guardar cos�: mi fai paura! - disse egli. - Io ci ho
ripensato: bisogna organizzare le cose diversamente... - egli continu� abbassando
il tono, arrestandosi e cercando d'interpretare il nuovo senso che avevano gli
occhi, le labbra e le parlanti sopracciglia di lei. - Ho deciso di andare io stesso
in campagna, insieme al procuratore, per... - egli disse tutto ci� in modo appena
percettibile.
Ella taceva, guardandolo fisso, come un fantasma.
Egli indovin� confusamente quale condanna lo aspettava e prese il cappello, ma
indugiava a domandare: aveva terrore di sentire la condanna fatale e forse senza
appello. Finalmente si fece forza.
- Dunque ho compreso?... - domand� con voce del tutto mutata.
Ella lentamente, mitemente abbass� la testa in segno di assenso. Sebbene egli
avesse gi� indovinato il pensiero di lei, tuttavia impallid� e rimase immobile.
Ella era debole, ma sembrava tanto tranquilla e ferma, come una statua di pietra.
Era la tranquillit� soprannaturale di quando un'idea a lungo concentrata o un
sentimento ferito danno all'uomo all'improvviso tutta la forza per trattenersi, ma
solo per un momento. Ella era simile ad un ferito che preme la ferita con la mano,
per dire ancora quel che occorre e poi morire.
- Tu non mi odii? - domand� egli.
- Perch�? - disse ella debolmente.
- Per tutto ci� che ti ho fatto...
- Che cosa hai fatto?
- Ti ho amata: questa � un'offesa! Ella sorrise dolorosamente.
- Perch�, - disse egli, col capo basso, - perch� ti sei sbagliata... Forse tu mi
perdonerai, ricordando che io ti avevo avvertita che ti saresti vergognata, ti
saresti pentita...
- Io non mi pento. Mi sento tanto, tanto male... - disse ella e si ferm� per
prendere fiato.
- Io mi sento anche peggio, - rispose Oblomov, - ma io me lo merito: tu perch� ti
tormenti?
- Per il mio orgoglio, - disse ella, - sono punita, mi sono fidata troppo delle mie
forze; � qui il mio errore e non in ci� che tu temi. Io non ho visto il mio ideale
nella giovinezza e nella bellezza: ho pensato di poterti animare, che tu avresti
potuto vivere per me, e tu sei gi� morto da tanto. Io non avevo preveduto questo
errore, ed ho sempre aspettato, sempre sperato... ed ecco!... - ella fin�
faticosamente, con un sospiro.
E dopo un po' di silenzio sedette.
- Non posso stare in piedi: mi tremano le gambe. Una pietra si sarebbe animata con
quel che io ho fatto, - continu� ella con voce languida. - Adesso non far� pi�
nulla, nemmeno un passo, non andr� neppure al Giardino d'Estate: tutto � inutile;
tu sei morto. Ne convieni, Il'j�? - aggiunse dopo un momento di silenzio. - Non mi
rimprovererai di essermi staccata da te per superbia o per capriccio?
Egli scosse il capo negativamente.
- Sei convinto che non ci restava altro da fare, nessuna speranza?
- S�, - disse egli, - � vero... Ma forse... - aggiunse egli indeciso, - fra un
anno...
Egli non aveva la forza di dare un colpo definitivo alla propria felicit�.
- E tu credi che fra un anno potresti organizzare le tue cose e la tua vita? -
domand� ella. - Pensa un po'!
Egli sospir� e cominci� a pensare, a lottare con se stesso. Ella lesse questa lotta
sul suo viso.
- Ascolta, - disse ella, - io ho guardato or ora a lungo il ritratto di mia madre
ed ho tratto dai suoi occhi consiglio e forza. Se tu adesso, come uomo onesto...
Ricordati, Il'j�, che non siamo bambini e non scherziamo: si tratta di tutta la
vita. Interroga severamente la tua coscienza e di': �io ti credo, io ti conosco: ce
la farai per tutta la vita? Sarai tu per me ci� di cui io ho bisogno?� Tu mi
conosci, perci� comprendi che cosa voglio dire. Se tu dici arditamente e
meditatamente s�, io ritiro la mia decisione: ecco la mia mano e andiamo dove vuoi,
all'estero, in campagna, perfino nel quartiere di Vyborg!
Egli taceva.
- Se tu sapessi come io amo...
- Io non aspetto un'assicurazione d'amore, ma una breve risposta, - l'interruppe
ella quasi seccamente.
- Non mi tormentare, Ol'ga! - scongiur� egli tristemente.
- Ho ragione o no, Il'j�?
- S�, - disse egli chiaramente e decisamente, - hai ragione!
- Allora � venuto per noi il momento di separarci, - decise ella, - prima che ci
trovino insieme e vedano come io sono turbata!
Egli non si moveva.
- E se ci si sposasse, che sarebbe dopo? - domand� ella. Egli taceva.
- Tu ti addormenteresti ogni giorno pi�, non � vero? Ed io? Tu vedi come sono io.
Io non invecchier�, non mi stancher� mai di vivere. E insieme si vivrebbe alla
giornata, si aspetterebbe il Natale, poi la quaresima, si farebbero delle visite,
si andrebbe a ballare, non si penserebbe a nulla; ci si coricherebbe e si
ringrazierebbe Iddio che la giornata � passata presto, e la mattina ci si
sveglierebbe col desiderio che oggi fosse eguale a ieri... ecco il nostro avvenire.
Non � cos�? Ed � vita, questa? Io mi ammaler�, morir�... e perch� Il'j�? Sarai tu
felice?...
Egli guardava tormentosamente il soffitto, voleva muoversi, correre, ma le gambe
non ubbidivano. Voleva dire qualche cosa, ma aveva la bocca secca, la lingua non si
muoveva, la voce non usciva dal petto. Egli le tese la mano.
- Vuoi dire... - continu� a voce bassa, ma non fin� e solo con lo sguardo pot� dire
ancora: �perdona!�
Anch'ella voleva dire qualche cosa, ma non disse nulla, gli tese la mano, ma la
mano, senza aver toccato quella di lui, cadde gi�; voleva dire anch'ella �addio�,
ma la voce le si spezz� a met� della parola e prese una nota falsa; il viso le si
contrasse convulsamente; appoggi� la mano e la testa sulla spalla di lui e scoppi�
in singhiozzi. Come se le avessero strappata l'arma di mano. La donna orgogliosa e
sagace scomparve e rimase solo la donna, creatura senza difesa contro il dolore.
- Addio, addio... - balbett� fra i singhiozzi.
Egli taceva e terrorizzato ascoltava il pianto di lei, non osando disturbarlo. Non
sentiva piet� n� per lei n� per s�; era egli stesso una misera cosa. Ella si lasci�
cadere nella poltrona e, premendo il capo contro il fazzoletto, si appoggi� alla
tavola e pianse amaramente. Le lacrime non scorrevano come una corrente calda
sgorgata all'improvviso, per un dolore temporaneo e inatteso, come quella volta nel
parco, ma disperatamente, a torrenti freddi, come una pioggia autunnale, che inonda
i campi senza piet�.
- Ol'ga, - disse finalmente Oblomov, - perch� ti tormenti? Tu mi ami, tu non
sopporti la separazione! Prendimi come sono, ama in me quel che c'� di buono.
Ella scosse il capo negativamente, senza sollevarlo.
- No... no... - disse poi facendosi forza: - non temere per me e per il mio dolore.
Io mi conosco: mi sfogo e poi non piango pi�. Adesso lasciami piangere... va'
via... Ah, no, aspetta!... Dio mi punisce!... Mi fa male qui, tanto male, qui, al
cuore...
I singhiozzi si rinnovarono.
- E se il dolore non passa, - disse egli, - e la tua salute ne soffre? Queste
lacrime sono velenose. Ol'ga, angelo mio, non piangere... dimentica tutto...
- No, lasciami piangere! Io non piango il futuro, ma il passato... - riusc� ella a
dire con fatica: - esso � �appassito, finito�... Non sono io che piango, ma i
ricordi!... L'estate... il parco... rammenti? Mi duole per il nostro viale, per i
lill�... E' tutto cos� stretto al mio cuore: fa male strapparlo via!...
Disperata, ella croll� il capo e singhiozz�, ripetendo:
- Ah, che dolore, che dolore!
- E se muori? - disse egli ad un tratto terrorizzato. - Pensa, Ol'ga...
- No, - l'interruppe ella, dopo aver sollevato il capo, sforzandosi di guardarlo
attraverso le lacrime. - Io ho capito da poco soltanto che ho amato in te quello
che volevo che fosse in te, quello che Stolz mi aveva mostrato, quello che insieme
avevamo immaginato. Io amavo il futuro Oblomov. Tu sei mite, onesto, Il'j�; sei
tenero... come un colombo; nascondi il capo sotto l'ala e altro non vuoi; tu sei
pronto a tubare tutta la vita sotto i tetti... ma io non sono cos�; questo per me �
poco, io ho bisogno di qualche altra cosa; che cosa, non so! Puoi tu insegnarmi,
dirmi che cosa � questo, che cosa mi manca, darmi tutto ci�, perch� io... Ma la
tenerezza... dove non c'�!
Ad Oblomov si piegarono le gambe; sedette in una poltrona e col fazzoletto si
asciug� le mani e la fronte.
Le parole erano state crudeli: esse ferirono Oblomov profondamente, come se dentro
l'avessero bruciato, mentre dal di fuori soffiavano su di lui il gelo. Come
risposta egli sorrise pietosamente, d'un sorriso malato e mortificato, come un
pezzente al quale si rimproveri la sua nudit�. Rimase cos� seduto, con sulle labbra
questo sorriso d'impotenza, indebolito dall'agitazione e dall'offesa; il suo
sguardo spento diceva chiaramente: �s�, io sono misero, faccio piet�... battetemi,
battetemi!...�
Ol'ga vide all'improvviso quanto veleno era nelle sue parole e si slanci�
impetuosamente verso di lui.
- Perdonami, amico mio! - disse ella teneramente, come piangendo. - Io non so quel
che dico, sono pazza. Dimentica tutto; ritorniamo come prima, che tutto sia
com'era...
- No! - disse egli, alzandosi di scatto e arrestando con un gesto energico
l'impulso di lei. - Non sar�! Non ti agitare perch� hai detto la verit�: io lo
merito... - aggiunse egli con tristezza.
- Io sono una sognatrice, mi lascio trascinare dalla fantasia, - disse ella. - Ho
un carattere disgraziato. Perch� gli altri, perch� S�nitchka � cos� felice?...
Ella ricominci� a piangere.
- Va'! - disse alla fine, torcendo il fazzoletto bagnato di lacrime. - Io non posso
resistere; il passato mi � ancora caro... - Si copr� di nuovo il volto col
fazzoletto e cerc� di soffocare i singhiozzi.
- Perch� tutto � rovinato? - domand� ad un tratto levando il capo. - Chi ti ha
maledetto, Il'j�? Che cosa hai fatto? Sei buono, intelligente, tenero, nobile... e
ti rovini! Chi ti ha perduto? Non c'� un nome a questo male...
- C'�, - disse egli in modo appena percettibile.
Ella lo guard� interrogativamente, con gli occhi pieni di lacrime.
- Oblomovismo! - bisbigli� egli, poi le prese la mano, voleva baciargliela, ma non
pot�, se la premette forte alle labbra e delle lacrime roventi caddero sulle dita
di lei. Senza alzare il capo, senza mostrarle il viso, egli si volt� ed usc�.

12.
Dio sa dove vag� e che cosa fece tutto il giorno; a casa torn� a tarda notte. La
padrona sent� per la prima il colpo al portone e l'abbaiare del cane e con uno
strattone svegli� Anis'ja e Zach�r, dicendo loro che era tornato il signore.
Il'j� Il'�tch non si accorse quasi di come Zach�r lo spogli�, gli tolse le scarpe e
gli infil�... la veste da camera!
- Che cos'� questo? - domand� egli soltanto, guardando la veste da camera.
- L'ha portata oggi la padrona; � stata lavata e accomodata, -disse Zach�r.
Oblomov, come si sedette nella sua poltrona, cos� rimase. Tutto intorno a lui
sprofondava nel sonno e nell'oscurit�. Sedeva, appoggiato ad una mano, non si
accorgeva dell'oscurit�, non sentiva il battere delle ore. La sua mente affondava
in un caos di pensieri senza forma, confusi; essi passavano come nuvole nel ciclo,
senza scopo e senza legame, e non riusciva ad afferrarne nemmeno uno.
Il cuore era come ucciso: la vita per il momento v'era cessata. Il ritorno alla
vita, all'ordine, al corso normale delle forze vitali si compiva lentamente.
L'afflusso era molto doloroso e Oblomov non sentiva il proprio corpo, non sentiva
stanchezza, non sentiva alcun bisogno. Avrebbe potuto restar sdraiato come una
pietra per giornate intere, o per giornate intere camminare, andare, muoversi come
una macchina.
A poco a poco, e attraverso difficolt�, l'uomo o si rassegna al destino, e allora
l'organismo lentamente e gradualmente rientra in tutte le sue funzioni; o �
spezzato dal dolore e non si rialza pi�: naturalmente, secondo l'intensit� del
dolore e secondo l'uomo.
Oblomov non ricordava dove era seduto, e neppure se era seduto; guardava
macchinalmente e non not� come cominciasse a far giorno; sent� senza udire la secca
tosse della vecchietta e come il guardiano si mise a spaccar legna nel cortile e
come in casa cominciarono a battere e a far rumore, guard� senza vedere la padrona
e Akulina andare al mercato, e il pacco delle carte passare vicino alla stecconata.
N� il canto dei galli, n� l'abbaiare del cane, n� lo scricchiol�o del portone
riuscirono a trarlo dal suo stato catalettico. Si sent� il battere delle tazze, il
fischiettio del "samov�r". Finalmente, verso le dieci Zach�r apr� col vassoio la
porta dello studio, la spinse, come al solito, indietro col piede per chiuderla e,
secondo il solito, sbagli� il colpo, riuscendo tuttavia a tenere in equilibrio il
vassoio; ci aveva fatto la mano con la lunga pratica e per di pi� sapeva che dietro
di lui guardava Anis'ja e che, se avesse rovesciato qualche cosa, essa sarebbe
subito entrata a mortificarlo. Arriv� felicemente, con la barba nel vassoio,
abbracciandolo forte, fino al letto, e gi� si accingeva a mettere le tazze sulla
tavola accanto al letto e a svegliare il signore, e guarda, il letto � ancora
intatto, il signore non c'�!
Egli trasal� e una tazza vol� in terra e dietro di essa la zuccheriera. Cerc� di
afferrarle in aria, e il vassoio ondeggi� e tutto il resto vol� via. Gli riusc� di
trattenere sul vassoio solo un cucchiaino.
- Ma che tribolazione � questa? - disse, guardando Anis'ja che raccoglieva lo
zucchero, i pezzetti della tazza, il pane. - Dov'� il padrone?
Il signore � seduto sulla poltrona e ha un aspetto stravolto. Zach�r lo guard� con
la bocca spalancata stupidamente.
- Ma perch�, Il'j� Il'�tch, siete stato tutta la notte sulla poltrona e non vi
siete coricato? - domand� egli.
Oblomov volt� lentamente la testa verso di lui, guard� distrattamente e lui e il
caff� versato e lo zucchero rovesciato sul tappeto.
- E tu perch� hai rotta la tazza? - disse, e si mosse verso la finestra.
La neve fioccava fitta fitta, e ricopriva la terra.
- Neve, neve, neve! - ripet� egli storditamente guardando la neve che aveva coperto
di un fitto strato la stecconata, la siepe e le aiette nell'orto. - Ha coperto
tutto! - bisbigli� poi disperato; si sdrai� sul letto e si addorment� di un sonno
plumbeo, sconsolato.
Era gi� mezzogiorno quando lo svegli� lo scricchiol�o della porta che dava
nell'appartamento della padrona; dalla porta si tese un braccio nudo con un piatto;
nel piatto fumava una fetta di pizza.
- Oggi � domenica, - disse una voce affabilmente, - abbiamo fatto la pizza; non ne
volete una fetta?
Ma egli non rispose nulla: aveva il delirio della febbre.

PARTE QUARTA.

1.
Pass� un anno dal tempo della malattia di Il'j� Il'�tch. Molti mutamenti port�
quest'anno nei diversi luoghi del mondo: qui agit� il paese e l� l'acquet�; qui
tramont� un astro e l� ne sorse uno nuovo; qui il mondo si appropri� di un nuovo
mistero dell'esistenza e l� si ridussero in cenere case e generazioni. Dove cadeva
la vecchia vita, come la giovane erba, si faceva strada la nuova...
Anche nel quartiere di Vyborg, in casa della vedova Pshen�cyna, sebbene i giorni e
le notti scorrano tranquillamente senza portare tempestosi ed improvvisi
cambiamenti nell'uniformit� della vita, sebbene le quattro stagioni dell'anno
abbiano ripetuto il loro corso come l'anno precedente, la vita non si � arrestata e
si � mutata di continuo nelle sue manifestazioni, ma si � mutata con la stessa
lentezza con cui avvengono i mutamenti geologici del nostro pianeta: l� a poco a
poco sprofonda una montagna, qui per interi secoli il mare trasporta il limo o si
allontana dalla riva lasciando scoperta una nuova striscia di terra.
Il'j� Il'�tch guar�. Il suo procuratore Zat�rtyj si rec� in campagna e mand� i
denari ricavati dalla vendita del grano integralmente e con essi fu rimborsato
delle spese di viaggio, di mantenimento e pagato per il suo lavoro. Quanto ai
canoni, Zat�rtyj scrisse che non c'era alcuna speranza di raccogliere questi
denari, perch� i contadini in parte erano rovinati, in parte se n'erano andati in
luoghi diversi e non si sapeva dove si trovassero e che perci� egli doveva prendere
informazioni sul posto. Quanto alla strada e ai ponti, aggiungeva egli, c'era
tempo, perch� i contadini preferivano valicare il monte o attraversare il burrone
fino al villaggio anzich� lavorare per la costruzione della nuova strada e dei
ponti. In una parola, le informazioni e i denari ricevuti erano soddisfacenti ed
Il'j� Il'�tch non trov� necessario andar di persona e si tranquillizz� da questo
lato fino al nuovo anno.
Il procuratore prese delle disposizioni anche relativamente alla costruzione della
casa: stabilita, insieme all'architetto del governatorato, la quantit� di materiali
necessaria, egli lasci� disposizione allo "st�rosta" di trasportare al principio
della primavera il legname occorrente e di costruire il deposito per i mattoni,
cos� che ad Oblomov non restava che andare a primavera in campagna e cominciare la
costruzione. A quel tempo si sarebbero potuti raccogliere i canoni e inoltre era
possibile impegnare la tenuta, sicch� c'era di che coprire le uscite.
Dopo la malattia Il'j� Il'�tch fu per lungo tempo cupo, per ore intere immerso in
pensieri morbosi; non rispondeva talvolta alle domande di Zach�r e non si accorgeva
come questi buttasse le tazze a terra e non levasse la polvere dalla tavola; a
volte la padrona, portandogli nei giorni di festa la pizza, lo trovava piangente.
Poi, a poco a poco, al posto del dolore vivo subentr� una muta indifferenza. Per
ore intere egli guardava come cadeva la neve e formava dei cumuli nel cortile e
nella strada, e copriva la legna, il pollaio, il canile, il giardinetto, i solchi
dell'orto, come i pali della stecconata formavano delle piramidi, come tutto moriva
ed era ricoperto di un sudario.
A lungo ascoltava egli il crepitio del macinino del caff�, l'abbaiare del cane ed
il rumore della catena e lo strofin�o delle spazzole quando Zach�r puliva le scarpe
e il regolare "tic-tac" della pendola.
Come prima la padrona veniva a proporgli di comprar questo o quello o di assaggiar
qualche cosa; correvano i bambini della padrona ed egli con un'affabilit�
indifferente parlava con la prima, e agli altri dava lezioni, e ascoltava come
leggevano e sorrideva al loro chiacchier�o infantile, debolmente e di malavoglia.
E come la montagna affonda a poco a poco, il mare si allontana dalla riva o la
inonda, Oblomov a poco a poco ritornava alla normale vita di prima.
L'estate, l'autunno e l'inverno passarono fiacchi e noiosi. Oblomov aspettava di
nuovo la primavera e sognava di andare in campagna. In marzo arrostirono le
allodole, in aprile tolsero le doppie finestre e gli annunziarono che sulla Neva
s'era rotto il ghiaccio ed era cominciata la primavera.
Egli passeggi� per il giardino. Poi cominciarono a seminare i legumi nell'orto;
arrivarono diverse feste: la Trinit�, il "sem�k" (Il settimo gioved� dopo Pasqua)
il primo maggio, tutte accompagnate da grande sfoggio di rami di betulle e di
corone di fiori. Si cominci� a prendere il t� nel boschetto.
Fin dal principio dell'estate in casa cominciarono a parlare delle due prossime
grandi festivit�: sant'Iv�n, onomastico del fratello della padrona, e sant'Il'j�,
onomastico di Oblomov: due grandi epoche in vista. E quando alla padrona capitava
di comprare o di vedere al mercato un bel quarto di vitello, oppure la pizza
riusciva bene, ella diceva:
- Ah, se un vitello cos� si trovasse, ah, se una torta cos� riuscisse a sant'Iv�n o
a sant'Il'j�!
Si chiacchierava del venerd� di sant'Il'j� e della passeggiata che si faceva ogni
anno a piedi alla Polveriera o della cerimonia nel cimitero di Smol�nsk a K�lpino.
Sotto le finestre rison� il grave coccod� della chioccia e il pigol�o della nuova
generazione di pulcini; vennero le pizze con la carne di pollastrelle e coi funghi
freschi, e i cetrioli salati di recente; ben presto apparvero anche le bacche.
- La trippa adesso non � buona, - disse la padrona ad Oblomov, - ieri per due
piccole mi han chiesto sette "grivny" (Una "grivna" = 10 copeche); in compenso il
salmone � fresco: si pu� preparare tutti i giorni la "botvin'ja" (Minestra fredda,
fatta di legumi, pesce e "kvas").
La cucina in casa della Pshen�cyna fioriva non soltanto perch� Agaf'ja Matv�evna
era una massaia esperta e piena di vocazione, ma anche perch� Iv�n Matv�evitch
Muchojarov era, dal punto di vista gastronomico, un grande epicureo. Egli era pi�
che trascurato nel vestire, portava un abito per anni interi e spendeva con
fastidio e rabbia quando doveva acquistarne uno nuovo, che poi non curava per
nulla, gettandolo in un angolo, in un mucchio; quanto alla biancheria, come un
manovale, la cambiava solo il sabato; ma nei riguardi della tavola non badava a
spese. Facendo ci� si lasciava guidare in parte da una propria logica, da lui
creata da quando era diventato impiegato: �quel che c'� nella pancia non si vede e
perci� non te ne possono chieder conto; mentre, se porti una pesante catena d'oro
all'orologio, o un "frac" nuovo o delle scarpe lucide, tutti si sentono in diritto
di far chiacchiere�.
Perci� sulla tavola della Pshen�cyna si trovava del vitello di prima qualit�, dello
storione ambrato e delle starne bianche. Talvolta andava egli stesso, come un cane
da caccia, a fiutare al mercato o nei negozi e sotto la giacchetta portava una
pollanca di prim'ordine e non gli doleva di spendere quattro rubli per un tacchino.
Del vino si occupava egli stesso e lo procurava e lo conservava, ma sulla tavola
nessuno vedeva mai nulla, oltre la bottiglia della vodka, fatta di foglie di ribes;
il vino si beveva solo nella cameretta di sopra.
Quando con Tarant'ev si recava a pescare, egli nascondeva sempre sotto il pastrano
una bottiglia di madera di qualit� superiore, e quando andavano alla trattoria a
prendere il t�, portava sempre
una bottiglia di rum.
Il graduale ritiro o la graduale emersione del fondo del mare e il graduale
sprofondare della montagna si compivano su tutti e tra l'altro su Anis'ja:
l'entusiasmo reciproco tra Anis'ja e la padrona si trasform� in un legame
indistruttibile che ne fece come un essere solo.
Oblomov, vedendo la partecipazione presa dalla padrona alle sue faccende, una volta
le propose, scherzando, di assumersi tutte le cure della sua vita quotidiana,
liberandolo da ogni preoccupazione. La gioia illumin� il volto di lei, ed ella
sorrise perfino consapevolmente. Come si ampliava cos� la sua arena: invece di un
andamento di casa da sorvegliare, due o, meglio, uno tanto grande! Inoltre ella
acquistava Anis'ja.
La padrona parl� col fratello e il giorno seguente tutto ci� che conteneva la
cucina di Oblomov fu trasferito nella cucina della Pshen�cyna; l'argenteria e il
vasellame di lui passarono nella sua credenza e Akulina fu degradata da cuoca a
sorvegliante del pollaio e dell'orto. E tutto prese maggiori proporzioni:
l'acquisto dello zucchero, del t�, delle varie provviste, la salatura dei cetrioli,
la preparazione delle mele e delle ciliege, delle marmellate.
Agaf'ja Matv�evna crebbe d'importanza, Anis'ja si sgranch� le braccia come
un'aquila le ali e la vita cominci� a ribollire e scorrere
come un fiume.
Oblomov pranzava alle tre con la famiglia, solo il fratello della padrona pranzava
a parte, pi� tardi, il pi� delle volte in cucina, perch� tornava molto tardi
dall'ufficio. Il t� e il caff� li portava ad Oblomov la padrona stessa e non pi�
Zach�r. Quest'ultimo, se ne aveva voglia, levava la polvere, e se non ne aveva
voglia, Anis'ja volava come un turbine e in parte col grembiale, in parte con la
mano nuda, quasi col naso, in un batter d'occhio soffiava via, spazzava via, tirava
gi�, metteva in ordine e scompariva; e se non avveniva cos�, allora la padrona
stessa, non appena Oblomov usciva in giardino, gettata un'occhiata nella camera,
trovava disordine, scrollava la testa e, borbottando fra s�, scuoteva i guanciali
che si rigonfiavano come montagne, verificava nello stesso tempo le federe, e di
nuovo mormorava fra s� che bisognava cambiarle e le tirava via,
spolverava le finestre, guardava dietro la spalliera del divano e usciva.
Il graduale ritiro del fondo del mare, lo sprofondamento della montagna,
l'accumularsi del limo, con l'aggiunta di leggere esplosioni vulcaniche, tutto ci�
si compieva sempre pi� nel destino di Agaf'ja Matv�evna, e nessuno, lei meno di
tutti, se ne accorgeva. Tutto divenne chiaro solo per le conseguenze inaspettate e
innumerevoli che ne derivarono.
Perch� da qualche tempo ella non era pi� padrona di se stessa?
Perch� prima, se l'arrosto era bruciato, o il pesce nella zuppa troppo cotto, o
nella minestra mancavano gli odori, ella faceva, � vero, una severa osservazione ad
Akulina, ma con tranquillit� e dignit� e subito se ne dimenticava, ed ora invece,
se avveniva qualche cosa di simile, saltava da tavola, correva in cucina, opprimeva
di amari rimproveri Akulina e si sfogava perfino su Anis'ja e il giorno dopo
sorvegliava lei stessa che il pesce non fosse troppo cotto e nella minestra non
mancassero gli odori?
Si dir� forse che le rimordeva la coscienza di apparir negligente agli occhi di un
estraneo proprio l� dove si concentravano il suo amor proprio e la sua attivit�:
l'andamento casalingo.
Bene. Ma perch� prima, dopo le otto della sera, le si chiudevano gli occhi, e alle
nove, messi a letto i ragazzi e verificato se il fuoco in cucina era spento e se i
camini erano chiusi e tutto era in ordine, si coricava e nemmeno un cannone sarebbe
riuscito a svegliarla prima delle sei della mattina dopo?
Adesso invece, se Oblomov va a teatro o a far visita a Iv�n Ger�simovitch e tarda a
rientrare, ella non dorme, si rivolta nel letto, si fa il segno della croce,
sospira, chiude gli occhi: il sonno non viene, non c'� che fare!
Non appena sente bussar nella via, solleva la testa e qualche volta perfino salta
gi� dal letto, apre lo sportellino della finestra e sta in ascolto: � lui?
Se battono al portone, si infila in fretta la gonna e corre in cucina, scuote
Zach�r, Anis'ja e li manda ad aprire.
Si dir� forse che in ci� si manifestava la sua buona coscienza di padrona di casa
la quale non vuole che in casa ci sia del disordine, che l'inquilino aspetti la
notte nella strada fino a che il guardiano ubriaco senta ed apra, e che,
finalmente, il batter continuato svegli i bambini...
Bene. Ma perch�, quando Oblomov era stato ammalato, ella non aveva lasciato entrar
nessuno nella camera di lui, aveva coperto il pavimento di tappeti e di feltri,
messo delle tendine alle finestre ed aveva avuto degli accessi d'ira, lei, cos�
buona e mite, se Vanja e Masha appena appena gridavano o ridevano un po' forte?
Perch�, di notte, non facendo affidamento su Zach�r e Anis'ja, era sempre al
capezzale di Oblomov, senza perderlo d'occhio fino alla prima Messa, e poi,
gettatasi la mantella sulle spalle e scritto sopra un pezzo di carta a grosse
lettere �Il'j��, correva in chiesa e dava il biglietto al prete perch� il nome di
Oblomov fosse ricordato nelle preghiere e infine, ritiratasi in un angolo, si
gettava in ginocchio e rimaneva a lungo cos�, col capo in terra, e, dopo essere
corsa al mercato, ritornava ansiosa a casa, guardava furtivamente attraverso la
porta e domandava bisbigliando ad Anis'ja:
- Come va?
Si dir� che questo non era altro che piet� e simpatia, elementi dominanti nella
natura della donna.
Bene. Ma perch�, quando Oblomov, guarito, durante tutto l'inverno era stato cupo, e
a malapena aveva chiacchierato con lei e non aveva pi� fatto capolino nella stanza
e non s'era interessato di ci� che ella faceva, e non aveva scherzato, non aveva
riso con lei, ella era dimagrita ed era stata presa da una tale freddezza e
indifferenza per tutto? Macinava il caff� e non si ricordava che cosa facesse,
oppure metteva una tale quantit� di cicoria che era impossibile berlo, e non
sentiva nulla, come se non avesse pi� la lingua. Akulina non cuoceva bene il pesce,
oppure il fratello cominciava a brontolare, si levava da tavola; e lei rimaneva
immobile, come se non sentisse.
Prima nessuno l'aveva mai vista pensierosa e l'esser pensierosa non s'adattava
neppure al suo viso: sempre in movimento, sempre attenta a tutto, ed ecco, a un
tratto, col mortaio sulle ginocchia, sembrava addormentata e restava immobile, poi
all'improvviso ricominciava a pestare in un modo tale che il cane si metteva ad
abbaiare, credendo che battessero alla porta.
Ma non appena Oblomov era ritornato alla vita, non appena era riapparso il suo buon
sorriso, ed egli aveva ricominciato a guardarla, come prima, cordialmente, a
gettarle occhiate attraverso la porta e a scherzare, ella era di nuovo ingrassata e
di nuovo tutto in casa aveva ripreso il suo andamento vivace, ardito, allegro, con
una piccola sfumatura originale: ella si muoveva tutto il giorno come una macchina
ben costruita, regolarmente, armonicamente, camminava con leggerezza, parlava n�
piano n� forte, macinava il caff�, spezzava lo zucchero, passava qualcosa al
setaccio, si metteva a cucire e l'ago correva regolarmente come una lancetta
d'orologio; poi si alzava, senza agitarsi; ed ecco, si fermava a met� strada dalla
cucina, apriva un armadio e ne prendeva qualche cosa che portava via: tutto come
una macchina.
Ma adesso, che Il'j� Il'�tch � diventato membro della sua famiglia, ella pesta e
passa al setaccio ben diversamente! I suoi ricami sono ormai quasi dimenticati.
Comincia a cucire, siede tranquilla, ad un tratto Oblomov grida a Zach�r di dargli
il caff�, ed ella in tre salti compare in cucina e guarda tutto con gli occhi
spalancati, come prendendo la mira, da di piglio a un cucchiaino, versa due o tre
cucchiaini di caff� contro luce per vedere se � pronto ed abbastanza forte, se non
� torbido, si assicura che sulla panna ci sia la schiuma.
Se si prepara il piatto preferito di Oblomov, osserva la casseruola, ne leva il
coperchio, odora, assaggia, poi regge ella stessa la casseruola sul fuoco. Se pesta
le mandorle o qualche altra cosa per lui, pesta con tanto calore, con tanta forza
che il sudore l'inonda tutta.
Tutto ci� che fa in casa - pestare, stirare, stacciare, eccetera - ha ora un senso
nuovo, vivo: la tranquillit� e la comodit� di Il'j� Il'�tch. Prima ella considerava
la propria attivit� un dovere, ora era per lei un godimento. Ella cominci� a vivere
a modo suo, ma una vita piena e variata. Non sapeva tuttavia che cosa stesse
accadendo in lei, e non se lo domandava, ma portava quel lieto giogo
incondizionatamente, senza resistenze ed entusiasmi, senza palpiti, senza passione,
senza oscuri presentimenti e languori, senza gioco o musica dei nervi.
Come se fosse a un tratto passata ad una nuova fede e cominciasse a praticarla,
senza riflettere che fede fosse e quali fossero i suoi dogmi, sottomettendosi
ciecamente alle sue leggi.
Tutto ci� era avvenuto di per s�, come se ella fosse entrata nell'ombra di una
nuvola, senza indietreggiare e senza correre innanzi, e s'era innamorata di Oblomov
semplicemente, come se si fosse infreddata, colpita da una febbre inguaribile. Ella
per� non sospettava di nulla; se glielo avessero detto, sarebbe stata per lei una
novit�; avrebbe sorriso e si sarebbe mortificata.
In silenzio aveva assunto i suoi obblighi nei riguardi di Oblomov: aveva imparata
la fisionomia di ogni sua camicia, aveva contato quante calze avevano i calcagni
logori, sapeva con quale gamba Oblomov scendeva dal letto, quando in un occhio gli
cominciava un orzaiolo, quali pietanze egli amava e quanto ne mangiava, se era
allegro o cupo, se aveva dormito o no, come se tutta la vita non avesse fatto
altro, senza domandarsene il perch�, senza domandarsi che cosa fosse Oblomov per
lei e per quale ragione si preoccupasse tanto di lui.
Se le avessero domandato se lo amava, avrebbe sorriso e risposto affermativamente,
ma una risposta eguale avrebbe data gi� quando Oblomov viveva in casa sua solo da
una settimana. Ma per quale ragione si era innamorata di lui, per quale ragione
precedentemente s'era sposata senza amore, e senz'amore aveva vissuto fino ai
trent'anni, e qui ad un tratto c'era incappata?
L'amore, sebbene sia detto un sentimento capriccioso, di cui non ci si rende conto
e che nasce come una malattia, ha tuttavia le sue leggi e le sue cause. E se finora
queste leggi sono state poco studiate, � perch� la persona colpita dall'amore ha
altro da fare che seguire con occhio di scienziato come l'impressione penetra nella
sua anima, come v'incatena, quasi col sonno, i sentimenti, come da principio gli
occhi sono acciecati e da quel momento il polso, e con esso il cuore, cominciano a
battere pi� forte, e come all'improvviso sorge la devozione fino alla tomba e
l'aspirazione a sacrificar se stessi e a poco a poco scompare il proprio "io" e
passa in "lui" o in "lei", come la mente si ottunde straordinariamente o
straordinariamente si acuisce, come la volont� si arrende alla volont� altrui, e la
testa si piega, e i ginocchi tremano, e fanno la loro comparsa le lacrime, la
febbre...
Agaf'ja Matv�evna aveva veduto pochi uomini come Oblomov o, se li aveva veduti,
solo da lontano, e forse le erano piaciuti, ma essi vivevano in un'altra sfera e
non c'era possibilit� di avvicinarli.
Il'j� Il'�tch non cammina come camminava il suo defunto marito, il segretario di
collegio Pshenicyn, con una svelta andatura di uomo affaccendato, non scrive
continuamente delle carte, non trema di paura perch� � in ritardo all'ufficio, non
guarda tutti come se pregasse di mettergli una sella e via, ma al contrario guarda
tutti cos� arditamente e liberamente come se ne pretendesse sottomissione.
Egli non ha il viso volgare, rossiccio, ma bianco e delicato; le mani di lui non
somigliano a quelle di Iv�n Matv�evitch, non tremano, non sono rosse, ma piccole e
bianche. Se si siede, accavalla le gambe, appoggia la testa alla mano e fa tutto
ci� liberamente, con tranquillit� ed eleganza; non parla come parlano Iv�n
Matv�evitch e Tarant'ev e come parlava suo marito; molto di quel che egli dice ella
non lo capisce neppure, ma sente che � bello, intelligente, non comune; ed anche
ci� che ella capisce egli lo dice diversamente dagli altri. Egli porta della
biancheria fine e la cambia ogni giorno, si lava con sapone profumato, si pulisce
le unghie, � tutto cos� pulito, si presenta cos� bene, pu� non far nulla e non fa
nulla: ci son gli altri che fanno per lui. Ha Zach�r e ancora altri trecento
Zach�r!...
E' un signore, brilla, luccica! E per di pi� � cos� buono: come cammina, come si
muove dolcemente! Se le tocca la mano sembra velluto, e invece, quando la toccava
con la mano il defunto marito, pareva che battesse! E guarda e parla anche cos�
dolcemente, con tanta bont�...
Ella non pensava, non aveva coscienza di tutto ci�, ma se qualcuno avesse voluto
seguire e spiegare l'impressione fatta sulla sua anima dalla comparsa di Oblomov
nella sua vita, non avrebbe potuto spiegarla diversamente da come abbiamo fatto
noi.
Il'j� Il'�tch capiva l'importanza che la sua entrata in quell'angoletto aveva avuto
per tutti, dal fratello della padrona, al cane, il quale, dopo ch'egli era
comparso, aveva sempre ricevuto una razione tre volte superiore di ossa, ma non si
rendeva conto di come profondamente essa fosse radicata e quale inaspettata
vittoria egli avesse riportato sul cuore della padrona.
Nella preoccupazione di lei per tutto quanto lo riguardava - la tavola, la
biancheria e l'ordine nelle stanze -, egli vedeva solo una manifestazione del
principale tratto del carattere di lei, da lui notato fin dal giorno della prima
visita, quando Akulina aveva inopinatamente portato nella stanza il gallo
starnazzante ed ella, malgrado la confusione per lo zelo fuori luogo della cuoca,
aveva tuttavia trovato il modo di dirle di non vendere quel gallo, ma l'altro
grigio...
La stessa Agaf'ja Matv�evna non solo non era in grado di civettare con Oblomov, di
dargli in qualche modo a vedere quel che avveniva in lei, ma, come s'� detto, non
ne aveva neppure coscienza ed anzi aveva dimenticato che qualche tempo prima tutto
questo non avveniva, e il suo amore si rivel� solo con una sconfinata devozione
fino alla morte.
Oblomov continuava a tener gli occhi chiusi sulla vera natura del suo atteggiamento
verso di lui e a considerarlo come una conseguenza del carattere di lei. E il
sentimento della Pshen�cyna, cos� normale, naturale, disinteressato, restava un
segreto per Oblomov, per coloro che la circondavano e per lei stessa. Esso era
veramente disinteressato: ella aveva infatti accesa per lui una candela in chiesa,
l'aveva fatto ricordare nelle preghiere perch� guarisse, ed egli non ne aveva
saputo niente; aveva passato le notti al suo capezzale, e non ne aveva mai parlato.
L'atteggiamento di lui verso di lei era molto pi� semplice: per lui in Agaf'ja
Matv�evna, nei gomiti di lei eternamente in movimento, negli occhi che guardavano
tutti preoccupati, nell'eterno andar dall'armadio in cucina, dalla cucina nella
dispensa, dalla dispensa in cantina, nella conoscenza di tutte le comodit�
casalinghe e familiari, si realizzava quell'ideale di una tranquillit� di vita
sconfinata come l'oceano e imperturbabile, il cui quadro s'era riflesso
incancellabilmente nella sua anima infantile, sotto il tetto paterno.
Come l� suo padre, il nonno, i figli, i nipoti e gli ospiti se ne stavano seduti o
sdraiati in una pigra tranquillit�, sapendo che in casa c'era un occhio che si
muoveva eternamente intorno e si preoccupava di loro, e delle mani instancabili che
cucivan loro il necessario, preparavan loro da mangiare e davan loro da bere, li
vestivano, calzavano e coricavano e, quando fossero morti, avrebbero chiuso loro
gli occhi, cos� qui Oblomov standosene sul suo divano vedeva che qualche cosa di
vivo e di agile si muoveva in suo vantaggio e, anche se il sole il giorno dopo non
si fosse levato e i turbini avessero coperto il cielo e un vento tempestoso
sconvolto l'universo da un capo all'altro, sulla sua tavola ci sarebbero stati lo
stesso la minestra e l'arrosto, e la sua biancheria sarebbe stata pulita e fresca,
e la ragnatela sarebbe stata tolta via dal muro, senza che egli neppur sapesse come
ci� era avvenuto; e senza che egli si fosse affaticato a pensare che cosa voleva,
tutto sarebbe stato indovinato ed eseguito e non con la fiacca, non con la
volgarit�, non con le mani sporche di Zach�r, ma con uno sguardo ardito e timido
insieme, con un sorriso di profonda devozione, da braccia bianche e pulite coi
gomiti nudi.
Ogni giorno pi� faceva amicizia con la padrona: l'idea dell'amore non gli veniva
neppure in mente, di quell'amore cio� che egli aveva patito recentemente come un
attacco di vaiolo, o di morbillo, e il cui ricordo lo faceva tremare.
Si avvicinava ad Agaf'ja Matv�evna come se si avvicinasse ad un fuoco dal quale
viene un sempre maggior tepore, ma che non si pu� amare.
Dopo pranzo egli restava volentieri e fumava la pipa nella stanza di lei, guardava
come ella riponeva nella credenza l'argenteria, il vasellame, e ne traeva le tazze,
mesceva il caff� e come, lavata e asciugata con particolare attenzione una tazza,
vi mesceva prima che nelle altre e poi la porgeva a lui e lo guardava per vedere se
egli fosse contento o no.
Egli fermava volentieri gli occhi sul collo pieno e sui gomiti rotondi di lei,
quando restava aperta la porta della stanza, e quando questa non restava aperta era
egli stesso che pian pianino l'apriva col piede e scherzava con la padrona e
giocava coi bambini.
Ma non si annoiava se la mattina passava e non la vedeva; dopo pranzo, invece di
restar con lei, andava spesso a farsi un sonnellino di un paio d'ore, ma sapeva
che, non appena si fosse svegliato, il t� sarebbe stato gi� pronto, addirittura nel
momento stesso in cui si fosse svegliato. E quel che pi� contava, tutto ci�
avveniva tranquillamente: egli non sentiva gonfiori dalla parte del cuore, n� si
agitava al pensiero se avrebbe o no vista la padrona, e che cosa ella avrebbe
pensato e che cosa egli avrebbe detto e come risposto alle domande di lei, e
com'ella l'avrebbe guardato: niente, niente di tutto ci�!
Malinconia, notti insonni, lacrime dolci e amare: egli non conosce nulla di tutto
ci�. Siede e fuma, guarda com'ella cuce, talvolta dice qualche cosa o non dice
niente, ma intanto ha l'animo tranquillo, non ha bisogno di nulla, non ha voglia di
andare in nessun luogo, come se qui avesse tutto. Da Agaf'ja Matv�evna non vengono
stimoli ed esigenze. E in lui non nascono desideri d'amor proprio, impulsi,
aspirazioni ad azioni eroiche, tormentose sofferenze perch� il tempo passa e le sue
forze periscono e non ha fatto nulla, n� di male n� di bene, ed � ozioso e non
vive, ma vegeta.
Pare che una mano invisibile l'abbia trapiantato, come una pianta preziosa, al
riparo dal calore e dalla pioggia, e lo curi e vezzeggi.
- Come vi passa rapidamente l'ago davanti al naso, Agaf'ja Matv�evna! - disse una
volta Oblomov. - Voi passate cos� svelta l'ago che davvero ho paura che vi cuciate
il naso alla gonna.
Ella sorrise.
- Appena avr� finita questa cucitura, - disse ella quasi fra s�, - ceneremo.
- E cosa c'� per cena? - domand� egli.
- Cavolo agro con salmone, - disse ella. - Non si trova storione in nessun posto,
ho girato tutti i negozi ed anche mio fratello ha domandato; non ce n'�. Speriamo
di trovare uno storione vivo; il carrozziere ne ha ordinato uno e ci hanno promesso
di darcene una parte. Poi vitello e frittelle.
- Magnificamente! Com'� gentile da parte vostra esservene ricordata, Agaf'ja
Matv�evna! Purch� non l'abbia dimenticato Anis'ja.
- E non sono qui io per questo? Sentite come frigge? - rispose ella, aprendo un
pochino la porta che dava in cucina. - Frigge gi�.
Poi fin� la cucitura, spezz� il filo coi denti, pieg� il lavoro e lo port� in
camera.
E cos� egli le si avvicinava come ad un tepido fuoco; una volta anzi le si avvicin�
tanto che per poco non ne deriv� un incendio, o per lo meno una vampata. Camminava
egli su e gi� per la camera e, voltandosi verso la porta della padrona, vedeva che
i gomiti di lei lavoravano con una sveltezza eccezionale.
- Sempre occupata! - disse egli, entrando nella stanza. - Che cosa fate?
- Pesto della cannella, - essa rispose, guardando nel mortaio come in un abisso e
continuando a pestare senza piet�.
- E se vi disturbassi? - domand� egli prendendola per i gomiti e impedendole di
pestare.
- Lasciate! Debbo ancora pestare lo zucchero, e dare il vino per il budino.
Egli continuava a tenerla per i gomiti e il suo viso era vicino alla nuca di lei.
- Ditemi, che succederebbe se io vi... amassi?
Ella sorrise.
- E voi mi amereste? - domand� egli di nuovo.
- Perch� non amarvi? Dio ha ordinato di amar tutti.
- E se vi baciassi? - bisbigli� egli, chinandosi sulla guancia di lei tanto che
sotto al suo alito ella sent� sulla guancia un bruciore.
- Non siamo mica nella settimana santa, - disse ella con un sorriso.
- Via, baciatemi!
- Se Dio vuole, arriveremo a Pasqua e ci baceremo, - disse ella, senza
meravigliarsi, senza confondersi e intimidirsi, ma dritta e immobile come un
cavallo al quale si mettano i finimenti. Egli la baci� leggermente sul collo.
- State attento, rovescer� la cannella e non ce ne sar� per il dolce, - ella
osserv�.
- Poco male! - rispose egli.
- Ma cos'� che avete di nuovo una macchia sulla veste da camera? - domand� ella
preoccupata, prendendo la veste nella mano. - Se non mi sbaglio, � olio! - ella
odor�. - Dove ve la siete fatta? Forse � gocciolato dalla lampada?
- Non so dove me la sia fatta.
- Probabilmente avete urtato nella porta? - indovin� all'improvviso Agaf'ja
Matv�evna. - Ieri hanno dato l'olio ai cardini: scricchiolavano tutti. Levatela,
date qua, ve la smacchio e lavo io: domani non si vedr� pi�.
- Come siete buona, Agaf'ja Matv�evna! - disse Oblomov, buttando gi� pigramente
dalle spalle la veste. - Sentite, vogliamo andare a vivere in campagna? L� s�, che
ci avreste da fare! Che cosa non c'�: funghi, frutta, marmellate, il pollaio, il
bestiame...
- E perch�? - concluse ella con un sospiro. - Siamo nati qui, abbiamo vissuto qui e
qui dobbiamo morire.
Egli la guardava leggermente agitato, ma i suoi occhi non brillavano, non si
riempivano di lacrime, la sua anima non aveva impulsi verso le altezze e gli
eroismi. Aveva solo il desiderio di sedersi sul divano e di tener gli occhi sui
gomiti di lei.

