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Alessandro Manzoni

Nacque nel 1785 a Milano, venne educato in collegi religiosi, frequentò ambienti illuministici milanesi e
scrisse opere di gusto classicista, raggiunta la madre a Parigi entrò in contatto con gli ideologues,
intellettuali illuministi e liberali.
Dopo il matrimonio con Enrichetta Blondel, calvinista convertita al cattolicesimo, vive anche gli la
conversione, da quel momento scrive opere di orientamento religioso e romantico.
Segue da posizioni di moderato liberalismo gli eventi politici e patriottici; esaurito il periodo più creativo si
dedica alla saggistica. Nominato senatore del Regno d'Italia, volta per il trasferimento della capitale a
Firenze.
Muore a Milano nel 1873.

Tra il 1801 e il 1810, cioè tra i 16 e i 25 anni, Manzoni compone opere perfettamente allineate con il gusto
classicistico allora dominante.
Si tratta di opere scritte nel linguaggio aulico e con l'ornamentazione retorica della tradizione, fitte di
rimandi mitologici e dotti.
Già nel 1801 scrive una visione allegorica in terzine, il trionfo della Libertà, che si richiama ad un genere
consacrato da Monti, poeta in quel momento al massimo della fama.
Seguono l'Adda, poemetto idillico indirizzato a Monti e quattro Sermoni, in cui, prendendo a modello Parini,
il poeta polemizza con aspro moralismo contro aspetti del costume contemporaneo.
Nel 1809 compone ancora un poemetto, Urania, che tratta un tema caro alla cultura neoclassica: il valore
civilizzatore della bellezza e delle Arti.
A Parteneide è invece una risposta al poeta danese Baggesen con cui Manzoni si scusa di non poter
tradurre il suo idillio Borghese Parthenais.
Appena pubblicate queste ultime opere, tuttavia, Manzoni manifesta subito il suo scontento.
Definisce A Parteneide sciocchezzuole e afferma che in futuro comporrà versi mai più simili a quelli.
È il sintomo di un distacco dal gusto e dalla cultura classicistici, Manzoni sente il bisogno di una letteratura
nuova negli interessi come nel linguaggio.
Abbandona quindi il progetto di un poema idillico poi per tre anni non scrive nulla e quando riprende scrive
gli Inni sacri, un genere di poesia radicalmente diverso.

La conversione fu per Manzoni un fatto totalizzante che investì a fondo tutti gli aspetti della sua personalità.
Ne sono una prova le Osservazioni sulla morale cattolica, scritte per controbattere le tesi esposte dallo
storico ginevrino Sismonde de Sismondi che affermavano che la morale cattolica era stata la radice della
corruzione del costume italiano.
Dalle argomentazioni di Manzoni traspare una fiducia assoluta nella religione come fonte di tutto ciò che è
buono e vero.
È inevitabile perciò che la svolta interiore segnata dalla conversione giochi un ruolo determinante nella
svolta letteraria di Manzoni.
L'approdo al cristianesimo è lo sbocco di un processo che aveva messo in crisi non solo scelte esistenziali,
ma anche orientamenti biologici e culturali.
L'adozione di una prospettiva cristiana induce invece Manzoni ad un atteggiamento risolutamente
anticlassico: egli sostiene che i Romani furono un popolo violento e oppressore.
Per contro, nasce in lui un nuovo interesse per il Medioevo cristiano, visto come la vera matrice della civiltà
moderna.
Da questo ripudio della visione classica scaturisce anche in Manzoni un rifiuto della concezione eroica ed
aristocratica che celebra solo i potenti e i vincitori ed un interesse per i vinti e gli umili.
La nuova ottica cristiana influenza profondamente anche la concezione manzoniana della letteratura.
Diviene centrale per Manzoni il problema del male radicato nella storia, della miseria dell'uomo incline
mirabilmente al peccato.
Si forma il lui una visione tragica del reale.
Nasce il bisogno di una letteratura che guardi al vero della condizione storica dell'uomo al di là di ogni
finzione evasiva e di ogni convenzione artificiosa.
Ne deriva il rifiuto del formalismo retorico dell'arte come esercizio ornamentale e il bisogno di un'arte che
scaturisca da esigenze profondamente sentite che affronti contenuti vivi nel la coscienza e utili nel campo
morale e civile.
Manzoni realizza nel modo più compiuto le esigenze di rinnovamento letterario che erano proprie del
gruppo romantico, elabora al più alto grado di consapevolezza una nuova concezione della letteratura.

