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Torino

Penso che la filosofia di ispirazione cattolica a Torino


nell’epoca che ci interessa possa polarizzarsi intorno a
quattro figure: Augusto Guzzo (1894-1986), Carlo
Mazzantini (1895-197I) Augusto Del Noce (1910-1989),
Luigi Pareyson (1918-1991). Al di là delle differenze del
loro pensiero credo si possa ravvisare in essi un’ispirazione
comune di base, un tratto ad essi comune abbastanza
generico ma sufficiente a distinguere la loro posizione da
altre presenti nell’ateneo e nell’ambite culturale di allora:
l’idea che il rapporto con la trascendenza sia costitutivo
dell’umanità dell’uomo al punto che colorisce di sé tutta la
sua vita spirituale.
Guzzo fu collocato da Michele Federico Sciacca in quello
che si chiamava allora spiritualismo cristiano, ma egli non
accettò mai questa sua posizione defininendosi invece
idealista, nel senso di un idealismo platonico-agostiniano,
ma anche qui il suo platonismo era ben diverso dal
platonismo e agostinismo tradizionale. Guzzo, che veniva
da Napoli ma che visse la maggiore parte della sua vita a
Torino, fu allievo di Sebastiano Maturi, rappresentante si
potrebbe dire di un hegelismo di destra con venature
schellinghiane, che accentuava l’inesauribilità dell’Idea ai
suoi sviluppi naturalistici e spiritualistici, proponendo un
concetto di natura libera e creatrice e un concetto di Dio
come ideale del pensiero umano, sicché la vita dell’uomo
risultava investita di un significato religioso.
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Del pensiero di Guzzo interessano due punti. Anzitutto la
sua critica all’’immanentismo: “Può immanere alla natura
e alla storia un Dio o un Valore o una Verità che abbia la
sua seità e questa seità renda operante nell’intimo della
natura e delle menti e coscienze umane , ché, senza questa
seità, l’immanenza si stempererebbe in ciò a cui è
immanente, identificandosi con esso, anzi in esso
risolvendosi o sciogliendosi, onde non ci sarebbe più
l’immanenza di un immanente, ma semplice chiusura nei
fatti in un loro ordine compatto e invalicabile”. Poi il
significato che annette al platonismo, che non è quello che
ha la sua continuazione in Bruno e Spinoza, giusta
l’interpretazione idealistica ma in Agostino: esso è ben
lontano dal platonismo volgare, “che della sublime poesia
delle essenze-cantata in un gruppo di dialoghi- ha fatto un
telone stellato, interposto fra ciò che di divino spinge
l’anima a essere anima, e ciò che di umano l’anima
concreta nelle opere irrepetibili, alle quali dà vita il suo
sforzo di rispondere – ciascun uomo con la sua
responsabilità -alla divina esigenza”, é “il platonismo della
stimolazione dell’uomo da parte del divino, voce dell’uomo
di Dio persona che rivive trasfigurato alla luce del
Cristianesimo”. La verità è anzitutto la fonte della vita
spirituale, che muove e ispira l’uomo alla ricerca dei veri
storicamente determinati senza esaurirsi in essi. Lo
sviluppo del filosofare di Guzzo che lo porta a teorizzare un
intero sistema, L’uomo, è quello di mostrare la presenza di
questo principio in tutte le attività umane svolgendo una
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ricca fenomenologia di esse, a partire dalla conoscenza
comune, alla moralità, all’arte e alla scienza per concludere
con l’esperienza religiosa, intesa come esperienza del
soprannaturale per iniziativa del sovrannaturale stesso.
Così il suo sistema ( Guzzo è l’ultimo dei filosofo italiani ad
avere tentato il sistema), si concreta in una serie di volumi,
a mio parere notevoli proprio per la concretezza viva della
sua indagine che si nutre di un’esperienza storica quanto
mai larga e approfondita.
Carlo Mazzantini svolge una reinterpretazione della
ontologia tomistica, e la sua posizione sembra lontana da
quella di Guzzo. Pure questa reinterpretazione lo porta ad
una ontologia dell’inesauribile cui fa da correlato un
prospettivismo personalistico. Ogni persona è prospettiva
sull’essere, personale esistenzializzazione di uno degli
infiniti aspetti secondo cui Dio è Dio è partecipabile e
imitabile, aspetto che, trattandosi di un essere spirituale, è
suscettibile di indefinito e mai concluso approfondimento.
Approfondimento che non esclude smarrimenti e
tradimenti (anche se su questo aspetto chiaramente
enunciato Mazzantini conformemente alla sua sensibilità
non insiste). Ora fra il movimento di pensiero che portava
Guzzo all’idea della verità come fonte e origine della vita
spirituale senza mai esaurirsi in essa e questo
personalismo legato ad una filosofia dell’inesauribile c’è, io
penso, un’affinità significativa al di là degli involucri
dottrinali da cui sono rivestiti, che potrebbero anche
risolversi per l’osservatore esterno, in una
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complementarità di aspetti del nucleo comune: allo
svolgimento del platonismo in termini di inesauribilità
corrisponde quello dell’esse tomistico nel medesimo senso
di Mazzantini.
Vengo ora ai filosofi della generazione successiva, Del
Noce e Pareyson. C’è un aspetto di questa seconda
generazione: l’esigenza fortemente sentita di un filosofare