2.
Il giorno di sant'Iv�n fu festeggiato solennemente. Iv�n Matv�evitch la vigilia
della festa non and� all'ufficio e scorrazz� come un forsennato per la citt�,
ritornando a casa ora con un sacchetto, ora con un cestino.
Agaf'ja Matv�evna per tre giorni di seguito visse di solo caff� e soltanto per
Il'j� Il'�tch fu preparato il pranzo: gli altri mangiarono quel che capit�. Anis'ja
la vigilia non si coric� neppure. Solo Zach�r dorm� per lei e per s�, guardando
tutti quei preparativi con indifferenza, quasi con disprezzo.
- Da noi, ad Obl�movka, per ogni festa si facevano preparativi simili, - disse ai
due cuochi che erano stati fatti venire dalla cucina del conte, - si facevano fino
a cinque pizze; quanto alle salse, non si contavano nemmeno! E i signori mangiavano
tutto il giorno, e anche il giorno seguente. E noialtri mangiavamo gli avanzi per
cinque giorni di seguito. E s'era appena finito, che arrivavano degli ospiti, e si
ricominciava da capo, e qui solo una volta all'anno!
A pranzo egli serv� per il primo Oblomov e non acconsent� a nessun costo a servir
prima un certo giovane signore con una grande croce al collo.
- Il nostro � un nobile di vecchia schiatta, - diceva egli superbamente, - che
ospiti mai son questi!
A Tarant'ev, che sedeva all'estremo della tavola, o non present� per nulla le
pietanze o gliene rovesci� egli stesso nel piatto quanto gli pass� per la testa.
Iv�n Matv�evitch aveva invitato tutti i colleghi dell'ufficio, una trentina di
persone.
Un'enorme trota, pollastrini imbottiti, quaglie, gelato e vino eccellente, tutto
ci� degnamente solennizz� la festivit�.
Gli ospiti, alla fine del pranzo, si abbracciarono, portarono ai cicli il gusto del
padrone e poi si misero a giocare a carte. Muchojarov si inchin� e ringrazi�
dicendo che, per il piacere di avere ospiti cos� preziosi, avrebbe speso senza
rimpianto lo stipendio di quattro mesi.
All'alba gli ospiti si separarono e, come Dio volle, se ne partirono e di nuovo fu
silenzio in casa fino al giorno di sant'Il'j�.
Quel giorno, di estranei furono invitati solo Iv�n Ger�simovitch ed Alekseev,
ospite tranquillo e taciturno, quello stesso che al principio del nostro racconto
aveva invitato Il'j� Il'�tch alla festa del primo maggio. Oblomov non solo non
volle cederla a Iv�n Matv�evitch, ma si sforz� di brillare con una finezza ed
eleganza di trattamento ignota in quell'angolo del mondo.
Invece di grassi pasticci di pesce, furono serviti dei pasticcini di sfoglia; prima
della minestra vi furono le ostriche; pollastrini in "papillottes" con tartufi,
carni dolci, verdura finissima e zuppa inglese.
In mezzo alla tavola troneggiava un enorme ananas intorno al quale erano pesche,
ciliege, e albicocche. Nei vasi una quantit� di fiori freschi.
Era stata appena servita la minestra e Tarant'ev aveva appena cominciato a
brontolare contro i pasticcini ed il cuoco che non vi aveva messo nulla dentro,
quando si sent� il disperato saltare e abbaiare del cane alla catena.
Nel cortile era entrata una carrozza e qualcuno domandava di Oblomov. Spalancarono
tutti la bocca per la sorpresa.
- Qualche conoscente degli anni passati si sar� ricordato del mio onomastico, -
disse Oblomov, - di' che non sono in casa! - ordin� a Zach�r.
Pranzavano in giardino sotto la pergola. Zach�r si affrett� ad eseguire l'incarico,
ma per il viale si imbatt� in Stolz.
- Andr�j Ivanytch, - diss'egli allegramente.
- Andr�j! - esclam� Oblomov a voce alta e si gett� tra le braccia dell'amico.
- Proprio a tempo, al momento del pranzo! - disse Stolz: - dammi da mangiare, ho
fame. Ho stentato proprio a trovarti!
- Andiamo, andiamo, siedi! - disse Oblomov premurosamente, facendoselo sedere
accanto.
All'apparizione di Stolz, Tarant'ev per il primo scavalc� agilmente la siepe,
andandosene nell'orto; dopo di lui Iv�n Matv�evitch si nascose dietro la pergola e
scomparve nella sua cameretta. Anche la padrona si alz�.
- Ho disturbato, - disse Stolz, balzando in piedi.
- Ma ti pare, perch�? Iv�n Matv�evitch! Mich�j Andr�jtch! - grid� Oblomov.
Fece risedere al suo posto la padrona, ma non riusc� a far tornare Iv�n Matv�evitch
e Tarant'ev.
- Di dove vieni? come mai, per lungo tempo? - le domande si seguirono rapidamente.
Stolz era venuto per una quindicina di giorni, per affari, e si recava in campagna,
poi sarebbe andato a Kiev e Dio sa dove ancora.
Stolz a tavola parl� poco e mangi� molto: si vedeva che aveva davvero molto
appetito. A maggior ragione mangiarono in silenzio gli altri.
Dopo il pranzo, quando fu sparecchiato, Oblomov ordin� di lasciare lo sciampagna e
l'acqua di seltz e rest� solo con Stolz.
Per qualche tempo rimasero in silenzio, Stolz guard� a lungo e fisso Oblomov.
- E cos�, Il'j�?! - disse egli alla fine, ma cos� severamente, cos�
interrogativamente, che Oblomov abbass� lo sguardo e non rispose.
- Allora �mai�?
- Che �mai�? - domand� Oblomov, come non comprendendo.
- Tu hai gi� dimenticato il nostro �ora o mai�?
- Io non sono pi� quello di... allora, Andr�j, - disse egli alla fine, - i miei
affari, grazie a Dio, sono in ordine: non me ne sto ozioso, il piano � quasi
finito, sono abbonato a due riviste; i libri che tu mi hai lasciati, li ho quasi
finiti...
- Perch� non sei venuto all'estero? - domand� Stolz.
- Me lo ha impedito... Egli esit�.
- Ol'ga? - disse Stolz, guardandolo espressivamente.
Oblomov s'infiamm�.
- Come, tu hai sentito?... E dov'� adesso? - domand� egli in fretta gettando
un'occhiata a Stolz.
Stolz, senza rispondere, continuava a guardarlo, penetrandogli profondamente
nell'anima.
- Ho sentito che � andata con la zia all'estero, - disse Oblomov, - subito dopo...
- Che ebbe riconosciuto il suo errore, - fin� Stolz.
- Tu sai dunque... - disse Oblomov, non sapendo dove nascondersi per l'imbarazzo.
- Tutto, - disse Stolz, - anche del ramo di lill�. E tu non hai vergogna, dolore,
Il'j�? Non ti brucia il pentimento, il rimpianto?...
- Non parlare, non ricordare! - l'interruppe Oblomov: - io mi ammalai quando vidi
quale abisso era tra me e lei e mi convinsi di non essere degno di lei... Ah,
Andr�j! se tu mi vuoi bene, non mi tormentare, non me la ricordare: io le avevo
mostrato da tanto tempo il suo errore, ella non voleva credere: � la verit�, io non
ho grande colpa...
- Io non ti accuso, Il'j�, - continu� Stolz, amichevolmente, dolcemente, - ho letto
la tua lettera. Il maggior colpevole sono io, poi lei e poi anche tu, ma poco.
- E adesso che fa? - domand� Oblomov timidamente.
- Che fa: � triste, piange lacrime inconsolabili e ti maledice...
La paura, la piet�, il pentimento ad ogni parola di Stolz si dipinsero sul volto di
Oblomov.
- Che dici, Andr�j! - disse egli, alzandosi. - Andiamo subito, in nome di Dio, sul
momento; io voglio gettarmi ai suoi piedi per chiederle perdono...
- Sta' tranquillo! - lo interruppe Stolz sorridendo, - ella � allegra, perfino
felice, mi ha detto di salutarti, voleva scriverti, ma io l'ho dissuasa dicendole
che ci� ti avrebbe agitato.
- Sia lodato Iddio! - disse Oblomov, quasi piangendo, - come sono contento, Andr�j!
lascia che ti baci e beviamo alla sua salute.
Bevettero una coppa di sciampagna.
- Adesso � in Isvizzera. In autunno andr� con la zia in campagna. Sono qui appunto
per questo: bisogna ancora sbrigare le ultime pratiche in tribunale. Il barone non
ha finito tutto: egli ha chiesto la mano di Ol'ga...
- Davvero? Era dunque vero; e lei?
- Si capisce: ha rifiutato; egli s'� addolorato ed � partito, e cos� sono io qui
per portar la causa in porto! Ma la settimana prossima sar� tutto finito. E tu?
Perch� ti sei ficcato in questo deserto?
- Si sta tranquilli, Andr�j, nessuno ti disturba...
- In che?
- Nelle tue occupazioni...
- Senti, qui � lo stesso che ad Obl�movka, soltanto pi� sudicio, - disse Stolz
guardandosi intorno. - Andiamo in campagna, Il'j�.
- In campagna... bene, forse: presto si comincer� a costruir la casa, solo non
subito, Andr�j, lasciami riflettere...
- Di nuovo riflettere! Le conosco io le tue riflessioni, rifletterai come due anni
fa hai riflettuto per andare all'estero. Partiamo la settimana ventura.
- Com'� possibile, all'improvviso? - si difese Oblomov. - Tu sei gi� in viaggio, ma
io, io debbo prepararmi... Sono ormai organizzato qui: come posso lasciar tutto
cos� su due piedi? E non ho nulla.
- Ma non c'� bisogno di nulla. Di cosa hai bisogno? Oblomov taceva.
- Le condizioni della mia salute sono cattive, Andr�j, - disse egli, - l'asma mi
opprime. E son ricominciati gli orzaioli, ora ad un occhio, ora all'altro; le gambe
mi si sono gonfiate. E qualche volta mi sono appena addormentato la notte che mi
pare che qualcuno mi picchi in testa o sulla schiena, e debbo saltar su...
- Senti, Il'j�, io ti dico seriamente che tu devi cambiar regime di vita, se no ti
prendi la podagra o un colpo apoplettico. Quanto alle speranze d'avvenire, non se
ne parli pi�: se un angelo come Ol'ga non ha potuto tirarti fuori dal tuo pantano
sulle sue ali, non riuscir� certo io a far qualcosa. Ma tu devi e puoi sceglierti
un piccolo campo d'attivit�, organizzare la tua propriet�, occuparti dei contadini,
costruire, piantare... Io non ti lascer�... Adesso non obbedisco pi� soltanto al
mio desiderio, ma alla volont� di Ol'ga: ella vuole hai sentito? che tu non muoia
del tutto, non ti seppellisca vivo, ed io le ho promesso di cavarti fuori dalla
tomba...
- Ella non mi ha ancora dimenticato! Ma ne sono io degno? -disse Oblomov con
sentimento.
- No, non ti ha dimenticato, e, a quanto pare, non ti dimenticher� mai: non � donna
da dimenticare. Tu devi andare a farle visita in campagna.
- Soltanto non adesso, ti prego, non adesso, Andr�j! Lasciami dimenticare. Ah,
ancora qui...
Egli indic� il cuore.
- Che hai? Amore forse? - domand� Stolz.
- No, vergogna e dolore! - rispose Oblomov con un sospiro.
- Bene, bene! Andiamo nella tua tenuta: devi costruire; adesso � estate, il tempo
pi� prezioso se ne passa...
- No, io ho un procuratore. Anche adesso � in campagna ed io potr� andare pi�
tardi, quando mi sar� deciso.
E cominci� a vantarsi con Stolz di aver saputo, senza muoversi, organizzare i
propri affari eccellentemente. Il procuratore raccoglieva informazioni sui
contadini fuggiaschi, vendeva a condizioni vantaggiose il grano, gli aveva gi�
mandato millecinquecento rubli e, probabilmente, avrebbe in quell'anno raccolto e
spedito l'importo del canone.
Stolz batt� le mani a questo racconto.
- Sei saccheggiato da tutte le parti! - disse egli. - Con trecento contadini
millecinquecento rubli! Chi � il tuo procuratore? Che razza d'uomo �?
- Pi� di millecinquecento, - corresse Oblomov, - sulla vendita del grano ha avuto
il suo compenso...
- Quanto?
- Non mi ricordo, veramente, te lo sapr� dire: ho i conti.
- Bene, Il'j�. Tu sei veramente morto, finito! - concluse egli. - Vestiti, vieni da
me!
Oblomov cominci� a far resistenza, ma Stolz quasi a forza lo port� con s�, scrisse
una procura al proprio nome e la fece firmare da Oblomov, al quale dichiar� che
prendeva l'Obl�movka in affitto fino a quando egli stesso non fosse andato in
campagna ed avesse imparato ad amministrare i suoi beni.
- Tu riceverai il triplo, - diss'egli, - solo che non potr� essere a lungo il tuo
affittuario, io ho anche i miei affari. Andiamo adesso in campagna, oppure vieni
subito dopo di me. Io sar� nella tenuta di Ol'ga; � a trecento verste di distanza,
di l� vengo nella tua, caccio via il procuratore, metto tutto in ordine e poi
comparirai tu. Io non ti lascio.
Oblomov sospir�.
- Ah, la vita! - diss'egli.
- Cosa fa la vita?
- Ti scuote, non ti da pace. Mi sdraierei e mi addormenterei per sempre.
- Cio�, spegneresti il lume e resteresti al buio! Bella vita! Eh, Il'j�, se tu
filosofassi almeno un po'! La vita passa come un lampo e lui vorrebbe
addormentarsi. Lascia che fiammeggi sempre, senza tregua! Ah, se si potesse vivere
due, trecento anni! - concluse egli: - quante cose si potrebbero fare!
- Tu sei un'altra cosa, Andr�j, - ribatt� Oblomov, - tu hai le ali: non vivi, voli:
tu hai amor proprio, hai delle doti personali; ecco, non sei grasso, non sei
tormentato dagli orzaioli, non ti prude la nuca. Sei fatto diversamente...
- Basta, basta! L'uomo � creato in modo da poter cambiare perfino la propria
natura; � lui che si � lasciato crescer la pancia e pensa che sia stata la natura a
mandargli questo fardello. Anche tu avevi le ali, ma hai rinunziato a volare.
- Dove mai le ali? - disse triste Oblomov. - Io non so far nulla...
- Cio� non vuoi sapere, - lo interruppe Stolz. - Non c'� uomo che non sappia fare
qualche cosa, siine pur certo!
- Ma io non so! - ribatt� Oblomov.
- A starti a sentire, non sai scrivere le carte del tribunale e una lettera al
padron di casa, ma la lettera ad Ol'ga l'hai saputa scrivere? Allora non ti hanno
spaventato i che e i quale. E la carta di seta e l'inchiostro del magazzino inglese
e la calligrafia ardita, tutto ci� l'hai trovato: dunque?
Oblomov si fece rosso.
- Al momento del bisogno, comparvero i pensieri e la lingua, come in un libro
stampato. Ma quando la necessit� non c'�, dici non so, e gli occhi non vedono e le
mani son deboli! Tu hai perduta la tua capacit� fin dall'infanzia, ad Obl�movka,
tra le zie, le balie e i servi. Hai cominciato col non saperti infilar le calze e
finisci col non saper vivere.
- Probabilmente � cos�, Andr�j, ma non c'� che fare, non puoi cambiar le cose! -
disse Il'j� con un sospiro deciso.
- Come non puoi cambiar le cose! - ribatt� irritato Stolz. - Sono sciocchezze.
Basta che tu faccia quel ch'io ti dico, e son gi� cambiate!
Ma Stolz fin� col partire per la campagna solo ed Oblomov rimase, promettendo di
andare in autunno.
- Che debbo dire ad Ol'ga? - domand� Stolz prima della partenza.
Oblomov pieg� il capo e tacque tristemente; poi sospir�.
- Non mi ricordare a lei! - disse alla fine confuso: - dille che non mi hai visto,
non hai sentito nulla di me.
- Non mi creder�.
- Allora dille che son finito, morto, perduto...
- Pianger� e non si consoler� per un pezzo; perch� rattristarla?
Oblomov pens� intenerito; aveva gli occhi umidi.
- Bene, - concluse Stolz, - mentir�; le dir� che tu vivi del suo ricordo e cerchi
uno scopo serio e grave per la tua vita. Nota bene: la vita stessa e il lavoro sono
lo scopo della vita, e non la donna: in questo vi siete sbagliati tutti e due. Ella
sar� tanto contenta!
Si salutarono.

3.
Tarant'ev e Iv�n Matv�evitch il giorno dopo sant'Il'j� si ritrovarono la sera nella
solita trattoria.
- T�! - comand� cupo Iv�n Matv�evitch e, quando il cameriere gli port� il t� e il
rum, egli rimand� la bottiglia con dispetto. - Questo non � rum, ma son chiodi! -
disse egli e, cavata dalla tasca del pastrano la sua bottiglia, la stapp� e la fece
odorare al cameriere. - Non ti buttare avanti con la tua, - osserv�. - Dunque,
compare, le cose vanno male, - disse, quando il cameriere fu uscito.
- Il diavolo l'ha portato qui! - rispose furiosamente Tarant'ev. - Che furfante,
quel tedesco! Ha annullata la procura ed ha preso la tenuta in affitto. Una cosa
inaudita. Speller� la pecorella!
- Se � pratico d'affari, compare mio, ho paura che ne venga fuori qualche cosa di
brutto! Non appena sapr� che il canone � stato riscosso, e l'abbiamo ricevuto noi,
ci far� un processo...
- Un processo addirittura! Ti sei fatto vile, compare! Non � la prima volta che
Zat�rtyj ficca la "zampa" nei denari altrui, ma sa far le cose di nascosto. Non da
mica delle ricevute ai contadini lui, piglia i soldi a quattrocchi. Si scalder� un
po' il tedesco, striller�, ma altro non potr� fare. Che processo e processo!
- Eh, eh! - disse Muchojarov, rasserenandosi. - Bene, beviamo.
Egli vers� il rum per s� e per Tarant'ev.
- Ti guardi intorno e ti pare di non poter vivere in questo mon-daccio, ma bevi un
bicchierino, e la vita � di nuovo possibile! - si consol� egli.
- E tu intanto senti cosa devi fare, compare, - continu� Tarant'ev: - prepara dei
conti, per quel che vuoi, per la legna, per i cavoli, per quel che ti passa per la
testa, tanto Oblomov adesso ha affidato tutto alla comare, e poi mostra la somma
delle spese. E diremo, appena verr� Zat�rtyj, che i denari del canone se ne sono
andati per queste spese.
- E quello mostra i conti al tedesco e questo fa davvero le somme, e...
- Macch�, vedrai; quello li ficca chiss� dove e nemmeno il diavolo li trova. Quando
verr� di nuovo il tedesco, ci avr� altro da pensare.
- Eh, eh! Beviamo, compare, - disse Iv�n Matv�evitch, riempiendo i bicchierini, - �
peccato diluirlo col t�. Odora: costa tre rubli d'argento. Vogliamo ordinare della
"seljanka" (Pietanza di cavolo agro, pesce, olive, capperi)?
- Perch� no?
- Ehi!
- No, � proprio un furfante! �Dammi la tua terra in affitto�, dice, - ricominci�
furioso Tarant'ev, - a noialtri russi una cosa simile non sarebbe venuta in niente.
Una cosa che puzza di tedesco. L� son tutti affitti, mezzadrie, aspetta e vedrai
che gli affibbia anche delle azioni.
- Cosa sono queste azioni? Io non mi raccapezzo bene, - chiese Iv�n Matv�evitch.
- Un'invenzione tedesca! - disse irritato Tarant'ev. - A un furfante qualunque, per
esempi�, viene in mente di fare delle case incombustibili e comincia a costruire
una citt�: ha bisogno di soldi e mette in vendita delle carte, mettiamo, per
cinquecento rubli, e la folla dei gonzi, le compra e poi se le vendono tra di loro.
Si sente che l'impresa va bene e le carte rincarano; va male e salta tutto! Ti
rimane la carta; e i soldi, chi s'� visto s'� visto! �Dov'� la citt�?� domandi: �
bruciata, non s'� finita di costruire, e l'inventore � scappato via coi denari.
Ecco cosa sono le azioni! Il tedesco ci tirer� anche lui, vedrai! Mi meraviglio che
non ce l'abbia tirato ancora! L'ho impedito sempre io, ho beneficato il compaesano.
- Si, quest'� un articolo finito; � un affare deciso e passato in archivio; quanto
al canone d'Obl�movka, � tempo ormai di digiuno... - disse, gi� un po' ubriaco,
Muchojarov.
- Che il diavolo se lo porti, compare! Ce n'hai tanto di denaro che non lo misuri
nemmeno con la pala! - ribatt� Tarant'ev, anche lui un po' annebbiato: - la fonte �
sicura, piglia, piglia, non ti stancare. Beviamo!
- Che fonte, compare? Metti da parte tutta la vita un rublo per volta, tre rubli
per volta...
- Ma son vent'anni che metti da parte, compare: non mentire!
- Ma che venti! - ribatt� Matv�evitch con la lingua malferma: - tu hai dimenticato
che son segretario da dieci anni soltanto. E prima mi rotolavano per le tasche dei
decini e dei ventini, e qualche volta, mi vergogno perfino a dirlo, mi dovevo
adattare a raccogliere del rame. Che vita � questa! Eh, compare! Gente felice �
quella che, per aver soltanto bisbigliato una parolina all'orecchio di un altro, o
per aver dettato una riga o, semplicemente, per aver fatta la propria firma, ad un
tratto gli viene un tal gonfiore nella tasca, come un cuscino, da poterci dormir
sopra. Ecco, poter lavorare un po' cos�, - fantastic� egli, sempre pi� sotto
l'azione del vino, - i sollecitatori non vedono nemmeno che faccia hai, non osano
avvicinarsi. Allora ci si mette in carrozza e si grida al cocchiere d'andare al
"club" e l�, al "club", ti stringon le mani dei pezzi grossi in decorazioni, e
giochi, ma non colla posta di cinque copeche, pranzi e come pranzi, ah! La
"seljanka" ti vergogni perfino a nominarla: roba da sputare. D'inverno ti danno a
pranzo i pollastrelli, d'aprile le fragole! A casa la moglie tutta in trine, i
bambini hanno la governante, sono ben pettinati e ben vestiti. Eh, compare! C'� il
paradiso, ma i peccati non ci lasciano entrare. Beviamo! Ecco che portano la
"seljanka"!
- Non lagnarti compare, non peccare: il capitale ce l'hai e buono... - disse
Tarant'ev, ubriaco, con gli occhi rossi, come iniettati di sangue. -
Trentacinquemila rubli d'argento, non � uno scherzo!
- Piano, piano, compare! - l'interruppe Iv�n Matv�evitch. - E che, sempre
trentacinque! Quando arriver� a cinquanta! E del resto con cinquanta nemmeno si va
in paradiso. Se si piglia moglie, bisogna vivere con precauzione d'ogni sorta,
contare ogni rublo, dimenticarsi il rum di Giamaica: che vita � mai questa!
- Ma in compenso sei tranquillo, compare, chi ti da un rublo, chi due, in una
giornata sei o sette li fai di certo. N� legami n� fastidi, n� macchie n� fumo. Che
se ti capita di metter la firma sotto un grosso affare, ne sentirai il peso nei
fianchi per tutta la vita. Non ti lagnare, compare.
Iv�n Matv�evitch non ascoltava, che da un pezzo gi� pensava ad altro.
- Ascolta, - cominci� egli ad un tratto, con gli occhi fuori, e cos� contento
all'idea che aveva in mente, che l'ubriacatura quasi gli era svanita; - ma no, ho
paura, non te lo dico, non mi voglio far scappare di testa un uccello simile. Che
tesoro � venuto da queste parti... Beviamo, compare, beviamo!
- Non berr� se non parlerai! - disse Tarant'ev, scansando il bicchiere.
- E' un affare importante, compare, - bisbigli� Muchojarov, voltandosi verso la
porta.
- Ebbene?... - domand� impaziente Tarant'ev.
- Ecco la mia trovata! Sai, compare, � lo stesso come far la firma sotto un grosso
affare, te lo giuro!
- Ma cos'�, ti decidi?
- E che guadagno ci sar�!
- Dunque? - l'incit� Tarant'ev.
- Aspetta, lasciami pensare. Qui non c'� nulla da distruggere, qui c'� la legge.
Non c'� che fare, te lo dico perch� tu mi servi; senza di te sono imbarazzato. Se
no, Dio m'� testimonio, non lo direi, non � cosa da dirsi ad estranei!
- Che io sono forse un estraneo per te, compare? Se non mi sbaglio, ti ho reso
servizio pi� d'una volta, t'ho fatto da testimonio; e delle copie... non ti
ricordi? Porco che sei!
- Compare, compare, tieni la lingua a posto. Guarda come sei: spari come un
cannone!
- Ma chi diavolo pu� sentire qua? Che non mi so frenare, forse? - disse Tarant'ev
con dispetto. - Perch� mi tormenti? Parla, dunque.
- Ascolta: Il'j� Il'�tch � un po' pauroso, non conosce nessun regolamento: per il
contratto perdette la testa, quando dovette trasferire la procura non sapeva di
dove cominciare; non si ricorda nemmeno l'ammontare del canone, dice egli stesso:
�non so niente�...
- E cos�? - domand� impaziente Tarant'ev.
- Ecco, ha preso l'abitudine di andar troppo spesso da mia sorella. L'altro giorno
� rimasto fin quasi all'una; mi incontr� nell'anticamera e fece come se non mi
avesse visto. Guardiamo un po' cosa sar� appresso e allora... Tu, da parte tua,
parlagli, digli che non � bene far cose disoneste in casa altrui, che lei � vedova;
di' che l'hanno gi� saputo; che non potr� pi� trovar marito; che gi� un ricco
mercante la voleva sposare e adesso ha sentito che lui passa le serate con lei e
non la vuole pi�.
- E che! si spaventer�, si butter� sul letto e comincer� a rivoltarsi come un
porco, e a sospirare, ecco tutto, - disse Tarant'ev. - Che vantaggio? dov'� il
guadagno?
- Come sei! E tu di' che io voglio denunciarlo, che l'hanno spiato, che ci sono dei
testimoni...
- E cos�?
- Cos�, se si spaventa molto, tu digli che si pu� riparare, sacrificare un piccolo
capitale.
- Ma dove ha i denari? - domand� Tarant'ev. - Quanto a promettere, per paura
prometter� anche diecimila rubli...
- Allora tu mi ammiccherai soltanto ed io avr� gi� preparata una lettera... a nome
di mia sorella: �cos� e cos�, io Oblomov ho preso in prestito dalla vedova tal dei
tali diecimila rubli, da restituire il giorno tale, ecc.�.
- E che profitto, compare? Non capisco: il denaro andr� a tua sorella e ai suoi
figli. Dov'� il guadagno?
- Ed io far� firmare da mia sorella una lettera per la stessa somma.
- E se lei non firmer�? Se far� resistenza?
- Mia sorella!
E Iv�n Matv�evitch fece una risatina.
- Firmer�, compare, firmer�; firmerebbe la propria condanna a morte e non
domanderebbe di che si tratta. Sorrider� e scarabocchier� �Agaf'ja Pshen�cyna�, e
non sapr� mai cosa avr� firmato. Vedi: tu ed io staremo in disparte: mia sorella
avr� un credito verso il segretario collegiale Oblomov ed io verso la segretaria
collegiale Pshen�cyna. Che si scaldi pure il tedesco, � un affare secondo la legge!
- disse egli sollevando in alto le mani tremanti. - Beviamo, compare!
- Un affare secondo la legge! - disse entusiasmato Tarant'ev. - Beviamo.
- E se va bene, si potr� ripetere dopo un paio d'anni: un affare secondo la legge!
- Un affare secondo la legge! - dichiar� Tarant'ev, facendo un cenno d'approvazione
con la testa. - Beviamo ancora!
- Beviamo! E bevvero.
- Purch� il tuo compaesano non faccia resistenza e non scriva prima al tedesco, -
osserv� timorosamente Muchojarov, - allora andrebbe male! Non si pu� iniziare
nessuna causa: lei � vedova, non � ragazza!
- S�, scrive! Come no! Dopo un paio d'anni, - disse Tarant'ev. - Se si ostiner�,
l'insulter�...
- No, no, Dio ci scampi! Rovineresti tutto, compare: dir� che l'hanno forzato, che
l'hanno picchiato: codice penale! No, cos� non va! Ecco quel che si pu� far con
lui: prima di tutto mangiare e bere; gli piace la vodka di ribes. E non appena la
testa comincer� a girargli, tu mi farai segno: io entrer� con la lettera. Egli non
guarder� la somma, firmer� come ha firmato il contratto e poi, quando la lettera di
prestito sar� registrata, va' a domandare! Un signore come lui si vergogner� di
confessare che ha firmato in istato di ubriachezza: un affare secondo la legge!
- Un affare secondo la legge! - ripet� Tarant'ev.
- Che allora vada pure agli eredi l'Obl�movka!
- Che vada pure. Beviamo, compare.
- Alla salute degli allocchi! - disse Iv�n Matv�evitch. E bevvero.

