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Ovazioni a Salisburgo per la Missa solemnis di Beethoven diretta da Muti

Riccardo Muti, ovazioni a Salisburgo per la Missa solemnis di Beethoven: «È la Cappella


Sistina della musica»

– di Valerio Cappelli|14 agosto 2021

Mai diretta prima dal Maestro (arrivato a 270 presenze nella rassegna austriaca dal 1971), è la
più grande predica religiosa in note. I Wiener Philharmoniker non la eseguivano da diciannove
anni

SALISBURGO Si arriva finalmente alla vetta più alta. «È come scalare l’Everest, è la più grande
predica religiosa in musica», dice Riccardo Muti al termine del concerto (10 minuti di applausi e
standing ovation) che ha riportato al Festival di Salisburgo la Missa solemnis di Beethoven, che i
Wiener Philharmoniker non eseguivano da 19 anni. È come quando si vede La Pietà di
Michelangelo, bisogna indietreggiare di qualche passo per poterla comprendere e ammirare. E Muti,
che ha diretto per la prima volta nella sua vita questa Messa, dice: «Ho cominciato a studiarla nel
1970, la prendevo e la lasciavo, la riprendevo e la rilasciavo… È la Cappella Sistina della musica,
c’è una moltitudine di figure, un mondo pieno di immagini, è un lavoro talmente complesso da far
tremare i polsi a ogni interprete».

A contatto con quella che Beethoven riteneva la sua più grande opera, qualcuno ricorderà Karajan,
Bernstein, Haitink e Harnocourt, che era stato l’ultimo a portarla nel 2015 a Salisburgo. Ma tanti
altri grandi direttori, forse intimoriti, non l’hanno mai interpretata. Il beethoveniano Furtwängler la
diresse appena due volte, e così l’ultimo Toscanini. Muti, che scioglie la tensione dinamica in un
suono corposo e denso, arriva alla Missa solemnis dopo l’invito del 2020, nell’anno beethoveniano,
a dirigere la Nona Sinfonia al Festival (è a 270 presenze, dal ‘71). Come uno statement, una
dichiarazione.

Un brano devozionale, con il Covid e le prescrizioni che regolano l’afflusso del pubblico


(mascherine, mani disinfettate, doppio vaccino con documento d’identità…), si esalta l’aspetto
mistico. Alla prova generale, Muti smussa la tensione in sala con la sua metà partenopea: «Questo
applauso è perché non credete sia possibile che abbia compiuto 80 anni?». In questo unicum non è
possibile menzionare una sola melodia, «non è il Beethoven della Quinta, che riceve l’ispirazione di
un tema nell’intero arco della Sinfonia».

Non c’è una vera elaborazione tematica, diceva Adorno, il filosofo della musica. «È vero, ma
Adorno va sempre preso con le pinze, è pieno di temi, anche se non ci sono le melodie cantabili ma
cellule tematiche su cui Beethoven lavora come un grande architetto. È la ragione per cui amava
molto Cherubini, un altro di quei sommi non famosi per l’invenzione melodica ma per la capacità di
costruire».

Il Coro della Staatsoper di Vienna canta dall’inizio alla fine, e con i quattro solisti (Feola, Kolosova,
Korchak, Abdrazakov) «è ai limiti della ineseguibilità, Beethoven usa le voci come strumenti e,
come dice un noto musicologo, ama tanto le voci e tanto le violenta». Poi tra le divine anomalie c’è
il lungo assolo del primo violino sul Benedictus, che rappresenta la presenza di Cristo sull’altare.
«Ogni brano ha i suoi tratti specifici, di strumentazione, di colori, di atmosfere. Beethoven si spinge
in una zona metafisica, come nelle coeve ultime Sonate per piano, o i Quartetti e la Nona. Sono
zone negate al comune mortale. Cercò con le note di evocare il significato più profondo di ogni
parola. Nei suoi appunti scrive di faticare molto a trovare la soluzione finale, c’è un’attenzione
maniacale al testo». La Missa solemnis era nata per celebrare l’arcivescovo Rodolfo, che aveva
lasciato la vita militare. Ma Beethoven la terminò tre anni dopo la sua nomina. «Penò molto per
farla eseguire, dovette andare a San Pietroburgo».

Una musica che muove tra due onde temporali agli estremi: una tendenza arcaicizzante che lo
riporta a Palestrina, Bach, Händel, o al contrappunto fiammingo; e dall’altra parte «la virulenza e la
tragicità di brani che anticipano il mondo romantico». Muti pensa al finale, a «quella specie di
fanfara di guerra di trombe e timpani che evocano le guerre tra i popoli, un grido disperato verso
Cristo, e poi tra le note incombono i conflitti dell’uomo. Capolavoro assoluto».

Valerio Cappelli, Corriere della Sera, 14 agosto 2021

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