che non prescinda dalla realtà storica (del Noce la formulò
chiaramente in una premessa alla nuova serie della “Rivista
di filosofia” dopo l’interruzione bellica, scritta con Bobbio e
Geymonat). Era, nell’intenzione di Del Noce, l’idea che
non c’è altro accesso alla verità che quello storico, pur non
risolvendosi mai la verità in questo itinerario, quello che
più tardi Pareyson formulò contrapponendo al pensiero
espressivo non semplicemente il pensiero rivelativo ( di
una verità separata dalla storia), ma il nesso pensiero
rivelativo-pensiero espressivo, espressivo della persona
che non può che vivere nella situazione storica, in essa
trovando o meglio facendo emergere i problemi con cui
deve cimentarsi, e rivelativo di una verità metastorica,
dove la metastoricità è pensata come infinita inesauribilità
storica). In questo sforzo di delineare le linee di
un’ontologia dell’inesauribile quale è possibile nella nuova
situazione storica c’è una continuità con quanto ho detto
della verità come fonte e origine della vita spirituale in
Guzzo e della inesauribilità dell’essere in Mazzantini:
continuità reale per del Noce che sottende l’ontologia
dell’inesauribile di Mazzantini limitandosi a sottolineare
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come essa possa accogliere in sé questo momento di
storicità, ideale per Pareyson, che muove da Guzzo ma
giunge a un’ontologia della inesauribilità per vie
autonome, attraverso una meditazione sull’estetica, sulla
storia della filosofia e sull’idealismo tedesco ( Pareyson
rispetto a Guzzo e Mazzantini insisteva piuttosto sulla
novità che la sua posizione importava, una teoria
dell’interpretazione che del resto fece di lui un classico
dell’ermeneutica contemporanea). Filosofi come Marx e
Nietzsche, che la filosofia accademica espungeva dalla sua
considerazione, dovevano essere reintrodotti nella storia
della filosofia e con essi, come alternativa al loro pensiero,
altri pensatori, che da questa storia della filosofia erano
sempre stati tenuti ai margini, Pascal, Kierkegaard,
Dostoevskij. Ma il punto veramente interessante di questa
nuova generazione è l’approfondimento del problema del
male. Come mai questo problema che le prime generazioni
non sentivano si è posto loro nella sua urgenza inevitabile?
Credo che ciò dipenda proprio dall’aver Pareyson, come
Del Noce, introdotto nella storia della filosofia la
considerazione dell’ateismo e del nichilismo, sino a
pensare che, sono parole di Pareyson, “una professione di
cristianesimo che intenda porsi come attuale non può non
trovare ateismo e nichilismo come problemi a sé interni,
come possibilità la cui considerazione e il cui superamento
sono essenziali per la sua stessa considerazione”. Quel che
ateismo e nichilismo (già ai loro tempi il primo termine era
quasi scomparso a favore del secondo) comportano è
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l’idea dell’accettazione della realtà mondana come
ultimativa, che per potersi affermare devono in qualche
modo negare o attenuare al massimo il senso del male,
oscurandone la presenza: la presenza del male deve essere
negata in quanto essa rende difficile questa accettazione:
l’esperienza del male e l’inevitabilità dell’invocazione
aprono allo spazio di Dio, se non a Dio. L’ateismo per
affermarsi aveva dovuto lasciare cadere gli elementi
pessimistici dell’ateismo negativo (teoreticamente
instabile in quanto contestazione di Dio nel nome di Dio), il
nichilismo per affermarsi aveva dovuto lasciare cadere ogni
elemento di tragicità. All’ateismo negativo e al nichilismo
tragico era seguito un ateismo positivo e un nichilismo
confortevole. Col che non voglio dire che il pensiero
religioso di Pareyson e Del Noce sia puramente reattivo
alla situazione storica, voglio dire che però che un pensiero
religioso non può non affrontare il problema del male e
che nella situazione presente la proposta di un pensiero
religioso non può che prendere aspetti -sono di nuovo
parole di Pareyson- “polemici e conflittuali”. C’è una
correlatività fra idea di Dio e idea del male: la scelta che si
apre è quella di negare tanto Dio che il male o affermare
tanto Dio che il male: la prima è la scelta dell’ateismo
positivo e del nichilismo confortevole, la seconda è quella
del pensiero religioso.
A questo punto le vie di Del Noce e Pareyson
divergono: il problema del male è discusso dal primo nei
quadri di una revisione della storia della filosofia (dettata
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dalla presenza in essa dell’ateismo), della filosofia della
storia e di una meditazione etico-politica, dal secondo nel
contesto che non esiterei a definire schiettamente
speculativo che lo porta da un’ontologia dell’inesauribile a
un’ontologia della libertà.
Non posso, dato il tempo a mia disposizione,
addentrarmi nell’esposizione di questi pensieri, spero di
essere riuscito però a evidenziare la presenza di una
problematica che non mi pare possa essere priva di
interesse anche per chi non accetta le proposte che da
essa emergono, che conferisce al pensiero religioso
torinese una fisonomia inconfondibile.

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