4.
Bisogna trasportarsi adesso alquanto indietro, a prima dell'arrivo di Stolz, per
l'onomastico di Oblomov, e in un luogo diverso, lontano dal quartiere di Vyborg.
Incontreremo persone note al lettore, intorno alle quali Stolz non aveva detto ad
Oblomov tutto quel che sapeva, per considerazioni particolari, o forse perch�
Oblomov non ne aveva domandato, anch'egli, probabilmente, per considerazioni
particolari.
Una volta a Parigi Stolz passava per un boulevard e guardava distrattamente i
passanti e le insegne dei magazzini, senza fermare gli occhi su nulla. Egli non
aveva da tempo ricevuto lettere dalla Russia, n� da Kiev, n� da Odessa, n� da
Pietroburgo. Si annoiava, aveva allora allora portate tre lettere alla posta e
ritornava a casa.
Ad un tratto i suoi occhi si fermarono su qualche cosa, con sorpresa, ma poi
ripresero la loro espressione normale. Due signore, lasciato il boulevard,
entravano in un negozio nella strada vicina.
�No, non pu� essere, - pens� egli, - che idea! l'avrei saputo! Non son loro�.
Tuttavia si avvicin� alla vetrina del negozio e attraverso il vetro cerc� di
guardare: �non si vede nulla, voltano la schiena alla vetrina�.
Stolz entr� nel negozio e domand� qualche cosa. Una delle signore si volt� verso la
luce, ed egli riconobbe Ol'ga Il'�nskaja: la riconobbe e non la riconobbe! Avrebbe
voluto andarle incontro, ma si ferm� e la guard� fisso.
Dio mio! Che mutamento! E' lei e non � lei. I tratti del volto; sono i suoi, ma �
pallida, gli occhi sono affossati e sulle labbra non c'� pi� quel sorriso
infantile, non c'� pi� ingenuit�, spensieratezza. Sulle sopracciglia erra un
pensiero non sai se grave o crucciato, e gli occhi dicono tante cose che prima non
dicevano, non sapevano. Ella non guarda come prima apertamente, con uno sguardo
luminoso e tranquillo, ma su tutto il volto c'� una nuvola o di tristezza o di
nebbia.
Egli le si avvicin�. Ol'ga corrug� le sopracciglia, lo guard� per un momento
incerta, poi lo riconobbe: le sopracciglia si distesero e rimasero in posizione
simmetrica, gli occhi brillarono di una gioia calma, senza impeti, ma profonda.
Qualsiasi fratello sarebbe stato felice d'essere accolto con tanta gioia da una
sorella amata.
- Dio mio! Siete voi? - disse ella con una voce che penetrava nell'anima,
dolcissima e tenera.
La zia si volt� svelta e tutti e tre si misero a parlare ad alta voce. Egli le
rimprover� di non avergli scritto, esse si giustificarono: erano arrivate solo da
due giorni e lo cercavano dappertutto. In una casa dove aveva abitato avevan detto
loro che era partito per Lione ed esse non sapevano che fare.
- Ma come v'� venuto in mente? Senza scrivermi una parola! - disse egli.
- Ci siamo decise all'improvviso e perci� non vi abbiamo scritto, - disse la zia. -
Ol'ga voleva farvi una sorpresa.
Egli guard� Ol'ga: il volto di lei non confermava le parole della zia! Egli la
guard� ancora pi� fisso, ma ella era impenetrabile, inaccessibile alla sua
investigazione.
�Che � successo? - pens� Stolz. - Una volta indovinavo subito il suo pensiero, ed
ora... quale cambiamento!�
- Come vi siete sviluppata, Ol'ga Serg�evna, siete cresciuta, maturata, - disse
egli ad alta voce, - io non vi riconosco! Ed � solo un anno che non ci siamo visti.
Che avete fatto, che vi � accaduto? Raccontate, raccontate!
- Ma... niente di particolare, - disse ella osservando una stoffa.
- E il vostro canto? - diceva Stolz, continuando a studiare Ol'ga, per lui come
nuova, e sforzandosi di leggere sul volto di lei il gioco dei pensieri a lui
ignoto; ma questo gioco come un lampo compariva e si nascondeva di continuo.
- E' un pezzo che non canto, un paio di mesi, - disse ella con indifferenza.
- E Oblomov, che fa? - gett� egli all'improvviso la sua domanda. - E' ancora vivo?
Non scrive mai nulla.
Qui, forse, Ol'ga avrebbe rivelato involontariamente il proprio segreto, se non
fosse corsa in aiuto la zia.
- Figuratevi, - disse questa, uscendo dal negozio, - veniva da noi tutti i giorni,
poi all'improvviso scomparve. Noi ci preparavamo a partire per l'estero; mandai a
domandare di lui: dissero ch'era malato e non riceveva nessuno; cos� non ci siamo
veduti.
- E voi non sapevate? - domand� preoccupato Stolz a Ol'ga. Ella guard� fissa con
l'occhialetto una carrozza che passava.
- Egli si � veramente ammalato, - disse, continuando a guardare con finta
attenzione la carrozza. - Guardate, "ma tante", mi pare che siano passati i nostri
compagni di viaggio.
- Lasciate, datemi piuttosto notizie del mio Il'j�, - insistette Stolz, - che ne
avete fatto? Perch� non l'avete portato con voi?
- "Mais ma tante vient de dire", - disse ella.
- Egli � spaventosamente pigro, - osserv� la zia, - e cos� selvaggio che, non
appena si riunivano da noi tre o quattro persone, subito scappava via. Figuratevi
che prese l'abbonamento all'opera e non and� a pi� di met� delle recite.
- Non and� a sentire Rubini, - aggiunse Ol'ga.
Stolz scosse il capo e sospir�.
- Ma come vi siete decise al viaggio? Resterete a lungo? E come v'� venuto in mente
all'improvviso? - continu� a domandare Stolz.
- Per lei, per consiglio del dottore, - disse la zia, indicando Ol'ga. - L'aria di
Pietroburgo evidentemente le faceva male, e cos� siamo venute via per l'inverno, ma
non abbiamo ancora deciso dove lo passeremo, se a Nizza o in Isvizzera.
- S�, vi siete cambiata molto, - disse Stolz soprappensiero, scrutando Ol'ga,
studiando ogni sua linea, guardandola negli occhi.
Le Il'inskij passarono sei mesi a Parigi: Stolz fu il loro unico compagno, la loro
guida quotidiana.
Ol'ga migliorava a vista d'occhio: dalla malinconia pass� alla tranquillit� e
all'indifferenza, per lo meno esteriore. Quel che avveniva dentro di lei Dio lo sa,
ma poco alla volta ella ritornava per Stolz l'amica di un tempo, sebbene non
ridesse pi� come prima di un riso rumoroso, infantile, argentino, ma sorridesse
solo di un sorriso trattenuto quando Stolz scherzava. E qualche volta anzi sembrava
indispettita di non poter trattenere il riso.
Egli vide subito che non era pi� possibile scherzare: spesso con le sopracciglia
asimmetricamente disposte una pi� in su dell'altra e con la piega sulla fronte ella
ascoltava un'uscita comica di lui e non sorrideva: continuava, in silenzio, a
guardarlo, come con un rimprovero di leggerezza, o con impazienza, oppure
all'improvviso, invece di rispondere allo scherzo, gli faceva una domanda profonda
e l'accompagnava con uno sguardo cos� insistente, che egli sentiva rimorso della
conversazione superficiale, vuota.
A volte ella manifestava una tale stanchezza interiore, per il vuoto affannarsi
mondano d'ogni giorno, che Stolz doveva subito passare in un'altra sfera, nella
quale egli di rado e malvolentieri entrava con le donne. Quanta forza di pensiero e
abilit� della mente doveva impiegare unicamente perch� si schiarisse e
tranquillizzasse il profondo e indagatore sguardo di Ol'ga, perch� esso non
anelasse, non cercasse interrogativamente qualche cosa pi� lontano, qualche cosa al
di l� di lui!
Come si agitava quando, per una sua spiegazione negligente, lo sguardo di lei si
fermava, secco, severo, e le sopracciglia si corrugavano e sul viso le si
diffondeva un'ombra di tacito, ma profondo malcontento! Ed egli doveva impiegare
due, tre giorni di sottilissimo gioco della mente e perfino di furberia, di fuoco,
e tutta la sua capacit� nello sbrigarsela con le donne, per evocare, con fatica e a
poco a poco, dal cuore di Ol'ga un riflesso di serenit� sul volto, una mitezza
conciliativa nello sguardo e nel sorriso!
Alla fine della giornata egli tornava talvolta a casa abbattuto da quella lotta ed
era felice quando ne usciva vincitore.
�Dio mio, come s'� fatta pi� matura, come s'� sviluppata! Chi � stato il suo
maestro? Dove ha preso le sue lezioni di vita? Dal barone? Troppo lisciato, non c'�
nulla da cavare dalle sue frasi da damerino! Non certo da Il'j�...�
Ed egli non poteva capire Ol'ga, e il giorno seguente correva di nuovo da lei e
attentamente, timorosamente leggeva sul suo viso, spesso incontrando difficolt� e
vincendo solo con l'aiuto di tutta la sua intelligenza e conoscenza della vita i
dubbi e le esigenze, tutto ci� che si manifestava nei tratti di Ol'ga. Con la
fiaccola dell'esperienza tra le mani, egli si avventurava nel labirinto
dell'intelligenza, del carattere di lei, ed ogni giorno vi scopriva e imparava
nuovi fatti e nuovi tratti, senza mai vedere il fondo, e con sorpresa ed ansia
osservava come l'intelligenza di lei richiedesse il suo pane quotidiano e l'anima
non si acquetasse e sempre chiedesse esperienza e vita. A tutta l'attivit� e vita
di Stolz si aggiungeva ogni giorno pi� una nuova attivit� e vita: circondando Ol'ga
di fiori, portandole libri, musiche ed album, Stolz si tranquillizzava, ritenendo
di avere cos� per qualche tempo riempiti gli ozi della sua amica, e andava al
lavoro, o a visitare qualche tenuta modello, a cercar gente e a far nuove
conoscenze, si incontrava con persone nuove o notevoli; poi ritornava a lei stanco,
si sedeva presso il pianoforte e riposava al suono della voce di lei. E
all'improvviso sul volto di lei sorprendeva le domande pronte e nello sguardo
un'insistente esigenza di spiegazioni. A poco a poco, involontariamente egli prese
l'abitudine di raccontarle quel che aveva visto, e perch�.
Talvolta ella esprimeva il desiderio di vedere e conoscere personalmente quel che
egli aveva visto e conosciuto. Ed egli ripeteva il lavoro: andava con lei a
visitare edifici, luoghi, macchine, a leggere antichi avvenimenti sulle mura, nelle
pietre. A poco a poco, senza accorgersene, egli si abitu� a pensare e sentire in
sua presenza ad alta voce, e all'improvviso, una volta, con un severo esame di s�,
riconobbe che aveva cominciato a vivere una nuova vita, non pi� solo, e ci� dal
giorno dell'arrivo di Ol'ga.
Quasi inconsapevolmente, come dinanzi a se stesso, cominci� a fare in presenza di
lei l'apprezzamento dei tesori conosciuti e meravigli� se stesso e lei; poi si
preoccup� di assicurarsi se nello sguardo di lei non fosse rimasto qualche dubbio,
se sul viso fosse il riflesso del pensiero soddisfatto e lo sguardo di lei lo
accompagnasse come un vincitore. Se era cos�, egli andava a casa superbo, fremente
di agitazione e durante la notte, in segreto, si preparava alla lotta
dell'indomani. Le occupazioni pi� noiose, pi� indispensabili, non gli sembravano
aride, ma solo indispensabili: esse penetravano pi� profondamente nel tessuto della
vita; pensieri, osservazioni, fenomeni non si depositavano, in silenzio e
indifferentemente, nell'archivio della memoria, ma davano un colorito vivace ad
ogni giornata.
Quale calda alba si spandeva sul pallido volto di Ol'ga, quando egli, senza
attendere il suo sguardo interrogativo e ansioso, si affrettava a gettarle, con
fuoco ed energia, nuovo materiale, nuovi elementi di vita! Ed egli stesso com'era
felice, quando la mente di lei, con la stessa preoccupazione e con dolce
sottomissione, si affrettava ad afferrare ogni suo sguardo, ogni sua parola e si
guardavano tutti e due con occhi vigili: egli per vedere se non era rimasto alcun
punto interrogativo negli occhi di lei, ella per vedere se egli non aveva
dimenticato qualche cosa e, peggio, se non aveva trascurato di aprirle qualche
cantuccio nebbioso a lei inaccessibile e di sviluppare il proprio pensiero.
Quanto pi� importante e complicato era il problema, quanto pi� attentamente egli
gliene rivelava la soluzione, tanto pi� a lungo e fisso fermava ella su di lui il
suo sguardo penetrante e tanto pi� questo sguardo era caldo, profondo, cordiale.
�E' una bambina! - pensava egli stupito, - eppure mi sorpassa!�
E cominci� a meditare intorno a Ol'ga come non aveva meditato mai intorno a
nessuno.
In primavera partirono per la Svizzera. Ma gi� prima della partenza da Parigi,
Stolz aveva deciso che ormai senza Ol'ga non poteva vivere. Decisa questa
questione, egli avrebbe voluto sapere se Ol'ga poteva vivere senza di lui. Ma
questa questione non era cos� facile a risolvere. Egli l'affront� lentamente, con
circospezione e cautela, andando a tentoni, ma nello stesso tempo arditamente, e
pi� di una volta pens� d'essere vicino allo scopo, di star gi� per cogliere un
indubbio segno, uno sguardo, una parola, un senso di noia o di gioia: � necessario
ancora un piccolo tratto, un appena percettibile movimento delle sopracciglia di
Ol'ga, un sospiro, e il mistero scomparir�: egli � amato!
Sul volto di lei egli leggeva una fede in lui che aveva qualche cosa d'infantile;
talvolta ella lo guardava come non guardava nessun altro, o come avrebbe soltanto
guardata la madre, se l'avesse avuta.
Le sue venute, il tempo che egli trascorreva con lei lontano dal lavoro per darle
soddisfazione, tutto ci� non era da lei considerato un favore, un lusinghiero
omaggio di amore, una cortesia cordiale, ma semplicemente un obbligo, come se egli
fosse un fratello, suo padre, suo marito: e questo era molto, era tutto. Ed ella
stessa, in ogni parola, in ogni passo fatto con lui, era cos� libera e sincera,
come se egli avesse avuto su di lei un'indiscutibile autorit� e peso.
Egli sapeva anche di avere quest'autorit�, ella lo confermava ogni momento, dicendo
che aveva fede in lui solo e che solo di lui poteva ciecamente fidarsi e di nessun
altro al mondo. Egli, naturalmente, ne era superbo, ma di una cosa simile si
sarebbe potuto vantare un qualunque zio anziano, intelligente ed esperto, e perfino
il barone, se fosse stato uomo di mente serena e di carattere.
Ma era questa l'autorit� dell'amore? ecco il problema. Entrava in questa autorit�
un po' di quell'affascinante inganno, di quel lusinghiero accecamento, nel quale la
donna � pronta a sbagliarsi crudelmente e ad essere tuttavia felice dell'errore?...
No, ella si sottomette a lui cos� consapevolmente! I suoi occhi, � vero, ardono,
quando egli svolge una qualsiasi idea o mette a nudo la propria anima; ella lo
avvolge nei raggi del suo sguardo, ma � sempre evidente il perch�; talvolta ella
stessa ne dice la ragione. Nell'amore invece il merito si acquista ciecamente,
inconsapevolmente, e in questa cecit� e incoscienza � appunto la felicit�. Se ella
� offesa, si vede subito per quale ragione.
Egli non sorprendeva mai n� improvvisi rossori, n� gioie, n� languidi o tremanti
bagliori dello sguardo, e, se qualche cosa di simile appariva talvolta, se gli era
parso, per esempio, che il volto di lei si fosse contratto per il dolore, quando le
aveva detto che entro pochi giorni sarebbe partito per l'Italia, il sangue gli era
appena affluito al cuore per questi preziosi e rari momenti, che subito si era di
nuovo come disteso un velo su ogni cosa, ed ella aveva aggiunto ingenuamente e
sinceramente:
- Peccato che non possa venire con voi, ne avrei tanto desiderio! Ma voi mi
racconterete tutto in modo che mi sembrer� d'esserci stata.
E l'incanto era rotto da questo desiderio palese, che non si nascondeva a nessuno,
e da questo banale e formale elogio della sua arte di raccontare. Ed egli
raccoglieva gli elementi pi� minuti, e gi� era riuscito ad intrecciare un ricamo
sottilissimo, rimaneva da finire solo qualche maglia, ed ecco a un tratto...
A un tratto ella ridiventava tranquilla, eguale, semplice, talvolta perfino fredda.
Sedeva, lavorava e lo ascoltava in silenzio, alzava di tratto in tratto il capo,
gli lanciava degli sguardi cos� indagatori, curiosi e penetranti, che pi� di una
volta egli con dispetto buttava via il libro, interrompeva una spiegazione, saltava
su ed andava via. Ma se si voltava, vedeva che ella lo seguiva con uno sguardo
sorpreso; allora si rammaricava, tornava indietro e inventava una qualsiasi
giustificazione.
Ella lo ascoltava con tutta semplicit� e gli credeva. Nemmeno l'ombra di un dubbio,
di un sorriso scaltro era sul suo volto.
�Mi ama o non mi ama?� nella testa di lui si alternavano queste due domande.
Se ama, perch� � cos� prudente, cos� chiusa? Se non ama, perch� � cos� sottomessa,
piena di attenzioni?
Egli dovette partire per una settimana da Parigi per recarsi a Londra e venne a
dirglielo il giorno stesso della partenza, senza preavvertirla.
Se ella si fosse improvvisamente spaventata, si fosse mutata in volto, il segreto
si sarebbe senz'altro rivelato ed egli sarebbe stato felice! Ma ella gli strinse
con forza la mano, si rattrist�: egli ne fu disperato.
- Mi annoier� terribilmente, - disse ella, - mi metterei a piangere; � come se
fossi orfana adesso. "Ma tante" (). Sentite, Andr�j Ivanytch parte! - aggiunse
lamentosamente.
Egli si sent� come tagliato sul vivo.
�S'� rivolta anche alla zia! - pens� egli: - ci mancava solo questo! Vedo che le
dispiace, che forse ama... ma questo amore si pu� comprare, come una merc� alla
Borsa, in tanto tempo, con tanta attenzione e cura... Non torner�, - pens� cupo. -
La grazia della bambina! E pensare che la si conduceva per mano, prima! Che accade
in lei?�
E s'immerse in profondi pensieri.
Che cosa accadeva in Ol'ga? Egli ignorava una bagattella, che cio� essa una volta
aveva amato, che aveva gi� superato nei limiti del possibile il periodo giovanile
dell'incapacit� a dominar se stessa, degli improvvisi rossori, del dolore chiuso
nel cuore, dei febbrili sintomi dell'amore, della prima febbre. Se egli avesse
saputo ci�, non avrebbe certo scoperto il segreto, se ella l'amava o no, ma per lo
meno avrebbe compreso perch� gli era cos� difficile indovinare quel che avveniva in
lei.
In Isvizzera si recarono in tutti i luoghi dove sogliono recarsi i viaggiatori. Ma
pi� spesso e con pi� piacere si fermarono nei luoghi calmi e tranquilli, meno
frequentati. Erano, o almeno Stolz, cos� occupati delle �proprie cose� che si
stancarono del viaggio, il quale pass� cos� per loro in seconda linea.
Egli la segue su per i monti, guarda gli abissi, le cascate, ed in ogni cornice
ella � in primo piano. La segue per uno stretto viottolo, mentre la zia rimane gi�
nella carrozza, ed osserva in segreto con occhio vigile come ella si arresta,
mentre sale, a prender fiato, e quale sguardo ferma su di lui, immancabilmente e
prima di tutto su di lui: di questo egli � ormai convinto.
Sarebbe stato bello: egli sente calore e luce entrargli nel cuore, ma ad un tratto
ella volge lo sguardo al paesaggio e si irrigidisce, si dimentica in una specie di
assopimento contemplativo, ed � come se egli non sia presente. Appena egli si
muove, dice una parola, richiama l'attenzione su di s�, ella si spaventa e grida
perfino: � chiaro che aveva dimenticato se egli era l� o lontano, in una parola se
egli era al mondo.
In compenso per� pi� tardi, a casa, alla finestra, sul balcone, ella parla con lui
solo, a lungo, e sceglie le impressioni della propria anima fino a che non si �
rivelata tutta e parla con calore, con entusiasmo, e talvolta si ferma e cerca una
parola ed afferra a volo l'espressione da lui suggerita, e nel suo sguardo brilla
un raggio di gratitudine per questo aiuto. Oppure siede, pallida di stanchezza, in
una grande poltrona e solo i suoi occhi avidi e non mai stanchi gli dicono quel che
ella vuole udire da lui. Lo ascolta immobile, ma senza lasciarsi sfuggire nemmeno
una parola, senza perdere un solo particolare. Egli si ferma ed ella ascolta
ancora, gli occhi interrogano ancora ed egli, rispondendo a questa muta richiesta,
continua con nuova forza, con nuovo entusiasmo.
Sarebbe troppo bello: egli sente calore e luce, il cuore batte; vuoi dire che ella
qui vive, che non ha bisogno d'altro: qui � la sua luce, il suo fuoco, la sua
intelligenza. E ad un tratto ella si leva affaticata e quegli stessi occhi or ora
indagatori, lo pregano di andar via, oppure ella vuoi mangiare, e mangia con tanto
appetito...
Tutto ci� sarebbe stato magnifico: egli non era un sognatore; non avrebbe voluto
una passione violenta, come non l'avrebbe voluta nemmeno Oblomov, ma per tutt'altre
ragioni. Egli avrebbe voluto che il sentimento avesse seguito un suo corso eguale,
caldo e ribollente da principio alla fonte, per attingervi e bervi, e poi sapere
per tutta la vita di dove sgorgasse quella fonte di felicit�...
�Mi ama o non mi ama?� si domandava egli tormentosamente, fin quasi a sudar sangue,
fin quasi a piangere.
Questo problema diventava per lui sempre pi� rovente, si impadroniva di lui come
una fiamma, forgiava i suoi propositi: era ormai il solo grande problema, non pi�
dell'amore, ma della vita. Nella sua anima ormai non c'era pi� posto per nulla.
Come se in quel mezzo anno si fossero in una volta raccolte e scatenate su di lui
tutte le sofferenze e le torture dell'amore, quelle che egli cos� attentamente
aveva sempre evitate nei suoi incontri con le donne. Egli sentiva che neppure il
suo sano organismo avrebbe resistito se quella tensione della mente, della volont�,
dei nervi fosse durata ancora dei mesi. Egli cap� quel che prima non aveva capito,
come cio� si consumino le forze in queste lotte invisibili dell'anima con la
passione, come il cuore si copra di ferite insanabili senza sangue, come nascano i
lamenti e si consumi la vita. Gli venne cos� meno l'orgogliosa fede nelle proprie
forze; pi� non scherzava leggermente, sentendo raccontare come altri perdano la
ragione e si ammalino per ragioni diverse, tra l'altro per amore.
Cominci� ad aver paura.
�No, io metter� fine a tutto ci�, - si disse, - oggi la guarder� in fondo all'anima
come una volta e domani... o sar� felice, o partir�! Non ho pi� forza! - continu�,
guardandosi nello specchio. - Non sembro pi� io... Basta!...�
E and� direttamente al suo scopo, cio� da Ol'ga.
Ed Ol'ga? Non aveva notata ella questa situazione, o era ad essa indifferente?
Non notarla, non poteva: anche donne assai meno acute di lei sanno distinguere una
devozione e simpatia amichevole dal tenero svilupparsi di un altro sentimento. Non
era possibile, d'altra parte, comprendendo bene la sua sincera, non ipocrita ed
istintiva moralit�, ammettere in lei della civetteria. Ella era superiore a questa
volgare debolezza.
Non restava altro che ammettere che le dava piacere, senza alcuna mira pratica, la
tenace devozione fatta di intelligenza e di passione di un uomo come Stolz.
Certamente le faceva piacere: questa devozione rialzava il suo amor proprio offeso
e a poco a poco la rimetteva su quel piedestallo dal quale era caduta; a poco a
poco faceva rinascere il suo orgoglio.
Ma che pensava: come si sarebbe risolta alla fine questa devozione? Essa non poteva
continuare a manifestarsi in quella lotta tra la curiosit� investigatrice di Stolz
e il tenace silenzio di lei. Presentiva ella almeno che tutta questa lotta di lui
non era inutile e che egli avrebbe finito per vincere quella causa nella quale
metteva tanta volont� e carattere? Consumava egli invano questo fuoco, questo
ardore? Sarebbe finalmente scomparsa, nei raggi di questo ardore, l'immagine di
Oblomov e di quell'amore...?
Ella non comprendeva, non aveva chiara coscienza di tutto ci� e lottava
disperatamente con queste questioni, con se stessa e non sapeva come uscire dal
caos.
Cosa fare? Restare nell'attuale situazione di incertezza era impossibile: prima o
dopo da questo gioco muto e da questa lotta di sentimenti nascosti nel petto si
sarebbe arrivati alle parole; che cosa ella avrebbe allora risposto intorno al
passato? Come l'avrebbe allora chiamato, come avrebbe chiamato quel che sentiva per
Stolz?
Se ella amava Stolz, che cosa era stato dunque quell'amore? Civetteria, leggerezza,
o peggio? Questo pensiero la faceva arrossire di vergogna. Una simile accusa ella
non l'avrebbe sopportata.
E se quello era stato il suo primo, puro amore, che cosa significavano i suoi
rapporti con Stolz? Di nuovo un gioco, un inganno, un calcolo sottile per attirarlo
nella rete del matrimonio e coprire cos� la leggerezza della sua condotta?...
Questo solo pensiero la faceva rabbrividire ed impallidire.
E se non era gioco, inganno, calcolo, era dunque... di nuovo amore?
A questa supposizione si perdeva: un secondo amore, dopo sette, otto mesi dal
primo? Chi le avrebbe creduto? Come avrebbe potuto parlare senza provocar sorpresa,
e forse... disprezzo? Non osava neppur pensarci, sentiva di non averne diritto!
Frug� nella propria esperienza e non trov� nessuna notizia di un secondo amore. Si
ricord� dell'autorit� delle zie, di certe vecchie signorine, di diverse
intelligentone, finalmente di quella degli scrittori, dei �pensatori dell'amore�:
da tutte le parti ella sentiva la inesorabile condanna: �la donna ama sinceramente
una volta sola�. Anche Oblomov aveva pronunziata cos� la sua condanna. Si ricord�
di S�nitchka: come si sarebbe espressa intorno ad un secondo amore? ma da persone
venute dalla Russia sent� che la sua amica era gi� passata ad un terzo...
No, no, ella non amava Stolz, concluse, e non poteva amarlo! Ella aveva amato
Oblomov, e questo amore era morto, il fiore della vita era appassito per sempre!
Per Stolz ella non sentiva che amicizia, un'amicizia fondata sulle brillanti
qualit� di lui, poi sull'amicizia di lui per lei, sulle attenzioni, sulla fiducia.
Cos� ella respingeva l'idea, perfino la possibilit� di un amore per il vecchio
amico.
Ecco la ragione per cui Stolz non poteva afferrare sul volto e nelle parole di lei
n� un sintomo di positiva indifferenza, n� un lampo fuggitivo n� una scintilla di
sentimento che, sia pure di un capello, uscisse dai limiti di una calda, cordiale,
ma comune amicizia.
Per mettere fine a tutto ci�, ad Ol'ga non restava che una cosa sola: notati i
sintomi del nascente amore in Stolz, non dargli nutrimento e partire al pi� presto.
Ma ella aveva gi� perduto tempo: ci� era avvenuto da parecchio, inoltre ella
avrebbe dovuto prevedere che il sentimento si sarebbe sviluppato in lui fino a
diventar passione; Stolz non era Oblomov: non era possibile sfuggirgli.
Anche ammesso che una partenza fosse stata possibile materialmente, essa era ormai
impossibile moralmente: da principio ella aveva sfruttato solo i precedenti diritti
di amicizia e trovato in Stolz, come prima, ora il compagno vivace, arguto e
scherzoso, ora l'osservatore attento e profondo dei fenomeni della vita, di tutto
ci� che accadeva loro o accanto a loro e ne suscitava l'interesse.
Ma quanto pi� spesso si vedevano, tanto pi� si avvicinavano moralmente e tanto pi�
la parte di lui si faceva importante: da osservatore egli divent� per lei
insensibilmente un interprete di fenomeni, una guida. Senza accorgersene, egli
divent� la sua mente e la sua coscienza e apparvero nuovi diritti, nuovi legami
segreti, che avvolsero tutta la vita di Ol'ga, ad eccezione di un angoletto sacro,
che ella scrupolosamente continuava a nascondere all'osservazione e al giudizio di
lui. Ella accett� questa tutela morale sulla propria mente e sul proprio cuore, e
vide che anch'ella aveva la sua parte di influenza su di lui. Fecero cos� come uno
scambio di diritti ed ella in certo qual modo inavvertitamente, in silenzio ammise
il cambio...
Come sottrarsi adesso a un tratto?... E poi tutto ci� era cos� piacevole...
interessante... vario... c'era tanta vita... Che avrebbe fatto adesso senza di ci�?
Quando le venne l'idea di fuggire, era gi� troppo tardi, non ne aveva pi� la forza.
Ogni giorno non trascorso con lui, ogni pensiero non confidato e non condiviso con
lui perdeva per lei il suo colore e significato.
�Dio mio! Se avessi potuto essere sua sorella! - ella pensava. - Quale felicit�
avere dei diritti eterni su un uomo simile, non solo sulla sua mente, ma sul suo
cuore, godere della sua presenza legalmente, apertamente, senza pagare questo
godimento con penosi sacrifici, con mortificazioni, e con la confidenza del proprio
doloroso passato. E adesso che cosa son io ? Se parte, non solo non ho il diritto
di trattenerlo, ma debbo desiderare la separazione; se lo trattengo, che cosa posso
dirgli? con quale diritto voglio vederlo ed ascoltarlo ogni momento?... Perch�
senza di lui mi annoio e son triste, perch� egli mi insegna tante cose, mi diverte,
mi � utile e piacevole. Certo questa � una ragione, ma non � un diritto. E io che
cosa dar� in cambio? Il diritto di amarmi disinteressatamente, ma senza osare di
pensare alla reciprocit�, mentre tante altre donne si considererebbero felici...�
E si tormentava e cercava come uscire da questa posizione di cui non vedeva n� lo
scopo n� la fine. Davanti c'era solo il terrore della delusione di lui e
dell'eterna separazione. Talvolta le veniva in mente di aprirsi con lui per mettere
fine d'un colpo alla lotta di tutti e due, ma era terribile solo pensarci: che
vergogna, che dolore! Pi� terribile di tutto era che ella non rispettava pi� il
proprio passato ed anzi, da quando era diventata inseparabile da Stolz ed egli
aveva preso a dominare la sua vita, aveva cominciato a vergognarsene. Se fosse
venuto a saperlo il barone, per esempio, o chiunque altro, ella certamente si
sarebbe turbata, si sarebbe sentita a disagio, ma non si sarebbe tormentata come si
tormentava adesso, al pensiero che potesse venirlo a conoscere Stolz. Ella pensava
con terrore all'espressione che si sarebbe dipinta sul volto di lui. E come
l'avrebbe egli guardata, che cosa avrebbe detto, che cosa avrebbe pensato? Ella gli
sarebbe apparsa cos� meschina, debole, nulla! No, no, a nessun costo!
Cominci� a sorvegliare se stessa e scopr� con spavento che non solo si vergognava
del proprio romanzo passato, ma anche dell'eroe di esso... E qui la scott� il
pentimento per l'ingratitudine con cui aveva ricambiata la profonda devozione del
suo amico d'un tempo. Forse ella si sarebbe abituata anche alla propria vergogna,
l'avrebbe sopportata - a che cosa non si abitua l'uomo! - se alla sua amicizia per
Stolz fossero stati estranei pensieri e desideri interessati. Ma se riusciva a
soffocare perfino ogni astuto e ingannevole bisbiglio del cuore, non riusciva
tuttavia a dominare i sogni della fantasia: spesso davanti ai suoi occhi, contro la
sua stessa volont�, appariva e brillava l'immagine di quest'altro amore; sempre pi�
seducente cresceva il sogno di una felicit� magnifica, non con Oblomov, in una
pigra sonnolenza, ma nell'ampia arena di una vita molteplice, profonda e piena di
attrattive e di tristezze, la felicit� con Stolz...
Ella versava allora lacrime sul passato, senza poterlo tuttavia cancellare.
L'ebriet� del sogno svaniva ed ancor pi� scrupolosamente ella si salvava dietro la
parete dell'impenetrabilit�, del silenzio e di quella amichevole indifferenza che
tanto tormentava Stolz. Poi, dimentica di s�, si entusiasmava di nuovo
disinteressatamente della presenza dell'amico, era affascinante, gentile,
fiduciosa, fino a che di nuovo il sogno illegittimo della felicit�, alla quale non
aveva pi� diritto, non veniva a ricordare che l'avvenire per lei era perduto, che i
sogni rosei erano ormai passati ed il fiore della vita era caduto.
Probabilmente, coll'andar degli anni ella si sarebbe riconciliata con la sua stessa
situazione ed avrebbe perduta l'abitudine di sperare nell'avvenire, come fanno
tutte le vecchie zitelle e, o sarebbe piombata in una fredda apatia o si sarebbe
occupata di opere di bene; ma all'improvviso l'illegittimo sogno assumeva un
aspetto pi� minaccioso, quando da alcune parole sfuggite a Stolz ella vedeva
chiaramente che aveva perduto in lui un amico e acquistato un adoratore
appassionato. L'amicizia era affogata nell'amore.
La mattina in cui se ne accorse impallid�: non usc� tutto il giorno, si agit�,
lott� con se stessa, pens� che cosa dovesse fare adesso, pens� al compito che le
incombeva e non seppe trovar nulla. Si maled� per non aver fin da principio vinta
la vergogna e rivelato a Stolz il proprio passato: adesso le toccava di vincere
anche la paura.
Aveva degli accessi di risolutezza, accompagnati da dolori in petto e da lacrime
ribollenti, durante i quali pensava di correre incontro a Stolz per raccontargli il
proprio amore non con le parole, ma coi singhiozzi, gli spasimi, gli svenimenti,
perch� egli potesse vedere anche l'espiazione. Ella aveva sentito dire come
procedono gli altri in casi simili. S�nitchka, per esempio, aveva raccontato al suo
fidanzato l'avventura col cornetta; come l'aveva messo in ridicolo, il ragazzine,
facendolo aspettare nel gelo, fino a che essa era uscita per salire in carrozza, e
cos� via. S�nitchka non avrebbe indugiato a raccontare, a proposito di Oblomov, che
aveva scherzato con lui per distrarsi e che egli era cos� ridicolo, che era
impossibile amare �un simile sacco�, che nessuno l'avrebbe mai creduto. Ma tale
procedimento poteva essere approvato dal marito di S�nitchka e da molti altri, non
da Stolz. Ol'ga avrebbe potuto presentar la cosa sotto un aspetto migliore,
raccontare che aveva voluto trarre Oblomov dall'abisso, e perci� aveva fatto
ricorso, per cos� dire, alla civetteria amichevole... per rianimare quell'uomo che
si spegneva e poi allontanarsi da lui. Ma ci� sarebbe stato gi� troppo ricercato,
sforzato e, in ogni caso, falso... No, no, non c'era salvezza!
�Dio mio, in quale abisso sono caduta! - si tormentava Ol'ga. - Parlar
chiaramente!... Ah, no! che egli non sappia mai! Non parlare � lo stesso come
rubare. E' gi� come un inganno, un cercar le grazie altrui. Dio, aiutami tu...� Ma
nessun aiuto era possibile.
Per quanto godesse della presenza di Stolz, talvolta ella avrebbe preferito non
incontrarsi pi� con lui, passare nella sua vita come un'ombra appena percettibile,
senza oscurare con una passione illegittima la serena e ragionevole esistenza di
lui.
Ella avrebbe avuto ancora la nostalgia del suo amore disgraziato, avrebbe pianto
ancora il suo passato, seppellito nell'anima il ricordo di lui, poi... poi, forse,
avrebbe trovato un partito decente, come ce ne sono tanti, e sarebbe diventata una
buona, intelligente e premurosa moglie e madre, e il passato l'avrebbe considerato
come un sogno di fanciulla e non avrebbe vissuto, ma sopportata la vita. In fondo
fan tutte cos�!
Ma qui non si trattava solo di lei, qui era implicato anche un altro, e quest'altro
riportava in lei le sue migliori speranze di vita.
�Perch�... ho amato?� e la malinconia la tormentava, ripensando a quel mattino nel
parco, quando Oblomov voleva fuggire ed ella aveva pensato che il libro della sua
vita si sarebbe chiuso per sempre se egli fosse fuggito. Ella aveva risolto il
problema dell'amore e della vita cos� facilmente ed arditamente, tutto le era
sembrato cos� chiaro, e intanto tutto s'era confuso in un nodo inestricabile.
Pens�, cerc� in tutti i modi di convincersi che le sarebbe bastato guardar le cose
semplicemente, andare avanti dritta, e la vita le si sarebbe distesa sotto i piedi
come un tappeto, ed ecco!... non c'era proprio nessuno su cui riversare la colpa:
lei sola era colpevole!
Non sospettando perch� fosse venuto Stolz, Ol'ga si alz� senza preoccupazioni,
lasci� il libro e gli and� incontro.
- Non vi disturbo? - domand� egli, sedendosi vicino alla finestra che guardava sul
lago. - Leggevate?
- No, avevo smesso di leggere: si sta facendo buio. Vi aspettavo! - disse ella
dolcemente, amichevolmente, con fiducia.
- Tanto meglio: ho bisogno di parlarvi, - osserv� egli gravemente, avvicinando alla
finestra un'altra poltrona per lei.
Ella ebbe un fremito e ammutol�. Poi macchinalmente si lasci� cadere nella poltrona
e, chinato il capo, senza levar gli occhi, sedette in una posizione tormentosa.
Avrebbe voluto essere cento verste lontana.
In quel momento stesso, come un lampo, balen� nella sua memoria il passato. �Il
giudizio � cominciato! Non � possibile giocar con la vita come si gioca con le
bambole! - ella sent� dentro di s� una voce. - Non si scherza con la vita: la
pagherai!�
Per qualche minuto essi rimasero in silenzio. Egli evidentemente raccoglieva i
propri pensieri. Ol'ga timorosamente guardava il viso di lui dimagrito, le
sopracciglia aggrottate, le labbra strette in un'espressione di decisione.
�La Nemesi...� pens� ella, fremendo. Sembravano tutti e due prepararsi ad un
duello.
- Voi certamente indovinate di che cosa io voglio parlarvi, Ol'ga Serg�evna? -
disse egli guardandola interrogativamente.
Era seduto accanto alla parete e il suo viso era nell'ombra, mentre la luce dalla
finestra cadeva direttamente su di lei ed egli poteva leggere tutto quello che ella
aveva in mente.
- Come posso saperlo? - rispose ella a voce bassa. Di fronte ad un avversario cos�
pericoloso ella non aveva pi� n� la forza di volont� e di carattere, n� la
penetrazione e il dominio di s� di cui appariva sempre armata ad Oblomov.
Ella capiva che, se finora aveva potuto nascondersi in silenzio allo sguardo di
Stolz e condurre bene la sua guerra, ci� non era stato tanto merito della sua
forza, come nella lotta con Oblomov, quanto del tenace silenzio e del contegno
riservato di Stolz. Ma in campo aperto ella era in una situazione di inferiorit�, e
perci� con la domanda: �Come posso saperlo?� aveva voluto soltanto guadagnare un
po' di spazio e un minimo di tempo, per dar modo all'avversario di rivelare pi�
chiaramente la propria intenzione.
- Non sapete? - diss'egli con semplicit�. - Bene, dir� io... - Ah, no! - esclam�
ella subito.
E gli prese la mano e lo guard� come per chiedere grazia.
- Ecco, vedete, io ho indovinato che voi lo sapete! - disse egli. - Perch� �no�? -
aggiunse poi con tristezza.
Ella taceva.
- Se avete preveduto che una volta io avrei parlato, sapevate certo che cosa
rispondermi? - domand� egli.
- L'ho preveduto e mi son tormentata! - disse ella rovesciandosi sulla spalliera
della poltrona e voltandosi via dalla luce, invocando in aiuto il crepuscolo,
affinch� egli non potesse leggerle sul volto la lotta di angoscia e di confusione
che si combatteva in lei.
- Vi siete tormentata? Questa � una parola terribile, - disse egli quasi
bisbigliando, - questo � il dantesco �lasciate ogni speranza�. Non ho altro da
dire, questo � tutto! Ma vi ringrazio anche per questo, - aggiunse egli con un
profondo sospiro, - sono uscito dal caos, dalle tenebre, e so, per lo meno, che
cosa debbo fare. Sola salvezza � fuggir via al pi� presto!
Si alz�.
- No, per carit�, no! - disse ella, in tono di preghiera, afferrandogli di nuovo la
mano, spaventata. - Abbiate piet� di me: che sar� di me?
Egli si sedette, e lei anche.
- Ma io vi amo, Ol'ga Serg�evna! - disse egli quasi duramente. - Voi avete visto
che cosa sono diventato in questi sei mesi! Che cosa volete, dunque: pieno trionfo?
che io mi ammali o diventi pazzo? Vi ringrazio molto!
Ella si cambi� in viso.
- Partite! - disse con dignit� di offesa soffocata e insieme con una profonda
tristezza, che non ebbe la forza di nascondere.
- Perdonate! - si scus� egli. - Senza aver visto nulla, noi abbiamo gi� leticato.
Io so che voi non potete voler ci�, ma voi non potete neppure trovarvi nella mia
situazione, e perci� vi � apparso strano il mio movimento: scappare. L'uomo qualche
volta diventa egoista inconsapevolmente.
Ella cambi� posizione nella poltrona, come se le fosse incomodo sedere, ma non
disse nulla.
- Bene, ammettiamo che io resti: che ne deriver�? - continu� egli. - Voi, certo, mi
offrirete la vostra amicizia; ma io l'ho gi� senza di questo. Io partir� e tra un
anno, due, essa sar� sempre mia. L'amicizia � una bella cosa, Ol'ga Serg�evna,
quando essa � amore tra due giovani o ricordo d'amore tra due vecchi. Ma Dio scampi
se da una parte � amicizia e dall'altra amore. Io so che con me voi non vi
annoiate, ma cosa pensate che sia per me?
- Se � cos�, partite, che Dio vi accompagni! - bisbigli� ella in modo appena
percettibile.
- Restare! - rifletteva egli ad alta voce: - camminare sul taglio di un coltello,
bell'amicizia!
- E che per me � pi� facile? - ribatt� ella inaspettatamente.
- Perch�? - domand� egli con vivacit�. - Voi non amate...
- Non so, ve lo giuro, non so! Ma se voi... se qualche cosa cambier� nella mia vita
attuale, che cosa sar� di me? - aggiunse ella abbattuta quasi fra s�.
- Ma come debbo intendere queste vostre parole? Spiegatevi, in nome di Dio! - disse
egli, avvicinandole la propria poltrona, perplesso per le parole di lei e per il
tono profondo e sincero con cui erano state pronunziate.
Egli cerc� di distinguere il suo volto. Ella taceva. Ardeva in lei il desiderio di
calmarlo, di ritirare le parole �mi son tormentata� o di dar loro
un'interpretazione diversa da quella che aveva dato lui; ma come interpretarle ella
stessa non sapeva; sentiva solo confusamente che erano tutti e due sotto il giogo
di un equivoco fatale, in una situazione falsa, e che tutti e due ne soffrivano e
che solo lui, o lei col suo aiuto, avrebbe potuto chiarire e riordinare il passato
e il presente. Ma per far ci� era necessario superare l'abisso, rivelargli ci� che
ella aveva dentro di s�: come l'avrebbe voluto e come temeva il suo giudizio!
- Io stessa non capisco nulla; io sono pi� di voi nel caos, nelle tenebre! - disse
ella.
- Sentite, avete fede in me? - domand� egli, prendendole una mano.
- Sconfinata, come in una madre, voi lo sapete, - disse ella debolmente.
- Raccontatemi tutto ci� che vi � accaduto da quando ci separammo allora. Voi
adesso siete per me impenetrabile, e prima invece vi leggevo in volto i pensieri:
se non mi sbaglio, � questo un modo per capirci reciprocamente. Vi pare?
- Ah, si, � necessario... bisogna finirla in qualche modo!... - esclam� ella con
angoscia per l'inevitabile confessione. �Nemesi, Nemesi!� pens� chinando la testa
sul petto.
Abbass� gli occhi e tacque. E nell'anima di lui soffi� il terrore di queste parole
semplici e ancor pi� del suo silenzio.
�Ella si tormenta! Dio! Che cosa le � accaduto?� pens� egli sudando freddo e si
sent� tremare le mani e le gambe. Immagin� qualche cosa di molto terribile. Ella
continuava a tacere e a lottare con se stessa.
- Cos�... Ol'ga Serg�evna... - le fece egli premura.
Ella taceva, solo fece un movimento nervoso, che non era possibile distinguere
nell'oscurit�: non si sent� che il fruscio del suo abito di seta.
- Prendo coraggio, - diss'ella alla fine; - come mi � difficile, se sapeste! -
aggiunse poi, voltandosi da parte e cercando di dominarsi.
Ella avrebbe voluto che Stolz avesse saputo tutto non dalle sue labbra, ma per un
miracolo. Per fortuna s'era fatto pi� buio e il suo viso era nell'ombra: solo la
voce la poteva tradire e le parole non le venivano alla lingua, come se ella non
sapesse con quale nota cominciare. �Dio mio! come debbo essere colpevole, dal
momento che soffro tanto ed ho tanta vergogna!� si tormentava interiormente.
E non molto tempo fa con tanta sicurezza ella teneva in mano il proprio e l'altrui
destino, era cos� saggia, cos� forte! Ed ecco era venuta la sua volta di tremare
come una ragazzina! La vergogna per il passato, la tortura dell'amor proprio per il
presente, la falsit� della posizione la tormentavano... Una cosa insopportabile!
- Io vi aiuter�... voi... avete amato?... - disse Stolz a forza, tanto gli facevano
male le proprie parole.
Ella conferm� col silenzio. E di nuovo su di lui alit� il terrore.
- Chi? E' un segreto? - domand� egli, sforzandosi di parlar con fermezza, ma
sentendo che gli tremavano le labbra.
Il tormento di lei era ancora maggiore. Ella avrebbe voluto dire un altro nome,
inventare un'altra storia. Per un momento indugi�, ma non c'era che fare: come un
uomo il quale in un momento di estremo pericolo si lascia andar gi� da una riva
scoscesa o si butta nel fuoco, ella ad un tratto disse:
- Oblomov!
Egli impietr�. Passarono un paio di minuti di silenzio.
- Oblomov! - ripet� egli stupito. - Non � vero! - aggiunse poi decisamente,
abbassando la voce.
- E' vero! - disse ella calma.
- Oblomov! - ripet� egli ancora. - Non pu� essere! - aggiunse di nuovo, con
convinzione. - Ci deve essere qualcosa: o non avete capito voi stessa, o Oblomov,
o, infine, l'amore.
Ella taceva.
- Non pu� essere stato amore, deve essere stata qualche altra cosa, vi dico! -
ripet� egli tenace.
- S�, io ho civettato con lui, l'ho condotto per il naso, l'ho fatto infelice... e
poi, secondo la vostra idea, ho cominciato a far lo stesso con voi! - disse ella
con voce tranquilla, ma piena delle lacrime di chi si sente offeso.
- Cara Ol'ga Serg�evna! Non adiratevi, non parlate cos�: questo non � il vostro
tono. Voi sapete che io non penso nulla di tutto ci�. Ma nella mia testa non entra,
non capisco come Oblomov...
- Egli �, tuttavia, degno della vostra amicizia; voi non sapete come apprezzarlo
abbastanza: perch� non sarebbe degno d'amore? - ella disse in tono di difesa.
- Io so che l'amore � meno esigente dell'amicizia, - disse egli, - spesso perfino
cieco, non si ama per i meriti, questo � vero. Ma per l'amore � necessario qualche
cosa di particolare, a volte una sciocchezza, qualche cosa di indefinibile che il
mio incomparabile, ma lento e sgraziato Il'j� non possiede. Ecco perch� mi
meraviglio. Sentite, - continu� vivacemente, - cos� noi non arriveremo alla fine,
non ci capiremo. Non vergognatevi dei particolari, sacrificatevi per una mezz'ora e
raccontatemi tutto, io vi dir� che cosa � stato e forse anche cosa sar�... A me
pare che qui... no, non � questo... Ah, se questa fosse la verit�! - aggiunse con
animazione. - Se fosse Oblomov e non un altro! Oblomov! Ci� vuoi dire che voi non
appartenete al passato, all'amore, che siete libera... Raccontate, raccontate
subito! - concluse con voce tranquilla, quasi allegra.
- S�, in nome di Dio! - rispose ella fiduciosa, felice che una parte dei ceppi le
fosse tolta. - Solo io divento pazza. Se voi sapeste quanto sono misera! Non so se
sono o no colpevole, se debbo vergognarmi del passato, rimpiangerlo, sperare nel
futuro o disperare... Voi avete parlato delle vostre sofferenze, ma delle mie non
avete sospettato neppure. Ascoltate dunque fino alla fine, ma soltanto non con la
mente, io ho paura della vostra mente; meglio col cuore; forse esso considerer� che
non ho madre, che ero come in una foresta... - aggiunse ella piano, con voce quasi
spenta. - No, -si corresse frettolosamente, - non risparmiatemi. Se � stato
amore... partite -. Ella si arrest� per un momento. - E tornate pi� tardi, quando
parler� di nuovo solo l'amicizia. Se � stata leggerezza, civetteria, punitemi,
andate via e dimenticatemi. Ascoltate.
Egli in risposta le strinse forte tutte e due le mani.
Cominci� la confessione di Ol'ga, lunga, particolareggiata. Ella rivers� dalla
propria mente in quella di Stolz parola per parola, minutamente, tutto quel che
l'aveva rosa cos� a lungo, di cui aveva arrossito, di cui prima si era commossa ed
era stata felice e da cui poi ad un tratto era precipitata nel vortice del dolore e
del dubbio. Ella raccont� delle passeggiate, del parco, delle proprie speranze, del
periodo luminoso e della caduta di Oblomov, del ramo di lill�, perfino del bacio.
Pass� sotto silenzio solo la sera opprimente nel giardino, probabilmente perch�
ancora non sapeva con certezza che specie di attacco l'aveva presa allora.
Da principio si sent� soltanto il suo sussurro confuso, poi, a misura che andava
avanti nel racconto, la sua voce pass� al mezzo tono, poi si sollev� a piene note
di petto. Termin� tranquillamente come se avesse raccontata una storia d'altri!
Davanti ai suoi occhi si lev� come un sipario e si present� il passato, nel quale
fino a quel momento aveva avuto paura di guardar fisso. Ora molte cose le si
presentarono chiaramente ed ella avrebbe osato guardare il suo interlocutore, se
non fosse stato buio.
Ella fin� e aspett� la sentenza. Ma la risposta fu un silenzio di tomba.
Ed egli? Non si sentiva parola, movimento, respiro, come se con lei non fosse stato
nessuno. Questo mutismo fece rinascere in lei i dubbi. Il silenzio si prolungava.
Che cosa voleva dire ci�? Quale sentenza preparava quel giudice, il pi� penetrante
e condiscendente dei giudici di tutto il mondo? Tutti gli altri l'avrebbero
condannata spietatamente, egli solo avrebbe potuto essere il suo avvocato, ella non
avrebbe scelto che lui... egli solo poteva capire, pensare e decidere in suo
favore. Ed egli taceva: la causa era dunque perduta?...
Ella fu di nuovo terrorizzata.
Si apr� la porta e due candele portate dalla cameriera illuminarono il loro angolo.
Ella gett� su Stolz uno sguardo timido, ma avido, interrogativo. Egli aveva
incrociate le braccia e la guardava con gli occhi miti, come se godesse della sua
confusione. Ed ella sent� il proprio cuore sollevarsi, riscaldarsi; sospir�
rassicurata e per poco non pianse. E sull'istante le ritorn� l'indulgenza per se
stessa e la fiducia in lui. Era felice, come un bambino che � stato perdonato e
accarezzato.
- E' tutto? - domand� Andr�j sottovoce.
- Tutto! - disse ella.
- E la lettera?
Ol'ga trasse la lettera da un portafoglio e gliela porse. Egli si avvicin� ad una
candela, lesse la lettera e la pos� sulla tavola e di nuovo i suoi occhi si
rivolsero a lei con quella espressione che da tanto tempo ella non aveva vista in
lui.
Davanti a lei stava l'amico d'un tempo, sicuro di s�, un po' ironico e
infinitamente buono, che l'aveva tanto viziata! Sul viso di lui non c'era pi� ombra
di sofferenza n� di dubbio. Egli la prese per tutte e due le mani, gliele baci�,
poi si fece profondamente pensieroso. Ella a sua volta si quet� e, senza batter
ciglio, osserv� il moto dei pensieri sul volto di lui.
Ad un tratto egli si alz�.
- Dio mio, se avessi saputo che si trattava di Oblomov non mi sarei tanto
tormentato! - disse guardandola tanto carezzevolmente, con tanta fiducia, come se
ella non avesse avuto quel terribile passato. Ol'ga si sent� allegra, festosa. Il
suo cuore s'era alleggerito. Vide chiaramente che aveva avuto vergogna soltanto di
Andr�j, e questi non la puniva, non la sfuggiva. Che importava il giudizio del
mondo intero?
Egli era ormai di nuovo padrone di s�, allegro, ma a lei ci� non bastava. Ella
vedeva di essere stata assolta, ma, come un accusato, voleva conoscere il verdetto.
Ma egli prese il cappello.
- Dove andate?
- Vi siete agitata, riposatevi! Parleremo domani.
- Voi volete che io non dorma tutta la notte? - l'interruppe ella, trattenendolo
per una mano e facendolo sedere su di una sedia. - Volete andar via senza aver
detto che cosa ci�... � stato, che cosa sono io adesso, che cosa... sar�. Scusate,
Andr�j Ivanytch: chi me lo dir�? Chi mi castigher� se lo merito, o... chi mi
perdoner�?... - aggiunse ella e lo guard� con una cos� tenera espressione
d'amicizia, che egli lasci� il cappello e per poco non le si gett� ai piedi.
- Angelo, permettetemi di dire, angelo mio! Non tormentatevi invano: non c'�
necessit� di punirvi n� di perdonarvi. Io non ho neppur nulla da aggiungere al
vostro racconto. Che dubbi potete avere? Voi volete sapere che cosa � stato,
chiamar tutto ci� per nome? Voi lo sapete da tanto tempo... Dov'� la lettera di
Oblomov? Egli prese la lettera dalla tavola.
- Ascoltate dunque! - e lesse: - �il vostro "amo" attuale non � amore presente, ma
futuro. E' solo un'incosciente necessit� di amare, che, per mancanza di vero
nutrimento, si manifesta in alcune donne in tenerezza per un bambino, per un'altra
donna, perfino semplicemente in lacrime, in attacchi isterici!... Voi "vi siete
sbagliata" (Stolz lesse accentuando queste parole): davanti a voi non � colui che
aspettavate, del quale sognavate. Aspettate, egli verr�, e allora voi tornerete in
voi, vi rammaricherete e vergognerete del vostro errore...� Vedete com'� vero
questo! - egli disse. - Voi vi vergognavate e dolevate del vostro... errore. Non
c'� nulla da aggiungere. Egli aveva ragione, e voi non gli avete creduto, in questo
� tutta la vostra colpa. Avreste dovuto lasciarvi allora; ma egli era soggiogato
dalla vostra bellezza... e voi eravate commossa dalla sua tenerezza di colombo! -
aggiunse egli con una punta d'ironia.
- Non gli credetti perch� pensavo che il cuore non pu� sbagliare.
- No, pu� sbagliare, e talvolta rovinosamente! Ma il vostro cuore non era toccato,
- aggiunse egli; - immaginazione e amor proprio da una parte, debolezza
dall'altra... E voi avete avuto paura che non ci sarebbe stata altra festa nella
vita, che quel pallido raggio avrebbe illuminata la vita e poi sarebbe venuta la
notte eterna...
- E le lacrime? - diss'ella. - Non venivano forse dal cuore, quando io piangevo? Io
non mentivo, ero sincera...
- Dio mio! Per che cosa non piangono le donne! Voi stessa dite che rimpiangevate il
vostro mazzo di lill�, la panchina preferita. Aggiungete a ci� un po' d'amor
proprio deluso, la fallita parte di salvatrice, un po' di abitudine... Quante
ragioni per piangere!
- E i nostri appuntamenti, le nostre passeggiate sono anch'essi errori? Voi
ricordate che io... sono stata a casa sua... - disse ella confusa, e sembrava voler
ella stessa soffocare le proprie parole. Cercava di accusarsi soltanto perch� egli
la difendesse con pi� calore e per aver cos� pi� ragione agli occhi di lui.
- Dal vostro racconto si vede che negli ultimi vostri appuntamenti non avevate
neppure di che parlare. Al vostro cosiddetto �amore� mancava il contenuto; non
poteva perci� andar oltre. Vi eravate separati gi� prima della separazione ed
eravate fedeli non all'amore, ma al fantasma d'amore che voi stessi avevate creato:
ecco tutto il segreto.
- E il bacio? - bisbigli� ella, cos� piano che egli non sent�, ma solo indovin�.
- Oh, questo � grave, - disse egli con comica severit�, - per questo bisognava
privarvi... della frutta a tavola.
Egli la guardava con sempre crescente tenerezza, sempre crescente amore.
- Con uno scherzo non si giustifica un simile �errore�! - ribatt� ella severamente,
offesa dalla indifferenza e dal tono trascurato di lui. - Avrei preferito che mi
aveste punita con una parola acerba, che aveste dato al mio procedere il suo vero
nome.
- Non avrei scherzato se, invece di Oblomov, si fosse trattato di un altro, - si
giustific� egli; - allora l'errore avrebbe potuto finire... male; ma io conosco
Oblomov...
- Un altro, mai! - l'interruppe ella, infiammandosi. - Io lo conosco pi� di voi...
- Ecco, vedete! - conferm� egli.
- Ma se egli... si fosse cambiato, mi avesse ascoltata, si fosse svegliato, non
l'avrei amato allora? Sarebbe stato allora menzogna, errore? - disse ella per
esaminar la cosa da tutte le parti, perch� non restasse nemmeno la pi� piccola
macchia, il minimo dubbio.
- Cio�, se al suo posto fosse stato un altro uomo, - interruppe Stolz, - senza
dubbio i vostri rapporti sarebbero diventati amore, si sarebbero rafforzati... Ma
questo � un altro romanzo ed un altro eroe e non ci riguarda.
Ella sospir�, come se avesse liberata l'anima dall'ultimo peso. Tacquero entrambi.
- Ah, che felicit�... guarire, - disse adagio, come rifiorendo, e volse ad Andr�j
uno sguardo di cos� profonda riconoscenza, di cos� calda, eccezionale amicizia, che
a Stolz apparve finalmente in quello sguardo la scintilla che aveva cercato di
afferrare invano per quasi un anno. Un brivido di gioia pass� per le sue vene...
- No, sono io che guarisco! - disse egli e si fece pensieroso. - Ah! se io avessi
potuto soltanto sapere che l'eroe di questo romanzo era Il'j�! Quanto tempo �
passato, quanto mi son guastato il sangue! Perch�? Per quale ragione? - ripet�
quasi con dispetto.
Ma ad un tratto parve liberarsi da questo dispetto, sollevarsi dai gravi pensieri.
La fronte gli si spian�, gli occhi diventarono allegri.
- Ma evidentemente, tutto ci� era inevitabile; in compenso come sono tranquillo
adesso, come sono... felice! - aggiunse con ebbrezza.
- Come un sogno, come se nulla fosse stato! - disse Ol'ga, soprappensiero, in modo
appena percettibile, meravigliandosi della propria improvvisa rinascita. - Voi mi
avete tolto non soltanto la vergogna e il rimorso, ma anche l'amarezza e il dolore:
tutto... Come avete fatto? E tutto ci�... questo... errore... passer�?
- Io credo che sia gi� passato! - disse egli, guardandola per la prima volta con
gli occhi della passione senza bisogno di nascondersi, - cio� tutto quel che fu.
- E quel che... sar�... non sar� un errore... sar� la verit�?... - domand� ella
senza finire.
- E' scritto qui, - disse egli, riprendendo la lettera di Oblomov: - �davanti a voi
non � colui che aspettavate, del quale sognavate: egli verr� e allora voi tornerete
in voi...� E l'amerete, aggiungo io, l'amerete tanto che sar� poco non solo un
anno, ma tutta la vita per un tale amore, soltanto non so... chi? - fin� egli,
scrutandola intensamente.
Ella abbass� gli occhi e strinse le labbra, ma attraverso le palpebre filtravano i
raggi del suo sguardo e le labbra cercarono di trattenere il sorriso senza
riuscirvi. Ella lo guard� e rise cos� cordialmente che le vennero perfino le
lacrime agli occhi.
- Io vi ho detto quel che � stato ed anche quel che sar�, Ol'ga Serg�evna, -
concluse egli. - E voi non rispondete nulla alla domanda che non mi avete lasciato
finire?
- Ma che posso dirvi? - disse ella confusa. - Avrei io il diritto di dirvi quel che
voi considerate cos� necessario e... che tanto meritate? - aggiunse ella
bisbigliando e guardandolo timidamente.
Nel suo sguardo egli vide di nuovo la scintilla di una amicizia senza eguali e di
nuovo trem� di felicit�.
- Non affrettatevi, - aggiunse egli, - voi mi direte quel che merito, quando finir�
il lutto del vostro cuore, il lutto di convenienza. A me ha detto qualche cosa
anche quest'ultimo anno, ma adesso decidete soltanto questa questione: debbo
partire o... restare?
- Sentite, voi adesso civettate con me, - disse ella allegramente.
- Oh, no! - osserv� egli dignitosamente. - Non � questa la stessa domanda di prima:
adesso ha un altro significato: se rimango, con quali diritti rimango?
Ella si confuse.
- Vedete ch'io non faccio civetterie! - rise egli, contento di averla sorpresa. -
Dopo questa conversazione noi non possiamo restare quel che eravamo ieri.
- Non so... - sussurr� ella, ancora pi� confusa.
- Mi permettete di darvi un consiglio?
- Dite... io lo seguir� ciecamente! - aggiunse ella, quasi con devozione
appassionata.
- Sposatemi, in attesa che "egli" venga!
- Non oso ancora... - bisbigli� ella, nascondendo il viso fra le mani, agitata, ma
felice.
- Perch� non osate? - domand� attirando a s� la testa di Ol'ga.
- E il mio passato? - bisbigli� ella di nuovo, posando la testa sul petto di lui
come su quello di sua madre.
Lentamente egli le stacc� le mani dal viso, la baci� sul capo e a lungo si inebbri�
della sua confusione, guardando le lacrime che riempivano i suoi occhi e ne furono
riassorbite.
- Appassir�, come i vostri lill�! - concluse egli. - Voi avete avuta una lezione: �
venuto il momento di approfittarne. Comincia la vita: affidatemi il vostro futuro e
non pensate a nulla, rispondo di tutto. Andiamo dalla zia.
Stolz and� via tardi.
�Ho trovato quel che aspettavo, - pensava egli, guardando con occhi innamorati gli
alberi, il cielo, il lago, perfino la nebbia che si alzava sull'acqua. - Ho
aspettato a lungo! Quanti anni assetati di sentimento, quanti anni di pazienza, di
economia di forze spirituali! Quanto ho aspettato! Ma ecco la ricompensa; ecco la
massima felicit� per un uomo!�
Tutto era adesso eclissato ai suoi occhi dalla felicit�: l'ufficio,
Il biroccino del padre, i guanti scamosciati, i conti sudici, tutta la sua vita di
uomo d'affari. Nella sua memoria ritornarono solo la fragrante camera della madre,
le variazioni di Herz, la galleria dei principi, gli occhi azzurri, i capelli
castani sotto la cipria, e tutto ci� fu ricoperto dalla tenera voce di Ol'ga; nella
memoria egli ne ascoltava il canto...
�Ol'ga � mia moglie! - sussurr� fremente di passione. - Ho trovato tutto, non ho
altro da cercare, non si pu� andare oltre!� E nel vapore meditativo della felicit�,
and� a casa senza veder neppure le strade per le quali passava...
Ol'ga lo accompagn� a lungo con gli occhi, poi apr� la finestra e respir� per
qualche minuto il fresco della notte; l'agitazione a poco a poco si calm�, il
respiro si fece regolare.
Ella tese gli occhi verso il lago, in lontananza, e i suoi pensieri si fecero cos�
placidi, profondi, come se si addormentasse. Avrebbe voluto sapere che cosa
pensasse e sentisse, ma non poteva. I pensieri scorrevano cos� regolari come onde,
il sangue cos� eguale e calmo nelle vene. Provava la felicit� e non poteva
determinarne i confini, dire che cosa fosse. Si domandava perch� si sentisse cos�
bene, cos� tranquilla, piena di pace, mentre...
�Sono la sua fidanzata...� bisbigli�.
�Fidanzata!� pensa con un superbo palpito la fanciulla che ha aspettato tanto
questo momento che illumina tutta la sua vita e si sente levare in alto e da questa
altezza guarda l'oscuro viottolo per il quale il giorno prima andava sola e
inosservata.
Perch� Ol'ga non palpita? Anch'ella andava sola per un oscuro viottolo, anche a lei
ad un bivio � venuto "lui", le ha porto la mano e l'ha tratta, non nello splendore
di luci accecanti, ma come sulla distesa d'acque d'un largo fiume, incontro a campi
sconfinati e a colline sorridenti amichevolmente. Il suo sguardo non � stato
abbagliato dallo splendore, il suo cuore non � venuto meno, n� si � infiammata la
sua fantasia. Con gioia serena ella ha calmato il suo sguardo posandolo sulla
distesa della vita, sui suoi larghi campi e sulle sue verdi colline. Non ha scosso
il suo corpo un fremito n� s'� acceso di superbia lo sguardo: solo, quando ella ha
portato questo sguardo da quei campi e da quei colli su colui che le ha teso la
mano, ella ha sentito scorrer gi� lentamente le lacrime...
E rimase a lungo seduta, come se dormisse: cos� tranquillo era il sogno della sua
felicit�; non si moveva, non respirava. Sprofondava nell'obl�o di se stessa, ella
tendeva lo sguardo della mente verso una tranquilla notte azzurrina, colma di un
chiarore mite, di tepore e d'aroma. Il sogno della felicit� aveva aperte le sue
larghe ali e ondeggiava lentamente, come una nuvola nel cielo, sul suo capo...
Non si vide ella in questo sogno avvolta prima nei veli per un paio d'ore, e poi
nei comuni panni di ogni giorno per tutta la vita. Non vide banchetti n� luci
festose, e non ud� grida d'allegria; sogn� la felicit�, ma cos� semplice, cos�
priva d'ogni ornamento che ancora una volta, senza fremiti d'orgoglio e solo con
una profonda tenerezza, sussurr�: �Sono la sua fidanzata!�

