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Lev D. Landau Evgenij M.

Lifiits

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Fisica teorica 1

Editori Riuniti Edizioni Mir


Lev D. Landau Evgenij M. Lifiits

Meccanica

Editori Riuniti Edizioni Mir


I11 edizione, I ristampa: maggio 1994
Titolo originale: Mechanika
C3 Copyright Edizioni Mir, Mosca
C3 Copyright Editori Riuniti, 1976
Piazza Vittorio Emanuele 11, 47 - 00185 Roma
ISBN 88-359-3473-7
Prefazione all'edizione italiana . . . . . . . . . . . . . . . . p.
Dalla prefazione alla prima edizione russa .............
. .
E M LifSic e Lev DavidoviC Landau à .............
.
Capitolo I EQUAZIONI DEL MOTO
.
5 1 Coordinate generalizzate ............
.
$ 2 I l principio d i m i n i m a azione .........
5 3. I l principio d i relativita d i Galilei . . . . . . .
5 4 . Funzione . di Lagrange d i u n punto materiale libero
5. Funzione d i Lagrange d i u n sistema d i punti materiali

.
Capitolo I1 LEGGI DI CONSERVAZIONE
5 6 . Energia . . . . ................
5 7. Quantitk d à moto ........:......
.
$ 8 Centro d i massa . . . . . . . .........
.
$ 9 M'omento citlla quantità d i moto.........
.
5 1 0 Similitudine meccanica . . . .........
.
Capitolo 111 INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO
.
5 11 Moto unidimensionale .............
$ 12. Determinazione dell'energia potenziale dal periodo
delle oscillazioni ................
.
$ 13 Massa ridotta ................
.
5 1 4 Moto t n u n campo centrale . . . . . . . . . .
.
16 I l problema di Keplero . . . . . . . . . . . . .

.
Capitolo IV URTI DI PARTICELLE
.$ 16 . Disintegrazione di particelle ..........
8 17. Urto elastico d i particelle . . . . . . . . . . .
5 18. Diffusione d i particelle . . . . . . . . . . . .
$ 19. Formula d i Rutherford . . . . . . . . . . . .
20. Diffusione a piccoli angoli . . . . . . . . . . . .
6 INDICE

.
Capitolo V PICCOLE OSCILLAZIONI
5 21. Oscillazioni libere unidimensionali . . . . . . P-
5 22. Oscillazioni forzate . . . . . . . . . . . . . .
5 23. Oscillazioni dei sistemi con pia gradi d i liberta . .
24. Oscillazioni delle molecole . . . . . . . . . . .
5 25. Oscillazioni smorzate . . . . . . . . . . . . .
5 26. Oscillazioni forzate i n presenza di attrito . . . . .
5 27. Risonanza parametrica . . . . . . . . . . . .
5 28. Oscillazioni anarmoniche . . . . . . . . . . . .
5 29. Risonanza nelle oscillazioni non lineari . . . . .
5 30. Moto i n u n campo rapidamente oscillante . . . . .
.
Capitolo VI MOTO DEI CORPI SOLIDI
5 31. Velocità angolare ...............
5 32 . Tensore d'inerzia ...............
.
33 Momento della quantità d i moto d i u n solido ...
5 34 . Equazioni del moto di u n corpo solido .....
5 35 . Angoli di Eulero . . . . . . . . . . .....
36 . Equazioni d i Eultro . . . . . . . . . . . . . .
5 37 . Trottola asimmetrica . . . . . . . . . . . . .
5 38 . Contatto fra i corpi solidi . . . . * . . . . . .
39. Moto i n u n sistema di riferimento non inerziale . .

.
Capitolo VI1 EQUAZIONI CANONICHE
.
40 Equazioni d i Hamilton .............
41 . Funzione d i R o u t h . . . . . . . . . . . . . . .
5 42 . Parentesi d i Poisson . . . . . . . . . . . . . .
43 . Azione come funzione delle coordinate . . . . . .
44 . Principio d i Maupertuis . . . . . . . . . . . .
5 45 . Trasformazioni canoniche . . . . . . . . . . . .
5 46 . Teorema d i Liouville . . . . . . . . . . . . .
5 47 . Equazione d i Hamilton-Jacobi . . . . . . . . .
5 48 . Separazione delle variabili . . . . . . . . . . .
5 49 . Invarianti adiabatici . . . . . . . . . . . . .
( 50 . Variabili canoniche . . . . . . . . . . . . . .
5 51 . Conservazione d i u n invariante adiabatico . . . . .
5 52 . Moto condizionatamente periodico . . . . . . . .
Indice analitico ........................
Prefazione al1'edizione italiana

I l Corso di fisica teorica, che ora viene proposto all'attenzione del


lettore italiano nella sua lingua, Ã nato su iniziativa del mio maestro
e amico, Lev Landau. I l nostro lavoro comune su questi libri inizia
già nella seconda metà degli anni '30.
I n tutti i volumi di questo Corso abbiamo cercato di esporre il mate-
riale i n modo che risultasse chiaro, per quanto possibile, il senso fisico
della teoria. C i siamo sforzati inoltre di sviluppare i n modo completo
l'apparato matematico nella forma p i 6 adatta alle necessità pratiche e,
al tempo stesso, nella forma pid semplice; abbiamo cercato di evitare
quelle complessità matematiche che non siano giustificate da considera-
zioni fisiche.
Era propria dell'opera scientifica di Landau la tendenza alla
chiarezza, la tendenza a semplificare le cose complesse e, quindi, a rive-
lare la bellezza delle leggi della natura nella loro vera semplicitÃ
Landau cercà sempre di sviluppare questa tendenza nei suoi allievi.
Nei decenni trascorsi dalla prima edizione i vari volumi d i questo
Corso sono stati ristampati pi6 volte. Per ogni nuova edizione i libri sono
stati sempre rielaborati ed ampliati tenendo conto delle ultime scoperte
della scienza. Questo lavoro si à reso oggi pi6 difficile quando lo si deve
fare senza la partecipazione di Landau.
L a traduzione italiana dei primi tre volumi del Corso èstat condotta
sulla base dell'ultima edizione russa appena uscita. Il lavoro d i
rielaborazione sugli altri volumi continua ancora e di esso sarà tenuto
conto, per quanto possibile, nella presente edizione italiana.
Questo primo volume del Corso d i fisica teorica contiene u n articolo
dedicato a Landau, che io ho scritto nel 1969 per l'edizione postuma
russa delle sue opere. Voglio sperare che questo articolo aiuti i l lettore
italiano a farsi almeno un'idea della personalità di questo straordinario
uomo.
Mosca, gennaio 1975.
Dalla prefazione alla prima edizione russa

Con il presente volume ci proponiamo di iniziare la nuova edizione


completa della @Fisica teorica)). I l piano generale dell'opera
comprende:
1. Meccanica. 2. Teoria dei campi. 3, Meccanica quantlstica
.
(teoria non relativistica) 4. Teoria quantistica relativistica. 5. Fisica
statistica. 6 . Idrodinarnica. 7. Teoria della elasticitù 8. Elettrodi-
namica dei mezzi continui. 9. Cinetica fisica.
Mosca, luglio 1957
LEV DAVIDOVIC LANDAU
(1908-1968)

Dal giorno i n cui moriva Lev Davidovi6 Landau, i l 1 aprile 1968,


non à trascorso molto tempo, m a la sorte h a voluto che gid oggi guardiamo
questa figura da u n a certa distanza. Questa distanza ci permette non
soltanto 'di valutare meglio la grandezza dello scienziato, la cui opera
acquista un'importanza sempre pi6 evidente, m a anche di vedere piti
chiaramente la nobiltà di animo dell'uomo stesso. Egli era profondamente
buono e aveva uno spiccato senso della giustizia. l? indubbio che anche
cià costituisce la causa della sua popolarità come scienziato e come mae-
stro, dell'ammirazione e della stima che provavano per lui i suoi allievi
diretti e indiretti, ammirazione e stima che si sono manifestate constraor-
dinaria forza nei giorni i n cui si lottava per salvargli la vita dopo u n
pauroso incidente.
A Landau à toccata la tragica sorte di morire due volte. L a prima vol-
ta accadde i l 7 gennaio 1962, sulla strada tra Mosca e Dubna, quando
la sua automobile andà ad urtare contro u n autocarro. L'epica storia
della successiva battaglia per salvare la vita di L . D. Landau à prima di
tutto una storia di abnegazione e di bravura di numerosi medici e infer-
mieri. M a al tempo stesso à la storia di un'eccezionale solidarietà collet-
tiva di colleghi ed amici. L'incidente scosse tutto i l mondo scientifico
provocando u n a reazione spontanea e immediata. La clinica nella quale
Landau fu ricoverato in stato d i coma divenne il centro d i coloro
- allievi e colleghi - che si sforzavano, nella misura delle proprie
possibilità d i aiutare i medici nella loro lotta disperata per salvare
L. D . Landau.
à L a loro impresa collettiva inizià subito dal primo giorno. Eminenti
scienziati, pur non essendo competenti in medicina, accademici, membri
corrispondenti dell'Accademia, candidati e dottori in scienze*), persone
della stessa generazione di Landau allora cinquantaquattrenne, allievi
di Landau, giovanissimi allievi dei suoi allievi, tutti svolgevano volon-
tariamente mansioni di fattorino, autista, intermediario, fornitore,
segretario, infermiere e persino di facchino e manovale. I l loro quartiere
generale, sorto spontaneamente, si stabilà nello studio del primario della
*) Titoli, successivi alla laurea, conferiti nelltURSS per meriti scientifici
(N.d.R.).
10 LEV DAVIDOVIC LANDAU

-clinica n. 50 diventando u n vero centro organizzativo atto ad eseguire di


giorno e di notte, i n modo incondizionato e urgente, tutte le prescrizioni
-dei medici curanti.
87 fisici teorici e sperimentatori parteciparono a quest'opera volon-
taria di salvataggio. F u approntata una guida alfabetica con telefoni
.e indirizzi d i tutti e di tutto: persone ed enti di cui si poteva aver bisogno
in ogni istante. Essa conteneva 223 numeri di telefono/ A l t r i ospedali,
.autorimesse, aerodromi, dogane, farmacie, ministeri, luoghi di eventuali
arrivi di medici consulenti.
Nei giorni p i L tragici i n cui sembrava che à Dau morisse à - furono
Â¥almen quattro - davanti all'edificio di sette piani della clinica
-c1eranopronte 8-10 auto ... Nel momento in cui, i l 12 gennaio, si
rese necessario l'apparecchio per la respirazione artificiale, uno dei
fisici propose di costruirlo immediatamente nei laboratori dell'Istituto
d i problemi fisici. Era una proposta inutile e ingenua, m a meravigliosa
per lo spirito che Vaveva suggerita. Alcuni fisici andarono a prendere
l'apparecchio nell'Istituto di poliomelite e lo trasportarono a mano
nella corsia dove giaceva Landau ansimante. Essi salvarono cosi il loro
-colle a , maestro ed amico.
l$ impossibile raccontare tutto ... F u u n vero e proprio atto di fratel-
lanza tra i fisici. .. È*
Dunque, la vita di Landau venne salvata. M a quando tre mesi dopo
egli riprese conoscenza, non era pili la persona che avevamoconosciuto
prima. Egli non potà mai pi6 riprendersi dalle conseguenze dell'inciden-
te e le sue capacità non si ristabilirono mai completamente. L a storia dei
.sei anni successivi à soltanto la storia di lunghe sofferenze e di dolore.

Lev Davidovi2 Landau nacque i l 22 gennaio 1908 a B a k u nella fami-


g l i a di u n ingegnere che lavorava nei pozzi di petrolio. S u a madre era
medico e per un periodo si occupà d i ricerca nel campo della fisiologia.
Ali'età d i tredici anni Landau terminà la scuola media superiore.
G i à allora egli si appassionava alle scienze esatte rivelando molto presto
le sue doti d i matematico. D a solo egli apprese l'analisi matematica e
diceva spesso che neppure si ricordava di quando non sapeva derivare
e integrare.
I genitori di Landau ritennero che era ancora troppo giovane per
iscriverlo all'università e cosi per u n anno egli frequentà u n a scuola te-
m i c a d i studi economici. Nel 1922 egli si iscrisse all'università di Baku
dove studià contemporaneamente i n due faccoltà matematico-f isica e chi-
mica. In seguito L . D. Landau non continuà la chimica, maconservà per
t u t t a la vita interesse per questa scienza.

*) à Literaturnaia gazeta È 21 luglio 1962 (D. Danin, Solidwietà )


LEV DAVIDOVIC LANDAU 11

Nel 1924 L. D. Landau passa alla facoltà d i fisica dell'universitÃ


d i Leningrado. I n questa cittiìche era allora il centro principale della
fisica sovietica, Landau per la prima volta si accosta alla fisica teorica
che i n quegli anni subiva un periodo impetuoso. Egli si t u f f ~nello studio
con tutto l'ardore del suo entusiasmo giovanile. Per l'eccessivo lavoro si
prendeva spesso esaurimenti tali da non poter dormire di notte perse-
guitato dalle formule che gli sembrava di vedere dappertutto.
Egli diceva p i tardi
~ che i n quell'epoca si senti scosso dall' incredibile
bellezza della teoria della relatività generale (talvolta affermava persino
che tale ammirazione dopo una prima conoscenza con questa teoria doveva
essere, a suo avviso, u n sintomo che i n generale ogni vero fisico deve
avere). Egli ricordava anche i n quale stato di estasi lo condusse lo studio
degli articoli di Heisenberg e di Schrodinger, che segnarono l'avvento
della nuova meccanica quantistica. Landau riconosceva che quegli arti-
coli gli permisero non soltanto di godere della vera bellezza del pensiero
scientifico, m a anche di provare un'acuta sensazione della forza del genio
umano i l cui trionfo pi6 grande à nella capacità dell'uomo di capire le
cose che egli non arriva ad immaginare. E tali sono, naturalmente, pro-
prio la curvatura dello spazio-tempo e i l principio di indetermina-
zione.
N e l 1 9 2 7 Landau prese la laurea e divenne aspirante di ruolo presso
l'Istituto di fisica tecnica di Leningrado. A quegli anni risalgono i suoi
primi lavori scientifici. Nel 1926 egli pubblicà la teoria delle intensitÃ
degli spettri di molecole biatomich^*), e già nel 1927 compare il suo lavo-
ro sul problema dell'irraggiamento nella meccanica quantistica, nel
quale per la prima volta venne introdotta la descrizione dello stato di
sistemi mediante la matrice densitÃ
L a dedizione alla fisica e i primi successi scientifici erano offuscati,
perii, dalla morbosa timidezza nei contatti con la gente, cosa che gli
provocava molte sofferenze e che, a volte, come egli stesso riconoscerà pil
tardi, lo portava alla disperazione. Quei mutamenti che con gli anni
avvennero i n lui e che lo trasformarono i n una persona piena di vita,
capace di sentirsi libera ovunque e sempre, sono i n misura notevole il
risultato dell'autodisciplina che gli era propria e del sentimento di
responsabilità nei confronti di sà stesso. Queste qualità rinforzate da una
mente sobria e autocritica, gli permisero di fare di stf stesso u n uomo
dotato di una rara capacità di sentirsi felice. La stessa sobrietà di mente
Valutava sempre a distinguere nella vita le cose vere dalle cose false,
alle quali non valeva la pena attribuire troppa importanza, e a con-
servare quindi l'equilibrio di spirito nei momenti pi6 duri che non
mancarono nella sua vita.

*) Egli non sapeva per6 che un anno prima questi risultati erano gih stati
pubblicati da H. Honl e F. London.
Qui e piti avanti le cifre indicano il numero dell'articolo pubblicato nel
libro ucollected papers of L. D. Landau~, Pergamon Press, 1965.
12 LEV DAVIDOVIC LANDAU

Nel 1929, Landau fu inviato dal Commissariato del popolo per


l'istruzione pubblica i n missione scientifica all'estero e per u n anno
e mezzo lavort3 i n Danimarca, Inghilterra e Svizzera. L a p i ~im-
portante per lui fu la permanenza a Copenaghen, dove neZl1Istitutodi
fisica teorica si riunivano dal grande Nieis Bohr fisici di tutta Europa
e dove, durante i famosi simposi diretti da Bohr, venivano affrontati
i problemi della fisica teorica di quell'epoca. L'atmosfera scientifica
rafforzata dal fascino della persona stessa di Bohr esercità un'influenza
decisiva sulla formazione della concezione fisica del mondo di Landau.
In seguito egli si considerà sempre allievo di Niels Bohr. Egli visitÃ
Copenaghen ancora due volte: nel 1933 e nel 1934. Durante la sua per-
manenza all'estero Landau serisse i lavori sulla teoria del diamagnetismo
del gas di elettroni4 e fece studi sulle restrizioni imposte alla misurabilitÃ
delle grandezze fisiche nel campo quantlstico relativistico (%, i n cellabo-
razione con Peieris).
Dopo il suo ritorno a Leningrado nel 1931, Landau lavorà all'I-
stituto d i fisica tecnica e nel 1932 si trasferi a Kharkov dove fu direttore
della sezione teorica dell'appena, organizzato Istituto di fisica tecnica
deIV Ucraina. Contemporaneamente egli diresse la cattedra di fisica teo-
rica nel Politecnico di Kharkov e dal 1935 la cattedra di fisica generale
presso V Università di Kharkov.
Gli anni trascorsi a Kharkov furono per Landau anni di intenso lavo-
ro e di molteplice ricerca scientifica*). Proprio a Kharkov inizià la sua
attività di insegnante, là furono gettate le fondamenta della sua scuola
di fisica teorica.
La fisica teorica del X X secolo à ricca di nomi gloriosi. Fra questi
ci fu anche Landau. L a sua influenza sullo sviluppo della scienza
à ben lontana daIV1esaurirsi nel suo contributo personale. L'insigne
fisico f u a l tempo stesso u n grande maestro, maestro per vocazione. Sotto
questo aspetto si potrebbe forse confrontare Landau soltanto con il suo
maestro, Niels Bohr.
S i n da giovane egli si interessa vivamente ai problemi dell'insegna-
mento della fisica teorica, cosi come della fisica i n generale. Proprio
a Khurkov egli per la prima volta si mise a elaborare i programmi del
à minimo teorico È nozioni fondamentali di fisica teorica indispensabili
ai fisici sperimentali e, separatamente, a coloro che volevano dedicarsi
alla ricerca professionale nel campo della fisica teorica. N o n limitandosi
solo alla elaborazione dei programmi, egli tenne u n corso di fisica teorica
per i collaboratori dell'Istituto di fisica tecnica del17Ucraina e per gli

*) Dell'intensa attività scientifica di Landau in quel periodo si puà giudi-


caresemplicementeelencando i lavori portati a termine nel solo 1936: teoria
delle transizioni di fase di seconda specie29, teoria dello stato intermedio dei
superconduttori30, equazione cinetica nel caso dell'interazione c o ~ l o m b i a n a ~ ~ ,
teoria delle reazioni monomolecolari~~,proprieth di metalli a temperature
molto basse26, teoria della dispersione e dell'assorbimento del suon0~~1 ",
teoria dei fenomeni fotoelettrici nei semiconduttorifi.
LEV DAVIDOVIC LANDAU 13

studenti del Politecnico d i Kharkov. Appassionato ali'idea di u n rinno-


vamento globale dell'insegnamento della fisica, egli assunse ladirezione
della cattedra di fisica generale presso l'Università di Kharkov (pili
tardi, nel periodo postbellico, continuà a tenere u n corso di fisica generale
presso la facoltà di fisica d e l l Universitk di Mosca).
Sempre a Kharkov gli venne l'idea di scrivere u n Corso completo di
fisica teorica e u n Corso di fisica generale, idea che egli comincià subito
a tradurre in pratica. Durante tutta l a vita Landau sogna di scrivere
libri di fisica a tutti i livelli: da testi per la scuola secondariaauncorso
d i fisica teorica destinato agli specialisti. D i fatto, prima del fatale inci-
dente, furono portati a termine quasi tutti i volumi della Fisica teorica
e i primi volumi del Corso di fisica generale e della Fisica per tutti.
Egli accarezzava anche Videa di scrivere testi di matematica per fisici,
che avrebbero dovuto diventare à guida d''azione È insegnare ad applicare
praticamente l a matematica alla fisica ed essere privi del rigore e della
complessità superflui a tale scopo. L a realizzazione di questo program-
m a non fu m a i iniziata.
Landau attribuiva i n generale grande importanzaal fatto che i fisici
avessero padronanza dell'apparato matematico. I l grado di questapadro-
nanza deve essere tale che le difficoltà matematiche non devono distogliere
l'attenzione, per quanto possibile, dalle difficoltÃfisiche del problema,
soprattutto se si tratta di metodi matematici ordinari. Questo puà esse-
re raggiunto soltanto mediante u n sufficiente esercizio. M a come mostra
l'esperienza, i l metodo esistente e i programmi universitari di matematica
per i fisici spesso non.assicurano tale esercizio. L'esperienza mostra anche
che lo studio della matematica appare ad u n fisico, chehagià iniziato la
sua attività pratica, troppo u noioso È
Percià l a prima cosa alla quale Landau sottoponeva chiunque volesse
entrare nel gruppo dei suoi allievi era la prova di matematica nei suoi
aspetti à pratici à d i calcolo*). Chi superava questa prova poteva poi
passare a dare gli esami nei sette campi del à minimo teorico à che inclu-
deva nozioni fondamentali d i tutti i campi della fisica teorica. Landau
riteneva che queste nozioni dovessero essere i l bagaglio scientifico di ogni
fisico, a prescindere dalla sua futura specializzazione. Egli, beninteso, non
chiedeva a nessuno di essere universale, nella stessa misura in cui lo era
lui. M a in cià si rivelava la sua convinzione che la fisica teorica rappre-
senti u n a scienza a sé con metodi propri.
I n u n primo tempo Landau faceva pelsonalmente tutti gli esami
del (( minimo teorico ÈM a dopo, quando il numero degli esaminandi

*) Si chiedeva di saper calcolare un qualsiasi integrale indefinito (espresso


da funzioni elementari) e risolvere una normale equazione differenziale,
di conoscere l'analisi vettoriale e l'algebra tensoriale, nonchà i fondamenti
della teoria delle funzioni con variabile complessa (teoria dei residui, metodo
di Laplace). Si supponeva, inoltre, che campi della matematica come l'analisi
tensoriale, la teoria dei gruppi, ecc. sarebbero stati studiati in quei campi della
fisica in cui essi venivano applicati.
14 LEV DAVIDOVIC LANDAU

aumentà troppo, questi impegni vennero distribuiti anche tra i suoi


collaboratori pili vicini. M a il diritto di fare il primo esame e di fare la
prima conoscenza con ogni giovane Landau lo ha sempre riservato persi.
A tale scopo chiunque poteva incontrarlo: bastava telefonargli ed espri-
mere il proprio desiderio.
E naturale che non tutti coloro che si mettevano a studiare il à mini-
mo teorico à avevano capacità e tenacia per terminarlo. Dal 1934 al
1961 hanno superato questa prova i n tutto 43 persone.Quanto fosse
efficace quella scelta si puà giudicare anche solo i n base ai seguenti dati
formali: di queste persone 7 sono gia accademici e 16 dottori i n ,
scienze.
Nella primavera del 1937 Landau si trasferf a Mosca dove assunse
l'incarico di capo sezione teorica dell'Istituto di problemi fisici, costruito
poco prima per P. L. Kapitza. Qui egli passà il resto della sua vita;
i n questo istituto, diventato per lui una casa paterna, la sua attività rag-
giunse l'apice. Proprio qui Landau creò i n un'interazione magnifica
con ricerche sperimentali, quello che possiamo considerare il tema princi-
pale della sua vita di scienziato: la teoria dei liquidi quantistici.
Sempre mentre lavorava qui gli vennero conferiti riconoscimenti
esterni dei suoi meriti. Nel 1946 egli diventa membro effettivo
dell'Accademia delle Scienze dell'URSS. E insignito di molte decorazioni
(tra cui due ordini di Lenin) e di titolo di Eroe del Lavoro socialista: ono-
rificienze sia per i successi puramente scientifici che per il contributo alla
realizzazione pratica di compiti di stato. Gli èconferit ire volte il Premio
di Stato e nel1962 il Premio Lenin. N o n mancavano neppure onorif icienze
dall'estero. Già nel 1951 à eletto membro dell'Accademia dellaDanimarca
e nel 1956 dei Paesi Bassi. Nel 1959 diventa membro della Società d i
fisica britannica e nel 1960 membro straniero della Società reale britan-
nica. Lo stesso anno à eletto membro dell'Accademia nazionale delle
scienze degli Stati Uniti e dell'Accademia americanadelle scienze e delle
arti. Nel 1960 Landau à insignito del Permio F. London ( U S A ) e della
medaglia Max Planck (RFT). Ed infine, nel 1962 gli à conferito i l
Premio Nobel à per la ricerca pionieristica nella teoria dello stato con-
densato della materia e , i n particolare, dell'elio liquido È
L'influenza scientifica di Landau non si limita ai suoi allievi diret-
ti. Egli era profondamente democratico nella vita scientifica (come, tra
l'altro, nella vita privata; gli furono sempre estranei boria e servi-
lismo). Per consigli o osservazioni critiche, sempre ben nette e chiare,
gli si poteva rivolgere chiunque, indipendentemente dai suoi meriti
scientifici e titoli, ma ad un'unica condizione: si doveva trattare di
una cosa seria e non di raziocinio cervellotico vacuo - cosa che egli de-
testà sempre nella scienza - camuffatto da complessità pseudoscientif i-
che prive di contenuto e di risultato. Alla sua mente era propria un'ar-
guzia critica; questa qualità insieme con u n metodo profondamente fisico
nell'affrontare i problemi rendevano attraente e utile la discussione
con lui.
LEV DAVIDOVIC LANDAU 15

Nel dibattito egli era veemente e aspro m a non sgarbato, arguto e iro-
nico ma non caustico. Una targa sulla porta del suo ufficio nell'Istituto
di Kharkov diceva:
Lev Landau.
Attenzione, morde!
Con gli anni il suo carattere e le maniere divennero p i miti,
~ ma non
mutarono il suo entusiasmo per la scienza e la sua coerenza scientifica.
senza compromessi. Dietro la sua apparente asprezza si celavano impar-
zialità scientifica, u n grande cuore e una grande bontà Quanto aspra

Dau ha detto ...


e spietata era la sua critica tanto sincero era il suo desiderio di aiutare
con un consiglio il successo altrui e altrettanto calda era la sua appro-
vazione.
Questi tratti del carattere e del talento di Landau gli meritarono la
posizione di arbitro supremo tra i suoi allievi e colleghi.*) E indubbio
che questo aspetto dell'attività di Landau e il suo prestigio scientifico
e morale, che serviva di freno ai lavori precoci, hanno determinato i n
misura notevole Volto livello della fisica teorica nell'URSS.
Il contatto scientifico costante con numerosi colleghi e allievi era
anche per Landau fonte di conoscenze. Lo stile di lavoro di Landau era
contrassegnato da u n tratto assai originale: da molto tempo, già dal
periodo di Kharkov, egli non leggeva articoli e libri scientifici. Per avere
queste conoscenze gli servivano le numerose discussioni e gli interventi
al seminario scientifico da lui diretto.
Questo seminario si tenne regolarmente, una volta alla settimana, per
quasi trent'anni. Negli ultimi tempi esso acquistà il carattere di una riu-
nione generale dei fisici di tutta Mosca. Intervenire al seminario era
il dovere sacrosanto di tutti i suoi allievi e collaboratori, e Landau stesso
constraordinaria serietà e zelo selezionava il materiale per gli interventi.
*) Questa posizione à espressa dalla caricatura di A. A. Jusefovit ripro-
dotta sopra.
16 LEV DAVIDOVIC LANDAU

Egli si interessava ed era ugualmente competente i n tutti i campi della


fisica, cosicchà i partecipanti al seminario spesso si trovavano i n diffi-
coltà nel passare con Landau dalla discussione, per esempio, delle pro-
prietà delle particelle à strane à direttamente aconsiderazionisullospettro
energetico degli elettroni nel silicio. L'ascoltare gli interventi non era
mai per Landau una formalità non si calmava finchà non veniva messa
completamente i n luce l'essenza di u n lavoro e non vi erano state eli-
minate le tracce della à § f i l o l o g i acioÃ
~ delle asserzioni infondate e delle
proposte avanzate secondo il principio: u e perchà non cosi ÈDopo una,
simile discussione e critica molti lavori si dichiaravano u patologia Ã
e Landau non ne aveva pili alcun interesse. Viceversa, articoli che conte-
nevano effettivamente idee e risultati nuovi venivano iscritti al cosiddetto
à fondo d'oro à e Landau li ricordava sempre.
D i fatto, gli bastava soltanto conoscere l'idea principale di u n
lavoro per riprodurne tutti i risultati. D i regola, gli era pili facile otte-
nerli a modo suo anzichà seguire nei dettagli ilragionamento dell'autore.
Cosi egli ottenne per sà e ripensà profondamente la maggior parte dei
risultati fondamentali i n tutti i campi della fisica teorica*). Con questo
si spiega, evidentemente, la sua fenomenale capacità di dare una risposta
a quasi tutte le domande di fisica che gli venivano poste.
A l10 stile scientifico di Landau era estranea la tendenza, purtroppo
abbastanza diffusa, di complicare le cose semplici (spesso giustificata con
motivi di generalità e di rigore che risultano di solito illusori). Egli
tendeva sempre al contrario, a rendere semplici le cose complicate,
a rivelare i n modo pili chiaro la vera semplicità dei fenomeni basati sulle
leggi della natura. D i questo, di saper à rendere banali à le cose, come egli
stesso diceva, era particolarmente fiero.
La tendenza alla semplicità e all'ordine era propria, in generale,
della mentalità di Landau. Essa si manifestava non soltanto nelle cose
serie, m a anche nelle cose semiserie e persino nei suoi tipici scherzi?.
Cosi, gli piaceva classificare tutto: dalle donne (secondo i l gradodella
loro bellezza) ai fisici (secondo Inefficacia del loro contributo nella scien-
za). Quest'ultima classifica si basava su u n sistema di cinque punti su
scala logaritmica; per esempio, si sottintendeva che il contributo di u n
fisico della seconda classe era di 10 volte superiore a quello di u n fisico della
terza (nella quinta classe andavano a finire i à patologi B). Sempre
secondo questa classifica, Einstein occupava la classe à u n mezzo È
mentre Bohr, Heisenberg, Schrodinger, D i r m ed alcuni altri apparte-
nevano alla prima classe. Per lungo tempo Landau si mise modesta-

*) Questo spiega, tra l'altro, la mancanza di alcuni necessari riferimenti


negli articoli di Landau, cià che non era un atto intenzionale. In certi casi.
però egli poteva omettere un riferimento anche intenzionalmente se riteneva
troppo banale un dato problema: i suoi criteri in merito erano molto alti.
**) Ã caratteristico, tuttavia, che questo tratto non si riferiva alle abitu-
dini di Landau nella vita, diciamo, quotidiana. Egli era tutt'altro che ordi
nato, e molto presto attorno a lui si creava una à zona di disordine W.
LEV DAVIDOVIC LANDAU 17

mente nella classe due e mezzo e soltanto pi6 tardi si autopromosse alla
seconda classe.
Egli lavorava sempre e molto ( m a i alla scrivania, m a sdraiatodi
solito su u n divano). Per ogni scienziato i l riconoscimento dei risultati
del proprio lavoro à i n una certa misura importante; à ovvio che questo
aveva un'importanza sostanziale anche per Landau. Tuttavia, si pud
affermare che egli attribuiva alle questioni della priorità molto meno
importanza d i quanto si faccia di solito. &' indubbio comunque che lo
stimolo interno al lavoro era per Landau non l a sete di gloria, bensl l'in-
saziabile curiosità l'inesauribile passione di conoscere le leggi della
natura nelle loro rivelazioni grandi e piccole. M a i occorre lavorare per
scopi estranei, per fare una scoperta; i n questo modo non si ottiene nien-
te: egli non perdeva mai l'occasione per ripetere questa semplice veritÃ
L a cerchia di interessi di Landau al di fuori della fisica era molto
vasta. Oltre alle scienze esatte, egli amava molto - e la conosceva bene-
la storia. L o interessavano vivamente ed impressionavano profondamente
tutte le arti, ad eccezione della musica (e anche del balletto).
Coloro che ebbero la fortuna di trovarsi per lunghi anni tra i suoi
allievi e amici sapevano che il nostro Dau, come lo chiamavano amici
e colleghi*), non invecchiava. I n sua compagnia non ci si annoiava mai.
L a sua personalità brillante non impallidiva e il vigore scientifico non si
indeboliva. Tanto pi6 assurdo e terribile per questo ci sembra il caso che
h a interrotto la sua brillante attivitÃ

Gli articoli di Landau sono contrassegnati, come regola, da tutti


i tratti intrinseci del suo stile scientifico: chiarezza e precisione dell'impo-
stazione fisica dei problemi, procedimento diretto ed elegante per la loro
soluzione, niente di superfluo. Persino oggi, dopo tanti anni, la maggior
parte dei suoi articoli non richiederebbe alcuna modifica.
L a breve rassegna che segue ha i l solo scopo di aiutare ad orientarsi
tra i molti e diversi lavori di Landau, nonchà di precisare u n po' il posto
che spetta a questi lavori nella storia della fisica, cosa che forse
non sempre à evidente per i l lettore moderno.
I l tratto pir.i caratteristico dell'opera scientifica d i Landau à l a
vastità quasi senza precedenti del campo dei suoi interessi; esso abbrac-
cia tutta l a fisica teorica: dall'idrodinamica alla teoria quantistica
dei campi. Mentre la specializzazione si restringeva sempre di pir.i,
e le vie scientifiche prese dai suoi allievi a poco a poco divergevano,
Landau stesso li riuniva tutti conservando costantemente u n interesse
veramente straordinario per tutto. L a fisica con lui h a perduto forse
uno degli ultimi grandi universali.

*) Landau amava dire che questo soprannome à dovuto alla pronuncia alla
francese del suo cognome: Landau=L'ane Dau (l'asino Dau).
18 LEV DAVIDOVIC LANDAU

U n rapido sguardo all'elenco dei suoi lavori mostri che nella


vita di Landau à impossibile individuare u n periodo piri o - m e n o
lungo i n cui egli abbia lavorato soltanto in qualche singolo campo
della fisica. Per questo nell'enumerare i suoi lavori non seguiremo
l'ordine cronologico ma, per quanto possibile, adotteremo il principio
tematico. Iniziamo dai lavori dedicati alle questioni generali della
meccanica quantistica.
Fra questi ci sono, soprattutto, alcuni lavori giovanili di Landau.
Considerando il problema del frenamento per radiazione, egli introdusse
per la prima volta i l concetto di descrizione incompleta quantistica
mediante delle grandezze che p i tardi ~ furono chiamate matrici densità a
I n questo lavoro la matrice densità venne introdotta nella rappresenta-
zione del l'energia.
Due suoi a r t i ~ o l i ' "sono
~ dedicati al calcolo delle probabilità dei
processi quasi-classici. La complessità di questo problema à dovuta a l
fatto che, essendo le funzioni d'onda quasi - classiche esponenziali (con
grande esponente immaginario), l'espressione integranda negli elementi
di matrice risulta una grandezza rapidamente oscillante, cosa che
rende molto d i f f i c i l e persino la stima dell'integrale. Prima, dei lavori
di Landau tutti gli studi fatti su questi problemi risultavano di fatto
sbagliati. Landau fu il primo ad introdurre u n metodo generale per i l
calcolo degli elementi di matrice quasi-classici e ad applicarlo a u n
gruppo di processi concreti.
Nel 1930 Landau (con R . Peierls) ~ u b b l i c Ãuno studio dettagliato
sulle limitazioni imposte alla descrizione quantistica dalle condizioni
relativistiche6; questo articolo suscità a suo tempo accese discussioni.
I l suo risultato principale (oltre a mettere i n luce il problema della
indeterminazione della coordinata per una singola particella) consistette
nello stabilire, i n linea d i principio, i limiti della possibilità d i misu-
rare l'impulso i n u n intervallo di tempo finito. N e seguiva che nel
campo quantistico relativistico non si puà misurare nessuna variabile
dinamica, che caratterizza le particelle nella loro interazione, e che le
uniche quantità misurabili sono gli impulsi (o le polarizzazioni) delle
particelle li bere. Questa à l'origine fisica delle complessità che nascono
quando si vuole trasportare nel campo relativistico metodi della meccani-
ca quantistica ordinaria, metodi operanti con concetti che perdono qui i l
loro significato. Landau ritornà ancora su questo problema nel suo ultimo
articolo pubblicato100, nel quale espresse la convinzione che gli operatori
$, come portatori di un'informazione inosservabile, e con essi fintero
metodo hamiltoniano, avrebbero dovuto scomparire dalla futura teoria.
A questa convinzione Landau fu portato dai risultati dei suoi studi
sui . 'fondamenti dell'elettrodinamica q u a n t i ~ t i c a ' ~ -eseguiti
~ ~ ~ nel
1954 - 1955 ( i n collaborazione con A. A. A brikosov, I . M . Khalatnikov
e I . J . Pomeranciuk). Questi studi partivano dalla rappresentazione
dell'interazione puntuale come limite dell'interazione non locale a l
tendere a zero del raggio d i interazione. Questo permise immedza-
LEV DAVIDOVIC LANDAU 19

tamente di ottenere espressioni finite. I n seguito risultà possibffe som-


mare i termini principali dell'intero gruppo della teoria delle pfrtur-
bastoni e, finalmente, furono ottenute le espressioni asintotiche ( a
grandi impulsi) per le grandezze fondamentali dell'elettrodinynica
quantistica: le funzioni di Green e à la -parte al vertice ÈD a queste
espressioni venne dedotta, a sua volta, la relazione f r a la vera carica
e la vera massa e la carica à intrinseca - i ~ dell'elettrone. Anche se questi
calcoli furono eseguiti supponendo che la carica à intrinseca à fosse piccola,
furono avanzati validi motivi i n favore dell'ipotesi che la formula
esprimente la relazione fra la carica vera e la carica à intrinseca
conservi la sua applicabilità qualunque sia il valore dell'ultima. Lo
studio della formula mostra allora che nel limite dell'interazione
puntuale la carica vera si annulla, ossia la teoria si à annulla È*) ( U n a
rassegna di questi problemi à data negli a r t i c ~ l i ~ * , ~ ~ . )
Soltanto il futuro potrà mostrare quanto sia giustificato il program-
ma di edificazione della teoria relativistica quantistica dei campi trac-
ciato da L a n d a ~ * ~ Negli
~ ) . ultimi anni, prima dell'incidente, egli
lavorà intensamente i n questa direzione. I n questo campo egli elaborò
i n particolare, u n metodo generale per determinare le singolarità delle
grandezze che figurano nel metodo dei diagrammi della teoria quanti-
stica dei campig8.
A lla scoperta della non conservazione della parità nelle interazioni
deboli, nel 1956, Landau rispose immediatamente proponendo la teoria
del neutrino con elicità fissa (à neutrino bicom~onente))jg2**} e avanzÃ
anche i l principio di conservazione della à parità combinata È come egli
chiamà l'applicazione congiunta dell'inversione dello spazio e della
coniugazione delle cariche. Secondo Videa di Landau, doveva essere
cosi à salvata à la simmetria dello spazio, mentre l'asimmetria era
nelle particelle stesse. I n f a t t i , questo principio trovà un'applicabi-
lità pi.6 larga della legge di conservazione della parità Come à noto,
però negli ultimi anni sono stati scoperti processi i n cui non si conserva
nemmeno la parità combinata; i l signif icato di questa violazione à ancora
da definire.
A l l a fisica nucleare si riferisce un lavoro di Landau3' pubblicato
nel 1937. Esso rappresenta un'elaborazione quantitativa delle idee avan-
zate poco prima d a N . Bohr. I l nucleo vi à considerato, applicando i me-
todi della fisica statistica, come goccia di un à liquido quantistico È
E da notare che non vennero fatte supposizioni azzardate sul modello
contrariamente a quanto altri autori avevano fatto precedentemente. In

*) I n relazione con la ricerca di una dimostrazione pik rigorosa di questa


asserzione l'articolo100 contiene una frase molto caratteristica di Landau: Ã data
la brevità della nostra vita, non possiamo permetterci il lusso di occuparci
delle questioni che non promettono risultati nuovi )).
**) Contemporaneamente e indipendetemente questa teoria venne elaborata
da Salam e anche da Lee e Yang.
20 LEV DAVIDOVIC LANDAU

particolare, egli ottenne per la prima volta u n a relazione f r a le distanze


medie dei livelli dei nucleoni e le loro larghezze.
L a mancanza di modelli contraddistingue u n altro lavoro di Lan-
dau ( i n collaborazione con J . A. Smorodinskij) dove egli sviluppà la
teoria della diffusione protone-protone. L a sezione d i d'urto vi à espressa
con parametri il cui significato non à legato a ipotesi concrete circa
i l potenziale di interazione delle particelle.
U n esempio di virtuosismo tecnico à dato nel lavoro ( i n collabora-
zione con J . B. Rumer) sulla teoria della cascata elettrofotonica degli
sciami elettronici nei raggi cosmici"; i fondamenti fisici questa teoria
erano stati dati prima da u n gruppo d i autori, m a u n a teoria quantita-
Uva, i n sostanza, non esisteva. I n questo lavoro venne creato Vapparato
matematico che servi di base per successivi lavori in questo campo. Lan-
dau stesso continuà l'elaborazione della teoria degli sciami i n altri due
articoli: sulla distribuzione angolare delle particelle43 e sugli sciami
secondari**.
D i u n virtuosismo non minore à u n altro lavoro di Landau dedicato
allo sviluppo dell'idea di Fermi sul carattere statistico della produzione
multipla delle particelle nelle c ~ l l i s i o n i ' ~ * )Questo
. lavoro à u n altro
esempio brillante dell'unità metodologica della fisica teorica, quando
alla soluzione del problema vennero applicati metodi appartenenti
a u n campo del tutto diverso. Landau mostrà che il processo della produ-
zione multipla passa attraverso lo stadio del processo di espansione
della à nube à le cui dimensioni sono grandi rispetto al cammino
percorso all'interno di essa dalle particelle; questo stadio deve essere
descritto corrispondentemente mediante equazioni dell'idrodinamica
relativistica. L a soluzione di queste equazioni richiese alcuni artifizi
e un'analisi approfondita. Landau riconobbe in seguito che questo
lavoro gli costà una fatica maggiore di qualsiasi altro.
Landau rispondeva sempre con prontezza alle richieste e ai bisogni
degli sperimentatori. I n particolare, tale à l'origine del suo lavoro66
in cui fu determinata la distribuzione delle perdite di energia per ioniz-
zazione daparte delle particelle veloci nell'attraversamento della materia
(prima esisteva soltanto la teoria delle perdite medie di energia).
Passando a i lavori di Landau dedicati alla fisica macroscopica.
ìnìziada alcuni articoli che rappresentano il suo contributo a l l ~
fisica del magnetismo.
In accordo con la meccanica classica e la statistica, i l cambiamento
del carattere del moto degli elettroni liberi i n u n campo magnetico
non puà generare nuove proprietà magnetiche del sistema. Landau f u i l
primo a mettere i n luce i l carattere del moto nel campo magnetico
nel caso quantistico e ad avvertire che la quantizzazione m u t a intera-
mente la situazione causando i l diamagnetismo del gas di elettroni

*) Un esame piti particolareggiato con ulteriori dettagli di questo lavoro


6 dato nel resoconto88 (scritto insieme con S. Z. Belenkij).
LEV DAVIDOVIC LANDAU 21

liberi (questo fenomeno à chiamato ora a diamagnetismo di Landau~)'.


