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Secondo 600

Accanto alla trattatistica moralistica di Carlo e Federico Borromeo, e alla loro propaganda a favore
di una pittura che fosse devota e “honesta”, ad alimentare il dibattito artistico seicentesco era la
pittura fiamminga coeva (Rubens, Van Dyck) e, per conseguenza, quella veneta del Tintoretto e di
Tiziano.
Era l’antitesi Poussinismo ≠ Rubensismo forte sia in Italia che in Francia
A Roma, il circolo a capo del biografo Giovanni Bellori e del pittore e restauratore Carlo Maratta,
trova in Poussin il proprio punto di riferimento e parametro artistico, e in Raffaello e Annibale
Carracci i suoi predecessori. (Partito “romano” classicista) • A questo versante dell’esaltazione
classicista fa opposizione il partito del veneziano Mario Boschini e del bolognese Cesare Malvasia
che esaltano i valori puramente pittorici del tocco, del tono, della cromia e dell’invenzione.
Celebrano la pittura di Tiziano e Rubens. (Partito “lombardo”)
I due partiti si “uniscono” nella comune condanna caravaggesca. Mancini, Baglione e Bellori sono
gli autori delle prime monografie su Caravaggio, nelle quali tuttavia l’artista non era celebrato bensì
messo in discussione.
Proliferano le storiografie artistiche regionali per colmare le lacune vasariane, con nuove
considerazioni sull’antico. Si instaura una parabola di continuità artistica con il passato.
Il collezionismo come metodo per ordinare e suddividere le cose, così da migliorare l’apprendimento
e la comunicazione.

Franciscus Junius 1591 – 1677


Filologo tedesco, Era un collezionista di manoscritti antichi e pubblicò le prime edizioni moderne di
diversi testi importanti.
De picture veterum -> basato sui testi antichi (fonti), il ruolo centrale è rivestito dalla fantasia grazie
alla quale è possibile compiere un’imitazione selettiva delle cose. Si divide in tre parti: 1) Nascita
della pittura per gli antichi 2)Testi sull’imitazione della natura e sul rapporto arte-poesia 3) Il
raggiungimento della perfezione pittorica si ha con la combinazione di : Invenzione, Disegno,
Colore, Rappresentazione degli affetti, Grazia e Composizione.
Per ottenere la verosimiglianza la pittura deve avvalersi dei precetti della scultura e tradurli in forma
bidimensionale. Sostenitore dell’imitazione selettiva (bisogna scegliere a cosa far riferimento). Vi è
un rapporto dialettico tra novità e tradizione. Influenza delle idee positiviste del progresso di Bacon :
i moderni possono superare gli antichi poiché hanno conservato una memoria. La selezione è il
processo che definisce il progresso.

Giovanni Battista Passeri (1610-1679)


Più che per l’attività di pittore (si sa che si occupava di nature morte e pittura di genere), è noto
soprattutto per essere l’autore delle Vite de’ pittori, scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma
dal 1641 al 1673. Passeri fu il continuatore ideale di Baglione in quanto la sua è una raccolta di
biografie degli artisti attivi a Roma e morti tra il 1641 e il 1673. Vi compare il medesimo Baglione.
Quello del Passeri è un lavoro interessante perché offre un frammento della storia dei tempi da lui
vissuti, una sorta di memoriale. Il testo è ricco di aneddoti, motti di artisti e pettegolezzi vari, che ci
porta nel mezzo della turbolenta Roma del Seicento (egli racconta, ad esempio della disputa tra
Bernini e Borromini). In tutto possediamo 36 biografie, tra le quali ricordiamo il Domenichino, che
fu suo maestro, Pietro da Cortona, Guido Reni.

Giovan Pietro Bellori (1613-1696)


Scrittore e storico dell’arte italiano, formatosi all’accademia di S. Luca Bellori era nipote prediletto
dell’antiquario, collezionista e scrittore Francesco Angeloni, proprietario di una vera e propria casa-
museo in cui egli crebbe e conobbe l’arte grazie alla frequentazione di moltissime personalità illustri
dell’epoca, come artisti del calibro del Domenichino, Poussin, Andrea Sacchi ed importanti eruditi e
scrittori tra cui Vincenzo Giustiniani e Giovanni Battista Agucchi. Fu inoltre curatore e antiquario
delle collezioni di Papa Clemente X, segretario dell’Accademia di San Luca, bibliotecario e
antiquario della regina Cristina di Svezia e Commissario delle antichità di Roma.
E’ ancora forte in lui il pragmatismo vasariano, ciò si nota ad esempio quando mette in relazione la
vita disordinata del Merisi con la supposta rozzezza e fierezza della sua arte (un profilo dell’artista
certamente unilaterale ed errato, ma che ha dominato per molto tempo, fino al giorno d’oggi).
L’ideale vasariano della teoria del progresso rimane invariata, a cambiare è il termine finale: non più
Michelangelo ma Raffaello.
Il Bello Ideale → Nel 1664 Bellori si rese protagonista di una celebre orazione all’Accademia
romana, in cui enunciò la sua teoria sull’Idea del Bello, secondo la quale si doveva ricercare la
Bellezza all’interno della natura e della riscoperta dei canoni di bellezza classici, per allontanarsi
dalle teorie tardo-cinquecentesche del Manierismo. Questa stessa conferenza divenne nel 1672 la
prefazione della sua più importante pubblicazione → Le vite de’ pittori, scultori ed architetti
moderni (1672), L’opera raccoglieva le biografie di 12 dei più famosi artisti del ‘600.
Le teorie platoniche vengono rielaborate da Bellori sotto una nuova veste → se per i platonici l’arte
non era altro che un’imitazione di quello che era il sublime mondo delle idee già insito all’interno
della mente dell’artista, per Bellori questo concetto si evolve ulteriormente mettendo in primo piano
il ruolo fondamentale della natura. Secondo Bellori le idee non sono insite a priori nella mente ma
vengono ispirate dalla contemplazione della natura. Annibale Carracci, preso ad esempio come
emblema di bellezza ideale, in contrapposizione all’arte del Caravaggio, accusato di copiare
meccanicamente la realtà. La vera Bellezza si raggiunge contemplando sì la natura, ma
successivamente rielaborandola tramite le idee sviluppatesi dopo la contemplazione di quest’ultima.
(Idea scelta)
Decadenza → Bellori è il primo ad esporre ampiamente il concetto di decadenza iniziato dopo il
Rinascimento. Con la fine dell’idolo Raffaello e del felice secolo cinquecentesco, inizia la decadenza
con la scuola dei cosiddetti manieristi. Bellori vede il declino anche nell’architettura, scagliandosi
contro Bernini e Borromini e usando dispregiativamente il termine “barocco”, così come i
rinascimentali avevano usato il termine “gotico”.
Decifra e descrive in linguaggio visivo l’antichità, grazie all’accompagnamento testuale delle
incisioni (nuove interazioni tra storiografia e documentazione grafica)
Bellori infine divide la storia artistica tra ‘500 e ‘600 in cinque scuole:
1) Romana → Si ispira alla bellezza della scultura classica
2) Veneziana → Si fonda sulla bellezza naturale del modello
3) Lombarda → Affine alla veneziana e ancor più rivolta al fascino del modello
4) Toscana → Si qualifica per l’accuratezza dei particolari e per la diligenza dell’esecuzione
5) Bolognese → Perfetta sintesi tra la pittura di idee e studio della natura

Marco Boschini (1602-1681)


Scrittore, pittore e incisore italiano. E’ anche stato commerciante di perle false, cartografo,
disegnatore, miniatore, restauratore e sensale di quadri a servizio di illustri personaggi.
1660 La Carta del navegar pitoresco -> poema scritto cioè ad esaltazione delle virtù veneziane, si
disserta sull'arte di Tiziano, Bellini, Tintoretto, ed anche Van Dyck e Rubens. L'opera è strutturata in
otto canti ("vénti"), come un Dialogo tra il Senatore ("Ecelenza") e il Professor de Pitura
("Compare", lo stesso Boschini), ricorre al dialetto veneziano.
Convinto sostenitore del manierismo, al trinomio "natura, arte, ingegno", fa corrispondere
"franchezza, maniera e bizzarria", persuaso che oggetto della pittura sia la natura perfezionata
dell'arte, interessata baroccamente "a le maravegie".
- Distingue gli intenditori d’arte dai dilettanti (separati da un cristallo)
- Si focalizza sulle testimonianze figurative piuttosto che sulle vicende biografiche
- Roma come fronte in contrapposizione.
- I pennelli veneziani, facendo riferimento alla natura non avevano bisogno di guardare alle statue
romane

Carlo Cesare Malvasia (1616-1893)


Il Conte Carlo Cesare Malvasia è stato uno storico dell’arte italiano, docente di giurisprudenza
all’università di Bologna.
(1678), Felsina Pittrice Il titolo “Felsina” rimanda alla città di Bologna: tale nome corrisponde alla
latinizzazione del nome etrusco Velzna, risalente al 534 a.C, anno della sua fondazione. Nell’opera
Malvasia celebra i Carracci come famiglia e come scuola. Le opere fungono da perno del racconto
accompagnate da vaste documentazioni attorno a cui si intrecciano maestri e discepoli.
Disinnesca il discorso belloriano sulla superiorità romana della scuola romana, riflettendo sulla
relatività del giudizio e sul discorso delle inclinazioni personali.
Muove imprese di raccolte diplomatica con la Francia (dedica l’opera a Luigi XIV)

Filippo Baldinucci (1624-1697)


Storico dell’arte, politico e pittore italiano. Nato in una delle famiglie più ricche e influenti di
Firenze, educato dai Gesuiti, nel 1665 fu incaricato dal cardinale Leopoldo de' Medici di ordinare la
grande raccolta di disegni del prelato, destinata a diventare il primo nucleo del Gabinetto dei disegni
degli Uffizi, divenendo uno dei più importanti esperti di arte del mondo occidentale e distinguendosi
per le sue importanti novità introdotte nell'organizzazione, per esempio, degli Uffizi stessi.
Le Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua ampliamento e continuazione delle Vite
vasariane, le vite sono trattate come cenni informativi e si rivolge ad un contesto europeo bai
passando la rivalità tra scuola. Dà luogo ad un albero genealogico per la provenienza delle opere al
fine di comprenderne la sistematizzazione.
1681 Vocabolario toscano dell'arte del disegno si esplicano termini e voci non solo di pittura,
scultura e architettura ma anche delle arti a queste subordinate, e che hanno come fondamento il
disegno. L’opera gli valse l'ammissione all'Accademia della Crusca.
Scriverà anche un testo sulla storia della calcografia esaltando il ruolo delle immagini come supporto
alla riflessione critica.

Francesco Scannelli (1616-1663)


Francesco Scannelli fu uno scrittore d’arte italiano e medico
1657 “Microcosmo della pittura -> nuovo metodo di sistematizzazione biografica per annullare la
visione partigiana Vasariana, egli separò la vita privata degli artisti dalle opere, senza far differenze
di provenienza geografica, le opere vanno narrate per confronti, collocandole nelle scuole per
derivazioni stilistiche.
Ogni scuola ha delle peculiarità, come un organismo e i suoi processi fisici., in relazione tra di loro
come per il metabolismo. Attribuisce ai maggiori esponenti della scuola Toscana una parte del
corpo: a Michelangelo la spina dorsale, a Raffaello il fegato (la virtù di rigenerarsi, capacità di
filtrare e tramutare in naturalezza), a Tiziano il cuore (riceve il sangue da fegato e trasforma i
nutrimenti in vera naturalezza –colore-) a Correggio il cervello (raccorda le funzioni, incarna la
‘bella idea’ non da subito visibile a causa della corteccia), Annibale sarà l’epidermide
Contemporanei come orpelli inutili all’organismo. Si fa spazio la necessità dell’osservazione diretta
attraverso le collezioni e il problema della dispersione delle opere in varie collezioni europee

Luigi Pellegrino Scaramuccia


Luigi Pellegrini detto Scaramuccia o il Perugino è stato un pittore e storico dell'arte italiano.
1666 manoscritto  Le  Finezze de’ pennelli italiani-> una sorta di viaggio dantesco accompagnato
da figure illustri esistenti con cui tratta dei temi più in voga nel dibattito. Parte dalle romane stanze
vaticane e arriva a Venezia guidato da Bellori dove prenderà le difese della loggia di Psiche.
Seicento Francese
L’opera di Junius inizia a diffondersi in Europa: la fantasia dell’artista rende un’idea non divinizzata.
Le Accademia iniziano a volersi inserire nel mercato.
In Francia, l’aspirazione al Bello Ideale incontra qualche voce fuori dal coro, pesantemente zittita
dalla direttrice estetica di Charles Le Brun, direttore dell’Académie de peinture et de sculpture. Le
“voci stonate”:

Pierre Cureau de La Chambre (1564-1669)


Membro influente dell’Accademia di Letteratura e uno dei pochi, veri estimatori francesi della
scultura del Bernini.
1662 Idee per la perfezione della pittura per i cinque principi dell’arte -> Suddivide la pittura in
cinque ambiti applicati all’analisi dell’opera: invenzione, proporzione, colore, espressione,
disposizione. Coniuga, attraverso esempi, artisti del passato ai contemporanei.