5.
Dio mio! Come tutto � triste e cupo nell'appartamento di Oblomov, un anno e mezzo
dopo l'onomastico in cui all'improvviso era venuto a pranzar da lui Stolz! Il'j�
Il'�tch si � afflosciato, la noia si � annidata nei suoi occhi e guarda di l� come
un morto. Egli va su e gi� per la camera, poi si sdraia e guarda il soffitto;
prende un libro dallo scaffale, ne scorre alcune righe con gli occhi, sbadiglia e
comincia a far tamburello con le dita sulla tavola.
Zach�r � ancora pi� goffo e sciatto di prima; ai gomiti del suo vestito sono
apparse delle pezze; ha un aspetto cos� miserabile, affamato, come se mangiasse
male, dormisse poco e lavorasse per tre.
La veste da camera di Oblomov � tutta logora, e, per quanto accuratamente venga
rattoppata, si strappa dappertutto e non solo nelle cuciture; da tempo ne sarebbe
necessaria una nuova. Anche la coperta del letto � logora, qua e l� rappezzata; le
tende delle finestre sono stinte e, per quanto lavate, sembrano ormai degli
stracci.
Zach�r port� una vecchia tovaglia, copr� met� della tavola presso Oblomov, poi con
attenzione, mordendosi la lingua, port� un vassoio con la bottiglia della vodka,
pos� il pane ed usc�.
La porta dell'appartamento della padrona si apr� ed entr� Agaf'ja Matv�evna,
portando una padella tutta scoppiettante con la frittata.
Anch'ella � terribilmente cambiata, e non a suo vantaggio. E' dimagrita: non ha pi�
le gote rotonde, bianche, che non arrossiscono e non impallidiscono mai; non
luccicano le sue sopracciglia rade e gli occhi sono infossati.
Indossa un vecchio vestito di percalle; le mani sono come bruciate e irruvidite dal
lavoro, dal fuoco o dall'acqua, o dall'uno e dall'altra. Akulina � andata via.
Anis'ja deve occuparsi e della cucina e dell'orto e del pollaio, e lavare i
pavimenti e fare il bucato; da sola non ce la fa, e Agaf'ja Matv�evna, vuoi o non
vuoi, deve occuparsi della cucina; macina, pesta e passa al setaccio ben poco
perch� il consumo del caff�, delle mandorle e della cannella � scarso; e quanto ai
merletti se n'� perfino dimenticata. Adesso le capita assai pi� spesso di tagliar
cipolle, sbucciare rafani e simili specie. Sul suo volto � diffusa una profonda
tristezza.
Ma non sospira per s�, per il suo caff�, non si affligge perch� non ha occasione di
affaccendarsi e cucinare in grande, di sbriciolar la cannella e metter la vaniglia
nella salsa o preparare la densa panna; ma perch� � ormai il secondo anno che Il'j�
Il'�tch non mangia nulla di tutto ci�, perch� il caff� per lui non vien pi�
comprato a libbre nel miglior negozio, ma a grammi nella botteguccia l� accanto, la
panna non la porta pi� la lattaia finlandese, ma la provvede quella stessa
botteguccia, perch�, invece di una bistecca sugosa, ella gli porta per colazione
una frittata con prosciutto duro e invecchiato nella bottega del pizzicagnolo.
Che cosa significa tutto ci�? Significa che � il secondo anno che le entrate
dell'Obl�movka regolarmente inviate da Stolz servono a soddisfare gli obblighi
assunti con la lettera di prestito data da Oblomov alla padrona.
L'�affare secondo la legge� del fratello di Agaf'ja Matv�evna era riuscito subito
oltre le aspettative. Al primo accenno di Tarant'ev ad uno scandalo, Il'j� Il'�tch
s'era fatto tutto rosso e s'era confuso; poi s'era passati alle trattative di pace,
poi avevano bevuto tutti e tre, e Oblomov aveva firmata la lettera per un termine
di quattro anni; dopo un mese Agafja Matv�evna aveva firmata una lettera analoga,
col nome del fratello, senza sospettar neppur che cosa e perch� firmasse. Il
fratello le aveva detto che si trattava di una carta relativa alla casa,
ordinandole di scrivere la formula prescritta e di firmare: nome, cognome e
condizione.
Ella si era preoccupata solo di dover scrivere tanto e aveva pregato il fratello di
far piuttosto scrivere Vanja che �sapeva ormai scrivere cos� bene�; ella avrebbe
certo fatto qualche sbaglio. Ma il fratello aveva insistito ed ella aveva firmato
con grosse lettere tutte storte e mal fatte. E poi non se ne era parlato pi�.
Oblomov, firmando, s'era consolato in parte pensando che quei denari sarebbero
andati agli orfani, e poi, quando il giorno dopo la firma la testa era ormai libera
dai fumi del vino, egli si ricord� con vergogna di tutto l'affare e in seguito
cerc� di evitare gli incontri con Iv�n Matv�evitch e, quando Tarant'ev cominciava a
dir qualcosa, egli minacciava di lasciar subito l'appartamento e di andarsene in
campagna.
Poi quando ricevette il denaro dalla campagna, Iv�n Matv�evitch venne a dirgli che
per lui, Il'j� Il'�tch, sarebbe stato meglio cominciare il pagamento subito sulle
entrate, che in tre anni il debito sarebbe stato coperto, mentre che alla scadenza
del termine, quando il documento fosse stato messo a pagamento, sarebbe stato
necessario vendere la propriet� all'incanto, dato che somme in contanti Oblomov non
ne possedeva, n� se ne prevedevano.
Oblomov comprese in quale tranello era caduto, quando tutto ci� che mandava Stolz
dovette servire a pagare il debito e a lui non rimase che qualche piccola cosa per
la vita quotidiana.
Iv�n Matv�evitch si affrett� a portare a termine quell'amichevole accordo col suo
debitore in un paio d'anni, per evitare che subentrassero impedimenti e cos�
Oblomov si trov� all'improvviso in grave imbarazzo.
Da principio non se ne accorse molto per la sua abitudine di non saper mai quel che
avesse in tasca; ma Iv�n Matv�evitch ebbe l'idea di chieder la mano della figlia di
un venditore di farina, affitt� un appartamento e vi si trasfer�.
Le grandezze culinarie di Agaf'ja Matv�evna ebbero cos� un improvviso arresto: lo
storione, il vitello di prima qualit�, i tacchini cominciarono ad apparire in
un'altra cucina, nel nuovo appartamento di Muchojarov. E l� cominciarono la sera a
raccogliersi i futuri parenti di Iv�n Matv�evitch, i suoi colleghi d'ufficio e
Tarant'ev; tutto si trasfer� l�. Agaf'ja Matv�evna e Anis'ja rimasero con la bocca
spalancata e le mani inoperose a guardar le casseruole e i barattoli vuoti.
Agaf'ja Matv�evna per la prima volta s'accorse che possedeva soltanto la casa,
l'orto e il pollame, e che la cannella e la vaniglia non crescevano nel suo orto;
vide che al mercato i venditori a poco a poco smettevano di salutarla con profondi
inchini e sorrisi, e che questi inchini e sorrisi erano invece tributati largamente
alla nuova grassa ed elegante cuoca di suo fratello.
Oblomov diede alla padrona tutti i denari lasciatigli da Iv�n Matv�evitch ed ella,
per tre, quattro mesi, senza previdenza alcuna, ricominci� come prima a macinar
caff� a libbre, a pestar cannella, ad arrostir vitello e tacchino fino all'ultimo
giorno in cui spese gli ultimi spiccioli e si present� ad Oblomov a dire che non
aveva pi� nulla.
A questa notizia egli si rivolt� tre volte sul divano, poi guard� nei cassetti: non
c'era pi� niente. Cerc� di ricordarsi dove li aveva messi e non si ricord� nulla;
cerc� con la mano sulla tavola se non ci fossero degli spiccioli, domand� a Zach�r
e questi rispose di non averli visti nemmeno in sogno. Allora Agaf'ja Matv�evna si
rec� ingenuamente dal fratello a dirgli che in casa non c'era denaro.
- E dove avete dissipato col vostro signore i mille rubli che gli ho lasciato per
vivere? - domand� egli. - Dove vado a prendere i denari, io? Tu sai ch'io sto per
ammogliarmi: non posso mica mantener due famiglie. Non fate il passo pi� lungo
della gamba, col vostro signore...
- Perch� mi rimproverate per via del signore? - disse ella. - Che cosa vi fa lui?
Non tocca nessuno, se ne vive tranquillo. Non sono io che gli ho offerto
l'appartamento! Siete stato voi e Mich�j Andreitch.
Egli le diede dieci rubli avvertendola che non le avrebbe dato altro. Ma poi, dopo
aver considerato le cose insieme al compare sulla loro �impresa�, decise che
abbandonare del tutto la sorella ed Oblomov non era possibile, che la cosa sarebbe
arrivata fino all'orecchio di Stolz e questi sarebbe venuto, avrebbe indagato e
avrebbe ancora mandato a monte l'�affare secondo la legge�; era un uomo in gamba,
il tedesco!
Cominci� cos� a dar cinquanta rubli al mese, calcolando di prenderseli poi sulle
entrate di Oblomov del terzo anno, ma spiegando e anche giurando che non avrebbe
dato altro, e fiss� lui stesso quel che avrebbero dovuto mangiare e stabil� perfino
quali piatti si sarebbero dovuti preparare e quando, le economie da fare, calcol�
quanto ella avrebbe ricavato dai pollastrelli e dai cavoli e concluse che con tutto
ci� si poteva vivere nell'abbondanza.
Per la prima volta nella sua vita Agaf'ja Matv�evna non pens� alla cucina, ma a
qualche altra cosa, per la prima volta pianse non per dispetto contro Akulina per
un piatto rotto o per un rimprovero del fratello perch� il pesce non era cotto
bene; per la prima volta previde la minacciosa miseria, minacciosa non per lei, ma
per Il'j� Il'�tch.
�Come potr� tutt'a un tratto un signore come lui, - ella pensava, - mettersi a
mangiare, invece di asparagi, rape al burro, invece di quaglie, montone, invece di
trote di Gatcina e di storione ambrato, del pesce salato o della gelatina comprata
alla bottega?...�
Orrore! Ella non fin� di pensare, si vest� in fretta, prese una vettura e si rec�
dai parenti del marito defunto, non come vi si recava a Pasqua e a Natale, per il
pranzo familiare, ma di mattina presto, con la preoccupazione di quel che doveva
fare, decisa a chieder loro del denaro.
Essi erano ricchi: avrebbero dato subito, appena saputo che era per Il'j� Il'�tch.
Se fosse stato per il proprio caff� e per il t�, per i vestiti dei bambini, o per
le scarpe o per altri simili capricci, non avrebbe detto nemmeno una parola, ma
adesso si trattava di una necessit� estrema: comprare per Il'j� Il'�tch gli
asparagi, gli uccelletti, i piselli francesi che egli amava tanto.
Ma i parenti si meravigliarono, denaro non ne diedero per nulla e dissero che, se
Il'j� Il'�tch aveva degli oggetti d'oro o anche d'argento, o magari una pelliccia,
avrebbe potuto impegnare tutto ci� e avrebbe trovato dei benefattori che gli
avrebbero dato la terza parte della somma richiesta fino all'arrivo del denaro
dalla campagna.
Questa lezione pratica in un altro momento sarebbe passata sulla testa della
geniale padrona senza sfiorarla nemmeno, ma questa volta ella comprese, con
l'intelligenza del cuore, riflette e pes�... la perla che aveva avuto come dote.
Il'j� Il'�tch il giorno dopo, senza sospettar di nulla, bevve la vodka di foglie di
ribes, gust� dell'eccellente salmone e a pranzo mangi� la trippa che tanto gli
piaceva, e le starne bianche e fresche.
Agaf'ja Matv�evna ed i ragazzi mangiarono la minestra di cavoli e la pappa, e solo
per tener compagnia ad Il'j� Il'�tch ella bevve due tazze di caff�.
Dopo la perla, ella cav� dal cassetto il fermaglio, poi fu la volta
dell'argenteria, poi del suo mantello...
Arriv� l'epoca del denaro dalla campagna: Oblomov le diede tutto. Ella ritir� la
perla e pag� gli interessi per il fermaglio, l'argenteria e la pelliccia, e di
nuovo prepar� per Oblomov asparagi ed uccelletti e solo per salvare le apparenze
bevve con lui il caff�. La perla ritorn� di nuovo al suo posto.
Di settimana in settimana, di giorno in giorno ella si logor� sempre pi�, si
torment� e strapazz�, vendette lo scialle, fece vendere l'abito da festa e rimase
col solo abito di tutti i giorni coi gomiti nudi; la domenica si copr� il collo con
un vecchio fazzoletto logoro.
Ecco perch� era dimagrita, perch� gli occhi le si erano infossati e perch� ella
stessa portava la colazione ad Il'j� Il'�tch.
Aveva perfino la forza di fare un viso allegro quando Oblomov le annunziava che
l'indomani sarebbero venuti a pranzo Tarant'ev, Aleks'eev o Iv�n Ger�simovitch. E
il pranzo era gustoso e ben servito e non faceva sfigurar la padrona. Ma quanta
agitazione, quante corse e preghiere nelle botteghe e che insonnia e lacrime le
costavano queste preoccupazioni!
Come le tocc� guardare profondamente nelle agitazioni della vita, come impar� a
distinguere i giorni felici da quelli tristi! Ma ella amava questa vita, nonostante
l'amarezza delle lacrime e delle preoccupazioni; ella non l'avrebbe cambiata con
quella d'una volta, placida e tranquilla, quando ancora non conosceva Oblomov e
dignitosamente regnava tra le casseruole, le padelle ribollenti e crepitanti e i
barattoli pieni, e comandava all'Akulina e al guardiano. Ebbe un brivido di paura
quando ad un tratto le si present� il pensiero della morte, nonostante che la morte
avrebbe messo un termine alle sue lacrime continue, alle sue corse quotidiane e
alle sue notti insonni.
Il'j� Il'�tch fece colazione, ascolt� come Masha leggeva il francese e sedette in
camera di Agaf'ja Matv�evna a guardare com'ella rappezzava il giacchetto di Vanja,
rivoltandolo dieci volte ora da una parte, ora dall'altra, e nello stesso tempo
correva in cucina a sorvegliare l'arrosto per il pranzo, in attesa di mettere a
cuocere la zuppa di pesce.
- Siete sempre in faccende, voi, - disse Oblomov, - fermatevi un po'!
- E chi lavorer� per me? - disse ella. - Finisco di cucir questa pezza e metto a
cuocere la zuppa di pesce. Ma che birichino, questo Vanja! Gli ho rifatto il
giacchetto la settimana scorsa, e l'ha stracciato di nuovo! Cosa c'� da ridere? -
aggiunse, volgendosi a Vanja che sedeva accanto alla tavola in soli pantaloni e
camiciola sotto le bretelle. - Non lo accomoder� prima di domattina e cos� non
potrai correre fuori. Te l'hanno strappato certo i ragazzini coi quali hai
leticato. Confessa!
- No, mammina, s'� strappato da s�, - disse Vanja.
- Storie! Dovresti stare in casa a imparar la lezione invece di correre per le
strade! Se Il'j� Il'�tch dir� ancora una volta che non studi il francese, ti lever�
le scarpe e cos� dovrai, volere o no, restar a studiare.
- Non mi piace studiare il francese.
- Perch�? - domand� Oblomov.
- In francese ci sono troppe parole cattive...
Agaf'ja Matv�evna arross�. Oblomov scoppi� a ridere. Veramente gi� prima avevano
parlato delle �parole cattive�.
- Sta' zitto, bricconcello, - disse ella. - Soffiati piuttosto il naso, non vedi?
Vanjusha tir� su nel naso, ma non soffi�.
- Appena arriveranno i denari dalla campagna gli comprer� due vestitini, -
intervenne Oblomov, - un giacchetto azzurro, e per l'anno prossimo la divisa per la
scuola: entrer� al ginnasio.
- No, i vecchi sono ancora buoni, - disse Agaf'ja Matv�evna, - e i denari servono
per la casa. Far� piuttosto delle marmellate e della carne salata per voi... Debbo
andare a vedere se Anis'ja ha portato la "smetana"...
Si alz�.
- E oggi che c'�? - domand� Oblomov.
- Zuppa di pesce, montone arrosto e pasticcetti. Oblomov tacque.
Ad un tratto arriv� una carrozza, qualcuno buss� e cominci� il solito saltare ed
abbaiare del cane alla catena.
Oblomov si ritir� in camera sua, pensando che qualcuno fosse venuto dalla padrona:
il macellaio, l'erbivendolo o qualcun altro. Queste visite erano accompagnate di
solito da richieste di denaro, da rifiuti da parte della padrona, poi da minacce da
parte del venditore, poi dalla preghiera di aspettare da parte della padrona, poi
da ingiurie, da sbatter di porte e dal solito furioso abbaiare e saltar del cane:
in complesso una scena assai spiacevole. Ma era arrivata una carrozza, che voleva
dir questo? I macellai e gli erbivendoli non vanno in giro in carrozza.
Ad un tratto corse da lui la padrona tutta spaventata.
- C'� un signore per voi! - disse ella.
- Chi �: Tarant'ev o Alekseev?
- No, no, quello che pranz� con voi il giorno di sant'Il'j�.
- Stolz? - esclam� agitato Oblomov, guardando intorno dove scappare. - Dio mio! che
cosa dir� quando vedr� tutto questo?... Ditegli che sono uscito! - aggiunse in
fretta ed entr� nella camera della padrona.
A fare l'ambasciata and� Anis'ja, mandata da Agaf'ja Matv�evna. Stolz credette, ma
si meravigli� che Oblomov non fosse in casa.
- Bene, di' che torno fra un paio d'ore e pranzer� con lui! - diss'egli e and� a
passeggiare non lontano, in un giardino pubblico.
- Verr� a pranzo! - disse Anis'ja spaventata alla padrona.
- A pranzo! - ripet� terrorizzata Agaf'ja Matv�evna ad Oblomov.
- Bisogner� cambiare il pranzo! - decise egli, dopo qualche istante di silenzio.
Ella gli gett� un'occhiata piena di paura. Non le era rimasto che mezzo rublo e
fino al primo del mese, quando cio� il fratello avrebbe dato i denari, mancavano
ancora dieci giorni. A credito non avrebbe dato niente nessuno.
- Non c'� tempo, Il'j� Il'�tch, - osserv� ella timidamente, - che mangi quel che
c'�...
- Non manger� nulla, Agaf'ja Matv�evna; la zuppa di pesce non la pu� soffrire, non
gli piace neppure lo storione, anche il montone non lo assagger�.
- Si pu� prendere della lingua dal salumiere, - disse ella ad un tratto, come
ispirata, - � qui vicino.
- Questo s�, ma aggiungete qualche verdura, dei piselli freschi...
�I piselli costano otto "grivny" la libbra!� si disse ella in gola, senza per� che
la lingua ripetesse le parole.
- Bene, far� cos�... - disse, dopo aver deciso di sostituire ai piselli del cavolo.
- Fate comprare una libbra di formaggio svizzero! - ordin� egli, non sapendo dei
mezzi di cui disponeva Agaf'ja Matv�evna, - e null'altro! Far� le mie scuse, dir�
che non l'aspettavamo... Se fosse possibile aggiungere del brodo...
Ella stava andandosene.
- E il vino? - si ricord� egli all'improvviso.
Ella rispose con un nuovo sguardo di terrore.
- Bisogna far comprare del Lafitte, - concluse Oblomov tranquillamente.