Nello stesso lavoro egli predisse qualitativamente la dipendenza periodi-
ca della suscettività magnetica dalla grandezza del campo magnetico a
valori grandi. A quell'epoca (1930) questo fenomeno non era stato
ancora osservato da nessuno; esso verrà scoperto pifi tardi sperimental-
mente (effetto De Haas - V a n Alphen). Landau teorizza quantitati-
vamente questo effetto i n uno dei suoi lavori successivim.
U n breve articolo pubblicato nel 193312 va oltre i limiti del problema
posto nel suo titolo: sulla possibile spiegazione della dipendenza dal
campo della suscettività magnetica d i u n determinato gruppo di sostan-
ze a basse temperature. V i f u introdotto per la prima volta i l concetto di
antiferromagnetismo (anche se questo termine non f u applicato) come
fase particolare della magnetizzazione che si differenzia per la sua s h -
metria dalla fase paramagnetica; conformemente a c i ~ ,la transizione
fra i due deve avvenire i n u n punto ben determinato*). I n questo lavoro
venne considerato concretamente il modello di u n untiferromagnetico
stratif icato con forte legame ferromagnetico i n ogni strato e legame anti-
ferromagnetico debole fra gli strati; per questo caso venne eseguita una
analisi quantitativa e furono determinate le caratteristiche delle pro-
prietà magnetiche della sostanza che si trova vicino al punto di tran-
sizione. I l metodo applicato da Landau si fondava sulle idee che furono
sviluppate i n seguito nella sua teoria generale delle transizioni di fase
di seconda specie.
C'Ã ancora u n lavoro relativo alla teoria del ferromagnetismo. GiÃ
nel 1907 P. W& aveva avanzato un'ipotesi sulla struttura dei fer-
romagnetici come formati da regioni elementari e magnetizzate spon-
taneamente nelle diverse direzioni (a domini magnetici à secondo la ter-.
minologia moderna). N o n esisteva ancora, pera, una teoria quantitativa
di questa struttura. Nel lavoro d i Landau ( i n collaborazione con
E. M. L i f &)l8 eseguito nel 1936 f u provato che tale teoria deve essere
basata su considerazioni termodinamiche e vennero determinate per un
caso tipico la forma e le dimensioni dei domini. Nello stesso lavoro fu de-
dotta l'equazione macroscopica del moto del vettore magnetizzazione
dei domini. Questa equazione permise poi di sviluppare le basi della
teoria della dispersione della permeabilità magnetica dei ferromagnetici
i n u n campo magnetico variabile; i n particolare, f u predetto u n /e-
meno noto oggi sotto i l nome d i risonanza ferromagnetica.
In u n breve articolom pubblicato nel 1933 fu avanzata un'idea
sulla possibilità di <i autolocalizzazione à di u n elettrone nel reticolo

*) Circa un anno prima in un lavoro di Ne61 (sconosciuto a Landau) era stata


predetta la ossibilita dell'esistenza di sostanze formate, dal punto di vista
magnetico, da due sottoreticoli con momenti op osti. Tuttavia, Ne61 non sup-
poneva che si trattasse di uno stato particolare della materia, credendo sempli-
cemente che il paramagnetico con integrale di scambio positivo assumesse a poco
a poco, per effetto delle basse temperature, una struttura formata da pi6 sottore-
ticoli magnetici.
22 LEV DAVIDOVIC LANDAU

cristallino in u n a buca di potenziale, generatasi i n forza della sua azio-


ne polarizzatrice. Questa idea costituà poi la base della cosiddetta
teoria polaronica della conduttività dei cristalli ionici. Landau tornÃ
ancorauna volta su queste questioni in u n lavoro successivo ( i n collabo-
razione con S . I. P e k ~ r ) ~dedicato
' alla deduzione delle equazioni del
moto del polarone i n u n campo esterno.
I n u n altro breve articolo d i Landau (scritto insieme con G . Pla-
czek) furono ottenuti risultati circa la struttura della riga della d i f f u -
sione di Ragleigh i n liquidi o i n ga.2*. Ancora all'inizio degli anni '20
Brillouin e Mandelstam dimostrarono che grazie alla diffusione da oscil-
lazioni acustiche questa riga devescindersi i n doppietto. Landau e Placzek '
richiamarono l'attenzione sulla necessità dell'esistenza anche della
diffusione da fluttuazioni dell'entropia non accompagnata da alcuna
variazione di frequenza; come risultato, i n luogo del doppietto, si deve
osservare u n tripletto*) .
Alla fisica del plasma si riferiscono due lavori di Landau. i n uno
di essi fu dedotta originariamente l'equazione cinetica tenendo conto
dell'interazione coulombiana fra le particelle2*; la lenta decrescenza di
queste forze rendeva inapplicabili, nel caso considerato, i metodi usuali
per la deduzione delle equazioni cinetiche. I n u n altro lavoro, dedicato
alle oscillazioni del plasma61, egli mostrà che le oscillazioni ad alta fre-
quenza si smorzano persino nelle condizioni i n cui si possono trascurare
gli urti tra le particelle nel plasma (Ã smorzamento di Landau )))**).
77 lavoro su uno dei volumi del Corso di fisica teorica indusse Lan-
dau a studiare profondamente l'idrodinamica. Come sempre, egli
si mise a ripensare e riprodurre autonomamente tutte le affermazioni e i
risultati fondamentali di questa scienza. La sua visionenuova e originale
portò i n particolare, a u n nuovo trattamento del problema dell'origine
della turbolenza; egli mise in luce le proprietà fondamentali del processo
di evoluzione graduale della non stazionarietà all'aumentare del numero
di Reynolds, quando i l moto laminare perde la sua stabilità e predis-
se diverse varianti possibili52. Indagando le proprietà qualitative del-
l'aerodinamicità dei solidi, Landau ottenne u n risultato inaspettato:
lontano d a u n solido deve esistere non u n a sola onda, come si credeva di
solito, m a due onde d'urto che seguono l'una dietro l'altra60. Persino i n
una questione u classica Ècome la teoria delle linee d i corrente dei liquidi
egli riusci a trovare una nuova, finora inosservata, soluzione esatta per

*) L'esposizione particolareggiata delle conclusioni e dei risultati di


questo lavoro non à stata pubblicata sotto forma di un articolo. Essa à data,
in parte, nel libro Elektrodinamika sploshnych sred à (Elettrodinamica dei
mezzi continui), 9 96, Mosca, Fizmatghiz, 1959.
* *) à interessante notare che questo lavoro à nato come reazione di Landau
alla u filologia à propria, a suo avviso, dei lavori precedenti su questo tema
(per esempio, la sostituzione ingiustificata degli integrali divergenti con i loro
valori principali). Per dimostrare di aver ragione, egli si mise a lavorare su
questo problema.
LEV DAVIDOVIC LANDAIT 23

una linea à annegata à con simmetria assiale di u n liquido viscoso ìn


compressi bile 'I.
U n posto eminente nella produzione scientifica di Landau - sia
per l'importanza diretta che per i l numero di possibili applicazioni -
spetta alla teoria delle transizioni d i fase di seconda speciez9; il primo
abbozzo delle idee basilari di questa teoria era già contenuto i n una breve
pubblicazionei7*). I l concetto di transizioni di fase di diversi ordini
fu introdotto originariamente da Ehrenfest i n modo puramente for-
male: a seconda dell'ordine delle derivate termodinamiche che avrebbero
potuto subire uno sbalzo nel punto d i transizione. Erano perà rimaste
aperte le questioni su quali di queste transizioni potessero effettivamehte
esistere e i n che cosa consistesse la loro natura fisica; nella letteratura si
avanzavano i n merito ipotesi troppo vaghe e infondate. Landau mise i n
rilievo il profondo legame fra la possibilità dell'esistenza di una transi-
zione di fase continua (nel senso di variazione dello stato del solido)
e la variazione a sbalzi di una qualsiasi proprietà di simmetria del solido
nel punto di transizione. Egli mostrà anche che nel punto di tale transi-
zione non à possibile una qualsiasi variazione della simmetria e propose
un metodo che permette di determinare forme possibili di variazione della
simmetria. L a teoria quantitativa sviluppata da Landau era fondata
sull'ipotesi della regolarità della scomposizione delle grandezze termo-
dinamiche nella prossimità del punto di transizione. Oggi à chiaro che
tale teoria, che non tiene conto di possibili singolarità di queste grandezze
nel punto d i transizione, non riflette tutte le proprietà della transizione
di fase. Landau si interessà molto della questione inerente al carattere
d i questa.singolarità e negli ultimi anni lavorà parecchio su questo d i f f i -
cile problema, m a non fece i n tempo ad ottenere dei risultati.
Nello spirito della teoria delle transizioni di fase à costruita anche la
teoria fenomenologica della s u p e r c ~ n d u t t i v i t Ãcreata
~ da Landau ( i n
collaborazione con V . L. Ghinzburg) nel 1950; p i c tardi, i n particolare,
essa servi da base per la teoria delle leghe superconduttrici. I n questa
teoria intervengono quantità e parametri i l cui significato non era del
tutto chiaro al momento della sua comparsa; esso fu chiarito soltanto
dopo la creazione nel 1957 della teoria microscopica della supercondut-
tività che permise di dare un'argomentazione rigorosa delle equazioni di
Ghinzburg - Landau e di determinarne il campo di applicabilità A que-
sto proposito à assai istruttiva la storia (raccontata da V. L. Ghinz-
burg d i un'affermazione sbagliata fatta i n u n articolo scritto i n
comune. L'equazione fondamentale della teoria, che determina la
funzione d'onda ef/icace V degli elettroni supercohduttori, contiene il

*) A Landau appartiene l'applicazione di questa teoria alla diffusione dei


raggi Rontgen da arte di cristalli32 e (in collaborazione con I . M. Khalatnikov)
all'assorbimento. dei suono" neii'intorno del punto di transizione
24 LEV DAVIDOVIC LANDAU

potenziale vettore A in u n termine del tipo

analogo a l termine corrispondente dell'equazione di Schrodinger. Poteva


sembrare che nella teoria fenomenologica il parametro e* dovesse rap-
presentare u n a certa carica efficace, non necessariamente legata con la
carica e dell'elettrone libero. M a Landau respinse questa idea mostrando
che la carica efficace non à universale e dovrebbe dipendere da diversi
fattori (pressione, materiale del modello, ecc.); allora i n u n modello
eterogeneo e* sarebbe una funzione delle coordinate, db che violerebbe
la gauge-invarianza della teoria. Nell'articolo f u scritto percid che
la carica e* à ...non puà essere considerata per alcuna ragione
diversa dalla carica dell'elettrone È Sappiamo ora che i n realtà e*
coincide con la carica della coppia di elettroni di Cooper, si ha cioÃ
e* = Ze, e non e* = e. Questo valore della carica poteva essere previsto,
beninteso, soltanto sulla base dell'idea dell'accoppiamento di elettroni
sulla quale à fondata la teoria microscopica della superconduttivitÃ
M a i l valore 2e à altrettanto universale che e, cosicchà l'argomentazione
di Landau era di per sà giusta.
U n altro contributo di Landau nella fisica della superconduttivitÃ
consiste nella spiegazione della natura del cosiddetto stato intermedio.
I l concetto d i stato intermedio fu introdotto originariamente da R. Pe-
ierls e F . London (1936) per la descrizione del fenomeno osservato della
gradualità della transizione alla superconduttività i n u n campo ma-
gnetico. M a la loro teoria aveva u n carattere fenomenologico, mentre
la questione della natura dello stato intermedio rimaneva aperta.
Landau mostrà che questo stato n o n rappresenta qualche cosa di nuovo
e che i n realtà i l superconduttore in esso à formato da u n a serie di strati
successivi f i n i i n fase normale e i n fase superconduttrice. Nel 193730
Landau esaminà u n modello in cui questi strati appaiono alla superficie;
egli riusci con u n elegante artifizio a determinare completamente la
forma e le dimensioni degli strati d i tale modello*). Nel 1938 egli propo-
se u n a nuova variante della teoria secondo la quale gli strati apparsi
alla superficie subiscono u n a ramificazione multipla; tale struttura
deve presentare u n vantaggio maggiore dal punto di vista termodinamico,
se le dimensioni del modello sono sufficientemente grandiM).
M a i l contributo maggiore che la fisica deve a Landau à la sua teoria
dei liquidi quantistici. L'importanza di questo nuovo settore cresce attual-
mente sempre di p i ~ ;Ã indubbio che il suo sviluppo negli ultimi decenni
ha rivoluzionato anche altri settori della fisica: la fisica dei solidi e per-
sino la fisica del nucleo.
*) Landau scrisse in proposito che à risulta meravigliosamente possibile
la determinazione esatta della forma degli strati à ˆ ~ O
**) L'esposizione particolareggiata di questo lavoro à stata pubblicata
nel 19474B.
LEV DAVIDOVIC LANDAU 25

La teoria della superfluidità fu creata da Landau nel 1940 - 1941,


subito dopo la scoperta, fatta nel 1937 da P . L . Kapitza, di questa pro-
prietà fondamentale dell'elio I I . P r i m a di questa scoperta le premesse
per la spiegazione della natura fisica della transizione di fase osservata
nell'elio liquido di fatto non esistevano, e non c'Ã da meravigliarsi
che si avanzassero i n merito delle idee che oggi potrebbero sembrare persi-
no ingenue*). E da notare che s i n dall'inizio la teoria dell'elio 11
fu costruita completa: già il primo articolo classico di Landau^ conte-
neva quasi tutte le idee basilari sia della teoria microscopica dell'elio II
che della teoria macroscopica fondata sulla base della prima, ossia della
termodinamica e della fluidodinamica di questo liquido ( a quest'ultima
à dedicato anche l'articolos3).
La teoria di Landau si basa sul concetto di quasi-particelle (ecci-
tazioni elementari) che costituiscono lo spettro energetico dell'elio I I .
Landau fu i l primo a porre la questione dello spettro energetico di u n
corpo macroscopico i n forma cosi generica e f u proprio lui a determinare
i l carattere dello spettro per u n liquido quantistico del tipo del-
l'elio liquido (isotopo He4) o, come si dice ora, del tipo di Bose. I n u n
lavoro del 1941 Landau suppose lo spettro delle eccitazioni elemen-
tari formato da due parti: fononi con dipendenza lineare dell'energia
8 dall'impulso p e à rotoni à con dipendenza quadratica separata dallo
stato fondamentale da una fessura energetica. P i d tardi Landau compre-
se che tale forma dello spettro era insoddisf acente ( i n quanto instabile)
dal punto di vista teorico e un'analisi particolareggiata dei dati speri-
mentali completi e esatti comparsi i n quel periodo lo indusse, nel 1946,
a stabilire i l famoso spettro formato da u n solo ramo i n cui ai à rotoni Ã
corrisponde u n minimo sulla curva &(p). Le rappresentazioni macro-
scopiche della teoria della superf luidità sono universalmente note. Nella
loro sostanza, esse si riducono alla rappresentazione di due movimenti
che avvengono contemporaneamente nei liquidi - à normale à e à su-
perf luido à - e che si possono considerare, per maggiore evidenza, come
movimenti d i due à componenti del liquido È**I l movimento normale
à accompagnato, come nei liquidi ordinari, dall'attrito interno. L a
determinazione del coeff iciente d i viscosità rappresenta u n problema cine-
tico che richiede d i analizzare i l processo di formazione dell'equilibrio
nel à gas d i quasi-particelle n; i fondamenti della teoria della viscositÃ
del'elio 11 furono sviluppati da Landau ( i n collaborazione con
*) Cosi, Landau stesso nel suo lavoro sulla teoria delle transizioni di fase%*
espresse l'ipotesi che l'elio I 1 fosse un cristallo liquido, pur sottolineando quanto
fosse dubbia tale rappresentazione.
**) Alcune idee della descrizione macroscopica à bicomponente à dell'elio
liquido (anche senza un'interpretazione fisica chiara) furono introdotte, indipen-
dentemente da Landau, da L. Tisza. Il suo articolo particolareggiato, pubblicato-
in Francia nel 1940, fu portato nell'URSS, essendo in tempo di guerra, soltanto
nel 1943, mentre un suo breve articolo apparso nel 1938 negli à Atti dell'Ac-
cademia di Parigi à assò purtroppo, inosservato. La critica della parte quan-
titativa della teoriadi Tisza fu data da Landau nell'artic010~~.
26 LEV DAVIBQVIC LANDAU

I. M. Khalatnikov) nel 194960~70.


I n f i n e , in un altro lavoro (scritto
insieme con I . J . Pomeranciuk) f u considerata la questione del compor-
tamento di atomi ridondanti n e l l ' e l i ~ ~i n~particolare,
; fu dimostrato che
ogni atomo di questo genere f a parte della à componente normale à del
liquido, indipendentemente dal fatto che l'additivo abbia di per sà la
proprietà di superfluidità contrariamente all'ipotesi errata avanzata
allora nella letteratura.
L'isotopo liquido He3 Ã u n liquido quantistico di altro tipo, detto
oggi tipo di Fermi. Anche se le sue proprietà non sono cosi notevoli come
quelle del liquido He4, dal punto di vista teorico esse presentano u n interes-
se non minore. La teoria di tali liquidi fu creata ed esposta da Landau
i n tre articoli pubblicati nel 1956 - 1958. Nei primi due*so1 venne deter-
minato i l carattere dello spettro energetico del liquido di Fermi, furono
esaminate le sue proprietà termodinamichee f u dedotta Inequazione cine-
tica per i processi di rilassamento. Lo studio dell'equazione cinetica per-
mise a Landau di predire u n tipo particolare di processo oscillatorio
i n He3 liquido i n prossimità dello zero assoluto, chiamato da egli suono
nullo. Nel terzo articoloo5, all'equazione cinetica, la cui deduzione con-
teneva prima certe ipotesi intuitive, fu data un'argomentazione micro-
scopica rigorosa.
Nel concludere questa breve rassegna, che à lontana dall'essere com-
pleta, n o n mi resta che ripetere che à superfluo sottolineare per i' fisici
quanto sia grande i l contributo di Lev DavidoviZ Landau nella fisica
teorica. L a sua opera ha un valore imperituro e resterà sempre nella
scienza.
E. Lifiic
Istituto di robiemi fisici dell'Accademia
ielle Scienze delllURSS
Capitolo I

EQUAZIONI DEL MOTO

$ 1 . Coordinate generalizzate

Uno dei concetti fondamentali della Meccanica à i l concetto di


punto materiale1). Con punto materiale si intende u n corpo le cui
dimensioni si possono trascurare nella descrizione del suo moto.
ben chiaro che questa possibilità dipende dalle condizioni concrete
d i questo o d i quell'altro problema. Per esempio, i pianeti possono
esser considerati punti materiali quando si studia la loro rivoluzione
intorno a l Sole, ma, naturalmente, non quando si considera la loro
rotazione.
La posizione d i un punto materiale nello spazio à determinata
d a l suo raggio vettore r le cui componenti coincidono con le sue coor-
dinate cartesiane x, y, z. La derivata d i r rispetto al tempo t,
dr
v:-
dt
d'+
s i chiama velocitÃe la derivata seconda, , accelerazione del punto.
Seguendo l'uso comune, indicheremo sempre la derivazione rispetto
a l tempo con un punto sopra l a lettera: v = r .
Per determinare la posizione nello spazio d i u n sistema d i N .
punti materiali, Ã necessario dare N raggi vettori, ci06 3N coordinate.
I n generale, il numero d i grandezze indipendenti che si debbono dare
per determinare univocamente la posizione d i un sistema, si chiama
numero d i gradi di libertà del sistema; nel presente caso, questo
numero fi uguale a 3 N . Queste grandezze non sono necessariamente le
coordinate cartesiane del punto; puà risultare p i comoda~ la scelta
d i un altro sistema d i coordinate, il che dipende dalle condizioni
d e l problema considerato. s grandezze qualsiasi q = , q^, . . ., I s l
c h e caratterizzano completamente l a posizione d i u n sistema (con s
gradi d i libertà ) s i chiamano coordinate generalizzate, e le derivate qi,
velocità generalizzate.
La conoscenza delle sole coordinate generalizzate non à sufficiente
per determinare lo à stato meccanico à d i un sistema ad u n istante
dato, non permette cioà d i prevedere l a posizione del sistema negli
istanti successivi. Se vengono dati infatti solo valori delle coordina-
1) Spesso useremo il termine à particella à invece di à punto materiale n.
28 CAPITOLO PRIMO

te, i l sistema puà avere velocità arbitrarie, e a seconda dei differenti


valori di queste, la posizione del sistema in un istante successivo-
(dopo un intervallo infinitesimo dt) puà variare.
Se, invece, tutte le coordinate e le velocità sono date nello stesso-
istante, allora, come dimostra l'esperienza, Ã possibile determinare
interamente lo stato del sistema e, in linea di massima, prevederne
il moto futuro. Dal punto di vista matematico, cià significa, che dan-
..
do in un certo istante tutte le coordinate q e le velocità q, si definisce
univocamente anche il valore delle accelerazioni q in questo istante1).
Le relazioni che legano le accelerazioni con le coordinate e le ve-
locità si chiamano equazioni del moto. Rispetto alle funzioni q ( t )
esse sono equazioni differenziali del secondo ordine la cui integrazio-
ne permette di determinare, in linea di massima, queste funzioni,.
cioà le traiettorie del sistema meccanico.

$ 2. I l principio di minima azione


Una formulazione piii generale della legge del moto di sistemi
meccanici à data dal principio di minima azione (o principio di Hamil-
ton). Secondo questo principio, ogni sistema meccanico à caratteriz-
zato da una determinata funzione
L (qii - 9
. .
98, qii qz, la, t )
m

o, brevemente, L (q, i, t); inoltre, il moto del sistema soddisfa la


seguente condizione.
Supponiamo che negli istanti t = t , e t = t 2 il sistema occupi
posizioni determinate, caratterizzate dai due insiemi di valori delle
coordinate qci) e q(2). Allora, entro queste posizioni, il sistema s i
'muove in modo tale che l'integrale

s= \
t

ti
L (q, i, t ) dt
abbia i l pifi piccolo valore possibile2). La funzione L Ã detta funzio-
ne di Lagrange del dato sistema, e l'integrale (2,1), azione.
.. .... .
La funzione di Lagrange contiene solamente q e q, ma non deriva-
te di ordine superiore q, q, . Cià à dovuto al fatto suindicato che
dinate,
l)Per semplificazione, intenderemo spesso con q l'insieme di tutte le coor-
, q . . . q (ed analogamente con l'insieme di tutte le velocità )
necessario notare, però che il principio di minima azione cosi for-
mulato non sempre à valido per la traiettoria del moto in totale, bensi per ogni
porzione sufficientemente piccola di quest'ultima; per tutta la traiettoria,
l'integrale (2,1) puà avere soltanto un valore estremo che non sarà necessaria-
mente minimo. Questa circostanza non à di importanza sostanziale nella dedu-
zione delle equazioni del moto, in cui si fa uso soltanto della condizione di
estremo.
EQUAZIONI DEL MOTO 29

l o stato meccanico di un sistema à interamente definito dalle sue


coordinate e dalle sue velocitÃ
Stabiliamo ora le equazioni differenziali che permettono di de-
terminare i l minimo dell'integrale (2,l). Per semplicità ammet-
tiamo anzitutto che il sistema abbia un solo grado di libertà i l che
vuoi dire che bisogna definire una sola funzione q (t).
Supponiamo che q = q (t) sia precisamente la funzione per la qua-
le S ha un minimo. Cià significa che S cresce sostituendo q (t) con
una funzione qualsiasi del tipo
q (t) + 6 q (t), (2,2)
dove î (t) à una funzione piccola in tutto l'intervallo di tempo da
tia t2 (617 ( t )si chiama variazione} della funzione q (t)). Poichà negli
istanti t = ti e t = tÃtutte le funzioni del tipo (2,2) debbono assu-
mere rispettivamente i valori q^ e q*2),si avrÃ
6 q (ti) = Sq (t2) = 0. (293)
La variazione di S nel sostituire q con q + 6 q à data dalla
differenza

Lo sviluppo in serie di questa differenza secondo le potenze di 6 q


e 6 q (nell'espressione integranda) comincia dai termini del primo
ordine. La condizione necessaria perchà S abbia un minimo1) à che
si annulli l'insieme di questi termini, detto variazione prima
(o, semplicemente, variazione) dell'integrale. Dunque, il principio
d i minima azione puà essere scritto nella forma seguente:
t2

6S=6 j L(*, i,t) dt =o, (294)


ti

o, eseguendo la variazione:

Osserviamo che 6 q = -,-


d
6 q ; integrando per parti il secondo termine-
otteniamo:

l) In generale, un valore di estremo.


Il primo termine di questa espressione sparisce, in v i r t ~delle condi-
zioni (2,3). Resta l'integrale che deve essere uguale a zero per valori
arbitrari d i 6q. Cià à possibile soltanto nel caso in cui l'espressione
integranda à identicamente nulla. Otteniamo cosi l'equazione
a 9~ - --
-- aL
dt 9; 99
o .
Per un sistema con piii gradi d i libertà nel principio d i minima
azione si debbono variare indipendentemente s funzioni diverse
q; ( t ) . E evidente che si ottengono allora s equazioni del tipo

Queste sono le equazioni differenziali cercate, chiamate in meccanica


equazioni d i Lagrangel). Se à nota la funzione di Lagrange di un dato
sistema meccanico, allora le equazioni (2,6) stabiliscono un legame
tra le accelerazioni, le velocità e le coordinate, cioèrappresentan le
equazioni del moto del sistema.
Dal punto d i vista matematico, le equazioni (2,6) costituiscono
un sistema d i s equazioni differenziali del secondo ordine con s
funzioni incognite q ; (t). La soluzione generale di un tale sistema con-
tiene 2s costanti arbitrarie. Per determinarle e, di conseguenza, per
definire completamente il moto d i un sistema meccanico, Ã necessario
conoscere le condizioni iniziali che caratterizzano lo stato meccanico
del sistema in un dato istante, per esempio, i valori iniziali di tutte
le coordinate e le velocitÃ
Sia u n sistema meccanico composto di due parti A e B, ciascuna
delle quali, se fosse isolata, avrebbe per funzione d i Lagrange, rispet-
tivamente, le funzioni LA ed Ly. Se queste parti vengono allon-
tanate l'una dall'altra per una distanza sufficientemente grande tanto
da rendere trascurabile la loro interazione, la funzione di Lagrange
dell'intero sistema tende a
lim L = LA + LB. (2,7)
Questa proprietà di additività della funzione d i Lagrange esprime i l
fatto che le equazioni del moto di ciascuna delle parti componenti
non interagenti non possono contenere grandezze riguardanti le altre
parti del sistema.
l? evidente che la moltiplicazione della funzione di Lagrange per
una costante arbitraria non produce alcun effetto sulle- equazioni
del moto. Di qui sembrerebbe derivare una sostanziale indetermina-
tezza: le funzioni d i Lagrange d i differenti sistemi meccanici isolati
l ) Nel calcolo variazionale, che affronta il problema formale di determi-
nazione degli estremi di integrali del tipo (2,1), sono chiamate equazioni di
Eulero.
EQUAZIONI DEL MOTO 31

si potrebbero moltiplicare per costanti arbitrarie diverse. La pro-


prietà d i additivitÃelimina questa indeterminatezza: essa ammette
soltanto l a moltiplicazione simultanea delle funzioni di Lagrange di
tutti i sistemi per una stessa costante, cià che corrisponde sempli-
cemente alla naturale arbitrarietà nella scelta'delle unità d i misura
di questa grandezza fisica; di questo riparleremo nel $ 4 .
l? necessario fare ancora un'osservazione di carattere generale.
Consideriamo due funzioni L' (q, i,
t) ed L (q, i,
t) che differiscono
per una derivata totale rispetto a l tempo di una funzione delle
coordinate e del tempo f (q, t):

Gli integrali ( 2 , l ) valutati con queste due funzioni sono legati dalla
relazione
t2 t2 t2

s = jL ( q , q, t) d t jL (q, q, t) dt + (
=
di
dt =
t1 ti ti

cioà differiscono per u n termine supplementare che s i annulla


quando varia l'azione. Du,nque, l a condizione M' = O coincide
con la condizione SS = O, e la forma delle equazioni del moto resta
immutata.
La funzione di Lagrange à determinata quindi a meno di una de-
rivata totale additiva di una funzione qualsiasi delle coordinate e del
tempo.

3. I l principio di relatività di Galilei

Lo studio dei fenomeni meccanici richiede che sia scelto .un siste-
ma di riferimento. Le leggi del moto in sistemi di riferimento diffe-
renti hanno in generale forma diversa. Se si prende un sistema di rife-
rimento qualunque, puà risultare che le leggi dei fenomeni pifi
semplici assumano una forma estremamente complicata. Sorge spon-
taneo il problema della scelta di un sistema di riferimento tale
che le leggi della meccanica abbiano la forma piti semplice pos-
sibile.
Rispetto ad un sistema di riferimento qualunque, lo spazio à ete-
rogeneo ed anisotropo. Cià vuoi dire che anche se un corpo non inte-
ragisce con nessun altro corpo, le sue differenti posizioni nello spazio
e le sue differenti orientazioni non sono, però equivalenti dal punto
d i vista meccanico. Anche per quanto riguarda il tempo, si puà dire
che, in generale, esso non à omogeneo, cioà i diversi istanti non
32 CAPITOLO PRIMO

sono equivalenti. La complicazione che queste proprietà dello spazio


e del tempo porterebbero nella descrizione dei fenomeni meccanici
à evidente. Per esempio, u n corpo libero (cioà non sollecitato da
azione esterna) non potrebbe perseverare nello stato di quiete:
pur essendo nulla la velocità del corpo ad un dato istante, il corpo
comincerebbe a muoversi nell'istante successivo in una determinata
direzione. .
Nonostante questo, si puà sempre trovare un sistema di riferi-
mento tale che rispetto ad esso lo spazio sia omogeneo ed isotropo ed il
tempo omogeneo. Un sistema con queste caratteristiche si chiama
inerziale. I n particolare, un corpo libero che ad u n dato istante si
trovi, in questo sistema, in uno stato di quiete vi resterà per un pe-
riodo d i tempo illimitato.
Possiamo ora trarre qualche conclusione riguardante la forma della
funzione di Lagrange per un punto materiale che si muove liberamen-
te in u n sistema di riferimento inerziale. L'omogeneità dello spazio
e del tempo significa che questa funzione non puà contenere in forma
esplicita nà il raggio vettore r del punto, nà il tempo t , cioà L à una
funzione soltanto della velocità v. In virtfi dell'isotropia dello
spazio, la funzione d i Lagrange non puà dipendere neanche dalla
direzione del vettore v ; essa à quindi una funzione del suo valore
assoluto, cioà del quadrato v 2 = v2:
L = L (v2). (371)
Dato che la funzione di Lagrange non dipende da r, abbiamo
--
a - O, e le equazioni d i Lagrange assumono quindi la forma1)
ffr

d a cui 9L/9v = costante. Essendo dato che 9Ll9'v à funzione soltanto


della velocità ne segue anche che
v = costante. (32)
Arriviamo cosi alla conclusione che, in un sistema di riferimento
inerziale, ogni moto libero avviene con velocità costante e in grandez-
za e in direzione. Questa asserzione costituisce il contenuto della
cosiddetta legge di inerzia.
Se accanto a un dato sistema inerziale introduciamo un altro
sistema, animato da moto rettilineo ed uniforme rispetto al primo,
le leggi del moto libero rispetto a questo nuovo sistema saranno le
stesse che rispetto al sistema originario: il moto libero sarà ancora
un moto a velocità costante.
l) Per derivata di una grandezza scalare rispetto ad un vettore si intende
un vettore le cui componenti sono uguali alle derivate di questa grandezza
rispetto alle corrispondenti componenti del vettore.
EQUAZIONI DEL MOTO 33

Tuttavia, l'esperienza mostra non solo che le leggi del moto libero
coincidono i n questi due sistemi, m a che esse sono meccanicamente
del tutto equivalenti sotto t u t t i gli aspetti. Esiste quindi non uno,
ma una molteplicità infinita di sistemi d i riferimento, moventisi
l'uno rispetto all'altro con moto rettilineo e uniforme. I n t u t t i
questi sistemi le proprietà dello spazio e del tempo sono identiche,
come pure sono identiche tutte le leggi della meccanica. Questa
asserzione costituisce il contenuto del cosiddetto principio di
relatività di Galilei, uno dei principi fondamentali della meccanica.
Tutto quanto abbiamo detto mette in evidenza l a peculiaritÃ
delle proprietà dei sistemi di riferimento inerziali, in forza delle quali
l'uso d i questi sistemi si impone, d i regola, nello studio dei fenomeni
meccanici. Nel seguito, dove non si dica esplicitamente il contrario,
considereremo esclusivamente sistemi d i riferimento inerziali.
La completa equivalenza meccanica d i tutta l'infinità d i questi
sistemi dimostra, a l tempo stesso, che non esiste nessun sistema
à assoluto à che possa essere preferito agli altri.
Le coordinate r ed r' d i uno stesso punto date i n due sistemi di
riferimento differenti K e K ' dei quali il secondo si muove rispetto
al primo con velocità V, sono legate dalla relazione
r = r' + \t, (373)
i n cui si sottintende che i l trascorrere del tempo in ambedue i sistemi
d i riferimento avviene in modo identico, cioÃ
t = t'. (374)
L'ipotesi d i u n tempo assoluto sta alla base stessa dei concetti della
meccanica classica1).
Le formule (3,3) e (3,4) sono dette trasformazioni di Galileo. I l
principio d i relatività galileiano puà essere formulato come requisito
d i invarianza delle equazioni del moto della meccanica rispetto
a queste trasformazioni.

5 4. Funzione di Lagrange di u n punto materiale libero

Prima d i determinare la forma della funzione d i Lagrange, con-


sideriamo anzitutto u n caso elementare, studiando cioà i l moto libe-
ro di u n punto materiale in u n sistema di riferimento inerziale. La
funzione d i Lagrange, come abbiamo già visto, puà dipendere in
questo caso soltanto dal quadrato del vettore velocità Per espli-
citare questa dipendenza, ci serviremo del principio d i relativitÃ
d i Galilei. Se un sistema di riferimento K si muove rispetto ad un

l) Questa ipotesi non à valida in meccanica relativistica.


3-0563
34 CAPITOLO PRIMO

altro sistema inerziale K' con velocità infinitesima e, si ha v' =


=v + e. Dovendo restare identica la forma delle equazioni del
moto in t u t t i i sistemi di riferimento, la funzione d i Lagrange L (v2)
assume, sotto tale trasformazione, la forma L', la quale, pur essendo
differente da L (v2),differisce da essa soltanto per una derivata totale
di una funzione delle coordinate e del tempo (vedi fine del $ 2).
Abbiamo:
L'=L(d2)=L(v2+2ve+e2).
Sviluppando "questa espressione in serie secondo le potenze di e e
trascurando gli infinitesimi d'ordine superiore, otteniamo:

Il secondo termine del secondo membro di quest'uguaglianza Ã


una derivata totale rispetto a l tempo soltanto nel caso in cui esso
aL
dipenda linearmente dalla velocità v. Per questo % non dipende
dalla velocità in altri termini, la funzione di Lagrange nel caso con-
siderato à proporzionale al quadrato della velocitÃ
L = uv2.
Poichà la funzione di Lagrange in questa forma soddisfa il prin-
cipio d i relatività galileiano in una trasformazione infinitesima
della velocità discende immediatamente che la funzione di
Lagrange à invariante anche per una velocità finita V del sistema
inerziale K rispetto al sistema K'. Infatti,
L'=av'2=a(~+V)~=av~+2avV+aP
oppure

Il secondo termine à una derivata totale e, di conseguenza, puà essere


omesso.
La costante a viene comunemente indicata con m/2. La funzione
di Lagrange per un punto materiale in moto libero si scrive in defini-
tiva:
L=- mvs
2 - (471)
La grandezza m si chiama massa del punto materiale. In virtii della
proprietà additiva della funzione di Lagrange, si ha per un sistema
di punti non interagenti1):

l ) Per numerare le particelle, useremo quale indice le prime lettere del


l'alfabeto, e per numerare le coordinate, le lettere i, k, I...
EQUAZIONIDEL MOTO 35

Bisogna sottolineare che la definizione data della massa acquista


un senso reale esclusivamente grazie a questa proprietà additiva.
Come abbiamo giÃnotato nel $ 2 , si puà sempre moltiplicare la fun-
zione di Lagrange per una costante qualsiasi, il che non influisce sul-
le equazioni del moto. Per la funzione (4,2), questa, moltiplicazione
implica un cambiamento dell'unità di misura della massa; ma i rap-
porti delle masse d i diverse particelle che sono gli unici ad avere un
senso fisico reale, restano invariati in questa trasformazione.
facile vedere che la massa non puà essere negativa. Infatti,
secondo il principio di minima azione, quando un punto materiale
si muove da un punto ^. ad un punto 2 dello spazio, l'integrale

assume un valore minimo. Se la massa fosse negativa, allora per una


traiettoria lungo la quale la particella cominci ad allontanarsi rapi-
damente dal punto 1 per poi avvicinarsi rapidamente al punto 2,
l'integrale d'azione prenderebbe valori negativi arbitrariamente
grandi in assoluto, cioà non avrebbe minimo1).
E utile notare che

Per stabilire la funzione di Lagrange, Ã sufficiente quindi trovare il


quadrato della lunghezza dell'elemento d'arco di nel sistema di coor
dinate corrispondente.
In coordinate cartesiane,-per esempio, si ha di2 = dx2 dy2 + +
+ dz2, da cui

I n coordinate cilindriche si ha di2 = dr2 + r2dq2+ dz2, da cui

In coordinate sferiche si ha di2 = dr2 + r2 do2 + r20 sen2 d(p2,da cui

1) La notazione alla pag. 28 non à in contraddizione con questa conclusione,


erchh per m < O l'integrale non potrebbe avere un minimo per alcuna porzione
ella traiettoria per quanto piccola fosse.
3*
36 CAPITOLO PRIMO

$ 5. Funzione d i Lagrange d i u n sistema d i punti materiali


Consideriamo ora un sistema di punti materiali interagenti fra
loro ma isolati dall'esterno; un tale sistema à detto isolato. Risulta
che si puà descrivere l'interazione dei punti materiali del sistema
aggiungendo alla funzione d i Lagrange (4,2), valida per i punti
materiali liberi, una funzione (dipendente dal carattere dell'inte-
razione)') delle coordinate. Indichiamo questa funzione con U e -
scriviamo:

dove ra à il raggio vettore dell'a- esimo punto. Questa à la forma ge-


nerale della funzione di Lagrange di un sistema isolato.
La somma

si chiama energia cinetica, e la funzione U , energia potenziale del siste-


ma. I l significato di questi termini verrà chiarito nel 5 6.
I l fatto, che l'energia potenziale dipenda soltanto' dalla distri-
buzione d i tutti i punti materiali in un medesimo istante di tempo,
significa che un cambiamento della posizione di un punto si riper-
cuote istantaneamente su t u t t i gli altri; si puà dire che l'interazione
à si propaga à istantaneamente. Questo carattere à inevitabile in
meccanica classica; cià deriva direttamente dai postulati fondamen-
tali d i quest'ultima, e cioè tempo assoluto e principio d i relativitÃ
di Galilei. Se l'interazione si propagasse non istantaneamente, bensi
con una velocità finita, quest'ultima varierebbe nei differenti
sistemi di riferimento (che si muovono l'uno rispetto all'altro);
infatti, l'esistenza del tempo assoluto comporta automaticamente
che la regola comune d i composizione delle velocità à applicabile
in t u t t i i fenomeni. Ma in questo caso le leggi del moto di corpi
interagenti sarebbero diverse nei diversi sistemi d i riferimento
(inerziali), cosa che sarebbe in contraddizione con il principio d i
relativitÃ
Nel $ 3 abbiamo parlato soltanto dell'omogeneità del tempo. La
forma (5,l) della funzione d i Lagrange mostra che i l tempo à non
soltanto omogeneo, ma anche isotropo, cioÃle sue proprietà sono iden-
tiche i n ambedue le direzioni. Infatti, la sostituzione di t con -t
lascia invariata la funzione di Lagrange e, di conseguenza, le equa-
zioni del moto. In altri termini, se in un sistema à possibile un qual-

1 ) Questa affermazione concerne la meccanica classica, non relativistica,


che à oggetto del presente volume.
EQUAZIONI DEL MOTO 37

siasi moto, sarÃsempre possibile, anche il moto inverso, un moto tale


cioà che il sistema passi nuovamente per gli stessi stati ma nell'or-
dine inverso. In questo senso, tutti i moti regolati dalle leggi della
meccanica classica sono reversibili.
Conoscendo la funzione di Lagrange, possiamo scrivere le equa-
zioni del moto
d 9L
-- -- 9 L
dt ha-%' (5'2)
Riportando la (5,l) nella (5,2), otteniamo:

Le equazioni del moto in questa forma si chiamano equazioni di New-


ton. Esse costituiscono la base della meccanica di un sistema di par-
ticelle interagenti. I l vettore

del secondo membro delle equazioni (5,3) Ã detto forza agente


sull'a-esimo punto. Come l'energia potenziale U, questa forza dipende
soltanto dalle coordinate di tutte le particelle e non dalle loro velo-
cità Dalle equazioni (5,3) risulta quindi che i vettori accelerazione
delle particelle sono funzioni delle sole coordinate.
L'energia potenziale à una grandezza definita a meno d i una co-
stante additiva arbitraria; aggiungere una qualsiasi costante non
cambierebbe le equazioni del moto (Ã questo un caso particolare del-
la non univocità della funzione d i Lagrange cui abbiamo accennato
alla fine del $ 2). I l modo pi6 naturale e comunemente adottato per
la scelta di questa costante consiste nel fare si che l'energia potenzia-
le tenda a zero al crescere della distanza tra le particelle.
Se per la descrizione di un moto si ricorre non alle coordinate car-
tesiane ma a delle coordinate generalizzate arbitrarie qi, allora,
per ottenere la funzione d i Lagrange, si devono effettuare le seguenti
trasformazioni:

Riportando queste espressioni nella funzione


L = 1 ~ Sma 6:+i:+ ;a)- u,
a
si ottiene la funzione d i Lagrange cercata
38 CAPITOLO PRIMO

dove a& sono funzioni delle sole coordinate. L'energia cinetica i n


coordinate generalizzate resta sempre funzione quadratica delle velo-
cità m a puà dipendere anche dalle coordinate.
Abbiamo parlato sinora d i sistemi isolati. Consideriamo ora
u n sistema A non isolato, interagente con u n sistema B che compie
un dato movimento. Si dice in questo caso che i l sistema A si muove
in u n dato campo esterno (creato dal sistema B ) . Poichà le equazioni
del moto vengono dedotte dal principio di minima azione mediante
una variazione indipendente d i ciascuna delle coordinate (consideran-
do cioà note le altre coordinate), per trovare la funzione d i Lagrange
LA del sistema A , possiamo, servirci della lagrangiana L dell'intero
sistema A + B, sostituendo in essa le coordinate qB con funzioni
date del tempo.
Supponendo il sistema A +B isolato, abbiamo:

dove i due primi termini rappresentano le energie cinetiche dei siste-


m i A e B, e i l terzo termine 6 l a loro energia potenziale comune. So-
stituendo q. con funzioni date del tempo e tralasciando i l termine
is'
T (qB ( t ) , t ) ) che dipende soltanto dal tempo (e che à quindi l a
derivata totale d i un'altra funzione del tempo), otteniamo:

I n t a l modo, i l moto d i un sistema in un campo esterno à descritto


d a una funzione d i Lagrange del tipo solito, con l a sola differenza
che l'energia potenziale puà ormai dipendere dal tempo esplicita-
mente.
La forma generale della funzione di Lagrange per il moto d i una
partiftella in un campo esterno Ã

e l'equazione del moto

Se i n t u t t i i suoi punti una particella à sollecitata dalla stessa


forza F il campo si dice uniforme. L'energia potenziale in un tale
campo evidentemente Ã
U = - Fr. (5,8)
Per concludere questo paragrafo, facciamo ancora la seguente
osservazione sull'applicazione delle equazioni d i Lagrange ai diversi
problemi concreti. Nella pratica si incontrano spesso sistemi
EQUAZIONI DEL MOTO 39

meccanici in cui l'interazione fra i corpi (punti materiali) h a un carat-


tere d i vincoli, cioà d i limitazioni imposte alla disposizione reciproca
dei corpi. In pratica, questi vincoli vengono creati fissando i corpi
con varie aste, fili, cerniere. Questa circostanza introduce nel moto
un fattore nuovo: i l moto dei corpi à accompagnato i n questi casi da
attrito nei punti d i contatto dei corpi, e i l problema esce,in generale,
dai confini della meccanica pura (vedi $25). Cià nondimeno, l'attrito
i n molti casi à cosi debole d a poterne trascurare completamente l'ef-
fetto sul moto. Se si possono inoltre trascurare le masse degli à ele-
menti vincolanti à del sistema, l'effetto d i quest'ultimi si riduce
semplicemente ad una diminuzione del numero di gradi d i libertÃ
s del sistema (rispetto a l numero 3 N ) . Per determinare i l moto del
sistema dato, si puà ricorrere nuovamente alla forma (5,5) della fun-
zione d i Lagrange con un numero d i coordinate generalizzate indi-
pendenti, corrispondente a l numero effettivo dei gradi d i libertÃ

PROBLEMI
Trovare la funzione di Lagrange dei seguenti sistemi collocati in un campo
uniforme di gravità (accelerazione di gravità à g ) .
1. Pendolo doppio oscillante in un piano (fig. 1).