Roger de Piles (1635-1709)


Pittore, critico d'arte e diplomatico francese.
Difende il genio di Rubens e Tiziano che scongiurano la ripetitività dell’imitazione e sono invece in
grado di suscitare emozioni attraverso la pittura. Il chiaroscuro e la disposizione hanno un ruolo
rilevante perché grazie ad esse l’occhio percepisce l’insieme rappresentato.
1673, Dialogue sur le coloris -> utilizza lo tecnica narrativa della conversazione, parla della vista
come valore cognitivo e la necessità di mettere da parte la classificazione affidando l’apprezzamento
estetico all’empatia dell’osservatore. L'argomento era uno dei più affascinanti nel dibattito tra
moderni e classici nella pittura: l'essenza della matematica della proporzione e della prospettiva nel
disegno —l'approccio classico— opposta ai colpi colorati di pennello —l'approccio dei moderni.
Nello scorrere dell'argomento Roger de Piles introdusse il termine "clair-obscur" (Chiaroscuro) per
mettere in risalto l'effetto del colore che accentua la tensione tra luce e ombre in un dipinto.

André Felibien (1619-1695)


E’ stato un architetto e storico dell’arte francese. Compiuti gli studi a Parigi, fu a Roma segretario
dell'ambasciatore di Francia. I suoi rapporti con Poussin lo portarono allo studio delle questioni
artistiche, e ritornato a Parigi ebbe (1666) la carica di storiografo dei palazzi reali, poi (1671) quella
di segretario dell'Accademia di architettura e nel 1673 di conservatore del Cabinet des Antiques Le
sue opere sono da considerare una fonte capitale per lo studio dell'arte francese nel sec. XVII. I suoi
giudizî estetici sono interessanti perché rispecchiano il gusto dominante sotto Luigi XIII e Luigi
XIV, quello di un Poussin e di un Lebrun. Fra le sue opere citiamo: Principes de l'architecture, de la
sculpture, de la peinture et des arts qui en dépendent; Description sommaire du château de
Versailles, ma soprattutto Entretiens sur le vite e le opere dei migliori pittori antichi e moderni
(1666), l'opera più importante e più nota. “A Poussin, nulla piaceva del Caravaggio, secondo lui
venuto al mondo per distruggere la pittura. Né ci si deve meravigliare di una tale insofferenza,
perché se Poussin cercava il decoro nelle proprie composizioni, il Caravaggio si lasciava trascinare
dal vero naturale così come gli appariva: erano ai poli opposti.”

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Neoclassico e Preromantico Nel XVIII secolo è la Francia la dominatrice della letteratura artistica,
grazie anche all’invenzione dei “salons” che porteranno all’affermarsi della critica d’arte in senso
proprio. Nello stesso periodo compaiono i primi scritti della scuola tedesca e di quella inglese. In
Inghilterra si affermarono, contrastandosi reciprocamente, il Classicismo e l’Anticlassicismo. Il
maggiore rappresentante del Classicismo fu Joshua Reynolds, famoso pittore e primo presidente
della Royal Accademy, legato ancora all' “Idea del Bello” del Bellori. L’Anticlassicismo fu
rappresentato con efficacia da William Hogarth, il grande pittore e incisore inglese. Egli scrisse il
trattato “The analysis of beauty” in cui, partendo dalle opere teoriche di Leonardo e Lomazzo,
giunse a considerare come “perenne forma di bellezza” la figura serpentinata michelangiolesca. In
questa temperie si formarono due poetiche che avranno ripercussioni notevoli nella cultura europea.
Una fu la poetica del “bello pittoresco”, ovvero la poetica del paesaggio come “varietà”. L’altra fu la
poetica del “bello sublime”, ovvero del sentimento di sgomento, finitezza e terrore provocato dalla
visione della natura infinita; essa trovò la sua formulazione più completa negli scritti di estetica di
Edmund Burke. Questa antitesi, che nella storia dell’arte e della letteratura verrà definita come la
“querelle” tra “neoclassici” e “preromantici”, troverà sviluppi interessanti anche negli altri paesi
europei. In Francia, alla polemica tra i continuatori delle regole accademiche e i propugnatori delle
nuove tendenze, si affiancò la nascita nel 1737 dei “salons”. Questo evento provocò l’esigenza di
una Critica d’Arte attenta all’attualità, alle nuove tendenze artistiche e volta a indirizzare il “gusto”
del pubblico. La figura centrale della critica d’arte francese fu Denis Diderot. I suoi scritti, come le
relazioni sui “salons” scritte dal 1759 al 1781 e l'“Essai sur la peinture”, svolsero funzione
d’opposizione nei confronti dei giudizi accademici. Egli esaltò la libertà del giudizio, in linea con lo
spirito dell'“Encyclopédie”, di cui era fondatore. Nello stesso periodo vennero pubblicate le opere
dei classicisti tedeschi, tra le quali spiccano per estrema importanza i lavori di Johann Joachim
Winckelmann. In “La storia dell’arte dell’antichità” (1764) egli concepisce una storia dello stile
divisa in periodi di formazione, fioritura e decadenza attraverso l’analisi delle opere d’arte, un
metodo che verrà sviluppato nel secolo seguente. Winckelmann contribuì alla diffusione del
“neoclassicismo”, fiorito anche grazie alle scoperte archeologiche di Ercolano (1738) e di Pompei
(1748). L’opera di Winckelmann e quella dei suoi epigoni ebbero valenti oppositori:
- Diderot e gli artefici dello “Sturm und Drang”, che rimproveravano l’oblio della natura (lasciare
che il "genio" sviluppasse da sé le sue capacità intellettuali: al contrario, irrazionale per gli Stürmer
und Dränger era la fredda e accademica imposizione di norme e regole che, attraverso una
disincantata profondità storica, venivano collocate in un passato troppo remoto e dunque viste come
inattuali ed inutili)
- I paladini del “revival gotico” e della tradizione tedesca, tra i quali il giovane Goethe
Settecento in Italia: L’Italia, pur rimanendo con il suo immenso patrimonio artistico fonte
d’ispirazione per tutti questi autori, assunse un ruolo di secondo piano nella letteratura artistica.
Infatti, per avere un’opera in linea con la cultura europea si dovette aspettare “La Storia pittorica
dell’Italia” (1789) di Luigi Lanzi. In essa per la prima volta viene tracciato un quadro storico
complessivo dell’arte italiana, divisa in scuole regionali, e con attenzione verso gli artisti più
rappresentativi. L’internazionalizzazione della cultura europea e la nascita della nuova figura del
critico d’arte furono la base dello sviluppo ottocentesco della Storia dell’Arte. A questi fenomeni si
deve aggiungere il lento soccombere della teoria artistica scritta dagli stessi artisti a favore di quella
degli “esperti d’arte”, fossero questi collezionisti, conoscitori, critici o puri teorici. Ci si interrogava
sull’attendibilità delle fonti artistiche e il rapporto tra scienza e antiquario, influenza degli scritti di
Mebillon (1681) riguardo l’analisi delle caratteristiche formali per classificare la scrittura in periodi e
tipologie. Influenza del metodo causa-effetto newtoniano, passaggio di metodo dell’antiquario dalle
fonti letterarie a quelle basate su immagini e oggetti.

Intorno al Gran ducato di Toscana si concentrò un notevole interesse verso lo studio degli etruschi.
Anton Frnacesco Gori con il suo Museus Etruscum analizzava e illustrava i monumenti di quella
civiltà seguendo nuovi inclinamenti metodologici. Winkelmann tentò per primo una periodizzazione
individuandone tre stili differenti (approccio filologico- antiquario). L’approccio storico-religioso
(Bianchini, Montfaucon) promosse un’attenzione ideologica e stilistica verso le opere medievali, che
andavano diffondendosi nelle collezioni dell’epoca. Presero a diffondersi numerosi saggi letterali
corredati di illustrazioni circa l’architettura gotica, specie nell’ambiente anglosassone, opere la cui
influenza dilagò anche nel contesto contemporaneo.
Le schede delle opere, sempre più dettagliate, divennero spazio di discussione all’interno dei
cataloghi, seguendo un linguaggio accessibile in linea con l’apertura al pubblico delle collezioni.
1733 -> apre il museo Capitolino con immediata fortuna critica, con un catalogo in quattro volumi
affidati a Bottari, il quale utilizzando un modello antiquario, trattava le sculture come fonti per la
storia senza attenzione per stile e materia.
Catalogo Pio Clementino -> opera di Giambattista Visconti, differenziatosi nel linguaggio
comprensibile e legato al giudizio di qualità sulle singole opere rispetto alla cronologia e allo stile,
dettagliatamente descritte e correlate di illustrazioni, all’interno delle quali venivano rappresentate
non solo le singole opere ma anche l’allestimento della collezione.
1753-1757 Raccolta di stampe dei più celebri quadri della Galleria di Dresda, affidato a Carl Von
Heineken , 100 dipinti con pianta e prospetto, affidando ad incisori di grande rilievo il compito di
realizzare la parte figurativa prestando attenzione ad ogni differenza di stile; a completare le
immagini vi erano testo dettagliato e informazioni su tecniche, dimensioni, provenienza. Così molti
altri esempi, dedicandosi ad un pubblico più ampio rispetto ad i conoscitori, misero in rilievo
l’aspetto didattico del catalogo, mutandone gli aspetti editoriali.

Mechel
tra il 1778-81 venne chiamato a Vienna per riordinare la collezione imperiale d’Austria,
revisionando gli aspetti della fruizione imitando i criteri di classificazione della biblioteca rendendo
più chiara ai visitatori i legami tra le opere grazie alla presenza di cartellini identificativi.
il catalogo uscito nel 1783 era il rapporto diretto con la collezione, sottolineandone lo scopo
didattico. Metodo criticato per aver disparato i così detti ‘’ modelli da imitare’’ tra altre opere.

La situazione mutò ulteriormente nel contesto post-rivoluzionario e alla caduta della monarchia. Ad
esempio un museo con vocazione universale allestito nel palazzo del Louvre, sotto proposta del
primo ministro Jean-Marie Roland, dove non vi era un’organizzazione per scuole e cronologia,
allestendo come se si trattasse ‘’di un prato di fiori’’. Criticata successivamente da Le Brun per la
poca chiarezza didattica.
Un ulteriore esempio riguarda l’organizzazione del Musèe des monuments Français (dall’epoca
gallo-romana al 1700) da parte del pittore Lenoir: una sala iniziale racchiudeva esempi di diverse
epoche che andavano dispiegandosi con successive sale organizzate per secolo. La luce andava
aumentando di sala in sala, evidenziando l’incedere cronologico. Alcuni aspetti storici furono inseriti
nel successivo catalogo che si dispiegava così come il museo.

Aubin- Louis Millin (1759 -1818)


Antiquites nationales -> 61 articoli dedicati ad altrettanti monumenti francesi illustrati, molti dei
quali di epoca medievale che non seguivano un apparente ordine, così da conservare la memoria di
certe antichità in un momento rischioso per la loro sopravvivenza. La sua indagine sarà
principalmente incentrata sul legame tra la produzione artistica e usi e costumi della civiltà creatrice.

Francesco Bianchini (1662-1729)