6.
Due ore dopo venne Stolz.
- Che hai? Come sei cambiato, diventato flaccido, come sei pallido! Sei malato? -
domand� Stolz.
- Sto male, Andr�j, - disse Oblomov, abbracciandolo, - la gamba sinistra �
intormentita.
- E come tutto � sudicio e brutto, qui! - aggiunse Stolz, guardandosi intorno; -
perch� non butti via questa veste da camera? E' tutta rappezzata!
- E' l'abitudine, Andr�j; mi dispiace separarmene.
- E la coperta, le tende... - cominci� Stolz, - anche questo � abitudine? Ti
dispiace cambiar questi stracci? Ma che davvero tu puoi dormire in questo letto? Ma
cosa t'� successo?
Stolz guard� fisso Oblomov, poi di nuovo le tende, il letto.
- Niente, - disse Oblomov confuso, - tu sai, io non ho avuto mai molta cura della
mia camera... Andiamo piuttosto a pranzare... Ehi, Zach�r! Prepara subito la
tavola. E tu che fai? Resterai a lungo? Di dove vieni?
- Indovina che cosa faccio e di dove vengo? - domand� Stolz, - a quanto pare fino a
te non arrivano le notizie del mondo.
Oblomov lo guard� con curiosit� e aspett� che cosa egli avrebbe detto.
- E Ol'ga? - domand�.
- Ah, non l'hai dimenticata! Credevo che avresti dimenticato! - disse Stolz.
- No, Andr�j; � mai possibile dimenticare? Vorrebbe dire dimenticare che una volta
ho vissuto, sono stato in paradiso... E adesso!...
Sospir�.
- Dov'� adesso?
- Nella sua propriet� e fa da padrona di casa.
- Con la zia?
- E col marito.
- Si � maritata? - esclam� Oblomov, spalancando gli occhi.
- Perch� ti sei spaventato? I ricordi, forse?... - aggiunse Stolz piano, quasi con
dolcezza.
- Oh, no! - si giustific� Oblomov, tornando in s�. - Io non mi sono spaventato, ma
meravigliato; non so perch�, ci� mi ha sbalordito. E' molto? E' felice? di', di',
in nome di Dio. Io sento che mi hai tolto dall'anima un grave peso! Sebbene tu
m'avessi assicurato che m'ha perdonato, tuttavia, sai, non ero tranquillo! Sempre
un rodimento qui... Caro Andr�j, come ti son grato!
Egli si rallegrava cos� sinceramente e saltellava e si moveva tanto sul suo divano
che Stolz non pot� non sentirsi commosso.
- Come sei buono, Il'j�! - disse egli. - Il tuo cuore era degno di lei! Io le
racconter� tutto.
- No, no, non parlare! - lo interruppe Oblomov. - Ella mi riterr� insensibile,
perch� mi son rallegrato del suo matrimonio.
- E la gioia forse non � un sentimento, e per di pi� un sentimento senza egoismo?
Tu ti rallegri solo della sua felicit�.
- E' vero, � vero! - interruppe Oblomov. - Dio sa quel che dico... Ma chi � quel
felice mortale? Non te l'ho ancora domandato!
- Chi? - ripet� Stolz. - Come sei poco acuto, Il'j�! Oblomov ferm� sull'amico il
suo sguardo: i suoi lineamenti per un momento si irrigidirono e il colore scomparve
dal suo viso.
- Non sei... tu? - domand� a un tratto.
- Di nuovo ti sei spaventato! Ma perch�? - disse Stolz, ridendo.
- Non scherzare, Andr�j, di' la verit�! - rispose Oblomov, agitato.
- Non scherzo, ti giuro. E' dall'anno scorso che ci siamo sposati.
A poco a poco lo spavento scomparve dal viso di Oblomov, facendo posto ad una calma
riflessivit�; egli non sollevava ancora gli occhi, ma i suoi pensieri un momento
dopo erano tutti invasi da una tranquilla e profonda gioia e, quando lentamente
lev� lo sguardo su Stolz, questo sguardo era pieno di tenerezza e di lacrime.
- Mio caro Andr�j! - esclam� egli, abbracciando l'amico. - Cara Ol'ga... Serg�evna!
- aggiunse, trattenendo l'entusiasmo. - Dio stesso vi ha benedetti. Signore, come
sono felice! Diglielo...
- Le dir� che un secondo Oblomov non esiste! - l'interruppe Stolz profondamente
commosso.
- No, dille, ricordale che io mi sono incontrato con lei proprio per metterla sulla
giusta via e che benedico questo incontro, e la benedico sulla nuova via! E se
fosse stato un altro?... - aggiunse spaventato. - Ma adesso, - concluse
allegramente, - non arrossisco della mia parte, non ho pentimenti; l'anima mi si �
alleggerita; l� � chiaro ed io son felice. Signore, ti ringrazio.
Per poco non ricominci� a saltare sul divano per l'agitazione: ora piangeva, ora
rideva.
- Zach�r, dello sciampagna per il pranzo! - grid� dimenticando di non aver denaro.
- Dir� tutto ad Ol'ga, le dir� tutto! - disse Stolz. - Non per nulla ella non ti
pu� dimenticare. No, tu eri degno di lei, il tuo cuore � profondo come un pozzo!
La testa di Zach�r si sporse tra i battenti della porta.
- Venite un momento di qua! - disse egli, ammiccando, al signore.
- Che c'�? - domand� Oblomov impaziente. - Va' via!
- Datemi il denaro! - bisbigli� Zach�r.
Oblomov ammutol�.
- Non fa niente! - sussurr� poi avvicinandosi alla porta. - Dirai che hai
dimenticato, non hai avuto tempo! Va'!... No, no, vieni qui! - grid�. - Sai la
novit�, Zach�r? Fa' i tuoi complimenti: Andr�j Ivanytch s'� ammogliato!
- Ah, "b�tjushka"! Il Signore mi ha fatto vivere per aver questa gioia! Mi
congratulo, "b�tjushka", Andr�j Ivanytch; che Dio vi dia lunghi anni di vita e
molti figli. Ah, Signore, che gioia!
Zach�r si inchinava, sorrideva, parlava con voce rauca. Stolz trasse di tasca un
biglietto di venticinque rubli e glielo porse.
- E chi avete sposato, "b�tjushka"? - domand� Zach�r, prendendo la mano di Stolz
per baciargliela.
- Ol'ga Serg�evna, ti ricordi? - disse Oblomov.
- La signorina Il'�nskaja! Signore! Che bella signorina! Avevate ragione di
sgridarmi allora, Il'j� Il'�tch!. Sono proprio un vecchio cane. Avete ragione, sono
io il colpevole. Avevo riversato tutto su voi. Fui io il primo a chiacchierare con
la servit� degli Il'�nskij e non Nikita. E ne venne fuori la calunnia. Ah, Signore,
ah, Signore!... - ripet� egli andandosene in anticamera.
- Ol'ga ti invita in campagna; il tuo amore � passato, non � pericoloso: non sarai
geloso. Andiamo.
Oblomov sospir�.
- No, Andr�j, - disse egli, - non temo n� l'amore n� la gelosia, tuttavia non
verr�.
- Che cosa temi?
- Temo l'invidia: la vostra felicit� sar� per me come uno specchio, nel quale vedr�
la mia vita amara e sciupata, e ormai vivere altrimenti non posso.
- Basta, mio caro Il'j�! Involontariamente comincerai a vivere come si vive intorno
a te. Amministrerai l'Obl�movka, leggerai, ascolterai la musica. La voce di Ol'ga
si � fatta ancora pi� bella! Ricordi la "Casta diva"?
Oblomov gli fece cenno con la mano di non continuare a suscitar ricordi.
- Andiamo! - insistette Stolz. - E' lei che lo vuole; ella non si arrender�. Io mi
stancher�, ma lei no. Ha tanto fuoco, tanta vita, che qualche volta vi attingo
anch'io. Di nuovo comincer� a rimuoversi nella tua anima il passato. Ricorderai il
parco, il lill� e ti scuoterai...
- No, Andr�j, no, non ricordare, non cercare di smuovermi, ti prego! - l'interruppe
gravemente Oblomov. - Tutto ci� mi fa male, tutto ci� non mi � di conforto. I
ricordi sono una poesia sublime, se sono ricordi di una felicit� viva, oppure un
dolore rovente, quando si riferiscono ad una ferita cicatrizzata... Parliamo
d'altro. Gi�, io non ti ho ringraziato per i fastidi che ti sei preso per i miei
affari e per la mia propriet�. Amico mio! Io non posso, non ne ho la forza; cerca
la gratitudine nel tuo proprio cuore e nella tua felicit�, in Ol'ga... Serg�evna,
ma io... io... non posso! Perdona se finora non ti ho liberato da tutte queste
noie. Ma presto sar� primavera ed io mi recher� certamente ad Obl�movka.
- Ma sai qual � adesso l'aspetto di Obl�movka? Tu non la riconoscerai! - disse
Stolz. - Io non ti ho scritto perch� tu non rispondi alle lettere. Il ponte � stato
costruito, alla casa � stato fatto il tetto l'estate scorsa. Solo che
dell'ammobiliamento ti devi occupare tu stesso secondo il tuo gusto personale; io
non mi ci posso mettere. L'amministrazione l'ho affidata ad una persona di fiducia.
Hai preso notizia delle spese?
Oblomov tacque.
- Ma che non hai letto le note? - domand� Stolz, guardandolo. - Dove le hai messe?
- Aspetta, dopo pranzo le cercher�: debbo prima domandare a Zach�r...
- Ah, Il'j�, Il'j�! Non si sa se ridere o piangere.
- Dopo pranzo le cercheremo. Adesso pranziamo!
Stolz fece una smorfia, sedendosi a tavola. Egli si ricord� del giorno di
sant'Il'j�: ostriche, ananas, beccacce; e adesso invece una tovaglia ordinaria,
un'oliera con dei pezzi di carta in luogo dei tappi; nei piatti una grossa fetta di
pane nero per ciascuno, delle forchette coi denti rotti. A Oblomov fu servita la
zuppa di pesce e a lui una minestra d'orzo perlato con un pollastrello bollito.
Segu� poi della lingua durissima e del montone. Fece la sua comparsa del vino
rosso. Stolz se ne vers� un mezzo bicchiere, lo assaggi�, pos� il bicchiere e non
bevve pi�. Il'j� Il'�tch bevve due bicchierini di vodka di ribes, uno dopo l'altro,
e attacc� con avidit� il montone.
- Il vino non vale nulla! - disse Stolz.
- Scusa, nella fretta non si � potuti andare oltre il ponte, - rispose Oblomov. -
Non vuoi provare la vodka di ribes? E' eccellente, Andr�j, prova!
Si vers� un altro bicchierino e bevve. Stolz lo guard� meravigliato, ma tacque.
- La prepara Agafja Matv�evna stessa: una cara donna! - continu� Oblomov, un po'
stordito dalla vodka. - Non so proprio, lo confesso, come potr� vivere in campagna
senza di lei: un'altra donna di casa come lei non la trovi.
Stolz lo ascoltava con le ciglia aggrottate.
- Chi credi che abbia preparato tutto ci�, Anis'ja? No! - continu� Oblomov. -
Anis'ja si occupa del pollame, sarchia i cavoli nell'orto e lava i pavimenti: tutto
questo qui lo fa Agafja Matv�evna.
Stolz non mangi� n� il montone n� i pasticcetti con la marmellata, pos� la
forchetta e guard� con che appetito Oblomov mangiava tutto.
- Adesso non mi vedrai pi� con la camicia alla rovescia, - disse ancora Oblomov,
succhiando un osso; - lei verifica tutto, sta attenta a tutto, non ho pi� nemmeno
una calza rotta: fa tutto lei. E come fa bene il caff�! Te ne offrir� dopo pranzo.
Stolz continuava ad ascoltare in silenzio, con aria preoccupata.
- Adesso suo fratello ha sgombrato; gli � venuta l'idea di ammogliarsi e cos�
l'andamento di casa, sai, non � pi� cos� grande come prima. Prima non teneva un
momento le mani ferme. Dal mattino alla sera come se volasse, e al mercato, e nei
negozi... Sai, ti dir�, - concluse Oblomov, che non aveva pi� il dominio della
propria lingua, - se tu mi dessi due, tremila rubli, allora, si capisce, non ti
tratterei a lingua e montone; ti farei servire uno storione intero e trote e
filetto di prima qualit�. E Agafja Matv�evna farebbe miracoli anche senza cuoco, te
l'assicuro!
Bevve un altro bicchierino di vodka.
- Bevi dunque, Andr�j, bevi: � una vodka eccellente! Ol'ga Serg�evna non te ne far�
una eguale! - disse egli balbettando. - Ella canta la "Casta diva", ma non sa fare
cos� la vodka! E neppure una pizza simile con carne di pollastrelle e funghi. Cos�
la sapevano fare solo ad Obl�movka! E quel che � ancora meglio, non � un cuoco che
la fa, Dio sa con che mani. Agaf'ja Matv�evna � la pulizia in persona.
Stolz ascoltava attentamente, con gli occhi tesi.
- Aveva delle mani cos� bianche, - continuava Oblomov, ormai molto ottenebrato dal
vino, - non era peccato baciarle! Adesso si sono indurite perch� fa tutto da s�! E'
lei che mi inamida le camicie! - esclam� Oblomov con sentimento, quasi piangendo, -
ti giuro, l'ho visto coi miei occhi! Ci son tante mogli che non lo fanno per i
mariti. E' una donna eccellente Agafja Matv�evna! S�, Andr�j! Trasferisciti qui con
Ol'ga Serg�evna, affitta una villa qui vicino. Che vita sarebbe! Si prenderebbe il
t� nel boschetto, si farebbero delle escursioni alla Polveriera e ci seguirebbe il
carro con le provviste e il "samov�r", E l� sull'erba si stenderebbe un tappeto e
ci si sdraierebbe. Agaf'ja Matv�evna insegnerebbe ad Ol'ga Serg�evna a far la
cucina, gliel'insegnerebbe davvero! Adesso l'andamento di casa � peggiorato; il
fratello � andato via; ah, se ci si dessero tre, quattromila rubli, ti farei
servire certi tacchini...
- Ma tu ricevi da me cinquemila rubli! - disse ad un tratto Stolz. - Che cosa ne
fai?
- E il debito? - si lasci� scappare Oblomov.
Stolz salt� su.
- Il debito? - ripet� egli. - Che debito? - E lo guard� come un maestro minaccioso
guarda uno scolaretto che si nasconde.
Oblomov ammutol�. Stolz si sedette accanto a lui sul divano.
- A chi devi denaro? - domand� egli. Oblomov si rischiar� un po', si riprese.
- A nessuno, ho mentito, - disse.
- No, tu menti adesso e malamente. Che cos'hai? Che t'� successo, Il'j�! Ah, adesso
capisco il perch� del montone e del vino acido! Non hai denaro! Dove lo metti?
- Io veramente debbo... qualcosa alla padrona per il vitto!... - disse Oblomov.
- Per il montone e la lingua? Il'j�, parla, che cosa ti succede? Che storia �
questa? Il fratello � andato via, l'andamento della casa � peggiorato... Qua c'�
qualcosa che non va. Di quanto sei debitore?
- Di diecimila rubli per una lettera di debito, - bisbigli� Oblomov.
Stolz salt� su e risedette.
- Diecimila? Alla padrona? Per il vitto? - ripet� egli spaventato.
- S�, abbiamo speso molto; io vivevo molto largamente... Ricordi, ananas, pesche...
ecco, e cos� ho fatto debiti... - mormorava Oblomov. - Ma perch� parlarne?
Stolz non rispose. Egli rifletteva: �Il fratello � andato via, l'andamento di casa
� peggiorato, ed � proprio cos�. C'� un'aria di miseria, di sudiceria! Che razza di
donna � questa padrona? Oblomov la loda! Essa si cura di lui; egli parla di lei con
calore...�
Improvvisamente Stolz cambi� di colore, afferr� a volo la verit�. Ebbe un brivido
di freddo.
- Il'j�! - domand� egli. - Che cosa ti �... questa donna?... Ma Oblomov aveva
piegato la testa sulla tavola e sonnecchiava. �Lei lo saccheggia, gli porta via
tutto... � una storia di tutti i giorni ed io che finora non avevo capito!� pens�
egli.
Si alz� ed apr� rapidamente la porta che dava nella stanza della padrona, cos� che
questa, vedendolo, spaventata lasci� cadere il cucchiaio col quale rimescolava il
caff�.
- Ho bisogno di parlarvi, - disse egli gentilmente.
- Favorite in salotto, vengo subito, - rispose ella timidamente. E, gettatosi un
grosso fazzoletto intorno al collo, entr� dietro di lui nel salotto e sedette
sull'orlo del divano. Non aveva pi� il suo scialle e cercava di nascondere le mani
nel fazzoletto.
- Il'j� Il'�tch vi deve del denaro per una lettera di debito? - domand� egli.
- No, - rispose ella con uno sguardo ottuso di meraviglia, - non mi ha dato mai
nessuna lettera.
- Come nessuna lettera?...
- Io non ho mai visto nessuna lettera! - conferm� ella con la stessa meraviglia
ottusa...
- Una lettera di prestito! - ripet� Stolz. Ella pens� un momento.
- Sarebbe meglio che parlaste con mio fratello, - disse, - io non ho visto nessuna
lettera.
�Ma � una furba o una stupida?� pens� Stolz.
- Ma vi deve del denaro? - domand�.
Ella lo guard� attonita, poi il suo viso espresse qualche pensiero, perfino
agitazione. Ella si ricord� della perla impegnata, dell'argenteria, della pelliccia
e si immagin� che Stolz si riferisse a questo debito; solo non poteva capire come
egli ne fosse venuto a conoscenza perch� non aveva parlato di questo segreto non
solo con Oblomov, ma neppure con Anis'ja, alla quale pure rendeva conto di tutto.
- Quanto vi deve? - domandava intanto Stolz inquieto.
- Non mi deve nulla! Nemmeno una copeca!
�Mi nasconde la verit�, si vergogna, questa creatura avida, questa strozzina! -
pens� egli. - Ma io verr� a saper tutto�.
- E i diecimila rubli?
- Quali diecimila rubli? - domand� ella con inquieta sorpresa.
- Il'j� Il'�tch vi deve diecimila rubli per una lettera di debito, s� o no?
- Egli non mi deve niente. Egli doveva durante la quaresima dodici rubli e mezzo al
macellaio, ma ha pagato la settimana scorsa; anche la panna alla lattaia � stata
pagata, non deve proprio nulla.
- Non avete nessun documento che si riferisca ad Oblomov? Ella lo guard�
ottusamente.
- Sarebbe meglio che parlaste con mio fratello, - rispose, - abita nella strada
appresso, in casa di Zamykalov, ecco l�; nella stessa casa c'� una cantina.
- No, preferisco parlar con voi, - disse egli recisamente. - Il'j� Il'�tch si
ritiene debitore vostro e non di vostro fratello...
- Egli non mi deve nulla, - rispose ella. - Se ho impegnato l'argenteria, la perla,
la pelliccia, le ho impegnate per me. Ho comprato le scarpe per me e per Masha e le
camicie per Vanjusha ed ho pagato l'erbivendolo. Non ho speso nemmeno una copeca
per Il'j� Il'�tch.
Egli la guardava, ascoltava e cercava di penetrar nel senso di ogni parola. Egli
solo sembrava essere vicino a conoscere il segreto di Agaf'ja Matv�evna e lo
sguardo di sdegno, quasi di disprezzo, che egli aveva tenuto fisso su di lei mentre
le parlava, contro la sua stessa volont� s'era andato mutando in uno sguardo di
curiosit�, perfino di simpatia. Nel pegno della perla, dell'argenteria egli
oscuramente, a met� leggeva il segreto dei sacrifici di lei e solo non riusciva a
decidere se ella li avesse fatti per pura devozione, o nella speranza di un
qualsiasi benefizio futuro. Non sapeva se rallegrarsi o rattristarsi per Il'j�.
Adesso era chiaro che Oblomov non doveva nulla alla padrona, che il debito doveva
essere un colpo brigantesco del fratello di lei... Ma tante altre cose gli si
rivelavano... Che significavano questi pegni dell'argenteria, delle perle?
- Cosicch� voi non avete alcuna pretesa nei riguardi di Il'j� Il'�tch!
- Dovreste parlare con mio fratello, - rispose ella, monotona. - A quest'ora deve
essere in casa.
- Voi dite che Il'j� Il'�tch non vi deve nulla?
- Nemmeno una copeca, ve lo giuro, � la verit�! - giur� ella volgendosi
all'immagine sacra e segnandosi.
- Lo confermerete anche davanti a testimoni?
- Davanti a chiunque. Anche in confessione! Se ho impegnato la perla e
l'argenteria, � stato per le mie proprie spese...
- Benissimo! - l'interruppe Stolz. - Domani verr� da voi con due conoscenti e voi
non vi rifiuterete, spero, di confermare la cosa in loro presenza!
- Sarebbe meglio che parlaste con mio fratello, - ripeteva ella, - io non sono
vestita come si deve... sto sempre in cucina, non � bene che altri vedano:
giudicheranno male...
- Non importa, non importa; vostro fratello lo vedr� domani, dopo che avrete
firmata la carta...
- Io ho perduto del tutto l'abitudine di scrivere.
- Ma c'� poco da scrivere, due o tre righe.
- No, permettetemi, � meglio che scriva Vanjusha: scrive cos� bene...
- Non vi rifiutate, - insist� egli; - se non firmate la carta vuoi dire che Il'j�
Il'�tch vi deve diecimila rubli.
- No, egli non mi deve nulla, nemmeno una copeca, ve lo giuro!
- In tal caso dovete firmare la carta. Arrivederci a domani.
- Meglio sarebbe che domani andaste da mio fratello... - disse ella,
accompagnandolo; - sta qui all'angolo, nella strada appresso.
- No, anzi vi prego di non dir nulla a vostro fratello perch� Il'j� Il'�tch
potrebbe averne delle noie.
- Allora non gli dir� nulla! - rispose ella obbediente.

7.
Il giorno dopo Agaf'ja Matv�evna diede a Stolz la dichiarazione che ella non aveva
alcun credito nei riguardi di Oblomov. Con questa dichiarazione Stolz si present�
all'improvviso al fratello di lei.
Fu questo un vero colpo di fulmine a ciel sereno per Iv�n Matv�evitch. Egli cacci�
fuori il documento in suo possesso e col dito medio della mano destra tremante, con
l'unghia in gi�, mostr� la firma di Oblomov e la testimonianza del sensale.
- E' legale, - disse egli, - io non c'entro direttamente; salvaguardo soltanto gli
interessi di mia sorella e non so quali somme abbia preso in prestito Il'j�
Il'�tch.
- Questo affare non finir� cos�, - lo minacci� Stolz, andando via.
- E' un affare secondo la legge, ed io non c'entro direttamente! - si giustific�
Iv�n Matv�evitch nascondendo le mani nelle maniche.
Il giorno dopo, egli era appena entrato in ufficio che un corriere del generale gli
comunicava che questi lo aspettava immediatamente.
- Dal generale! - ripeterono spaventati tutti i colleghi di Iv�n Matv�evitch.
- Perch�? Cos'� successo? Qualche affare che gli occorre subito? E quale? Presto,
presto! Cucire gli atti, fare l'inventario! Cos'� successo?
La sera dello stesso giorno Iv�n Matv�evitch si rec� alla �trattoria� fuori di s�!
Tarant'ev ve lo aspettava da un pezzo.
- E cos�, compare? - domand� egli impaziente.
- Cos�! - disse con voce monotona Iv�n Matv�evitch. - Cosa credi tu?
- Ti hanno ingiuriato, eh!
- Ingiuriato! - ripet�, contraffacendolo, Iv�n Matv�evitch. - Meglio se m'avessero
picchiato! E tu sei un bel tomo! - aggiunse in tono di rimprovero; - perch� non mi
hai detto chi era quel tedesco?
- Te l'ho detto che � un furbo matricolato.
- Cosa vuoi dire furbo matricolato! Ne abbiam visti tanti! Perch� non mi hai detto
che era cos� potente? Da del tu al generale come noi due fra noi. Non mi sarei
messo in urto con un uomo simile, se l'avessi saputo!
- Ma � un affare secondo la legge! - ribatt� Tarant'ev.
- Un affare secondo la legge! - gli fece ancora una volta il verso Muchojarov. -
Vaglielo a dir l�: la lingua ti rimane attaccata in gola. Sai cosa ha domandato il
generale?
- Cosa? - domand� con curiosit� Tarant'ev.
- �E' vero che voi insieme ad un furfante avete ubriacato il proprietario Oblomov e
l'avete costretto a firmare una lettera di debito al nome di vostra sorella?�
- Cos� ha detto: �insieme ad un furfante�? - domand� Tarant'ev.
- S�, proprio cos�...
- E chi sarebbe questo furfante? - domand� di nuovo Tarant'ev.
Il compare lo guard�.
- Non lo sai proprio? - disse egli velenosamente. - E se fossi tu?
- Come mai mi ci hai immischiato?
- Ringrazia il tedesco e il tuo compaesano. Il tedesco ha fiutato tutto, e domanda
qui, domanda l�...
- Tu, compare, avresti dovuto fare un altro nome e dire ch'io non c'entro per
nulla!
- Proprio! E che sei un santo, tu? - replic� il compare.
- E che hai risposto quando il generale ha domandato: �� vero che voi insieme ad un
furfante...�? Avresti dovuto girare attorno...
- Girare attorno? Provatici! Ha certi occhi verdi! Ho cercato di raccogliere tutte
le mie forze, volevo dire: �Non � vero, � una calunnia, Eccellenza, io non conosco
nessun Oblomov; � Tarant'ev che ha fatto tutto!� Ma la lingua non s'� mossa; gli
son caduto ai piedi.
- E che, vogliono fare un processo? - domand� Tarant'ev con voce sorda. - Io
direttamente non c'entro; tu, compare...
- Non c'entri? Tu non c'entri? Ti sbagli, compare, bisogna metter la testa nel
cappio, tu per il primo: chi persuase Oblomov a bere? Chi lo svergognava e lo
insultava?...
- Tu mi avevi insegnato, - disse Tarant'ev.
- Ma che sei forse un minorenne? Io non so nulla e non voglio saper nulla.
- Questo, compare, vuoi dire mancanza di coscienza! Quanto hai guadagnato per
merito mio ed io ho avuto solo trecento rubli...
- E che dovrei prender tutto su di me? Sei furbo, tu! No, io non so nulla di nulla,
- disse egli; - mia sorella, non essendo pratica di affari, mi ha pregato di far
autenticare la lettera dal notaio, ecco tutto. Tu e Zat�rtyj siete stati testimoni,
e voi siete responsabili.
- Tu dovresti mettere a posto tua sorella; come ha osato procedere contro il
fratello? - disse Tarant'ev.
- Mia sorella � una stupida, cosa vuoi farci?
- E che dice?
- Che dice? Piange e ripete che no, Il'j� Il'�tch non deve nulla! e che lei non gli
ha mai dato denaro.
- Ma tu hai pure una lettera tratta su di lei, - disse Tarant'ev, - non perdi il
tuo...
Muchojarov cav� di tasca la lettera tratta sulla sorella, la fece in pezzi e porse
questi a Tarant'ev.
- Ecco, te la regalo, la vuoi? - aggiunse egli. - Cosa le prendo? La casa con
l'orticello? Non ne ricavi nemmeno mille rubli; casca da tutte le parti. E poi che
sono un pagano, io? Metterla coi ragazzini in mezzo alla strada?
- Cos�, adesso comincer� l'istruttoria? - domand� timidamente Tarant'ev. - Bisogna,
compare, cercar di cavarsela come meglio � possibile: fa' quel che puoi, fratello.
- Che istruttoria? Non ci sar� nessuna istruttoria! Il generale mi ha da principio
minacciato di espulsione dalla citt�, poi il tedesco � intervenuto perch� vuole
evitare uno scandalo a Oblomov.
- Che dici, compare! M'� caduta una pietra dal cuore! Beviamo! - disse Tarant'ev.
- Beviamo? E con quali denari? Coi tuoi?
- E i tuoi? Oggi hai fatto sette rubli.
- Coosa? Addio, entrate! io non ho finito di dirti quel che ha detto il generale.
- E che? - domand� Tarant'ev, di nuovo impaurito.
- Mi ha ordinato di dar le dimissioni.
- Che dici, compare! - esclam� Tarant'ev, spalancandogli gli occhi in faccia. -
Adesso lo copro io d'insolenze, il compaesano, - concluse furioso.
- Tu non vorresti che ingiuriare!
- Lo coprir� d'insolenze, ti far� vedere! - disse Tarant'ev. - Del resto, � vero, �
meglio che aspetti; senti cosa ho pensato, compare.
- Che c'� ancora? - disse Iv�n Matv�evitch soprappensiero.
- Si pu� fare un bell'affare. Peccato per� che sei andato via di casa...
- E perch�?
- Perch�!? - disse Tarant'ev, guardando Iv�n Matv�evitch. - Per sorvegliare Oblomov
e la sorella come cuocion le pizze insieme e poi... testimoni! Qui il tedesco ci ha
poco da fare. Tu adesso sei un libero cittadino; se fai un processo, � un affare
secondo la legge! Allora si spaventer� anche il tedesco � verr� a trattative.
- Veramente mi pare che vada! - rispose Muchojarov soprappensiero. - Non sei
stupido nelle invenzioni, � in pratica che non sei buono a nulla, e Zat�rtyj
nemmeno. Aspetta, aspetta, trovo io il modo! - aggiunse egli, animandosi. -
Vedranno, vedranno. Mando la mia cuoca da mia sorella: lei fa amicizia con Anis'ja,
viene a saper tutto e poi... Beviamo, compare!
- Beviamo! - ripet� Tarant'ev. - Allora lo coprir� io d'insolenze, il compaesano.
Stolz cerc� di portar via Oblomov, ma questi preg� che lo lasciasse ancora un mese
e tanto preg� che Stolz dovette cedere. Secondo le sue parole, questo mese gli
serviva per mettere in ordine i conti, subaffittare l'appartamento e ordinar tutto
in modo da non dover pi� tornare a Pietroburgo. Poi aveva bisogno di comprare il
necessario per la casa di campagna; infine voleva trovare una buona massaia, sul
tipo di Agaf'ja Matv�evna e perfino non disperava di convincere questa a vender la
casa e a trasferirsi in campagna per dedicarsi ad un'attivit� degna di lei:
un'amministrazione familiare in grande stile e complicata.
- A proposito della tua padrona, - l'interruppe Stolz, - io volevo pregarti, Il'j�,
di dirmi in che relazioni sei con lei...
Oblomov all'improvviso arross�.
- Che cosa vuoi dire? - domand� in fretta.
- Tu lo sai benissimo, - osserv� Stolz, - altrimenti non ti saresti fatto rosso.
Senti, Il'j�, se un avvertimento pu� servire a qualche cosa, io ti prego, in nome
della nostra amicizia, di essere accorto...
- In che? Ti prego! - si difese Oblomov confuso.
- Tu hai parlato di lei con tanto calore che, veramente, io ho pensato che tu...
- L'amassi!... questo volevi dire? Ti prego! - l'interruppe Oblomov con un riso
forzato.
- Allora peggio, se non c'� nemmeno una scintilla morale, se � solo...
- Andrej! Che forse mi conosci per un uomo immorale?
- Perch� sei arrossito?
- Perch� tu hai potuto avere una tale idea.
Stolz scosse la testa dubbioso.
- Guardati bene, Il'j�, non cascare nella fossa. Una donnaccia qualunque, una vita
sudicia, l'atmosfera della limitatezza, la grossolanit�, pfu!...
Oblomov taceva.
- Bene, addio, - concluse Stolz, - allora dir� ad Ol'ga che ci vedremo
quest'estate, se non da noi, ad Obl�movka. Ricordati: lei non cede!
- Certamente, certamente, - rispose con convinzione Oblomov. - Aggiungi anche che,
se ella lo permetter�, passer� l'inverno da voi.
- Sarebbe una gran gioia!
Stolz part� il giorno stesso e la sera da Oblomov si present� Tarant'ev. Non aveva
potuto resistere al desiderio di ingiuriarlo per quanto era avvenuto al compare.
Solo non aveva calcolato che Oblomov nella societ� degli Il'inskij aveva perduto
l'abitudine di aver a che fare con gente come lui e che all'apatia e alla
sopportazione per la grossolanit� e la sfrontatezza era subentrato il disgusto. Ci�
si sarebbe manifestato gi� da un pezzo, e anzi aveva gi� fatto la sua apparizione
quando Oblomov era ancora in villa, ma da quel tempo Tarant'ev s'era fatto vedere
sempre pi� di rado e per di pi� in presenza d'altri e perci� l'urto non s'era
potuto produrre.
- Ti saluto, compaesano! - disse Tarant'ev aspro, senza tendere la mano.
- Ti saluto! - rispose freddamente Oblomov, guardando dalla finestra.
- E cos�, hai accompagnato il tuo benefattore?
- L'ho accompagnato. E che c'�?
- Bel benefattore! - continu� velenosamente Tarant'ev.
- Che non ti piace?
- Lo impiccherei, - disse rauco Tarant'ev, con odio.
- Davvero!
- E te con lui allo stesso tremolo!
- E perch� mai?
- Bisogna essere onesti: se sei debitore, paga, non cercar scappatoie. Cosa hai
messo su adesso?
- Senti, Mich�j Andreitch, liberami dalle tue panzane; troppo tempo per fiacchezza
o indifferenza t'ho ascoltato: credevo che in te ci fosse almeno una goccia di
coscienza, invece non c'�. Con quell'altro cavaliere d'industria volevi ingannarmi:
chi sia fra voi il peggiore non so, solo mi ripugnate tutti e due. Il mio amico
m'ha liberato da questo stupido affare...
- Bell'amico! - disse Tarant'ev. - Ho sentito che t'ha portato via la fidanzata. Un
benefattore, non c'� che dire! Sei un grande imbecille, compaesano mio...
- Ti prego, lascia star queste tenerezze! - lo ferm� Oblomov.
- No, non lascio. Tu non hai pensato a me, ingrato! Io ti ho messo qui, ti ho
trovato una donna ch'� un tesoro. Tranquillit�, comodit� d'ogni specie, tutto t'ho
procurato, ti ho circondato di benefizi e tu mi volti via il grugno. L'hai trovato
il benefattore: un tedesco! S'� preso il fondo in affitto; aspetta: non solo ti
deruber�, ti appiccicher� anche delle azioni. Ti mander� in miseria, ricordati
delle mie parole! Stupido, ti dico, anzi � troppo poco stupido, sei una bestia
ingrata!
- Tarant'ev! - grid� Oblomov minaccioso.
- Cosa gridi? Lo grider� io a tutto il mondo che sei uno stupido, una bestia! -
urlava Tarant'ev. - Io e Iv�n Matv�evitch ti abbiamo usato ogni sorta di riguardi,
ti abbiamo servito come degli schiavi, abbiamo camminato in punta di piedi e ti
abbiamo guardato negli occhi, e tu ci hai calunniati davanti alle autorit�: adesso
lui � senza posto e senza un tozzo di pane! Questo � basso, volgare! Tu gli devi
dare adesso met� dei tuoi beni; fagli una cambiale: adesso non sei ubriaco, adesso
capisci, fagli una cambiale, ti dico, se no non vado via...
- Che avete, Mich�j Andreitch, che gridate tanto? - dissero la padrona e Anis'ja
affacciandosi alla porta. - Due passanti si sono fermati a sentire...
- Voglio gridare, - url� Tarant'ev, - che questo tanghero si vergogni! Quel
furfante di un tedesco ti imbroglier� ben bene, tanto pi� che adesso se la fa con
la tua amante...
Nella stanza echeggi� un sonoro schiaffo. Colpito da Oblomov sulla guancia,
Tarant'ev tacque immediatamente, si lasci� cadere su di una sedia e, sbalordito, si
guard� intorno con occhi da scimunito.
- Che c'�, che c'�? Eh? Che � questo? - disse, pallido, soffocando, tenendosi la
guancia. - Un'offesa? Tu me la pagherai. Presenter� subito una denunzia al
governatore. Avete visto?
- Noi non abbiamo visto nulla! - dissero le due donne ad una voce.
- Ah, � una congiura, un'imboscata di briganti! Una banda di furfanti! Si
saccheggia, si uccide...
- Va' via, mascalzone! - grid� Oblomov, pallido, tremando di rabbia. - Esci subito
e che i tuoi piedi non varchino pi� la mia soglia, se no ti uccido come un cane! -
Egli cercava cogli occhi un bastone.
- Aiuto! Mi si uccide! Aiuto! - grid� Tarant'ev.
- Zach�r, caccia fuori questo miserabile e che non si faccia mai pi� vedere! -
grid� Oblomov.
- Prego, eccovi Dio ed eccovi la porta! - disse Zach�r, indicando l'immagine sacra
e la porta.
- Io non sono venuto da te, ma dalla comare, - mugghi� Tarant'ev.
- Io non ho bisogno di voi, Mich�j Andreitch, - disse Agaf'ja Matv�evna, - voi
venivate da mio fratello e non da me. Io ce n'ho abbastanza di voi. Non fate che
mangiare, bere e ingiuriare.
- Ah, � cos�, comare! Bene, ve la far� vedere vostro fratello. E tu mi pagherai
l'insulto! Dov'� il mio cappello? Che il diavolo vi porti! Briganti, assassini! -
continu� egli a gridare, attraversando il cortile. - Me la pagherai!
Il cane diede uno strappo alla catena e abbai� furiosamente.
Da allora Tarant'ev ed Oblomov non si videro pi�.