Fig. 1 Fig. 2
Soluzione. Come coordinate prendiamo gli angoli (pl e <p, formati'dai fili
4 ed I, con la verticale. Abbiamo allora per la particella m,:
1 '
T i =-2 r n i l M , U = - m i g l i cm (pt.
Per trovare l'energia cinetica della seconda particella, esprimiamo le sue
coordinate cartesiane x,, y, (l'origine delle coordinate à fissata nel punto di
sospensione, l'asse y à diretto verticalmente verso i l basso) mediante gli
angoli (p, q,:
2% = li sen (pl 4- 1, sen q),. y, = l, cos (pi +
l* cos (pÈ
Dopo di che otteniamo:
T, =qM +i;) A i I W + l M + 2 1 1 i 2 cos
= ((pi-^
..
(pi(p21.
40 CAPITOLO PRIMO

Infine:

2. Pendolo piano di massa m , il cui punto di sospensione (di massa ml)


puà spostarsi su una retta orizzontale (fig. 2)
Soluzione. Introducendo la coordinata x del punto ml e l'angolo (p fra
i l filo del pendolo e la verticale, otteniamo:

' ..
L z
- +
2 ,l+ "1.(l~,l+21È< C 0 (p)+ m2g1 cos (p.

3. Pendolo piano i l cui punto di sospensione:


a) si muove uniformemente lungo una circonferenza verticale con una
frequenza costante y (fig. 3);
b) oscilla orizzontalmente secondo la legge a cos yt:
C) oscilla verticalmente secondo la legge a cos yt.

Fig. 3 Fig. 4

S o l u z i o w . a) Coordinate del punto m:


x = a cos y t + I sen (p, y = -a sen yt + l cos q.
Funzione di Lagrange:

L = - m12 e+mlay2 sen (-8 +mgl cos (p;

sono stati omessi qui i termini dipendenti soltanto dal tempo ed à stata
eliminata la derivata totale rispetto al tempo di maly cos ((p - yt).
b) coordinate del punto m :
x = a cos yt + I sen (p, y = I cos (p.

Funzione di Lagrange (omesse le derivate totali):

L = - mi2 <p2 +mlaya cos y t sen (p +mgl cos (p.


2
EQUAZIONI DEL MOTO

e) In modo analogo troviamo

L = - m12 (p=+ mlay2 cos "y cos (p +mgl cos (p;


4. Il sistema rappresentato nella fig. 4; il punto m si muove lungo l'asse
verticale, e tutto il sistema ruota con una velocità angolare costante Q intorno
a questo asse.
Soluzione. Siano 0 l'angolo formato dal segmento a e la verticale, e cp
l'angolo di rotazione del sistema intorno all'asse; (p = Q . Lo spostamento ele-
+
mentare per ciascuno dei punti m^ Ã d12 = a2d02 a2 sen2 Od(p2. La distanza del
punto m, dal punto di sospensione A Ã uguale a 2a cos 6, da cui d i , = -2 a sen 0 do.
La funzione di Lagrange è
Capitolo I1

LEGGI DI CONSERVAZIONE

6 . Energia
Se un sistema meccanico à animato da un moto, le 2s grandezze
q i e q i (i = 1, 2, . . ., s) che ne determinano lo stato, variano col
tempo. Tuttavia, esistono funzioni di queste grandezze le quali conser-
vano durante il moto valori costanti che dipendono soltanto dalle
condizioni iniziali. Tali funzioni sono dette integrali del moto.
Per un sistema meccanico isolato avente s gradi d i libertà il
numero d i integrali del moto indipendenti à uguale a 2s - 1. CiÃ
risulta evidente dalle semplici considerazioni seguenti. La soluzione
generale delle equazioni del moto contiene 2s costanti arbitrarie (vedi
pag. 30). Poichà le equazioni del moto d i un sistema isolato non
contengono esplicitamente il tempo, la scelta dell'origine del tempo
à arbitraria, e una delle costanti arbitrarie nella soluzione delle
equazioni puà essere sempre scelta sotto forma d i una costante additi-
va t. del tempo. Eliminando t +
t. dalle 2s funzioni
qi = qi (t + ^O, Ci, -7 c28-i),

qi = qi ( t -t- t09 Ci, C27 * ^28-l),


possiamo esprimere le 2s - 1 costanti arbitrarie Ci, C2, . ..
. . ., sotto forma: d i funzioni di q e q che saranno integrali del
moto.
Cià nondimeno, non t u t t i gli integrali del moto hanno un ruolo
d i uguale importanza in meccanica. Tra questi ce ne sono alcuni la
cui invarianza nel tempo h a un'origine assai profonda, connessa alle
proprietà fondamentali dello spazio e del tempo, e cioÃalla loro omo-
geneità ed isotropia. Tutte queste grandezze, dette conservative,
hanno una proprietà generale importante: esse sono additivo, cioà il
loro valore per un sistema composto di pih elementi, la cui interazione
possa essere trascurata, Ã uguale alla somma dei valori per ciascuno
degli elementi preso separatamente.
à precisamente la proprietà di additivitÃche conferisce alle corri-
spondenti grandezze una parte di particolare importanza nella
meccanica. Supponiamo per esempio che due corpi interagiscano per
un certo intervallo d i tempo. Poichésia prima che dopo l'interazione,
LEGGI D I CONSERVAZIONE 43

ciascuno degli integrali additivi dell'intero sistema à uguale alla


somma dei valori per i due corpi presi separatamente, le leggi di
conservazione di queste grandezze permettono direttamente di trarre
una serie di conclusioni inerenti allo stato dei corpi dopo l'interazio-
ne, se si conosce i l loro stato prima dell'interazione.
Cominciamo dalla legge di conservazione che deriva dalla omoge-
neità 'de tempo.
In virtfi di questa omogeneità la funzione lagrangiana di un siste-
ma isolato non dipende esplicitamente dal tempo. Percià si puÃ
scrivere la derivata totale rispetto a l tempo della funzione di La-
grange nella forma seguente:

(se L dipendesse esplicitamente dal tempo, ali secondo membro del-


l'uguaglianza si dovrebbe aggiungere il termine $). Sostituendo se-
QL
condo le equazioni di Lagrange le derivate - con- - , si ottiene:
Qqi dt Qqi

ovvero

Da queste espressioni si vede che la grandezza

resta invariata nel corso del moto del sistema isolato, cioÃessa à un'o
dei suoi integrali del moto. Questa grandezza si chiama energia del
sistema. L'additività dell'energia deriva direttamente dall'additivi-
tà della funzione d i Lagranee mediante la quale essa à espressa linear-
mente secondo la (6,l).
La legge di conservazione dell'energia à valida non soltanto per
sistemi isolati, ma anche per sistemi che si trovano in un campo esterno
costante (cioà non dipendente d a l tempo); infatti, la sola proprietÃ
della funzione di Lagrange che abbiamo utilizzato nei nostri ragio-
namenti, ossia la mancanza di una dipendenza esplicita dal tempo,
sussiste anche i n questo caso. I sistemi meccanici la cui energia si
conserva sono detti talvolta conservativi.
44 CAPITOLO SECONDO

Come abbiamo visto nel  5, la funzione lagrangiana di un sistema


isolato (o posto in un campo costante) ha la forma:

dove T à una funzione quadratica delle velocità Applicando qui i l


noto teorema di Eulero sulle funzioni omogenee, si ottiene:

Riportando questo valore nella (6,1), troviamo:

e in coordinate cartesiane:

Dunque, l'energia di un sistema puà essere presentata sotto for-


ma di somma di due termini aventi una natura fisica sostanzialmente
diversa: l'energia cinetica, che dipende dalle velocità e l'energia
potenziale dipendente solo dalle coordinate delle particelle-

$ 7. Quantità di moto
Un'altra legge di conservazione appare in connessione con
l'omogeneità dello spazio.
In virtii di questa omogeneità le proprietÃmeccaniche di un siste-
ma isolato non cambiano in una traslazione parallela qualsiasi d i
questo sistema nel suo insieme nello spazio. Consideriamo una tra-
slazione infinitesima e e imponiamo che la funzione di Lagrange resti
immutata.
Traslazione parallela significa una trasformazione in cui t u t t i
i punti del sistema si spostano di uno stesso segmento, cioè i loro-
raggi vettori i,,4 ra + E . La variazione della funzione L in seguito
a una variazione infinitesima delle coordinate delle particelle, inva-
riate restando le velocità Ã

dove la sommatoria à estesa a t u t t i i punti materiali del sistema-


Essendo e arbitrario, la condizione 6L = O Ã equivalente alla condi-
LEGGI DI CONSERVAZIONE 45

zione
s==o-
a
9L
(791)

Quindi, in forza delle equazioni di Lagrange (5,2), otteniamo:

Dunque, siamo giunti alla conclusione che in un sistema mecca-


nico isolato la grandezza vettoriale

resta invariata durante il moto. I l vettore P Ã detto ~uantitÃ


di moto
o impulso del sistema. Dalla derivazione della funzione di Lagrange
( 5 , l ) resulta che l'impulso si esprime mediante le velocità dei
punti nel modo seguente:

L'additività dell'impulso à evidente. Inoltre, l'impulso di un


sistema, a differenza dell'energia, Ã uguale alla somma degli impulsi

delle singole particelle, indipendentemente dal fatto che la loro inte-


razione sia trascurabile o no.
La legge di conservazione delle tre componenti del vettore impul-
so sussiste soltanto in assenza di campo esterno. Tuttavia, singole
componenti dell'impulso possono conservarsi anche in presenza di
un campo se l'energia potenziale in esso non dipende da qualcuna
delle coordinate cartesiane. I n una traslazione lungo un asse coordi-
nato corrispondente, le proprietà meccaniche del sistema evidente-
mente non cambiano, e in modo analogo, troveremo che la proiezione
dell'impulso su questo asse si conserva. Cosi, in un campo uniforme,
diretto lungo l'asse z, si conservano le componenti dell'impulso
lungo gli assi x ed y.
L'uguaglianza iniziale (7,l) ha un semplice significato fisico. La
derivata-
9L
8%
= - x r a p p r e s e n t a la forza F a agente sulla a-esima
ara
particella. L'uguaglianza (7,1) significa quindi che la somma delle
forze agenti su tutte le particelle di un sistema isolato à uguale a zero:
46 CAPITOLO SECONDO

I n particolare, se si t r a t t a d i un sistema composto soltanto d i d u e


punti materiali, Fi + Fa = O, la forza agente sulla prima particella
da parte della seconda à uguale in modulo, ma opposta in direzione
alla forza agente sulla seconda particella da parte della prima. Que-
s t a asserzione à nota sotto i l nome d i legge d i eguaglianza dell'azione
e della reazione.
Se i l moto à descritto mediante coordinate generalizzate q,, le
derivate della funzione lagrangiana rispetto alle velocità generalizzate
QL
Pi = 7 (795)
Qqi
sono dette allora impulsi generalizzati, e le derivate

sono dette forze generalizzate. Le equazioni d i Lagrange si scrfvono-


allora:

Gli impulsi generalizzati in coordinate cartesiane coincidono con


le componenti dei vettori -pa. Nel caso generale, le grandezze p ,
sono funzioni lineari omogenee delle velocità generalizzate che ii
non si possono ridurre a semplici prodotti d i massa per velocitÃ

PROBLEMA
Una particella di massa m, moventesi con velocità vl passa da un semispazio
deve la sua energia potenziale à costante ed uguale ad U1,in un altro semispazio
dove questa energia 6 pure costante ma uguale ad U,. Determinare i l cambia-
mento di direzione del moto della particella.
Soluzione. L'energia potenziale non dipende dalle coordinate lungo gli
assi paralleli al iano di separazione dei due semispazi. Per questo la roiezione
,
dell'impulso delfa particella su questo piano si conserva. Siano vl e 1 fe velocitÃ
della particella prima e dopo l'attraversamento del piano, e 61 e 6, gli angoli
formati da queste velocith con la normale al piano di separazione; otteniamo-
allora v-, sen 6, = v, sen e*. Ma la relazione tra v, e % Ã data dalla legge d i
conservazione dell'energia, da cui si ottiene in definitiva

$ 8 . Centro di massa

L'impulso d i un sistema meccanico isolato h a valori diversi ri-


spetto a sistemi di riferimento (inerziali) diversi. Se u n sistema di rife-
rimento K' si muove rispetto ad un altro sistema K con velocità V,
le velocitÃV: e va delle particelle rispetto a questi sistemi sono legate
dalla relazione va = V: +
V. Percià la relazione tra i valori P e P'
LEGGI DI CONSERVAZIONE

dell'impulso in questi sistemi à data dalla formula

In particolare, esiste sempre un sistema di riferimento K' in cui


l'impulso totale à nullo. Ponendo nella (8,1) P' = O, troviamo che
la velocità d i questo sistema di riferimento à uguale a

Se l'impulso totale di un sistema meccanico à nullo, si dice allora


che questo sistema persevera in quiete rispetto a l corrispondente
sistema di riferimento. Questa à una espressione che generalizza in
modo del tutto naturale i l concetto di quiete per un punto materiale
isolato. Analogamente la velocità V, data dalla formula (8,2), acqui-
sta il significato di velocitÃdel à moto à di un sistema meccanico pre-
so come un insieme indivisibile e avente un impulso differente da
zero. Vediamo dunque che la legge di conservazione dell'impulso
permette di formulare in maniera naturale il concetto di quiete e di
velocità d i un sistema meccanico come insieme intero.
La formula (8,2) mostra che la relazione tra l'impulso P e la velo-
citÃV di un sistema nel suo insieme à identica alla relazione esisten-
te tra l'impulso e la velocità di un punto materiale di massa p =
2
= ma, uguale alla somma delle masse d i tutte le particelle punti-
formi del sistema. Si puà esprimere questo fatto affermando l'additi-
vita della massa.
Il secondo membro della formula (8,2) puà essere espresso come
derivata totale rispetto al tempo dell'espressione
2j '"ara
R=-â (8'3)
y, ma
Si puà dire che la velocità d i un sistema nell'insieme à la velocith
di spostamento nello spazio di un punto i l cui raggio vettore à dato
dalla formula (8,3). Questo punto à chiamato centro di massa del
sistema.
Si puà formulare la legge di conservazione dell'impulso di un
sistema isolato dicendo che il suo centro di massa si muove di moto
rettilineo uniforme. In questa forma, la precedente affermazione rap-
presenta la generalizzazione della legge d'inerzia stabilita nel  3
per un punto 'materiale libero il cui (1 centro di massa à coincide con il
punto stesso.
48 CAPITOLO SECONDO

Nello studio delle proprietà meccaniche di un sistema isolato à na-


turale servirsi di un sistema d i riferimento in cui il centro d i massa
persevera in quiete. Si esclude quindi la necessità d i considerare il
moto uniforme e rettilineo del sistema in blocco.
L'energia di un sistema meccanico perseverante in quiete in bloc-
co solitamente si chiama energia interna Eintdi questo sistema. Essa
include in sà l'energia cinetica relativa al moto delle particelle nel
sistema e l'energia potenziale della loro interazione. Quanto all'ener-
gia totale di un sistema che si muove in blocco con velocità V, essa
puà essere espressa nella forma:

Sebbene questa formula sia evidente, ne diamo perà una deduzione


diretta. Le energie E ed E' di un sistema meccanico in due sistemi di
riferimento K e K' sono legate dalla relazione

ossia

Questa formula definisce l a legge di trasformazione dell'energia nel


- passare da un sistema di riferimento ad un altro; per l'impulso questa
legge à data dalla formula (8,l). Se nel sistema K' il centro d i massa
persevera in quiete, allora P' = O, E' = E\nt, e noi ritorniamo alla
formula (8,4).
PROBLEMA
Trovare la legge di trasformazione dell'azione quando si passa da un sistema
d i riferimento inerziale ad un altro.
Soluzione. La funzione di Lagrange à uguale alla differenza delle energie
cinetica e otenziale. E evidente che essa si trasforma secondo una formula
analoga alla (8,5), e cioh:

Integrando questa uguaglianza rispetto al tempo, troviamo la legge richiesta di


trasformazione dell'azione:

dove R' Ã i l raggio vettore del centro di massa nel sistema K'.
LEGGI DI CONSERVAZIONE

5 9. Momento della quantità di moto


Passiamo ora alla deduzione della legge di conservazione che deri-
va dall'isotropia dello spazio.
Questa isotropia significa che le proprietÃmeccaniche di un siste-
ma isolato non cambiano, qualunque sia la rotazione nello spazio
di tutto il sistema in blocco. Consideriamo pertanto il caso di una

Fig. 5

rotazione infinitesima del sistema ponendo la condizione che la


funzione di Lagrange resti invariata.
Chiamiamo vettore della rotazione infinitesima 6 9 il vettore di
modulo pari all'angolo d i rotazione 6rp e diretto come l'asse di rota-
zione (il verso della rotazione rispetto a l verso di 6<p risponde alla
regola della vite).
Cerchiamo anzitutto a che cosa à uguale, in una tale rotazione,
l'incremento del raggio vettore tracciato dalla origine delle coordina-
te (collocata sull'asse di rotazione) ad un qualunque punto materiale
del sistema soggetto a rotazione. Lo spostamento lineare dell'estremo
del raggio vettore à collegato con l'angolo dalla relazione
6 r I = r sen 8-6q
(fig. 5), mentre la direzione del vettore à perpendicolare a l piano
passante per r e 6 9 . l3 chiaro quindi che

Nella rotazione del sistema cambia non solo la direzione dei raggi vet-
tori, ma anche delle velocità di tutte le particelle; tutti i vettori
inoltre si trasformano secondo l a stessa legge. Per questo l'incremento

l) Nel presente volume per il prodotto vettoriale di due vettori a e b Ã


usato il simbolo [ab] mentre il prodotto scalare à indicato con ab (N. d. R.).
50 CAPITOLO SECONDO

della velocità rispetto a l sistema d i coordinate immobile Ã

Riportando queste espressioni nella condizione d'invarianza per


rotazione della funzione lagrangiana

sostituiamo le derivate QL/9va pa, QL/Qra= pa:


=

o, con uno scambio ciclico dei fattori e portando 6 0 fuori dal segno
di somma, otteniamo:

Essendo 6cp arbitraria, segue che

in altri termini, siamo giunti alla conclusione che nel moto di un


sistema isolato si conserva la grandezza vettoriale

detta momento della quantità d i moto (o semplicemente momento) del


sistema1). L'additività di questa grandezza à evidente. Per di pi6,
essa, come nel caso dell'impulso, Ã indipendente dal fatto che s i
abbia o meno interazione tra le particelle.
Con questo si esauriscono gli integrali del moto additivi. Quindi
ogni sistema isolato ha in tutto sette integrali del moto di questo
tipo: l'energia, le tre componenti del vettore impulso e le tre compo-
nenti del vettore momento angolare.
Poichà i raggi vettori delle particelle entrano nella definizione
del momento, il valore d i quest'ultimo dipende in generale dalla
scelta dell'origine delle coordinate. I raggi vettori ra ed T; di uno stes-
so punto rispetto a due origini separate da una distanza a sono legati
+
dalla relazione ra = r f a a. Si ha quindi:

l) Si usa anche la denominazione à momento angolare D o à momento


rotazionale D.
LEGGI D I CONSERVAZIONE 51

Da questa formula risulta che solo nel caso in cui il sistema in blocco
persevera in stato di quiete (cioÃP = O), il momento angolare non
dipende dalla scelta dell'origine delle coordinate. E evidente che
questa indeterminazione del valore del momento angolare non
influisce sulla legge di conservazione del momento perchéper un
sistema isolato, anche l'impulso s i conserva.
Stabiliamo ora una formula che lega i valori del momento ango-
lare in due differenti sistemi d i riferimento inerziali K e K' dei quali
il secondo si muove rispetto al primo con velocità V. Partiremo dal-
l'ipotesi che le origini delle coordinate nei sistemi K e K' coincidano
ad un istante dato. Allora i raggi vettori delle particelle nei due
sistemi sono uguali, e la relazione tra le velocità à va = :V + V.
Abbiamo quindi

La prima somma del secondo membro d i questa uguaglianza Ã


momento M' nel sistema K'; introducendo nella seconda somma
raggio vettore del centro di massa secondo la (8,3), otteniamo:

Questa formula definisce la legge di trasformazione del momento


angolare nel passaggio da u n sistema di riferimento ad un altro
i n modo simile alle leggi analoghe per l'impulso e l'energia date
dalle formule (8,1) e (8,5).
Se i l sistema di riferimento K' Ã quello in cui il dato sistema mec-
canico à in quiete in blocco, V à la velocità del centro di massa di
questo sistema, e pV il suo impulso totale P (rispetto a K). Si ha
allora:
+
M = M' [RPI. (976)
In altri termini, i l momento angolare M di un sistema meccanico
consta del suo à momento angolare intrinseco à rispetto al sistema
d i riferimento nel quale esso persevera in quiete, e del momento
[RP] legato al moto del sistema come insieme.
Sebbene la legge di conservazione delle tre componenti del mo-
mento (rispetto ad un'origine delle coordinate arbitraria) sussista
soltanto per sistemi isolati, essa, in una forma pifi limitata, puÃ
sussistere anche per sistemi collocati in un campo esterno. Dai ragio-
namenti precedenti à evidente che s i conserva sempre la proiezione
del momento su quell'asse rispetto a l quale il dato campo à simmetri-
co; di conseguenza, le proprietÃmeccaniche del sistema non cambiano,
qualunque sia la rotazione intorno a questo asse; resta inteso, però
4*
52 CAPITOLO SECONDO

che il momento deve essere definito rispetto ad un punto (origine


delle coordinate) situato su questo stesso asse.
Il caso pii3 importante di questo genere à quello d i un campo a sim-
metria centrale, cioà un campo in cui l'energia potenziale dipende
soltanto dalla distanza da u n punto (centro) determinato nello
spazio. Ã evidente che durante il moto in u n tale campo si conserva
l a proiezione del momento su ogni asse passante per i l centro.
I n altri termini, si conserva i l vettore momento M, ma solo se esso
à definito, però rispetto non a u n punto qualsiasi dello spazio, m a
a l centro del campo.
Un altro esempio: un campo iniforme diretto come l'asse z nel
quale si conserva la proiezione M, del momento, e l'origine delle
coordinate puà essere scelta in modo arbitrario.
Osserviamo che la proiezione del momento angolare su un asse
qualunque (chiamiamolo z ) puà essere ottenuta derivando la funzione
d i Lagrange secondo la formula

dove q? à l'angolo di rotazione intorno all'asse z. Cià deriva chiara-


mente dallo stesso modo in cui abbiamo stabilito la legge d i
conservazione del momento angolare, ma d i questo ci si puà con-
vincere con u n calcolo diretto. I n coordinate cilindriche r, q, z (po-
nendo xa = r a cos q a , ya = ra sen q a ) abbiamo:

D'altra parte, l a funzione d i Lagrange in queste variabili ha la for-


ma

che, posta nella formula (9,7), dà la stessa espressione (9,8).

PROBLEMI
1. Trovare le espressioni per le componenti cartesiane e per i l valore asso-
luto del momento angolare di una particella in coordinate cilindriche r, (p, z.
Risposta:
. .
Mx=msen<p(rz-zr)-mrzqcos cp,
. .
My = m cos (p(zr-rz)-mrzq sen q,

. .
M2= mZrW (r2 +zz) +ma (rz -zr)2.
LEGGI D I CONSERVAZIONE

2. LO stesso problema in coordinate sferiche r , 0, <p.


Risposta:
M ^ = -mr2 (6 sen (p +<p sen 0 cos 0 cos (p),
M y =mr2 (0 cos (p- q> sen 6 cos 0 sen (p),

3. Indicare le componenti dell'impulso P e del momento M che si conservano


durante il moto nei campi seguenti:
a) Campo di un piano omogeneo indefinito.
Risposta. P , P y , M , (il piano indefinito à i l piano x, y).
b) Campo di un cilindro omogeneo indefinito.
Risposta. M,. P, (l'asse del cilindro à l'asse 2).
C ) Campo di un prisma omogeneo indefinito.
Risposta. P* (gli spigoli del prisma sono paralleli all'asse z).
d) Campo di due punti materiali.
Risposta. M, (i punti sono situati sull'asse 2).
e) Campo d i u n semipiano omogeneo indefinito.
Risposta. P y (il semipiano indefinito à una parte del piano x, y limitato
dall'asse y).
f ) Campo di un cono omogeneo.
Risposta. M, (l'asse del cono à l'asse 2 ) .
g) Campo di u n toro circolare omogeneo.
Risposta. M, (l'asse del toro à l'asse 2).
h) Campo d i un'elica cilindrica omogenea indefinita.
Soluzione. La funzione di Lagrange non varia in una rotazione di un
angolo &(p intorno all'asse dell'elica (asse 2 ) accompagnata d a una traslazione
h
lungo questo asse di una distanza -6q ( h à i l passo dell'elica). Pertanto
2n
QL 8~
il=-&+-
az &(p=
Q9
quindi
h
M*+-Pz=
2n costante.

$ 10. Similitudine meccanica

Se si moltiplica funzione d i Lagrange per una costante arbitraria


non si alterano le equazioni del moto. Grazie a questa circostanza
(già notata nel $ 2) à possibile, in alcuni casi importanti, trarre
alcune conclusioni sostanziali inerenti alle proprietà del moto, senza
eseguire di fatto l'integrazione delle equazioni del moto.
Per esempio, casi simili si hanno quando l'energia potenziale
à una funzione omogenea delle coordinate, cioÃuna funzione che sod-
disfa la condizione
U (ari, a r a , . . ., a i n ) = ak U (rl, ra, . . ., rn), (10,l)
54 CAPITOLO SECONDO

dove a à una costante qualunque, e i l numero k il grado di omogenei-


t à della funzione.
Eseguiamo sulle variabili le trasformazioni seguenti: moltipli-
chiamo tutte le coordinate per una stessa costante a e il tempo per
un'altra costante arbitraria p:

Ã
Tutte le velocità v a = -- variano allora di cx/p volte, e l'energia
cinetica d i a2/(i2 volte. L'energia potenziale viene invece moltiplica-
t a per ah.Se a e (i sono legate dalla condizione
a2
-- -ak, cioà fJ=a
i- -
h
2 ,
P2
allora, per questa trasformazione, la funzione di Lagrange sarA
globalmente moltiplicata per il fattore costante a', cioÃle equazioni
del moto restano invariate.
Moltiplicare tutte le coordinate delle particelle per uno stesso
numero significa passare da determinate traiettorie ad altre geome-
tricamente simili alle prime e da queste differenziantisi soltanto per
le dimensioni lineari. Siamo giunti dunque alla seguente conclu-
sione: se l'energia potenziale d i un sistema à una funzione omogenea
d i k-esimo grado delle coordinate (cartesiane), le equazioni del
moto ammettono allora traiettorie geometricamente simili; tutti
i tempi del moto (presi in punti corrispondenti delle traiettorie)
stanno t r a loro nel rapporto

dove VII Ã il rapporto delle dimensioni lineari di due traiettorie.


Insieme con i tempi, stanno nel rapporto l'Il elevato a una determi-
nata potenza anche i valori di tutte le grandezze meccaniche nei cor-
rispondenti punti delle traiettorie nei corrispondenti istanti. Cosi per
la velocità l'energia e il momento angolare si h a

Diamo qualche esempio per illustrare questo fatto.


Come vedremo p i ~avanti, nel caso delle piccole oscillazioni,
l'energia potenziale à una funzione quadratica delle coordinate
(k = 2). La formula (10,2) mostra che il periodo di queste oscillazio-
ni non dipende dalla loro ampiezza.
LEGGI D I CONSERVAZIONE 55

In un campo d i forze uniforme, l'energia potenziale à ¨ u nfunzione


lineare delle coordinate [vedi (5,8)1, cioÃk = 1. Dalla (10,2) abbiamo

D a questa uguaglianza segue, per esempio, che nella caduta dei gravi
i quadrati dei tempi di caduta sono proporzionali alle altezze da cui
i corpi cadono.
Nell'attrazione newtoniana d i due masse, o nell'interazione
coulombiana d i due cariche, il'energia potenziale à inversamente
proporzionale alla distanza tra le particelle; in altri termini, essa
à una funzione omogenea d i grado k = -1. I n questi casi
t'

e noi possiamo affermare, per esempio, che i quadrati dei tempi di


rivoluzione di corpi sulle loro orbite sono proporzionali a i cubi delle
dimensioni di quest'ultime (terza legge di Keplero).
Se il moto d i un sistema, l a cui energia potenziale à una funzione
omogenea delle coordinate, avviene in una regione limitata dello
spazio, esiste sempre una relazione assai semplice fra i valori medi,
rispetto al tempo, dell'energia cinetica e dell'energia potenziale;
essa à nota sotto i l nome d i teorema del viriate.
Poichà l'energia cinetica T à una funzione quadratica delle velo-
citàs i ha, in v i r t ~del teorema di Eulero sulle funzioni omogenee:

8T
ossia, introducendo gli impulsi a
T
a = pa:

Prendiamo l a media rispetto al tempo d i questa uguaglianza. Si


chiama valore medio d i una funzione qualunque del tempo f ( t )
la grandezza
T

7 = limi (
T+-
(t) itt.
o
l3 facile vedere che se .j(t) Ã la derivata rispetto a l tempo f ( t ) = W )
d i una funzione limitata F ( t ) (cioà d i una funzione che non assume
valori infiniti), allora il suo valore medio si annulla. Infatti,

= lT-i m
W a ( ~ d t - l i r n F ( t ) -TF (0) =o,
T* m
o
56 CAPITOLO SECONDO

Supponiamo che un sistema si muova in una regione finita dello


spazio e con velocità non tendenti all'infinito. Allora la grandezza
/, rnpa à limitata, e il valore medio del primo termine del secondo
membro dell'uguaglianza (10,4) si annulla. Sostituendo nel secondo --

su
termine, conformemente alle equazioni di Newton, pa con -
ara
-
si ottiene1):

Se l'energia potenziale à una funzione omogenea di A-esimo grado di


tutti i raggi vettori ra, allora secondo il teorema di Eulero l'ugua-
glianza (10,5) si trasforma nella relazione cercata
2T= kù (10'6)
Siccome + =E = E, si puà scrivere la relazione (10'6)
nelle forme equivalenti :

dove ae T sono espresse mediante l'energia totale del sistema.


In particolare, per le piccole oscillazioni (A = 2) si ha:
-T = o,
cioà i valori medi delle energie cinetica e potenziale sono uguali.
Per l'interazione newtoniana (k = -I):
2T= -D.
-
In questo caso E = -T, in connessione con il fatto che per questa
interazione il moto avviene in una regione finita dello spazio soltan-
to se l'energia totale à negativa (vedi il  15).

PROBLEMI
1. In che rapporto stanno i tempi di moto su traiettorie identiche di parti-
celle con masse diverse, a paritb di energia potenziale?
Risposta:
t'
t
2. Come cambiano i tempi di moto su traiettorie uguali cambiando l 'energia
potenziale di un fattore costante?
R is~osta:

l) L'espressione al secondo membro dell'uguaglianza (10,5) Ã chiamata


talvolta viriale del sistema.
Capitolo I I I

INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI


DEL MOTO

$ 11. Moto unidimensionale


S i chiama unidimensionale il moto d i un sistema con un solo gra--
do di libertà La forma pifi generale della funzione lagrangiana per
un tale sistema, soggetto a condizioni esterne costanti, Ã

dove a (q) Ã una funzione della coordinata generalizzata q. I n parti-


colare, se q à una coordinita cartesiana (chiamiamola x),

L:=-- mx2 U(x). (11,2),

Le equazioni del moto corrispondenti a queste funzioni lagrangia-


ne si integrano in forma generale. Per questo non occorre neppure-
scrivere l'equazione stessa del moto; conviene partire diretta-
mente dal loro integrale primo, cioà dall'equazione che esprime l a
legge d i conservazione dell'energia. Cosi, per la funzione d i Lagrange
(11,2), abbiamo:

Questa à un'equazione differenziale del primo ordine che si integra-


per separazione delle variabili. S i h a

da cui
+ costante.
VEÑUÃ-
La parte delle due costanti arbitrarie nella soluzione delle equa-
zioni del moto à qui tenuta dall'energia totale E e dalla costante d'in-
tegrazione.
Poichà l'energia cinetica à una grandezza sostanzialmente positi-
va, durante il moto l'energia totale à sempre maggiore dell'energia~
58 CAPITOLO TERZO

potenziale, cioÃil moto puà avvenire soltanto nelle regioni dello spa-
zio dove U (x) <E.
Supponiamo, ad esempio, che la funzione U (x) abbia l'andamento
rappresentato nella fig. 6. Se tracciamo su questo grafico una
retta orizzontale corrispondente ad un valore dato dell'energia tota-
le, vedremo subito quali sono le regioni possibili di moto. Cosi,

Fig. 6

nel caso della fig. 6, il moto puà effettuarsi soltanto in AB o regione


a destra di C.
1 punti nei quali l'energia potenziale à uguale all'energia totale

fissano i limiti del moto. Questi sono i punti d'arresto in quanto l a


velocità in essi à nulla. Se la regione del moto à limitata da due que-
sti punti, il moto avviene i n una regione limitata dello spazio;
si dice allora che esso à finito. Se invece la regione de'l moto à illi-
mitata o limitata soltanto da un lato, il moto à detto infinito, la
particella se ne va all'infinito.
Un moto unidimensionale finito à oscillatorio: la particella com-
pie un moto d i andirivieni periodico tra due limiti (nella fig.. 6,
nella buca di potenziale AB tra i punti xl ed xo).Tenendo conto della
proprietà generale d i reversibilità (pag. 37), il tempo del moto da
xl ad x2 Ã uguale al tempo del moto inverso da x2 ad xr Di conseguen-
za, il periodo delle oscillazioni T, cioà il tempo impiegato dal punto
per andare da x1 ad x2 e ritornare in xi, Ã uguale al doppio del tempo
necessario per percorrere il segmento X G ~ , oppure secondo la (11,3),

'dove i limiti x-,ed x2 sono radici dell'equazione (11,4) per un valore


-dato di E. Questa formula esprime il periodo del moto in funzione
dell'energia totale della particella.
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 59

PROBLEMI
1. Determinare il periodo delle oscillazioni di un pendolo matematico
piano (un punto m all'estremità di un filo di lunghezza I in un campo di gravitÃ
i n funzione della loro ampiezza.
Soluzione. L'energia del pendolo 6

dove à l'angolo di scostamento del filo dalla verticale; cpn à l'angolo massimo.
~ s s e n l oi l periodo uguale al tempo quadruplicato impiegato per i l percorso
da O a q,, si h a :

<p
Ponendo sen -/seri 9 = sen E, questo integrale diventa
2 2

dove

à il cosiddetto integrale ellittico completo di prima specie. Nel caso delle


piccole oscillazioni (sen 9Ã 3
2 2
< i ) , lo sviluppo della funzione K (li} ci dÃ

r=2./"-
1
(i+ãv; ...).
Il primo termine di questa serie corrisponde alla ben nota formula elementare.
2. Determinare i l eriodo delle oscillazioni in funzione dell'energia di una
particella di massa m che si muove in un campo in cui l'energia potenziale è
a) U = A 1 x In.
Risposta:

Ponendo yn = u , l'integrale si riduce ad un integrale euleriano I3 che si esprime


mediante le funzioni r:
2 w r ( i ) 1-1
T- E" 2.
1 1
n ~ (-;t) ~ ~ ~ r

La dipendenza di T da E Gin accordo con la legge della similitudine meccanica


(10,2), (10,3).
CAPITOLO TERZO

b) U = - - Un
chzax'
Risposta:

C) U = U ntg2 UX.
Risposta:

$ 12. Determinazione dell'energia potenziale dal periodo delle


oscillazioni
Vediamo fino a che punto à possibile ristabilire l a forma U (x)
dell'energia potenziale del campo nel quale una particella compie u n
moto oscillatorio, partendo dalla conoscenza della dipendenza del

Fig. 7

periodo T dall'energia E. Da u n punto d i vista matematico si tratta


d i risolvere l'equazione integrale (11,5) nella quale U (x) Ã conside-
rata funzione incognita, e T (E) funzione nota.
Supponiamo a priori che la funzione cercata U (x) abbia un solo
minimo nella regione considerata dello spazio, e non prendiamo in
considerazione l a questione dell'esistenza di soluzioni dell'equa-
zione integrale che non soddisfino la nostra condizione. Per ragioni
di comodità scegliamo come origine delle coordinate i l punto in
cui l'energia potenziale à minima, ponendo i l valore d i quest'ultima
in questo punto uguale a zero (fig. 7).
Trasformiamo l'integrale (11,5), considerando in esso la coordina-
t a x quale funzione di U. La funzione x (U) Ã biunivoca: a ciascun
valore dell'energia potenziale corrispondono due valori differenti
di x. Di conseguenza, l'integrale (11,5), nel quale sostituiamo
dx
dx con - dU
d U , diventa una somma d i due integrali: d a x = x1 a d
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 61

x = O, e d a x = O ad x = 2%;indicheremo la dipendenza d i x da U
in questi due regioni rispettivamente con x = x1 (U) ed x = xa (U).
Gli estremi d'integrazione in dU saranno, evidentemente, E e O,
e, di conseguenza, otteniamo:

Dividendo i due membri d i questa uguaglianza per fi - E,


dove a à un parametro, e integrando rispetto a E da O ad a , abbiamo:

ossia, cambiando l'ordine d'integrazione:

L'integrale i n dE Ã elementare e risulta uguale a n. Dopo di che


l'integrazione i n d U diventa banale e dÃ

T ( E )d E
=n v%[x2( a )-q ( a ) ]
o
(si à tenuto conto che x2 (0) = xi (0) = 0).Sostituendo ora la lette-
r a a con U,troviamo infine:

Cosi, dalla conoscenza della funzione T (E), si determina la dif-


ferenza x2 (U) - xi (U). Quanto alle funzioni x2 (U) e xi (U), esse
restano indeterminate. Questo significa che esiste non una sola, ma
una molteplicità infinita d i curve U = U (x) che portano a una data
dipendenza del periodo dall'energia e che differiscono l'una dall'al-
t r a per deformazioni che non alterano l a differenza di due valori d i x
corrispondenti a uno stesso valore d i U .
La molteplicità delle soluzioni scompare se si impone che la cur-
va U = U (x) sia simmetrica rispetto all'asse delle ordinate, cioÃ
62 CAPITOLO TERZO

che sia:
-
x 2 ( U ) -2, (£7 = x ( U ) .
In questo caso la formula (12,l) dà per x (U) l'espressione univoca
u
1 T ( E )d E
x ( U )=
25cv% -'

13. Massa ridotta


il problema particolarmente importante del moto d i u n sistema
composto di due particelle interagenti (problema dei due corpi)
dmmette una soluzione completa in forma generale.
Come passo preliminare alla soluzione di questo problema, mostria-
mo come à possibile semplificarlo sostanzialmente separando il
moto del sistema in moto del centro d i massa e moto dei punti mate-
riali rispetto a quest'ultimo.
L'energia potenziale d'interazione di due particelle dipende sol-
tanto dalla distanza tra di loro, cioà dal valore assoluto della difle-
renza tra i loro raggi vettori. Percià la funzione lagrangiana di un
tale sistema è
L = - miil m2rj
2 +T-£7(lri-r21) (13,l)
Sia
r = rl - r 2
il vettore della distanza che separa i due punti; poniamo l'origine
delle coordinate al centro di massa i l che ci dÃ
miri +
m2r2 = 0.
Dalle due ultime uguaglianze otteniamo:

Riportando queste espressioni nella (13.1), otteniamo:

dove

à una grandezza chiamata massa ridotta. La funzione (13,3) coincide


formalmente con la funzione d i Lagrange d i un punto materiale di
massa m che si muove in un campo esterno U ( T ) simmetrico rispetto
all'origine immobile delle coordinate.
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 63

Cosi, i l problema del moto di due punti materiali interagenti si


riduce a l problema del moto d i un punto materiale in un campo ester-
no dato U (r). La soluzione r = r (t) d i questo problema permette di
determinare separatamente, mediante la formula (13,2), le traietto-
rie r, == ri (t) e rn = r a (t) (rispetto a l centro d i massa) per ciascuna
delle due particelle m = e m^.