E’ stato un astronomo e uno storico italiano. Egli enfatizzava il rapporto tra la scienza e antiquaria,
storia e scienza.
1697 Istoria universale progettata per narrare, dalla creazione del mondo ai suoi giorni, le vicende
dell'umanità di tutti i continenti, dandone un quadro ordinato e organico; il Bianchini rileva i difetti
delle opere dei cronologisti pubblicate fino ai suoi giorni: mancano di omogeneità come le opere
degli antiquari. Per ottenere un'opera organica occorre riflettere sui fatti, coglierne la logica. Se il
Bianchini, com'è naturale, ribadisce la verità storica della tradizione biblica, si preoccupa anche di
trovare documenti oggettivi, non fonti letterarie, dei fatti storici: fonti dunque archeologiche,
numismatiche, etnologiche, linguistiche. Con questi dati certi cercava di storicizzare e trovare la
nascosta verità del mito che, secondo lui, è un'invenzione consapevole. Con l’elezione di Papa
Clemente XI nel 1700 Bianchini divenne cameriere d’onore e assunse incarichi prestigiosi, infatti nel
1703 fu nominato Presidente delle antichità di Roma. Negli stessi anni si interessò anche ai problemi
di restauro, anche del Pantheon, con diverse pubblicazioni di documentazioni iconografiche molto
accurate.
Johann Joachim Winckelmann (1717-1768)
Il movimento neoclassico ebbe come sede privilegiata Roma, fonte inesauribile di ispirazione
classica, e il suo massimo teorico fu il tedesco Johann Joachim Winckelmann. Questi aveva studiato
teologia, medicina e matematica, aveva quindi lavorato come bibliotecario, appassionandosi alla
lettura dei testi classici greci e nel 1755 giunse a Roma continuando il lavoro di bibliotecario presso
il cardinale Passionèi e, in seguito, presso il cardinale Alessandro Albani, importante collezionista. A
Villa Albani, lavorando e studiando, l’erudito tedesco poté condurre a termine un’opera grandiosa e
innovativa iniziata nel 1756, 1764 Storia dell’arte nell’antichità -> Dalla scrittura semplice e il
formato tascabile così da avere ampia diffusione. La storia dell’arte come racconto storiografico
continuo il cui contenuto era dato dall’osservazione nella città pontificia, non reperibile in altri testi.
La delineazione dello stile di un’epoca è la prerogativa principale, attraverso confronti e
caratteristiche, molto apprezzate dai contemporanei Riteneva che la lettura del popolo fosse
essenziale per la lettura stilistica di un’opera e per la scansione di quel racconto unitario che è la
storia dell’arte. Per la prima volta la storia dell’arte antica (e di conseguenza l’archeologia) veniva
studiata sia dal punto di vista cronologico – smettendo così di essere considerata come un tutto
omogeneo – sia dal punto di vista estetico, cioè del valore formale. Tale secondo criterio influenzò
successivamente in modo negativo gli sviluppi dell’archeologia. Basti pensare che, quando agli inizi
dell’Ottocento, Lord Elgin portò in Inghilterra i marmi del Partenone, non si volle credere che
fossero di Fidia, ma si reputarono rifacimenti di età romana, tanto li si trovò lontani dalla bellezza
ideale classica e da quel che si credeva dovesse essere l’arte fidiaca. Si faceva cioè, molta fatica a
riconoscere in queste sculture, capisaldi della plastica greca, quelle creazioni che erano state
immaginate e sognate con gli occhi del Neoclassicismo. Winckelmann, infatti, per tutta la vita non
vide mai un originale greco, ma solo copie del tardo ellenismo romano e, tuttavia, su esse fondò i
principi interpretativi di tutta l’arte greca. La tesi dei Carracci, secondo la quale la sola vera arte
dell’antichità è l’arte greca, in Winckelmann diventò il principio motorio. La letteratura artistica, a
partire dai suoi scritti, tese così a sottovalutare l’importanza dell’arte romana, che venne rivalutata
solo nel ‘900 grazie agli scritti di Wickhoff e Riegl.
1755 Dresda Pensieri sull’imitazione dell’arte greca nella pittura e nella scultura, con un
linguaggio aforistico e frammentato alternando discorsi generali ad esempi dettagliati. la prima e già
compiuta teorizzazione del Neoclassicismo, il Winckelmann parte dal presupposto che il buon gusto
aveva avuto origine in Grecia e che tutte le volte che si era allontanato da quella terra aveva perduto
qualcosa. Pertanto “l’unica via per divenire grandi, e, se è possibile, inimitabili, è l’imitazione degli
antichi.” L’imitazione è cosa diversa dalla copia. Imitare, infatti, vuol dire ispirarsi ad un modello
che si cerca di uguagliare, copiare è invece azione fortemente limitativa in quanto prevede la
realizzazione di un’opera identica all’originale. “...la generale e principale caratteristica dei
capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che
nell'espressione. L’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre
un'anima grande e posata. Quest'anima, nonostante le più atroci sofferenze, si palesa nel volto del
Laocoonte, e non nel volto solo. Il dolore che si mostra in ogni muscolo e in ogni tendine del corpo e
che al solo guardare il ventre convulsamente contratto, senza badare né al viso né ad altre parti, quasi
crediamo di sentire in noi stessi, questo dolore, dico, non si esprime affatto con segni di rabbia nel
volto o nell'atteggiamento…. Il dolore del corpo e la grandezza dell'anima sono distribuiti con eguale
misura per tutto il corpo e sembrano tenersi in equilibrio.”
1767 Monumenti antichi inediti -> dedicato al cardinale Albani, parla di questioni iconografiche
riguardo opere inedite o poco conosciute. Pubblicazione dallo spirito polemico. Testimonianza del
rapporto con Caylus: entrambi prediligono lo stile come strumento di analisi dell’opera, ma
Winckelmann opta per l’ipotesi come possibilità metodologica e preferisce il valore della sintesi
mentre Caylus opta per un metodo basato sull’osservazione e vuole espandere la ricerca a più opere
possibili.

Jonathan Richardson (1665-1745)


Pittore ritrattista, scrittore e collezionista inglese. Ricordato più per i suoi scritti che per i suoi
dipinti.
Così anche la figura del conoscitore cercava di farsi spazio nella società, anche perché l’esercizio
che egli doveva fare era uguale a quello degli altri studiosi. Richardson pone proprio questa figura
all’interno dei suoi scritti. Egli azzera il dibattito tra artisti ed eruditi sulla possibilità di giudizio ed
ambiva a trasferire la questione sul piano della pura razionalità, per promuovere la
connoisseurship. Utilizzando un inglese accessibile scrisse due discorsi: il primo fu “The
Connoisseur” nel quale sosteneva che chiunque avesse razionalità poteva acquisire la capacità di
giudizio. (“non esistono due uomini al mondo che pensino o agiscano allo stesso modo”) Secondo la
sua esperienza da ritrattista assimilava il procedimento del conoscitore sui dipinti e quello mentale
che porta a riconoscere un volto. Egli era interessato soprattutto alla diffusione di tale mestiere. Nel
secondo discorso dedicato alla “scienza del conoscitore” intendeva spronare ogni inglese colto a
coltivare questa capacità. Secondo Richardson bisognava avere una buona conoscenza della storia
generale ma soprattutto della “storia delle arti e della pittura” che intendeva come una delle
molteplici declinazioni della storia universale.

Pierre-Jean Mariette (1694 – 1774)


Incisore, collezionista d'arte, storico dell'arte ed editore francese.
Ebbe un ruolo cruciale nella promozione culturale del suo tempo e divenne l’editore di numerosi
Recueils (collezioni). Si impegnò nell’attività storiografica scrivendo un trattato sulle gemme
incisive.
“Receuil Crozat” afferma il suo metodo che mutava la visione della raccolta di incisioni da una
semplice esposizione di un collezionista ad uno strumento critico, composto di testo e immagine.
Appunto insieme a Pierre Crozat immaginò una pubblicazione che unisse opera, storiografia
dell’artista e descrizione dell’opera.

Francesco Algarotti (1712-1764)


Scrittore, saggista e collezionista d'arte. A seguito dei suoi tanti viaggi, Algarotti fu chiamato a
Dresda come consigliere di guerra. “Progresso organico per ridurre a compimento regio museo di
Dresda” pubblicato nel 1742 sottolineava il lavoro sia pratico che teorico del conoscitore. Rientrato
in patria (1753) Algarotti si dedicò alla diffusione delle proprie idee: “Saggio sulla necessità di
scrivere nella propria lingua” 1750 “Sopra l’architettura” (1756) nel quale affronto questioni di
carattere estetico. Anche egli si interessava alla tutela dei capolavori. Algarotti decise inoltre di
pubblicate le proprie lettere e questa sua decisione portò con l’edizione “Raccolta di lettere sulla
pittura, scultura e architettura”, promossa da Giovanni Gaetano Bottari, ad un vero e proprio genere
specifico.

Anton Raphael Mengs (1728-1779)


Anton Raphael Mengs è stato un pittore, storico dell’arte e critico d’arte boemo, attivo anche a Roma
e a Madrid. Come artista fu acclamato da tutta Europa e definito il maggiore esponente del
Neoclassicismo. Rinnegando la tradizione pittorica del Barocco e del Rococò, attraverso lo studio
dell'antico e di Raffaello, l’artista creò composizioni di nobile semplicità, con colori chiari e
brillanti. Nato ad Aussig in Boemia, Mengs studiò a Dresda con il padre pittore di corte, carica che
lui stesso ricoprì dal 1744. Dopo alcuni soggiorni a Roma, nel 1746 vi si stabilì, legandosi a
Winckelmann e diventando uno dei pittori più celebrati dell’Accademia di San Luca. Dal 1761 si
trasferì a Madrid chiamato da Carlo III di Borbone, continuando a lavorare tra la capitale spagnola e
quella pontificia. Mentre era in vita Mengs pubblicò un unico testo, Pensieri sulla bellezza e sul
gusto nella pittura, edito nel 1762 e dedicato a Winckelmann. L’obiettivo era “spiegare cosa sia la
Bellezza, giacché gli uomini sono assai di varia opinione su questa materia. Secondariamente
spiegare il Gusto; poiché la maggior parte di quelli, che hanno scritto sul medesimo, non danno
contezza chiara della ragione, per cui la parola Gusto viene usata parlandosi di Pittura.” Dopo una
dettagliata analisi dei propri principi estetici, Mengs trattava di Raffaello, Correggio e Tiziano, con
brevi notizie biografiche, concentrando l’analisi su chiaroscuro, colorito, composizione e panneggio,
allo scopo di dimostrarne il valore come modelli per gli artisti contemporanei. La fortuna critica di
Mengs si deve soprattutto all’edizione (postuma) delle sue Opere, basata su manoscritti lasciati dal
pittore al momento della sua morte. Tra le Opere di Mengs furono stampate le Memorie concernenti
la vita e le opere di Antonio Allegri, denominato Correggio. (L’Allegri era in quel momento al
centro di molte attenzioni erudite e rappresentava un modello di gusto per la critica contemporanea).
Nei testi di Mengs l’analisi dei dipinti resta funzionale alla dimostrazione delle sue teorie estetiche e
al sostegno delle sue scelte stilistiche, tanto che mancano completamente dati tecnici e illustrazioni,
che molto avevano impegnato i conoscitori.

Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy (1755-1849)


Teorico dell’architettura, politico, filosofo, archeologo e critico d’arte francese. Quatremère studiò al
Lycée Luis-le-Grand e si distinse principalmente per il suo gusto nelle arti. Destinato alla
professione di avvocato, preferirà dedicare la sua gioventù ad approfondite ricerche sull'architettura e
la scultura. Si recò quindi in Italia nel 1776, prima a Roma e successivamente a Napoli e in questo
viaggio collezionò elementi che gli sarebbero tornati utili per la stesura del suo Dictionnaire
d'architecture, il cui primo volume sarebbe uscito nel 1788. Legato con l'italiano Antonio Canova, e
con i francesi Charles Percier e Pierre Julien, fu premiato nel 1785 dall'Académie des inscriptions et
belles-lettres per le sue memorie sulla domanda: «Qual era lo stato dell'architettura ai tempi degli
Egizi, e cosa hanno importato i Greci presso di loro?». Questo riconoscimento spinse l'editore
Charles-Joseph Panckoucke ad affidargli la redazione del volume sull'architettura dell'Encyclopédie
méthodique, importante opera pubblicata tra il 1795 e il 1825. Guadagnò anche fama come
archeologo. Oltre al Dictionnaire d’architecture, un’altra opera fondamentale di Quatremère è
“Lettere a Miranda”. Indirizzate nel 1796 al generale Francisco de Miranda nel periodo in cui
Napoleone spoliava l'Italia, le Lettere di Quatremère de Quincy costituiscono ancora oggi una
straordinaria requisitoria contro la "deportazione" delle opere d'arte dal loro contesto originario.
Sono un documento attualissimo per ogni riflessione che riguardi il significato delle opere d'arte, la
loro interpretazione e la loro corretta gestione. Le grandi opere del passato, frutto e testimonianza
della cultura di un popolo, possono divenire oggetto di spoliazione? Mantengono inalterato il loro
valore storico e documentario se "estrapolate" dal loro contesto di origine? Il luogo che raccoglie un
bottino di guerra può essere definito Museo o piuttosto "luogo di deportazione"? Si tratta di
un'appassionata difesa del patrimonio culturale come base irrinunciabile di una civiltà illuminata e
comune, contro il pregiudizio e contro la barbarie della guerra.

Giovanni Gaetano Bottari (1689-1775)


filologo, lessicografo, archeologo, bibliotecario, accademico, erudito e teologo italiano. Si interessò
al problema della conservazione delle opere d’arte e della veridicità delle fonti nelle opere. Rivalutò
inoltre l’arte del Trecento italiano. Nella riedizione delle Vite vasariane, Bottari analizza le opere
trattate nel testo e inoltre risponde al progressivo cambiamento nel rapporto testo-immagine.
A Roma coltiva interessi critico-estetici legati all’antiquaria e nutre diffidenza nei confronti dei
restauratori.
Conservazione e documentazione furono le parole chiavi di “Raccolta di lettere sulla pittura,
scultura ed architettura scritte da' più celebri professori che in dette arti fiorirono dal sec. XV al
XVII” di una fitta rete di corrispondenti che assumevano valore storico. Il modello epistolografico fu
per Bottari occasione di dare voce ai suoi contemporanei. A metà secolo si sviluppò un’attenzione
per la materia delle opere che imponeva ai restauratori una maggiore sensibilità nella conservazione;
in quel periodo cresceva l’attenzione verso i materiali di cui era composto l’oggetto d’arte, l’azione
dei restauratori era dunque di tipo tecnico quanto teorico.