Promessi Sposi
Manzoni sceglie la forma del romanzo storico.
Con i Promessi Sposi si propone di offrire un quadro di un’epoca del passato ricostruendo tutti gli aspetti
della società, il costume, la mentalità, le condizioni di vita.
Protagonisti non sono le grandi personalità storiche, ma personaggi inventati di oscura condizione, quelli di
cui abitualmente la storiografia non si occupa.
La storia viene in tal modo vista dal basso come si riflette sull' esperienza quotidiana della gente comune.
Per tracciare il suo quadro Manzoni si documenta con grande scrupolo leggendo oltre alle opere
storiografiche sull'argomento, cronache del tempo, biografie e testi letterari e religiosi, memorie, raccolte
di leggi.
Lo scrupolo del vero lo induce a rendere anche le vicende e i personaggi di invenzione molto simili alla
realtà.
Lo stesso scrupolo del vero lo induce anche nella ricostruzione dell'intreccio a respingere il romanzesco cioè
a considerare nella realtà la maniera di agire degli uomini.

La società di cui Manzoni vuol fornire un quadro del suo romanzo è quella Lombarda del 600 sotto la
dominazione spagnola.
Il governo è arbitrario ed è combinato con l'anarchia feudale e l'anarchia popolare.
Infine una peste ha travolto l'intera società.
In questa società prevale il trionfo dell'ingiustizia, dell'arbitrio e della prepotenza, il trionfo dell'irrazionalità
nella cultura, nell'opinione comune, nel costume.

Manzoni ci ha lasciato tre redazioni: la prima con il titolo “gli sposi promessi” poi con maggiore fedeltà agli
intenti originali dell'autore “Fermo e Lucia” la seconda con il titolo definitivo “I Promessi Sposi”, la terza è
quella che abitualmente oggi leggiamo.
Tra le due edizioni pubblicate dall'autore vi sono essenzialmente differenze linguistiche, mentre la prima
redazione presenta differenze profonde tali che hanno fatto parlare da parte di molti di un'opera autonoma
rispetto ai Promessi sposi.
Vi sono innanzitutto differenze nella distribuzione delle sequenze narrative sull'arco dell'intreccio.
Nel fermo inoltre vi sono personaggi che hanno una fisionomia completamente diversa da quella della
redazione definitiva: il conte del sagrato che corrisponde all'innominato non è un personaggio di grande
statura spirituale ma un tipico tiranno secentesco, rozzo e violento.
Vi sono anche interi episodi impostati in modo diverso, ad esempio la storia della signora di Monza è molto
più ampia e caratterizzata da una serie di particolari che non sono presenti nei Promessi Sposi.
Infine nel Fermo vi sono posizioni critiche e polemiche più aspre mentre nei Promessi Sposi le posizioni
dell'autore sono più sfumate e talora dissimulate sotto il velo dell'ironia.
Ciò perché nel Fermo vi è una più netta contrapposizione tra bene e male, positivo e negativo.

Testo
Ritrovata Lucia nel lazzaretto, Renzo torna al paese.
Dopo qualche tempo anche Lucia lo raggiunge.
Per sposarsi i due giovani devono ancora vincere le resistenze di Don Abbondio che non si è liberato delle
antiche paure causategli da Don Rodrigo.
Ma Don Abbondio cede quando apprende che il signorotto è morto e conosce il suo erede che è un bravo
signore.
Costui, per compiere un gesto benefico e per riparare in qualche modo ai soprusi del suo predecessore,
acquista ad un prezzo altissimo le proprietà dei due promessi che intendono trasferirsi nel Bergamasco e li
invita a pranzo nel suo palazzo il giorno dopo le nozze.