Un sistema à composto di una particella di massa M e di n particelle di


massa m. Eliminare i l moto del centro di massa e ridurre il problema a quello
del moto di n particelle.
Soluzione. Siano R il raggio vettore della particella M ed Ra (a = 1, 2, . .
. . . n) i raggi vettori delle particelle di massa m. Introduciamo le distanze
della particella M dalle particelle m

e come origine delle coordinate prendiamo i l centro di massa:


M R + ~ RXa = O .
a
Da queste uguaglianze otteniamo:

dove p = M + nm. Riportando queste espressioni nella funzione di Lagrange

a
otteniamo:

dove v s ra.
L'energia potenziale dipende soltanto dalle distanze tra le particelle e puÃ
quindi essere rappresentata come funzione dei vettori ra.

$14. Moto in un campo centrale


Nel ridurre il problema del moto dei due corpi a l problema del
moto d i un corpo, ci siamo venuti a trovare d i fronte a l problema
della determinazione del moto di una particella in un campo esterno
in cui l'energia potenziale della particella dipende soltanto dalla di-
stanza r d a un dato punto fisso; u n tale campo à detto centrale. La
forza
64 CAPITOLO TERZO

agente sulla particella, dipende anch'essa, in valore assoluto, da r


ed à diretta in ogni punto come i l raggio vettore.
Come già à stato detto nel 3 9, durante i l moto in un campo cen-
trale i l momento angolare del sistema rispetto a l centro del campo si
conserva. Per una particella questo momento angolare Ã

Poichà i vettori M ed r sono mutuamente perpendicolari, la co-


stanza d i M significa che durante il moto della particella i l suo raggio
vettore resta sempre in uno stesso piano perpendicolare ad M.
In t a l modo la traiettoria d i una particella che si muove in u n
campo centrale giace t u t t a i n un solo piano. Introducendo le coordinate
polari r , q, la funzione di Lagrange assume la forma [vedi (4,5)]:

Questa funzione non contiene in modo esplicito la coordinata q.


S i chiama ciclica ogni coordinata generalizzata qi che non appare in
modo esplicito nella funzione d i Lagrange. I n virtii dell'equazione
lagrangiana, per ogni coordinata ciclica qi si ha:

. -
cioà l'impulso generalizzato corrispondente p , = 9L/9qi à un integrale
del moto. Questa circostanza porta ad una semplificazione sostanziale
del problema dell'integrazione delle equazioni del moto nel caso
in cui esistano le coordinate cicliche.
Nel caso considerato l'impulso generalizzato

coincide con il momento angolare Mz = M [cfr. (9,6)1 e cosi ritro-


viamo la legge, che già conosciamo, d i conservazione del momento
angolare

Notiamo, che per i l moto piano d i una particella in u n campo centrale,


questa legge ammette un'interpretazione geometrica semplice. L'e-
1
spressione T r -F dq rappresenta l area del settore formato dai due
raggi vettori infinitamente vicini e d a u n elemento d'arco della
traiettoria (fig. 8). Indicando questa superficie con df, il momento
angolare della particella assume la forma:
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 65

dove la derivata / à detta velocità areolare. La conservazione del mo-


mento angolare implica dunque la costanza della velocità areolare:
in uguali intervalli di tempo il raggio vettore della particella in
moto descrive aree uguali (seconda legge di Keplerol)).
La soluzione completa del problema del moto di una particella
in un campo centrale si ottiene p i semplicemente
~ se si parte dalle

Fig. 8
leggi di conservazione dell'energia e del momento angolare senza
neanche scrivere le equazioni stesse del moto. Esprimendo q~ in fun-
zione di M con la (14,Z) e riportando questo valore nell'espressione
dellyenergia7otteniamo:
2 r 2 + r 2 $ ) t u ( r ) = Tmr2
E=?(* + Ã ‘ ÃM*
‘,+u(r (1434)
Da cui

oppure, separando le variabili ed integrando:


t= j dr
M2
+costante. (14,6)
fE-up~j-- m2r2

Scrivendo poi la (14,Z) nella forma


M
d ~ p=-mra dt Y
ponendovi dt dalla (14,5) e integrando, otteniamo:

Le formule (14,6) e (14,7) danno la soluzione generale del proble-


ma posto. La seconda di queste formule determina la relazione tra
r e q, cioà l'equazione della traiettoria. La formula (14,6) determina
1) La legge di conservazione del momento angolare per una particelle in
moto in un campo centrale si chiama talvolta integrale delle aree.
5-0563
66 CAPITOLO TERZO

invece, in modo implicito, la distanza r dal centro del punto in moto


come funzione del tempo. Notiamo che l ' a n g ~ l o(p varia sempre col
tempo in modo monotono: risulta chiaramente dalla (14,2) che i
non cambia mai di segno.
L'espressione (14,4) mostra che la parte radiale del moto si puÃ
considerare come un moto lineare in un campo con energia poten-
ziale u efficace Ã

La grandezza M^ftmr2 Ã detta energia centrifuga. I valori di r per i


quali
U (r) +7M*
2mr
E
determinano i confini della regione del moto per quanto riguarda la
distanza dal centro. Se l'uguaglianza (14,9) Ã soddisfatta la velocitA
radiale r si annulla. Cià non significa che la particella si fermi (come
avviene in un vero moto unidimensionale), poichà la velo~ità ~ango -

lare (p non si annulla. L'uguaglianza r = O significa un u punto di


svolta à della traiettoria in cui la funzione r ( t ) da crescente diven-
t a decrescente o viceversa.
Se la regione della variazione di r à limitata dalla sola condizione
r a m i l i , il moto della particella à infinito: la sua traiettoria pro-
viene dall'infinito e torna all'infinito.
Se la regione della variazione di r ha invece due limiti, rmin
e r m a x , il moto à finito e l a traiettoria giace interamente in una coro-
na limitata dalle circonferenze r = rmaxe r = rmh. Cià non signifi-
ca, però che la traiettoria sia necessariamente una curva chiusa.
Nell'intervallo d i tempo in cui r varia da r m a r a rmin e di nuovo a
r m a x , il raggio vettore ruota di un angolo Acp che, conformemente
alla (14,7), Ã
M
"max - dr
A9=2 ( r2
(14910)
rmin
1^ M*
2rn (E- U)--
r=
Perchà la traiettoria sia chiusa à necessario che questo angolo sia
una frazione razionale di 2n, sia cioà uguale a A(p = 2nm/n, dove m
ed n sono numeri interi. Allora, dopo n ripetizioni di questo periodo
di tempo, i l raggio vettore del punto, dopo aver fatto m giri completi,
riprenderà il suo valore iniziale, cioà la traiettoria si chiude.
Casi d i questo genere sono tuttavia eccezionali, e per una forma
U (r) arbitraria l'angolo A(p non à una frazione razionale di 2n. Per
questo la traiettoria di un moto finito generalmente non à chiusa.
Essa passa infinite volte alladistanza minima e a quella massima
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 67

dal centro (come, per esempio, nella fig. 9), e, in un tempo, infinito,
ricopre tutta la corona compresa tra le due circonferenze limite.
Esistono soltanto due tipi d i campo centrale in cui tutte le
traiettorie dei moti finiti sono chiuse. Sono i campi in cui l'e-
nergia potenziale della particella à proporzionale a o r o a r2.11
primo di questi casi verrà esaminato nel prossimo paragrafo, e il
secondo corrisponde al cosiddetto oscillatore spaziale (vedi problema
3 del 3 23).
In un punto di svolta, la radice quadrata della (14,5)i(cosi come
l e espressioni integrande nella (14,6) e nella (14,7))cambia di segno. Se

si misura l'angolo q> a partire dalla direzione di un raggio vettore


terminante in un punto di svolta, le porzioni della traiettoria
facenti capo, da parti opposte, a questo punto differiranno, per valo-
r i di r uguali, solo per il segno di (p; questo significa che la traiettoria
à simmetrica rispetto alla direzione indicata. Partendo, per esempio,
da uno dei punti r = rmas, si percorre la porzione di traiettoria fino
a l punto r = rmin, poi si ha una porzione disposta simmetricamente
fino al successivo punto r = rm e via di seguito; in altre parole,
l'intera traiettoria si ottiene ripetendo in andata e in ritorno porzio-
ni uguali. Cià avviene anche per le traiettorie infinite le quali sono
formate da due rami simmetrìc che si estendono dal punto di svolta
/Â¥mifino all'infinito.
L'esistenza di un'energia centrifuga (per un moto in cui M # O),
tendente all'infinito come 1/r2 quando r + O, rende generalmente im-
possibile la penetrazione delle particelle nel centro del campo, an-
che se questo à di per sÃstesso un centro d'attrazione. La à caduta Ã
d i una particella nel centro à possibile soltanto nel caso in cui l'ener-
gia potenziale tende con sufficiente rapidità verso - W per'r -+ O!

5*
CAPITOLO TERZO

Dalla disuguaglianza
mr 2 M2
-=
2
E-U (r)-- 2mr2
>O

segue che r puà prendere valori tendenti a zero soltanto se

cioà U ( r ) deve tendere verso -00 come - a / r 2 dove a> &12j2m,


oppure proporzionalmente a - l / r n dove n > 2.

PROBLEMI
1. Integrare le equazioni del moto di un pendolo sferico, cioà di un punto
materiale m che si muove sulla superficie di una sfera di raggio l in un campo
di gravitÃ
Soluzione. In coordinate sferiche, ponendo origine nel centro della sfera
e dirigendo l'asse polare verticalmente verso il basso, la funzione di Lagrange
del pendolo Ã
L-- m12 (02 +sen2 O (E¶ +mgl cos 6 .
2
La coordinata q) à ciclica, e percià l'impulso generalizzato pm, che coincide con
l a componente z del momento angolare, si conserva:
m12 sen2 O. (p = M z = costante.
L'energia Ã

Ricavando di qui 0 e separando le variabili, si ottiene:

dove à stata introdotta à l'energia potenziale efficace Ã

Mi
uefr(0) = 2h
sen2O -mgz cos o.
Utilizzando la (i), troviamo per l'angolo (p:

Gli integrali (3) e (4) si riducono ad integrali ellittici di prima e di terza specie,
rispettivamente.
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 69

La regione del moto per l'angolo 9 Ã determinkta dalla condizione E > Uen,
ed i suoi limiti si trovano dall'equazione E = Uett. Quest'ultima à un'equazione
di terzo grado in cos 8, avente due radici nell'intemallo compreso tra
-1 e +l queste
; radici determinano la posizione di due circonferenze parallele
sulla sfera tra le uali à compresa tutta la traiettoria.
2. Integrare l e equazioni del moto di un punto materiale che si muove
sulla superficie di un cono (angolo al vertice à 2a),posto verticalmente con il
vertice verso i l basso, in un campo di gravitÃ
Soluzione. In coordinate sferiche (origine nel vertice del cono ed asse polare
diretto verticalmente verso l'alto) la funzione di Lagrange Ã

La coordinata <p à ciclica e percià anche in questo caso si conserva la grandezza


-
MÃ- mr2 sen2 a cp.
L'energia Ã

Analogamente a l procedimento usato per i l problema 1, troviamo:

La condizione E'= Ueft (r) rappresenta (per M^ # 0) un'equazione di terzo


grado in r avente due radici positive; queste radici determinano la posizione
di due circonferenze orizzonta i sulla superficie del cono tra le quali à com-
presa la traiettoria.
3. Inte rare le equazioni del moto di un pendolo piano i l cui punto di so-
spensione (di massa mi)puà spostarsi orizzontalmente (vedi fig. 2)
Soluzione. Nella funzione di Lagrange, trovata nel roblema 2 del 3 5,
la coordinata x à ciclica. Per questo, si conserva l'impulso generalizzato PÃ
che coincide con la componente orizzontale dell'impulso totale del sistema:
Pf=x (mi+ m^ x+ m à ˆ l cos <p =costante. (1)
Si puà sempre considerare i l sistema come un insieme che persevera in quiete;
in questo caso, la costante à nulla e l'integrazione dell'equazione (1) dà la
relazione
(mi + ma) a:+ mal sen <p = costante, (2)
che es rime l'immobilità del centro di massa del sistema nella direzione orizzon-
tale. Partendo dalla (i), si ottiene l'energia nella forma
70 CAPITOLO TERZO

Donde

Esprimendo mediante la (2) le coordinate x* = x + I sen q., ed y, =


= / cos q della particella m, in funzione di (D, troviamo che la traiettoria di
questa particella rappresenta un arco d'ellisse con semiasse orizzontale
+
uguale a lm,l(ml m ) e semiasse verticale uguale a 1. Quando mi ->Â oo,
si ritrova l'usuale matematico oscillante secondo un arco di circonfe-
renza.

$ 1 5 . Il problema di Keplero
L'esempio pi6 importante d i campi centrali à quello di un campo
in cui l'energia potenziale à inversamente proporzionale ad r e, ri-
spettivamente, le forze sono inversamente proporzionali a ra. il

Fig. 10

caso dei campi newtoniani di gravità e dei campi coulombiani elet-


trostatici. I primi, come à noto, hanno carattere attrattivo, e secondi
possono essere sia attrattivi che repulsivi.
'
Consideriamo anzitutto un campo d'attrazione in cui

dove la costante a e positiva. I l grafico dell'energia potenziale u effi-


cace Ã
a M*
uw=--+-r 2mra (1592)
6 della forma indicata nella fig. 10. Per r -P O, essa tende verso oo, +
e per r + oo tende a zero per valori negativi; per r = W a r n essa
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 71

ha un minimo uguale a
azm
(Uettfaiin= -2 ~ / 2 (15'3)
Risulta direttamente d a questo grafico che per E > O il moto della
particella sarà infinito, e finito per E <O.
La forma della traiettoria à determinata dalla formula generale
a
(14'7). Riportando in essa U = - - ed eseguendo un'integrazione
elementare, si ottiene:
M ma
o) = arccos
r
M + costante.
&,E+%
Scegliendo l'origine dell'angolo cp in modo tale che la costante sia
nulla e introducendo le notazioni

possiamo scrivere la formula della traiettoria come segue:

Questa à l'equazione di una sezione conica avente per fuoco l'origine


delle coordinate; p ed e sono detti rispettivamente parametro e eccen-
tricità dell'orbita. Come si vede dalla (15,5), la scelta dell'origine d i
<p à tale che il punto in cui cp = O à i l pi6 vicino a l centro (questo
punto à detto perielio dell'orbita).
Nel problema equivalente dei due corpi interagenti secondo la
legge (15,1), l'orbita di ciascuna delle particelle rappresentauna sezio-
ne conica avente per fuoco il centro di massa comune.
Dalla (15,4) si vede che per E < O l'eccentricità à minore d i 1,
cioà l'orbita à un'ellisse (fig. H) e i l moto à finito conformemente
a quanto detto all'inizio d i questo paragrafo. Secondo note formule
della geometria analitica, il semiasse maggiore a e il semiasse minore
b sono dati da

11 valore minimo ammissibile* dell'energia coincide con l a (15,3),


e in questo caso si h a e
= O, cioà l'ellisse si trasforma in un cerchio.
Notiamo che i l semiasse maggiore dell'ellisse dipende soltanto dal-
l'energia (e non dal momento angolare) della particella. Le distanze
minima e massima dal centro del campo (fuoco dell'ellisse) sono
72 CAPITOLO TERZO

Queste espressioni (con a ed e sostituite mediante l a (15,6) e la (15,4))


si potrebbero evidentemente ottenere direttamente come radici del-
l'equazione Uett ( r ) == E.
E comodo determinare i l tempo d i rivoluzione sull'orbita ellitti-
ca, cioà il periodo del moto T, per mezzo della legge di conservazione

Fig. 11

del momento angolare nella forma dell'à integrale delle aree à (14,3).
Integrando questa uguaglianza rispetto al tempo da zero a T, si
ottiene:
2mf = TM,
dove / Ã l'area racchiusa dall'orbita. Per l'ellisse f = nab, e
mediante le formule (15,6) si ottiene:

I l fatto che i l quadrato del periodo dovesse essere proporzionale al


cubo delle dimensioni lineari dell'orbita era già stato mostrato nel
$ 10. Notiamo ancora che i l periodo dipende solo dall'energia della
particella.
Per E ^> O i l moto à infinito. Se E > O, l'eccentricità e > 1, cioÃ
la traiettoria à un'iperbole che contorna i l centro del campo (fuoco),
come à indicato nella fig. 12. La distanza del perielio dal centro Ã

dove

à il à semiasse à dell'iperbole.
Se invece E = O, l'eccentricità e = 1, la particella percorre una
parabola con distanza d i perielio rmin== p/2. Questo caso si ha allor-
chà la particella comincia i l suo moto da uno stato di quiete all'in-
finito.
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 73

La relazione t r a le coordinate d i una particella i n moto su un'or-


bita e il tempo puà essere trovata con l'aiuto della formula generale

Fig. 12

(14,6). Per essa esiste una forma parametrica pifi comoda a cui si puÃ
giungere nel modo seguente.
Consideriamo anzitutto orbite ellittiche. Sostituendo a ed e
secondo la (15,4) e la (15,6), scriviamo l'integrale (14,6), che deter-
mina il tempo, nella forma

Eseguendo la sostituzione

questo integrale assume la forma


-
(1 -e cos E ) dE = /$ (E - e s e i E) +costante.
Scegliendo l'origine dei tempi in modo tale da annullare la costan-
te, si ottiene infine la seguente rappresentazione parametrica della
relazione tra r e t:
-
r=a(l-ecosE), t = ' / ~ ( ~a - e s e t t ) (15'10)

(nell'istante t = O la particella si trova nel suo perielio). Mediante


lo stesso parametro si possono esprimere anche le coordinate carte-
siane della particella x = r cos <p, y = r sen (p (gli assi a" ed y sono
diretti rispettivamente lungo i semiassi maggiore e minore dell'ellis-
74 CAPITOLO TERZO:

se). Dalle (15,5) e (15'10) otteniamo


ex = p - -
r = a (1 - e2) a (i - e cos t ) = ae (cos E - e),
e troviamo y = Ã-/V- x2. Infine abbiamo:
x = a (cos - e), y = a v l - e2 sen E. (15,11)
Ad una rivoluzione completa sull'ellisse corrisp~ndeuna variazione
del parametro E da O a 2n.
r Calcoli del tutto analoghi ci portano ai seguenti risultati per le
traiettorie iperboliche:
-
r =a(echS-l), t = / & ( ea ~ h ~ - ~ ) ,
(15'12)
x=a(e-(:h^), y=ay^e2-l s h t ,
dove il parametro E assume t u t t i i valori compresi tra - oo e + oo.
Consideriamo ora il moto in un campo di repulsione dove
u=- ar (15313)
{a > 0). I n questo caso l'energia potenziale efficace

decresce i n modo monotono da + ¡ a zero, quando r varia da zero


a d oo. L'energia della particella non puà essere che positiva, ed il

Fig. 13
moto à sempre infinito. Tutti i calcoli per questo caso sono precisa-.
mente analoghi a quelli eseguiti sopra. La traiettoria à un'iperbole

Ip ed e sono determinate dalle formule (15,4)1. Essa passa vicino al


eentro del campo, come à indicato nella fig. 13. La distanza del peri-
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 75

elio Ã
rmin=-- p
e-i
-a(e+i) (15'15)
La dipendenza dal tempo à determinata dalle equazioni parametriche

x = a (eh +
e), y = a v e 2 - 1 sh 5.
Concludendo questo paragrafo mostriamo che per il moto in un
campo U = a/r (dove il segno di a à arbitrario) esiste un integrale
del moto specifico di questo campo. l3 facile verificare con un calcolo
diretto che l'espressione
[vM] +T= costante. (15,17)
Infatti, la sua derivata totale rispetto a l tempo Ã
[vM] +T---
av ar (vr)
r3 '

o, sostituendo M = m [rvl:
mr (vv) -mv (rv) +-
av
--
ar (vr)
r3 '
ponendovi, secondo le equazioni del moto, mv = ar/r3, vedremo che
alla fine questa espressione si annulla.
I l vettore conservativo (15,17) Ã diretto lungo l'asse maggiore dal
fuoco a l perielio e la sua grandezza à uguale ad ae. Questo à facil-
mente verificabile considerando il suo valore nel perielio.
Sottolineiamo che l'integrale del moto (15,17), come anche gli
integrali M ed E, una funzione monodroma dello stato (posizione
e velocità della particella. Vedremo nel 3 50 che la comparsa di que-
sto integrale monodromo supplementare à dovuta alla cosiddetta de-
generazione del moto.
PROBLEMI
1. Trovare la relazione tra le coordinate ed il tempo per una particella che
si muove in un campo U = -a/r con energia E = O (sf sondo una parabola).
' Soluzione. Nell'integrale

sostituiamo
76 CAPITOLO TERZO

e otteniamo la seguente rappresentazione parametrica della relazione cercata:

Il parametro q assume tutti i valori da -00 a +m.


2. Integrare le equazioni del moto di un punto materiale in un campo
centrale U = -a/?, a > 0.
Soluzione. Secondo le formule (14,6), (14,7), e scegliendo opportunamente
le origini di calcolo per cp e t, troviamo:

In tutti i tre casi

Nei casi b) e C) la particella u cade à nel centro seguendo una traiettoria che si
avvicina all'origine delle coordinate allorchà cp + oo. La caduta a partire da una
distanza data r avviene in un tempo finito "uguale a

3. Aggiungendo all'energia potenziale U = -a/r un valore piccolo SU (r),


le traiettorie di un moto finito cessano di essere chiuse e per ogni giro
i l perielio dell'orbita si sposta di un piccolo angolo 6r.p. Determinare questa
grandezza angolare 6(p per a) SU = $/r2 e b) SU = ?/G.
Soluzione. Quando r varia da rmi a r e nuovamente ad rmIn, l'angolo
6r.p cambia di una grandezza data dalla formula (14,iO) che scriviamo nella
forma .

(allo scopo di evitare pi6 in basso una fittizia divergenza dell'integrale). Poniamo
U = -aIr + SU e sviluppiamo l'espressione sotto il segno d'integrale secondo
le potenze di 6U;i l termine d'ordine zero dello sviluppo dà 2n, ed i l termine
del primo ordine d à lo spostamento cercato S(p:
INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 77

dove dall'integrazione in dr noi siamo passati all'integrazione in d q lungo la


traiettoria del moto u imperturbato v .
Nel caso a) l'integrazione nella (1) Ã banale e d i

-
[p à il parametro dell'ellisse imperturbata datodalla (15,4)1. Nel caso b) r^SU =
y / r , e sostituendo 1/r dalla (15,5), otteniamo:
Capitolo IV

URTI DI PARTICELLE

$ 16. Disintegrazione di particelle


Le leggi di conservazione dell'impulso e dell'energia già di per
sÃpermettono d i trarre, in numerosi casi, una serie di importanti con-
clusioni sulle proprietà dei diversi processi meccanici. Il fatto es-
senziale à che queste proprietà non dipendono affatto dal tipo concre-
to dell'interazione fra le particelle impegnate nel processo.
Cominciamo dal processo di disintegrazione u spontanea à (non
provocata cioà da forze esterne) di una particella in due à parti
componenti È cioà in due altre particelle che s i muovono, dopo l a
disintegrazione, indipendentemente l'una dall'altra.
Questo processo ha un aspetto molto semplice, se lo si considera
in un sistema di riferimento in cui la particella (prima della disinte-
grazione) perseverava in quiete. I n forza della legge di conservazione
dell'impulso, la somma degli impulsi delle due particelle formatesi
nella disintegrazione à pure uguale a zero, cioÃle particelle si allon-
tanano l'una dall'altra con impulsi uguali in grandezza e opposti in
verso. I l loro valore assoluto comune (indichiamolo con po) Ã deter-
minato dalla legge di conservazione dell'energia

dove mi ed m2 sono le masse delle particelle, Eiint ed Ezint le loro


energie interne, ed Eint l'energia interna della particella iniziale
(che disintegra). Indichiamo con E l'a energia di disintegrazione Ã
cioà la differenza

(Ã evidente che questa grandezza dev'essere positiva perch6 la


disintegrazione sia in generale possibile). Si ha allora:

da cui si puà ricavare p. (m à la massa ridotta delle due particelle);


le loro velocità sono vlo = po/ml, uso = pom2.
URTI DI PARTICELLE 79

Passiamo ora ad un sistema d i riferimento nel quale l a particella


i n i ~ i a l csi muovi' prima della disintegrazione con velocità V. Questo
~ i s l r r i i asi chi;nna di solito sistema d i laboratorio (o sistema à I È
a differenza del à sistema del centro di massa à (o sistema à C È nel
quale l'inipulso totale 6 millo. Consideriamo una delle particelle

a)
Fig. 14

disintegrazione, e siano v e v 0 le sue velocitÃrispettivamente nei siste-


m i à I à e à C È L'evidente uguaglianza v = V +
V Q , oppure v -
- V = vo, ci dÃ
v2+v2-2vVcosQ=v~, (1633)
dove 6 Ã l'angolo della direzione del moto della particella rispetto
alla direzione della velocità V. Questa equazione determina la rela-
zione tra la velocità della particella d i disintegrazione e l a direzione
della sua traiettoria nel sistema à I È Essa puà essere rappresentata
graficamente per mezzo del diagramma dato nella fig. 14. La veloci-
t à v à data d a un vettore tracciato d a l punto A distante d i V dal cen-
tro della circonferenza d i raggio U n a d un punto qualsiasi della circon-
ferenza stessa l ) . Le figure 14 a e b corrispondono a i casi V<v0 e V>vo
rispettivamente. Nel primo caso l a particella puà allontanarsi ad
un angolo 6 qualsiasi. Nel secondo caso essa puà muoversisoltanto
in avanti e ad un angolo 6 non maggiore del valore Q m a x dato dall'u-
guaglianza

(direzione della tangente a l cerchio tracciata dal punto A ) .


1) PiG precisamente: ad un punto qualsiasi della sfera di raggio vy, di cui
il cerchio disegnato nella fig. 14 rappresenta una sezione massima.
80 CAPITOLO QUARTO

Il legame fra gli angoli d i volo O e O. nei sistemi I e C appare evidente


d a l diagramma ed à dato dalla formula
v0 sen O0
tgo=
vocosoo+V
Risolvendo questa equazione rispetto a cos Oo, si ottiene dopo tra-
sformazioni elementari
v
cos 00= --sen20 Âc o s e v2
sen2 O.
^O (16,6)
Se i-,, > V, il legame tra O. e 9 Ã univoco, come segue dalla figu-
ra 14, a. Nella formula (16,6) occorre allora prendere il segno pih da-
vanti alla radice (perchÃsi abbia = O per 0 = 0). Se invece vo < V
il legame tra O0 e 0 non à pih univoco: per ogni valore di 8 si hanno
due valori d i O0 corrispondenti (fig. 14, b) ai vettori v. tracciati dal
centro del cerchio ai punti B o C; a questi vettori corrispondono i due
segni davanti alla radice nella (16,6).
Nelle applicazioni fisiche si h a a che fare usualmente con la di-
sintegrazione non di una, ma di p i particelle
~ uguali, cià che pone il
problema d i distribuzione delle particelle di disintegrazione secondo
l a direzione, l'energia, ecc. Pertanto partiremo dall'ipotesi che le par-
ticelle iniziali siano orientate caoticamente nello spazio, cioÃche la
loro orientazione sia in media isotropa.
Nel sistema C la soluzione del problema à banale: tutte le particel-
le di disintegrazione (di uno stesso tipo) hanno l a stessa energia e l a
distribuzione delle loro direzioni d i volo à isotropa. Quest'ultima af-
fermazione à dovuta alla nostra ipotesi sull'orientazione caotica delle
particelle iniziali. Essa significa che il numero di particelle che pas-
sano per u n elemento d'angolo solido doo à proporzionale alla grandez-
za di questo elemento, cioÃuguale a
do
2.Di qui otteniamo la distri-
buzione secondo gli angoli Oo7 ponendo doo = 2nsen O0 do0, cioÃ
1
-
2
sen O0 doo. (1677)
Le distribuzioni nel sistema l si ottengono per mezzo di un'adegua-
t a trasformazione d i questa espressione. Determiniamo, ad esempio, la
distribuzione rispetto all'energia cinetica nel sistema l. Elevando
a l quadrato l'uguaglianza v = v. + V, abbiamo:
v2 = v, + v2+ 2v0v cos €l
donde

Introducendo qui l'energia cinetica T = mu2/2 (dove m s t a per mi


o m<,,secondo i l tipo d i particella d i disintegrazione che si considera)
URTI D I PARTICELLE 81

e sostituendo nella (16,7), otteniamo l a distribuzione cercata

L'energia cinetica puà assumere t u t t i i valori compresi fra il minimo


m
Tmia = 7( v o - V)' e i l massimo T m a x= -n-
'.
m
;-.
(vo +
V}2. In que-
sto intervallo le particelle sono distribuite uniformemente, secondo
la (lfi,8).
Nella disintegrazione d i una particella i n pifi d i due parti
componenti, le leggi d i conservazione dell'impulso e dell'energia
lasciano, naturalmente, nn'arbitrarictà nelle velocità e nelle direzioni
delle particelle d i disintegrazione considerevolmente maggiore che
nel caso della disintegrazione in due componenti. I n particolare, le
energie delle particelle d i disintegrazione non prendono nel sistema
C u n determinato valore. Esiste per6 u n limite superiore dell'energia
cinetica che ognuna particella di disintegrazione puà portarsi via.
Per determinare questo limite, consideriamo l'insieme d i tutte le
particelle d i disintegrazione ad eccezione d i una (di massa ml) come
mi unico sistema; sia & la sua energia à interna ÈAllora l'energia
cinetica della particella m-, s a r i , secondo la (16,l) e l a (16,2),

(M Ã la massa della particella iniziale). evidente che T i o assumerÃ


i l valore massimo possibile quando E h sarà minima. Per questo
occorre che t u t t e le particelle d i disintegrazione, esclusa la particella
m ^ ,si muovano con la stessa velocità allora Eintsi riduce semplice-
mente alla somma delle loro energie interne, e la differenza Eint-
- .Elint - £in à l'energia di disintegrazione e. Quindi

PROBLEMI
1. Trovare la relazione tra gli angoli 6, e 9, (nel sistema l) sotto i quali
si allontanano le particelle dopo una disintegrazione in due componenti.
Soluzione. Nel sistema C gli angoli di volo delle due particelle sono legati
da OI0 = n; - 02,,. Indicando O l 0 semplicemente con O,, ed applicando la for-
mula (16,5) a ciascuna delle due particelle, otteniaflo:
V + v i 0 cos QQ---v,o sen O. c t g 9,.
V - cos O0 = v m sen ctg 09.
Da queste due uguaglianze 6 necessario eliminare O,,. Per fare questo, ricaviamo
anzitutto da esse cos O0 e scn O,, C scriviamo la somma cos2 Oy +sen2 O , , = 1.
Tenendo conto anche che viJv.,,, = m J m , ed usando la (16,2), troviamo infine
6-0563
82 CAPITOLO QUARTO

la seguente equazione:
-seri2
m2 og+3 sen20i-2 sen 0" sen G2 cos (Oi +0 2 )= 28
+
sen2 (ei 0,).
m1 m. (mi -tm21 v 2
2. Trovare nel sistema I la distribuzione delle particelle di disintegrazione
secondo le direzioni.
Soluzioni Per v0 > V sostituiamo la (16,6) con i l segno
radice nella (1C 7) ed otteniamo la distribuzione cercata nella forma
+
davanti alla

Per v0 < V bisogna tener conto delle due relazioni possibili tra e 0.
Poichà se 0 aumenta uno dei valori corrispondenti di O,, cresce e l'altro decresce,
à necessario prendere la differenza (e non la somma) delle due espressioni di
d cos O,, con i due segni davanti alla radice nella (16,6). Tralasciando i passaggi
intermedi, scriviamo la formula finale
l +-V2
"6
cos 26
sen 6 d0 < 9 4 ernax).
l/' va sen2 0
(0

3. Determinare nel sistema l l'intervailo dei valori che puà prendere l'an-
golo O formato dalle direzioni delle traiettorie d i due particelle generate i n una
disintegrazione.
Soluzione. L'angolo 6 Ã la somma O , + O2 degli angoli definiti dalla for-
mula (16,5) (vedi problema 1); la cosa piu semplice nel caso considerato à di
calcolare la tangente di questo angolo. L'analisi degli estremi dell'espres-
sione ottenuta d à i seguenti intervalli dei valori possibili di 6 in funzione della
velocità relativa V e di ulo e (poniamo sempre v20 > vio):
<
O < 6 n se vio V v20; < <
~ - 9 ~ < 0 < nse V < u i o ;
0 < 0 < em se v > v209
dove il valore € à dato dalla formula

$ 17. Urto elastico di particelle

L'urto d i due particelle à detto elastico se esso non comporta


modificazioni del loro stato interno. Perciò quando si applica la
legge d i conservazione dell'energia ad un urto di questo tipo, si
puà non tener conto dell'energia interna delle particelle.
La descrizione matematica dell'urto assume un'espressione pifi
semplice in u n sistema di riferimento dove il centro di massa d i
ambedue le particelle sia in quiete (sistema C); come nel paragrafo
precedente, useremo l'indice O per denotare i valori delle grandezze
URTI DI PARTICELLE 83

i n questo sistema. Le velocità delle particelle prima dell'urto nel


sistema C sono legate con le loro velocità v^ e v2 nel sistema d i
laboratorio dalle relazioni

dove v = v i - v, [cfr. (13,2)1.


I n virtii della legge d i conservazione dell'impulso, gli impulsi
di ambedue le particelle restano dopo l'urto uguali in grandezza ed
opposti in direzione; in virtfi della legge d i conservazione dell'ener-
gia, restano immutati anche i loro valori assoluti. I n questo modo, nel
sistema C, il risultato dell'urto si riduce solo all'inversione d i di-
rezione delle velocità delle due particelle. Se indichiamo con no il
versore nella direzione della velocità della particella ml dopo l'urto,
le velocità di ambedue le particelle dopo l'urto (che indichiamo con
un apice) saranno:

Per tornare al sistema di laboratorio, Ã necessario aggiungere


a queste espressioni la velocità V del centro di massa. Otteniamo cosi
per le velocità delle particelle dopo l'urto nel sistema I:

Con questo espressioni si esauriscono le inforniivioni che si possono


ottenere sugli urti utilizzando solo le leggi d i conservazione dell'im-
pulso e dell'energia. Riguardo alla direzione del versore n,,, essa
dipende dalla legge d'interazionc fra le ~icirlicellee dalla loro reci-
proca posizione durante l'urto.
I risultati ottenuti si possono interpretare geometricamente.
A questo scopo à p i comodo
~ passare dalle velocità agli impulsi.
Moltiplicando le uguaglianze (17,2) risj~(~1tivaniente per m, ed m2,
otteniamo:

(m = mlmyKml + m,) 6 la massa ridotta). Tracciamo una circon-


ferenza di raggio mu e facciamo la costruzione indicata nella fig. 15.
-+ -+ +
Se il versore no à diretto lungo OC, i vettori A C e CB danno rispetti-
vamente gli impulsi p, e p2. Se i pi e p2 sono fissati i l raggio del cer-
chio e la posizione dei punti A e B non variano, mentre i l punto C
puà prendere una posizione qualsiasi sulla circonferenza.
84 CAPITOLO QUARTO

Consideriamo pifi dettagliatamente i l caso i n cui una delle parti-


celle (per esempio, ma)Ã i n quiete prima dell'urto. In questo caso l a
lunghezza OB = = mu coincide con il raggio, cioà il punto B
m,+mz

Fig. 15

giace sulla circonferenza. I l vettore AB coincide con l'impulso pi del-


la prima particella prima dell'urto; inoltre, il punto A si trova all'in-
terno del cerchio (se',ml <m2) o all'esterno (se mi > m2), I rispettivi

diagrammi sono rappresentati nella fig. 16, a e b. Gli angoli O1 e 63


che vi sono indicati sono gli angoli di deflessione delle particelle dopo
l'urto rispetto alla direzione d i incidenza (direzione d i pl). L'angolo
al centro indicato nella figura con l a lettera x (che dà la direzione di
no) rappresenta l'angolo di deflessione della prima particella nel siste-
ma del centro d i massa. Ã evidente dalla figura che gli angoli O1 e O 2
URTI DI PARTICELLE 85

si possono esprimere in funzione dell'angolo y con le formule


m 2 sen x n-x
t g 61 = O2 = -
m* + m2 cos 2 '
Scriviamo anche le formule che danno i valori assoluti delle velocitÃ
di ambedue le particelle dopo l'urto in funzione dello stesso angolo x:

La somma 0" + O 2 6 l'angolo formato dalle due direzioni lungo


le quali le particelle si allontanano dopo l'urto. E evidente che O^ +
+ O , > n12 per mi < m 2 , e Ol + O 2 < n12 per ml > m2-

Fig. 17

Nel caso in cui le due particelle dopo l'urto si muovono sulla stes-
sa retta (à urto frontale È si ha x = n, cioà il punto C si trova o sul
diametro a sinistra del punto A (fig. 16; a; p; e p, sono in questo caso
reciprocamente opposti) oppure t r a i punti A e O (fig. 16,b; p[ e p;
hanno allora lo stesso verso).
Le velocità delle particelle dopo l'urto sono date dalle formule:

vi prende qui il valore massimo possibile; quindi l'energia massima


che la particella perseverante inizialmente in quiete puà acquistare
in seguito all'urto Ã

dove E1 = Ã l'energia iniziale della particella incidente.


Se mi < m 2 , l a velocità della prima particella dopo l'urto puÃ
avere qualsiasi direzione. Se invece ml > m2, l'angolo di deflessione
della particella incidente non puà superare un certo valore massimo
86 CAPITOLO QUARTO

corrispondente alla posizione del punto C (fig. 16, b ) per cui l a retta
AC à tangente alla circonferenza. evidente che sen €lim =
= OCJOA, ossia
sen€limax=m2 (1798)
m*
L'urto di particelle d i massa uguale (di cui una à inizialmente
in quiete) si puà descrivere in modo particolarmente semplice. I n que-
sto caso i punti B ed A stanno t u t t i e due sulla circonferenza (fig. 17).
Si ha:
* = xT ' " 2" - X7 , (4799)

Notiamo che le particelle s i allontanano l'una dall'altra dopo l'urto


secondo direzioni mutuamente perpendicolari.