Conte di Caylus (1692 –1765)


Anne-Claude-Philippe de Tubières, meglio conosciuto come Conte di Caylus, è stato un archeologo,
pittore e antiquario francese, padre fondatore della moderna archeologia.
Fu, tra le altre cose, un alto ufficiale e servì sotto l'esercito durante la Guerra di Successione
spagnola; alla fine del conflitto abbandonò una promettente carriera militare per consacrarsi allo
studio delle lettere e delle arti, in particolare alla ricerca di oggetti antichi. Iniziò ad intraprendere
diversi viaggi in giro per il mondo e, tra le molte località, compì studi in Inghilterra, Germania ed
anche in Italia, dove giunse nel 1714, di quest'ultimo viaggio scrisse delle memorie in Voyage
d'Italie scritto tra il 1714 e il 1715. Nel 1717 strinse amicizia con il pittore Watteau e nel suo
laboratorio compì l’apprendistato come incisore. Negli anni 20 collaborò al Recueil Crozat e in
questi anni si dedicò a raccogliere incisioni dei principali della scuola italiana ma si si interessò
anche all’arte contemporanea. Nel 1730 lavorò con Mariette alla stampa delle caricature di Leonardo
e insieme nel 1757 pubblicarono “Recueil des peintures antiques”.
In “Regard de l’amateur sur lui même” Caylus in opposizione al curioso poneva l’amatore capace
di giudicare senza pregiudizio.
1752-67 Recueil d’antiquitès egyptiennes, etrusques, grecques et romaines” scritto in 7 volumi.
Nel testo criticava gli antiquari come Bellori, accusandoli di aver descritto l’antichità attenendosi
poco alla realtà. Nel “Avertissement” paragonava il proprio modo a quello scientifico sottolineando
l’importanza della comparazione e dell’osservazione diretta. Caylus riconobbe inoltre ai conoscitori
italiani l’abilità nella distinzione di patine e vernici.
Criticava in oltre che la qualità (veridicità) delle riproduzioni erano spesso scarse poiché le copie non
venivano eseguite dal vero (lui lavorava su oggetti visti da vicino, solitamente di uso comune)
Condivideva l’idea del declino dell’arte dopo quella greca ma sottolineò la peculiarità di ogni popolo
legando le diverse culture (nel 3 tomo introduce l’analisi dell’arte gallica) , la narrazione storica deve
avere un carattere didattico, idea condivisa da Winckelmann

Denis Diderot (1713-1784)


Denis Diderot è stato un filosofo, enciclopedista, scrittore e critico d’arte francese. Fu uno dei
massimi rappresentanti dell'Illuminismo e uno degli intellettuali più rappresentativi del XVIII secolo,
amico e collaboratore di Voltaire e del barone d'Holbach, col quale scrisse numerose opere anonime
di intonazione antireligiosa e anticlericale. Fu promotore, direttore editoriale ed editore
dell'Encyclopédie, avvalendosi inizialmente dell'importante collaborazione di d'Alembert, che però
alle prime difficoltà con la censura, si ritirerà. Oltre al colossale lavoro enciclopedico e alle
pubblicazioni anonime per aggirare la censura, Diderot scrisse numerose opere filosofiche e teatrali,
romanzi, articoli e saggi su disparati argomenti, occupandosi di arte, storia, politica e società.
Diderot svolse un ruolo capitale anche nella storia della critica d'arte e nella storia dell'arte. Potendo
avere accesso alla pittura del XVI e XVII secolo, presente nelle collezioni del duca d'Orléans al
Palais Royal, nonché nelle proprietà dell'amico barone d'Holbach, Diderot vi contribuì dischiudendo
una strada che condurrà sino a Baudelaire. Diderot fu il primo a collegare il punto di vista tecnico a
quello estetico nella sua critica d'arte, raccolta principalmente nella serie di impressioni ch'egli
consegnò in forma epistolare in occasione delle esposizioni parigine (i Salons) alla Correspondance
littéraire dell'amico Friedrich Grimm. Il Salon, iniziativa dapprima annuale, poi biennale dal 1746 al
1781 era un'esposizione di pittura ad ingresso gratuito che si apriva al mattino del giorno della festa
del re, San Luigi, il 25 agosto e che durava all'incirca fino alla fine di settembre. L'estetica
illuminista trova in Diderot, che la intendeva come un mezzo di sviluppo della società, l'abbandono
degli schemi idealistici, dato che il senso estetico e la bellezza divengono per lui il frutto di un
“rapporto” tra l'oggetto artistico e chi lo percepisce con la propria sensibilità individuale. In questo
modo l'“estetico” non è più l'oggetto in sé, ma il “rapporto” soggetto-oggetto. Sono tali rapporti a
fondare il bello in generale, mentre ogni singolo bello particolare (di ogni oggetto artistico) non è
riferibile ad alcuno degli schemi codificati di bellezza. Nel Traité du Beau Diderot precisa il suo
pensiero relativamente al “bello” con un'ulteriore relativizzazione, conferendo una base filosofica
all'estetica che è lontana sia dal sensismo puro che dall'astrazione intellettualistica. Secondo Diderot
un particolare elemento di giudizio nell'esame di un'opera d'arte può essere rappresentato anche da
quel "velo del tempo", da quella patina che valorizza i quadri di pittori come Claude Joseph Vernet
che hanno «un tono di colore migliore degli altri perché hanno avuto il vantaggio di essere stati
dipinti dal tempo, come accade alle opere dei grandi coloristi. Vernet si trova bene alla verifica del
tempo, che nuoce tanto ai suoi colleghi.» Diderot teorizza in questo modo anche un gusto per
l'antico, che influenzerà il restauro romantico e l'estetica del neoclassicismo.

Scipione Maffei (1675-1755)


storico, drammaturgo ed erudito italiano.
Formatosi presso i collegi gesuiti di Parma e di Roma, abbracciò da giovane la carriera delle armi,
divenendo ufficiale nell'esercito bavarese. Tornato in Italia dopo alcune battaglie, iniziò a scrivere,
pubblicando trattati su vari argomenti e rilanciando il teatro italiano della prima metà del Settecento.
Parte consistente del suo lavoro si svolse nei musei, che diventano luogo didattico sulla storia della
città poiché presenta una selezione ordinata di oggetti patrimoniali accessibili.
Accademia Filarmonica -> Ordinamento delle epigrafi di tipo topografico e cronologico, coniugato
ad un ulteriore divisione tipologica delle epigrafi romane ( criteri scientifici )
A lui si deve l'istituzione del Museo Lapidario di Verona, avvenuta nel 1714 Se il lapidario di Torino
si inseriva in un progetto museale pubblico, voluto dal sovrano e centrato sulle collezioni
universitarie, quello veronese rimase l'impresa di un singolo, sostenuta solo parzialmente dalle
magistrature cittadine, ma destinata a creare un modello. In seguito si stabilì a Firenze e per due anni
studiò codici e lapidi antiche, intraprendendo anche lo studio delle antichità etrusche. Identificava
infatti gli Etruschi con i veri "Itali primitivi", dai quali i Romani avrebbero derivato gran parte delle
istituzioni civili e religiose; a loro volta gli Etruschi sarebbero stati assimilabili agli antichi Cananei,
donde l'origine biblica della civiltà italica. A questo periodo risalgono scritti come Museum
Etruscum (nel quale Maffei analizzava e illustrava i monumenti della civiltà etrusca) e Del governo
de' Romani nelle provincie (nel quale l’autore dibatteva i problemi del rapporto fra centralismo e
autonomie municipali nell'antica Roma). Durante il soggiorno fiorentino, nel 1721, iniziò anche un
trattato di epigrafia, Ars critica lapidaria, completato nel 1724 ma pubblicato solo postumo; ancora a
Firenze nel 1721 pubblicò le Complexiones di Cassiodoro, estratte dai codici della Biblioteca
capitolare di Verona, con una prefazione in latino che trattava della scoperta dei codici veronesi
senza velare la sua scarsa considerazione per i canonici della cattedrale.
1731-32 Verona illustrata -> suddivisione tematica e cronologica su diversi piani, analisi storico-
politica. Analizza le opere d’arte definendole ‘cose mirabili’ attraverso i legami tra gli artisti,
sostiene la relatività del giudizio in base al periodo di realizzazione dell’opera. Gli aspetti funzionali
e strutturali sono alla base per le valutazioni architettoniche e scultoree, avendo attenzione per le
operazioni di restauro, prediligerà il testo scritto alle immagini.

Francesco Milizia (1725-1798)


Francesco Milizia è stato un teorico dell'architettura, storico dell’arte e critico d’arte italiano, teorico
del Neoclassicismo. Primario campo di interesse per Milizia fu l'architettura, alla quale dedicò varie
pubblicazioni storiche e teoriche. Egli viene per questo creduto erroneamente un architetto; al
contrario, "non esercitava praticamente l'architettura, bensì possedeva le dottrine che concorrono a
farne un conoscitore". Propugnava la necessità di imitare i capolavori dell'arte greca, poiché questi
artisti avevano potuto ispirarsi ad una natura ed a una società non ancora corrotte. In Principi
dell'architettura civile, l’architettura è per lui un’arte di imitazione della natura e non è soggetta alle
mode, nasce da necessità concrete tendenti alla bellezza e quindi ad un’invenzione governata da
regole. I greci sono posti in vetta a questi risultati estetici, i più vicini alla realizzazione perfetta del
buongusto che avviene secondo principi di perfezione e di simmetria. Viene poi tracciata anche una
breve storia dell’architettura, in cui l’autore si dimostra consapevole dell’evoluzione e del
mutamento degli stili che si muovono con un’alternanza di declino e ottima esecuzione. In queste
pagine esalta anche l’architettura gotica considerata originale perché del tutto ignota alla Grecia e a
Roma. Tuttavia, il suo giudizio resta impiantato nella fitta rete dei confronti con l’arte greco-romana
da un lato e quella moderna dall’altro. Egli codifica il proprio giudizio in una scala di valori in cui il
gotico è inferiore all’arte antica ma superiore a quella moderna; (tale gerarchia è in parte
inconsciamente sovvertita quando afferma poco più tardi che si potrebbero realizzare degli edifici
che all’esterno si rifanno all’arte greca, che è principalmente architettura d’esterni, e all’interno
all’arte gotica che è migliore non solo dei moderni ma anche degli antichi). Milizia critica gli abusi
stilistici e propende per la semplificazione progressiva degli stili operata nel Neoclassicismo: è il
caso, ad esempio, della Sacrestia della Basilica di San Pietro in Vaticano, che fu commissionata a
Carlo Marchionni nel 1776 e che Milizia definì la più sontuosa e "la più irragionevole... del globo".
Nel 1761 si recò a Roma per amministrare gli edifici di proprietà del re di Napoli nello stato
pontificio. Mantenne questo incarico per un quarto di secolo, fino al 1786 per dedicare il suo tempo
agli studi storici e teorici d'arte e architettura. I suoi scritti maggiori sono Le Vite de' più celebri
architetti d'ogni nazione e d'ogni tempo, precedute da un Saggio sopra l'architettura; Principj di
Architettura Civile; Dell'arte di vedere nelle belle arti del disegno secondo i principj di Sulzer e di
Mengs.

Edmund Burke (1729-1797)


politico, filosofo e scrittore britannico di origine irlandese, nonché uno dei principali precursori
ideologici del romanticismo inglese.
1757 Un'indagine filosofica sull'origine delle nostre idee di Sublime e Bello -> ha attratto
l'attenzione di eminenti pensatori e filosofi dell'epoca, quali Denis Diderot e Immanuel Kant. In
sintesi, il Bello, secondo Burke, è ciò che è ben formato ed esteticamente gradevole, mentre il
Sublime è ciò che ha il potere di costringerci a fare qualcosa e di distruggerci. La preferenza del
Sublime sul Bello rappresenta il segno del passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo. Le
origini delle nostre idee del bello e del sublime, secondo Burke, possono essere definite
comprendendo le loro strutture e le loro cause. In accordo alla fisica e metafisica aristotelica, il nesso
causale può essere suddiviso in cause formali, materiali, efficaci e finali. La causa formale della
bellezza è la passione d'amore; la causa materiale riguarda le caratteristiche degli oggetti, quali la
grandezza, la morbidezza o la delicatezza dell'oggetto; la causa efficace è, ad esempio, la calma che
l'oggetto provoca in noi; la causa finale è la provvidenza divina La cosa più singolare e originale di
quanto afferma Burke sul Bello è che esso non può essere compreso mediante i criteri tradizionali
della bellezza: proporzioni, forma o perfezione. Anche il Sublime ha una struttura causale, ma
diversa da quella del Bello. La sua causa formale è dunque la passione della paura (soprattutto la
paura della morte); parallelamente, la causa materiale è la immensità dell'oggetto, il suo essere
infinito, la sua spaventosa magnificenza; la sua causa efficace è la tensione che provoca sui nostri
nervi; la causa finale è Dio, che ha creato e combattuto Satana. Questa opera di Burke è stata la
prima completa esposizione filosofica che ha separato il Bello e il Sublime nelle loro rispettive
categorie razionali.