8
.
Stolz per alcuni anni non torn� a Pietroburgo. Solo una volta per brevissimo tempo
fece una capatina nella propriet� di Ol'ga e ad Obl�movka. Il'j� Il'�tch ricevette
una lettera nella quale Andr�j lo esortava a recarsi in campagna e a prendere nelle
sue mani la propriet� ormai in ordine: insieme con la moglie egli partiva per la
costa meridionale della Crimea per due ragioni: per affari che egli aveva a Odessa
e anche per via della salute di Ol'ga Serg�evna, piuttosto scossa dopo il parto.
Essi si stabilirono infatti in un tranquillo angoletto sulla riva del mare. La loro
casa era piccola e modesta. Il suo aspetto interno aveva, come l'architettura, il
suo stile, e tutto portava l'impronta del pensiero e del gusto personale dei
padroni. Una quantit� di cose essi avevano portato con loro; e molte casse, bauli e
ceste furono loro spedite dalla Russia e dall'estero. Un amante di comodit� avrebbe
probabilmente fatto spallucce, dopo gettata un'occhiata al mobilio disparato, ai
vecchi quadri e alle vecchie statue senza braccia e senza gambe, alle stampe e
tante altre cose anche brutte, ma care come ricordi. Forse negli occhi di un
intenditore si sarebbe accesa la fiamma del desiderio a veder questo o quel quadro,
questo o quel libro ingiallito dal tempo, oppure qualche vecchia porcellana o
qualche pietra o moneta. Pure fra quei mobili e quadri di diverso stile, fra quelle
minutaglie che non avevano importanza per nessuno, ma ricordavano a lui ed a lei
un'ora felice, un momento degno di memoria, nell'oceano dei libri e delle carte di
musica, c'era un soffio di tiepida vita, qualche cosa che scoteva la mente e il
sentimento estetico; ovunque o era presente l'instancabile pensiero o brillava la
bellezza dell'opera umana, come intorno brillava l'eterna bellezza della natura.
Qui trovarono posto l'alta scrivania che era gi� stata del padre di Andr�j e i
guanti scamosciati di lui; in un angolo fu appeso il suo cappotto di tela incerata
accanto all'armadio con i minerali, le conchiglie, gli uccelli imbalsamati, i
campioni di merci e di argille. In mezzo a tutto, al posto d'onore, ornato di oro e
di intarsi, brillava un pianoforte di Erard.
Una rete di vite, di edera e di mirto copriva il "cottage" da cima a fondo. Dal
balcone si vedeva il mare e dall'altra parte la strada per la citt�. Era l� che
Ol'ga Serg�evna spiava il ritorno di Andr�j quando egli si allontanava da casa per
affari; non appena ella lo scorgeva, scendeva gi�, attraversava di corsa il
magnifico giardino e il lungo viale di pioppi e si gettava al collo del marito,
sempre con le guance ardenti di gioia, lo sguardo luminoso e sempre la stessa
impazienza di felicit�, nonostante che fossero gi� passati due anni dalle nozze.
Stolz aveva intorno all'amore e al matrimonio delle idee originali, esagerate, in
ogni modo indipendenti. Anche qui egli aveva scelta una via libera e, a quanto gli
pareva, semplice; tuttavia per quale difficile scuola di osservazioni, di pazienza
e di lavoro era dovuto passare prima di essere in grado di fare questo cos�
semplice passo!
Da suo padre egli aveva ereditato l'abitudine di guardare tutto nella vita, anche
le piccolezze, con gravita; forse aveva ereditato da lui anche la severit� pedante
con cui i tedeschi accompagnano le loro opinioni, ogni passo della vita, compresa
la vita coniugale. La vita del vecchio Stolz era stata aperta a tutti e ad ognuno
come una iscrizione sopra una tavola di marmo e non c'era stato mai nulla da
supporre di nascosto. Ma la madre con i suoi canti e il suo tenero bisbiglio e poi
la casa principesca cos� diversa da quella paterna, infine l'universit�, i libri ed
il mondo, tutto ci� aveva allontanato Andr�j dai diritti binari segnatigli dal
padre; la vita russa aveva tracciati i suoi disegni invisibili e di una tavola
senza colore aveva fatto un grande quadro luminoso.
Andr�j non incatenava i propri sentimenti nei ceppi della pedanteria e dava anzi
libert� piena, cercando solo di non perdere il �terreno sotto i piedi�, ai sogni
della fantasia, anche se, risvegliandosi, per la sua natura di tedesco, o per altro
motivo, non poteva fare a meno di cavarne una conclusione o qualche buona norma di
vita. Egli era fresco di corpo perch� era fresco di spirito. Nell'adolescenza era
stato vivace e birichino e, quando non aveva fatto monellerie, era stato occupato
sotto la sorveglianza del padre. Non aveva avuto il tempo di perdersi in sogni. La
sua fantasia non s'era corrotta, il suo cuore non s'era guastato: la madre aveva
attentamente custodito la purezza e la verginit� dell'una e dell'altro. Da giovane
egli aveva conservata istintivamente la freschezza delle sue forze, poi aveva
scoperto che questa freschezza da ardire e allegria e forma la base di quella
virilit� che deve temprare l'anima perch� non impallidisca davanti alla vita,
qualunque essa sia, ed impari anzi a considerarla non come un grave giogo, una
croce, ma solo come un dovere, e a condurre degnamente la lotta con lei.
Molte cure del proprio pensiero aveva egli dedicato anche al cuore e alle sue
difficili leggi. Osservando consapevolmente e inconsapevolmente il riflesso della
bellezza sull'immaginazione, poi il passaggio dell'impressione in sentimento, i
suoi sintomi, il suo gioco, il suo risultato e guardandosi intorno e procedendo
verso la vita, si era formata la convinzione che l'amore con la potenza della leva
di Archimede muove il mondo, e che in esso � tanta verit� universale e
indiscutibile, quanta menzogna vi � nella sua incomprensione e nel suo abuso. Dov'�
il bene? dov'� il male? Dove � il limite fra loro?
Alla domanda: dov'� la menzogna? si presentavano alla sua fantasia variopinte
maschere del presente e del passato. Egli guardava con un sorriso, ora arrossendo
ed ora increspando la fronte, l'infinita schiera degli eroi e delle eroine
dell'amore: i Don Chisciotte in guanti di acciaio, le dame dei loro pensieri e la
loro reciproca fedelt� durante separazioni di cinquant'anni; i pastorelli con le
guance rosse e gli occhi ingenui a fior di testa e le loro Cio� con le pecorelle.
Apparivano davanti a lui le marchese incipriate e in merletti con i loro occhi
sprizzanti senno e il loro depravato sorriso! poi i Werther che si sparano, si
impiccano e si strangolano, e le appassite vergini con le eterne lacrime d'amore e
il monastero, e i baffuti volti dei moderni eroi, col selvaggio fuoco negli occhi,
gli ingenui e coscienti Don Giovanni, e i saggi che tremano se sospettati d'amore e
di nascosto adorano le loro governanti... tutti, tutti!
Alla domanda: dov'� la verit�? egli cercava lontano e vicino, nell'immaginazione e
con gli occhi, esempi di rapporti tra uomo e donna semplici, onesti, ma profondi e
infrangibili, e non ne trovava; e se gli sembrava di trovarne, era solo
un'apparenza a cui seguiva la delusione; allora egli cadeva in tristi pensieri e
perfino si disperava.
�Vuoi dire che questa felicit� non ci � concessa in tutta la sua pienezza! -
pensava; - o i cuori che sono illuminati dalla luce di questo amore sono timidi: si
spaventano e si nascondono senza curarsi di contraddire i saggi; o forse li
compiangono e perdonano loro, in nome della propria felicit�, di aver calpestato il
fiore nel fango per mancanza di un terreno in cui esso potesse sprofondare le sue
radici e svilupparsi fino a diventare un albero capace di coprir d'ombra tutta la
vita�.
Se considerava il matrimonio, i mariti e i loro rapporti con le mogli, vedeva
sempre davanti a s� una sfinge col suo enigma; tutto gli appariva come
incomprensibile ed ancora inespresso; eppure questi mariti non si preoccupavano per
nulla di questioni difficili e affrontavano la via del matrimonio con un passo cos�
eguale e consapevole, come se non avessero nulla da cercare e da decidere.
�Hanno essi torto? Forse davvero non c'� bisogno d'altro�, pensava allora senza
fiducia in s�, guardando com'essi rapidamente apprendessero l'amore come un
sillabario del matrimonio o come una forma di cortesia, a quel modo, che, entrando
in una societ�, dopo aver fatto l'inchino di dovere, passavano subito agli affari!
Essi gettavan via impazientemente dalle proprie spalle la primavera della vita;
molti poi per tutta la vita guardavano di traverso le proprie mogli, come
rimpiangendo di aver una volta commessa la sciocchezza di amarle. Altri l'amore
accompagnava a lungo, talvolta fino alla vecchiaia, ma non li lasciava mai nemmeno
il loro sorriso di satiri... Finalmente, la maggior parte contraevano matrimonio
come si compra una tenuta, godendo dei vantaggi che esso apporta: la moglie mette
ordine in casa, � massaia, madre, sorveglia i bambini; l'amore costoro lo
considerano come il padrone pratico considera la posizione della sua tenuta, cio�
vi si abitua subito e poi non la nota pi�.
�Che � ci�? incapacit� innata in seguito alle leggi stesse della natura, o
insufficienza di preparazione, di educazione?... Dov'� dunque quella simpatia che
non perde mai il suo fascino naturale e non indossa l'abito della follia, che muta
d'aspetto, ma non si spegne? Qual � il colore e il colorito naturale di questa
felicit� sparsa dovunque e che colma ogni cosa, di questa linfa della vita?�
Egli guardava profeticamente in lontananza, e lontano, come in una nebbia, gli
appariva l'immagine del sentimento e nello stesso tempo della donna, vestita del
suo colore e splendente della sua luce, un'immagine cos� semplice, ma luminosa,
pura.
�Fantasia, fantasia!� diceva egli disinebriandosi e sorrideva dell'ozioso
eccitamento del suo pensiero.
Ma questa fantasia viveva nella sua memoria contro la sua stessa volont�! Da
principio in questa immagine egli aveva sognato l'avvenire della donna in generale;
ma quando poi aveva visto in Ol'ga, cresciuta e sviluppatasi, non solo la
magnificenza di una bellezza fiorente, ma anche una forza pronta alla vita e
assetata di verit� e di lotta con la vita, tutti attributi della sua fantasia, era
risorta in lui l'immagine quasi dimenticata dell'amore ed in quest'immagine
cominci� a sognar Ol'ga e gli parve che nella loro simpatia dovesse, in un lontano
avvenire, essere possibile la verit� senza l'abito della follia e senza abuso.
Senza giocare col problema dell'amore e del matrimonio, senza confondere con esso
altri calcoli relativi al denaro, ai rapporti sociali, agli impieghi, Stolz
cominci� a pensare tuttavia come conciliare la propria attivit� esteriore, finora
instancabile, con la vita interiore, familiare, e come trasformare se stesso da
turista e negoziante in stabile padre di famiglia. Calmata questa esteriore
irrequietezza, con che cosa avrebbe riempita la propria vita casalinga?
L'educazione e l'istruzione dei figli, l'indirizzo della loro vita non era certo un
compito leggero e facile, ma esso era ancora lontano, e fino a quel momento che
cosa avrebbe fatto?
Queste questioni lo agitavano spesso e da tempo, ma la vita dello scapolo gli era
di peso; e non gli veniva mai in mente, quando il suo cuore si metteva a battere,
sentendo l'avvicinarsi della bellezza, di sottoporsi ai ceppi del matrimonio. Per
questo egli aveva come trascurato perfino Ol'ga, godendo di lei solo come di una
graziosa fanciulla piena di promesse; scherzando, di passaggio, aveva gettato
nell'avida e sensibile mente di lei qualche nuovo pensiero, qualche osservazione
sulla vita, risvegliandole nell'anima, senza pensarci e senza averne sospetto, una
viva comprensione dei fenomeni della vita e un'esatta concezione delle cose, ma poi
aveva dimenticato e Ol'ga e le proprie disinvolte lezioni.
Solo di tempo in tempo, vedendo come in lei balenavano pensieri e opinioni non del
tutto comuni, e la menzogna non aveva presa, come ella non cercava il comune
omaggio ed i sentimenti venivano e scomparivano semplicemente e liberamente, e
nulla era in lei di estraneo, ma tutto era suo personale, e tutto cos� ardito,
fresco e saldo, egli si era domandato di dove ella avesse preso tutto ci�, senza
pi� riconoscere cos� le proprie fuggevoli lezioni ed osservazioni. Se egli avesse
allora fermata la propria attenzione su di lei, avrebbe compreso che ella andava
quasi sola per la sua via, protetta dalla sorveglianza superficiale della zia che
le impediva di cader negli estremi, ma che su di lei non pesava l'autorit� e la
tutela di innumerevoli istitutrici, nonne e zie, con le tradizioni della stirpe,
della famiglia, delle condizioni sociali, degli usi e costumi invecchiati e delle
comuni sentenze; che nessuno la conduceva a forza per la solita via e che ella
seguiva un nuovo sentiero che doveva aprirsi da s� con la propria mente, il proprio
sentimento, il proprio modo di vedere. La natura non le aveva negato nulla; la zia
non guidava dispoticamente la sua volont� e la sua intelligenza, e Ol'ga molte cose
le indovinava e capiva da sola, osservava prudentemente la vita ed ascoltava... tra
l'altro, anche i discorsi e i consigli del suo amico...
Ma egli non aveva capito nulla di tutto ci� e solo si aspettava molto da lei in
avvenire, in un lontano avvenire, senza supporre mai che ella avrebbe potuto essere
la sua compagna.
Ed ella, per timidezza fondata sull'amor proprio, per lungo tempo non si era
rivelata, e solo dopo la tormentosa lotta all'estero egli aveva veduto con stupore
in quale immagine di semplicit�, di forza e di naturalezza s'era incarnata la
fanciulla piena di promesse da lui dimenticata. Cos� a poco a poco gli si era
rivelata la profondit� di quell'anima che egli doveva colmare e non ci riusciva
mai.
Da principio aveva dovuto lottare a lungo con la vivacit� della natura di lei,
vincere la febbre della sua giovinezza, portarne gli impulsi entro determinati
limiti, dare alla vita di lei un corso eguale, ma tutto ci� era riuscito solo
temporaneamente; non appena egli chiudeva fiduciosamente gli occhi, si risollevava
la tempesta, la vita sgorgava come una sorgente, e ricominciavano le domande della
mente inquieta, del cuore agitato: bisognava riempire l'immaginazione eccitata,
deprimere o risvegliare l'amor proprio. Non appena ella cominciava a riflettere su
qualche fenomeno, egli si affrettava a dargliene la chiave.
La fede nel caso, la nebbia e le allucinazioni scomparvero dalla vita di lei. Un
avvenire libero e luminoso le si apr� davanti ed ella pot� vedervi, come in
un'acqua trasparente, ogni pietruzza, ogni buca e poi anche il limpido fondo.
- Io sono felice! - bisbigliava, abbracciando con uno sguardo di gratitudine la
propria vita passata, e, interrogando l'avvenire, ricordava il sogno fanciullesco
di felicit� che aveva sognato una volta in Isvizzera in una pensosa notte azzurra e
comprendeva che questo sogno ondeggiava nella vita come la sua ombra.
�Perch� m'� stato concesso tutto ci�?� pensava ella umilmente. E temeva talvolta
che questa felicit� non svanisse. Passarono gli anni, ma essi non si stancarono di
vivere. Subentr� la calma, gli impulsi si acquetarono; le storture della vita
divennero comprensibili e furono sopportate pazientemente e arditamente, mentre la
vita continuava a fervere in loro.
Ol'ga era arrivata ad una severa concezione della vita; le loro due esistenze,
quella di Andr�j e la sua, si erano fuse in una sola corrente; non c'era ozio per
le passioni selvagge: tutto in loro era armonia e calma. Pareva che si dovessero
addormentare in questa pace conquistata e bearvisi, come si beano gli abitanti dei
luoghi tranquilli incontrandosi tre volte al giorno, sbadigliando alle consuete
conversazioni, sprofondandosi in una ottusa sonnolenza, tormentandosi dalla mattina
alla sera perch� tutto � stato pensato, detto e fatto, perch� non c'� pi� nulla da
dire e da fare, perch� �tale � la vita del mondo�.
Esteriormente vivevano come tutti gli altri. Si alzavano se non all'alba, tuttavia
presto; amavano sedere a lungo sorbendo il t�, talvolta perfino tacevano
pigramente, poi ognuno se ne andava nella propria camera, oppure lavoravano
insieme, pranzavano, si recavano nei campi, facevano della musica... come tutti,
come aveva sognato di fare anche Oblomov. Solo che non c'era in loro n� sonnolenza
n� fiacchezza; i loro giorni non conoscevano la noia e l'apatia, i loro sguardi e
le loro parole non erano fiacchi; le conversazioni non avevano mai fine ed erano
talvolta anche piene di calore. Le loro voci sonore si sentivano in tutte le
stanze, arrivavano al giardino; ma talvolta essi si trasmettevano silenziosamente,
come disegnando l'uno all'altro il profilo della propria fantasia, il primo
movimento, ancora inafferrabile dalla lingua, e il crescere di un nuovo pensiero,
l'appena percettibile bisbiglio dell'anima...
E nel loro silenzio era talvolta quella felicit� pensierosa che aveva sognato
Oblomov, oppure il lavoro del pensiero in solitudine sullo sconfinato materiale che
si proponevano l'un l'altra.
Spesso si sprofondavano in muta ammirazione per l'eternamente nuova e splendente
bellezza della natura. Le loro anime sensibili non potevano abituarsi a questa
bellezza: la terra, il ciclo, il mare, tutto eccitava il loro sentimento ed essi
sedevano accanto in silenzio, guardavano con gli stessi occhi e la stessa anima
quello splendore della creazione, e senza far parola si comprendevano.
Non accoglievano il mattino con indifferenza, n� si sprofondavano ottusamente
nell'oscurit� della calda, stellata notte meridionale. Li teneva svegli l'eterno
movimento del pensiero, l'eterna inquietudine dello spirito e la necessit� di
pensare insieme, di sentire e di parlare!...
Ma quale era l'oggetto di queste ardenti discussioni, di queste tranquille
conversazioni, delle loro letture, delle loro lunghe passeggiate? Tutto. Gi�
all'estero Stolz aveva perduta l'abitudine di leggere e lavorare solo; sempre a
quattrocchi con Ol'ga, aveva finito col pensare insieme con lei. E a malapena
riusciva a tener dietro alla affaticante rapidit� del pensiero e della volont� di
lei. Il problema di come egli si sarebbe adattato alla vita familiare s'era risolto
da s�. Egli aveva dovuto introdurre Ol'ga anche nella sua vita di lavoro e d'affari
perch� in una vita senza movimento ella soffocava come priva d'aria. Egli non
procedeva ormai a nessuna costruzione, a nessun affare riguardante la tenuta
d'Oblomov o la propria, a nessuna operazione della propria societ�, senza ch'ella
ne fosse informata o vi partecipasse. Nessuna lettera veniva spedita senza ch'ella
l'avesse letta, nessuna idea e, ancor pi�, nessuna realizzazione le restavano
ignote; ella sapeva tutto e tutto l'interessava in quanto interessava Andr�j. Da
principio egli si era comportato cos� perch� non sarebbe stato possibile nascondere
nulla ad Ol'ga: le lettere venivano scritte sotto i suoi occhi, le conversazioni
d'affari si svolgevano in sua presenza; poi egli aveva continuato per abitudine,
infine quest'abitudine era diventata per lui una necessit�. Le osservazioni, i
consigli, l'approvazione o la disapprovazione di Ol'ga diventarono per lui una
inevitabile pietra di paragone: egli vide che ella comprendeva non meno di lui,
rifletteva, giudicava non peggio di lui... Zach�r si offendeva di una simile
capacit� in sua moglie e molti se ne offendono! Stolz ne era felice!
La lettura e lo studio sono l'eterno nutrimento del pensiero, il suo sviluppo
infinito! Ol'ga era gelosa di ogni libro, di ogni articolo di giornale che non le
venisse mostrato e seriamente si adirava od offendeva quando egli non riteneva
opportuno mostrarle qualche cosa, secondo lui difficile, noiosa o incomprensibile,
e chiamava ci� pedanteria, arretratezza, mancanza di gusto e a lui dava
l'appellativo di �vecchio parruccone tedesco�. A questo proposito nascevano tra
loro scene vivaci ed irritanti. Ella si adirava ed egli rideva; ella si adirava
ancora pi� e si calmava solo quando egli cessava di scherzare e la faceva
partecipare alle sue idee, alle sue conoscenze, alle sue letture. E finiva, che
tutto ci� che egli doveva o voleva sapere e leggere, era ormai una necessit� anche
per lei.
Egli non la seccava con la tecnica scientifica per poter poi, con la pi� stupida
delle presunzioni, insuperbire della �moglie dotta�. Se ad Ol'ga nella
conversazione fosse sfuggita qualche parola o anche soltanto un accenno ad una
simile pretesa, egli sarebbe arrossito ancor pi� che se ella avesse risposto con
uno sguardo ottuso di ignoranza su una questione comune nel campo della conoscenza,
ma ancora fuori della cultura di una donna contemporanea. Egli, ed ella ancor pi�
di lui, voleva soltanto che non ci fosse nulla di incomprensibile non per la sua
cultura, ma per la sua intelligenza. Egli non le presentava tavole e cifre, ma le
parlava di tutto, e di tutto le leggeva, senza sfuggire pedantescamente questa o
quella teoria economica, questa o quella questione sociale o filosofica. Parlava
con entusiasmo, con passione, come svolgendole innanzi l'infinito e vivo quadro
della conoscenza. In seguito, dalla memoria di lei sfuggivano i particolari, ma il
quadro totale non scompariva mai dalla sua mente impressionabile, i colori non
impallidivano e non si spegneva quel fuoco col quale egli illuminava il cosmo
creato per lei. Egli tremava di orgoglio e di felicit� quando notava che una
scintilla di questo fuoco brillava in seguito nei suoi occhi e l'eco del pensiero
trasmessole risonava nel suo discorso, che questo pensiero era entrato nella sua
coscienza e conoscenza, era stato elaborato dalla sua mente e faceva capolino nelle
sue parole, non secco ed arido, ma rivestito dello splendore della grazia
femminile, specialmente se una goccia di quello che aveva letto o di cui aveva
parlato con lui si depositava come una perla sul fondo luminoso della vita di lei.
Come pensatore e come artista, egli le intrecciava una esistenza razionale e mai
ancora, n� durante gli anni di studio, n� in quei difficili giorni in cui aveva
dovuto lottare con la vita per trarsi fuori dai suoi tranelli, rafforzandosi e
temprandosi nelle sue virili esperienze, s'era trovato cos� profondamente preso
come nell'incessante, vulcanica attivit� dello spirito della sua compagna!
�Come sono felice!� diceva Stolz fra s� e fantasticava a modo suo, guardando nel
futuro, oltre gli anni della luna di miele del suo matrimonio.
In lontananza gli sorrideva una nuova immagine, non un'Ol'ga egoistica, una moglie
appassionata, una madre-bambinaia, sfiorita in una vita incolore, non utile a
nessuno, ma qualche cosa di diverso, di altro, quasi mai esistito... Egli sognava
una madre-creatrice, partecipante alla vita morale e sociale di tutta una
generazione felice. Con angoscia pensava se ad Ol'ga sarebbero bastate le forze e
la volont� e... con impegno l'aiutava a soggiogare la vita, a raccogliere il suo
coraggio virile per la lotta con la vita, proprio adesso fino a che erano ancora
tutti e due giovani e forti, e la vita li aveva risparmiati, o almeno i suoi colpi
non sembravano tanto gravi, fino a che il dolore era soffocato dall'amore. I loro
giorni si oscurarono, ma per breve tempo. Qualche affare mal riuscito, la perdita
di una rilevante somma di denaro, tutto ci� li sfior� appena, caus� loro qualche
preoccupazione, qualche viaggio, ma fu presto dimenticato. La morte della zia
provoc� amare e sincere lacrime di dolore in Ol'ga e stese un'ombra di tristezza
sulla sua vita per parecchi mesi. Ma le pi� vive apprensioni e le maggiori
preoccupazioni furono date dalle malattie dei figli: passato tuttavia il timore,
ritornava la felicit�. Per Andr�j la preoccupazione maggiore fu la salute di Ol'ga:
dopo ogni parto ella si rimetteva molto lentamente, e anche dopo che era guarita
egli non cessava d'essere inquieto. Maggior dolore di questo egli non conosceva.
�Come sono felice!� ripeteva a se stessa Ol'ga, contemplando la propria vita e nei
momenti di simile coscienza cadeva in riflessioni... specialmente dopo tre, quattro
anni di matrimonio.
L'uomo � una strana creatura! Quanto pi� la felicit� di Ol'ga era piena tanto pi�
ella si faceva pensierosa e perfino... timorosa. Ella cominci� ad osservarsi
severamente e not� che la tranquillit� della vita e l'arrestarsi ai momenti di
felicit� la agitavano. Scosse cos� violentemente dalla propria anima la tendenza a
riflettere con l'affrettare il passo, col cercare febbrilmente il chiasso, il
movimento, le preoccupazioni, col farsi condurre in citt�, con l'osservare la vita
della societ� e del mondo, ma ci� non dur� a lungo. La vita della societ� la sfior�
leggermente ed ella si affrett� a ritornare nel suo cantuccio per liberarsi da
qualche impressione pesante ed eccezionale, si risprofond� nelle piccole cure della
vita casalinga, e rest� per ore intere nella camera dei bambini, assoggettandosi
agli obblighi della madre-nutrice, oppure s'immerse con Andr�j nella lettura, in
discussioni su ci� che � �serio� e ci� che � �noioso�, oppure lesse con lui dei
poeti o progett� un viaggio in Italia.
Ella temeva di cadere in qualche cosa di simile all'apatia di Oblomov. Ma per
quanto si sforzasse di scuoter via dall'anima questi momenti di periodico
irrigidimento e di sonno, come un sogno di felicit� di nuovo si infiltrava in lei e
la notte azzurra l'avvolgeva nel suo dormiveglia, poi di nuovo subentrava un
momento di fantasticheria, come un riposarsi dalla vita, poi... turbamento,
angoscia, timore, stanchezza, una specie di timidezza cupa ed oscura, nebulose
domande nella mente irrequieta. Ol'ga ascoltava attentamente, provava se stessa,
senza per� raggiungere ed ottenere quel che l'anima a volte cerca e chiede; talora
- era terribile riconoscerlo - ella si sentiva come angosciata, quasi che la vita
felice non la soddisfacesse, quasi che ella ne fosse stanca ed esigesse nuove,
inaudite esperienze, guardando oltre il presente...
�Che cos'� questo? - pensava spaventata. - E' mai necessario e possibile desiderare
ancora qualche cosa? Dove andare? Oltre non c'� pi� via alcuna... Che davvero hai
compiuto il corso totale della vita? E questo � tutto... tutto?...� Diceva la sua
anima, ma lasciava qualcosa di non detto... ed Ol'ga si guardava intorno, quasi
temendo che qualcuno potesse riconoscere ed intendere questo sussurro della sua
anima... Interrogava con gli occhi il cielo, il mare, il bosco... nessuna risposta:
solo lontananza, profondit� e tenebra. La natura le diceva sempre lo stesso: in
essa ella vedeva un continuo, ininterrotto, ma uniforme scorrere della vita, senza
principio e senza fine. Ella sapeva chi doveva interrogare su queste sue agitazioni
e sapeva che avrebbe avuta una risposta, ma quale? Che fare se questo non era altro
che il mormor�o di una mente sterile o, ancor peggio, la sete di un cuore non
creato per la simpatia, di un cuore non femminile? Dio, Dio! Lei, il suo idolo,
senza cuore, con una mente arida che nulla poteva soddisfare! Che ne sarebbe venuto
fuori? Una saccentona? Come sarebbe caduta agli occhi di lui quando egli avesse
conosciuto queste sofferenze nuove, ma certo a lui comprensibili? Ed ella cominci�
a nascondersi o a fingersi malata, se i suoi occhi, contro la sua volont�,
perdevano la loro morbidezza vellutata e guardavano secchi e ardenti, se sul suo
volto si stendeva una greve nuvola, ed ella, nonostante ogni sforzo, non riusciva a
sorridere e a parlare e ascoltava con indifferenza le pi� ardenti novit� del mondo
politico, le pi� interessanti spiegazioni su di un nuovo progresso della scienza,
su di una nuova creazione dell'arte. D'altra parte ella non voleva piangere e non
aveva fremiti inattesi come in quel tempo in cui giocavano in lei i nervi e si
risvegliavano e manifestavano le forze della sua femminilit�. No, non era questo!
�Che cosa � dunque?� si domandava disperata, quando improvvisamente era presa dalla
noia, dall'indifferenza per ogni cosa in una sera magnifica e piena di sogni, o
accanto alla culla, o mentre il marito le parlava o l'accarezzava...
Ella pareva a un tratto irrigidirsi e taceva, poi con finta vivacit� si moveva di
qua e di l� per nascondere il suo strano malumore, oppure accusava mal di capo e
andava a dormire.
Non le era tuttavia facile nascondersi allo sguardo indagatore di Stolz: ella lo
sapeva e si preparava nell'intimo alla prossima spiegazione, con la stessa
inquietudine con cui nel passato s'era preparata alla confessione. La spiegazione
venne.
Una sera essi passeggiavano per il viale dei pioppi. Ella pendeva quasi dalle
spalle di lui e taceva. Era tormentata da uno dei suoi incomprensibili accessi e
rispondeva brevemente a tutto ci� ch'egli diceva.
- La balia ha detto che Olen'ka questa notte ha tossito. Non sarebbe bene chiamare
il dottore domani? - domand� egli.
- Le ho gi� dato del t� caldo, domani non la lascer� andare a passeggio, poi
vedremo! - rispose ella monotona. Arrivarono fino in fondo al viale in silenzio.
- Perch� non hai risposto alla lettera della tua amica S�nitchka? - domand� egli. -
Io ho aspettato tanto, per poco non ho perduta la posta. E' gi� la sua terza
lettera a cui non rispondi.
- E' vero, vorrei dimenticarmi al pi� presto di lei... - disse ella e tacque.
- Ho portato i tuoi saluti a Bitchurin, - riprese Andr�j; - egli � innamorato di
te, cos� si consoler� un poco che il frumento non � maturato a tempo.
Ella sorrise seccamente.
- S�, me l'hai gi� detto, - rispose indifferente.
- Che hai? Hai sonno? - domand� egli.
Ella sent� il cuore battere come ogni volta che cominciavano queste domande
dirette.
- Non ancora, - rispose con finta freschezza, - perch�?
- Stai poco bene? - domand� egli ancora.
- No. Perch�? Ti pare?
- Bene, vuoi dire che ti annoi!
Ella gli si strinse alla spalla con tutte e due le braccia.
- No, no! - neg� con una voce artificiosamente franca, nella quale davvero risonava
qualche nota come di noia.
Egli la condusse fuori del viale e le fece voltare il viso verso la luce della
luna.
- Guardami! - disse e la guard� fisso negli occhi.
- Si potrebbe pensare che sei infelice! Hai degli occhi cos� strani, oggi, e del
resto non soltanto oggi... Che hai, Ol'ga?
La ricondusse, tenendola per la vita, nel viale.
- Sai... ho appetito! - disse ella, sforzandosi di ridere.
- Non mentire, non mentire! Non mi piace! - aggiunse egli con finta severit�.
- Infelice! - ripet� ella con tono di rimprovero, fermandolo in mezzo al viale. -
S�, infelice, forse perch� sono troppo felice, - aggiunse con una cos� tenera e
morbida nota nella voce, che egli la baci�.
Ella si fece pi� ardita. La supposizione, sia pure scherzosa, ch'ella potesse
essere infelice la spinse improvvisamente alla sincerit�.
- Non mi annoio e non mi posso annoiare: tu questo lo sai e tu stesso non credi
alle tue parole; non sono neppure malata, ma... qualche volta... sono triste...
ecco tutto! uomo insopportabile al quale non si pu� nasconder nulla! S�, sono
triste e non so perch�!
Ella gli pos� la testa sulla spalla.
- Ah, ecco! Perch�? - domand� egli piano, piegandosi verso di lei.
- Non so, - ripet� ella.
- Tuttavia ci deve essere una causa, se non in me o intorno a te, certo in te
stessa. Qualche volta una simile tristezza non � che il preannunzio di una
malattia... Non sei malata?
- Forse, - disse ella gravemente, - dev'essere qualche cosa di simile, sebbene io
non senta nulla. Tu vedi come io mangio, passeggio, dormo, lavoro. Ad un tratto mi
prende una malinconia... e la vita mi sembra... mi sembra come se non ci sia
tutto... No, no, non starmi a sentire; sono sciocchezze...
- Parla, parla! - insistette egli vivacemente. - Eh, non tutto c'� nella vita: che
altro?
- Qualche volta mi sembra d'aver paura, - continu� ella, - che tutto possa
cambiare, finire... non lo so io stessa! Oppure mi tormenta un pensiero stupido:
che sar� ancora?... Che � questa felicit�... tutta la vita... - continu� ella
sempre pi� piano, come vergognandosi di queste domande, - tutte queste gioie,
questi dolori... la natura... - ella bisbigliava, - tutto mi trascina non so dove,
e nulla mi soddisfa... Dio mio! mi vergogno perfino a dir queste sciocchezze...
sono fantasticherie... Non ci far caso, non badare... - aggiunse ella con tono di
implorazione, stringendosi a lui. - Questa tristezza passer� presto e tutto sar� di
nuovo chiaro e allegro, come � tornato adesso!
Si strinse a lui teneramente, timidamente, come chiedendo perdono delle sue
�sciocchezze�.
Andr�j l'interrog� ancora a lungo ed ella gli disse, come una malata al medico,
tutti i sintomi della propria tristezza, lo fece partecipe di tutte quelle domande
sorde che portava in s�, gli dipinse l'agitazione della propria anima e poi come
questo miraggio era scomparso, tutto, tutto ci� che aveva potuto notare e
ricordava.
Stolz camminava ora di nuovo in silenzio per il viale, con la testa piegata sul
petto, immergendosi con tutti i suoi pensieri, agitato e incerto, in quella oscura
confessione della moglie. Ella lo guardava negli occhi, ma senza veder nulla;
quando ebbero per la terza volta raggiunta la fine del viale, ella non lo lasci�
tornare indietro, ma alla sua volta lo port� alla luce della luna e lo guard�
interrogativamente negli occhi.
- E cos�? - domand� timidamente. - Ridi delle mie sciocchezze, non � vero? E' molto
stupida questa mia tristezza, non ti pare?
Egli taceva.
- Perch� non dici nulla? - domand� ella con impazienza.
- Tu non hai parlato per tanto tempo, sebbene sapessi che io avevo gi� notato quel
che accadeva in te; lasciami perci� tacere e pensare. Mi hai dato un compito
tutt'altro che facile.
- Adesso tu comincerai a pensare ed io mi tormenter� per sapere che cosa pensi. Ho
fatto male a parlare! - aggiunse ella. - Meglio sarebbe che mi dicessi qualcosa...
- Che posso dirti? - egli disse pensieroso. - Forse in te c'� qualche disturbo
nervoso; e allora � affare del dottore, non mio. Bisogner� chiamarlo domani... Se
non � questo... - ricominci� egli e torn� pensieroso.
- �Se non � questo�, parla! - insistette ella. Egli continuava a camminare,
pensando.
- Dunque? - diss'ella, tirandolo per il braccio.
- Forse � un accesso di fantasia; tu sei troppo vivace... o forse hai raggiunto un
tal grado di maturit�... - fin� egli a mezza voce, quasi fra s�.
- Parla ad alta voce, ti prego, Andr�j. Non posso sopportare di sentirti brontolare
fra di te! - si lament� ella: - io gli ho raccontato delle sciocchezze, e lui china
il capo e borbotta nel naso! Ho quasi paura di star con te qui, al buio...
- Non so che cosa dire... Sei tanto triste, ti tormentano tante questioni: che cosa
posso capire? Ne riparleremo e vedremo; credo che faresti bene a far di nuovo dei
bagni...
- Tu hai detto fra te: �se non �... forse... un tal grado di maturit��; che avevi
in mente?
- Pensavo... - disse egli lentamente, esprimendosi a fatica, come non credendo ai
propri pensieri, come vergognandosi delle proprie parole: - ecco vedi... vi sono
dei momenti... cio�, voglio dire che, se non � segno di disturbo nervoso, se tu sei
del tutto sana, vuol dire che forse tu sei arrivata a quel momento, in cui la vita
si ferma... non ci sono pi� enigmi, essa s'� rivelata tutta...
- Vuoi dire che sono invecchiata? - l'interruppe ella vivacemente. - Non ti
permettere! - Ella lo minacci� addirittura. - Io sono ancora giovane, forte... -
aggiunse, raddrizzandosi.
Egli si mise a ridere.
- Non aver paura, - disse, - credo che tu non invecchierai mai! No, non � questo...
nella vecchiaia le forze cadono e cessano di lottar con la vita. No, la tua
tristezza, la tua inquietudine - se � solo ci� che io penso - � piuttosto segno di
forza... La ricerca di un intelletto vivo, attivo varca talvolta i confini stessi
dell'esistenza, non trova, naturalmente, risposta, e cos� vien la tristezza... un
momentaneo malcontento della vita... E' la tristezza dell'anima che domanda alla
vita il suo segreto... Forse, in te succede proprio questo... Se � cos�, non � una
sciocchezza.
Ella sospir�, ma certo di gioia perch� i suoi timori erano finiti ed ella non era
caduta agli occhi del marito, anzi, al contrario...
- Ma io sono felice; il mio spirito non � ozioso, io non fantastico; la mia vita �
variata, che altro ancora? A che tutte queste questioni? - diss'ella. - E' una
malattia, un'oppressione!
- S�, forse sarebbe un'oppressione per una mente oscura, debole, non preparata.
Questa tristezza e questi problemi hanno tolto il senno a pi� d'uno, ad altri essi
appaiono come mostruose visioni, come vaneggiamenti...
- La felicit� trabocca, si ha tanta voglia di vivere... e ad un tratto vi si
mescola questa tristezza ed amarezza...
- Ah! Ma questo � il prezzo del fuoco di Prometeo! Questa tristezza dev'essere non
soltanto sopportata, ma amata, questi dubbi e problemi debbono essere rispettati:
essi sono l'abbondanza, il lusso della vita e si presentano soprattutto sulle vette
della felicit�, quando non vi sono pi� desideri grossolani; essi non nascono nella
vita di tutti i giorni; dov'� dolore e bisogno essi sono estranei, le masse
procedono senza conoscere questa nebbia di dubbio, questa angoscia di problemi...
Per chi li ha incontrati per� al momento giusto, non sono un martello, ma ospiti
graditi.
- Ma non ne vieni a capo facilmente: essi ti danno malinconia e indifferenza...
quasi per tutto... - aggiunse ella indecisa.
- Ma forse a lungo? Dopo rinfrescano la vita, - disse egli. - Essi conducono ad un
abisso, dal quale, per quanto lo interroghi, non caverai nulla, e ti spingono a
guardar la vita di nuovo e con maggior amore... Essi chiamano alla lotta con se
stessi delle forze gi� esperte, per non lasciarle addormentare...
- Tormentarsi con le nebbie, le visioni! - si lament� ella. - Tutto � chiaro e ad
un tratto si stende sulla vita come un'ombra funesta! Non c'� nessun mezzo per
combatterla?
- Ce ne sono! Anzitutto un appoggio nella vita. Se manca, la vita � insopportabile
anche senza tutti questi problemi!
- Che fare dunque? Cedere e discutere?
- No, - disse egli, - armarsi di fermezza, e con pazienza e perseveranza andare per
la propria strada. Io e te non siamo dei titani, - continu�, abbracciandola. - Noi
non combatteremo come Manfredo, come Faust un'aspra lotta con questi tormentosi
problemi, noi non accetteremo la sfida, ma piegheremo il capo e vivremo umilmente
il momento difficile, poi la vita, la felicit� ci sorrideranno di nuovo e...
- E se non cessassero mai, se la tristezza continuasse a tormentarci sempre pi�?...
- ella domand�.
- Ebbene? L'accetteremmo come un nuovo elemento della vita... Ma no, questo non
succede, non pu� succedere a noi! Questa non � la tua tristezza, ma la malattia
universale dell'umanit�. Solo una goccia di essa ti ha toccato... Tutto ci� �
terribile quando l'uomo volge le spalle alla vita... quando non ha punto
d'appoggio. Ma noi... Voglia il Signore che questa tua tristezza sia ci� che io
penso e non il sintomo di una malattia.,, sarebbe peggio. Questa sarebbe una
sventura di fronte alla quale mi sentirei indifeso, impotente. Ma � mai possibile
che la nebbia, la tristezza, dei dubbi, dei problemi insoluti ci privino della
nostra felicit�? del nostro... - Egli non fini ed ella, come pazza, gli si gett�
fra le braccia, e come una baccante in un appassionato obl�o di se stessa gli si
avvinghi� al collo.
- N� la nebbia, n� la tristezza, n� la malattia e... neppure la morte! - bisbigli�
entusiasmata, di nuovo felice, calma, allegra. Le sembr� di non aver mai amato cos�
appassionatamente Andr�j come in quel momento.
- Guarda che il destino non ascolti il tuo mormorare, - concluse egli con
un'osservazione superstiziosa, ispiratagli da una tenera preoccupazione, - e non lo
consideri ingratitudine! Il destino non ama che non si apprezzino i suoi doni.
Finora tu hai soltanto osservata la vita, bisogna anche sperimentarla... Aspetta
che essa ti si scateni e arrivino il dolore e le fatiche... esse verranno;
allora... non ci sar� neppure il tempo per tutti questi dubbi... Risparmia le tue
forze! - aggiunse egli piano, quasi fra s�, rispondendo all'appassionato slancio di
lei. Nelle sue parole era un tono di tristezza, come se egli vedesse gi� in
lontananza �dolore e fatiche�.
Ella taceva, colpita dal suono triste della sua voce. Ella aveva una fede
sconfinata in lui ed anche nella sua voce. La preoccupazione di lui fu contagiosa,
anch'ella si concentr� nei propri pensieri, in se stessa.
Appoggiata a lui, ella camminava macchinalmente e lentamente, immersa in un
silenzio ostinato. Timorosa, seguendo il marito, ella guardava nell'avvenire,
quando, secondo le parole di lui, sarebbe venuta l'ora delle �prove�, dove
l'aspettavano �dolore e fatiche�.
E sogn� un altro sogno, non pi� quello della notte azzurra, un nuovo campo di vita
le si apr�, non pi� trasparente e festoso, quieto, colmo di tutto, da sola a solo
"con lui"... No, ella vide una catena di perdite, di privazioni, di inevitabili
sacrifizi irrorati di lacrime, una vita di astinenze e di costretta rinunzia ai
capricci generati dall'ozio, sospiri e pianti che avrebbero accompagnato sentimenti
a lei ora ignoti; sogn� malattie, la rovina degli affari, la morte del marito...
Trem� e si sent� venire meno, ma guard� con virile curiosit� anche questo nuovo
aspetto della vita, l'osserv� spaventata, ma prov� le proprie forze... Solo l'amore
non veniva meno neppure in questo sogno, fedele sentinella anche della nuova vita;
ma anch'esso s'era cambiato! Non pi� il suo respiro ardente, non pi� raggi luminosi
e notti azzurre; dopo qualche anno tutto ci�, in confronto con quel lontano amore
che la vita profonda e minacciosa aveva accolto in s�, le pareva un giocattolo
infantile. Non pi� baci e risa, non pi� conversazioni fatte di fantasie e di
palpiti, nei boschetti, tra i fiori, in una festa della natura e della vita...
Tutto era �impallidito e passato�. Quell'amore che non doveva mai appassire e mai
scomparire si rispecchiava potentemente, come una forza di vita, sui loro volti,
nelle ore di comune dolore, brillava nello sguardo lentamente e silenziosamente
scambiato di sofferenza comune e si manifestava nell'infinita reciproca pazienza di
fronte alle torture della vita, nelle lacrime trattenute e nei singhiozzi
soffocati... Alla tristezza vaga e ai problemi che tormentavano Ol'ga si aggiunsero
altri sogni, per quanto lontani, tuttavia chiari e minacciosi...
Sotto l'azione della parola ferma e tranquillizzante del marito, nella sua
sconfinata fiducia in lui, Ol'ga si ripos� non solo dalla sua misteriosa tristezza,
non a tutti accessibile, ma anche dai sogni minacciosi e profetici intorno
all'avvenire, e and� arditamente avanti. Alla �nebbia� segu� un mattino luminoso,
con le preoccupazioni della madre e della padrona di casa; l'attraevano il giardino
fiorito e il campo, e lo studio del marito. Ella non giocava per� pi� con la vita
piena di spensierata gioia, ma viveva con un ardito pensiero nascosto, si
preparava, attendeva... E crebbe sempre pi�, sempre pi�... Andr�j vide che il suo
antico ideale della donna e della moglie era irraggiungibile, ma fu felice anche
del pallido riflesso che ne esisteva in Ol'ga: egli non si sarebbe aspettato
neppure questo.
Inoltre egli aveva davanti a s� per lungo tempo, per quasi tutta la vita, il non
piccolo compito di mantener sempre alla stessa altezza la propria dignit� di uomo
agli occhi della orgogliosa e superba Ol'ga, e ci� non per volgare gelosia, ma
perch� non si offuscasse quella vita cristallina, cosa che sarebbe potuta avvenire
se la fede di lei in lui avesse anche per un momento vacillato.
Per molte donne tutto ci� � inutile: una volta maritate, esse accettano umilmente
le buone e cattive qualit� del marito, si adattano incondizionatamente alla
posizione e alla sfera loro preparata, oppure con la stessa umilt� cedono al primo
entusiasmo occasionale, riconoscendo subito l'impossibilit� o l'inutilit� di
opporvisi: �� il destino, - dicono, - la passione, la donna � un essere debole�, e
cos� via. Perfino se il marito � superiore alla massa per intelligenza, questa
irresistibile forza dell'uomo, simili donne si vantano di tale superiorit� del
marito come si vanterebbero di un qualsiasi gioiello costoso, e anche ci� solamente
se questa intelligenza rimane cieca di fronte ai loro meschini intrighi femminili.
Se egli osa ficcar lo sguardo nella meschina commedia della loro astuta,
insignificante e qualche volta viziosa esistenza, questa stessa intelligenza � loro
di peso.
Ol'ga non conosceva questa logica della sottomissione al destino cieco e non
comprendeva le passioncelle e gli abbandoni femminili. Dopo aver riconosciuto
nell'uomo scelto delle qualit� e dei diritti di fronte a lei, aveva fede in lui e
perci� lo amava, ma, se cessava di aver fede, cessava anche di amare, come le era
accaduto con Oblomov. Ma allora i suoi passi erano ancora incerti, la volont�
ancora oscillante; ella aveva appena gettata un'occhiata sulla vita e cominciato a
pensare ad essa, aveva appena acquistato coscienza della propria intelligenza e del
proprio carattere; l'opera di creazione non era ancora cominciata e le vie della
vita non erano state ancora indovinate. Adesso invece ella aveva fede in Andr�j non
ciecamente, ma coscientemente, personificando egli il suo ideale di perfezione
maschile. Quanto pi� coscientemente ella credeva in lui, tanto pi� difficile era
per lui mantenersi alla sua altezza, essere l'eroe non soltanto dell'intelligenza e
del cuore, ma anche dell'immaginazione. Ella credeva in lui in modo tale da non
ammettere tra loro altro intermediario, altro giudice che Dio. Ella non avrebbe
sopportato che le sue qualit� fossero diminuite di un sol capello; ogni nota falsa
nel suo carattere o nella sua intelligenza avrebbe prodotto una dissonanza
violenta. L'edificio della felicit� crollando l'avrebbe sepolta sotto le sue
rovine, oppure, se le forze non le fossero venute meno, ella avrebbe continuato a
cercare...
Ma no, simili donne non si sbagliano due volte. Dopo il fallimento di una simile
fede, d'un simile amore, una resurrezione � impossibile.
Stolz era profondamente felice della sua vita cos� ricca di contenuto e di
movimento, nella quale fioriva una continua primavera, e gelosamente, attentamente
la sorvegliava ed accarezzava. Dal fondo della sua anima la paura nasceva solo
quando egli si ricordava che Ol'ga era stata sull'orlo della rovina, che le loro
due esistenze, fusesi in una sola, avrebbero potuto non trovare quella via,
indovinata da loro quasi per caso; che l'inesperienza della vita avrebbe potuto
spingere Ol'ga a commettere l'errore fatale, che Oblomov...
Egli rabbrividiva. Come? Ol'ga in quella vita che le preparava Oblomov?! Lei, in
quel trascinarsi di giorno in giorno, signora campagnola, balia dei propri
figlioli, padrona di casa e nient'altro! Tutti i problemi, i dubbi, la febbre della
vita si sarebbero ridotti alle preoccupazioni per l'andamento della casa,
all'attesa dei giorni festivi, degli ospiti, delle riunioni di famiglia, ai parti,
ai battesimi, all'apatia e alla sonnolenza del marito!
Il matrimonio sarebbe stato solo una forma, e non un contenuto, un mezzo e non un
fine; sarebbe servito solo da larga, immutabile cornice per le visite, i
ricevimenti, i pranzi, le serate e le vuote chiacchiere?...
Come avrebbe ella sopportata una simile esistenza? Da principio si sarebbe
dibattuta, cercando di scoprire il mistero della vita, avrebbe pianto, si sarebbe
tormentata, poi si sarebbe abituata, sarebbe ingrassata, avrebbe mangiato, dormito,
sarebbe diventata ottusa... Ma no, non sarebbe stato cos�: ella avrebbe pianto, si
sarebbe tormentata, sarebbe appassita e morta tra le braccia del marito buono ed
amante, ma privo di ogni energia... Povera Ol'ga!
E se il fuoco non si fosse spento, e la vita non fosse morta, se le forze avessero
resistito e chiesto libert�, se, come una forte aquila dallo sguardo acuto, solo
per un momento trattenuta da deboli braccia, ella avesse battute le ali e se ne
fosse volata l� sull'alta roccia dove l'attendeva il suo maschio pi� forte di lei e
dallo sguardo ancora pi� acuto del suo?... Povero Il'j�!
- Povero Il'j�! - disse una volta Andr�j ad alta voce, ricordando il passato.
Ol'ga, a questo nome, si lasci� all'improvviso cader sulle ginocchia le mani che
ricamavano, gett� la testa indietro e si sprofond� in pensieri. L'esclamazione
aveva richiamato i ricordi.
- Che n'� di lui? - domand� ella. - Non si potrebbe saperlo? Andr�j si strinse
nelle spalle.
- Si potrebbe credere, - disse egli, - che viviamo ancora nel tempo in cui non
c'era la posta e gli uomini, allontanandosi gli uni dagli altri, si consideravano
reciprocamente morti e in realt� scomparivano senza dar segno di vita.
- Dovresti scrivere di nuovo a qualcuno dei tuoi amici: per lo meno sapremmo...
- Non sapremmo nulla pi� di quel che sappiamo: che � vivo, sano, abita nello stesso
appartamento; questo lo so gi� da me. Ma che ne sia di lui, come sopporti la sua
vita, se sia moralmente morto, o se ancora una scintilla di vita arda in lui,
questo non � possibile saperlo da un estraneo...
- Ah, non parlar cos�, Andr�j: mi fa male e mi spaventa! Vorrei sapere, e nello
stesso tempo ho paura...
Era l� l� per piangere.
- In primavera saremo a Pietroburgo, e sapremo.
- E' troppo poco sapere, bisogna fare tutto.
- Che forse non l'ho fatto? Che non ho cercato di persuaderlo, non mi son forse
dato da fare per lui, non mi sono occupato dei suoi affari? Come parlare al
deserto. Mentre sei presente, � pronto a tutto, ma appena tu volti gli occhi,
addio: s'� addormentato di nuovo. Come aver da fare con un ubriaco!
- Ma perch� voltar gli occhi? - ribatt� impaziente Ol'ga. - Con lui bisogna agire
energicamente : prenderlo con s� in una carrozza e portarlo via. Adesso noi ci
trasferiremo in campagna; saremo vicini di casa... prendiamolo con noi.
- Bella preoccupazione che ci siamo addossati! - disse Andr�j, andando avanti e
indietro per la stanza. - E non finir� mai!
- Che ti pesa, forse? - domand� Ol'ga. - Ecco una novit�! E' la prima volta che ti
sento brontolare per questa preoccupazione!
- Io non brontolo, - rispose Andr�j, - rifletto.
- E di dove ti vengono queste riflessioni? Hai forse riconosciuto che la cosa ti
inquieta e ti annoia? Di' la verit�.
Ella lo guard� scrutatrice. Egli scosse il capo negativamente.
- No, non mi inquieta, ma � inutile. Ecco quel che penso qualche volta.
- Taci, taci! - lo ferm� ella. - Altrimenti, come quella settimana, ci penser�
tutto il giorno e m'immalinconir�. Se la tua amicizia per lui s'� spenta, tu devi
sopportare questa preoccupazione per amore umano. Se tu ti stanchi, lo vado a
cercar io da sola e non torno senza di lui: egli si commuover� alle mie preghiere;
io sento che pianger� amaramente se lo trover� finito, morto! Forse le lacrime...
- Credi che lo risusciteranno? - l'interruppe Andr�j.
- No, non lo risusciteranno all'attivit�, ma almeno lo costringeranno a guardarsi
intorno e a cambiar la propria vita con qualcosa di meglio. Non affonder� pi� in un
pantano, ma sar� accanto a degli eguali, sar� con noi. Mi bast� allora presentarmi
a lui perch� egli si risvegliasse e sentisse vergogna...
- Lo ami forse ancora come prima? - domand� Andr�j scherzando.
- No! - disse Ol'ga, senza scherzare, soprappensiero, come guardando nel passato. -
Io non lo amo come prima, ma c'� qualcosa che io amo in lui, qualcosa a cui, a
quanto pare, sono rimasta fedele e che non tradir�, come fan certi altri...
- Chi son questi altri? Parla, serpente velenoso, mordi, pungi: sono forse io? Ti
sbagli. Se vuoi sapere la verit�, ti dir� che sono stato io che ti ho insegnato ad
amarlo e solo per poco non ho ottenuto un buon risultato. Senza di me tu gli
saresti passata accanto e non l'avresti notato, e io ti ho fatto capire che egli ha
intelligenza non meno degli altri, solo che essa � coperta e soffocata da ogni
sorta di erbacce, addormentata nell'ozio. Vuoi che ti dica perch� ti � caro? perch�
lo ami ancora?
Ella pieg� il capo in segno d'assenso.
- Perch� ha qualcosa di pi� prezioso dell'intelligenza: un cuore onesto e fedele!
Questa � la ricchezza naturale che ha portata intatta attraverso la vita. Egli non
ha resistito agli urti, si � raffreddato, s'� infine addormentato, annientato,
disilluso, dopo aver perduta la forza di vivere, ma non ha perduto n� l'onest� n�
la fedelt�. Il suo cuore non ha dato mai una nota falsa, non s'� aperto a nessuna
volgarit�. Nessuna menzogna, per quanto brillante, riuscir� a stordirlo e nulla lo
porter� su di una falsa strada; anche se un oceano di sudiceria e di cattiveria gli
si muover� intorno, anche se tutto il mondo sar� avvelenato e male indirizzato,
Oblomov non si inchiner� mai all'idolo della menzogna, e la sua anima sar� sempre
pura, limpida ed onesta... Un'anima cristallina, trasparente: di uomini come lui ce
n'� pochi; sono rari; sono perle nella folla! Il suo cuore non � corruttibile; ci
si pu� fidare sempre. Ecco perch� tu gli sei rimasta fedele e perch� non mi sar�
mai di peso occuparmi di lui. Io ho conosciuti molti uomini d'alte qualit�, ma non
ho incontrato mai un cuore pi� puro, pi� luminoso e pi� semplice: molti ho amato,
ma nessuno cos� fedelmente e ardentemente come Oblomov. Dopo averlo conosciuto non
si pu� cessare d'amarlo. Non � cos�? Ho indovinato?
Ol'ga tacque, chinando gli occhi sul lavoro. Andr�j continu� a pensare.
- Non � forse tutto qui? Che altro c'�? Ah!... - aggiunse allegramente come
svegliandosi. - Avevo dimenticato del tutto la �tenerezza di colombo�...
Ol'ga rise, lasci� svelta il lavoro, corse ad Andr�j, gli gett� le braccia al
collo, lo guard� fisso per alcuni momenti coi suoi occhi luccicanti, poi si fece
pensierosa, appoggiando il capo sulla spalla del marito. Nel suo ricordo era
risuscitato il viso mite e pensieroso di Oblomov, lo sguardo tenero ed umile di
lui, e poi il sorriso misero e vergognoso con cui egli aveva risposto al suo
rimprovero quando si erano separati... e sent� tanta malinconia, tanta piet� per
lui...
- Tu non lo lascerai, non lo abbandonerai? - disse ella, senza levar le braccia dal
collo del marito.
- Mai! Dovrebbe spalancarsi all'improvviso fra noi un abisso o levarsi una
muraglia...
Ella lo baci�.
- A Pietroburgo andremo insieme da lui?
Egli tacque indeciso.
- S�, s�? - domand� ella impaziente.
- Senti, Ol'ga, - disse egli, sforzandosi di liberare il collo dall'anello delle
braccia di lei, - prima bisogner�...
- No, di' di s�, promettimelo, io non ceder�!
- Va bene, solo non la prima volta: io so che cosa ti succederebbe se egli...
- Taci, taci!... - lo interruppe Ol'ga. - Tu mi prenderai con te e faremo tutto. Da
solo tu non saprai, non vorrai!
- Va bene: ma tu sarai turbata e per molto, - disse egli, non del tutto soddisfatto
che Ol'ga gli avesse strappato il consenso.
- Ricordati, - concluse ella, ritornando al suo posto, - che tu cederai solo quando
fra te e lui �si spalancher� un abisso o si lever� una muraglia�. Io non
dimenticher� queste parole.