PROBLEMA
Esprimere, mediante gli angoli di deflessione nel sistema l , la velocitÃ
dopo l'urto di due particelle di cui, inizialmente, una (ml) Ã in moto e un'altra
(mg)in quiete.
Soluzione. La fig. 16 ci d i p ; = 2 -0.8.cos O2 oppure
m
V; = 2v - cos O,.
m2
Per l'impulso p{ = A C abbiamo l'equazione
OC^= do^+ p[^-2AO-p[ cos 0,
ovvero

Di qui

(per mi > m, sono validi davanti alla radice ambedue i segni, e per m, > m,,
8010 il segno +).

$ 18. Diffusione di particelle


Abbiamo già visto nel paragrafo precedente che per determinare
completamente il risultato dell'urto d i due particelle (determinazio-
ne dell'angolo v) Ã necessario risolvere le equazioni del moto, tenendo
conto di una ben determinata legge d'interazionr fra le particelle.
I n accordo con l a regola generale, considereremo dapprima i l pro-
blema equivalente della deflessione di una particella di massa m nel
campo U (r) d i u n centro di forze immobile (posto nel centro d i
passa delle due particelle).
Come à stato detto nel $ 14, l a traiettoria di una particella in un
campo centrale à simmetrica rispetto alla retta passante per il punto
URTI DI PARTICELLE 87

dell'orbita piii vicino a l centro (OA nella fig. 18). Per questo i due
asintoti dell'orbita intersecano questa retta formando con essa ango-
l i uguali. Se indichiamo con cpo questi angoli, l'angolo d i deflessione
della particella nel punto p i vicino
~ a l centro è come si vede dalla
figura,
x = I n - 290 l*

,
(1871)
L'angolo ( p o 6 dato, secondo l a formula (14,7), dall'integrale
M

,o= '\
,h
-
r2
dr

2m[E-U(r}\---
W '
r2
(18'2)

preso tra la distanza minima della particella dal centro e l'infinito.


Ricordiamo che rmin à radice dell'espressione sotto il radicale.

Fig. 18

Nel caso d i un moto infinito, come à i l nostro, à comodo utilizzare,


in luogo delle costanti E ed M, la velocità vw della particella all'in-
finito e il parametro p, chiamato distanza d'urto. Quest'ultima rap-
presenta il segmento d i perpendicolare abbassata dal centro alla
direzione d i uso, cioà la distanza dal centro alla quale la particella
passerebbe se non esistesse il campo d i forze (fig. 18). L'energia e il
momento angolare, espressi in funzione d i queste grandezze, sono

e la formula (18,2) si scrive come segue:


m dr

r2 muk
88 CAPITOLO QUARTO

Insieme con la (18,l) essa determina l a dipendenza d i y da p.


Nelle applicazioni fisiche s i lia spesso a che fare non con l a devia-
zione d i à § particella
n singola, ma con la diffusione d i u n fascio d i
particelle uguali che incidono sul centro diffusore con l a stessa
velociti'! v,. Lo diverse particelle (le1 fascio hanno distanze d'urto
diversi1 e\ ~~ispettivaniente, vengono diffuse con angoli x diversi. Sia
dX il numero di piirticelle diffuse, nell'unità d i tempo, nelll,ingolo
compreso tra r y + dy. Per caratterizzare i l processo di diffusione
questo numero non à adatto d i per séperchÃdipende dalla densitA del
fascio incidente (Ã ad essa proporzionale). Introducianlo percih il
rapporto
dN
do-= -
n ' (18,5)
dove à C i l numero di particelle passanti nell'unitA d i tempo per
l ' u n i t i d i superficie di una se7ione trasversale del fascio (partiamo
naturalmente dal pressnpposto che il fascio sia omogeneo in ogni sua
seziontl). Questo rapporto Iia la dimensione di u n a superficie e si
dice sezione efficace di diffusione, o sezione d'urto. Esso 6 conipleta-
mente determinato dalla forma del campo diffusore e costituisce la
pi6 importante caratteristica della diffusione.
Considereremo la relazione t r a ,. e ,o biunivoca: auesto si verifica
quando l'angolo di diffusione 6 11na funzione monotona decre-
scente della distanza d'urto. In questo caso in un dato inter-
vallo (y, y -^ dy) verranno diffuse soltanto quelle particelle la
cui distanza d'urto à compresa tra p (y) e p (y) + dp (v). I l numero
di queste particelle à uguale a l prodotto d i n per la superficie della
cororiti circolare compresa tra le circonferenze d i raggi p e p + do,
cioà d X = 2np d p . n. La sezione d'urto 5 quindi
d a = 2np dp. (18,6)
Per trovare la dipendenza della sezione d'urto dall'angolo d i
diffusione, Ã sufficiente scrivere questa espressione nella forma

Abbiamo scritto qui il valore assoluto della derivata dp/dy, in quanto


essa puà essere anche negativa (come à d i solito) l ) . Spesso da s i
riferisce non a d un elemento d'angolo piano dy, ma ad un elemento
(l'angolo solido do. L'angolo solido t r a due coni di apertura y e y +
+ dy à do --= 2.n sen '/ dy. Dalla (18,7) troviamo quindi:

Ritornando a l problema della diffusione d i un fascio d i particelle


non da parte d i un centro d i forza immobile, ma d a parte di altre
l) Se la funzione p (v) Ã polidroma, Ã necessario evidentemente prendere
la somma di espressioni del tipo (18,7) per tutti i rami della funzione.
URTI DI PARTICELLE 89

particelle inizialmente in quiete, possiamo affermare che la formula


(18,7) definisce la sezione d'urto in funzione dell'angolo di diffusione
nel sistema del centro d i massa. Per trovare la sezione d'urto in funzio-
ne dell'angolo 6 nel sistema d i laboratorio, Ã necessario esprimere in
questa formula x con O , secondo la (17,4). S i ottiene cosi l'espres-
sione della sezione di diffusione sia per le particelle del fascio inci-
dente (esprimendo x in funzione di 01), sia per le particelle inizial-
monte in quiete (esprimendo x in funzione di 02).

PROBLEMI
1. Determinare la sezione di diffusione delle particelle da parte di una
sferetta perfettamente rigida di raggio a (cioà con una legge d'interazione tale
che U = m per r < a ed U = O per r > a).
Soluzione. Poichà all'esterno della sferetta la particella si muove libera-
mente mentre dentro non puà assolutamente penetrare, la traiettoria consta

Fig. 19

d i due rette simmetriche rispetto a l raggio passante per i l punto d'intersezione


con la sferetta (fig. 19). Come si vede dalla figura

Riportando queste espressioni nella (18,7) o nella (18,8\, otteniamo:


na2 a2
- d ~ = ~ s e n x d X = - 4d o , (1)

cioà la diffusione à isotropa nel sistema C. Integrando da rispetto a tutti


gli angoli, vedremo che la sezione totale o = ira2 Ã in accordo con i l fatto che
l'area d'urto, s u cui deve incidere una particella per essere diffusa, Ã precisa-
mente l'area della sezione della sferetta.
Per passare a l sistema 1, bisogna esprimere y i n funzione di 01,secondo
la (17,4). I calcoli sono del tutto analoghi a quelli fatti nel problema 2 del $ 16
[in virtfi della somiglianza formale delle formule (17,4) e (16,5)]. Per m, < m,
(m, massa della particella, m, massa della sferetta) si ha
- m2
l+-cos 20,
-
a2 mi
dai = - 2 3 cos 0, + do i
4 /-
m2
'I/ l- 4 e n 2
- "i3 -
90 C A P I ~ O L OQUARTO

(do, = 2n sen 0,d6,). Se invece m, < m,, si ha:

Per mi = rnà si ha:


do, = a2 1 cos 0, 1 do,,
che si puà ottenere anche con la sostituzione diretta x = 20, (secondo la (17,9))
nella (1).
Per sferette inizialmente in quiete, si ha sempre y = n - 26.; sostituendo
nella (1) v con l'espressione ottenuta, abbiamo:
da, = a2 \ cos 6, 1 do,.
2. Nello stesso caso del problema precedente esprimere la sezione d'urto come
funzione dell'energia e perduta dalle particelle diffuse.
Soluzione. L'energia perduta dalla particella m-, Ã uguale all'energia acqui-
stata dalla particella m,. Utilizzando la (17,5) e la (17,7) otteniamo
2m!m2
= emax sen2 -
2
&=E'-
'- (mi+ mA2 uoosen2 Ã 2
X
2 '
da cui
1
d~ = - &maxsen d x .
2
x
Facendo un'appropriata sostituzione nella formula (1) del problema 1, otte-
niamo:
de
da==na2-.
Emax
La distribuzione secondo-i valori di e delle particelle diffuse à uniforme in tutto
l'intervallo di e da zero a emax.
3. Trovare l a dipendenza della sezione d'urt3 dalla velocità voo delle parti-
celle nella diffusione in un campo U r-".
Soluzione. Conformemente alla (10,3), se l'energia potenziale à una funzione
omogenea di grado k = -n, per le traiettorie simili si ha p o in un'altra
forma:
P = vz2Inf (x)
(per le traiettorie simili gli angoli di deviazione y sono uguali). Riportando la
formula ottenuta nella (18,6), troviamo che
do do.
4. Determinare la sezione per una à caduta à delle particelle nel centro
di un campo U = -a/r2.
Soluzione. Le particelle che à cadono à nel centro sono quelle per le quali
à soddisfatta la condizione 2 a > mp%k [vedi la (14,11)], cioÃla loro distanza
d'urto non supera il valore pmar = \/2a/rnv&. Donde la sezione cercata Ã

5. Lo stesso problema 4 per un campo U = -a/rn (n > 2, a > 0).


URTI DI PARTICELLE

Soluzione. L'energia potenziale efficace

data in funzione di r , ha la forma rappresentata nella fig. 20, con un valore


massimo
n

(Uctr)max = uo=
(11-2)
2
a (m p ~ c O y ~

Le particelle che à cadono à nel centro sono quelle per le quali U,, < E. Deter-
minando pmax dalla condizione U, = E, otteniamo:

6. Determinare la sezione per la caduta di particelle (di massa m-,) sulla


superficie di u n corpo sferico (di massa m ; e di raggio R ) , versa cui esse sono
attratte secondo la legge di Newton.
'}

Fig. 20

Soluzione. La condizione di caduta à data dalla disuguaglianza r m i n <


< R , dove rmin à i l punto della traiettoria
della particella pik vicino a l centro
della sfera. I l valore massimo possibile d i p à determinato dalla condizione
rmin = R equivalente alla condizione espressa dall'equazionc Uerf ( R ) = E,
ovvero

con a = ymlmf ( y à la costante gravitazionale), dove abbiamo posto m W m,


considerando ma >> ml. Ricavando di qui troviamo:
o=nR2
( a d.
1+2^2

Quando voo -+ 00, l a sezione tende, evidentemente, all'area geometrica della


sezione della sfera.
7. Stabilire la forma del campo diffusore U (r) data la dipendenza della
sezione efficace dall'angolo d i diffusione e data un'energia E; si suppone
che U ( r ) sia una funzione monotona decrescente di r (campo repulsivo), con
U (0)> E , U (m) = 0. (O. 5. Firsov, 1953.)
92 CAPITOLO QUARTO

Soluzione. L'integrazione di dorispetto all'angolo di diffueione determina,


secondo l a formula

i l quadrato della distanza d'urto in modo tale da poter considerare come data
la funzione p (x) [e con essa anche la funzione y (p)].
Introduciamo le notazioni

Le formule (18,l) e (18,2) si possono s c r i v ~ r eallora nel modo seguente:

dove so (2) Ã la radice dell'equazione

L'equazione (3) Ã un'equazione integrale della funzione W (s); essa puÃ


-
essere risolta con un metodo analogo a quello utilizzato nel  12. Dividendo
i due membri della (3) per '[/a - x ed integrando rispetto a dx nell'inter-
vallo da zero ad a, troviamo:

oppure, integrando per parti i l primo membro dell'uguaglianza:

Deriviamo la relazione ottenuta rispetto ad a, dopo di che possiamo scrivere s


in luogo d i so (a) e sostiture a con sZ/wz. Scrivendo l'ultima uguaglianza i n
forma differenziale, otteniamo:

ovvero
URTI DI PARTICELLE 93

Questa equazione puà essere integrata direttamente, m a nel secondo membro


à necessario cambiare l'ordine d'integrazione i n dx e d (s/w). Tenendo conto
che per s = O (cioà r ~ i m)
- s i deve avere W = 1 (cioà U = O), e tornando alle
variabili r e p, si ottiene i n definitiva i l seguente risultato (in due forme equi-
valenti):

Questa formula determina in modo implicito l'andamento di W (r) [e quindi di


U (r)] per t u t t i gli r > rmin, cioà nel campo dei valori di r che rappresentano la
traiettoria di una particella diffusa d'energia data E.

19. Formula d i Rutherford


Uno dei pifi importanti casi di applicazione delle formule ottenute
sopra à quello della diffusione di particelle cariche in un campo
coiilombiano.
Ponendo nella (18,3) U = a / r e facendo un'integrazione elemen-
tare, si ottiene:
- a
mVmp
cpO-= arccos

d a cui

ossia, ponendo secondo l a (18,l) cpO = (n - x)/2:


Derivando questa espressione rispetto a e riportando i l risultato
nella (18,7) o nella (18,8), si ottiene:

$ cos
da=x (+I2 -
mvm2
di
sen3
2
ovvero

Questa à la formula di Rutherford. Notiamo che la sezione efficace non


dipende dal segno di a, e il risultato ottenuto à valido in misura ugua-
le per un campo coulombiano sia attrativo sia repulsivo.
94 CAPITOLO QUARTO

La firmula (19,3) d à la sezione efficace i n un sistema d i riferimen-


to in eli i l centro di massa delle particelle in collisione à a riposo.
11 Passaggio a l sistema d i laboratorio viene effettuato con l'aiuto del-
la formila (17,4). Per le particelle che sono inizialmente i n quiete
si ottieie, sostituendo x = JI - 2OZnella (19,2):

Per le barticelle incidenti, invece, la trasformazione d à in generale


una formula molto complicata. Notiamo soltanto due casi particolari.
Se 1;. massa m2 della particella bersaglio à grande in confronto alla
x
massa ?z1 della particella proiettile, allora si puà porre w 61 ed
m m m : ottenendo:

dove E = rn1v&/2 Ã l'energia della particella incidente.


Se le masse d i ambedue le particelle sono uguali (ml = m2,
x
m = m1/2), allora, secondo l a (17,9), = 201, e l a sostituzione nella
(1972) dÃ

Nel caso in cui le particelle non solo abbiano una massa uguale, ma
siano identiche, la distinzione delle particelle dopo la diffusione in
due grtppi: quelle inizialmente in moto e quelle inizialmente in
quiete, ' ~ o nha alcun senso. Sommando da^ e da^ e sostituendo O1 e Oz
con un Valore comune 0, otteniamo la sezione d'urto per tutte e due
le ~ a r t i ( ; ~ l l ~ :

Mediante la formula generale (19,2) cerchiamo d i determinare la


distribuzione delle particelle diffuse rispetto all'energia da esse per-
duta in seguito all'urto. Per un rapporto arbitrario tra l a massa (ml)
della Particella proiettile e l a massa (m2) della particella ber-
sagllo 14 velocità acquistata da quest'ultima viene espressa in fun-
zione dell'angolo di diffusione nel sistema C dalla relazione

[vedi la (17,5)1. Di conseguenza, l'energia acquistata da questa par-


ticella, e quindi perduta dalla particella mi, Ã uguale a
URTI DI PARTICELLE 95

Di quiesprimendo sen ( ~ 1 2in) funzione di e e riportando nella (19,2)


otteniamo:

Questa formula dà la risposta a l problema posto in quanto essa de-


termina la sezione d'urto in funzione della perdita d'energia e;
questa puà assumere t u t t i i valori da zero a emaX= 2m2v200/m2.

PROBLEMI
1. Trovare la sezione di diffusione i n un campo U = a/r2( a > 0).
Soluzione. L'angolo di deflessione Ã

2. Trovare la sezione efficace nel caso di diffusione prodotta da una; buca


di potenziale à sferica di raggio a e di à profonditÃà U n {cioà U = O per ri> a,
U = -U, per r < a ) .
/

Fig. 21

Soluzione. La traiettoria rettilinea della particella, entrando ed uscendo


dalla buca, si à rifrange v . Secondo il problema del 3 7, gli angoli d'incidenza a
e di rifrazione t3 (fig. 21) sono legati dalla relazione

L'angolo di deflessione à x = 2 (a - p). Si ha dunque:


96 CAPITOLO QUARTO

Eliminando a da questa uguaglianza e dalla relazione


a sen a = p
(evidente dalla figura), si ottiene la relazione tra p e y nella forma

Infine, differenziando questa uguaglianza, si ottiene la sezione


x
( n cm--I) (.-COS-)
x
aW 2
da=-- do.
X
4 cos -
2
(1+nz-2~ COS-
,I2
2

L'angolo '/ varia nei limiti da zero (per p = 0) sino al valore xmax (per p = a)
determinato dall'uguaglianza:

La sezione totale che si ottiene integrando d a rispetto a tutti gli angoli


interni del cono x < xmax à evidentemente uguale all'area della sezione
geometrica na2.

$ 20. Diffusione a piccoli angoli

I l calcolo della sezione d'urto si semplifica notevolmente se si


prendono i n considerazione soltanto le collisioni che avvengono
a grandi distanze d'urto, dove i l campo U Ã cosi debole che gli
angoli di deflessione sono, corrispondentemente, piccoli. I l calcolo
si puà eseguire subito nel sistema del laboratorio, senza introdurre il
sistema del baricentro.
Facciamo coincidere l'asse delle x con la direzione dell'impulso
iniziale della particella proiettile (mi)e i l piano xy con il piano di
diffusione. Indicando con p; l'impulso della particella dopo l a dif-
fusione, abbiamo l'uguaglianza:

sen = e.
P1
Nel caso di piccole deflessioni si puà sostituire approssimativamente
sen 6, con 9, e, nel denominatore, p. con l'impulso iniziale pi =
- mivoo:
URTI DI PARTICELLE 97

I n seguito, poichà p y = Fy, l'incremento totale dell'impulso lungo


l'asse y è

Per la forza, poi, si h a

Poichà l'integrale (20,2) contiene già l a grandezza piccola U ,


si può calcolandolo, considerare con l a stessa approssimazione che
la particella non devii affatto dalla traiettoria iniziale, cioà che si
muova di moto rettilineo (lungo la retta y = p) e uniforme (con
velocità usa). Poniamo quindi nella (20,2)

ed otteniamo:

Infine, passiamo dall'integrazione rispetto a dx all'integrazione


rispetto a dr. Poichà per una traiettoria rettilinea abbiamo r2 =
= x2 +
p2, quando x varia da -W a +
W , r varierà da oo a p e poi
di nuovo a W. Percià l'integrale rispetto a dx si trasforma nel doppio
dell'integrale rispetto a dr nei limiti d a p a W con dx sostituito da

Si ottiene infine per l'angolo di diffusione (20,l) la seguente


espressione1):

che determina la relazione cercata tra 6, e p per una piccola defles-


sione. La sezione d'urto (nel sistema I) s i ottiene da una formula
identica alla (18,8) (con € in luogo d i y); à anche qui possibile
sostituire sen Ol con 61:

l) Se tutto i l nostro ragionamento si f a nel sistema C , si ottiene per x la


stessa espressione con m i n luogo di m^, in relazione a l fatto che i piccoli angoli
6, e y sono legati, i n accordo con la (17'4). dalla relazione
6. = mi m2
+m2Xa
7-0563
98 CAPITOLO QUARTO

1. Dedurre la formula (20,3) dalla formula (18,4).


Soluzione. Per evitare divergenze fittizie degli integrali, scriviamo la (18,4)
nella forma

dove come limite superiore abbiamo preso una grande quantità R, avendo
l'intenzione di passare poi al limite R Ñ> W . Dato che U à piccolo, sviluppiamo
il radicale secondo le potenze di U e sostituiamo approssimativamente rmm
con p:

Il primo integrale, dopo i l passaggio a l limite R + W , dà n/2. Il secondo, dopo


un'integrazione per parti, ci dà l'espressione

equivalente alla formula (20,3).


2. Determinare la sezione per diffusione a piccoli angoli in un campo
U = a/rn (n > 0).
Soluzione. Abbiamo, secondo la (20,3),

Ponendo = u, l'integrale si riduce ad un integrale B d'Eulero che si esprime


mediante funzioni T:

Esprimendo p i n funzione di 6, e sostituendo nella (20,4), si ottiene:


Capitolo V

PICCOLE OSCILLAZIONI

21. Oscillazioni libere unidimensionali


U n tipo molto diffuso di movimento nei sistemi meccanici à rap-
presentato dalle cosiddette piccole oscillazioni che un sistema compie
i n prossimità della sua posizione d'equilibrio stabile. Cominciamo
a studiare questi movimenti dal caso piti semplice, quando i l sistema
h a u n solo grado d i libertÃ
All'equilibrio stabile corrisponde una posizione del sistema in cui
la sua energia potenziale U (q) Ã minima; uno spostamento da questa
posizione genera una forza -
dU/dq che tende a riportare il sistema
nella sua posizione originaria. Indichiamo con q. i l valore della coor-
dinata generalizzata corrispondente. Per piccole deviazioni dalla
posizione d'equilibrio, nello sviluppo della differenza U (q) - U (qo)
in potenze d i q -
q. Ã sufficiente conservare i l primo termine non nul-
lo. Nel caso generale tale à il termine del secondo ordine

dove k à u n coefficiente positivo (il valore della derivata seconda


à Un(q) per q = qo). Nel seguito misureremo l'energia potenziale
a partire dal suo valore minimo [cioè porremo U (qo) = 01 e indiche-
remo con
x=q-Q0 (2191)
lo spostamento della coordinata dal suo valore nella posizione d'equi-
librio. Cosi,
kx2
U (x)= -
2 ' (2192)
Nel caso generale l'energia cinetica di u n sistema con un solo gra-
do d i libertà si puà esprimere nella forma:

Nella stessa approssimazione à sufficiente sostituire l a funzione a ( }


con il suo valore per q = qo. Introducendo per brevità la notazione ) 7
a (q01 = m?
l)Sottolineiamo, però che la grandezza m coincide con la massa soltanto
se 2- Ã la coordinata cartesiana della particella.
'7
100 CAPITOLO QUINTO

otterremo la seguente espressione per la funzione lagrangiana di un


sistema che compie piccole oscillazioni unidimensionalil):

L'equazione del moto corrispondente a questa funzione si scrive:


..
mx+kx=O, (21'4)
ovvero

dove

L'equazione differenziale lineare (21,5) ha due soluzioni indipenden-


ti: cos (ut e sen (ut, cosicchà la sua soluzione generale Ã
x = ci cos cot + c2 sen cot. (21,7)
Questa espressione si puà scrivere anche nel modo seguente:
+
x = a cos (cot a). (2129
+
Poichà cos ((ut a ) = cos wt cosa - sen (ut sen a, un confronto
con la (21,7) mostra che le costanti arbitrarie a ed a sono legate al-
le costanti ci e c2 dalle relazioni

Cosi, intorno alla sua posizione d'equilibrio stabile il sistema com-


pie un moto oscillatorio armonico. I l coefficiente a davanti al fattore
periodico nella (21,8) si chiama ampiezza delle oscillazioni, e l'argo-
mento del coseno, la loro fase; a à il valore iniziale della fase che
dipende, evidentemente, dalla scelta dell'origine dei tempi. La gran-
dezza a à la frequenza ciclica delle oscillazioni; nella fisica teorica
questa grandezza si chiama brevemente frequenza, termine che anche
noi useremo.
La frequenza à la caratteristica fondamentale delle oscillazioni,
indipendente dalle condizioni iniziali del moto; come segue dalla for-
mula (21,6), essa à completamente definita dalle proprietà del siste-,
ma meccanico come tale. l3 da notare, però che questa proprietà del-
la frequenza à dovuta all'ipotesi d i piccole oscillazioni e viene meno
se si va ad approssimazioni di grado p i elevato.
~ Dal punto di vista
matematico cià significa che questa proprietà à connessa alla dipen-
denza quadratica dell'energia potenziale dalla coordinata2).
) Un tale sistema à detto spesso oscillatore lineare.
2) Essa viene meno se la funzione U (x) ha, per x = O, un minimo di ordine
>
pih elevato, cioà U c-0 a;", n 2 (vedi problema 2 a, $ 11).
PICCOLE OSCILLAZIONI

L'energia d i u n sistema che compie piccole oscillazioni Ã

oppure, sostituendovi la (21,8):

L'energia à proporzionale a l quadrato dell'ampiezza delle oscillazioni.


A volte risulta comodo rappresentare la dipendenza della coor-
dinata dal tempo d i u n sistema oscillante sotto forma della parte
reale d i un'espressione complessa
x = Re {AeiUt}, (21'11)
dove A Ã una costante complessa; scrivendo la (21,4) nella forma

ritorniamo all'espressione (21,8). La costante A Ã chiamata ampiezza


complessa; i l suo modulo coincide con l'ampiezza ordinaria, e il suo
argomento con l a fase iniziale.
Dal punto di vista matematico à p i semplice
~ operare con fattori
esponenziali anzichÃtrigonometrici, poichà la derivazione non cambia
la loro forma. Nelle operazioni lineari (addizione, moltiplicazione
per coefficienti costanti, integrazione, derivazione), si puà general-
mente trascurare i l segno che mette i n evidenza la parte reale, riser-
vandosi di fare questo passaggio soltanto nel risultato finale del cal-
colo.
PROBLEMI
1. Esprimere l'ampiezza e la fase iniziale delle oscillazioni mediante i valori
iniziali x,, e v,, della coordinata e della velocitÃ
Risposta:
r
-

2. Trovare i l rapporto delle frequenze ca e a' delle oscillazioni di due mole-


cole biatomiche composte di atomi di isotopi diversi; le masse degli atomi sono
rispettivamente m,, m, ed m i , mi.
Soluzione. Poichà gli atomi degli isotopi interagiscono allo stesso modo,
k = k'. Le masse ridotte delle molecole fungono allora da coefficienti m nelle
energie cinetiche. Si ha perciò secondo la (21,6),

3. Trovare la frequenza delle oscillazioni di un punto con massa m, suscet-


tibile di moto su una retta e attaccato a una molla avente l'altro estremo fissato
i n un punto A (fig. 22) ad una distanza I dalla retta. La molla, quando la sua
lunghezza à I, à tesa da una forza F.
102 CAPITOLO QUINTO

Soluzione. L'energia potenziale della molla à uguale (a meno di infinitesimi


d'ordine superiore) a l prodotto della forza F per l'allungamento 61 della molla.
Per x < 1 si ha:

per cui U = Fx2/21. Poichà l'energia cinetica à mx'^/2, si ha allora

4. Risolvere i l problema precedente per i l caso in cui il punto m si muove


lungo una circonferenza di raggio r (fig. 2 3 ) .

Fig. 22 Fig. 23

Soluzione. In questo caso l'allungamento della molla (per (p < 1) h


6;=vrz+(~+r)2-2r(;+r) r (;+T)
coscp-l%; -(p2.
21
L'energia cinetica à T = Ñmr2rp2 Quindi la frequenza Ã
2

W=
rlm -
5 . Trovare la frequenza delle oscillazioni del pendolo rappresentato nella
fig 2 , il cui punto di sospensione (di massa ml) puà muoversi lungo una retta
orizzontale.
Soluzione. Per (p << 1 la formula ottenuta nel problema 3 del 5 14 dÃ

Quindi

6. Determinare la forma della curva lungo la quale (in un campo gravita-


zionale) un punto materiale à animato da un moto oscillatorio tale che la fre-
quenza delle oscillazioni non dipende dall'ampiezza.
Soluzione. La condizione posta sarÃsoddisfatta da una curva lungo la quale
la particella puntiforme animata da un moto avrà un'energia potenziale U =
= ks^/2, dove s à la lunghezza dell'arco misurata a partire dalla posizione d'equi-
PICCOLE OSCILLAZIONI 103

librio; l'energia cinetica sarÃallora T = m W (dove m à la massa della particel-


-. e la frequenza delle oscillazioni m =
la) non dipenderà dal valore iniziale
di S.
Ma nel campo di gravità U = mgy, dove y à la coordinata verticale. Quindi
si ha t312 = mgy, ossia

D'altra parte, ds2 = da:% + dyB, quindi

Per facilitare l'integrazione facciamo la sostituzione


g
y=-(1-cos E).
4u2
Si ha allora:

Queste due uguaglianze determinano in forma parametrica l'equazione della


curva cercata che à una cicloide.

$ 22. Oscillazioni forzate


Consideriamo ora le oscillazioZ di u n sistema soggetto all'azione
d i un campo esterno variabile; tali oscillazioni si chiamano~/orzate
a differenza delle oscillazioni studiate nel paragrafo precedente, che
sono dette libere. Poichà le oscillazioni si suppongono piccole, ne se-
gue che il campo esterno deve essere sufficientemente debole; i n caso
contrario, esso potrebbe provocare uno spostamento x troppo grande.
Nel caso considerato i n questo paragrafo, il sistema possiede oltre
alla propria energia potenziale
1
n-
kx2 un'energia potenziale Ue (x, t)
dovuta all'azione del campo esterno. Sviluppando anche questo ter-
mine in serie di potenze della grandezza piccola x, si ottiene

Il primo termine à funzione solo del tempo e puà quindi essere omes-
so nella funzione lagrangiana (come derivata totale rispetto a t di
un'altra funzione del tempo). Nel secondo termine, l a derivata
-9Uel9x 6 l a u forza à esterna che agisce sul sistema nella posizione
d'equilibrio; essa à una funzione data del tempo e l a indicheremo
con F (t). Nell'energia ~ o t e n z i a l eappare cosi i l termine -xF (t) per
cui la funzione lagrangiana del sistema sarÃ
104 CAPITOLO QUINTO

L'equazione del moto corrispondente Ã


..
mx+kx=F(t),
oppure

dove abbiamo nuovamente introdotto l a freq-iinza co delle oscillazio-


ni libere.
Come à noto, la soluzione generale d i un'equazione differenziale
lineare non omogenea con coefficienti costanti si ottiene sotto forma
di una somma d i due espressioni: x = x0 + x1, dove xo à la soluzione
generale dell'equazione omogenea ed x1 un integrale particolare
dell'equazione non omogenea. Nel caso considerato x0 rappresenta le
oscillazioni libere studiate nel paragrafo precedente.
Consideriamo ora un caso di particolare interesse in cui la forza
esterna à anch'essa una funzione periodica semplice del tempo di
frequenza y:
F ( t ) = f w s (y t H). (223)
Cerchiamo un integrale particolare dell'equazione (22,2) sotto forma
x-,= b cos (yt + 6) con lo stesso fattore periodico. Sostituendo
-
nell'equazione, s i h a b = / / m ( a 2 y2); aggiungendo l a soluzione
dell'equazione omogenea, si ottiene l'integrale generale della
form

Le costanti arbitrarie a ed a sono determinate dalle condizioni ini-


ziali.
Dunque, sotto l'azione d i una forza esterna periodica, il sistema
compie u n moto che si puà rappresentare come una sovrapposizione
di due oscillazioni, l'una con l a frequenza propria del sistema w
e l'altra con la frequenza della forza esterna y.
La soluzione (22,4) non à applicabile al caso della cosiddetta
risonanza quando la frequenza della forza che provoca le oscillazioni
del sistema coincide con la frequenza d i quest'ultimo. Per trovare in
questo caso la soluzione generale dell'equazione del moto, cambiando
appropriatamente il valore delle costanti, scriviamo l'espressione
(22,4) nella forma

Quando +- a , i l secondo termine genera una indeterminazione del


tipo 010. Applicando la regola di L'H-pital, si ottiene:
x = a ~ o s ( w t + a~)fm+ tsen
~ (<ot+P).
m (22'5)
PICCOLE OSCILLAZIONI 105.

Cosi, nel caso di risonanza, l'ampiezza delle oscillazioni cresce linear-


mente con il tempo (finchà le oscillazioni non cessano di essere
piccole e t u t t a la teoria esposta diventa non applicabile).
Cerchiamo di chiarire ugualmente la forma che assumono le
piccole oscillazioni vicino alla risonanza allorchà y = m +
e, dove
e à una grandezza piccola. Scriviamo la soluzione generale in forma
complessa
E +
x = Aeiat + Bei<.a+~)t( A Beiet) eimt. (2296)
Poichà la grandezza A + BeiEt varia poco nel corso di un periodo
2:r[/co del fattore e i ~ ilt moto vicino alla risonanza si puà considerare
come una piccola oscillazione di ampiezza, però variabile1).
Indicando l'ampiezza con C, avremo:

Esprimendo A e B rispettivamente nella forma aeiz e beiP,


otterremo:
C2 = a2 b2 + +
2ab cos (et -t - a). (22,7)
Cosi, l'ampiezza oscilla periodicamente con frequenza e, variando
fra i due limiti
a-bl<C<a+b.
Questo fenomeno à chiamato battimenti.
L'equazione del moto (22,2) puà essere integrata anche in forma
generale, qualunque sia la forza esterna F (t). Cià à facile se scriviamo
preliminarmente l'equazione nella forma

ossia

dove à stata introdotta la grandezza complessa

L'equazione (22,8) non à pih del secondo ordine, ma del primo. Senza
il secondo membro la sua soluzione sarebbe E; = Aeiat con A costan-
te. Seguendo la regola generale, cerchiamo per l'equazione non omo-
genea una soluzione del tipo = A (t) ei^ ed otteniamo per la fun-
zione A ( t ) l'equazione

l) Varia pure il termine à costante à nella fase delle oscillazioni.


t 06 CAPITOLO QUINTO

Integrando, otteniamo l a soluzione dell'equazione (22,9):

dove la costante d'integrazione I,, Ã il valore d i nell'istante t = 0.


Questa à l a soluzione generale cercata; la funzione x (t) à data dalla
parte immaginaria dell'espressione (22,IO) (divisa per io^)').
ovvio che l'energia di un sistema che compie oscillazioni
forzate non si conserva; il sistema attinge energia dalla sorgente
della forza esterna. Determiniamo l'energia totale ceduta a l si-
stema durante tutto i l tempo in cui la forza agisce (da -m a + m ) ,
supponendo nulla l'energia iniziale. Secondo la formula (22,10)
(con -m in luogo d i zero come limite inferiore dell'integrazione
e con (-m) = 0) si ha per t -+ m:

D'altra parte, l'energia del sistema come tale à data dall'espressione

Ponendo qui 1 ( m ) 12, otteniamo per l'energia ceduta i l valore

essa à dunque definita dal quadrato del modulo della componente di


Fourier della forza F ( t ) con frequenza uguale alla frequenza
propria del sistema.
In particolare, se la forza esterna agisce soltanto per un breve
intervallo di tempo piccolo rispetto a , si puà porre z 1.
Allora abbiamo:
( l )

00

E =-L
2m (j F (t) d t j 2 .
-m

Questo risultato à evidente a priori: esso significa che una forza di


m

breve durata communica a l sistema u n impulso Fdt, senza riu-


scire in un tempo cosi breve a provocare uno spostamento sensibile.

l) S'intende che la forza F ( t ) deve essere qui scritta in forma reale.


PICCOLE OSCILLAZIONI 107

PROBLEMI
1. Nell'istante iniziale t = O un sistema riposa nello stato d'equilibrio
4 x = O, x = 0). Determinare le oscillazioni forzate del sistema sotto l'azione
-di una forza F (t) per i seguenti casi:
a) F = costante-= Fo.
Risposta: x = - f a (1 - cos (ut); l'azione di una forza costante provoca
rnm3
uno spostamento dalla posizione d'equilibrio attorno alla quale avvengono
le oscillazioni.
b) F == at.
a
Risposta: x = - (tit - sen ( # ) t ) .
ma3
C) F = ~ ~ e - ^ .

Risposta: x Fo a
(e-^ - cos ~ t 4- - sen ~ t ) .
Â¥
+
rn(ti2 a2) O)

d ) F = F ~ P - ~ ~ $t.
~ O S
Jf isposta:
x= Fo {
m [(a2+ a2- $2)2+ 4 ~ * $ ~ ]
+
- (ti2 a 2 - 6 2 ) cos tit -1

+ E (ti24-a^4-$2) sen a t + e'at [ ( ( ~ ~ - ! - a ~ - $cos


~ )pt-2a$ sen p]}
(si troverà pifi facilmente questa soluzione scrivendo la forza in forma com-
plessa F = F ~ ~ ( - ~ + ~ ^ ] .

Fig. 24 Fig. 25

2. Determinare l'ampiezza finale delle oscillazioni di un sistema dopo


l'azione di una forza esterna che varia secondo la legge F = O er t < O, F =
= FotlT per O < t < T, F = Fo per t > T (fig. 24); fino afi'istante t = O
,il sistema à in quiete nella posizione d'equilibrio.
Soluzione. Nell'intervallo di tempo O < t < T, le oscillazioni che soddi-
-sfano la condizione iniziale hanno la forma
x=- (fflt-senmt).
mTw3
Per t > T cerchiamo una soluzione del tipo
x=cicos(o(t-T)+c2sena (t-T)+- Fo
ma2 '
Dalla condizione di continuità di x ed x per t = T ricaviamo:
ci= - L s e (or, cg = ÑFo
Ñ (1-cos aT).
mTa3 mTco
108 CAPITOLO QUINTO

Quindi l'ampiezza delle oscillazioni Ã

Notiamo che essa à tanto pifi piccola, quanto pifi lentamente si a inserisce Ã
la forza F n (cioà quanto piii grande à T ) .
3. Risolvere il problema 2 nel caso di una forza costante F u che agisce
per un tempo limitato T (fig. 25).

Fig. 26 Fig. 27

Soluzione. Si puà seguire lo stesso metodo che nel problema 2, ma à pih


semplice servirsi della formula (22,lO). Per t > T abbiamo oscillazioni libere
attorno alla posizione x = 0 ; allora

i l quadrato del modulo dà l'ampiezza secondo la formula 1 E l2 = azd.


Si ottiene infine:

4. Risolvere i l problema 2 nel caso di una forza agente in un intervallo


da zero a T secondo la legge F = F y t / T (fig. 26).
Soluzione. Usando lo stesso metodo si ottiene:
a=- F0
Tma3
+
" ~ / u T z -~ W sen
T wT .
2 ( 1 - cos @T)
5. Risolvere i l problema 2 nel caso di una forza che varia in un intervallo
di tempo da zero a T = 2 d m secondo la legge F = Fa sen mt (fig. 27).
Soluzione. Sostituendo nella (22,lO)
F
F ( t ) =Fo sen mt = 2(ei0"- e-'"')
2i
ed integrando da zero a T : otteniamo:
a=-¡F n
ma2 '

$ 23. Oscillazioni dei sistemi con p i gradi


~ di libertÃ
La teoria delle oscillazioni libere dei sistemi con piii (s} gradi di
libertà puà essere costruita analogamente alla teoria delle oscillazio-
ni unidimensionali considerate nel $ 21.
PICCOLE OSCILLAZIONI 109

Supponiamo che l'energia potenziale U d i un sistema, come fun-


zione delle coordinate generalizzate qi (i = 1, 2, . . ., s), abbia
u n minimo per qi = qio. Introducendo i piccoli spostamenti
xt = qi -
OÌ (23,l)
e sviluppando U rispetto ad essi sino a i termini del secondo ordine,
otteniamo per l'energia potenziale la forma quadratica definita posi-
tivamente

dove contiamo d i nuovo l'energia potenziale a partire dal suo valore


minimo. Poichà i coefficienti kik e k f i entrano nella (23,2) moltipli-
c a t i per l a stessa grandezza xixk, Ã chiaro che s i possono considerare
sempre simmetrici rispetto ai loro indici
kik=kki.
Nell'espressione dell'energia cinetica, che generalmente puà esse-
r e scritta nella forma

Ivedi la (5,5)1, sostituiamo i coefficienti qi = qio; indicando le C O -


stanti aift (qo) con /reik,otteniamo l'energia cinetica come forma qua-
dratica positivamente definita

Anche i coefficienti mik possono essere considerati sempre simmetrici


rispetto ai loro indici
= "lfti.
Dunque, u n sistema che compie piccole oscillazioni libere h a per
funzione d i Lagrange

Stabiliamo ora le equazioni del moto. Per determinare le derivate,


scriviamo i l differenziale totale della funzione di Lagrange:

Poichà i l valore della somma non dipende ovviamente da come si


denotano gli indici della sommatoria, scambiamo nel primo e terzo
termine tra parentesi i con k e k con i; tenendo conto della simmetria
dei coefficienti mih e kih, otteniamo

dL =
. .
(miftxftdxi - ktk-~hdxi).
i,h

Da questa formula à chiaro che

Le equazioni di Lagrange sono quindi

Esse rappresentano un sistema di s (i = 1, 2, . . ., s) equazioni dif-


ferenziali lineari omogenee con coefficienti costanti.
Seguendo l a regola generale d i risoluzione di equazioni di questo
tipo, cerchiamo le s funzioni incognite xk ( t ) nella forma

dove A k sono costanti da determinare. Sostituendo la (23,6) nel siste-


ma (23,5), otteniamo dopo la divisione per eà aun sistema di equazio-
ni algebriche lineari omogenee cui debbono soddisfare le costanti Ah:

Affinchà questo sistema abbia soluzioni differenti da zero, occor-


re che il determinante dei coefficienti si annulli

L'equazione (23,8), detta equazione caratteristica, Ã un'equazione


di grado s i n ca2. Essa ha, in generale, s radici reali positive
distinte cak, a = 1, 2, . . ., s (in casi particolari alcune di queste
radici possono coincidere). Le grandezze (ua cos! definite sono dette
frequenze proprie del sistema.
Il fatto che le radici dell'equazione (23, 8) sono reali e positive
à evidente a priori da considerazioni fisiche. Infatti, se Q) avesse una
parte immaginaria, cià significherebbe l'esistenza nelle relazioni
(23,6), che definiscono le coordinate xk in funzione del tempo (e anche
delle velocità xh), di un fattore esponenziale crescente o decrescente-
Ma l'esistenza d i un tale fattore à inammissibile in questo caso, poi-
chà porterebbe alla variazione con il tempo dell'energia totale del
sistema E = U + T, cosa in contraddizione con la legge d i conser-
vazione.
Alla stessa conclusione si puà giungere con un metodo puramente
matematico. Moltiplicando l'equazione (23,7) per Af e sommando
PICCOLE OSCILLAZIONI

poi rispetto ad i, s i ottiene


2 ( -ca2mik+ kih)A+ O,
i, k
da cui

Essendo i coefficienti kiked m i k reali e simmetrici, le forme quadra-


tiche al numeratore e a l denominatore d i questa espressione sono reali;
infatti,

Queste forme sono essenzialmente positive e, di conseguenza, Ã posi-


tiva la grandezza d l ) .
Sostituendo nelle equazioni (23,7) le frequenze aa con i valori
trovati, otterremo i valori corrispondenti dei coefficienti A h . Se tutte
le radici ma dell'equazione caratteristica sono diverse, i coefficienti
Ah sono proporzionali, come à noto, a i minori del determinante (23,8),
nel quale ca à stata sostituita dal corrispondente valore ma. Indichia-
mo questi minori con Aha. La soluzione particolare del sistema d i
equazioni differenziali (23,5) Ã quindi.

dove Ca à una costante (complessa) arbitraria.