Joshua Reynolds (1723-1792)


Sir Joshua Reynolds è stato un artista inglese, uno dei più importanti e influenti pittori del XVIII
secolo in Gran Bretagna e uno dei fondatori della Royal Academy of Arts. L’Accademia fu fondata
nel 1768 e Reynolds ne divenne il primo presidente, eletto praticamente all'unanimità, ricevendo
l'anno successivo anche un'onorificenza dal Re, a testimonianza del suo riconoscimento artistico.
Durante la presidenza della Royal Academy, che detenne sino alla morte, l'artista pronunciò quindici
Discorsi agli studenti, oggi ricordati per la loro sensibilità e magniloquenza: in essi, dopo aver
riassunto le teorie artistiche dei secoli precedenti analizzava la funzione dell'arte, che, a suo dire,
doveva esprimersi con soggetti «nobili» e «dignitosi», riprendendo i motivi della tradizione
classicista, definita come già accennato «grande stile»: invenzione, espressione, colorito e
drappeggio. (1782 – Joshua Reynolds sul Baccanale degli Andrii, un singolare parallelismo tra
Tiziano e Virgilio → «È a Tiziano che bisogna rivolgere i nostri occhi per scoprire nel colore, nella
luce, nelle ombre l'eccellenza ad altissimo livello. Egli è stato il primo e insieme il più grande
maestro in tale arte. Il suo principale eccellere sta nella maniera o nel linguaggio, come si voglia
dire, in cui Tiziano e quelli della sua scuola si esprimono. La maniera, in pittura, è in realtà ciò che è
il linguaggio in poesia [...]. Come è stato detto per Virgilio che persino allo spargere il letame sulla
terra riesce a dare un tono di dignità, altrettanto si può dire per Tiziano. Qualsiasi cosa egli tocchi,
per quanto insignificante o familiare, per una sorta di magia essa viene investita di grandezza e
importanza»)

Luigi Antonio Lanzi (1732-1781)


gesuita, archeologo e storico dell’arte italiano. Lanzi fu educato per diventare sacerdote. Fece i suoi
primi studi nel collegio dei gesuiti di Fermo ed entrò nella Compagnia di Gesù nel 1749 a Roma.
Nella capitale pontificia studiò retorica e tra il 1751 e il 1752 si laureò in filosofia e teologia al
Collegio romano. Nel 1761 fu ordinato sacerdote. Dopo la soppressione della Compagnia di Gesù,
nel 1775, fu chiamato dal granduca Pietro Leopoldo alla Galleria degli Uffizi* a Firenze come
vicedirettore ed antiquario. (* Pietro Leopoldo di Lorena, aprendo la Galleria al pubblico nel 1769 e
provvedendo alla costruzione di un nuovo ingresso, promosse una radicale trasformazione della
Galleria, affidandone la direzione a Giuseppe Pelli Bencivenni e il riordino, completato negli anni
1780/82 a Luigi Lanzi, che seguì i criteri razionalistici dell’Illuminismo con “un suo proprio genere
di cose o al più di due” in ogni sala. Nella Galleria venne rimossa l’armeria, venduta la collezione di
maioliche e spostati gli strumenti scientifici; questi cambiamenti sono dovuti ad una visione
razionalistica di quell’Illuminismo che distingueva la scienza dall’arte e volle concentrare negli
Uffizi la pittura, separata dalla scultura e le arti minori, in opposizione all’eclettismo rinascimentale.)
Lanzi si dedicò soprattutto allo studio della pittura italiana e della storia e della lingua etrusca. Nel
primo campo il frutto delle sue fatiche è rappresentato dalla monumentale Storia pittorica dell'Italia.
La prima parte dell'opera, che si occupa delle scuole fiorentina, senese, romana e napoletana,
apparve nel 1792, la parte restante nel 1796. La Storia pittorica dell'Italia ebbe un enorme successo e
fu tradotta in diverse lingue consacrando il Lanzi come padre della moderna storiografia artistica
italiana. Nell'ambito dell'etruscologia il suo lavoro principale fu il Saggio di lingua etrusca e di altre
antiche d'Italia (1789). Importante è anche il saggio Dei vasi antichi dipinti volgarmente chiamati
Etruschi (1806) in cui Lanzi dimostrò la che l'arte etrusca deriva da quella greca. Scopo del Saggio
di lingua etrusca è dimostrare che l'Etrusco è imparentato con le lingue dei popoli vicini: Romani,
Umbri, Osci e Greci. Nell'opera Lanzi svolge un'analisi ad ampio spettro sulla cultura, l'arte e la
civiltà degli Etruschi e degli antichi popoli dell'Italia centrale e meridionale. Le sue considerazioni
sui vari stili della scultura antica pubblicate in appendice al Saggio di lingua Etrusca, derivano da
uno studio minuzioso della collezione medicea, trasferita in quegli anni dalla Villa Medici di Roma a
Firenze. I meriti di Lanzi nel campo della filologia e dell'archeologia etrusca ne hanno fatto uno dei
fondatori della moderna etruscologia. Lanzi morì a Firenze ed è sepolto nella Basilica di Santa
Croce, ai piedi di Michelangelo.

Giovanni Lodovico Bianconi (1717-1781)


Compiuti gli studi umanistici e appresa la lingua greca, seguì gli studi di matematica. Terminatili,
all’età di diciannove anni, si dedicò con passione alla medicina e conseguì la laurea in filosofia e
medicina. Mentre esercitava la professione di medico non rinunciò ad occuparsi di altre ricerche
scientifiche già in parte avviate negli anni bolognesi. In forma di lettere indirizzate a Scipione Maffei
scrisse due dissertazioni, una di meccanica e l'altra di acustica, e le pubblicò a Venezia nel 1746 col
titolo Due lettere di fisica al sig. marchese Scipione Maffei. Ma il suo principale merito è quello di
aver dato vita a Lipsia al Journal des savans d'Italie: un periodico di cultura che aveva lo scopo
d'informare i lettori tedeschi della situazione degli studi scientifici e letterari in Italia. Vi si davano
rendiconti di recenti pubblicazioni di vario argomento, da scritti di materia storica e religiosa a opere
scientifiche e letterarie e ad edizioni recenti di testi antichi. La corte di Dresda era delle più fastose di
tutta Europa, forse seconda soltanto a quella di Parigi, e il principe, appassionato di belle arti e di
musica, era tutto inteso a rendere splendida la sua capitale. Già s'era servito dell'Algarotti per
acquistare in Italia opere d'arte per la famosa Galleria e il medesimo incarico conferì al Bianconi, il
quale tuttavia per adempierlo non viaggiò come il suo predecessore, ma si valse dell'aiuto di
corrispondenti. Tra i vari dipinti che per opera sua furono acquistati in Italia il più famoso è la
raffaellesca Madonna Sistina, nel 1753. A legare il Bianconi ancora più saldamente alla Sassonia
contribuì l'amicizia di artisti e letterati quali il Canaletto, Mengs, che stava iniziando la sua fortunata
carriera di pittore, e Winckelmann. Quando questi scese in Italia per la prima volta (1755) fu ospitato
a Bologna in casa Bianconi, per interessamento del Bianconi, che fu il suo mecenate e colui che
riuscì a introdurlo nella società di corte e dei dotti in Germania e in Italia. La varia cultura
dell'amatore di opere d'arte, del curioso di notizie storiche, dello studioso di codici antichi rende
alquanto caotico lo stile delle prime lettere, ma quanto più si procede nella lettura, tanto meglio si
scoprono l'acume e l'equilibrio dell'osservatore, che sa raccontare e giudicare con serenità, ma pur
sempre con partecipazione e interesse umano, scrivendo in una forma chiara, elegante. Un'attività
letteraria più continua caratterizza gli anni romani del Bianconi, che si volse esclusivamente alla
ricerca erudita, alla divulgazione, allo studio dell'antiquaria e delle belle arti. Delle opere di questo
periodo ricordiamo Descrizione dei Circhi particolarmente di quello di Caracalla. La molteplicità
d'interessi lo portò a dedicarsi con impegno al giornalismo letterario. Nel 1772 si fece promotore
delle Efemeridi letterarie, fu poi tra i promotori del Nuovo Giornale dei Letterati d'Italia, collaborò
attivamente alla Antologia romana, nella quale pubblicò non solo articoli firmati ma altri non pochi
con lo pseudonimo di "Amatore delle belle arti".

Johann Dominicus Fiorillo (1748-1821)


o un pittore e storico dell'arte tedesco. L’obiettivo di Fiorillo era allargare lo sguardo sulle
produzioni artistiche europee, partendo dal modello lanziano. Fu prima professore di disegno,
titolare di storia dell’arte. Consapevole dei limiti dell’arte sulle incisioni, Fiorillo raccomandava di
visitare le gallerie d’arte tedesche e straniere, organizzando con gli studenti numerose visite con
l’obiettivo di affinare l’esercizio dell’occhio. “Storia delle arti del disegno, del loro rinascimento fino
ai tempi più recenti”, trattava della storia della pittura con uno sguardo europeo. Fiorillo si
richiamava al modello di Zanetti e Lanzi dei quali riconosceva il pregio di una ricerca esaustiva e la
capacità di racconto storico indipendente dal giudizio estetico. Recuperò la storiografia artistica da
Richardson a Zanotti, da Crespi a Bottari, rivendicando la necessità di una formazione artistica come
fondamento per il giudizio. Per un buon giudizio critico servono capacità pratiche nel disegno e uno
sguardo che sa comparare

Jean-Baptiste-Louis-Georges Seroux d'Agincourt


storico dell’arte francese. Ricco aristocratico cresciuto nella Parigi degli enciclopedisti e dei
conoscitori come Caylus, tra il 1777 e il 1781 compì un lungo viaggio in Europa, visitando
l’Inghilterra, la Germania, i Paesi Bassi e l’Italia (In Italia aveva incontrato Lanzi a Firenze nel
1779). Durante il suo tour europeo D’Agincourt acquistò disegni, terrecotte, opere d’arte bizantina e
medievale (fu uno dei primi eruditi europei a nutrire un importante interesse per i Primitivi), che
costituirono parte del materiale per la sua riflessione storiografica. Stabilitosi a Roma nel 1781,
D’Agincourt si inserì nella vivace vita culturale della capitale pontificia, facendo conoscenza, tra gli
altri, con Goethe e monsignor Borgia. Una prima versione della sua opera maggiore Histoire de l'art
par les monuments, depuis sa décadence au IV siècle jusqu’à son renouvellement au XVI doveva
essere già pubblicata nel 1789, ma lo scoppio della Rivoluzione Francese costrinse l’autore a
rimandare la pubblicazione. Il testo fu edito, a fascicoli, solo tra il 1810 e il 1823. D’Agincourt
presentava la sua opera come la continuazione della storia dell’arte di Winckelmann (anche le sue
idee, come quelle dello storico tedesco, erano di impronta classicista) che, “avendo scelto la migliore
parte” (l’arte antica, e in particolare quella greca), lo aveva spinto a trattare “un funesto periodo in
cui l’Arte, sottoposta, come i mortali, alla debolezza e al decadimento, parve come loro, spegnersi e
morire” (l’arte medievale). D’Agincourt descrisse una storia dell’arte per grandi epoche e illustrò le
opere dall’epoca di Costantino fino all’inizio del XVI secolo. Enfatizzando la mancanza di studi
complessivi su quei secoli, egli rivendicava la necessità di conoscerli per conservarne la memoria.
Tuttavia, ciò non gli impediva di considerare l’arte medievale “un funesto periodo”, lontano dalla
bellezza ideale e dai criteri estetico-stilistici elaborati per la scultura antica e la pittura moderna. La
sua storia sarebbe così stata utile agli artisti per opposizione: “Winckelmann mostrò loro ciò che
dovevano imitare, io additerò loro ciò che devono fuggire.” Infine egli proponeva un racconto
cronologico che rifiutava la suddivisione per nazioni proposta da Caylus.

(1815) decisione del congresso di Vienna di restituire le opere saccheggiate da napoleone ai loro
paesi di origine. Nasce cosi una discussione sulla loro appartenenza (statale , ecclesiastica e privata )
nascono cosi in Europa le prime istituzioni museali con una crescente professionalizzazzione degli
addetti ai lavori ( dibattitto che segnò l’europa sui marmi del partenone ) continua dialettica tra una
rigorosa analisi del passato su base positivista e il curvare la storia alle esigenze del contemporaneo.
Con la nascita dei musei e l’evoluzione della loro missione arte e cultura furono considerate le vie
maestre per il compito di dare forma sai all’individuo che alla collettività , in questo ambito rientra
la fondazione del museo di Berlino, che possedeva una delle raccolte di pittura più importanti
d’europa .
Per quanto riguarda l’allestimento , in una primo progetto Aloys Hirt (1759-1837) asegnava al
museo il compito di presentare una storia visibile dell’arte ispirata ai modelli elaborati nei decenni
precedenti a Vienna, Roma e Parigi dove Hirt ha vissuto tra il 1782 e il 1796, un museo in teso
come luogo di studio per intenditori e artisti. Nel 1823 una commissione presieduta da Wilhelm
von Humboldt di cu faceva parte lo stesso Hirt e L’architetto Friedrich Schinkel e gli storici dell’
arte Gustav Friedrich Waagen e Carl Friedrich von Rumohr , proposero una diversa concezione di
museo , non più come luogo che doveva rendere visibile l’evoluzione storica dell’arte ma come
spazio per comprendere e sperimentare la “bellezza” ( prima dilettare e poi insegare ). Waagen
( 1794- 1868 ) rappresentava un nuovo tipo di specialista in grado di collegare in gardo di collegare
la ricerca scientifica con il lavoro di funzionario museale, tra università e museo si formò il gruppo
di studiosi della “ scuola di Berlino “ che portò avanti una discussione sui metodi e sulle
competenze degli storici dell’arte , anche in concorrenza/ separazione con altre discipline come la
filosofia , la storia e l’archeologia. Il modello scientifico filologico favoriva ricerche circoscritte ,
incentrate sul legame tra autopsia dell’opera e critica delle fonti, il modello illuministico
enciclopedico subiva una trasformazione nei manuali e nelle costruzione storiografiche a carattere
universale.
Johann Gottlob von Quandt osservava che la suddivisione della storia dell’arte è una difficoltà in
cui s’imbatte chiunque non la guardi da un punto di vista più generale , da cui risulti il suo essere una
delle manifestazioni della storia dell’umanità , un’ottica dalla quale il fatto singolo scompare
dell’tutto , e che quindi in vece della suddivisione per scuole fosse da preferire una scansione
cronologica in epoche costruita attorno ai grandi maestri che attrassero nella loro orbita una qantità
di discepoli , animando intere età con il loro spirito . Due decenni più tardi a Londra Giovan battista
Cavalcaselle e Joseph a . Crowe reimpostarono la storia della pittura italiana su rinnovate basi
metodologiche e storiografiche.
Risultati convincenti furono raggiunti , dove il materiale raggiunto dalla erudizione settecentesca e i
nuovi risultati degli studi critici vennero intrecciati con un dichiarato intento didattico , finalizzato a
corsi di storia dell’arte all’università nelle accademie e nelle scuole professionali, ma anche nella
preparazione del pubblico al museo, la funzione di questi testi era di fornire un quadro d’insieme
comprensibile e aggiornato , anche senza conoscenze specifiche in cu collocare i singoli fatti e
opere , cosi i storici dell’arte cominciarono a scrivere anche per il pubblico della piccola e media
borghesia , che conosceva l’arte solo nei musei o nei volumi illustrati , si apriva dunque un nuovo
ambito di attività per gli storici, finalizzato alla formazione di un pubblico vasto attraverso scritti
pensati per una diffusione ampia.