9.
La pace e il silenzio regnano sul quartiere di Vyborg, sulle sue strade non
selciate, sui marciapiedi di legno, sui radi giardini, sui fossatelli coperti
d'ortica, dove, sotto la stecconata, una capra con al collo la cordicella strappata
bruca senza tregua l'erbetta, oppure stupidamente dorme, dove a mezzogiorno
risuonano gli alti e presuntuosi tacchi di un qualsiasi scrivanello che attraversa
il marciapiedi, ad una finestra si muove una tendina di mussola e fra i gerani una
moglie d'impiegato lancia un'occhiata, oppure all'improvviso, al di sopra della
stecconata, nel giardino appare e subito si nasconde il viso fresco di una
fanciulla e dopo di esso ne appare un altro che scompare anche subito, e poi di
nuovo il primo, e poi il secondo, e si sentono uno scricchiol�o e le risate di due
fanciulle che vanno sull'altalena.
Tutto � tranquillo in casa della Pshen�cyna. Entrando nel cortiletto si � colpiti
da un idillio: le galline e i galli corrono affaccendati qua e l� e si nascondono
negli angoli; il cane alla catena comincia a saltare, abbaiando furiosamente;
Akulina lascia di munger la vacca e il portiere smette di spaccar la legna e tutti
e due guardano incuriositi il visitatore.
- Chi volete? - domanda egli e, sentito il nome di Il'j� Il'�tch o quello della
padrona di casa, indica la scaletta e si rimette a spaccar legna, e il visitatore,
per il viottolino pulito cosparso di sabbia, si avvicina alla scala, i cui gradini
sono coperti da un tappeto semplice e pulito, e tira la maniglia di ottone ben
lucidata del campanello e la porta � aperta da Anis'ja, dai ragazzi, qualche volta
dalla stessa padrona di casa o da Zach�r : da Zach�r dopo tutti gli altri.
Tutto in casa della Pshen�cyna respira un'aria di abbondanza e di larghezza quale
non c'era stata neppure quando Agaf'ja Matv�evna ci viveva sola col fratello. La
cucina, la dispensa e la credenza sono piene di vasellame, di piatti grandi e
piccoli, rotondi ed ovali, di salsiere, di tazze, di pile di piatti, di boccali di
rame, d'ottone e di terracotta. Sugli scaffali � ben disposta l'argenteria di
Agaf'ja Matv�evna riscattata e mai pi� impegnata, insieme a quella di Oblomov.
Intere file di teiere enormi e panciute o minuscole e alcune file di tazze di
porcellana, semplici, dipinte e dorate, con motti, cuori ardenti e figurine cinesi.
Grandi vasi di vetro per il caff�, la cannella, la vaniglia, barattoli di cristallo
per il t�, ampolline con olio e aceto. Poi interi scaffali pieni di pacchetti, di
bottiglie, di scatole con medicine casalinghe, erbe, acque, cerotti, spiriti,
canfora, polverine e pastiglie da bruciare; saponi e tutto il necessario per pulire
i bicchieri, per levare le macchie, eccetera: tutto ci� che si trova in ogni casa
di qualsiasi paese e provincia, se la padrona � una buona massaia. Quando Agaf'ja
Matv�evna apre all'improvviso lo sportello dell'armadio, pieno di tutte quelle
cose, non resiste neppur lei a tutti quegli odori narcotizzanti e deve per un
momento voltare il viso da parte.
Nella dispensa pendono dal soffitto, per essere protetti dai topi, interi
prosciutti, formaggi, pani di zucchero, pesci disseccati, sacchi di funghi e di
noci comprate presso un finlandese. In terra si trovano bigonce con burro, grossi
vasi chiusi con panna acida, canestri di uova e tante altre cose! Occorrerebbe la
penna di un secondo Omero per enumerare pienamente e minutamente tutto ci� che era
ammucchiato in tutti gli angoli, su tutti gli scaffali di quella piccola arca di
vita familiare.
La cucina era il vero palladio dell'attivit� della grande padrona di casa e della
sua degna aiutante, Anis'ja. Tutto era in casa sottomano e al suo posto, e si
sarebbe potuto dire tutto in ordine e pulito se non ci fosse stato nella casa un
cantuccio in cui non penetrava mai un raggio di luce, un soffio d'aria fresca, un
occhio della padrona, n� la mano di Anis'ja sempre pronta a pulire. Questo
cantuccio era il nido di Zach�r. La sua oscurit� aveva favorita la trasformazione
di questa abitazione umana in una caverna. Se a Zach�r capitava di sorprendervi la
padrona con qualche piano di miglioramento o di pulizia, egli dichiarava fermamente
che non era affare di donne sapere dove e come debbono stare le spazzole, la
ceretta e le scarpe; che non riguardava nessuno sapere perch� i suoi vestiti
stavano ammucchiati in terra e il letto era nell'angolo dietro la stufa, coperto di
polvere, in quanto che questi vestiti era "lui" che li portava e su quel letto
dormiva lui e non lei. Quanto alla scopa, alle tavole, ai mattoni, al fondo di
botte e ai due ceppi ch'egli teneva in camera, gli era impossibile farne a meno per
il suo servizio, ma a che cosa servissero non lo spiegava a nessuno; diceva inoltre
che la polvere e le ragnatele non gli davano nessun fastidio, e del resto egli non
ficcava il naso nei loro affari in cucina e perci� desiderava che lo lasciassero in
pace. Una volta ch'egli sorprese nella camera Anis'ja, la aggred� con tale
disprezzo, la minacci� cos� seriamente col gomito nel petto, che ella da allora
ebbe timore perfino di gettarvi un'occhiata. Quando la questione fu portata alla
suprema istanza, al giudizio cio� di Il'j� Il'�tch, egli si rec� a guardare per
prendere le pi� severe disposizioni, ma, ficcata solo la testa nella porta della
stanza di Zach�r e guardato per un momento tutto ci� che vi si trovava, sput� e non
disse parola.
- Che avete ottenuto? - domand� Zach�r ad Agaf'ja Matv�evna e ad Anis'ja, che erano
venute insieme ad Il'j� Il'�tch, sperando che il suo intervento avrebbe portato
qualche cambiamento. Poi sorrise a modo suo, allargando tutta la faccia in modo che
le sopracciglia e le fedine si sollevarono di fianco.
Nelle altre stanze tutto era luminoso, pulito e fresco. Le vecchie tende scolorite
erano scomparse e le finestre e le porte del salotto e dello studio erano guarnite
di drappi azzurri e verdi e di tende di tulle con festoni rossi, lavoro delle mani
di Agaf'ja Matv�evna. I guanciali erano bianchi come neve e come una montagna
arrivavano fin quasi al soffitto; le coperte di seta trapuntate. Per settimane
intere la camera della padrona era stata ingombra di tavolini da gioco aperti e
messi uno accanto all'altro per stendervi queste coperte e la veste da camera di
Il'j� Il'�tch. Agaf'ja Matv�evna tagliava con le proprie mani, riempiva le coperte
e la veste da camera di ovatta e le trapuntava, stringendosi al lavoro col suo
forte petto, piantandovi sopra gli occhi, e perfino la bocca quando era necessario
strappare il filo, e lavorava con amore, con instancabile diligenza,
ricompensandosi modestamente col pensiero che la veste da camera e le coperte
avrebbero dato calore, godimento e riposo all'eccellente Il'j� Il'�tch. Questi per
intere giornate, sdraiato sul divano nella propria camera, si compiaceva nel vedere
i gomiti scoperti di lei muoversi avanti e indietro seguendo l'ago e il filo. E pi�
di una volta si era appisolato, come un tempo ad Obl�movka, al fruscio del filo
infilato e al leggero crepit�o del filo spezzato.
- Smettete di lavorare, vi stancherete! - cercava egli di fermarla per un momento.
- Dio ama il lavoro! - rispondeva lei, senza allontanar gli occhi dal lavoro.
Il caff� gli veniva preparato con la stessa cura e pulizia ed egualmente saporito
come al principio, quando, alcuni anni prima, si era stabilito in
quell'appartamento. La minestra di trippa, i maccheroni col parmigiano, il
pasticcio di pesce, la minestra di "kvas" e verdura, i pollastrelli, tutto si
alternava con severo ordine e dava alla monotonia quotidiana della piccola casa una
piacevole variet�.
Alle finestre dalla mattina alla sera batteva l'allegro raggio del sole - mezza
giornata da una parte e mezza giornata dall'altra - non impedito da nulla, grazie
all'orto che era da tutte le parti. I canarini cinguettavano allegramente; i gerani
e i giacinti che qualche volta i ragazzi portavano dal vicino giardino del conte
riempivano la piccola camera di un forte profumo, che si mescolava piacevolmente
col fumo di un vero sigaro avana e con l'odore della cannella o della vaniglia che
la padrona pestava, movendo energicamente i gomiti.
Il'j� Il'�tch sembrava vivere la sua vita in una cornice dorata, nella quale, come
in un diorama, non si alternavano che le fasi del giorno, della notte e delle
stagioni; altri mutamenti, e specialmente avvenimenti notevoli capaci di scuotere
dal fondo della vita il deposito sovente amaro e torbido che vi si forma, non ne
accadevano. Da quando Stolz aveva liberato l'Obl�movka dai ladreschi crediti del
fratello della padrona, e questi e Tarant'ev erano scomparsi del tutto, era
scomparso anche ogni elemento avverso dalla vita di Il'j� Il'�tch. Lo circondavano
adesso persone semplici, buone ed affettuose, tutte d'accordo nell'essere, con la
propria esistenza, di appoggio alla sua vita, e nell'aiutarlo a non accorgersi
della vita stessa e a non sentirla.
Agaf'ja Matv�evna era allo zenit della sua vita; ella viveva e sentiva di vivere
pienamente, come mai aveva vissuto prima, ma, come gi� prima, non avrebbe mai
saputo esprimerlo o, meglio, ci� non le veniva mai in mente. Ella pregava soltanto
Iddio che desse a Il'j� Il'�tch una lunga vita e lo proteggesse da ogni �male, ira
e miseria� e quanto a s�, ai propri figli e alla propria casa, rimetteva tutto al
volere divino. In compenso il suo viso esprimeva sempre la stessa felicit�, piena e
soddisfatta, priva di desideri, quale non sarebbe stata possibile in nessun'altra
natura. Era ingrassata, il suo petto e le sue spalle splendevano della stessa gioia
e pienezza, nei suoi occhi brillavano la mitezza e la preoccupazione dei suoi
doveri di massaia. Era ritornata in lei quella dignit� e tranquillit� con la quale
prima aveva dominato sulla casa, devotamente obbedita da Anis'ja, da Akulina e dal
guardiano. E come prima pareva che non andasse, ma ondeggiasse dall'armadio alla
cucina, dalla cucina alla dispensa, e lentamente, misuratamente dava i suoi ordini
con piena coscienza di quel che faceva.
Anis'ja � ancora pi� vivace di prima perch� c'� pi� lavoro; si muove sempre, si da
da fare, corre, lavora, ad una sola parola della padrona. I suoi occhi sono
diventati perfino pi� luccicanti e il naso, quel suo naso loquace, precede sempre
la sua persona, � tutto ardente di preoccupazioni, di pensieri e di intenzioni e
parla anche quando la lingua tace.
Son tutte e due vestite secondo la dignit� del loro grado e dei loro compiti. La
padrona si � procurato un grande armadio con una serie di abiti di seta, di
mantelli e di cappotti; ha ordinato le cuffiette in citt�, forse addirittura ad un
magazzino della Lit�jnaja; le scarpe, se non da Apraksin, le ha comprate certo al
Gostinnyj dvor, e il cappello, pensate un po', alla Morskaja! (La Lit�jnaja, una
delle principali strade di Pietroburgo; Apraksin, famoso calzolaio del tempo;
Gostinnyj dvor, grandioso edificio sul Nevskij Prosp�kt, dove si trovavano negozi
elegantissimi; la Morskaja, altra elegante strada della capitale). Anis'ja da parte
sua, quando ha finito di cucinare, e in particolare la domenica, indossa un vestito
di lana. Solo Akulina continua ad andare con un lembo del vestito infilato nella
cintura, e il guardiano nemmeno durante la canicola sa staccarsi dal suo giubbetto
di pelo. Di Zach�r non � neppure il caso di parlare: del suo frac grigio s'� fatta
una giacchetta; � poi difficile dire di che colore siano i suoi pantaloni e di che
cosa sia fatta la sua cravatta. Egli pulisce le scarpe, poi dorme, siede sul
portone guardando ottusamente i rari passanti o, infine, se ne sta nella vicina
botteguccia e fa quel che faceva un tempo, prima ad Obl�movka e poi in via
Gor�chovaja.
E Oblomov? Oblomov stesso era il riflesso pieno e naturale, l'espressione di questa
pace, di questa soddisfazione e placida tranquillit�. Guardandosi intorno,
riflettendo sulla propria esistenza e sempre pi� sprofondandosi in essa, egli aveva
finalmente concluso che non aveva pi� nulla da cercare, che il suo ideale di vita
s'era realizzato, anche se senza poesia, senza i raggi di luce dei quali la sua
fantasia talvolta aveva circondato il corso largo, signorile e spensierato della
sua vita nella campagna natale, fra i servi e i contadini. Egli considerava la sua
attuale esistenza come una continuazione dell'esistenza condotta ad Obl�movka, solo
con un colorito diverso di luogo e in parte di tempo. Anche qui, come ad Obl�movka,
gli era riuscito facilmente di tenersi in disparte dalla vita, conquistandosi ed
assicurandosi la stessa pace imperturbabile. Egli trionfava interiormente perch�
era sfuggito alle tormentose e fastidiose esigenze e tempeste della vita,
allontanandosi da quell'orizzonte sotto il quale si accendono i lampi delle grandi
gioie e rimbombano gli improvvisi colpi dei grandi dolori, dove giocano le
menzognere speranze e i magnifici fantasmi della felicit�, dove l'uomo � roso e
consumato dai propri pensieri e ucciso dalla passione, dove lo spirito cade e
trionfa, dove l'uomo combatte una incessante lotta ed esce dal campo straziato e
sempre malcontento e insoddisfatto. Prima ancora di aver provati i godimenti che da
la lotta, vi aveva rinunziato, trovando pace alla propria anima solo nel suo
angoletto dimenticato, lontano da ogni moto, da ogni lotta, dalla vita.
E se la fantasia ancora ribolliva in lui, se risorgevano dimenticati ricordi e non
realizzati sogni, se nella coscienza spuntavano rimproveri per la vita vissuta cos�
e non altrimenti, egli dormiva inquieto, si svegliava, saltava su dal letto e a
volte piangeva con fredde lacrime di disperazione l'ideale luminoso della vita per
sempre spento, come si piange un caro defunto, con la coscienza di non aver fatto
abbastanza per lui quand'era ancora in vita. Poi si guardava intorno, godeva dei
beni del momento e si calmava, osservando come il sole tranquillamente s'immergesse
nell'incendio del tramonto, e concludeva che la sua vita non soltanto s'era svolta,
ma era stata creata e perfino predestinata ad essere cos� facile e semplice per
dimostrare la possibilit� della pace ideale nell'esistenza umana. Ad altri, pensava
egli, � toccato in sorte di mostrare i lati tempestosi della vita e di mettere in
moto le forze creatrici e distruttive: ad ognuno la sua missione!
Ecco la filosofia che il Piatone oblomoviano aveva elaborato e dalla quale si
faceva cullare tra i problemi e le gravi esigenze del dovere e del destino! Egli
non era nato n� era stato educato come un gladiatore per l'arena, ma come un
pacifico spettatore della lotta; la sua anima timida e fiacca non avrebbe
sopportato n� le agitazioni della felicit� n� i colpi della vita: per conseguenza
egli personificava uno solo dei lati di questa e non aveva nulla da conquistarvi,
nulla da mutarvi, nulla da rimpiangere. Con gli anni, le agitazioni e il rimpianto
s'eran fatti pi� rari e a poco a poco egli s'era adagiato nella semplice ed ampia
bara della sua rimanente esistenza, bara che egli stesso s'era preparata con le
proprie mani, come gli eremiti i quali, volte le spalle al mondo, si scavano la
tomba. Egli aveva gi� cessato di sognare la riorganizzazione della tenuta e il
proprio trasferimento. L'amministratore nominato da Stolz gli mandava puntualmente
il pi� che rispettabile reddito, i contadini a Natale portavano farina e pollame e
la casa era piena di benessere e d'allegria.
Il'j� Il'�tch s'era comprata perfino una coppia di cavalli, ma, con la prudenza sua
caratteristica, li aveva scelti tali che solo dopo la terza frustata si mettevano
in movimento, mentre alla prima e alla seconda frustata si moveva solo il primo
cavallo facendo un passo da un lato e poi il secondo facendo un passo dall'altro
lato, fino a che, col collo, la schiena e la coda ben tese, si muovevano tutti e
due insieme, e cominciavano a correre, con la testa bassa. La vettura serviva a
Vanja per andare al ginnasio sull'altra riva della Neva e alla padrona quando
usciva a far compere.
A carnevale e a Pasqua tutta la famiglia, e lo stesso Il'j� Il'�tch, andavano a
passeggiare in vettura e a vedere i baracconi; talvolta prendevano un palco a
teatro e ci andavano lo stesso tutti insieme.
D'estate si recavano nei dintorni della citt� e il giorno di sant'Il'j� alla
Polveriera; si alternavano cos� nella vita gli avvenimenti consueti e, si sarebbe
potuto dire, senza mutamenti dannosi, se i colpi della vita non raggiungessero
anche i piccoli cantucci pacifici. Disgraziatamente il colpo di tuono, che scuote
la base delle montagne e gli enormi spazi aerei, echeggia anche nella tana del
topo, sia pure pi� debolmente, pi� sordamente, ma tuttavia in modo sensibile.
Il'j� Il'�tch mangiava molto e con appetito, come ad Obl�movka, passeggiava e
lavorava pigramente e poco, anche come ad Obl�movka. Senza far attenzione
all'accumularsi degli anni, beveva spensieratamente vino e vodka di ribes e ancora
pi� spensieratamente dormiva a lungo dopo pranzo.
Ad un tratto tutto cambi�.
Un giorno, dopo il riposo e il sonno quotidiano, egli volle alzarsi dal divano e
non pot�, volle parlare e la lingua non obbed�. Spaventato, mosse la mano per
chiamare aiuto. Se avesse vissuto solo con Zach�r, avrebbe potuto continuare a
telegrafar con la mano fino alla mattina e finalmente morire e solo il giorno dopo
se ne sarebbe avuto notizia; ma l'occhio della padrona vegliava su di lui, come
l'occhio della Provvidenza: ella non aveva bisogno dell'intelligenza, e bastava il
presentimento del cuore per capire che Il'j� Il'�tch non stava bene. Questo
presentimento le era appena balenato che gi� Anis'ja correva in vettura a chiamare
il dottore ed ella metteva sulla testa di Oblomov la borsa di ghiaccio e cavava
fuori dall'armadio misterioso spiriti e fomenti, tutto ci� che l'abitudine e la
tradizione le dicevano adatto allo scopo. Perfino Zach�r trov� il modo allora di
infilarsi uno stivale e di portare aiuto al padrone insieme al dottore, alla
padrona e ad Anis'ja.
Il'j� Il'�tch riprese conoscenza. Dopo avergli fatto un salasso, il dottore
dichiar� che era stato un colpo apoplettico e che d'ora in poi era necessario per
Oblomov tutto un nuovo regime di vita. Gli fu cos� proibita la vodka, la birra, il
vino, il caff�, con piccole e rare eccezioni, poi i grassi, la carne, ogni e
qualsiasi spezia; infine gli fu prescritto di fare del moto quotidiano e di dormire
moderatamente e solo di notte.
Senza l'occhio vigile di Agaf'ja Matv�evna non si sarebbe realizzato nulla di tutto
ci�, ma ella aveva saputo introdurre questo sistema sottomettendovi tutta la casa
ed ora con l'astuzia, ora con la grazia seppe allontanare da Oblomov le tentazioni
del vino, del sonno pomeridiano, dei grassi pasticci di pesce. Bastava che egli si
mettesse a sonnecchiare che subito una sedia cadeva nella stanza, oppure si rompeva
rumorosamente qualche vecchia stoviglia nella stanza accanto, oppure i ragazzi
cominciavano un baccano insopportabile. E se anche ci� non giovava, risonava la sua
mite voce che lo chiamava e gli domandava qualcosa.
Il viottolo del giardino fu continuato fin dentro l'orto e Il'j� Il'�tch ogni
mattina e ogni sera vi faceva una passeggiata di due ore. Lo accompagnava Agafja
Matv�evna e, s'ella non poteva, ora Masha ora Vanja, o un vecchio conoscente: il
tranquillo e servizievole Alekseev.
Ecco Il'j� Il'�tch che passeggiava lentamente per il viottolo, appoggiandosi alla
spalla di Vanja. Vanja � quasi un giovinetto, nella sua tenuta di scolaro di
ginnasio, e a malapena trattiene il suo passo ardito e frettoloso, cercando di
adattarsi all'andatura di Il'j� Il'�tch. Una delle gambe di Oblomov, in seguito al
colpo, stenta un po' a muoversi.
- Andiamo in casa, Vanjusha! - diss'egli.
E si diressero verso la porta. Venne loro incontro Agafja Matv�evna.
- Dove andate cos� presto? - domand�, impedendo loro di entrare.
- Come presto? Siamo andati su e gi� venti volte e di qui fino alla stecconata ci
sono cinquanta "sageni", vuoi dire che abbiamo fatto due verste.
- Quante volte siete andati su e gi�? - domand� ella a Vanja. Questi fu
imbarazzato.
- Non dir bugie, guardami in faccia! - lo minacci�, fissandolo negli occhi. - Io me
ne accorgo subito. Domenica, ricordati, non ti lascer� uscire.
- No, mamma, veramente l'abbiamo fatta... dodici volte.
- Ah, canaglia che sei! - disse Oblomov. - Tu non hai fatto che cogliere fiori
d'acacia ed io ho contato...
- No, no, passeggiate ancora, la zuppa di pesce non � pronta! - decise la padrona e
chiuse la porta.
E Oblomov, vuoi o non vuoi, dovette contare ancora otto volte e solo allora pot�
tornare in casa.
Qui, sulla grande tavola rotonda, fumava la zuppa di pesce. Oblomov sedette al suo
posto sul divano; accanto a lui, a destra, su di una sedia, Agafja Matv�evna; a
sinistra, su di una sediolina per bimbo con la chiusura, fu messo a sedere un
bambino di tre anni. Accanto a questo sedette Masha, ormai fanciulla di tredici
anni, poi Vanja e finalmente, quel giorno, dirimpetto ad Oblomov, Alekseev.
- Aspettate che vi d� ancora una perca, ne ho trovata una molto grassa! - disse
Agafja Matv�evna, mettendo nel piatto di Oblomov una perca.
- Ci starebbe bene un bel pasticcio! - disse Oblomov.
- Ho dimenticato, proprio dimenticato. Ci avevo pensato ieri sera, ma ormai la
memoria non mi aiuta pi�! - disse furbescamente Agafja Matv�evna. - E anche a voi,
Iv�n Alekseitch, ho dimenticato di preparare i cavoli con la bistecca, - aggiunse
ella, volgendosi ad Alekseev. - Non me ne serbate il broncio!
Era anche questa un'astuzia.
- Non importa: io posso mangiar di tutto, - disse Alekseev.
- Ma davvero perch� non gli avete preparato il prosciutto coi piselli o la
bistecca? - domand� Oblomov. - Gli piace...
- Sono andata io stessa, Il'j� Il'�tch, ho cercato, ma non ho trovato della carne
buona! In compenso vi ho fatto fare del "kis�l'" di ciliege: so che vi piace, -
aggiunse ella, volgendosi di nuovo ad Alekseev.
Il "kis�l'" era innocuo per Il'j� Il'�tch e perci� doveva amarlo e mangiarlo
volentieri l'accomodante Alekseev.
Dopo il pranzo niente e nessuno poteva impedire a Il'j� Il'�tch di sdraiarsi sul
divano. Egli si sdraiava di solito sulla schiena, ma solo per un'oretta. Per
impedirgli di addormentarsi la padrona gli versava il caff�, mentre i ragazzi
giocavano sul tappeto e, volere o no, Il'j� Il'�tch doveva prender parte ai loro
giochi.
- Smettila di burlare Andrjusha: adesso si metter� a piangere! - ammoniva egli
Vanja, quando questi si metteva a burlare il piccino.
- M�shen'ka, sta' attenta che Andrjusha si fa male contro la sedia! - ammoniva egli
ancora preoccupato quando il piccino andava carponi sotto la sedia.
E Masha correva ad acchiappare il �fratellino�, come ella lo chiamava.
Tutto piomb� nel silenzio per un minuto: la padrona era andata in cucina a vedere
se era pronto il caff�, i ragazzi si erano chetati. Nella camera cominci� a
sentirsi un ronfare dapprima leggero come in sordina, poi pi� forte; quando Agaf'ja
Matv�evna comparve con la caffettiera fumante, fu sorpresa da un ronfare quale si
pu� sentire nelle izbe delle stazioni di posta.
Ella scosse la testa con aria di rimprovero, volgendosi ad Alekseev.
- L'ho svegliato, ma non mi da retta, - disse questi a propria giustificazione.
Ella pos� in fretta la caffettiera sulla tavola, sollev� Andrjusha da terra e lo
mise pian piano sul divano accanto ad Il'j� Il'�tch. Il bambino si arrampic� su di
lui, gli arriv� al viso e gli afferr� il naso.
- Ah! Che cos'�? Chi c'�? - esclam� agitato Il'j� Il'�tch, svegliandosi.
- Avete preso sonno e Andrjusha s'� arrampicato per svegliarvi, - disse
affettuosamente la padrona.
- Quando ho preso sonno? - si giustific� Oblomov, abbracciando Andrjusha. - Che
forse non ho sentito quando con le sue manine si arrampicava su di me? Io sento
tutto! Ah, birbantello: m'hai acchiappato per il naso! Te lo d� io! Aspetta,
aspetta! - disse egli, accarezzando il bambino. Poi lo mise a terra e sospir� cos�
forte che ne riecheggi� tutta la stanza. - Raccontate qualche cosa, Iv�n
Alekseitch! - disse.
- Abbiamo gi� parlato di tutto, Il'j� Il'�tch; non c'� pi� nulla da raccontare.
- Come, come? Voi vedete della gente: non c'� nessuna novit�? Certamente voi
leggete.
- S�, qualche volta leggo, o meglio, leggono gli altri, discorrono ed io ascolto.
Ecco, ieri da Aleks�j Spiridonytch, il figlio, lo studente, lesse ad alta voce...
- E cosa lesse?
- Che gli inglesi hanno mandato fucili e polvere non so a chi. Aleks�j Spiridonytch
ha detto che ci sar� la guerra.
- A chi hanno mandato le armi?
- In Ispagna, o in India, non mi ricordo, ma l'ambasciatore � stato molto
scontento.
- Quale ambasciatore?
- E' proprio quel che ho dimenticato! - disse Alekseev, alzando il naso verso il
soffitto e facendo uno sforzo per ricordare.
- Con chi ci sar� la guerra?
- Credo col pasci� turco.
- Bene, e cos'altro c'� di nuovo in politica? - domand� ancora Il'j� Il'�tch, dopo
un momento di silenzio.
- Scrivono che la Terra si raffredda sempre pi� e un giorno o l'altro sar� tutta
gelata.
- Ma che � politica questa? Alekseev s'intimid�.
- Dmitrij Alekseitch da principio ha parlato di politica, - si giustific� egli, - e
poi ha continuato a leggere senza dire se la politica era finita. Lo so che questa
� gi� letteratura.
- E che cosa ha letto di letteratura? - domand� Oblomov.
- Ha letto che Dmitriev, Karamz�n, B�tjushkov e Giukovskij sono i migliori
scrittori...
- E Pushkin?
- Pushkin l� non c'era. Anche a me � sembrato strano che non ci fosse. Egli � pure
un "cenio", - disse Alekseev, pronunziando "c" invece di "g".
Subentr� un silenzio. La padrona port� il suo lavoro e cominci� a muover l'ago
avanti e indietro, guardando di tratto in tratto Il'j� Il'�tch o Alekseev e
prestando ascolto col suo udito delicato se non ci fosse qualche rumore fuori
luogo, se in cucina Zach�r e Anis'ja non leticassero, se Akulina lavasse i piatti,
se non scricchiolasse la porta del cortile, il che voleva dire che il guardiano era
andato all'osteria.
Oblomov s'era pian piano sprofondato in una fantasticheria silenziosa che non era
n� sonno n� veglia: egli lasciava liberamente vagare i pensieri, senza fermarli su
nulla, ascoltava l'eguale battito del proprio cuore e di tratto in tratto
socchiudeva gli occhi come un uomo che non guarda in nessun posto. Era caduto in
uno stato indefinibile e misterioso, una specie di allucinazione.
L'uomo ha talvolta di questi brevi istanti di fantasticheria, quando gli sembra di
vivere qualche momento gi� vissuto altra volta, chiss� quando e chiss� dove. Egli
non sa se abbia veduto in sogno quel che ora gli passa innanzi, o se realmente
l'abbia gi� vissuto e poi dimenticato; certo � ch'egli vede come le stesse persone
d'un tempo seggono accanto a lui, le stesse parole d'un tempo risuonano al suo
orecchio; l'immaginazione non ha la forza di ritrasportarlo l�, la memoria non
risuscita il passato e provoca solo meditazione.
Questo avviene ora ad Oblomov. Lo avvolge una pace che gi� altra volta, chiss�
dove, ha provata; oscilla un pendolo d'orologio ch'egli ben conosce, si sente il
crepit�o del filo spezzato e un bisbiglio e delle parole gi� note.
- Non riesco ad infilare il filo nell'ago: prova tu, Masha, che hai gli occhi pi�
acuti.
Pigramente, macchinalmente come in sogno, guarda egli il viso della padrona e dal
profondo del suo ricordo sorge un'immagine nota, veduta chiss� dove. Ecco, egli ha
ritrovato nella memoria dove e quando ha sentito questa voce... E vede un grande
salotto scuro nella casa paterna, illuminato appena da una candela di sego, e la
defunta madre con le sue ospiti sedute intorno alla tavola tonda: esse cuciono in
silenzio; il padre va su e gi� in silenzio. Il presente e il passato si mescolano e
si fondono.
E gli pare in sogno di aver raggiunta quella terra promessa dove scorrono fiumi di
miele e di latte, dove si mangia senza lavorare e tutti son vestiti d'oro e
d'argento.
Sente egli racconti di sogni e di presagi, rumor di piatti e di coltelli e si
stringe alla "njanja" e ascolta la sua tremante voce di vecchia:
- Militrisa Kirb�t'evna! (Personaggio di favole d'origine orientale. Il nome
Militrisa, dal latino "meretrix", si trova nella favola di Bova Korolevitch,
trasformazione slava del Buovo d'Antona) - dice ella, indicandogli la figura della
padrona.
Gli sembra che una stessa nuvoletta trascorra come allora nel cielo azzurro e uno
stesso venticello entri dalla finestra e giochi coi suoi capelli: il tacchino di
Obl�movka passeggia e grida sotto la finestra.
Ecco, ha abbaiato il cane: deve essere arrivato qualche ospite. Che non sia
arrivato Andr�j col padre da Verchl�vo? Era questo per lui un giorno di festa.
Veramente deve esser lui: i passi si avvicinano, la porta si apre... �Andr�j !�
dice egli. E veramente davanti a lui c'� Andr�j, ma non pi� ragazzine, uomo fatto.
Oblomov torn� in s�: non era un'allucinazione, davanti a lui c'era Stolz in carne
ed ossa.
La padrona svelta svelta prese il bambino, port� via il lavoro dalla tavola, mand�
fuori i ragazzi. Anche Alekseev scomparve, Stolz e Oblomov rimasero soli, in
silenzio ed immobili, guardandosi negli occhi. Stolz attravers� addirittura l'amico
col suo sguardo.
- Ma sei tu, Andr�j? - domand� Oblomov in modo appena percettibile per l'emozione,
a quel modo che solo un amante, dopo una lunga separazione, pu� interrogare
l'amica.
- Son io, - rispose piano Andr�j. - Sei vivo, sano?
Oblomov l'abbracci�, stringendosi fortemente a lui.
- Ah! - diss'egli in risposta, riversando in questo "ah!" tutta la forza della
tristezza e della gioia accumulate nel suo petto e che mai, forse, da quando
s'erano separati, egli aveva espresso per alcuno n� per alcuna cosa. Si sedettero e
si guardarono di nuovo fissamente.
- Stai bene? - domand� Andr�j.
- Adesso s�, grazie a Dio.
- Sei stato malato?
- S�, Andr�j, ho avuto un colpo...
- Che dici? Dio mio! - esclam� Andr�j spaventato e commosso. - Ma senza
conseguenze?
- S�, solo la gamba sinistra non ubbidisce tanto bene.
- Ah, Il'j� Il'�tch! Che cos'� di te? Ti sei abbandonato del tutto. Che hai fatto
tutto questo tempo? Non � uno scherzo, sono passati cinque anni da quando ci siamo
visti l'ultima volta.
Oblomov sospir�.
- Perch� non sei andato ad Obl�movka? Perch� non hai scritto?
- Che dirti, Andr�j? Tu mi conosci, non domandare oltre! - disse tristemente
Oblomov.
- E sempre qui, in questo appartamento? - continu� Stolz, guardando la camera. -
Non sei mai andato via?
- S�, sempre qui... Adesso non mi muovo pi�.
- Come, decisamente?
- S�, Andr�j... decisamente.
Stolz lo guard� fisso, si fece pensieroso e cominci� ad andar su e gi� per la
camera.
- E Ol'ga Serg�evna? Sta bene? Dov'�? Si ricorda?...
Egli non fin�.
- Sta bene e si ricorda di te come se vi foste separati ieri. Adesso ti dir� dov'�.
- E i bambini?
- Anche i bambini stanno bene... Ma di', Il'j�, tu scherzi dicendo che vuoi restar
qui? Io sono venuto a prenderti, per portarti con noi in campagna...
- No, no! - disse Oblomov, a voce bassa e guardando la porta, evidentemente
agitato. - No, ti prego, non cominciare neppure, non parlare...
- Perch�? Che hai? - cominci� Stolz. - Tu mi conosci: io mi sono imposto da tempo
questo compito e non ceder�. Finora mi hanno distratto gli affari, ma adesso sono
libero. Tu devi vivere con noi, vicino a noi: Ol'ga ed io abbiamo deciso cos�, e
cos� deve essere. Ringrazio Dio d'averti trovato ancora cos� e non peggio. Non lo
speravo neppure... Andiamo via... Io son pronto a portarti via con la forza!
Bisogna vivere diversamente, tu capisci come...
Oblomov ascolt� questa tirata con impazienza.
- Non gridare, ti prego, parla pi� piano! - preg� egli. - L�...
- L� che cosa?
- Sentiranno... la padrona creder� che io voglia veramente andar via...
- E che fa? Che lo creda pure!
- Ah, com'� possibile! - l'interruppe Oblomov. - Ascolta, Andr�j ! - aggiunse egli
ad un tratto con un tono deciso e insolito in lui: - non fare dei tentativi
inutili, non cercar di convincermi: io rimango qui.
Stolz guard� l'amico con meraviglia. Oblomov ricambi� lo sguardo a sua volta con
tranquillit� e fermezza.
- Tu sei perduto, Il'j�! - disse Andr�j. - Questa casa, questa donna... tutta
quest'esistenza... Non pu� essere: andiamo, andiamo!
Egli lo prese per la manica e lo trascin� verso la porta.
- Ma perch� mi vuoi portar via? Dove? - domand� Oblomov, facendo resistenza.
- Voglio portarti fuori da questa fossa, da questo pantano alla luce, all'aria
libera, dove c'� una vita sana, normale! - insistette Stolz, severamente, quasi
imperativamente. - Dove sei? Che cosa sei diventato? Ritorna in te! Che forse ti
eri preparato ad una vita simile, per dormire come una talpa nella sua tana?
Ricordati di tutto...
- Non ricordare, non smuovere il passato: non potrai farlo tornare! - disse
Oblomov, con un chiaro pensiero in volto, pienamente cosciente della propria
volont�. - Cosa vuoi fare di me? Io l'ho rotta del tutto con quel mondo nel quale
mi vuoi tirare di nuovo: non potrai pi� riunire le due parti ormai separate. Io
sono attaccato a questa fossa col mio punto debole: se cerchi di strapparmi via, mi
uccidi.
- Ma guardati intorno, dove e con chi stai?
- Lo so, lo sento... Ah, Andr�j, io sento tutto, capisco tutto: � gi� tanto che mi
vergogno di vivere. Ma non potrei seguirti sulla tua via, nemmeno se volessi... -
abbass� gli occhi e tacque per un minuto - adesso � tardi... Va' e non insistere.
Io sono degno della tua amicizia, Dio mi � testimonio, ma non sono degno delle tue
preoccupazioni.
- No, Il'j�, tu dici qualche cosa, ma non fino alla fine. Ma io ti porter� via, ti
porter� via appunto perch� sospetto... Senti, - disse egli, - mettiti un vestito e
vieni con me, passa la serata con me. Ti racconter� tante cose: non sai quel che
bolle adesso qui da noi; non hai sentito?
Oblomov lo guard� interrogativamente.
- Tu non vedi nessuno, l'avevo dimenticato; andiamo, ti racconter� tutto... Sai chi
� qui presso il portone, in carrozza, e mi aspetta?... Vado a...
- Ol'ga! - il nome sfuggi dalle labbra di Oblomov spaventato. Egli cambi� perfino
colore. - Per carit�, non la far entrare, va' via. Addio, addio!
Egli quasi spingeva Stolz verso l'uscita; ma Stolz non si moveva.
- Io non posso tornare a lei senza di te: le ho dato la mia parola d'onore,
capisci, Il'j�? Se non oggi, sar� domani; tu potrai rimandare, ma non mi caccerai
via... Domani, domani l'altro, ma ci rivedremo!
Oblomov taceva con la testa bassa, senza osar guardare Stolz.
- Quando, dunque? Ol'ga me lo domander�.
- Ah, Andr�j! - disse egli con voce tenera, implorante, abbracciandolo e posandogli
la testa sulla spalla. - Lasciami del tutto... dimenticami...
- Come, per sempre? - domand� Stolz, staccandosi dal suo abbraccio e guardandolo.
- S�! - bisbigli� Oblomov.
Stolz fece un passo indietro.
- Ma sei proprio tu, Il'j�? - lo rimprover� egli. - Tu mi respingi e per lei, per
questa donna!... Dio mio! - egli quasi grid� per l'improvviso dolore. - Questo
bambino che ho visto or ora... Il'j�, Il'j�! Corri via di qui, andiamo, andiamo in
fretta! Come sei caduto! Questa donna... che cosa � per te?...
- E' mia moglie! - disse tranquillo Oblomov.
Stolz impietr�.
- E questo bambino � mio figlio! Si chiama Andr�j, per ricordo di te! - disse
Oblomov tutto d'un fiato e respir� tranquillo, dopo essersi scaricato del peso del
suo segreto.
Fu la volta di Stolz di mutar colore e di guardarsi intorno con occhi sbalorditi,
quasi stupiditi. Davanti a lui s'era ad un tratto �spalancato un abisso�, s'era
�levata una muraglia di pietra�, e Oblomov parve cessar di esistere, scomparire ai
suoi occhi, sprofondare, ed egli sent� solo quel dolore ardente che si sente
quando, agitati, dopo una lunga separazione, si corre a cercare un amico e si viene
a sapere che egli non � pi� da tanto tempo, che � morto.
- Perduto! - bisbigli� Stolz macchinalmente. - Che dir� ad Ol'ga?
Oblomov ud� le ultime parole, volle dire qualche cosa, ma non pot�. Tese ad Andr�j
le braccia; si abbracciarono in silenzio, con forza, come ci si abbraccia prima
della lotta, prima della morte. Questo abbraccio soffoc� le loro parole, le loro
lacrime, i loro sentimenti...
- Non dimenticare il mio Andr�j! - furono le ultime parole di Oblomov, pronunziate
con voce spenta.
Andr�j usc� in silenzio, lentamente; lentamente e soprappensiero attravers� la
corte e sal� in carrozza; e Oblomov si sedette sul divano, appoggi� i gomiti alla
tavola e si nascose il viso fra le mani.
�No, non dimenticher� il tuo Andr�j, - aveva pensato tristemente Stolz,
attraversando la corte. - Tu sei perduto, Il'j�. Non � neppure il caso di dirti che
la tua Obl�movka non � pi� nel deserto, che � venuto il suo momento, che � piena di
sole! Non ti dir� che fra quattro anni vi passer� la ferrovia, che alla sua
costruzione lavoreranno i tuoi contadini e che il tuo grano sar� portato sui vagoni
al porto d'imbarco... E che ormai... ci sono le scuole, l'istruzione, e poi... No,
tu ti spaventeresti dell'aurora della nuova felicit�, i tuoi occhi non avvezzi ti
dorrebbero. Ma il tuo Andr�j lo condurr� certo l� dove tu non hai potuto andare e
con lui realizzer� i nostri sogni giovanili�. - Addio, vecchia Obl�movka! - disse
egli voltandosi a guardare un'ultima volta le finestre della piccola casa. - Tu hai
cessato di esistere!
- Che c'�? - domand� Ol'ga con un forte battito del cuore.
- Niente! - rispose seccamente e bruscamente Andr�j.
- E' vivo, sano?
- S�, - rispose Andr�j malvolentieri.
- Perch� sei ritornato cos� presto? Perch� non mi hai chiamata, perch� non l'hai
portato con te? Lasciami andare!
- E' impossibile!
- Ma che avviene, dunque? - domand� Ol'ga spaventata. - Si � forse �spalancato
l'abisso�? Me lo dirai, dunque?
Egli taceva.
- Ma che cosa c'� l�?
- L'oblomovismo! - rispose cupo Andr�j e in risposta alle altre domande di Ol'ga
conserv� fino a casa un tetro silenzio.