La conclusione è uno dei punti nodali del romanzo in cui convergono le sue linee tematiche fondamentali.
Giunge innanzitutto al termine la travagliata vicenda dei due Promessi sposi con la celebrazione del
matrimonio che era stato impedito all'inizio.
In luogo del nobile persecutore Don Rodrigo, compare un nobile benefattore, Il marchese erede che compie
il gesto generoso di comprare a un prezzo altissimo le povere proprietà di Renzo e Lucia.
Così Renzo, grazie anche alle elargizioni dell'Innominato si trova a disporre di un notevole capitale e deve
risolvere il problema di come investirlo.
La scelta dell'Industria con l'acquisto del filatoio è significativa: ancora ai suoi tempi l'Italia era
arretratissima nello sviluppo industriale e Manzoni si rivela allineato con l’intellettualità più avanzata che si
adoperava per promuovere l'industrializzazione della Lombardia.
Si colgono anche gli orientamenti liberali dello scrittore che facendo scegliere l’industria celebra lo spirito di
iniziativa del suo personaggio infatti Renzo grazie alla sua lungimiranza ottiene una promozione sociale
passando da operaio salariato a imprenditore e ottenendo una relativa agiatezza.
Così come di aspirazione liberista è l'approvazione tributata ai provvedimenti fiscali della Repubblica di
Venezia che alleggerendo il carico delle tasse, attira imprenditori e manodopera da altri Stati e incrementa
lo sviluppo economico.
La visione liberale illuminata di Manzoni si manifesta ancora nella scelta operata da Renzo di assicurare ai
figli un'istruzione, strumento imprescindibile di promozione sociale e di sviluppo.

Però il percorso di formazione di Renzo non è ancora terminato: anche se grazie alle sue due brutte
esperienze milanesi ha capito di non essere in grado con la sua azione di porre rimedio a ingiustizie e
miserie, come si era illuso all'inizio, e si è abbandonato alla volontà della Provvidenza, conserva ancora un
residuo laico di fiducia nella virtù dell'uomo nella possibilità di controllare il reale con sapiente calcolo
razionale e di porre riparo ai colpi della fortuna.
È per Manzoni una fiducia vana, per lui nessun calcolo prudente può mettere l'uomo al sicuro da accidenti
dolorosi.

Il compito di redimere Renzo dall'errore tocca come sempre a Lucia.


Fa così osservare che i guai l'hanno colpita anche se, a differenza di Renzo, non è andata a cercarseli.
La conclusione a cui arrivano i due giovani è che i guai possono venire anche senza colpa e che la vita più
cauta è più innocente non basta a tenerli lontani.
I due protagonisti acquisiscono una visione più profonda e matura della provvidenza.
Essi prima pensavano in modo ingenuo che essa intervenisse infallibilmente a premiare buoni e a punire i
malvagi, ora invece arrivano a capire che anche le sventure possono essere provvidenziali, se affrontate con
fiducia in Dio, e possono essere utili per una vita migliore cioè non chiusa nell'egoismo ma aperta agli altri,
nutrita della consapevolezza che la condizione terrena è uno stato doloroso su cui il male incombe
costantemente.

Confronto Manzoni Foscolo


Manzoni e Foscolo ebbero una concezione dolorosa della vita. Tuttavia il pessimismo di Manzoni non è di
natura filosofica, come quello del Foscolo.
Il pessimismo del Foscolo infatti scaturisce dal contrasto tra la concezione materialistica della realtà e la
reazione del sentimento, che si sente frustrato nella sua ansia di assoluto, di infinito e di eterno.
Quando essi cercano di scoprire la causa del dolore e dell'infelicità umana, eludono la responsabilità
individuale ed incolpano la natura, che ha creato l'uomo bramoso di felicità, pur sapendo che essa non
verrà mai soddisfatta.
Il pessimismo del Manzoni invece è di natura morale, perché coinvolge la responsabilità individuale
dell'uomo, il quale, pur comprendendo la malvagità del dolore e del male, ama causarne agli altri per
egoismo, nella speranza di allontanarli da sé.
Come il Foscolo, anche il Manzoni apprese la lezione più profonda del classicismo, la moderazione,
l'equilibrio interiore, il dominio dei sentimenti, la chiarezza e la limpidità espressiva.

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