Jacob Burckhardt (1818-1897)


storico svizzero, tra i più importanti del XIX secolo. Quarto di sette figli, da giovane, per volontà del
padre studiò filologia, storia antica, storia dell'arte e teologia. In seguito abbandonò tale indirizzo e si
dedicò per gran parte alla storia, frequentando i corsi all’Università di Berlino. Non fu una carriera
atipica la sua, gran parte dei critici d'arte suoi contemporanei si laurearono in materie scientifiche
(come Giovanni Morelli), altri frequentarono corsi di mineralogia (come John Ruskin). Per
Burckhardt la Storia dell'Arte era una passione, un interesse che coltivava da vicino, alternandolo
alle altre materie a lui preferite. Nel 1843 Burckhardt si laureò, divenne storiografo e professore
universitario, ma fu l'arte ciò che continuò ad appassionarlo e così, quando si trovò a Berlino,
frequentò senza indugiare la casa di Franz Kugler. Quest'ultimo, oltre ad essere uno dei maggiori
esponenti della Scuola Berlinese di Critica d'arte fu un maestro e un punto di riferimento per il
giovane. Casa Kugler a quel tempo era un luogo di ritrovo per artisti, poeti, intellettuali e giovani
allievi, ai quali Burckhardt mostrò tutto il suo carisma, la sua eloquenza e le sue capacità. Era abile,
intelligente, dotato, caratteristiche che non sfuggirono all'occhio attento di Franz Kugler, che ripose
tutte le sue speranze in lui affidandogli nel 1847 la seconda edizione di "Storia della pittura" e di
"Storia dell'arte" (proprio grazie alla collaborazione con Kugler, Burckhardt acquisì quelle
competenze in ambito storico-artistico che sarebbero state fondamentali per le sue opere successive).
Nel 1846 partì per l'Italia, dove soggiornò per un biennio, restando affascinato dalla ricchezza del
patrimonio culturale italiano e scoprendo soprattutto nelle opere del Rinascimento una bellezza
senza pari. Tornato in patria, si dedicò alla letteratura, e nel 1853 pubblicò la sua prima grande opera
Il tempo di Costantino il Grande seguita da Il Cicerone. Guida al godimento delle opere d'arte in
Italia. Quest’ultimo fu un testo concepito per i viaggiatori tedeschi in Italia, che univa la tradizione
del manuale storico-artistico con quella delle guide. L’opera ebbe successo, fu rapidamente tradotta
in più lingue e influenzò profondamente, per almeno un secolo, la percezione dell’arte e della cultura
italiane da parte dei viaggiatori e dei turisti provenienti dal Nord Europa. Nel 1860 pubblicò una
delle sue opere più importanti La civiltà del Rinascimento in Italia. Nell’opera Burckhardt delineò in
quadri tematici alcuni aspetti della storia e della cultura del Quattro e del Cinquecento italiano,
abbandonando le strutturazioni cronologiche e geografiche, e contribuendo ad aprire la strada alla
trattazione della storia dell’arte per “epoche”. Critico nei confronti della moderna società industriale
e contrario alle tendenze idealistiche e storicistiche dominanti nel mondo accademico dell'epoca, egli
elaborò una particolare disamina storiografica, chiamata Kulturgeschichte (storia della cultura -
cultura nel senso di civiltà) nella quale enfatizzava lo studio dell'arte, della cultura e dell'estetica.

Giovanni Morelli (1816-1891)


storico dell’arte e politico italiano. Pur avendo trascorso la sua giovinezza in Italia, Morelli ebbe,
rispetto ad altri storici a lui contemporanei, la fortuna e la possibilità di studiare in diversi atenei in
Svizzera, ed in Germania, e grazie a queste fortunate circostanze riuscì ad apprendere perfettamente
il tedesco, come osservò Julius von Schlosser: "un tedesco che starebbe alla pari con quello della
maggior parte degli attuali scrittori d'arte". Prima di dedicarsi all'arte si laureò in medicina. Durante i
suoi studi scientifici (si dedicò alle scienze naturali) maturò una forte passione per la storia dell'arte,
per il disegno, per lo studio del corpo umano. Nel 1848 partecipò alle rivolte contro gli Austriaci e
successivamente nel 1861 divenne deputato del primo governo del regno: investito di questa carica
iniziò a partecipare alle iniziative per la valorizzazione e la tutela del patrimonio artistico italiano.
Grazie alle sue eccezionali doti di conoscitore, spesso i collezionisti si affidavano alle sue stime
prima di acquistare un'opera. Egli proponeva una tecnica di indagine attraverso i dettagli (orecchie,
mani, pieghe delle vesti, ecc.), i quali possono meglio rivelare al conoscitore la mano particolare di
un artista rispetto a quella dei suoi imitatori. Il "metodo Morelliano" divenne fondamentale per la
storiografia dell'Ottocento, e ricevette apprezzamenti da parte di Franz Wickhoff, di Bernard
Berenson e della scuola di critica d'arte viennese, che aveva esponenti importanti come Aby
Warburg e Moritz Thausing. Riconobbe inoltre nel disegno a mano libera un importante ausilio
metodologico, imparò a studiarlo e a valutarlo come un documento, anche in questo modo egli
introdusse nella storia dell'arte una nuova possibilità di realizzare un'analisi più precisa. La sua
carriera come storico dell'arte iniziò sotto lo pseudonimo di "Ivan Lermolieff", anagramma di
Morelli (omettendo le due lettere finali), e affermava di provenire da Gorlag, in realtà Gorlago,
cittadina in provincia di Bergamo, dove viveva. Dal 1862 al 1864 fu impegnato insieme ad un altro
grande critico d'arte, Cavalcaselle, nella realizzazione di un inventario delle opere d'arte e dei
monumenti presenti nelle regioni dell'Italia centrale, precisamente Marche e Umbria. essendo queste
le meno conosciute dal punto di vista artistico poiché appartenenti in precedenza allo Stato
pontificio. Il sodalizio tra i due, iniziato con questa "spedizione", dopo breve durata si sciolse e
Morelli ritornò a Roma per continuare a partecipare ai dibattiti sulla tutela del territorio. Ma da allora
il suo interesse per la materia si affievolì notevolmente; dopo essere stato nominato Senatore, nel
1873, l'impegno di Morelli, nei confronti della storia dell'arte, si fece sempre più rarefatto. Nel 1890
Bernard Berenson e Morelli si conobbero personalmente: dopo questo incontro il senatore vide nel
critico statunitense un "giovane Lermolieffiano", ma in realtà quest'ultimo andò alla ricerca di altri
criteri più onnicomprensivi. Mentre Morelli si concentrava sui dettagli in modo scientifico,
pubblicando addirittura i risultati del suo metodo, Berenson si concentrava invece sul contenuto
dell'opera, sulla sua totalità, cosa che segnava già una profonda differenza tra la critica dell'Ottocento
e quella del secolo successivo.

John Ruskin (1819-1900)


uno scrittore, pittore, poeta e critico d’arte britannico. La sua formazione è riferita nelle pagine
autobiografiche di Praeterita (pubblicato tra il 1885 e il 1889; rimasto incompiuto): figlio di un ricco
mercante di sherry, più che gli studi, compiuti in maniera irregolare, fondamentali furono per Ruskin
i molti viaggi, l'osservazione attenta della natura, dei monumenti e delle opere d'arte, l'assidua lettura
dei classici. Ancor prima di entrare al Christ church college di Oxford pubblicò The poetry of
architecture, una serie di articoli pubblicati nell'Architectural Magazine, nei quali l’autore
echeggiava le idee del neo-gotico. Terminati gli studi a Oxford, in un accurato studio su Turner,
apparso in Modern painters (1843), svolse una calda difesa dell'arte del pittore che per Ruskin
incarnò l'artista ideale (esaltò inoltre la pittura dei preraffaelliti e sostenne la superiorità dei pittori
moderni rispetto agli antichi). In Italia nel 1845 continuò a lavorare ai suoi Modern painters
studiando i Bellini e la scuola veneziana, il Beato Angelico e la pittura toscana del primo
Rinascimento. In The seven lamps of architecture (1849), sostenne che la disposizione d'animo
virtuosa dell'artista è condizione dell'arte bella e che l'imitazione della natura è l'unica via per creare
bellezza. Nelle sue opere sviluppò il concetto della connessione tra opera d'arte e stato della società,
presentando il Medioevo come ideale e modello della riforma della società contemporanea. Con The
stones of Venice (1851-53), risultato dei suoi studi sull'architettura e la scultura dell'Italia
settentrionale, si fece promotore del Gothic Revival (e infatti un capitolo di quest'opera, The nature
of gothic, ebbe grande influenza su William Morris); nello stesso 1851 pubblicò il saggio sul
PreRaphaelitism, che decise della fortuna di quel movimento. Lo studio dei pregi dell'architettura
gotica lo aveva condotto a meditare sulla morale degli uomini che l'avevano creata: da critico
estetico egli si mutò così in critico della società. Dedicò gli ultimi quarant'anni della sua vita a
esporre le proprie teorie su problemi sociali e industriali; in esse l'arte figura come un mezzo per
innalzare il tono della vita spirituale. Le prospettive di Ruskin rivoluzionarono non solo l'estetica
inglese (alle sue lezioni ebbe tra i moltissimi uditori Walter Pater e Oscar Wilde) ma anche quella
europea. I suoi numerosi disegni e acquerelli sono conservati a Oxford (Ashmolean Museum),
Birmingham (Museum and Art Gallery), Londra (Victoria and Albert Museum).
Il pensiero ruskiniano e le idee sul restauro → La sua teoria generale, per la quale l'uomo e la sua
arte devono essere profondamente radicati nella natura e nell'etica, fa di lui uno dei fondatori
dell'Arts and Crafts Movement, sul quale Ruskin, attraverso W. Morris, ebbe una grande influenza.
Lungo questa linea fu anche uno dei precursori dell'Art Nouveau. John Ruskin è noto per la sua
posizione molto particolare nei confronti del restauro architettonico. La sua concezione di restauro,
definito "romantico", ritiene immorale l'intervento di restauro, comunemente praticato nella sua
epoca, inteso come sostituzione della copia all'originale. Egli sostiene dunque la necessità
innanzitutto di conservare l'esistente, ammettendo quegli interventi di comune manutenzione, utili a
prolungare il più possibile la vita dell'architettura, alla quale va riconosciuto anche il diritto, quando
sarà giunto il momento, di morire. Le idee di Ruskin saranno in netto contrasto con quelle di Eugène
Viollet-le-Duc, il fautore della ricostruzione ex novo del monumento da restaurare. (Nel 1972, la
Carta del restauro - la quale insiste su una precisa "morale del restauro" - tiene in considerazione il
punto di vista di John Ruskin sul tema, e rafforza il suo concetto secondo cui non è moralmente
accettabile integrare parti mancanti di opere d'arte utilizzando materiali identici all'originale, poiché
in questo modo si confonderebbero l’antico e l'intervento moderno, che dovrà sempre essere
distinguibile; tanto meno è accettabile la ricostruzione ex-novo dei manufatti andati perduti.) “Il
cosiddetto restauro è la peggiore delle distruzioni”. Secondo Ruskin infine, restaurare avrebbe voluto
dire mentire, annullare la memoria dei monumenti, copiare. La difesa dell'autenticità era quindi
incompatibile con la restaurazione stilistica in quanto questa annullava i segni della storia,
cancellando la memoria e l'anima del monumento.

Eugène Viollet-le-duc (1814-1879)


Esiste però un'altra “scuola di pensiero” diversa da quella di Ruskin: quella di Eugène Viollet-Le-
Duc. Viollet-le-duc è stato un architetto francese, conosciuto soprattutto per i suoi restauri degli
edifici medievali, in particolare quello della cattedrale di Notre-Dame di Parigi. Fu una figura
centrale tanto nell'architettura neo-gotica in Francia, quanto nel pubblico dibattito sull'“autenticità”
in architettura. All'inizio del 1830 sorse in Francia un movimento per il restauro del consistente
patrimonio medioevale. Prosper Mérimée diede l'incarico a Viollet-le-Duc di restaurare la basilica di
Vézelay nel 1840: questo lavoro segnò l'inizio di una lunga serie di restauri (celebri furono il
restauro del complesso urbano fortificato di Carcassonne e del castello di Pierrefonds). Durante tutta
la sua carriera, prenderà note e schizzi, non soltanto delle costruzioni sulle quali lavorava, ma anche
delle costruzioni romane, gotiche e rinascimentali che dovevano essere presto demolite. Il suo studio
del periodo medioevale e del rinascimento non si è limitato all'architettura: si interessò anche ai
mobili, agli abiti, agli strumenti musicali, all'armamento. Il suo punto di vista sul restauro è notevole
e si oppone alla semplice conservazione: in applicazione di questi principi, Viollet-le-Duc modificò
irrimediabilmente molti monumenti, ma questo permise spesso di salvarli. Pertanto fu allo stesso
tempo storico e soprattutto teorico dell'architettura. Le sue idee ispirarono numerosi dei suoi
contemporanei, dei creatori dell'arte nuova alla svolta dello XX secolo e trovarono anche una nuova
diffusione attraverso realizzazioni recenti.
Le idee sul restauro → Viollet-le-Duc è stato uno dei maggiori animatori del cosiddetto «restauro
stilistico», in opposizione all'intransigente fazione purista sostenuta da John Ruskin. Sui monumenti
architettonici si doveva intervenire in modo mimetico. Il nuovo, sia che si trattasse di sostituzioni di
parti danneggiate, sia che riguardasse una parziale ricostruzione, non si doveva distinguere
dall’esistente. Nel suo Dictionnaire raisonné de l’architecture française du XI au XVI siècle, alla
voce “Restauro” Viollet-le-duc scrive che “Restaurare un edificio non è conservarlo, ripararlo o
rifarlo, è ripristinarlo in uno stato di completezza che può non essere mai esistito in un dato tempo.”
Se ne deduce che il restauratore deve avere in mente un modello ideale, forse mai esistito. Di
conseguenza, ecco che è possibile anche il completamento di un edificio non ultimato o la
ricostruzione totale di uno distrutto di cui non sia noto neppure lo stato originario. In tal caso il
restauratore non tiene conto del trascorrere del tempo e cerca piuttosto di ricreare un legame di
continuità con le intenzioni dell’antico progettista. Questo concetto di restauro, pur avendo restituito
alla Francia l’immagine tradizionale della sua architettura nazionale, quella gotica, dette luogo ad
interventi che oggi appaiono molto discutibili e talvolta anche anomali.