10.
Passarono cinque anni. Anche nel quartiere di Vyborg si ebbero grandi mutamenti;
lungo la strada deserta che conduceva all'abitazione della Pshen�cyna erano state
costruite molte case di campagna, tra le quali s'innalzava un lungo e largo
edificio governativo di pietra che impediva ai raggi del sole di battere
allegramente ai vetri del calmo rifugio della pace e della pigrizia.
Anche la casetta era un poco invecchiata ed aveva un aspetto trascurato e sudicio,
come un uomo che non s'� lavato e rasato. Il colore dell'intonaco era impallidito,
le grondaie erano qua e l� rotte, e perci� nella corte s'erano formate delle
pozzanghere, attraverso le quali, come gi� un tempo, era stata gettata una sottile
tavola. Se qualcuno entrava dal portone, il vecchio cane alla catena non saltava
pi� arditamente su, ma abbaiava rauco e fiacco, senza uscir fuori dal canile.
Anche nell'interno della casetta quali mutamenti! Vi regna un'altra donna e vi
giocano altri ragazzi. Di nuovo di tanto in tanto vi fa la sua comparsa il viso
rosso e magro del litigioso Tarant'ev al posto di quello del mite e servizievole
Alekseev. Non si vedono pi� n� Zach�r n� Anis'ja; una nuova e grassa cuoca comanda
in cucina eseguendo male e malvolentieri i tranquilli ordini di Agaf'ja Matv�evna;
ma la solita Akulina, col lembo della gonna alla cintura, lava mastelli e pentole,
e il solito assonnato guardiano con lo stesso giacchetto di pelo finisce
oziosamente i suoi giorni in un angolo. Accanto alla cancellata, alla solita ora
della mattina e del pranzo, balena di nuovo la figura del �fratello� con un gran
pacco sotto il braccio, in soprascarpe di gomma, sia d'inverno che d'estate.
Che cosa � successo di Oblomov? Dov'� egli? Dov'�? Il suo corpo riposa nel vicino
camposanto, sotto una modesta urna, in un angolo tranquillo fra i cespugli. I rami
di un lill�, piantato da una mano amica, sonnecchiano sulla tomba, mentre intorno
spande serenamente il suo odore l'artemisia. Pare che l'angelo stesso della pace
protegga il sonno di lui!
Per quanto attento ed acuto fosse stato ogni istante l'occhio della moglie,
l'eterna quiete, l'eterno silenzio e il fiacco scorrer dei giorni avevano fermata
la macchina della sua vita. Il'j� Il'�tch era morto senza dolore, senza sofferenze,
come si ferma un orologio che ci si � dimenticati di caricare. Nessuno aveva veduto
i suoi ultimi momenti, nessuno aveva udito il suo respiro premortale. Il colpo
apoplettico s'era ripetuto dopo un anno e di nuovo senza gravi conseguenze; ma
Il'j� Il'�tch s'era fatto pallido, debole, aveva cominciato a mangiar poco, a
uscire di rado nel giardinetto, ed era diventato sempre pi� silenzioso e
pensieroso, e talvolta anche piangeva. Egli presentiva la morte vicina e ne aveva
paura.
Alcune volte s'era sentito male, ma s'era rimesso. Una mattina Agaf'ja Matv�evna
gli port�, come al solito, il caff� e lo trov� sul suo letto di morte mite e sereno
come nel sonno; solo la testa era scivolata un po' gi� dal guanciale e una mano
premeva convulsamente il cuore, dove, evidentemente, era affluito e s'era fermato
il sangue.
Agafja Matv�evna era vedova da tre anni: durante questo tempo tutto era tornato al
corso di una volta. Il fratello s'era occupato di forniture, ma s'era rovinato e
con astuzie e umiliazioni d'ogni specie era riuscito a farsi riprendere al posto di
segretario che aveva prima nell'ufficio dove �si iscrivono i contadini�, e adesso,
come un tempo, andava a piedi all'ufficio e portava a casa monetine da venti,
venticinque e cinquanta copeche con cui riempiva una cassetta ben nascosta.
L'andamento casalingo era ritornato volgare e semplice, ma grasso e abbondante,
come ai tempi prima di Oblomov. La parte principale in casa era rappresentata dalla
moglie del fratello, Irina Pantel�evna, parte che consisteva nel diritto di alzarsi
tardi, di bere tre volte il caff�, di cambiar tre volte al giorno il vestito e di
preoccuparsi soltanto che le sue sottane fossero inamidate e stirate quanto pi�
rigide era possibile. Pi� in l� di questo ella non andava e Agaf'ja Matv�evna
continuava ad essere il pendolo della casa: ella sorvegliava la cucina e la tavola,
preparava il t� e il caff�, cuciva per tutti, teneva d'occhio la biancheria, i
ragazzi, Akulina e il guardiano.
Ma perch� faceva tutto ci�? Non era ella la signora Oblomova, una proprietaria che
avrebbe potuto vivere a s�, indipendente, senza bisogno di nulla e di nessuno? Che
cosa l'aveva potuta costringere ad addossarsi il carico di una casa altrui, a
preoccuparsi di bambini altrui, di tutte quelle meschinit� alle quali una donna si
sottomette solo o per amore, o per sacro dovere familiare, o per bisogno d'un tozzo
di pane? Dov'erano Zach�r, Anis'ja, suoi servi di diritto? Dove finalmente quel
pegno vivente che le aveva lasciato il marito, il suo piccolo Andrjusha? Dove i
figli del suo primo marito?
I figlioli erano tutti a posto; Vanjusha aveva finito il corso degli studi tecnici
ed aveva avuto un impiego; M�shen'ka s'era maritata con l'intendente di un edificio
governativo e Andrjusha era stato chiesto per l'educazione da Stolz e da sua moglie
che lo consideravano membro della loro famiglia. Agafja Matv�evna non aveva mai
messo alla pari e confuso coi suoi figli il figlio di Oblomov, anche se nel proprio
cuore, forse inconsapevolmente, dava loro un posto eguale. L'educazione, il tono di
vita, in generale l'avvenire di Andrjusha erano, secondo lei, separati da un abisso
dalla vita di Vanjusha e di M�shen'ka.
- Che cosa sono essi? Cenerentole come me, - diceva ella con noncuranza, - hanno
sangue comune nelle vene, ma questo, - aggiungeva quasi con rispetto, parlando di
Andrjusha che accarezzava, se non con timidezza, certo con cautela, - questo � un
signorino! Guardatelo com'� bianco, pare trasparente: che manine e che piedini che
ha, i capelli poi son come seta. Il ritratto di lui, buon'anima!
Perci� senza opposizione, quasi con gioia, ella aveva accettato la proposta di
Stolz, di affidargli l'educazione del bambino, ritenendo che quello fosse il vero
posto di Andrjusha e non qui, nelle �tenebre�, insieme ai suoi sudici nipotini, ai
figli cio� del fratello.
Per sei mesi, dopo la morte di Oblomov, ella era vissuta con Anis'ja e Zach�r,
accasciata dal dolore. A furia di andare alla tomba del marito aveva segnato un
sentiero nell'erba, gli occhi le si erano disseccati dal gran pianto: non mangiava
quasi nulla, non beveva, si nutriva solo di t�, spesso di notte non chiudeva occhio
e aveva finito con l'esaurirsi del tutto. Non si lamentava mai con nessuno e,
quanto pi� si allontanava dal momento della separazione, tanto pi� si rinchiudeva
in s�, nel suo dolore, senza sfogarsi con nessuno, neppure con Anis'ja. Nessuno
sapeva perci� quel ch'ella aveva nell'anima.
- La vostra padrona piange sempre suo marito, - diceva alla cuoca il bottegaio dal
quale facevano le provviste.
- E' sempre triste per la morte del marito, - diceva il sagrestano, indicandola
alla fabbricante d'ostie nella chiesa del camposanto, quando ogni settimana la
vedova sconsolata veniva a pregare e a piangere.
- Continua a logorarsi la salute, - dicevano in casa del fratello. Un giorno
inaspettatamente, col pretesto di venirla a consolare, le si present� tutta la
famiglia del fratello, compresi i ragazzi, compreso perfino Tarant'ev. La coprirono
di banali parole di conforto, di consigli di �non rovinarsi, di conservarsi per i
figli� e di tutto ci� che le avevano detto quindici anni prima, quando le era morto
il primo marito, ma che, se allora aveva ottenuto il risultato desiderato, adesso,
chiss� perch�, non le diede che malinconia e disgusto. Si sent� meglio, solo quando
cominciarono a parlar d'altro e le annunziarono che sarebbe stato possibile vivere
di nuovo insieme, che per lei sarebbe stato pi� facile �dimenticare fra i suoi il
dolore�, e per loro sarebbe stato un bene, in quanto che nessuno sapeva tenere la
casa in ordine come lei.
Ella domand� un po' di tempo per pensarci su, si rattrist� da sola ancora un paio
di mesi, ma finalmente accondiscese alla vita in comune. In questo frattempo Stolz
aveva preso Andrjusha con s� ed ella era rimasta sola.
Ed eccola che in abito scuro, con una sciarpa nera intorno al collo, va dalla
camera in cucina, come un'ombra, aprendo e richiudendo, come prima, gli armadi;
cuce e stira merletti, ma tutto piano, senza energia; eccola che parla, ma
malvolentieri e a voce bassa, e si guarda intorno non pi�, come un tempo, con gli
occhi che passano rapidamente da un oggetto all'altro, ma con una espressione
concentrata ed un profondo senso interiore nello sguardo. Questo pensiero s'era
fermato, non visto, sul suo volto nel momento in cui ella consapevolmente aveva
guardato a lungo il marito morto, e da allora non l'aveva lasciata pi�. Si muoveva
per la casa, faceva con le mani tutto ci� che era necessario, ma il suo pensiero
non partecipava a nulla. Sul corpo del marito morto ella aveva improvvisamente
compresa la propria vita e pensato al valore di essa, e questo pensiero aveva
gettato per sempre un'ombra sul suo volto. Dopo che le lacrime ebbero alleggerito
un po' il dolore, ella si concentr� in questa coscienza della perdita subita, e
tutto il resto mor� per lei, ad eccezione del piccolo Andrjusha. Solo quand'ella lo
vedeva, ritornavano in lei i segni della vita, i tratti del volto si rianimavano,
gli occhi si riempivano prima di una luce gioiosa e poi delle lacrime del ricordo.
Tutto intorno le era estraneo: se il fratello si adirava per un rublo speso
inutilmente o non economizzato, per l'arrosto troppo cotto, per il pesce non
fresco, se la cognata faceva il broncio per una gonna poco inamidata, per il t�
troppo leggero o freddo, se la grassa cuoca rispondeva villanamente, Agaf'ja
Matv�evna non si accorgeva di nulla e, come se non parlassero di lei, non sentiva
neppure il velenoso bisbiglio: �signora proprietaria!�
Rispondeva a tutto con la dignit� del proprio dolore e con un superbo silenzio.
Nei giorni di festa invece, a Pasqua, nelle allegre serate di carnevale, quando
tutti in casa giubilavano, cantavano, mangiavano e bevevano, ella ad un tratto, in
mezzo all'allegria generale, scoppiava in pianto e si andava a nascondere. Poi di
nuovo si concentrava in s� e guardava il fratello e sua moglie perfino con una
certa superbia e commiserazione.
Ella aveva compreso che ormai il fiore della sua vita era passato, che Dio aveva
messo in questa sua vita un'anima e poi l'aveva tolta di nuovo: che il sole vi
aveva brillato, ma s'era ormai eclissato per sempre... S�, per sempre; ma in
compenso anche la sua vita aveva avuto un senso: ella sapeva perch� aveva vissuto
ed anche che non aveva vissuto invano. Aveva tanto e cos� pienamente amato: aveva
amato Oblomov come amante, come marito e come signore; solo che, come prima, non
era in grado di raccontarlo a nessuno. E del resto nessuno intorno l'avrebbe
compreso. Dove avrebbe ella trovate le espressioni necessarie? Nel lessico del
fratello, di Tarant'ev e della cognata non c'erano le parole, perch� non c'erano i
concetti; solo Il'j� Il'�tch l'avrebbe compresa, ma ella non glielo aveva mai detto
perch� allora neppur lei lo capiva e non sapeva.
Col passar degli anni comprese il proprio passato sempre pi� chiaramente, lo
nascose sempre pi� profondamente, si fece sempre pi� silenziosa e concentrata. I
sette anni della sua esistenza con Oblomov, volati via come un attimo, le avevano
data una serena luce per tutta la vita e perci� non le rimaneva da desiderare
altro, non aveva pi� bisogno di cercare.
Solo quando l'inverno Stolz tornava dalla campagna, ella correva alla sua casa e
guardava avidamente Andrjusha, accarezzandolo con tenera timidezza; poi avrebbe
voluto dire qualche cosa ad Andr�j Iv�novitch, ringraziarlo, farlo partecipe di
tutto quel che era chiuso e viveva nel suo cuore: egli avrebbe capito, ma ella non
sapeva farlo e perci� correva incontro ad Ol'ga, le baciava le mani, bagnandogliele
di cos� calde lacrime, che Ol'ga stessa cominciava a piangere con lei ed Andr�j
agitato usciva in fretta dalla stanza. Essi erano legati tra loro dalla comune
simpatia, dal ricordo dell'anima pura come cristallo del defunto! Andr�j ed Ol'ga
cercavano spesso di convincere Agaf'ja Matv�evna ad andare in campagna, a vivere
insieme con loro, accanto ad Andrjusa, ma ella rispondeva solo una cosa:
- Dove si � nati e vissuti tutta la vita, l� bisogna morire.
Invano Stolz le dava conto dell'amministrazione della propriet�, le spediva le
entrate; ella restituiva sempre tutto, pregando di conservare ogni cosa per
Andrjusa.
- E' cosa sua, e non mia, - insisteva; - egli ne avr� bisogno, egli � un signore,
io vivr� anche cos�.

11.
Una volta, verso mezzogiorno, sui marciapiedi di legno del quartiere di Vyborg
passavano due signori; una carrozza li seguiva piano. Uno di questi signori era
Stolz, l'altro un suo amico letterato, un uomo grasso, dal viso apatico,
pensieroso, con occhi che sembravano assonnati. Arrivarono all'altezza della
chiesa; la Messa era finita e i fedeli si riversavano nella strada, avanti a tutti
i mendicanti, numerosi e differenti d'aspetto.
- Vorrei sapere di dove vengono tutti questi mendicanti! - disse il letterato,
guardandoli.
- Come di dove? Dalle loro tane e dai loro rifugi vengono fuori...
- Non domando questo, - replic� il letterato, - vorrei sapere come � possibile
diventar mendicante, cader nella loro condizione. Avviene ci� all'improvviso o per
gradi, sinceramente o falsamente?
- E che t'importa? Vuoi forse scrivere "Les myst�res de P�tersbourg"?
- Forse... - disse il letterato sbadigliando fiaccamente.
- Eccoti l'occasione buona: interrogane uno qualunque, per un rublo egli ti vender�
tutta la sua storia e tu potrai rivenderla guadagnandoci su. Eccoti un vecchietto,
un tipo di mendicante, a quanto pare, abbastanza comune. Eh, vecchio! Vieni qua!
Il vecchietto si volt�, si lev� il cappello e si avvicin� loro.
- Signori misericordiosi! - disse con voce rauca. - Aiutate un povero vecchio
soldato ferito in trenta battaglie...
- Zach�r! - esclam� sorpreso Stolz. - Sei tu?
Zach�r tacque istantaneamente, poi, proteggendosi gli occhi con la mano contro il
sole, guard� fisso Stolz.
- Scusate, Eccellenza, non vi riconosco... sono acciecato del tutto!
- Hai dimenticato l'amico del tuo padrone, Stolz, - lo rimprover� Stolz.
- Ah, ah, "b�tjushka", Andr�j Ivanytch! Signore, i miei occhi non vedono pi�!
"B�tjushka", padre mio!
Egli cominci� a muoversi di qua e di l�, cerc� di prendere la mano di Stolz, ma,
non essendoci riuscito, gli baci� una falda dell'abito.
- Il Signore ha concesso a me, cane dannato, di provar questa gioia... - cominci� a
gridare, tra il pianto e il riso. Su tutta la sua faccia sembrava impresso un
marchio di fuoco, dalla fronte al mento. Il naso aveva inoltre una tinta
azzurregnola. La testa era del tutto calva; le fedine erano, come prima, grandi, ma
arruffate come feltri ed in ognuna di esse sembrava essersi fermato un fiocco di
neve. Indossava un vecchio pastrano, del tutto scolorito e al quale mancava una
falda; sui piedi, nudi, portava un paio di vecchie soprascarpe scalcagnate; tra le
mani teneva un logoro berretto di pelo.
- Ah, Signore misericordioso! Quale grazia mi hai fatto oggi per il giorno di
festa...
- Perch� sei in questa condizione? Non ti vergogni? - domand� severamente Stolz.
- Ah, "b�tjushka", Andr�j Ivanytch! Che fare? - cominci� Zach�r, dopo aver
sospirato profondamente. - Come mangiare? Quando Anis'ja era ancora viva, non
andavo mica in giro, avevo sempre il mio pezzo di pane, ma quando mor� di colera -
Dio l'abbia in gloria - il fratello della padrona non mi volle tenere, mi chiamava
fannullone. Mich�j Andreitch Tarant'ev cercava sempre di tirarmi un calcio, se mi
passava vicino: era una vita insopportabile! Quanti rimproveri ho dovuto
inghiottire! Credetemi, signore, il boccone mi si fermava in gola. Se non ci fosse
stata la padrona, che Dio le dia salute! - aggiunse egli, segnandosi, - sarei da un
pezzo morto di freddo. Fu lei che mi diede un vestito da inverno e pane in
abbondanza e un cantuccio sulla stufa: e tutto per misericordia! Ma cominciarono a
farle dei rimproveri per causa mia e io me ne sono andato dove le gambe mi
portavano! E' ora il secondo anno che soffro cos�...
- Perch� non ti sei cercato un posto? - domand� Stolz.
- Ma dove lo trovi adesso un posto, "b�tjushka", Andr�j Ivanytch? Sono stato in due
posti, ma non contentavo nessuno. Adesso non � pi� come prima, � molto peggio.
Vogliono che i servitori sappiano leggere e scrivere; e anche in casa dei gran
signori poi non c'� pi� l'uso di tener molti servi nelle anticamere. Tutti ne
tengono uno solo, tutt'al pi� due. Le scarpe se le levano da s�; hanno inventato
una macchina! - continu� Zach�r angosciato. - E' una vergogna, un'onta, non ci sono
pi� signori.
Egli sospir�.
- Ecco, mi ero aggiustato da un tedesco, un mercante: dovevo star seduto in
anticamera e tutto andava bene, invece lui mi volle far servire a tavola! che �
affar mio questo? Una volta dovetti portare del vasellame di Boemia, i pavimenti
erano cos� lisci, sdrucciolevoli; che possano sprofondare! Ad un tratto i piedi mi
sono andati uno da una parte e uno dall'altra e tutto il vasellame col vassoio
patatrac in terra, e cos� m'hanno cacciato! Un'altra volta la mia faccia � piaciuta
a una vecchia contessa: �ha un aspetto dignitoso�, disse e mi prese come portiere.
Il posto era buono, in una vecchia casa: solo sedere con dignit�, una gamba
sull'altra, non rispondere subito a chi viene, ma prima mugolare e poi lasciar
passare o cacciar via secondo i casi; quando vengono degli ospiti d'importanza, si
sa, salutare cos� col bastone! - e Zach�r fece il saluto con la mano. - E'
lusinghiero, non c'� che dire! Ma la padrona era cos� incontentabile, che Dio la
benedica! Una volta venne a ficcare il naso nella mia cameretta, vide una cimice,
cominci� a battere i piedi, a gridare, come se le cimici le avessi inventate io!
Dove s'� vista mai una casa senza cimici! Un'altra volta mi pass� vicino e le
sembr� che io puzzassi di vino... era una donna cos�, proprio! E mi mand� via.
- Ma tu puzzi davvero di vino, e come! - disse Stolz.
- Per il dispiacere, "b�tjushka", Andr�j Ivanytch, per il dispiacere, vi giuro! -
sibil� Zach�r, facendo una smorfia d'amarezza. - Ho provato anche a fare il
cocchiere. Ho preso un posto, ma mi si son gelati i piedi: non ho pi� forza, sono
invecchiato! Mi capit� un cavallo cattivissimo; una volta si butt� sotto una
carrozza e per poco non mi sfracell�, un'altra volta mise sotto una vecchia e mi
portarono alla polizia...
- Basta, smetti di vagabondare e di ubriacarti e vieni a trovarmi; ti trover� un
cantuccio; andremo in campagna. Senti?
- Sento, "b�tjushka", Andr�j Ivanytch, ma... Sospir�.
- Io non ho voglia di andar via di qui, di lasciar la sua tomba! Il mio protettore
Il'j� Il'�tch, - egli gemette, - oggi ho di nuovo pregato per lui, che Dio l'abbia
in gloria! Un signore simile, e Dio me l'ha levato! Ha vissuto per far contenta la
gente intorno a lui, avrebbe dovuto vivere cent'anni... - aggiunse, singhiozzando e
contorcendo il viso. - Ecco, oggi sono stato sulla sua tomba, ogni volta che vengo
da queste parti, ci vado, mi siedo e ci resto a lungo, e piango, piango... Qualche
volta comincio a pensare, e tutto � silenzio, e mi pare che qualcuno mi chiami:
�Zach�r, Zach�r!� Mi sento tutto un formicol�o nella schiena! Non si trova un altro
signore cos�! E come vi voleva bene, "b�tjushka", Andr�j Ivanytch! Che Dio accolga
in cielo la sua anima!
- Bene, vieni a vedere Andrjusha; ti far� dar da mangiare e da vestirti, poi fa'
come vuoi! - disse Stolz e gli porse del denaro.
- Verr�, come non venire a vedere Andr�j Il'�tch? Chiss� come s'� fatto grande! Dio
mio! Quale gioia mi ha fatto provare il Signore! Verr�, "b�tjushka", che il Signore
vi dia salute e lunga vita... - mormor� Zach�r dietro la carrozza che si
allontanava.
- E cos�, hai sentito la storia di questo mendicante? - domand� Stolz all'amico.
- E chi � questo Il'j� Il'�tch che egli ha ricordato? - domand� il letterato.
- Oblomov: te ne ho parlato molte volte.
- S�, mi ricordo il nome; era tuo amico. E che � stato di lui?
- Si � rovinato e senza ragione alcuna. Stolz sospir� e si fece pensieroso.
- E non era pi� stupido di tanti altri, un'anima pura e limpida come un cristallo;
nobile, tenero, e si � rovinato!
- Perch� dunque? Per quale ragione?
- Ragione... che ragione! L'oblomovismo! - disse Stolz.
- L'oblomovismo! - ripet� sorpreso il letterato. - Che roba �?
- Ora ti racconter� tutto, lasciami raccogliere i pensieri. E tu poi scrivi: potr�
essere utile a qualcuno.
E gli raccont� quel che � qui scritto.

1857-1858.

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