La soluzione generale à data dalla somma di tutte le s soluzioni
particolari. Prendiamo d i esse solo la parte reale e la scriviamo nella
forma

xk = Re { ~~~~~es
' ' Â Ahaea,
¥>a* (2399)
a= l a
dovd abbiamo posto
ea=Re {cae"-'at}. (23910)
In t a l modo, l a variazione col tempo d i ciascuna delle coordina-
te del sistema rappresenta la sovrapposizione d i s oscillazioni perio-
diche semplici e,, e 2 , . . ., O s d i ampiezze e d i fasi arbitrarie
ma d i frequenze del tutto determinate.
*) Il fatto che la forma quadratica costruita con i coefficienti k i k sia
definita positiva, risulta evidente dalla definizione di quest'ultimi nella (23'2)
per i valori reali delle variabili. Se scriviamo perà le grandezze complesse
Ah in forma esplicita ah 4 ibk, otterremo (sempre in virtfi della simmetria
di kik):

cioà la somma di due forme definite positive.


112 CAPITOLO QUINTO

Sorge qui una domanda spontanea: Ã possibile scegliere le coordi-


nate generalizzate in modo tale che ciascuna d i esse compia una sola
oscillazione semplice? La forma stessa dell'integrale generale (23,9)
indica la via per risolvere questo problema.
I n effetti, considerando le s relazioni (23,9) come u n sistema d i
equazioni con s incognite possiamo, risolvendo questo sistema,
esprimere le grandezze @i, e 2 , . . ., es mediante le coordinate
xi, x2, . . ., xa. Le grandezze @a si possono considerare quindi come
nuove coordinate generalizzate. Queste coordinate sono dette normali
(o principali) e le loro oscillazioni periodiche semplici, oscillazioni
normali del sistema.
Le coordinate normali Qa soddisfano, come segue dalla loro defi-
nizione, le equazioni

Cià significa che le equazioni del moto in coordinate normali si se-


parano in s equazioni indipendenti. L'accelerazione di ciascuna coor-
dinata normale dipende soltanto dal valore di questa stessa coordinata
e per determinarne completpmente l'andamento nel tempo occorre
conoscere il valore iniziale soltanto della coordinata stessa e della
corrispondente velocità I n altri termini, le oscillazioni normali del
sistema sono completamente indipendenti.
Da quanto detto risulta in modo evidente che la funzione di La-
grange, espressa in coordinate normali, si separa in una somma di e-
spressioni ciascuna delle quali corrisponde ad una oscillazione linea-
re d i frequenza ma, cioà assume l a forma
L= 2 ?.~(6;-~-.&)
2 a, J (23,121
a
dove ma sono costanti positive. Dal punto d i vista matematico ciÃ
significa che le due forme quadratiche: energia cinetica (23,3) ed
energia potenziale (23,2) vengono ridotte contemporaneamente dalla
trasformazione (23,9) ad una forma diagonale.
Le coordinate normali vengono scelte solitamente in modo tale
che i coefficienti dei quadrati delle velocità nella funzione lagran-
giana siano uguali a 112. f3 sufficiente a questo scopo determinare
le coordinate normali (indichiamole ora con Qa) dalle uguaglianze
Qa = Vma~a. (23,13)
Allora
L= ,-
1
3 (9;- ";Q;).
a
Quanto esposto sopra cambia poco nel caso in cui fra le radici
dell'equazione caratteristica alcune sono multiple. La forma genera-
le (23,9), (23,lO) dell'integrale delle equazioni del moto resta inal-
PICCOLE OSCILLAZIONI 113

terata (con lo stesso numero s eli tenniiii), con la sola differenza che
i coefficienti A;,,, corrispondenti alle frequenze multiple non sono
pi6 i minori del determinante i quali, come 6 noto, in questo caso
s i annullano l ) .
A ciascuna frequenza multipla (o, come s i dice, degenere) corri-
spondono tante coordinate normali diverse quanto à i l grado d i mol-
tepliciti, i n a la scelta d i queste coordinate non à univoca. Dato che
le coordinate normali (con l a stessa W,-,) entrano nell'energia cinetica
e ~lell'energia potenziale sotto forma d i somme ^Qr, e 2Q; con
proprieti1 identiche di trasforina~ione,le s i pu6 sottoporre a qualsiasi
trasformazione lineare che lasci invariante l a somma dei quadrati.
La determinazione delle coordinate normali per oscillazioni tri-
d i m e n s i o ~ i ~di
~ l ui n punto materiale che s i trova costantemente in 1111
campo esterno 6 assai semplice. Ponendo l'origine di uri sistema (li
coordinate cartesiane in 1111 piiiito di minimo dell'energia poi enziale
U (,T, y. z ) , otteniamo qnest'ultima in ~ i n aforma quadratica delle
variabili x, y, z , mentre l'energia cinetica

(n1 6 la massa delle particelle) n o n dipende dalla scelta della direzione


degli assi coordinati. Ã sufficiente quindi ridurre l'energia potenzia-
lo. con [ma rotazione appropriata degli assi, a d una forma diagonale.
Abbiamo allora

e lungo gli assi x, y, 'z s i hanno oscillazioni principali d i frequenze

Nel caso particolare d i u n campo a simmetria centrale (li1 ki, =


= k y = k, U = kr^/2), queste t r e frequenze coincidono (vedi pro-
blema 3).
L'liso delle coordinate normali permette d i ridurre il problema
delle oscillazioni forzate di un sistema con pifi gradi d i libert; a l
problema delle oscillazioni forzate unidimensionali. Tenendo conto
dell'azione d i forze esterne variabili, l a funzione d i Lagrange del
sistema assume l a forma

l) 11 fatto che nell'integrale generale non possono comparire accanto ai


fattori esponenziali anche fattori algebrici dipendenti dal tempo à evidente
dalle stesse considerazioni fisiche che escludono l'esistenza di à frequenze Ã
complesse: la presenza di tali fattori contraddirebbe la legge di conservazione
dell'energia.
114 CAPITOLO QUINTO

dove Lo à la lagrangiana delle oscillazioni libere. Sostituendo alle


coordinate x k le coordinate normali, s i ottiene:

L=;Z (Q~-UM)+~ Q. (23,16)


a a
dove

Le equazioni del moto sono allora

e contengono ciascuna una sola funzione incognita Q a ( t ) .

PROBLEMI
1. Determinare le oscillazioni di u n sistema con due gradi d i libertà se
la sua funzione d i Lagrange Ã

(due sistemi unidimensionali identici con frequenza propria un, legati dall'inte
razione -axy).
Soluzione. Le equazioni del moto sono

La sostituzione (23,6) dÃ

L'equazione caratteristica à ((o; - co2)2 = az, da cui


@=$-a, c o2-fflo+a-
2 - 3

Per o = col le equazioni (1) danno A X = Au, e per co = wZ A x = - A g . D i


conseguenza,

(il coefficiente 1/1/2corrisponde alla normalizzazione delle coordinate indicata


nel testo).
Per a < (legame debole), abbiamo:

La variazione di x ed y rappresenta i n questo caso la sovrapposizione d i


due oscillazioni di frequenze vicine, cioà ha un carattere di battimenti con fre-
quenza uà - col = a h o (vedi $ 22). Notiamo che nell'istante in cui l'ampiezza
della coordinata x raggiunge i l suo massimo, l'ampiezza della coordinata y
raggiunge i l suo minimo, e viceversa.
2. Determinare le piccole oscillazioni d i un pendolo piano doppio (fig. l).
PICCOLE OSCILLAZIONI 115

Soluzione. Per piccole oscillazioni ((p, <


1, qi., < 1)la funzione di Lagrange,
trovata nel problema 1 del 5 5, assume la forma

Dopo la sostituzione (23,6) abbiamo:


A l (mi + -
m a ) ( g lico2) A2a2m2&= O,
-Alll~'^+A2 (gÑl2~2)=O
Le radici dell'equazione caratteristica sono:

Quando m i + m , le frequenze tendono ai limiti


dono alle oscillazioni indipendenti dei due pendoli.
mi m2
e che corrispon-
3. Trovare la traiettoria di una particella in un campo centrale U = k r w
(oscillatore spaziale).
Soluzione. Come in ogni campo centrale, il moto avviene in un piano.
Sia questo il piano xy. La variazione di ciascuna coordinata x, y à un'oscillazione
semplice di una stessa frequenza a = vkk/m:

ovvero
x = a cos (mt +
a ) , y = b cos ( a t+ 6)
x = a cos cp, y = b cos (cp +
6) = b cos 6 cos cp - b sen 8 sen (p,

dove à stato posto q = a t +


a, 6 = P - a. Ricavando di qui cos cp e sen q
e formando la somma dei loro quadrati. si ottiene l'equazione della traiettoria:
x2
-+---
a2
y2
b2
2xy
cos &=se$&
ab
che rappresenta un'ellisse avente per centro l'origine delle coordinate1). Per
8 = O oppure n, la traiettoria degenera in segmenti di retta.

j 24. Oscillazioni delle molecole


Se s i h a un sistema d i particelle interagenti, ma non poste in un
campo esterno, non t u t t i i gradi d i libertà del sistema hanno carattere
oscillatorio. Le molecole sono un tipico esempio di sistemi d i questo
genere. Oltre a i movimenti che rappresentano oscillazioni degli
l) I l fatto che in un campo d'energia potenziale U = k f l 2 i l moto possa
avvenire lungo una curva chiusa, à stato già notato nel 5 14.
8*
116 CAPITOLO QUINTO

atomi intorno alla loro posizione d'equilibrio all'interno della


molecola, la molecola in blocco puà compiere moti traslazionale e ro-
tazionale.
Al moto di traslazione corrispondono tre gradi di libertà ed
altrettanti ne possiede generalmente il moto di rotazione; dei 3n
gradi di liberti d i una molecola n - atomica, 372 - 6 corrispondono
quindi a un moto oscillatorio. Fanno eccezione molecole nelle quali
t u t t i gli atomi sono distribuiti lungo una retta. Poichà parlare di
rotazione intorno a questa retta non ha senso in questo caso, esistono
solamente due gradi di liberth corrispondenti al moto di rotazione;
quindi i moti oscillatori possiedono 3n - 5 gradi di libertÃ
Per risolvere il problema meccanico delle oscillazioni di una mole-
cola, à opportuno escludere sin dall'inizio i gradi di libertà corrispon-
denti ai moti traslazionali e rotazionali.
Per eliminare il moto di traslazione, Ã necessario porre uguale a ze-
ro l'impulso totale della molecola. Questo significa immobilitÃ
del siio centro di massa, ci; che si p116 esprimere matematicamente
ponendo uguali a costanti le tre coordinate di quest'ultimo. Posto
rn = r n o-L u,, (dove rao à il raggio vettore della posizione immobi-
le d'equilibrio dell'a - esimo atomo ed u a il suo spostamento da que-
sta posizione), scriviamo la condizione
2,mara= costante = 2 marao
nella forma
h a u n = 0. (24,l)
Per eliminare la rotazione della molecola occorre porre uguale
a zero il suo momento angolare totale. Dato che il momento angolare
non à la derivata totale rispetto a l tempo di una funzione delle coor-
dinate, questa condizione non puà essere espressa, in generale, ponen-
do uguale a zero una funzione d i questo tipo. Il caso delle piccole
oscillazioni rappresenta, però un'eccezione. Infatti, ponendo ancora
+
ra = rao u0 e trascurando gli infinitesimi del secondo ordine
negli spostamenti ua, scriviamo il momento angolare della molecola
nella forma

L a condizione perchà esso scompaia puà essere espressa, in questa ap-


prossimazione, nel seguente modo:
ma [raoual = O (242)
(l'origine delle coordinate puà essere scelta qui arbitrariamente).
Le oscillazioni normali di una molecola si possono classificare
secondo il carattere del moto degli atomi, partendo da considerazioni
legate alla simmetria della configurazione degli atomi nella molecola
PICCOLE OSCILLAZIONI 117

(posizione d'equilibrio). Esiste a questo scopo u n metodo generale'


basato sull'uso della teoria dei gruppi; questo metodo verrà esposto
in un altro volume del presente corso1). Ci limiteremo per ora a qual-
che esempio elementare.
Se t u t t i gli n atomi della molecola si trovano in un medesimo pia-
no, si possono distinguere le oscillazioni normali che lasciano gli
atomi in questo piano da quelle che l i fanno uscire da questo
piano. facile stabilire il numero d e l l e oscillazioni dell'uno
e dell'altro tipo poichà per un moto piano ci sono in tutto 2r1 gradi
d i libertà dei quali due d i traslazione e uno di rotazione, il numero
delle oscillazioni normali che lasciano gli atomi nel piano à uguale
a 2n - 3. Gli altri (3n - 6) - (2n - 3) = n - 3 gradi di libertÃ
del moto oscillatorio corrispondono alle oscillazioni che fanno
uscire gli atomi dal piano.
Nel caso di una molecola lineare, si possono distinguere le oscilla-
zioni longitudinali che ne conservano la forma rettilinea dalle oscilla-
zioni che fanno uscire gli atomi dalla retta. PoichÃal moto di n parti-
celle su una linea corrispondono n gradi di libertà di cui uno traslazio-
naie, il numero d i oscillazioni che non fanno uscire gli atomi dalla
retta à uguale ad n - 1. Essendo 3n - 5 il numero totale di gradi
di libertà del moto oscillatorio di una molecola lineare, le oscillazioni
che portano gli atomi fuori dalla retta sono quindi 2n - 4. A queste
oscillazioni corrispondono, però in tutto n - 2 frequenze distinte,
poichà ognuna di queste oscillazioni pu6 essere realizzata in due mo-
di indipendenti, cioà in due piani reciprocamente
(passanti per l'asse della molecola); dalle considerazioni di simme-
tria risulta chiaramente che ciascuna coppia di oscillazioni normali
ha un'unica frequenza.

1. Determinare le frequenze delle oscillazioni di una molecola lineare,


simmetrica, triatomica A B A (fig. 28). Si suppone che l'energia potenziale della
molecola dipenda solo dalle distanze A - B e B - A e dall'angolo A B A .
Soluzione. Gli spostamenti longitudinali degli atomi xi, a-,, xy sono legati,
in virtfi della (24,1), dalla relazione

Con l'aiuto di questa formula eliminiamo x, dalla funzione di Lagrange del


moto longitudinale della molecola

l) Vedi Meccanica quantistica, 5 100.


2, Per le oscillazioni di molecole pih complesse si veda M. V o 1 k e n -
s t e i n, M . E l j a s C e v i C, B. S t e p a n o v, Kolebania molekul (Oscil-
lazioni delle molecole), Gostechizdat, 1949, Mosca; G. H e r z b e r g, Mole-
cular Spectra and Molecular Structure, Van Nostrand, 1945, New York.
118 CAPITOLO QUINTO

dopo di che, introducendo le nuove coordinate

(p = 2mA + mn à la massa della molecola). Da questa relazione si vede che


Qa e Q. sono coordinate normali (a meno della normalizzazione). La coordinata

Fig. 28

Qa corrisponde a una oscillazione antisimmetrica rispetto al centro della molecola


(21 = scy; fig. 28, a ) con frequenza

La coordinata Qycorrisponde a una oscillazione simmetrica (xl = -3-3; fig. 28,b)


con frequenza

Gli spostamenti trasversali degli atomi yl, y,, yg sono legati, in virtfi
delle ( 2 4 , l ) e (24,2), dalle relazioni

(oscillazione simmetrica della curvatura; fig. 2 8 , ~ ) Scriviamo


. l'energia poten-
ziale di curvatura della molecola nella forma k 2 W / 2 , dove 6 Ã la deviazione
dell'angoio A B A da n; questa deviazione si esprime mediante gli sposta-
menti nel seguente modo:

Esprimendo tutti gli spostamenti yi, yg, y s mediante 6, otteniamo la funzione


di Lagrange dell'oscillazione trasversale -nella forma

da cui la frequenza Ã
PICCOLE OSCILLAZIONI 119

2. Risolvere problema 1 per una molecola A B A di forma triangolare (fig. 29).


Soluzione. Secondo le (24,l) e (24,2),le componenti degli spostamenti
u degli atomi nelle direzioni X ed Y
(fig. 29) sono legate dalle relazioni
+ +
"A ( ~ 1 ~ 3 ) mgXs = 0.
A
IY
I

"t, (YI + Y3) + m ~ Y i = 0,


sen a (y, - y3) - cos a (xl + x3) = 0. D
LJ
x
Le variazioni 61, e 6& delle distanze A - B
e B - A si ottengono roiettando i vettori
u, - u, ed u3 - u, suyle rette AB e B A :
6 4 = (x, - x2) sen a +(yl - y2) cos a ,
+
& = - (x3 - xf} sen a (y3 - yz) cos a.
La variazione dell'angolo A B A si ottiene
proiettando gli stessi vettori sulle direzioni
perpendicolari ai segmenti A B e B A :
1
i=-[(xi-x2) cosa-(yi-yd seria]+
2
A

+L [-(x3-x2) c o s a - (y3- y2) sen a].


2 Fig. 29
La funzione di Lagrange della molecola Ã

Introducendo le nuove coordinate


Q a = ~ i + ~ 3 *qst=xi-~3, q s ~ = ~ i + i / 3 ,
le componenti dei vettori u si possono esprimere con le seguenti relazioni:

Dopo i necessari calcoli, otteniamo per la funzione di Lagrange

--
l ( k ~ e na
2 +2k2 cosa a)-qj2 L (kt cosa a +2k2 sen2a ) +
4 4m-n

-t ?sl?s2 -(2k2- kl) sen a cos a.


Imi
Risulta da questa relazione che la coordinata Qa corrisponde ad un'oscillazione
normale di frequenza

antisimmetrica rispetto all'asse Y (xl = x3, y, = -v3; fig. 29,a).


120 CAPITOLO Q U I N T O

Le coordinate q 1 e qs2 corrispondono insieme a due oscillazioni (simmetriche


rispetto all'asse Y: xl = - x 3 , yl = y3; fig. 29,b e e ) le cui frequenze aSl
e as2sono definite come radici dell'equazione caratteristica di secondo grado
in a2:

Per 2a = JI queste frequenze coincidono con quelle che sono state trovate
nel problema 1.

Fig. 30

3. Risolvere i l problema 1 per una molecola lineare asimmetrica A B C


(fig. 30).
Soluzione. Gli spostamenti longitudinali ( x ) e trasversali (y) degli atomi
sono legati dalle relazioni

Scri\iamo l'energia potenziale d i allungamento e di curvatura nella forma

(21 = I-, + l?). Calcoli analoghi a quelli del problema 1 ci danno il valore

per la frequenza dell'oscillazione, trasversale e l'equazione di secondo grado


(in co2)

per le frequenze col, e a;, delle due oscillazioni longitudinali.

$ 25. Oscillazioni smorzate


Finora abbiamo sempre supposto che i l moto dei corpi avvenga
nel vuoto o che s i possa trascurare l'influenza del mezzo sul moto.
I n realtà quando un corpo si muove in un mezzo, quest'ultimo eserci-
ta una resistenza che tende a rallentare il moto. I n questo caso
l'energia del corpo si trasforma alla fine in calore o, come si dice,
viene dissipata.
In queste condizioni i l moto non à pifi un processo puramente
meccanico, ed i l suo studio richiede che si tenga conto del movimen-
to del mezzo stesso e dello stato termico interno sia del mezzo che del
PICCOLE OSCILLAZIONI 121

corpo. I n particolare, non si puà in generale considerare che l'accele-


razione d i un corpo i n moto sia funzione soltanto delle sue coordinate
e della velocità in un istante dato; in altri termini, non esistono equa-
zioni del moto nel senso comunemente usato i n meccanica. In t a l
modo, i l problema del moto d i u n corpo i n u n mezzo non à pih un
problema d i meccanica.
Esiste, però t u t t a una categoria d i casi in cui i l moto in un mezzo
puG essere descritto approssimativamente mediante le equazioni della
meccanica, introducendovi alcuni termini supplementari. Tale è i l
caso, per esempio, delle oscillazioni di frequenze piccole a confronto
con le frequenze che caratterizzano i processi interni dissipativi del
mezzo. Se questa condizione à soddisfatta s i pu6 ritenere che i l corpo
sia soggetto all'azione di una forza di attrito dipendente (per un dato
mezzo omogeneo) soltanto dalla sua velocitÃ
Se poi questa velocità à sufficientemente piccola, si puà sviluppa-
re in potenze Ai essa la forza d i attrito. I l termine di ordine zero dello
sviluppo à nnllo, poichà nessuna (forza d i attrito agisce su un corpo
immobile, e i l primo termine non nullo dello sviluppo à quindi pro-
porzionale alla velocità I n t a l modo la forza generalizzata d'attrito
fntir agente su un sistema che compie piccole oscillazioni unidimen-
sionali con coordinata generalizzata x pu6 essere scritta nella forma

dove a à un coefficiente positivo e il segno meno sta a significare che


la forza agisce nel verso opposto a quello della velocità Aggiungendo
questa forza a l secondo membro dell'equazione del moto, ottenia-
mo (cfr. (21,4))

Dividiamo questa espressione per m e poniamo

dove o. Ã la frequenza delle oscillazioni libere del sistema in assenza


d i attrito. La grandezza A s i chiama coefficiente di smorzamentol).
La nostra equazione Ã

Seguendo le regole generali d i risoluzione delle equazioni lineari


a coefficienti costanti, poniamo x == e r e otteniamo per r l'equazione
caratteristica

l ) II prodotto adimensionale \T (dove T = 2nlw à i l periodo) à detto


decremento logaritmico d i smorzamento.
122 CAPITOLO QUINTO

La soluzione generale dell'equazione (25,3) Ã


x = cierit +c2er^t, ri, = -A Â va2- (o:.

Qui occorre distinguere due casi.


Se A < (oo, abbiamo per r due valori complessi coniugati. La so-
luzione generale dell'equazione del moto puà allora essere scritta
nella forma

dove A Ã una costante arbitraria complessa. Questa formula si puÃ


scrivere anche come segue:
cos (@t+a), co = ^(o:
x = ae->Â¥ -k2,

dove a ed a sono costanti reali. Queste formule descrivono il moto


delle cosiddette oscillazioni smorzate. Un'oscillazione smorzata puÃ
essere considerata come oscillazione armonica con ampiezza decre-
scente esponenzialmente. La velocità con la quale l'ampiezza decresce
à determinata dal coefficiente A, e la à frequenza à co delle oscillazio-
ni à minore d i quella delle oscillazioni libere in assenza d'attrito;
per A <^ (oo la differenza tra co e (oo à un infinitesimo del secondo ordi-
ne. Una diminuzione della frequenza in presenza d'attrito ci si do-
veva aspettare a priori, poichà l'attrito in generale rallenta il moto.
Se A <^ (oo, l'ampiezza dell'oscillazione smorzata quasi non varia
nel corso di un periodo 2n/co. In questo caso, ha senso considerare
solo i valori medi (nel corso di un periodo) dei quadrati della coor-
dinata e della velocità trascurando la variazione del fattore e-".
Questi quadrati medi sono evidentemente proporzionali a e-2".
Percià anche l'energia del sistema diminuisce in media secondo la
legge -
E = Eoe-2ki P5.5)

dove E. Ã il valore iniziale dell'energia.


Sia ora A > (un. In questo caso entrambi i valori di r sono reali
e negativi. La forma generale della soluzione Ã

Vediamo che in questo caso, che si presenta per un attrito sufficien-


temente grande, il moto consiste nella diminuzione di 1 x 1, cioÃ
nell'approssimarsi asintoticamente (per t Ñ> m) alla posizione d'e-
quilibrio. Questo tipo di moto à chiamato smorzamento aperiodico.
Considerando infine il caso particolare in cui à = coo, troviamo
che l'equazione caratteristica ha una sola radice (doppia) r = -h.
PICCOLE OSCILLAZIONI 123

Com'à noto, la soluzione generale dell'equazione differenziale è


x = (ci +c2t) e-at. (25,7)
Questo à un caso particolare di smorzamento aperiodico che, come
il precedente, non h a pifi carattere oscillatorio.
Per un sistema con pifi gradi di libertà le forze d'attrito generaliz-
zate, corrispondenti alle coordinate xi, sono funzioni lineari delle
velocità del tipo

Partendo da considerazioni puramente meccaniche, non si puà trarre


nessuna conclusione riguardo alla simmetria dei coefficienti a i k
rispetto agli indici i e k. I metodi della fisica statistica I) permettono
perà di mostrare che sussiste sempre l'uguaglianza

Di conseguenza, le espressioni (25,s) si possono scrivere come derivate


9F
fiattr= -7 (25;10)
ax,
della forma quadratica

chiamata funzione di dissipazione.


Le forze (25'10) debbono essere aggiunte a l secondo membro delle
equazioni di Lagrange

La funzione di dissipazione ha di per sà un significato fisico


importante: essa determina l'intensità della dissipazione d'energia
nel sistema. Di questo à facile convincersi calcolando la derivata ri-
spetto al tempo dell'energia meccanica del sistema. Abbiamo:

Poichà F à una funzione quadratica delle velocità per il teorema di


Eulero sulle funzioni omogenee la somma del secondo membro del-
l'uguaglianza vale 2F. Quindi

l) Vedi Fisica statistica, 3 121.


124 CAPITOLO QUINTO

cioà la velocità d i variazione dell'energia del sistema à data dal


doppio della funzione d i dissipazione. Poichà i processi dissipativi
causano una diminuzione d'energia, deve sempre essere F > O,
cioà la forma quadratica (25,11) à sempre positiva.
Le equazioni delle piccole oscillazioni in presenza d'attrito si
ottengono aggiungendo le forze (25,8) al secondo membro delle equa-
zioni (23,5):

Ponendo in queste equazioni


Xh = Akert ,
e dividendo poi per ert, otteniamo un sistema di equazioni algebriche
lineari per le costanti A b

Ponendo uguale a zero il determinante di questo sistema, troviamo


l'equazione caratteristica che d i i valori di r:

L'equazione ottenuta à di grado 2s rispetto ad r. Poichà t u t t i i


suoi coefficienti sono reali, le sue radici sono o reali o complesse
coniugate a coppie. Le radici reali sono sempre negative, mentre le
radici complesse hanno solo la parte reale negativa. Se questo non si
verificasse, le coordinate, le velocità e con esse l'energia del sistema,
crescerebbero esponenzialmente col tempo, mentre la presenza di
forze dissipative deve portare ad una diminuzione dell'energia.

$ 26. Oscillazioni forzate in presenza d'attrito

Lo studio delle oscillazioni forzate in presenza d'attrito à del


tutto analogo a quello delle oscillazioni senza attrito (cfr. $ 22).
Ci soffermeremo qui dettagliatamente sul caso di particolare interes-
se quando la forza che provoca le oscillazioni à periodica.
Aggiungendo al secondo membro dell'equazione (25,1) la forza
esterna f cos y t e dividendo per m, si ottiene l'equazione del moto nel-
la forma

Poichà à comodo risolvere questa equazione in forma complessa,


sostituiamo c o s y t con e*':
.i .+ 2 ~ i + a i . c
=;e'~t.
PICCOLE OSCILLAZIONI 125

Cercando un integrale particolare nella forma x = Bew, trovia-


mo per B:

Scrivendo B nella forma &ei6,abbiamo per b e 6:

Separando infine la parte reale dall'espressione Beiyt = beì(vt+Q


otteniamo un integrale particolare dell'equazione (26,i); aggiungen-
do a questo integrale la soluzione generale dell'equazione senza il
secondo membro (che noi scriviamo per il caso in cui wo > A), otte-
niamo:
-+
x = a e - u c o s (tilt+a) bcos (yt+6). (26'4)
Poichà i l primo termine decresce esponenzialmente col tempo,
dopo un intervallo d i tempo abbastanza lungo resterà soltanto il
secondo termine:
x == b cos (yt 6). + (265)
Sebbene l'espressione (26,3), che d i l'ampiezza b di una oscilla-
zione forzata, cresca quando la frequenza y tende a uO,essa non assu-
me perà valori infiniti, come questo à avvenuto nel caso d i risonanza
i n assenza d'attrito. Per un'ampiezza data della forza f, l'ampiezza
delle oscillazioni à massima quando l a frequenza y = vtili - 2Ë2
se A < uo, il valore differisce da (do solo per un infinitesimo del
secondo ordine.
Consideriamo la regione in prossimità della risonanza. Poniamo
y = wo + e, dove e à una quantità piccola; supponiamo anche che
?L< wo. Si puà allora considerare nella (26,2) con buona approssima-
zione
6 , W2 i b ,
y2- (02 = (y CO0) (V- "0) W 2 ~ ~ 2i>.y
cosicchÃ

Notiamo il carattere particolare dell'andamento della variazione


della differenza di fase 6 fra l'oscillazione del sistema e la forza ester-
na al variare della frequenza di quest'ultima. Questa differenza
à sempre negativa, cioà l'oscillazione à à in ritardo à rispetto alla
forza esterna. Lontano dalla frequenza d i risonanza, per valori
126 CAPITOLO QUINTO

y <; wO,6 tende a zero, e per y > (DO tende a -n. La variazione
larghezza -
d i 6 d a zero a -n si effettua in una stretta regione d i frequenze (di
A) vicine a u o ; per y = (D, la differenza d i fase assu-
n
me il valore - . Notiamo a questo proposito che in assenza d'attri-
t o la fase dell'oscillazione forzata, per una variazione pari a n, fa un
salto per y = tu,, (il secondo termine nella (22,4) cambia d i segno);
l'attrito à smussa à questo salto.
Stabilizzato il moto, quando i l sistema compie le oscillazioni
forzate (26,5), l a sua energia resta costante. I l sistema assorbe conti-
nuamente (dalla sorgente di una forza esterna) energia, che viene

Fig. 31

dissipata a causa dell'attrito. Indichiamo con I (y) la quantità di


energia assorbita i n media nell'unità d i tempo e considerata come
funzione della frequenza della forza esterna. Secondo l a (25,13)
si ha
I (y) = 2F,
dove F Ã il valore medio (per un periodo d'oscillazione) della funzio-
ne di dissipazione. Per un moto unidimensionale l'espressione ( 2 5 , l l )
della funzione d i dissipazione assume l a forma F = ux2/2 = Amx2.
Sostituendo qui l a (26,5), si ottiene:
F = Ëmb2y sen2 (yt O). +
PoichÃil valore medio del quadrato del seno rispetto a l tempo à ugua-
le a 112, si h a
I (y) = Ëmñ2y (26,8)
Vicino alla risonanza, sostituendo l'ampiezza dell'oscillazione
ricavata dalla (26,7), abbiamo

Questo tipo d i dipendenza dell'assorbimento d i energia dalla


frequenza si chiama dispersivo. I l valore di 1 e 1 per cui I ( E ) dimi-
nuisce al valore metà del suo valore massimo raggiunto per
E = O si chiama semilarghezza della curva d i risonanza (fig. 31).
PICCOLE OSCILLAZIONI 127

Dalla formula (26,9) s i vede che, nel caso considerato, questa larghez-
za coincide con il coefficiente di smorzamento A. L'altezza del valore
massimo

à inversamente proporzionale a A. Cosi, al decrescere del coefficiente


di smorzamento, la curva di risonanza diventa pifi stretta e pifi alta;
in altre parole, il suo massimo diventa pifi acuto. Perà l'area com-
presa sotto la curva d i risonanza resta immutata.
Questa area à data dall'integrale

Poichà I(&)decresce rapidamente a l crescere di 1 E l, cosicchÃla regio-


ne dei grandi valori di 1 E 1 non h a un'importanza sostanziale, si
puà nell'integrazione usare per I (e) la forma (26,9) e prendere come
limite inferiore - oo. Allora

PROBLEMA
Determinare le oscillazioni forzate in cresenza d'attrito sotto l'azione di
una forza esterna f = f,,eafcos ¥\'l
Soluzione. Risolviamo l'equazione del moto in forma complessa

Separiamo poi la parte reale della soluzione. Otteniamo come risultato un'oscil-
lazinnc forzata nella forma:
x =beat cos ( ~ t + 6 ) 9
dove

$ 27. Risonanza parametrica


Esistono sistemi oscillanti non isolati in cui l'azione esterna si
traduce in variazione dei loro parametri con il tempo l ) .
Un sistema a d una dimensione ha per parametri i coefficienti
m e k nella funzione d i Lagrange (21,3); se essi dipendono dal tempo,
1) U n esempio semplice di questo genere à un pendolo il cui punto di sospen-
sione compie un dato moto periodico lungo la verticale (vedi problema 3).
128 CAPITOLO QUINTO

l'eqiiazione del moto si scrive:

Se in luogo d i t introduciamo una nuova variabile indipendente T


tale che di = & m ( t ) , questa equazione assume l a forma

Perciìdi fatto, senza alcuna perdita d i generalità à sufficiente con-


siderare nn'equazione del moto del tipo

clie si ottiene se nella ( 2 7 , l ) poniamo m uguale a costante.


L A forma della funzione a ( t ) viene d a t a dalle condizioni del pro-
blema; supponiamo che questa funzione sia periodica con una frequen-
7;i y (e (li periodo T In y ) . Ci6 vuoi dire che
-

O) (t L T) = OJ (t)
e, d i conseguenza, t u t t a l'equazione (27,2) 6 invariante rispetto alla
Irasforniti/iorie t + t +-
T . Perci6 se x ( t ) Ã una soluzione clell'equa-
zione, anche l a funzione x ( t 2- T ) C una soluzione della stessa eqiia-
zione. I n a l t r i termini, se xi ( t ) ed X , ( t ) sono due integrali indipen-
denti dell'equazione (27,2), con la sostituzione t Ñ t +
T essi si
trasformano linearmente l'uno nell'altro. Si pu6 l ) inolire scegliere
xi ed x , in modo tale che sostituendo t con t -+
T la loro variazione
s i riduca semplicemente alla moltiplicazione per u n fattore costante:
q (t +
T ) = ^ l ( t ) , J-, ( t +
T ) = ^,.T.; ( I ) .
La forma piG generale delle funzioni a v e n t i questa proprieti
xl ( t )= ^ p( tt) , ( t )= #Il2 ( t ) ,
X, (27.3)
dove 111 ( t ) e Il, ( t ) sono funzioni semplicemente periodiche del
tempo (di periodo T).
Le costanti pl e p2 i n queste funzioni debbono essere legate da
una determinata relazione. I n f a t t i , moltiplicando le equazioni
.. ..
X, + (9( t )
, x2 m2 ( t ) x2 = O
X i =0 +
rispettivamente per x , ed x, e sottraendo l'una dall'altra, s i ottiene:

xtxZ- x1x2-= costante.


l) A condizione che le costanti p, e p, non coincidano.
PICCOLE OSCILLAZIONI 129

Ma per due qualsiasi funzioni xl (t) e x2 (t) del tipo (27,3) il primo
membro di questa uguaglianza viene moltiplicato per plp2 quando
l'argomento t à sostituito da t -4- T. Perchà l'uguaglianza (27,4)
sia soddisfatta, Ã indispensabile quindi che

Altre conclusioni sulle costanti pl e p 2 si possono trarre nel caso


in cui i coefficienti dell'equazione (27,2) sono reali. Se x ( t ) Ã un in-
tegrale di questa equazione, la funzione complessa coniugata x* (t)
deve soddisfare la stessa equazione. Quindi la oppia di costanti p,,
s"
p2 deve coincidere con la coppia p*, p*, cioà o eve verificarsi il caso
h = p: 0 pl e p2 debbono essere reali. Nel primo caso, tenendo
conto della (27,5), si ha p, = 1/pT7 cioà 1 j2 = 1 pa l2 = 1; le
costanti p1 e p2 hanno modulo uno.
Nel secondo caso, i due integrali indipendenti dell'equazione
(27,2) sono della forma

dove p à un numero reale positivo o negativo diverso da uno.


Una di queste funzioni (la prima se 1 p 1 > 1o la seconda se 1 p 1 <
< 1) cresce esponenzialmente col tempo. Cià vuoi dire che lo stato
d i quiete del sistema (nella posizione d'equilibrio x = 0) Ã insta-
bile: Ã sufficiente un allontanamento arbitrariamente piccolo da que-
sto stato perchà lo spostamento x provocato cominci a crescere rapi-
damente col tempo. Questo fenomeno si chiama risonanza parametrica.
Occorre sottolineare che, se x e x inizialmente nulli, saranno
nulli anche nei momenti successivi, a differenza di quanto avviene
nella risonanza ordinaria ( 5 22) in cui un aumento dello spostamento
con il t e m p i (proporzionalmente a t ) si verifica anche se il suo
valore iniziale à zero.
Mettiamo in luce le condizioni per cui si verifica la risonanza pa-
rametrica nell'importante caso quando la funzione a (t) differisce
poco da una grandezza costante eoo ed à una funzione periodica sem-
plice
09(t) = eo: (l
+ h cos y t ) , (27,7)
dove la costante h <^ 1 (considereremo h positiva, cià che si puà sem-
pre ottenere facilmente con una scelta adeguata dell'origine dei tem-
pi). Come vedremo pià avanti, si ha una risonanza parametrica della
massima intensità quando la frequenza della funzione co (t} à vicina
a l doppio della frequenza ao.Poniamo quindi:

dove e <; ao.