Walter Pater (1839-1894)


saggista e critico letterario britannico, passato alla storia per essere stato uno dei fondatori del
movimento estetico. Pater studiò alla King's School di Canterbury, dove la bellezza della cattedrale
gli lasciò un'impressione che gli rimase per tutta la vita. Da studente egli lesse Modern Painters di
John Ruskin e, per un breve periodo, fu attratto verso gli studi artistici, non mostrando ancora il
gusto letterario che di lì a poco avrebbe sviluppato. I suoi progressi furono sempre graduali. Sii
iscrisse al The Queen's College di Oxford nel 1858 e, dopo aver terminato gli studi, si stabilì ad
Oxford, lavorando come insegnante privato. Non appena iniziò la sua carriera, la sfera dei suoi
interessi si allargò rapidamente: egli divenne sempre più interessato alla letteratura, incominciando a
scrivere articoli e appunti critici. Nel gennaio del 1867 scrisse un saggio su Winckelmann, in cui si
intravidero le prime espressioni del suo idealismo. L'anno successivo i suoi studi sulla poesia estetica
apparvero sul Fortnightly Review, a cui seguirono altri saggi su Leonardo da Vinci, Botticelli, Pico
della Mirandola e Michelangelo. Questi ultimi, assieme ad altri studi, furono raccolti nel 1873 in un
libro intitolato Studies in the History of the Renaissance. Pater, ormai punto di riferimento di un
piccolo circolo di Oxford, ottenne considerazione a Londra come altrove, annoverando tra i suoi
amici i Preraffaelliti. Dieci anni dopo, Pater scrisse il suo capolavoro, il romanzo filosofico Marius
the Epicurean (Mario l’Epicureo), ottenendo un grosso seguito. L'opera fu pubblicata nel 1885 e in
essa Pater mostra, con pienezza ed elaborazione, il suo ideale di vita estetica, il suo culto della
bellezza, e la sua teoria dell'effetto stimolante nel perseguirla come ideale per se stessa. Quest'ultimo
concetto fu riassunto efficacemente nel motto art for art's sake (ossia l'arte per il gusto dell'arte
stessa). I principi del movimento estetico furono in larga parte tracciati da Pater, e il suo forte
impatto fu particolarmente sentito da uno dei capigruppo del movimento, Oscar Wilde, uno dei suoi
allievi ad Oxford. Nel 1887 Pater pubblicò Imaginary Portraits (Ritratti immaginari, una raccolta di
saggi filosofici), nel 1889 Appreciations, with an Essay on Style (Apprezzamenti, con un saggio
sullo stile), nel 1893 Plato and the Platonism (Platone e il platonismo). Pater scrisse non senza
difficoltà, correggendo assiduamente le sue opere. La ricchezza e la profondità del suo linguaggio
era intonato alla sua filosofia di vita. Gli idealisti vi trovarono ispirazione nel suo desiderio di
"ardere con una fiamma duratura come una gemma" e di vivere in armonia con il sublime.

Franz Kugler (1800-1858)


storico tedesco. Studiò letteratura tedesca alle università di Heidelberg e di Berlino, dove frequentò
anche l’Accademia di architettura. Kugler è tra i primi che scrive manuali storico-artistici
caratterizzati da un approccio universale, gli “Handbücher”. (La funzione di questi testi era di
fornire un quadro d’insieme, possibilmente aggiornato, agile e comprensibile anche senza
conoscenze specifiche, in cui collocare singoli fatti, artisti, opere. Gli storici dell’arte cominciavano
a scrivere per il pubblico anche della media e piccola borghesia, che conosceva l’arte solo dai musei
e dai volumi illustrati, a differenza dei collezionisti e dei viaggiatori appartenenti alle élites). La sua
fama era legata soprattutto alla stesura di due manuali: “Manuale della pittura da Costantino il
grande fino ai più recenti”, dedicato alla storia della pittura da Costantino all’arte contemporanea. I
due volumi proponevano una suddivisione molto vicina al l’allestimento del museo di Berlino. Per la
raccolta delle notizie aveva fatto ricorso alla storiografia da Vasari in poi. Il secondo manuale
“Manuale di storia dell’arte” nasceva anche come testo di riferimento per l’insegnamento nei licei e
come manuale di archeologia. Kugler trattava la storia artistica del mondo intero, includendo l’arte
dell’Oceania e del Sud America e dell’Estremo Oriente. Il testo era costruito in maniera empirica,
orientato verso la descrizione di fatti e monumenti concreti. Per Kugler, ogni popolo aveva la sua
arte caratteristica e degna di essere analizzata, anche se la scultura greca, il tardogotico tedesco e il
Rinascimento fiorentino rimanevano degli apici assoluti.
Carl Friedrich von Rumohr (1785-1843)
scrittore, storico dell’arte e disegnatore tedesco. Rumohr si era formato a Göttingen, frequentando
anche le lezioni di disegno di Fiorillo, a Dresda e poi a Roma. Scrisse una serie di saggi per alcune
riviste specializzate approfondendo l’arte italiana del TreQuattrocento. Rumohr, considerato uno dei
più autorevoli conoscitori dell’arte, fu incaricato di acquistare opere della scuola toscana per il
museo di Berlino. La sua opera maggiore è “Ricerche italiane”, in tre volumi, costituita da una serie
di monografie sull’arte italiana dai mosaici paleocristiani di Ravenna fino a Raffaello. Il testo
nasceva dal progetto di verificare le Vite di Vasari attraverso lo studio delle fonti, effettuando una
notevole ricerca nei musei, nelle gallerie, negli archivi di diverse città italiane e consultando le
notizie desunte dalla letteratura artistica del QuattroCinquecento. Non portò mai a termine il suo
progetto Vasariano ma pubblicò gli esiti della ricerca.

Charles Baudelaire (1821-1867)


è stato un poeta, scrittore, critico letterario, critico d’arte, giornalista e traduttore francese. È
considerato uno degli esponenti chiave del simbolismo, nonché anticipatore del decadentismo. I fiori
del male, la sua opera maggiore, è considerata uno dei classici della letteratura francese e mondiale.
Sia nella poesia che nella critica artistica Baudelaire esplorò il concetto del Bello, inteso come
risultato di una sottile corrispondenza fra la dimensione del reale e quella dell’ideale. La tendenza
all’idealità traeva origine dal desiderio di fuga da uno scenario socio-politico spersonalizzante,
dominato dall’etica del “buon borghese”: in un contesto che aveva come valori pregnanti l’utile,
l’interesse e la produttività, l’artista giungeva inevitabilmente ad una concezione di sé come di un
diverso, un emarginato. Tuttavia, pur rifiutando la società contemporanea, egli sentiva profonda
anche la necessità di contaminazione con quella realtà materiale, per riuscire a cogliere al termine di
una ricerca interiorizzata “l’heroisme de la vie moderne”. In arte, Baudelaire riconosce tale
“heroisme” alla corrente romantica, riferendosi in particolar modo a Delacroix, scrive: “Chi dice
romanticismo dice arte moderna – cioè intimità, spiritualità, colore, aspirazione all’infinito.” Questo
nella relazione sul Salon de 1846, forse il suo scritto più importante in materia di critica d’arte. Fra
gli altri saggi, però, sono degni di nota anche: - Il Salon de 1845, in gran parte ancora acerbo, fatta
eccezione per l’esortazione all’imparzialità, alla modernità e all’individualismo che egli fa in
chiusura. - L’Exposition Universelle – 1855, con due mirabili saggi su Ingres e Delacroix e
l’esaltazione del “bizzarro” in arte; - De l’essence du rire, sull’arte della caricatura Degli artisti, più
che gli imitatori, Baudelaire preferiva gli immaginativi : egli vedeva nell’immaginazione la “regina
delle facoltà”. Solo attingendo a lei, la funzione riproduttrice poteva essere sottomessa a quella
creatrice. All’intuizione, dunque, si attribuiva il compito di manifestare il vero genio, colui che ben
lungi dall’essere un mediocre fra la massa, era invece in grado di vedere aldilà del tempo e dello
spazio, concretizzando nel presente il futuro. Per quanto riguarda la caricatura Baudelaire afferma
che il riso generato dalle illustrazioni caricaturali non sarebbe affatto un’esternazione di gioia, ma
scaturirebbe invece da una profonda lacerazione dell’essere, una sorta d’inquietudine generata dalla
presa di coscienza della propria bruttura fisica e morale. Riguardo alla questione del Bello egli
affermava: “Se gli uomini delegati a esprimere il bello si attenessero alle regole dei professori-
giurati, il bello in fondo verrebbe a scomparire dalla terra, giacché tutti i tipi, tutte le idee, tutte le
sensazioni si confonderebbero in una vasta unità, monotona e anonima, immensa come la noia e
come il niente [...] Il bello è sempre bizzarro”

Hyppolite Taine (1828-1893)


è stato un filosofo, storico e critico letterario francese. Nella sua Filosofia dell'arte Taine afferma che
l'opera d'arte, pur essendo un'imitazione della realtà, ne costituisce non una 'copia' ma un'imitazione
intelligente. Essa frutto di una consapevole selezione di uno o più caratteri ritenuti dominanti, per
fornire attraverso essi un'interpretazione della realtà. Contro l'estetica romantica, quella del
Positivismo si rifà al realismo: l'arte è registrazione dell'esperienza e, più precisamente, è una forma
di imitazione della realtà. In altri termini, per Taine, quella dell'arte, è un'imitazione razionalmente
controllata dei materiali dell'esperienza. Il fare artistico non ha nulla di misterioso, è una modalità
del vivere e del conoscere, che è compito della teoria estetica determinare. Anche l'opera d'arte è un
fatto, da osservare e spiegare. Taine concepisce l'opera d'arte come «fatto scientifico» costituito
attraverso i tre fattori interagenti del momento storico (moment), dell'ambiente (milieu) e della razza
(race).

fratelli Gaetano (1813-1895) e Carlo Milanesi (1816-1867)


sentivano la necessità di reimpostare metodologicamente la storia dell’arte basandola sulla nuova
filologia delle fonti e sui modelli europei più in voga. Una dei loro primi testi fu Documenti per la
storia dell’Arte senese, uno studio di carattere positivista sulla scuola Toscana, pubblicato nel 1854
da Gaetano Milanesi che, poco più tardi, diventò direttore dell’archivio di stato di Firenze. Carlo
Milanesi, invece, fondò la Società degli Amatori delle Belle Arti per promuovere l’edizione di fonti
sulla storia dell’arte toscana. Tra le pubblicazioni, anche una nuova edizione delle Vite di Vasari
curata dalla loro stessa società. Caratterizzata da una componente purista, era finalizzata alla verifica
positivista delle Vite. In un saggio intitolato Dell’erudizione e della critica nella Storia dell’Arte
pubblicato nel 1866, Gaetano Milanesi rifletteva sul rapporto tra erudizione e connoisseurship: “il
moderno scrittore di storia” affermava Milanesi, aveva il vantaggio di potersi servire di un sempre
crescente flusso di documenti per confutare errori storici e false attribuzioni ma per farne “buono e
giudizioso uso (…) è necessario che nell’erudito sia conoscenza tecnica ed istoria delle diverse
maniere che nel processo de’ tempi che furono tra gli artefici, delle scuole che ne derivavano, delle
qualità e delle differenze loro.” Conoscenza frutto di un lungo studio “che avvezzi l’occhio a ben
vedere”
Positivismo è un movimento filosofico e culturale che si sviluppa in Francia nel 1800 ed è
caratterizzato dall'esaltazione della scienza. Secondo il Positivismo è “positivo” ciò che è
reale ed effettivo (e non chimerico o astratto) e ciò che è fecondo ed efficace (e quindi non
inutile).

Johann Wolfgang Goethe (1749-1832)


scrittore, poeta e drammaturgo tedesco. Uomo universale, viene solitamente reputato uno dei casi più
rappresentativi nel panorama culturale europeo. Per quanto riguarda la sua attività come critico
d’arte, notevoli sono i suoi “Scritti sull’arte e sulla letteratura”, che coprono un arco di tempo
abbastanza ampio, che va dal 1772 al 1827. In essi è perciò possibile trovare posizioni del Goethe
che tende al Romanticismo e altre del Goethe più improntato verso il Classicismo. Ciò che non
cambia in tutti gli scritti è la concezione dell’arte che si definisce a partire dalla critica alla categoria
estetica dell’imitazione della natura. Goethe, infatti, non pensa che l’arte debba essere mera
imitazione: l’artista non deve aspirare a produrre un’opera di natura, ma un’opera d’arte perfetta. Per
fare ciò, però, l’artista deve comunque conoscere la natura e la natura umana in primis. “L’arte non
deve rappresentare il vero, ma il verosimile e deve produrre una sorta di illusione consapevole da cui
nasce il piacere estetico.” L’artista, dunque, deve innanzitutto saper imitare la natura per poi poter
tralasciare il particolare e rappresentare l’universale giungendo a ciò che Goethe chiama “maniera”.
Una volta che l’artista personalizza la sua maniera e riesce a cogliere l’essenza del soggetto che
rappresenta, allora raggiunge il livello dello “stile”. Lo stile è il più alto livello che l’artista e l’arte
possano raggiungere. Il genio, quindi, è colui che riesce ad assurgere a questo livello e a spiegare
come vi è giunto dettando, così, le regole dell’arte. Tali regole non devono essere prestabilite, non
devono essere un canone a cui attenersi, altrimenti si cadrebbe nell’imitazione. Imitare gli antichi,
secondo Goethe, ha fatto allontanare il genio degli italiani dalla vera arte. Alcuni scritti: -
Dell’architettura tedesca, 1772 → Il saggio è un elogio dell’architettura tedesca, in particolar modo
quella gotica della cattedrale di Strasburgo. Goethe sostiene che il genio degli antichi ha ingabbiato
quello italiano che si è limitato a imitarlo. Ciò che ne è scaturito non è la bellezza vivente e creatrice
che ha in sé le forze della conoscenza e dell’agire, ma solo una parvenza di bellezza e verità. La vera
architettura, invece, è quella tedesca, perché si tratta, appunto, di stile gotico, che non imita gli
antichi o la natura.
Sul “Laocoonte”, 1798 → In questo saggio Goethe elenca le caratteristiche di un’opera d’arte
perfetta. Essa deve: rappresentare la natura umana, quindi conoscere le parti e le proporzioni del
corpo umano, le sue forme e i suoi movimenti (“natura vivente e organizzata”); conoscere la
differenziazione di queste parti secondo la forma e l’azione (“caratteri”); essere in quiete o in
movimento, in azione o nel pathos dell’espressione; attingere all’ideale, ovvero l’artista deve
comprendere bene il suo soggetto e rappresentare di esso la climax espressivo; sottostare alle leggi
dell’arte (ordine, intelligibilità, simmetria, contrasto) per raggiungere la “grazia”; sottostare alla
“misura” per giungere alla “bellezza spirituale”. Scrive Goethe: “Gli antichi, che erano ben lontani
dalla follia moderna per cui un’opera d’arte deve avere la parvenza di un’opera della natura,
rimarcavano il carattere artistico delle loro opere disponendone le parti in un ordine studiato. Con la
simmetria facilitavano all’occhio la comprensione dei rapporti e un’opera complessa diveniva
intelligibile. (...) Così, anche astraendo dal suo contenuto e persino scorgendone da lontano solo i
contorni più generali, ogni opera d’arte appare ancora all’occhio come un ornamento.”
Winckelmann, 1805 → Goethe prende Winckelmann come modello di scrittore che si sente “al
centro del mondo antico”. Winckelmann è, per Goethe, lo scrittore dall’animo pagano che,
nonostante la sua adesione al cattolicesimo, è indissolubilmente legato all’antichità grazie alla sua
permanenza a Roma, alla sua cultura, al suo animo e al suo interesse per le rovine archeologiche di
Ercolano e Pompei. Gli antichi, sostiene Goethe, non tendevano all’infinito come i moderni, ma
vivevano nel presente, si attendevano al vero, all’immediato, al reale perché presso di loro sensibilità
e riflessione non si erano ancora separate. Attraverso la loro arte, essi potevano esprimere la bellezza
sensibile e riprodurla nelle figure umane e Winckelmann, scrive Goethe, “era nato per questa
bellezza”.

Stendhal (1793-1842)
Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal è stato uno scrittore francese. Amante dell'arte e
appassionato dell'Italia dove visse a lungo, esordì in letteratura nel 1815 con le biografie su Haydn e
Mozart seguite nel 1817 da una Storia della pittura in Italia e dal libro di ricordi e d'impressioni
Roma, Napoli, Firenze. Quest'ultimo fu firmato per la prima volta con lo pseudonimo di Stendhal,
nome forse ispirato alla città tedesca di Stendal, dove nacque l'ammirato storico e critico d'arte
Johann Joachim Winckelmann.

Gustav Friedrich Waagen (1794-1898)


ebbe una formazione in filosofia, storia e filologia. Pur non avendo esperienze dirette come pittore,
rappresentò un nuovo tipo di specialista, in grado di collegare la ricerca scientifica con il lavoro di
funzionario museale. Scrisse una monografia dedicata ai fratelli Van Eyck dando l’avvio, in ambito
tedesco, agli studi sull’arte fiamminga. Waagen tentò di leggere l’arte dei due fratelli nel contesto
storico-culturale del loro tempo, arrivando a considerare la loro pittura come esempio massimo di
naturalismo e rappresentazione fedele del dettaglio in quanto espressioni dello “spirito nordico” in
contrapposizione alla pittura italiana e al suo carattere “ideale”. Proprio grazie al libro
sui Van Eyck, Waagen fu coinvolto nell’organizzazione del museo di Berlino, di cui, nel 1830,
diventò il primo direttore e curò il catalogo critico-scientifico. Tra università e museo si formò così
un gruppo di studiosi, la cosiddetta “scuola di Berlino”, che portò avanti un’accesa discussione sui
metodi e sulle competenze degli storici dell’arte, anche in concorrenza/separazione con altre
discipline come la filosofia, la storia e l’archeologia. Inoltre Waagen affiancò al ruolo di direttore del
museo, l’incarico di docente universitario e compì numerosi viaggi finalizzati all’acquisto di opere
per il museo. Infine, Waagen può essere considerato una figura centrale nella
“professionalizzazione” dello storico dell’arte verso la metà del XIX secolo.

Charles Les Blanc ( 1813 – 1882)


Raccolta di biografie dei più importanti pittori europei organizzati per scuole a cui contribuirono 14
specialisti ( 489 biografie , 930 artisti con 2556 incisioni ) un pera dal respiro enciclopedico e dal
alto rigore scientifico che si rivolgeva ad un pubblico ampio.

Otto Mündler (1811-1870)


Nato in Baviera e vissuto a lungo a Parigi, è noto soprattutto per la sua attività di travelling agent
della National Gallery di Londra, coinvolto anche in acquisti per il museo di Berlino e per l’Ermitage
di San Pietroburgo. Diversamente da alcuni suoi colleghi, Mündler non ci ha lasciato scritti. Merita
attenzione per la sua revisione critica del catalogo della selezione di pittura italiana del Louvre, che
costituì un precedente per la revisione dei cataloghi delle più importanti gallerie europee. Mündler
era stato ingaggiato da Charles Lock Eastlake (pittore di paesaggi, direttore del National Gallery ed
esperto di mercato) per fornirgli informazioni sulle opere in vendita e gestire l’acquisto di opere
d’arte sul mercato italiano.

Leopoldo Cicognara (1767- 1834)


È stato uno storico dell’arte e bibliografo italiano. Si occupò inizialmente delle scienze matematiche
e fisiche. Si trasferì inizialmente a Roma per alcuni anni dedicandosi alla pittura ed allo studio delle
antichità, poi visitò Napoli e la Sicilia. Dopo aver esplorato l'isola si spostò a Firenze, Milano,
Bologna e Venezia, acquistando una conoscenza archeologica completa di queste ed altre città. Nel
1808 pubblicò il suo trattato Del bello ragionamenti, dedicato a Napoleone. Successivamente
pubblicò il magnum opus e la Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia al secolo di
Napoleone. Il libro era destinato a completare i lavori di Winckelmann e di D'Agincourt e conteneva
180 tavole. Nel 1814, alla caduta di Napoleone, Cicognara venne patrocinato (sostenuto) da
Francesco I D’Austria fra il 1815 e il 1820 pubblicò, il suo Le fabbriche più cospicue di Venezia,
contenente circa 150 tavole. Altri lavori di Cicognara sono la Continuazione delle Memorie
istoriche di letterati ferraresi, le Memorie spettanti alla storia della calcografia e tantissime
dissertazioni sulla pittura, sulla scultura, sull'incisione e su altri argomenti affini. L'opera svolta
dal Cicognara nell'Accademia di belle arti di Venezia, di cui divenne direttore nel 1808, ebbe
risultati importanti nell'aumento del numero dei professori, nel miglioramento nei corsi di studio,
nell'istituzione dei premi e nella creazione di una galleria per l'esposizione delle pitture veneziane. Il
suo modello di pensiero prevede una elevazione dell'arte italiana, in quanto classica, una
suddivisione della storia dell'arte, e della scultura in particolar modo (“La scultura è singolarmente
nostra” aveva affermato, citando l’amico Pietro Giordani), in cinque fasi (risorgimento, incremento,
perfezione, corruzione, stato attuale)*, una stretta connessione tra lo sviluppo dell'arte con quello
della civiltà. *Il risorgimento era rappresentato da Nicola Pisano; il progresso aveva avuto
Donatello; la perfezione era Michelangelo; la corruzione Bernini; negli anni in cui viveva, la scultura
secondo Cicognara stava risorgendo nuovamente grazie all’arte di Canova.

Giovanni Battista Cavalcaselle (1819-1897)


è stato uno scrittore, storico dell’arte e critico d’arte italiano. Cavalcaselle studiò all'Accademia di
Belle Arti di Venezia. Partecipò alla Rivoluzione del 1848 e, condannato a morte dagli Austriaci,
fuggì dal Lombardo-Veneto a Roma dove combatté per la libertà dell'Urbe, sotto la guida di
Giuseppe Mazzini. Quando crollò la Repubblica Romana fuggì dall'Italia e si rifugiò in Inghilterra,
dove visse alcuni anni, occupandosi come disegnatore e restauratore, per poi riuscire a dedicarsi alla
teoria e pratica della pittura italiana. Nel 1853, per la sua conoscenza di prima mano degli antichi
maestri italiani, Charles Lock Eastlake lo insediò nel Select Committee della giovane National
Gallery di Londra, allora nel pieno della campagna acquisti in tutta Europa. Nel 1847 a Monaco
conobbe Joseph Archer Crowe e con lui pubblicò Early Flemish Painters (1856), seguito da New
History of Painting in Italy del 1864, opere fondamentali per la nascente critica d'arte moderna.
Durante il lavoro per l'opera Early Flemish Painters, cominciò ad avere dubbi sul dipinto che ritrae
San Girolamo nel suo studio, e lo attribuì ad Antonello da Messina. Con la nuova situazione politica,
dal 1857 al 1861 Cavalcaselle poté tornare in Italia, dove venne incaricato da Eastlake, dall'editore
John Murray di Londra e da Austin Henry Layard di svolgere ricerche sul campo per un'edizione
critica del volume le Vite di Giorgio Vasari, ma data la difficoltà nel gestire l'immensa mole di
materiali raccolti il progetto del commento vasariano si rivelò inattuabile. Nel 1861, assieme al
patriota Giovanni Morelli, ricevette dal ministero della Pubblica istruzione l'incarico di redigere un
catalogo delle opere d'arte di proprietà ecclesiastica nell'Umbria e nelle Marche, allo scopo di
conoscere la situazione del patrimonio artistico della neonata nazione e per intervenire contro
l'alienazione dei beni. Il suo lavorò valse un grosso inventario delle opere d'arte presenti nelle
Marche e in Umbria, tanto da divenire unanimemente riconosciuto il maggiore esperto sulla Storia
dell'Arte dell'antico Ducato d’Urbino e dello Stato Pontificio. Adolfo Venturi, che conobbe
Cavalcaselle poco prima che morisse, vide in lui un continuatore del Vasari, e della sua opera lodò la
trattazione dell'intera pittura italiana come non si vedeva da secoli. Nel 1867 si insediò a Firenze,
dove fu nominato ispettore generale del Museo Nazionale del Bargello, ma la collaborazione
"burrascosa" con i vari artisti responsabili della conduzione della Galleria, impedì quasi ogni attività.
Si trasferì allora a Roma e lì divenne, dal 1875 fino al 1893, ispettore centrale presso la nuova
Direzione Centrale degli Scavi e dei Musei del Regno (nel 1881 denominata Direzione Generale per
le Antichità e Belle Arti). In questa veste fu incaricato di girare in lungo e in largo per la nuova
nazione appena unificata per fornire consigli sull'organizzazione dei nuovi musei, sulle acquisizioni
di opere d'arte e sui restauri più urgenti, a cui in alcuni casi sovrintese personalmente. Per la sua
opera, ricevette l'encomio solenne del Re. Per i suoi studi e le sue capacità attributive è considerato
uno dei fondatori della moderna critica dell'arte. Rilevante fu anche il suo apporto alle tecniche di
restauro per le quali, nonostante molte difficoltà concettuali, contribuì proponendo nuovi e più
aggiornati criteri.

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