130 CAPITOLO QUINTO

Cercheremo una soluzione dell'equazione del moto l)

dove a (t) e b ( t ) sono funzioni lentamente (a confronto con i fattori


coseno e seno) variabili del tempo. fi evidente che una soluzione di
questo tipo non à esatta. I n realtà la funzione x (t) contiene anche
termini cui frequenze differiscono da e12 di un multiplo +
intero (2w0 +
e); questi termini sono, però infinitesimi d'ordine
superiore rispetto ad h, e nella prima approssimazione si possono tra-
scurare (vedi problema 1).
Sostituiamo l a (27,9) con la (27,s)e, nei nostri calcoli, conservia-
mo soltanto i termini del primo ordine rispetto ad E . Supponiamo
inoltre che a-
&a,b -
e b (la validità d i questa ipotesi in condizioni
di risonanza verrà confermata dal risultato). I prodotti dei fattori
trigonometrici vanno sviluppati in somme
cos
( (O,,+-
 ¡ i t-cos(2cog+e)/==
ecc. e, conformemente a quanto detto sopra, vanno omessi i termini
con frequenze 3 (m,, +
€12Si ottiene cosi

Perchà questa uguaglianza sia soddisfatta, occorre che i coefficienti


d i ciascuno dei fattori seno e coseno si annullino contemporanea-
mente. Otteniamo cosi un sistema d i due equazioni differenziali
lineari per le funzioni a ( t ) e b ( t ) . Seguendo regole generali, cerchia-
mo una soluzione proporzionale a d est. Si ha allora

o la condizione d i compatibilit; d i queste due equazioni algebrichp


ci dÃ
s2 --- E2]. (27.10)
4
l J ~ i ' e ~ ~ ~ i i z di
l) i o qnesto
ne t i p o (coli yril /1 :~rbitr.n'it~t
si ehiiiin;~. iit'lla f ; ~ : ~ . , :
matemat,ica, equazione d i Matliifii.
PICCOLE OSCILLAZIONI 131

La condizione perchà si abbia la risonanza parametrica à che s


sia reale (cioÃsa>O) l). Cosi, la risonanza parametrica ha luogo nel-
l'intervallo

intorno alla frequenza 2coo2).La larghezza d i questo intervallo à pro-


porzionale ad h, e sono dello stesso ordine i valori del coefficiente di
amplificazione delle oscillazioni s nell'intervallo.
La risonanza parametrica ha luogo anche per frequenze y di va-
riazione del parametro del sistema vicine a valori del tipo 2u0/n,
dove n à un numero intero qualsiasi. Tuttavia la larghezza degli inter-
valli di risonanza (intervalli d'instabilità con l'aumentare di n
diminuisce rapidamente, come h" (vedi problema 2). Diminuiscono
nella stessa maniera anche i valori del coefficiente di amplifica-
zione delle oscillazioni all'interno di questi intervalli. '
I l fenomeno di risonanza parametrica esiste anche in presenza
d'attrito debole nel sistema, ma l'intervallo d'instabilità in questo
caso si restringe alquanto. Come abbiamo visto nel $ 25, l'attrito
provoca uno smorzamento dell'ampiezza delle oscillazioni secondo la
legge e-". L'amplificazione delle oscillazioni nel caso di risonanza
parametrica segue quindi la legge e^-^)' (con s positiva data dalla
soluzione del problema senza attrito), e i l limite dell'intervallo d'in-
stabilità à determinato dall'uguaglianza s - A = 0. Cosi, ricavando
s dalla (27,10), otteniamo per l'intervallo di risonanza, in luogo della
(27,11), la disuguaglianza

E opportuno a questo proposito sottolineare che la risonanza à possi-


bile non per un'ampiezza h arbitrariamente piccola, ma per un'am-
piezza superiore ad una determinata à soglia à h h , che nel caso della
(27,12) Ã uguale a:

Si puà mostrare che, per risonanze in prossimitÃdelle frequenze 2ao/n,


i l valore di soglia hÃÃ proporzionale a AiP, cioÃcresce col crescere di n.

l) La costante fi nella (27,6) à legata con s dalla relazione p = -e<"/<È


(sostituendo t con t + 2"li2wo, coseno e seno nella (27,9) cambiano segno).
*) Se ci interessano soltanto i limiti dell'intervallo di risonanza (e non pro-
prio l'espressione per C entro questo), si possono semplificare i calcoli, notando-
che su questi limiti C = O, cioà i coef icienti a e b nella (27,9) sono costanti;
troviamo allora immediatamente i valori e = Â ± h d corrispondenti li-
miti dell'interrallo (27.11).
S.
132 CAPITOLO QUINTO

PROBLEMI
1. Determinare a meno di termini d'ordine superiore ad h2 i limiti del-
l'intervallo d'instabilità per una risonanza i n prossimità di y = 2mn.
Soluzione. Cerchiamo per l'equazione (27,s) una soluzione del tipo

dove si tiene conto [contrariamente alla (27,9)] anche dei termini d'ordine supe-
riore rispetto a d h. PoichÃci interessano soltanto i limiti dell'intervallo d'insta-
bilità supponiamo costanti i coefficienti a., bo, al. b, (conformemente alla
nota 2 alla pag. 131). Sostituendo nella (27,8), sviluppiamo in somme i prodotti
di funzioni trigonometriche, tralasciando i termini di frequenze 5 m,
dei quali si avrebbe bisogno soltanto per una approssimazione superiore.
( + -2e

Otteniamo:

Nei termini d i frequenze ma + ei2 vi sono conservati infinitesimi do1 p r i m o


e
e del secondo ordine. e nei termini di frequenze 3(w, +-
quelli di?! primo
ordine. Ciascuna delle espressioni i n parentesi quadre deve annullarsi separata-
mente. Le ultime due danno:

dopo di che ricaviamo dalle prime due:

Risolvendo questa equazione a meno dei termini d'ordine h2, otteniamo


i valori limiti d i e cercati:

2. Determinare i limiti dell'intervallo d'instabilità per una risonanza in


prossimità di y = ma.
Soluzione. Scrivendo y = mn +e, otteniamo l'equazione del moto
PICCOLE OSCIIAAZIONI 133

Tenendo presente che i valori limiti cercati differiscono poco da h2 (e


cerchiamo la soluzione nella forma:
- ha),

+ai cos 2 ( a o +e) t + +


bi sen 2 ((oo e) t 4- CI.
dove si tiene conto dei termini del primo e del secondo ordine. Per determinare
i limiti dell'intervallo d'instabilità supponiamo nuovamente costanti i coef-
ficienti ed otteniamo:

D'onde abbiamo:
h h h
ai--=-ao,
6 b, =-6 bo, ci= --
2 a09
e quindi troviamo i due limiti dell'intervallo d'instabilitÃ

3. Trovare le condizioni di risonanza parametrica per piccole oscillazioni


di un pendolo piano i l cui punto di sospensione oscilla verticalmente.
Soluzione. La funzione di Lagrange, trovata nel problema 3, e) del 5 5,
dà per piccole oscillazioni (q <^ 1) l'equazione del moto

(dove m; = gli}. E chiaro che i l rapporto 4aII funge da parametro h introdotto


nel testo. La condizione (27,11), per esempio, assume la forma

$ 28. Oscillazioni anarmoniche


Tutta la teoria delle piccole oscillazioni precedentemente esposta
à basata su uno sviluppo delle energie cinetica e potenziale secondo
le' velocità e le coordinate considerando soltanto i termini del
secondo ordine; le equazioni del moto risultano allora lineari, cià che
permette in questa approssimazione d i parlare di oscillazioni lineari.
Sebbene questo metodo sia del tutto legittimo quando l'ampiezza
delle oscillazioni à sufficientemente piccola, il tener conto delle
approssimazioni successive (della cosiddetta anarmonìcì o non linea-
134 CAPITOLO QUINTO

rità delle oscillazioni) porta alla comparsa di proprietà del molo che,
pur essendo deboli, sono qualitativamente nuove.
Sviluppiamo l a funzione d i Lagrange sino a i termini del terzo
ordine. Nell'energia potenziale appariranno allora termini di terzo
grado i n coordinate xi, mentre nell'energia cinetica appari-
..
ranno termini contenenti prodotti delle velocità e delle coordinate
del tipo xixkxi, questa differenza dalla precedente espressione (23,3)
à dovuta alla conservazione dei termini del primo ordine rispetto ad
x nello sviluppo delle funzioni aik (q). I n t a l modo, la funzione di
Lagrange assumerà la forma

dove nihl, Iikl sono nuovi coefficienti costanti.


Se si passa dalle coordinate arbitrarie xi alle coordinate normali
Qa (dell'approssimazione lineare), i n virt6 della linearità di questa
trasformazione, l a terza e la quarta somma nella (28,1) si trasforme-
ranno in somme analoghe dove le coordinate xi e le velocitÃx i verran-
no sostituite con Qa e Qa. Indicando i coefficienti in queste somme cor
Ë 0y e pa O,,,otteniamo la funzione d i Lagrange

Non scriveremo tutte le equazioni del moto che derivano da que-


sta funzione lagrangiana. L'essenziale à che esse sono della forma

dove fa sono funzioni omogenee del secondo ordine delle coordinate


Q e delle loro derivate rispetto a l tempo.
Applicando il metodo delle approssimazioni successive, cerchiamo
per queste equazioni una soluzione del tipo
Qa = Q2' + QE', (2894)
dove Q': <^ Q2' e dove le funzioni Qg' soddisfano le equazioni à im-
perturbate ..
Q;) + u2 Q'1) -
a a -0.
cioà rappresentano oscillazioni armoniche ordinarie
PICCOLE OSCILLAZIONI i35

Nell'approssimazione seguente, conservando nel secondo membro


delle equazioni (28,3) soltanto termini infinitesimi del secondo
ordine, otterremo per le grandezze Q^ le equazioni

dove, nel secondo membro, si deve sostituire l'espressione (28,5).


Come risultato, otterremo equazioni differenziali lineari non omo-
genee in cui il secondo membro puà essere trasformato in somme
d i funzioni periodiche semplici. Per esempio,

In tal modo, i secondi membri delle equazioni (28,6) contengono


termini che corrispondono alle oscillazioni di frequenze uguali alle
somme e alle differenze delle oscillazioni proprie del sistema. La
soluzione delle equazioni va cercata sotto la forma contenente questi
stessi fattori periodicc giungiamo quindi alla conclusione che, nella
seconda approssimazione, oscillazioni supplementari di frequenze

(comprese le frequenze 2(ua e l a frequenza O corrispondente


ad uno spostamento costante) si sovrappongono con le oscillazioni
normali del sistema d i frequenze aa. Le frequenze d i queste oscilla-
zioni supplementari sono dette combinatorie. Le ampiezze delle oscil-
lazioni combinatorie sono proporzionali a i prodotti aaFp (oppure ai
quadrati 6%') delle corrispondenti oscillazioni normali.
Nelle approssimazioni successive, tenendo conto di termini
d'ordine pifi elevato nello sviluppo della funzione di Lagrange, appa-
iono oscillazioni combinatorie le cui frequenze sono somme e differen-
ze d i un numero p i grande
~ d i frequenze aa. Inoltre, si verifica u n
altro fenomeno nuovo.
GiÃnell'approssimazione del terzo ordine appaiono, tra le oscilla-
zioni combinatorie, oscillazioni che coincidono con quelle iniziali
ma, (cioà ma+ ( u p - me). Applicando il metodo descritto sopra al

secondo membro, delle equazioni del moto, si avranno quindi termini


d i risonanza che daranno nella soluzione termini con ampiezza cre-
scente col tempo. l3 fisicamente evidente, però che in un sistema iso-
lato, in assenza d i sorgenti esterne d'energia, non ci possono essere
incrementi spontanei dell'intensità delle oscillazioni.
In realtà nelle approssimazioni superiori, le frequenze fonda-
mentali (un subiscono variazioni in confronto ai loro valori à imper-
turbati à tu$' che figurano nell'espressione quadratica dell'energia po-
tenziale. La comparsa dei termini crescenti col tempo nella soluzio-
136 CAPITOLO QUINTO

ne à dovuta ad uno sviluppo del tipo


cos (W:)+ Aoa) t w cos ~ g '-
t tAoa sen &",t
che evidentemente non à ammissibile per t à abbastanza grandi.
Quindi, quando si passa all'approssiinazione seguente, il metodo
delle approssiniii7ioni successive dev'essere modificato in maniera
tale che i fattori periodici che figurano nella soluzione contengano
sin dall'inizio i valori esatti e non approssimati delle frequenze. Nel-
la soluzione delle equazioni le variazioni delle frequenze vengono
determinate dalla condizione d i assenza dei termini di risonanza.
Illustriamo questo nu~todo nel caso delle oscillazioni anar-
molliche con "in solo grado d i liberth; scriviamo la funzione di La-
grange nella forma

La corrispondente equazione del moto Ã

Cerchiamo la soluzione sotto forma d i una serie di approssi-


mazioni successive
= x ( l ) + p +x^
i

dove
.(/l) a cos mt (28,10)
con un valore esatto per co che cerchiamo in seguito sotto forma
di una serie o = con + o(') + +
o(2) . . . (si puà sempre annulla-
re la fase iniziale nella a"*') con una scelta appropriata dell'origine
dei tempi). Nonostante questo, la forma (28,9) dell'equazione del
moto non à comoda: dopo la sostituzione della (28,10) il primo mem-
bro dell'uguaglianza non diventa rigorosamente nullo. Pertanto
scriviamo prcliminarm~ntel'eqiiazione nella forma equivalente

Ponendo qui x = x(') + x^), co = (D,, +cocl) ed omettendo gli


infinitesimi superiori a l secondo ordine, otteniamo per a"(*) l'equa-
zione

- - aa2
2
aa2
2 cos 2ot + 2oooa'a cos OJ(.
La condizione di assenza del termine d i risonanza nel secondo mem-
bro dellluguaglianza dà semplicemente o*')= O, in accordo con
PICCOLE OSCILLAZIONI 137

i l metodo di ricerca della seconda approssimazione esposto all'inizio


d i questo paragrafo. Risolvendo poi col metodo ordinario questa equa-
zione lineare non omogenea, otteniamo:
= - aa2 aa2 '

' - cos 2cot.


x(2'
2132 604
In seguito, ponendo nella (28,11) x = x(l) + + x(~),
(D =
- (M,, -+
d2), otteniamo per l'equazione

oppure, riportando nel secondo membro le espressioni (28,lO) e (28,12)


dopo una semplice trasforma"' .ione:

+64
5aW
2 ~ ~ m '-
3
~ ' - - a20 cos mi.
4 ]
Ponendo uguale a zero il coefficiente del fattore di risonanza cos ut,
troviamo la correzione alla frequenza fondamentale, proporzionale
a l quadrato dell'ampiezza dell'oscillazione:

L'oscillazione combinatoria del terzo ordine Ã

$ 29. Risonanza nelle oscillazioni n o n lineari

Se si tiene conto dei termini anarmonici nelle oscillazioni forzato


di un sistema, nei fenomeni di risonanza compaiono proprietà quali-
tativamente nuove.
Aggiungendo a l secondo membro dell'equazione (28,9) una forza
esterna periodica (di frequenza y), si 'iti iene:

dove abbiamo scritto anche la forza d'attrito con coefficiente di


smorzamento A (che in seguito supporremo piccolo). Volnulo essere
rigorosi fino in fondo, se si tiene conto dei termini n o i i lineari nel-
l'equazione delle oscillazioni libero, si dovrebbero pi'eudere in conside-
razione anche i termini d'ordine superiore ncll'ampiezza della
forza esterna, termini che corrispondono ad una eventuale dipenden-
za di quest'ultima dallo spostamento x. Noi scriveremo questi
138 CAPITOLO QUINTO

termini per rendere pi6 semplici le formule; infatti, essi non modifi-
cano l'aspetto qualitativo dei fenomeni.
Sia
y=(Oo+e
{con e piccolo), siamo cioà in prosqimità di una risonanza ordinaria.
Per chiarire i l carattere del moto, si puà anche fare a meno d i uno
studio diretto dell'equazione (29,1), se s i tiene conto delle conside-
razioni seguenti.
Nell'approssimazione lineare, la relazione tra l'ampiezza b del-
l'oscillazione forzata da una parte, l'ampiezza / e la frequenza y della
forza esterna dall'altra, à data in prossimità della risonanza dalla for-
mula (26,7), che scriviamo come segue:

I l carattere non lineare delle oscillazioni implica una relazione


tra la loro frequenza propria e l'ampiezza; scriviamo questa dipen-
denza nella forma
w O + xb2, (29,s)
dove la costante x à espressa in un modo ben determinato mediante
i coefficienti d i anarmonicità [cfr. (28,13)1. Conformemente a ciò
sostituiamo nella (29,2) (o meglio, nella piccola differenza y - wo)
W,, con (OO+ xb2.
Conservando l a notazione e = y - mo, otteniamo i n definitiva
l'equazione

ossia

L'equazione (29,4) Ã cubica rispetto a b2, e le sue radici reali deter-


minano l'ampiezza delle oscillazioni forzate. Consideriamo l a dipen-
denza di questa ampiezza dalla frequenza della forza esterna per una
data ampiezza / della forza.
Per valori d i / sufficientemente piccoli anche l'ampiezza b à picco-
la, quindi si possono trascurare nella (29,4) i gradi d i b superiori
a l secondo, e la formula ottenuta coincide con la già nota funzione
b ( E ) (29,2), che rappresenta una curva simmetrica con u n massimo
nel punto e = O (fig. 32, a). Con i l crescere di f la curva subisce una
deformazione, conservando ancora i n un primo tempo i l suo carattere,
mantenendo cioà u n solo massimo (fig. 32,b); il picco si sposta (per
x > 0) nel senso delle e positive. Delle tre radici dell'equazione
(29,4) una sola à reale.
PICCOLE OSCILLAZIONI 139

Tuttavia, a partire da u n determinato valore f = f h (che


verrà definito dopo), il carattere della curva cambia. Per ciascun
valore di / > fk esiste una determinata regione di frequenze nella qua-
le l'equazione (29,4) ha tre radici reali; a questa regione corrisponde
la porzione BCDE della curva riplla
fig. 32,c.
I limiti di questa reg-ione sono defi-
f 4
rìitdalla condizione db - -
punti D e C. Differenziando l'equa-
zione (29,4) rispetto ad e, abbiamo:
db
-- -8b-i- xb3
-
de ~2+?l,~-4x~b~+3x~b*.
La posizione dei punti D e C si deter-
mina dunque, risolvendo contempo-
raneamente l'equazione
e2-4xb2& + +
3x2b4 A2 = O (29,5) bl
e l'equazione (29,4); i valori corrispon- E
denti d i e sono ambedue positivi. I l
valore massimo dell'ampiezza si ottie-
db
ne nel punto dove -,Ã = 0. Si h a allora
e = % b2, e la (29,4) ci d Ã
'
'aax="SrnaoT' (29,6)
"^_ "'-E
auesto valore coincide con i l massi-
mo dato dalla relazione (29,2).
S i puà dimostrare (non tratte- Fig. 32
remo qui questo argomento l ) ) che
delle tre radici reali dell'equazione (29,4) quella intermedia (la por-
zione CD della curva, tratteggiata nella fig. 32, C) corrisponde ad o-
scillazioni instabili del sistema: ogni forza, per debole che sia, agendo
s u un sistema che s i trova in questo stato, causerebbe i l passaggio a un
regime oscillatorio corrispondente alla radice massima o minima
(cioà alle porzioni BC o DE). D i conseguenza, soltanto i rami
ABC e D E F corrispondono a reali oscillazioni del sistema. La
presenza d i una regione di frequenze che ammette due ampiezze diffe-
renti delle oscillazioni rappresenta una rimarchevole proprietÃ
Al progressivo aumentare della frequenza della forza esterna aumen-
ta l'ampiezza delle oscillazioni forzate secondo la curva ABC.
Nel punto C si ha una à rottura à dell'ampiezza, che cade
l) Si puà trovare la dimostrazione, per esempio, nell'opera di N . Bogoliubov
e J . Mitropolskij, Asimptoticeskie metody v teorii nelinejnych kolebanij (Metodi
asintotici nella teoria delle oscillazioni non lineari), Fizmatghiz, Mosca, 1958.
bruscamente sino a l valore corrispondente a l punto E, por poi variare
lungo la curva EF (all'ulteriore aumentare della frequenza). Se ora
diminuiamo di nuovo la frequenza, l'ampiezza delle oscillazioni
forzate varia lungo l a curva FD, salta d a l punto D a l punto 3 per
poi decrescere lungo B A .
Per valutare i l valore f k , notiamo che esso rappresenta quel
valore di f per i l quale ambedue le radici della equazione quadratica
rispetto a b2 (29,5) coincidono; per f = fh t u t t a la parte CD si riduce
ad un punto di flesso. Uguagliando a zero il discriminante dell'equa-
zione di secondo grado (29,5), si ottiene e2 = 3L2; la radice corrispon-
dente dell'equazione à xb2 = 2 ~ ~ Sostituendo
3 . questi valori d i b ed
e nella (29,4), otteniamo:

Accanto ad u n cambiamento del carattere dei fenomeni d i riso-


nanza per frequenze w u n , la non linearità delle oscillazioni genera
anche la comparsa di nuove risonanze nelle quali le oscillazioni
di frequenza vicina a con sono eccitate da una forza esterna d i frequen-
za abbastanza differente da eoo.
Sia y % coo/2 la frequenza della forza esterna, cioÃ

Nella prima approssimazione, lineare, essa eccita nel sistema O-


scillazioni della stessa frequenza e d i ampiezza proporzionale all'am-
piezza della forza:

[conformemente a l l a formula (22,4)1. Tenendo conto dei termini non


lineari, nella seconda approssimazione, queste oscillazioni faranno
apparire nel secondo membro dell'equazione del moto (29,l) un ter-
mine di frequenza 2~ w uo. Precisamente, ponendo a-O nell'equa-
zione

introducendo i l coseno dell'angolo doppio e conservando nel secondo


membro soltanto il termine d i risonanza, otteniamo:

Questa equazione differisce dalla (29'1) soltanto per il fatto che al


posto dell'ampiezza della forza ./, essa contiene un'espressione propor-
zionale ad f 2 . Cià significa che h a luogo una risonanza dello stesso ca-
rattere di quella esaminata precedentemente per le frequenze w un,
in;t d i intt~iisithinferiore. La funzione O (e) si olticne sostituendo /
con -8af/Qmco~ (ed e con 2e) nell'equazione (29,4):

Sia ora
7 = 2ao +e
l a frequenza della forza esterna. Nella prima approssimazione
abbiamo:
J.(l) =
3m io;
cos ( 2 a o e) t. +
Sostituendo x == ~ ' - 1 '-1- x(') nell'equazioiic (29,1), non otterremo ter-
mini aventi i l carattere di una forza esterna di risonanza, ~0111'6
avvenuto nel caso precedente. Nasce, p e r ~ una , risonanza d i tipo pa-
rametrico dal termine del terzo ordine proporzionale a l prodotto
. c ( l ) . ~ ' Se
~ J .d i t u t t i i termini non lineari conserviamo soltanto questo,
avremo per a:(') l'equazione

cioà un'equazione del tipo (27,8) (tenendo conto dell'attrito) che


porta, come abbiamo già visto, ad oscillazioni instabili i n u n deter-
minato intervallo d i frequenze.
Questa equazione non à per6 sufficiente per determinare l'ampiez-
za risultante delle oscillazioni che dipende dagli effetti della non
linearità per tenerne conto à necessario conservare nell'equazione
del moto anche i termini non lineari rispetto ad xC2):

--2uf
-
3mw;
cos (2Oo + t) t . a-").
Lo studio d i questo problema si semplifica se si considera la se-
guente circostanza. Ponendo nel secondo membro clell'equazione
(29,11)

(dove b à l'ampiezza delle oscillazioni d i risonanza cercata e 6 uno


sfasamento costante con conseguenze poco importanti) e scrivendo i l
prodotto dei due fattori periodici sotto forma di una somma di
142 CAPITOLO QUINTO

due coseni, otterremo i l termine di risonanza ordinaria

(rispetto alla frequenza propria e>,-, del sistema.). Di conseguenza, il


problema si riduce nuovamente a quello della risonanza ordinaria
in un sistema non lineare, che abbiamo esaminato all'inizio del pre-
sente paragrafo, con la sola differenza che ora il valore dell'ampiezza

Fig. 33

della forza esterna à dato dalla grandezza a/b/30$ (ed al posto di E


si ha ~ 1 2 ) Facendo
. questa sostituzione nell'equazione (29,4), si ot-
tiene:

Risolvendo questa equazione rispetto a b, troviamo i seguentij'valori


possibili per l'ampiezza:
b = O, (29,12)

La relazione cosi ottenuta tra b ed e à rappresentata nella fig. 3 3


(per % > 0; se x <O, le curve sono dirette in senso opposto).
I punti B e C corrispondono a i valori

A sinistra del punto B 6 possibile soltanto il valore b = O, ci06 la


risonanza manca e le oscillazioni di frequenza prossima a con non ven-
gono eccitate. Nell'intervallo tra B e C abbiamo due radici: b = O
(segmento BC nella fig. 33) e l'espressione (29,13) (ramo B E ) . Infine,
a destra del punto C esistono t u t t e e tre le radici: (29,12), (29,13),
(29,14). Tuttavia non t u t t i questi valori corrispondono ad un regime
PICCOLE OSCILLAZIONI 143

oscillatorio stabile. I l valore b = O Ã instabile nella parte BC1),


e si puà dimostrare anche che il regime corrispondente alla radice
(29,14) (intermedia tra le altre due) Ã sempre instabile. Nella fig. 33
i valori instabili d i b sono tratteggiati.
Vediamo, per esempio, come si comporta un sistema, dapprima
à perseverante in quiete à 2), quando gradualmente diminuisce la
frequenza della forza esterna. Fino al punto C, resta sempre b = 0;
dopo si produce una à rottura à di questo stato e si passa sul ramo EB.
In seguito, ad un'ulteriore diminuzione d i E, l'ampiezza delle oscil-
lazioni decresce sino a zero nel punto B. Aumentando di nuovo la
frequenza, l'ampiezza delle oscillazioni cresce lungo la curva BE3)-
I casi di risonanza considerati sono i casi principali che si verifi-
cano in un sistema oscillante non lineare. A piii alte approssimazio-
n i compaiono risonanze anche ad altre frequenze. A rigore, si deve
avere risonanza per ogni frequenza y per cui ny +
m m n = m. (n,
m interi), cioà per ogni y == p w 0 / q , dove p e q sono pure numeri interi.
Cià nonostante, a misura che il grado d i approssimazione si eleva l'in-
tensità dei fenomeni d i risonanza (come pure l'ampiezza degli interval-
li di frequenze in cui devono aver luogo) diminuisce con una rapiditÃ
tale che, in realtà si possono osservare soltanto le risonanze per l e
frequenze y w p(oo/q con p e q piccoli.

PROBLEMA
Determinare l a funzione b (f) per una risonanza a frequenze y w 3wn.
Soluzione. Nella prima approssimazione,

Per la seconda approssimazione, xC2), ricaviamo dalla (29.1) l'equazione

1) Questo intervallo corrisponde esattamente alla regione di risonanza


parametrica (27'12); d a l confronto della (29,10) con la (27,8) abbiamo 1 h 1 =
= 2af/3rno$ La condizione

per la quale l'esistenza del fenomeno considerato à possibile, corrisponde alla


disuguaglianza h > hi,.
2) Ricordiamo che consideriamo qui soltanto le oscillazioni di risonanza.
La loro assenza non significa letteralmente che i l sistema sia i n quiete; vi si
possono generare deboli oscillazioni forzate di frequenza v.
3) l
3 necessario, però tener presente che t u t t e queste formule sono valide
finchà l'ampiezza b (come anche e ) resta sufficientemente piccola. I n realtÃ
le curve B E e C F non sono alfatto infinite, ma in un certo punto si congiungono;
appena questo punto à raggiunto, il regime oscillante si à rompe à e si ha b = 0.
144 CAPITOLO Q U I N T O

dove il secondo membro contiene soltanto i l termine che dà la risonanza consi-


derata. Ponendo x^ = b cos [ ( a o4- t$) + q e separando i l termine di
risonanza dal prodotto dei tre coseni, otteniamo nel secondo membro dell'equa-
zione l'espressione

Di qui risulta chiaro che la dipendenza d i b da e si ottiene sostituendo nella


(29,4) f con 3fib9/32(og ed e con c13:

Questa equazione ha per radici:

Nella fig. 34 Ã rappresentato graficamente i l carattere della dipendenza

Fig. 34

di b da e (per x > 0). Soltanto il valore b = O (asse delle ascisse) e il ramo A B


corrispondono a regimi stabili. A l punto A corrispondono i valori

I l regime oscillatorio esiste soltanto per e > e^, con un'ampiezza 6 > bk.
Poichà lo stato b = O à sempre stabile, ci vuole una à spinta à iniziale per eccita-
re oscillazioni.
Le formule ottenute sono valide soltanto per e piccoli. Questa condizione
si ha automaticamente se anche A, Ã piccolo e se l'ampiezza della forza soddi-
sfa la condizione A2/(oo <^ A / x <g; (O,,.

5 30. Moto in u n campo rapidamente oscillante

Consideriamo i l moto di una particella sollecitata contempo-


raneamente da un campo costante U e da una forza
f = fi cos (ut +f, sen (ut, (30;1)
PICCOLE OSCILLAZIONI 145

che varia col tempo a d una grande frequenza co (fi ed f v sono funzioni
delle sole coordinate). Con à grande à noi intendiamo una frequenza
che soddisfa la condizione co ^> l / T , dove T Ã l'ordine d i grandezza
del periodo del moto che la particella effettuerebbe nel solo campo U.
La grandezza della forza f non si suppone piccola i n confronto alle
forze agenti nel campo U. Supporremo perà che lo spostamento oscil-
latorio (indichiamolo con 1 ) della particella provocato da questa for-
za sia piccolo.
Per semplificare i calcoli, consideriamo dapprima un moto unidi-
mensionale i n un campo dipendente d a una sola coordinata spaziale
x. L'equazione del moto della particella à allora1)

Dal carattere del campo agente sulla particella à chiaro che il


moto di essa rappresenterà uno spostamento lungo una traiettoria
à imperturbata È accompagnato da piccole oscillazioni (di frequenza
W ) intorno a questa traiettoria. Scriviamo quindi la funzione x ( t )
sotto forma d i una somma

dove E (t) rappresenta le piccole oscillazioni suindicate.


Il valore medio della funzione E ( t ) si annulla i n un periodo
2n/ia, mentre la funzione X (t), in questo stesso periodo, varia poco.
Indicando il valore medio con un trattino sopra la lettera, abbiamo
dunque = X ( t ) ,vale a dire che la funzione X ( t ) descrive il moto
à continuo à della particella mediato rispetto alle rapide oscillazio-
n i . Deduciamo l'eq~iazioneche determina questa funzione2).
Sostituendo la (30,3) nella (30,2) e sviluppando secondo le potenze
d i E con una approssimazione sino a i termini del primo ordine, otte-
niamo:

I n questa equazione conlpaiono termini di carattere diverso: gli


oscillanti e i à continui È i due gruppi evidentemente devono essere
compensati separatamente. Per i termini oscillanti à sufficiente scri-
vere
..
rns = f( X , t ) ,

l ) La coordinata x non à necessariamente una coordinata cartesiana, e il


coefficiente m, corrispondentemente, non à necessariamente la massa della
particella, nà à necessariamente costante come à stato supposto nella (30,2).
Questa ipotesi, però non influisce sul risultato finale (vedi pifi avanti).
2 , L'idea del metodo esposto sotto appartiene a P. L. Kapiza (1951).
146 CAPITOLO QUINTO

gli altri contengono i l fattore piccolo e, d i conseguenza, sono piccoli


in confronto a quanto abbiamo scritto (quanto alla derivata essai,
à proporzionale a co2 che à grande, e non puà dunque essere considera-
t a piccola). Integrando l'equazione (30,5) e la funzione / ricavata dal-
l a (30,l) (considerando la grandezza X come costante), otteniamo:

Calcoliamo ora l a media dell'equazione (30.4) rispetto a l tempo


(nel senso suindicato). Poichà i valori medi delle prime potenze d i /
ed E si annullano, otteniamo l'equazione:

che contiene ormai soltanto la funzione X ( t ) . Riscriviamola nella


forma
m X = --
..
dVPf f
dX ' (30,7)
dove l'(( energia potenziale efficace à à definita da1)

Confrontando questa espressione con l a (30,6). Ã facile vedere che il


termine supplementare (rispetto a l campo U) non rappresenta altro
che l'energia cinetica media del moto oscillante:
-
m '
Uett-U+ 7j-g2. (30,9)

I n t a l modo, i l moto della particella, mediato rispetto alle oscilla-


zioni, avviene come se, oltre a l campo costante U. agisse anche un
l i t r o campo costante, dipendente quadraticamente dall'ampiezza d i
campo variabile.
E facile generalizzare il risultato ottenuto al caso d i un siste-
ma, avente un numero qualunque d i gradi di libertà che pu6 essere
descritto mediante coordinate generalizzate q,. Per l'energia poten-
ziale efficace s i ottiene [in luogo della (30,8)1 l'espressione
1
~ r , , = ~ + ~ ~ a a / , / Ã ˆ = ~ + ~(30,lO)
~ i i C
i, k i, k

dove le grandezze a$ (in generale funzioni delle coordinate) sono gli


&menti della matrice inversa della matrice dei coefficienti a , del-
~
l'energia cinetica del sistema [vedi l a (5,5)1.
l) Se m dipende da x, Ã facile convincersi con un calcolo u n po' lungo, che
le formule (30,7) e (30,s) restano valide anche in questo caso. .
PICCOLE OSCILLAZIONI

PROBLEMI
1. Determinare la posizione d'equilibrio stabile di un pendolo i l cui punto
d i sospensione effettua oscillazioni verticali d i frequenza y elevata (v $> e l l ) .
Soluzione. La funzione di Lagrange ottenuta nel problema 3, e) del 5 5
dà i n questo caso per la forza variabile
f == -mlay2 cos yt sen qi
(la grandezza x à rappresentata qui dall'angolo q). Quindi l'à energia potenziale
efficace à Ã

Le posizioni d'equilibrio stabile corrispondono a l minimo di questa funzione.


La direzione verticale verso i l basso (cp == 0) Ã sempre stabile. Se l a condizione

à soddisfatta, 6 stabile anche la posizione verticale verso l'alto (q = n).


2. Risolvere i l problema precedente per un pendolo i l cui punto di sospen-
sione oscilla orizzontalmente.
Soluzione. Secondo la funzione di Lagrange ottenuta nel problema 3 , b )
del 3 5, troviamo / = mlay2 cos ?t cos cp e quindi

Se a2y2 < 2g1, la posizione q> = O Ã stabile. Se invece a2y2 > 2 g l , i l valore
corrispondente a u n equilibrio stabile Ã

IO*
Capitolo VI

MOTO DEI CORPI SOLIDI

31. Velocità angolare


I l corpo solido si puà definire nella meccanica come un sistema di
punti materiali l a cui mutua distanza à invariabile. I sistemi real-
mente esistenti i n natura possono ovviamente soddisfare questa con-
dizione solo in modo approssimato. Ma la maggior parte dei corpi
solidi in condizioni usuali cambia cosi poco di forma e dimensioni,
che per studiare le leggi del moto d i un solido, considerato come un
tutt'uno, possiamo astrarre completamente da queste variazioni.
Nell'esposizione seguente considereremo spesso un solido come
un insieme discreto d i punti materiali, cià che ci permetterà di otte-
nere qualche semplificazione delle deduzioni. Tuttavia, questo non
à i n alcun modo i n contrasto con il fatto che i solidi si Dossono infatti
considerare nella meccanica come continui, a prescindere completa-
mente dalla loro struttura interna. I l passaggio dalle formule conte-
nenti la somma s u punti discreti alle formule per un corpo continuo
si fa semplicemente sostituendo alle masse delle particelle la massa
p dV (p 6 la densità della massa), contenuta nell'elemento di volume
dV. e integrando poi su tutto il volume del corpo.
Per descrivere il moto di un solido, introduciamo due sistemi di
coordinate: u n sistema à immobile È ossia inerziale, X Y Z , e un si-
stema mobile xl = x, xy = y, q = z, supposto vincolato rigida-
mente a l solido e partecipe d i t u t t i i movimenti di quest'ultimo.
Per comodità à conveniente far coincidere l'origine del sistema mobi-
le con il baricentro del corpo.
La posizione del corpo solido rispetto a l sistema immobile delle
coordinate à completamente determinata se à data la posizione del
sistema mobile. Sia R il raggio vettore che indica la posizione dei-
l'origine O del sistema mobile (fig. 35); l'orientazione degli assi di
quest'ultimo rispetto a l sistema immobile à determinata d a tre angoli
indipendenti, cosicchéinsieme con le tre componenti d i R, abbiamo
in totale sei coordinate. Ogni corpo solido rappresenta quindi un
sistema meccanico con sei gradi d i libertÃ
Consideriamo uno spostamento infinitesimale arbitrario del corpo
solido. Si puà rappresentarlo come somma di due parti. Una di que-
ste arti à una traslazione parallela infinitesimale del corpo, per
cui il centro di massa passa dalla posizione iniziale a quella finale
MOTO DEI CORPI SOLIDI 149

senza che cambi l'orientazione degli assi coordinati del sistema mobi-
le; l'altra parte à u n a rotazione infinitesima intorno al centro di mas-
sa, per cui i l solido raggiunge la posizione finale.
Indichiamo con r il raggio vettore d i u n punto P qualunque del
corpo nel sistema mobile di coordinate, e con r il raggio vettore

Fig. 35

dello stesso punto nel sistema immobile. Uno spostamento infinite-


simale d r del punto P Ã allora formato da uno spostamento d R insie-
me con i l centro d i massa e da uno spostamento [dq) 4 rispetto a que-
st'ultimo per rotazione d i un angolo infinitesimale dq) [vedi (9,I)l:
dr = d R = [ d q . rl.

Dividendo questa uguaglianza per il tempo dt, impiegato per effettua-


re lo spostamento considerato, ed introducendo le velocitÃ

otteniamo la relazione che lega quest'ultime

I l vettore V à la velocità del centro di massa del corpo solido; à chia-


mata anche velocità del suo moto traslatorio. I l vettore Q à chiamato
velocità angolare di rotazione del corpo solido; la sua direzione (come
la direzione d q ) coincide con quella dell'asse di rotazione. La velo-
c i t i v di un punto qualunque del corpo (rispetto al sistema immobile)
puà essere espressa quindi mediante l a velocità di traslazione del
corpo e la velocità angolare d i rotazione.
150 CAPITOLO SESTO

Occorre sottolinealre che nel dedurre l a formula (31,2) non si à fat-


t o alcun ricorso alle poprietà specifiche dell'origine delle coordinate
come centro d i massa del corpo. I vantaggi di questa scelta saranno
evidenti solo piii avanti nella valutazione dell'energia del corpo so-
lido i n moto.
Supponiamo ora che i l sistema d i coordinate vincolato rigidamen-
te a l solido sia scelto in maniera tale che la sua origine si trovi non
p i al~ centro di massa O, ma in un punto O' distante a dal punto O.
Indichiamo con V la velocità d i spostamento dell'origine O' di
questo sistema e con Q' la sua velocità angolare di rotazione.
Consideriamo d i nuovo un punto qualunque P del corpo solido
e indichiamo con r' il suo raggio vettore rispetto all'origine O'. Si
ha allora r = r' + a , e la sostituzione nella (31,2) ci dÃ

D'altra parte, in virt6 della definizione d i V' e W,si deve avere v =


= V' +
[S"'rfl. Concludiamo quindi che

La seconda d i queste uguaglianze à assai importante. Da essa ri-


sulta che la velocità angolare con cui i l sistema di coordinate soli-
dale con il corpo ruota in un dato istante à assolutamente indipenden-
te da questo sistema. T u t t i i sistemi solidali con il corpo solido ruo-
tano i n un dato istante intorno ad assi mutuamente paralleli con la
stessa velocità S" i n valore assoluto. Questa circostanza ci permette
di chiamare, a ragione, Q velocità angolare di rotazione del corpo
solido come tale. La velocità del moto traslatorio non ha invece que-
sto carattere à assoluto )).
Dalla prima formula delle (31,3) segue chiaramente che se V e Q
(in un dato istante) sono mutuamente perpendicolari per una qual-
che scelta dell'origine delle coordinate O, essi (cioÃV' e Q') sono mu-
tuamente perpendicolari anche rispetto a una qualsiasi altra origi-
ne O'. Dalla (31,2) si vede che in questo caso le velocità v d i t u t t i
i punti del corpo giacciono nello stesso piano, perpendicolare a Q.
E sempre possibile intanto scegliere un'origine O' tale che la sua
velocità V' sia nulla1), cosicchà i l moto del solido sarà rappresentato
(in un dato istante) come pura rotazione intorno a d un asse passante
per O'. Questo asse à detto asse di istantanea rotazione del corpo2).
In seguito, supporremo sempre che l'origine del sistema di coor-
dinate mobile sia posta nel centro di massa del corpo in modo tale

1) E ovvio che O' puà anche essere un punto fuori del corpo.
2, Nel caso generale in cui le direzioni di V e Q non sono mutuamente per-
' pendicolari, si puà scegliere l'origine delle coordinate in modo tale che V e
Q diventino paralleli, cioà il moto (nell'istante dato) sarà composto di una
rotazione intorno ad un asse e di una traslazione lungo questo stesso asse.
MOTO DEI CORPI SOLIDI 151

che anche l'asse d i rotazione del corpo passi per questo centro. Quan-
do il corpo si muove, variano in generale sia i l valore assoluto di fi
che la direzione dell'asse di rotazione.

$ 32. Tensore d'inerzia

Per calcolare l'energia cinetica d i un corpo solido, consideriamo


quest'ultimo come un sistema di punti materiali e scriviamo:

dove la sommatoria à estesa a t u t t i i punti che compongono il corpo.


Al fine di semplificare la scrittura, ometteremo in questo paragrafo
gli indici che enumerano questi punti.
Sostituendovi l a (31,2), otteniamo:

Le velocità V e ii sono le stesse per t u t t i i punti del corpo solido.


Quindi possiamo portare nel primo termine V2/2 fuori dal segno di
somma; con l a lettera p indicheremo l a somma 5 m che à la massa
totale del corpo. Nel secondo termine scriviamo
2 mV [Qrl = 2 mr [Viil = [VQI 2. mr.
D i qui s i vede che, se l'origine del sistema mobile di coordinate si
à posto, come già convenuto, nel centro di massa, questo termine si
annulla, poichà allora 2 mr = 0. Infine, dopo aver sviluppato il
quadrato del prodotto vettoriale che figura nel terzo termine, otte-
niamo

L'energia cinetica di un corpo solido puà essere quindi presentata


come somma d i due termini. I l primo termine d i questa somma nella
(32,l) rappresenta l'energia cinetica del moto di traslazione del corpo
come se tutta l a sua massa fosse concentrata nel suo centro di massa.
I l secondo termine rappresenta l'energia cinetica del moto di rotazio-
ne, con velocità angolare Q, intorno ad un asse passante per il centro
d i massa. Sottolineiamo che la possibilità di separare l'energia cine-
tica in due parti à condizionata appunto dalla scelta del centro d i mas-
sa del corpo come origine del sistema d i coordinate solidale con il
corpo.
152 CAPITOLO SESTO

Riscrivendo l'energia cinetica d i rotazione in simboli tensoriali,


cioà mediante le componenti x i , £2 dei vettori r ed Q l), abbiamo:
Trot= T
1
2m {Q2ix;- Q i x i Q k x k }=
1
=-
2 - m {f"iWkxF -QiQhXixk} =
- 1
2 m (xT6ift -xixft).
QiQk

stata utilizzata qui l'identità Qi = dove tìià il tensore


unità (le cui componenti sono uguali all'unità per i = k, ed a zero
per i # k). Introducendo il tensore

otteniamo l'espressione definitiva dell'energia cinetica del corpo


solido nella forma

La funzione d i Lagrange del corpo solido si ottiene sottraendo


l'energia potenziale dalla (32,3):

L'energia potenziale à in generale funzione di sei variabili che deter-


minano la posizione del corpo solido, per esempio, le tre coordinate
X, Y, Z del centro d i massa e i tre angoli che definiscono l'orienta-
zione degli assi coordinati mobili rispetto agli assi fissi.
I l tensore I i ksi chiama tensore dei momenti d'inerzia, o semplice-
mente tensore d'inerzia del corpo. Come risulta chiaro dalla definizio-
ne data nella (32,2), il tensore d'inerzia à simmetrico, cioÃ
l i k =Ihi. (3275)
Per maggiore evidenza, scriviamo la tabella delle sue componenti
in torma esplicita:
y m(y2+z2) - ^ mxy -2 mxz

-- v mzx - ^' rnzy '^ m (x2Jry2)


l) I n questo capitolo con le lettele i, k, I si denotano indici tensoriali che
prendono i valori 1, 2, 3. Inoltre, 6 usata dappertutto la nota regola secondo
la quale il segno di somma viene omesso e la sommatoria sui valori 1, 2, 3 Ã
estesa a t u t t i gli indici ripetuti (i cosiddetti indici à muti v ) ; cosi, A& 7 AB,
A'j = A& = AZ, ecc. Evidentemente la denotazione degli indici muti puÃ
essere cambiata arbitrariamente (purchà non coincida con la denotazione d i
altri indici tensoriali che compaiono nell'espressione data).
MOTO DEI CORPI SOLIDI 153

Le componenti IXx, Ivv, Izzsono talvolta dette momenti d'inerzia


rispetto agli assi corrispondenti.
I1 tensore d'inerzia à evidentemente additivo: i momenti d'iner-
zia del corpo sono uguali alle somme dei momenti d'inerzia delle sue
parti.
Se il corpo solido puà essere considerato come un mezzo continuo,
nella definizione (32,2) la somma viene sostituita da un integrale
esteso a l volume del corpo:

Come ogni tensore simmetrico d i rango due, il tensore d'iner-


zia puà essere ridotto a d una forma diagonale mediante una scelta
adeguata delle direzioni degli assi x1, x2, x3. Queste direzioni sono
chiamate assi principali d'inerzia, ed i valori corrispondenti delle
componenti del tensore, momenti principali d'inerzia, che indichere-
mo con h,12, 13. Scegliendo in questo modo gli assi xi, x^, x3, l'ener-
gia cinetica d i rotazione si esprime in modo particolarmente semplice

Notiamo che ciascuno dei tre momenti principali d'inerzia non


puà essere superiore alla somma degli altri due, cioÃ
I , + I ~ = ~ ~ ~ ( X ~ + X ~ +
~ ~
m X( ~ )+ >x ~ ) = 1(32'9)
3
Un corpo, i cui t r e momenti principali d'inerzia sono differenti,
si chiama trottola asimrnetrica.
Si chiama trottola simmetrica un corpo solido per il quale due
momenti principali d'inerzia sono uguali: I, = la# 13. In questo
caso, la scelta delle direzioni degli assi principali nel piano xlx2
à arbitraria.
Se invece i tre momenti principali d'inerzia sono t u t t i uguali, il
corpo si chiama trottola sferica. I n questo caso, la scelta dei tre assi
principali d'inerzia à arbitraria: come tali si possono prendere tre
qualsivogliano assi mutuamente perpendicolari.
La ricerca degli assi principali d'inerzia diventa molto p i sem-~
plice, se i l corpo solido possiede una certa simmetria; Ã chiaro che la
posizione del centro di massa e la direzione degli assi principali
d'inerzia debbono possedere una stessa simmetria.
Per esempio, se un corpo ha un piano di simmetria, il suo centro
di massa deve giacere in questo piano. I n questo stesso piano giaccio-
no anche due assi principali d'inerzia, mentre il terzo asse à ad esso
perpendicolare. Un insieme di particelle distribuite in un piano rap-
presenta un caso evidente di questo genere. Esiste in questo caso una
relazione semplice fra i tre momenti principali d'inerzia. Se come piano
x ~ s "i prende i l piano dell'insieme d i particelle, ed essendo x3 = O'
154 CAPITOLO SESTO

per t u t t e le particelle, abbiamo:

Se il corpo possiede un asse di simmetria d'ordine qualunque, il


suo centro d i massa à situato su questo stesso asse, con il quale coin-
cide anche uno degli assi principali d'inerzia, mentre gli altri due
sono a d esso perpendicolari. Se l'ordine dell'asse di simmetria à su-
periore a 2, il corpo rappresenta una trottola simmetrica. I n questo
caso, infatti, s i puà ruotare ciascuno degli assi principali (perpendi-
colare all'asse di simmetria) di un angolo differente da 180'. cioÃ
la scelta d i questi assi non à piii univoca, cosa possibile soltanto nel
caso d i una trottola simmetrica.
Un caso particolare à quello d i un sistema d i particelle distribuite
lungo u n a retta. Se si prende questa retta come asse x3, s i avrà per
t u t t e le particelle xl = x2 = 0; i n questo modo due momenti princi-
pali d'inerzia coincideranno, mentre il terzo risulterà nullo:

Un sistema con queste caratteristiche à detto rotatore. La caratteristi-


~ c aparticolare di un rotatore, a differenza di un corpo qualsiasi, sta
nel fatto che esso ha in tutto due (anzichà tre) gradi d i libertà rota-
zionali, corrispondenti alle rotazioni intorno agli assi xl ed xg; par-
lare della rotazione di una retta attorno a se stessa non h a evidente-
mente alcun senso.
Facciamo finalmente ancora una osservazione riguardo a l calcolo
del tensore d'inerzia. Sebbene noi abbiamo definito questo tensore
rispetto ad u n sistema d i coordinate avente per origine il centro di mas-
sa (solo con questa definizione la formula fondamentale (32,3)
-à valida), puà talvolta risultare opportuno calcolare preliminarmen-
t e i l tensore analogo
I;& = 2
m (xi26ik- x~xL),
definito rispetto ad un'altra origine O'. Se la distanza 00' Ã data da
un vettore a, s i h a r = r' +a ed xi = x\ +
a i ; tenendo anche pre-
sente che, per definizione del punto O, 2
mr = O, troviamo:
I'.i -1.
h i~
ft +
P (a26ifc- ai%). (32'12)
Per mezzo d i questa formula e conoscendo l i h à facile calcolare il
tensore Iibcercato.
PROBLEMI
1. Determinare i momenti principali d'inerzia per molecole considerate
- come un sistema di particelle, situate a distanze reciprocamente fisse, nei seguenti
Â¥casi
MOTO DEI CORPI SOLIDI

a) Molecola i cui atomi sono distribuiti su una retta.


Risposta:
1
4= I2=- v ma~bl:b, 13=
0,
a-fcb
dove ma, mb sono le masse degli atomi. l,zb à la distanza tra gli atomi a e b;
la somma à estesa a tutte le coppie d'atomi nella molecola (ogni coppia dei
valori a e b vien presa una volta sola).

Fig. 36 Fig. 37J

Per una molecola biatomica la somma si riduce ad un solo termine, dando


un risultato evidente a priori: i l prodotto della massa ridotta dei due atomi per
i l quadrato della loro distanza:
It=I2=_^2_12.
mi + m 2
D) Molecola triatomica avente la forma di un triangolo isoscele (fig. 36).
Risposta: I l centro di massa si trova sull'altezza del triangolo a distanza
X 2 = m A h / dalla
~ sua base. I momenti d'inerzia sono:

C) Molecola tetratomica i cui atomi sono situati nei vertici di una piramide
triangolare retta (fig. 37).
Risposta: Il centro di massa si trova sull'altezza della piramide a distanza
X y = m2h./p dalla sua base. I momenti d'inerzia sono:

Per mi = n,h = a m 3 otteniamo una molecola tetraedrica con momenti


d'inerzia
Il = 1, = I 3 = mia2.
2. Determinare i momenti principali d'inerzia dei seguenti corpi continui
omoeenei:
a) Asta sottile di lunghezza
A
I.
Risposta: Il = I , = $15 I a = O (si trascura lo spessore dell'asta).
b) Sfera di raggio R.
Risposta:
2
r1-=r2=r3~-pR2
5
pik comodo calcolare prima la somma 4 + I2 + I3 = 2p
!
r2dV).
156 CAPITOLO SESTO

C) Cilindro circolare d i raggio R e d'altezza h.


Risposta:

r i = r 2 = -4 h2
(RZ+-)-) ,
I ~ = ~ R Z
2
(x, asse del cilindro).
d ) Parallelepipedo rettangolo di spigoli a , h , C .
Rispos?~:

ri=-^-
12
r2=J^
12
(c2+a2), Z3=-
12
(a2+ b2)

(gli assi x l , x^, ~v sono paralleli agli spigoli a , b, r).


e) Cono circolare d'altezza h o di raggio di
x,,x,' base R.
Soluzione. Calcoliamo dapprima il tensore
I& rispetto agli assi aventi per origine i l vertice
del cono (fig. 38). I l calcolo si esegue facilmente
in coordinate cilindriche e d i :
1'-- 1'z -- 3~ p ( q + h 2 ) , 3

I l baricentro si trova, come segue d a u n semplice


calcolo, sull'asse del cono a distanza a = 3A/4
dal vertice. Con la formula (32,12) troviamo
infine:
3 h2
~ ~ = ~ , = / ; - p a ~ = - ~
20
r3-.= I+
3 pR2.
-
10
f ) Ellissoide triassico con semiassi a , b , C .
Fig. 38 Soluzione. I l centro d i massa coincide con i l
centro dell'ellissoide, e gli assi principali d'inerzia
con i suoi assi. L'integrazione estesa a l volume del-
l'ellissoide puà essere ridotta ad una integrazione rispetto a l volume d i una
sfera mediante una sostituzione adeguata delle coordinate x = a^, y = &T),
i = cc che trasforma l'equazione della superficie dcll'ellissoide

x2 y2 22
n2+1,2+p21

in equazione della superficie di una sfera d i raggio unitario


52 q + £ = i. +
Si ottiene dunque per i l momento d'inerzia relativo all'asse x :

1, =- p f f{ ( q 2 + s a ) d z d y dz == pabc (t2?T- cZc2)dE a l <=


1
=abc - 1 1 ( b 2 + c 2 ) ,
2
dove 1' 6 i l momento d'inerzia della sfera di raggio unitario.
Tenendo presente che i l volume dell'ellissoide à uguale a 4nabc13, troviamo
i n definitiva i momenti d'inerzia:

/ l - = - -5J I - ( b 2 + c 2 ) , 1 ~ - ^ 5- ( a 2 + c 2 ) , 5P
13=-(a2+b2).
MOTO DEI CORPI SOLIDI 157

3. Determinare l a frequenza delle piccole oscillazioni di un pendolo fisico


(corpo solido oscillante7in u n campo d i gravità attorno ad un asse orizzontale
fisso).
Soluzione. Sia l la distanza del centro d i massa del pendolo dall'asse di
rotazione, siano a , P. y gli angoli formati dalle direzioni dei suoi assi principali

Fig. 39 Fig. 40

d'inerzia con l'asse d i rotazione. Introduciamo come coordinata variabile


l'angolo rp formato dalla verticale e la perpendicolare abbassata dal centro
di massa sull'asse di rotazione. La velocità del centro di massa à V = lcp, e le
proiezioni della velocità angolare sugli assi principali d'inerzia: (p cos a ,
cp cos P, q) cos ¥y Supponendo piccolo l'angolo (p, troviamo l'energia potenziale
nella forma
1
U = pgl (l
-cos (p) 25 - pglp2.
2
La funzione di Lagrange à quindi

Di qui ricaviamo la frequenza delle oscillazioni

4. Trovare l'energia cinetica del sistema rappresentato nella fig. 39; OA


ed A B sono sbarre sottili omogenee di lunghezza l , congiunte a cerniera nel
punto A . La sbarra OA ruota (nel piano della figura) intorno al punto O , e
l'estremità B della sbarra A B scivola lungo l'asse Ox.
Soluzione. La velocità del centro di massa della sbarra OA (situato a metÃ
d i quest'ultima) à l d 2 , dove (p à l'angolo AOB. Dunque. l'energia cinetica
della sbarra OA 6

(p massa di una sbarra).


Le coordinate cartesiane del centro d i massa della sbarra AB sono X =
--31 l
- cos (p, Y = -
2
sen cp; poichà anche la velocità angolare di rotazione di

questa sbarra à uguale a (p, la sua energia cinetica Ã


158 CAPITOLO SESTO

L'energia cinetica totale del sistema Ã


T = -P
(l + 3 senZ(p)(pz
3
(Ã stato posto I = p12/12 come dal problema 2,a).
5 . Trovare l'energia cinetica di un cilindro (di raggio R ) che rotola su un
piano. La massa del cilindro à distribuita nel suo volume in modo tale che uno
degli assi principali d'inerzia à parallelo all'asse del cilindro e passa a distanza
a da questo asse: i l momento d'inerzia rispetto a questo asse principale à I.
So'uzione. Introduciamo l'angolo <p tra la verticale e la perpendicolare
abbassata dal baricentro sull'asse del cilindro (fig. 40). Si puà considerare il

Fig. 41

moto del cilindro in ogni istante come una rotazione pura intorno all'asse istan-
taneo che coincide con la linea di contatto del cilindro con i l piano fisso; la
velocità angolare di questa rotazione à rp (la velocità angolare di rotazione

Fig. 42

intorno a tutti gli assi paralleli à uguale). I l centro d'inerzia si trova a distanza
+
V a 2 R2 - 2aR cos s> dall'asse istantaneo e la sua velocità à quindi V =
6
= va2 + R 2 - 2aR cos (p. L'energia cinetica totale Ã

6. Trovare l'energia cinetica di un cilindro omogeneo di raggio a che rotola


sulla faccia interna di una superficie cilindrica di raggio R (fig. 41). ,

Soluzione. Introduciamo l'angolo tra la retta che congiunge i centri dei


due cilindri e la verticale. Il centro i! massa del cilindro rotolante si trova
sull'asse e la sua velocità à V = (p (R - a). Calcoliamo la velocità angolare
come velocità di rotazione pura intorno all'asse istantaneo &e coincide con la
MOTO DEI CORPI SOLIDI

linea di contatto dei due cilindri; essa Ã

Se I g à il momento d'inerzia rispetto all'asse del cilindro, si ha allora.


.,._A
~ = 2% ( ~ - - a ) 1~3 q ~ a+2 ~ ( ~ - - ( R~ - pa)z(pz

( I 3 ricavato dal problema 2 4 ) ) .


7. Trovare l'energia cinetica di u n cono omogeneo che rotola su u n piano.
Soluzione. Denotiamo con 9 l'angolo tra la linea O A di contatto del cono-
col piano e una direzione fissa in questo piano (fig. 42). Il centro d i massa

Fig. 43

si trova sull'asse del cono e la sua velocità à V = a cos a -0,dove 2a à l'angolo-


d'apertura del cono, ed a la distanza del centro di massa dal vertice. Calcoliamo
la velocità angolare di rotazione come velocito di rotazione pura intorno all'assfr
istantaneo OA :

Q=-- -9ctga.
a sen a
Uno degli assi principali d'inerzia (asse x,) coincide con l'asse del cono; scegliamo-
l'asse x, perpendicolare all'asse del cono ed alla retta O A . Le proiezioni del
vettore Q (diretto parallelamente ad O A ) sugli assi principali d'inerzia saranno
allora Q sen a , O, Q cos a. Troviamo dunque per l'energia cinetica cercata:

(h altezza del cono, I,, I,, a ricavati dal problema 2,e)).


8. Trovare l'energia cinetica di un cono omogeneo la cui base rotola su u n
piano e il cui vertice si trova costantemente a l di sopra di questo piano, ad un'al-
tema uguale a l raggio della base (in modo che l'asse del cono à parallelo a l
piano).
Soluzione. Introduciamol'angolo 9 tra una direzione data nel piano e la
proiezione su quest'ultimo dell'asse del cono (fig. 43). La velocità del centro
d i massa à allora V = a0 (usiamo le stesse notazioni del problema 7). L'asse
istantaneo di rotazione à rappresentato qui dalla generatrice OA del cono con-
dotta a l punto di contatto di quest'ultimo con i l piano. Il centro d i massa
160 CAPITOLO SESTO

à distante a sen a da questo asse e, d i conseguenza,

L'=
v -- ti
-
asena sen a
Le proiezioni del vettore Q sugli assi principali d'inerzia (scegliendo l'asse x,
perpendicolare all'asse del cono ed alla retta O A ) sono: Q sen a = 6, O,
Q cos a == O ctg a. L'energia cinetica à quindi

9. Trovare l'energia cinetica di u n ellissoide triassico omogeneo, rotante


intorno ad uno dei suoi assi (AB, fig. 44), mentre quest'ultimo ruota a sua
volta intorho alla perpendicolare CD passante per i l centro dell'ellissoide.

Fig. 4 4 Fig. 45

Soluzione. Indichiamo con 0 l'angolo d i rotazione intorno all'asse CO


e con <p l'angolo di rotazione intorno all'asse A B (angolo formato da C D e
dall'asse d'inerzia x-,perpendicolare ad A B } . Le proiezioni di Q sugli assi d'iner-
zia saranno allora

(l'asse .i-', coincide con AB). Poichà i l centro d'inerzia, che coincide con i l centro
dell'ellissoide, Ã fisso, l'energia cinetica Ã

10. Lo stesso problema con l'asse A B inclinato e l'ellissoide simmetrico


rispetto a questo asse (fig. 45).
Soluzione. Le proiezioni di Q sull'asse A B e sui due altri assi principali

..
d'inerzia perpendicolari ad AB (che si possono scegliere arbitrariamente)sono:

O cos a cos y , O cos a sen p, y+B sen a.


D'onde l'energia cinetica Ã
MOTO DEI CORPI SOLIDI 161

$ 33. Momento del la quantità d i moto di un solido

I l momento della quantità di moto dipende, come à noto, dalla


scelta del punto rispetto a l quale esso à definito. Nella meccanica dei
solidi, à pià razionale scegliere questo punto coincidente con l'origine
del sistema d i coordinate mobile, cioà con il baricentro del
corpo. I n seguito indicheremo con M i l momento definito precisa-
mente in questo modo.
Secondo l a formula (9,6), la scelta del baricentro del corpo
come origine delle coordinate fa coincidere i l momento M con i l à mo-
mento proprio à vincolato al moto dei punti del corpo solo rispetto
a l baricentro. I n altri termini, nella definizione ] V I =
bisogna sostituire v con [Qrl:
sm [rvl

ossia, in simboli tensoriali,

Tenendo presente l a definizione (32,2) del tensore d'inerzia, ottenia-


mo:
Mi = (33'1)
Se gli assi x-,, xa, x 3 sono diretti lungo gli assi principali d'inerzia
del corpo, questa formula dÃ

In particolare, per una trottola sferica i cui tre momenti principa


l i d'inerzia coincidono, si ha semplicemente:
M = IQ (3393)
cioà il vettore momento à proporzionale a l vettore velocità angolare
ed hanno ambedue la medesima direzione.
Nel caso generale di un corpo qualunque la direzione del vettore
M non coincide con quella del vettore 9;soltanto per una rotazione
del corpo intorno ad uno dei suoi assi principali d'inerzia che M e f"
hanno la stessa direzione.
Consideriamo il moto libero di un corpo solido non sottoposto
all'azione di forze esterne. Escludendo il moto traslatorio uniforme
che non presenta qui alcun interesse, abbiamo a che fare con una
rotazione libera del corpo.
Come in ogni sistema isolato, il momento angolare di un corpo
animato da una rotazione libera à costante. Per una trottola sferica
dalla condizione M = costante segue che Q = costante. Cià significa
che il caso generale della rotazione libera d i una trottola sferica si
riduce ad una rotazione uniforme intorno a d un asse costante.
162 CAPITOLO SESTO

Altrettanto semplice à il caso del rotatore. Anche q u i M = I£"


essendo il v e t t o r e Q perpendicolare all'asse del rotatore. Di conse-
guenza, l a r o t a z ione libera d i un rotatore à una rotazione uniforme in
un piano i n t o r n o a d una direzione perpendicolare a questo piano.
La legge d i conservazione del momento à sufficiente per definire
anche una r o t a 2 ione libera piC complessa di una trottola simmetrica.
A p p r o f i t t a n d o della possibiliti d i scegliere arbitrariamente le
direzioni degli a s s i principali d'inerzia xi, x g (perpendicolari all'asse

Fig. 46

d i simmetria x 3 della trottola), scegliamo l'asse x2 perpendicolare


a l piano d e f i n i t o dal vettore costante M e dalla posizione istantanea
dell'asse xy In questo caso My, = O, e dalla formula (32,2) risulta
chiaro che a n c h e f"y, = 0. Cià significa che in ogni istante le direzioni
d i M, Q e dell'asse della trottola vengono a trovarsi i n uno stesso
piano (fig. 46). Ne segue inoltre che le velocità v = [Qrl d i t u t t i
i punti s i t u a t i sull'asse della trottola sono, in ogni istante, dirette
perpendicolarmente a l detto piano; in altri termini, l'asse della
trottola r u o t a uniformemente (vedi piC avanti) intorno alla dire-
zione d i M descrivendo un cono circolare (la cosiddetta precessione
regolare della trottola). Contemporaneamente alla precessione la
trottola compie un moto rotazionale uniforme intorno al proprio asse.
l3 facile esprimere le velocità angolari d i queste due rotazioni
mediante i l valore dato del momento M e l'angolo 9 d'inclinazione
dell'asse della trottola rispetto alla direzione d i M. La velocitÃ
angolare di rotazione della trottola intorno al proprio asse à data
MOTO DEI CORPI SOLIDI 163

dalla proiezione Q3 del vettore Q su questo stesso asse:


£ M3
--=- M cose,
I3 I3
Per determinare l a velocità di precessione Qpr bisogna scomporre
il vettore f" secondo la regola del parallelogrammo nelle sue compo-
nenti lungo le direzioni x 3 e M. La prima componente non porta ad
alcun spostamento dell'asse della trottola, ed à quindi la seconda
componente a dare la velocità angolare di precessione cercata. Dalla
costruzione della fig. 46 risulta che sen GQpr = Qi,e poichà Q1 =
= L1'll/I1== M sen €)/I si ha

5 34. Equazioni del moto d i un corpo solido


Poichà un corpo solido possiede generalmente sei gradi di libertÃ
nel sistema generale d'equazioni del moto ci devono essere sei equa-
zioni indipendenti, che possono essere scritte in una forma che defi-
nisce le derivate rispetto al tempo d i due vettori: l'impulso ed il
momento angolare del corpo.
La prima d i queste equazioni si ottiene semplicemente, sommando
le equazioni p = f del moto di ciascuna delle particelle componenti
del corpo, dove p à l'impulso di una particella ed f la forza agente su
di essa. Introducendo l'impulso totale del corpo

e la forza totale 2f = F che agisce su di esso, otteniamo:

Sebbene abbiamo scritto F come l a somma d i tutte le forze f


agenti su ciascuna particella, comprese le forze generate dalle altre
particelle del corpo, i n realtà fanno parte d i F soltanto le forze
esterne. Tutte le forze d'interazione tra le particelle del corpo stesso1
si annullano reciprocamente; infatti, in assenza di forze esterne,
l'impulso del corpo, come per qualsiasi altro sistema isolato, si con-
serva, cioà deve essere F = 0.
Se U Ã l'energia potenziale del corpo solido i n un campo esterno,
la forza F puà essere determinata derivando U rispetto alle coor-
dinate del centro d i massa del corpo:
164 CAPITOLO SESTO

Infatti, per uno spostamento traslatorio 6 R del corpo, di questo stes-


so valore variano i raggi vettori r d i ogni punto del corpo, e l a varia-
zione dell'energia potenziale à quindi

Osserviamo a proposito che l'equazione (34,l) puà essere ottenuta


anche come equazione di Lagrange rispetto alle coordinate del centro
di massa
a a~
--- aL
dt OV -8R
dalla funzione d i Lagrange (32,4), per la quale

Stabiliamo ora la seconda equazione del moto che determina la


derivata rispetto a l tempo del momento d'impulso M. Per semplifi-
care i calcoli, à opportuno scegliere un sistema d i riferimento à im-
mobile à (inerziale) tale che ad u n istante dato il centro di massa del
corpo sia i n quiete. L'equazione del moto cosi ottenuta sarà valida,
in virt6 del principio d i relatività galileiano, in ogni altro sistema
inerziale di riferimento.
Abbiamo:

I n seguito alla nostra scelta del sistema di riferimento (nel quale


V = O), i l valore" d i r nell'istante dato coincide con la velocitÃ
v == r. PoichÃi vettori v e p = mv hanno una stessa direzione, [rpl =
= 0. Sostituendo anche p con l a forza f, avremo infine:

dove
K = 2 [rfl.
I1 vettore [rf] Ã detto momento della forza f; K Ã quindi la somma
dei momenti d i tutte le forze agenti sul corpo. Come per la forza
totale F, anche qui si deve tener conto nella somma (34,4) solo
delle forze esterne; conformemente alla legge di conservazione del
momento angolare, la somma dei momenti di tutte le forze agenti
all'interno del sistema isolato deve annullarsi.
I l momento della forza, come i l momento angolare, dipende gene-
ralmente dalla scelta dell'origine delle coordinate rispetto alla qu le
1
esso à definito. Nelle (34,3) e (34,4) i momenti sono definiti rispetto
al centro d i massa del corpo
Quando l'origine delle coordinate viene spostata di una distanza
a, i nuovi raggi vettori r' dei punti del corpo sono legati a quel-
l i vecchi r dalla relazione r =- r' -\- a. Si h a quindi

ossia

Da questa relazione risulta in particolare che il valore del momento


delle forze, se l a forza totale F = U, non dipende dalla scelta del-
l'origine delle coordinate (si dice in questo caso che al corpo à appli-
cata una coppia di forze).
L'equazione (34,3) si puà considerare come equazione di Lagrange

rispetto a à coordina& rotazionali È Infatti, derivando la funzione


di Lagrange (32,4) rispetto alle componenti del vettore Q, s i ottiene

Mentre la variazione~dell'er~ergiapotenziale C/ per una rotazione del


corpo di un angolo infinitesimale 6q) Ã

Supponendo che i vettori F e K siano mutuamente perpendicola-


ri, si puà sempre trovare un vettore a tale che K' si annulli nella
(34,5) e si abbia
K = [aFl. (34,7)
La scelta di a non à per$ univoca: aggiungendo ad a qualsiasi vettore
parallelo ad F, resta valida l'uguaglianza (34,7), cosicchÃla condizio-
ne K' = O definisce non un punto solo nel sistema di coordinate mo-
bile, bensi t u t t a una retta. Cosi, per 'K J_ F l'azione di tutte le forze
applicate al corpo puà essere ridotta a d una unica forza F agente lungo
una determinata retta.
Questo è in particolare, il caso d i un campo di forze omogeneo,
nel quale la forza agente su un punto materiale à della forma f -=
= eE, dove E Ã un vettore costante che caratterizza i l campo, ed e
à una grandezza che caratterizza le proprietà della particella nel
166 CAPITOLO SESTO

campo dato1). Abbiamo in questo caso:

Ponendo V e # O, introduciamo il raggio vettore rn definito dalla


relazione:

Otteniamo per i l momento totale delle forze l'espressione molto


semplice
K = [roFl. (3479)
Per i l moto di un corpo solido i n un campo omogeneo, l'influenza
d i quest'ultimo si riduce quindi all'azione di una sola forza F, Ã ap-
plicata à a l punto col raggio vettore (34,8). La posizione di questo
punto à completamente definita dalle proprietà del corpo stesso; per
esempio, i n u n campo di gravità questo punto coincide con il centro
d i massa del corpo.

$ 35. Angoli d i Eulero

Come abbiamo già visto, per descrivere il moto di un corpo solido


si possono utilizzare le tre coordinate del centro di massa del corpo
e tre angoli che-determinino l'orientazione degli assi x1, xv, x3 del
sistema d i coordinate mobile rispetto a l sistema immobile X, Y, Z.
Spesso risulta pifi comodo usare come terna di angoli i cosiddetti an-
goli di Eulero.
Poichà ci interessano per il momento soltanto gli angoli tra gli
assi coordinati, scegliamo per origine di ambedue i sistemi uno
stesso punto (fig. 47). I l piano mobile xlx2 taglia il piano fisso X Y
lungo una retta (ON nella fig. 47) detta linea dei nodi. Questa linea
à evidentemente perpendicolare sia all'asse Z che all'asse x3; come
senso positivo, scegliamo quello che corrisponde al senso del prodotto
vettoriale [zx31 (dove z e x, sono i versori degli assi Z e x3).
Per grandezze che definiscono l a posizione degli assi xl, xn,x-, ri-
spetto agli assi X, Y , Z prendiamo i seguenti angoli: l'angolo 0 tra
gli assi Z ed x3, l'angolo (p tra gli assi X ed N, l'angolo i(3 tra gli assi
N ed x,. Gli angoli cp e ¥>t sono contati positivamente nel senso deter-
minato dalla regola della vite, rispettivamente, intorno agli assi

Cosi, in un campo elettrico uniforme, E à l'intensità del campo ed


1)
E Ã l'accelerazione
e la carica della particella. In un campo uniforme di gravitÃ
di gravità g ed e la massa della particella,
MOTO DEI CORPI SOLIDI 167

Z ed x3. L'angolo Q prende i valori da O a n, e gli angoli (p e ip da


O a 2n1).
Esprimiamo ora le componenti del vettore velocità angolare il
lungo gli assi mobili x1, x2,x3 mediante gli angoli di Eulero e le loro
derivate. A tale fine bisogna proiettare su questi assi le velocitÃ

\ /
' - - l Y

Fig. 47

angolari b, m, 6.
La velocità angolare 6 à diretta lungo la linea de
nodi ON e le sue componenti sugli assi xi, x2, x3 sono

La velocità angolare (p à diretta lungo l'asse 2; la sua proiezione


sull'asse x3 Ã uguale a v 3 = cp cos 6, e la proiezione sul piano xlx2 Ã
uguale a (p sen 9. Prendendo le componenti di quest'ultima sugli assi
xl ed x2, otteniamo:
(pi = cp sen 6 sen ip, (p2 = (p sen O cos ip.

La velocità angolare ip à diretta infine lungo l'asse x,.


Riunendo t u t t e le componenti per ciascuno degli assi, otteniamo
finalmente

1) Gli angoli 6 e (p - n12 sono, rispettivamente, l'angolo polare e l'azimut


della direzione di x, rispetto agli assi X, Y ,2. Nello stesso tempo 6 e n/2 - 9
sono, rispettivamente, l'angolo polare e l'azimut della direzione di Z rispetto
agli assi se,, xv, x,.
168 CAPITOLO SESTO

Scegliendo come assi x1, x2, x, gli assi principali d'inerzia del
solido, l'energia cinetica di rotazione espressa mediante gli angoli
d i Eulero si ottiene ponendo le (35,1) nella (323).
Per la trottola simmetrica, per la quale Il = In#I,, dopo una
semplice riduzione, si ottiene:
Trot= -,- (q2sen20 + 02)+2
Il . cos O +
I ((p $)2.

Notiamo che questa espressione puà essere ancora ulteriormente sem-


plificata se si considera che la scelta delle direzioni per gli assi prin-
cipali d'inerzia xl, x g della trottola simmetrica à arbitraria. Consi-
derando che l'asse x-,coincide con l'asse dei nodi ON, cioà 9 = O,

Fig. 48

avremo per le componenti della velocità angolare le espressioni pifi


semplici:

A titolo d'esempio d i applicazione degli angoli d i Eulero, deter-


miniamo, con l'aiuto d i quest'ultimi, il moto libero della trottola
simmetrica, che ci à già noto.
Facciamo coincidere l'asse Z del sistema d i coordinate immobile
con la direzione del momento costante M della trottola. L'asse x3
del sistema mobile à diretto come l'asse della trottola; supponiamo
che l'asse x-, coincida in un dato istante con l'asse dei nodi. Le for-
mule (35,3) ci danno allora per le componenti del vettore M:
MOTO DEI CORPI SOLIDI 169

D'altra parte, poichà l'asse x1 (linea dei nodi) à perpendicolare all'as-


se 2, abbiamo:
M l = O, M , == M sen 9, M 3 = M cos 6.
Uguagliando queste espressioni, otteniamo le seguenti equazioni:
4=0, J i ( p = ~ , J3(<Pcos6+~)=~cos9. (35'4).
La prima di queste equazioni d à 0 = costante, cioà l'angolo
d'inclinazione dell'asse della trottola rispetto alla direzione di M
à costante. La seconda definisce [in accordo con la (33,5)1la velocitÃ
angolare di precessione (p = M/& E d infine, la terza equazione de-
termina la velocità angolare d i rotazione della trottola intorno al'
proprio asse f"v = M cos 6/13.

PROBLEMI
1. Ridurre a quadratura i l problema del moto di una trottola simmetrica
pesante il cui punto inferiore à fisso (fig. 48).
Soluzione. Prendiamo i l punto fisso della trottola O per origine comune
dei sistemi di coordinate mobile e immobile e l'asse Z diretto lungo la ver-
ticale (fig. 48). La funzione di Lagrange della trottola nel campo di gravità Ã

(p à la massa della trottola, I la distanza del punto inferiore dal centro


di massa).
Le coordinate il) e n> sono cicliche. Abbiamo quindi due integrali del moto:
9L . .
p* = Ñ = 1 3 (9+ q cos 6) =costante s M3,
W
9L
p@=?= (1;sen2 6+13 cos2 6) (p+ 13il)cos 6=costante = M^, (2)
8 ( ~
dove ItI= 7, + p12 (le grandezze p* e py sono le componenti del momento
rotazionale definito relativamente al punto O lungo gli assi x, e Z, rispettiva-
mente). Inoltre, l'energia

si conserva.
Dalle equazioni (1) e (2) ricaviamo:

Eliminando con queste uguaglianze cp e


. . dall'energia (3)' otteniamo:
170 CAPITOLO SESTO

dove

Da cui, ricavando 0 e separando le variabili, si ottiene:

{Ã un integrale ellittico). Gli angoli e (p si esprimono poi come funzioni di 6


in forma di quadrature mediante le equazioni ( 4 ) e (5).
La regione di variazione dell'angolo 0 nel corso del moto à definita dalla
condizione E' >. Ueff (6). La funzione Ueff (0) (per M 3 # M,) tende a +o0

Fig. 49

per i valori 9 = 0 e 9 = n e passa per un minimo nell'intervallo compreso


tra questi due valori. L'equazione E' = Uetf ha quindi due radici che
danno gli angoli limite e d'inclinazione dell'asse della trottola rispetto
alla verticale.
Al variare dell'angolo 9 fra O1 e 02, il segno della derivata (p cambia O no
secondo che cambia o no, in questo intervallo, il segno della differenza -
- M 3 cos 6. Nel secondo caso l'asse della trottola precede monotonamente
intorno alla verticale, effettuando contemporaneamente oscillazioni alto-basso
(ossia la cosiddetta nutazione; vedi la fig. 49,a, dove la linea ondulata rappresenta
la traccia che l'asse della trottola lascerebbe sulla superficie di una sfera avente
per centro i l punto fisso della trottola). Nel primo caso la direzione della pre;
cessione à opposta sui due cerchi limite, in modo che l'asse della trottola si
sposta attorno alla verticale descrivendo nodi (fig. 49,b). Infine, se uno dei
valori € O2 coincide con lo zero della differenza M , - M i cos 8, sul cerchio
..
limite corrispondente (p e 0 si annullano contemporaneamente, cosicchà l'asse
della trottola descrive una traiettoria della forma rappresentata nella fig. 4 9 , ~ .
2. Trovare la condizione ner cui la rotazione della trottola intorno all'asse
verticale à stabile.
Soluzione. Poichà per 0 = O gli assi x3 e 7. coincidono, abbiamo My = M^,
E' = 0. La rotazione intorno a questo asse sarà stabile se i l valore 9 = 0 corri-
sponde a l minimo della funzione U e f f (6). Per valori piccoli di 6 si ha:
MOTO DEI CORPI SOLIDI

d a cui ricaviamo la condizione M i > 4Zipg1, ossia

3. Determinare il moto di una trottola nel caso in cui l'energia cinetica


edella sua rotazione propria sia grande rispetto all'energia nel campo di gravitÃ
(la cosiddetta trottola à veloce È)
Soluzione. In prima approssimazio- )ifiilrer
ne, se si trascura il campo di gravitÃ
si produce una precessione libera del-
l'asse della trottola intorno alla direzione , ..-.
- ..
del momento M (corrispondente nel no- , ' \
stro caso alla nutazione della trottola); / \
I
questa recessione avviene, conforme-
t e alla (33.51, con velocità angolare Jfinut
----L---,'/

In seconda approssimazione, appare \


una lenta precessione del momento M
intorno alla verticale (fig. 50). Per deter-
minare la velocità di questa precessione
lenta, calcoliamo la media dell'equazione
esatta del moto (34,3) per un periodo
della nutazione
Fig. 50

Il momento delle forze di gravità agenti sulla trottola à K = ui [ngg],dove


m, Ã un versore diretto come l'asse della trottola. Da considerazioni di simmetria e
evidente che i l calcolo della media K su un à cono di nutazione à si riduce alla
sostituzione del vettore n, con la sua roiezione cos a -M/M sulla direzione di M
essendo i. l'angolo tra M e l'asse d e l i trottola). Si ottiene quindi l'equazione

Essa mostra che il vettore M subisce una precessione intorno alla direzione di
g (verticale) con velocith angolare media
a
f"nr= - p1 cos
M g

(piccola in confronto a Qnut).


Nell'approssimazione considerata, le grandezze M e cos a facenti parte delle
formule ( I ) e (2) sono costanti (benchÃnon siano, a termine di rigore, integrali
del moto). Esse sono legate, con la stessa approssimazione, alle grandezze stret-
tamente conservative E ed M, dalle relazioni
172 CAPITOLO SESTO

<y 36. Equazioni di Euleru


Le equazioni del moto scritte nel $ 3 4 si riferiscono a un sistema
di coordinate immobile: le derivate dP/dt e dM/dt nelle equazioni
(34,l) e (34,3) rappresentano le variazioni dei vettori P ed M rispetto
a questo sistema. Esiste perà un sistema mobile, con gli assi coordina-
t i diretti lungo gli assi principali d'inerzia, nel quale h a luogo una
relazione molto semplide tra le componenti del momento rotaziona-
le M del solido e quelle della velocità angolare. Per poter utilizzare
questa relazione à necessario scrivere preliminarmente le equazioni
del moto in un sistema mobile di coordinate xl, xi, x3.
Sia dA/dt la variazione istantanea d i u n vettore A rispetto a l
sistema d i coordinate'immobile. Se i n u n sistema rotante il vettore
A non cambia, l a sua variazione rispetto a l sistema immobile à gene-
rata unicamente dalla rotazione; si h a dunque

(vedi $ 9 dove abbiamo dimostrato che le formule del tipo (9,l) e


(9,2) sono valide per qualsiasi vettore). Nel caso generale, a l secondo
membro di questa uguaglianza bisogna aggiungere la variazione
istantanea del vettore A rispetto a l sistema mobile; indicando questa
variazione con dlA/dt, si ottiene:

Questa formula ci permette immediatamente di scrivere le equa-


zioni (34,1) e (34,3) nella forma

-+
d'P
dt
[QP] = F ,
l
d'M + [QM] = K.
-dt

Poichà la derivazione rispetto a l tempo à fatta qui nel sistema d i


coordinate mobile, possiamo proiettare direttamente le equazioni
sugli assi d i questo sistema scrivendo

dove gli indici 1, 2, 3 esprimono le componenti rispetto agli assi xl,


x2,x3. Sostituendo poi P con pV, otteniamo:
MOTO DEI CORPI SOLIDI 173

Partendo dall'ipotesi che gli assi scelti x,, xÈx 3 coincidano con gli
assi principali d'inerzia e ponendo nella seconda delle equazioni
(36,2) Mi = IIQi, ecc., otteniamo:

Le equazioni (36,4) si chiamano equazioni di Eulero.


Per la rotazione libera, K = O, cosicchà le equazioni d i Eulero
assumono la forma
I3-I2 Q Q -0
-d-
t+T 2 3- 7

Applichiamo, a titolo d'esempio, queste equazioni alla rotazione


libera, che giÃabbiamo considerato sopra, d i una trottola simmetrica.
Posto Il = 12,abbiamo dalla terza equazione Q. = O, cioà Q, =
costante. Scriviamo poi le prime due equazioni nella forma
hi= -wQ2 !i2=(u£2,
dove
a=Q3^71- (36'6)
^i

à una grandezza costante. Moltiplicando la seconda equazione per


i e son~mandolaalla prima, otteniamo:
-
d
dt
(Qi + if"^ = i a (Qi + i&),
da cui
ai+i^^ Aeiut,
dove A à una costante che si puà considerare reale (con una scelta
adeguata dell'origine dei tempi); abbiamo allora
C& = A cos (ut, £2 = A sen cot. (36,7)
Questo risultato mostra che la proiezione della velocità angolare
su un piano perpendicolare all'asse della trottola ruota in questo
piano con una velocità angolare (A, restando perà costante in gran-
dezza (Vf":+ f";2 = A ) . Poichà anche la proiezione sull'asse
della trottola resta costante, concludiamo che tutto i l vettore ti
174 CAPITOLO SESTO

deve ruotare uniformemente intorno all'asse della trottola con una


velocità angolare m, mantenendo perà costante la sua grandezza.
Tenendo presente che le componenti dei vettori Q ed M sono legate
dalle relazioni = Il% M, = I & , M 3 = AQy,Ã evidente che
anche il vettore momento M Ã animato dallo stesso moto (rispetto
all'asse della trottola).
I l risultato ottenuto non à che u n altro aspetto del moto della
trottola, già studiato nei $8 33 e 35, rispetto ad un sistema d i coor-
dinate immobile. I n particolare, la velocità angolare di rotazione del
vettore M (asse Z nella fig. 48) intorno alla direzione coincide,
in termini degli angoli di Eulero, con l a velocità angolare -I).
Le equazioni (35,4) ci danno:

ossia
-$=Q3- fa- 11
fi '
il che concorde con la (36,6).

5 37. Trottola asimmetrica


Applichiamo le equazioni d i Eulero a l problema piii complesso
della rotazione libera d i una trottola asimmetrica i cui tre momenti
d'inerzia sono t u t t i differenti. Per fissare le idee supponiamo
1 3 > I2 > 11- (37,l)
Due integrali delle equazioni d i Eulero sono noti a priori. Essi
esprimono le leggi d i conservazione dell'e~ergiae del momento e sono
dati dalle uguaglianze
IiQf +W ,+ 9 2E,
(37'2)
I^ + IiL'i + IiL':,,= M 2 ,
dove l'energia E e i l valore assoluto M del momento sono costanti
date. Queste stesse uguaglianze, espresse mediante le componenti
del vettore M, assumono la forma

Mi+ Mi+M;= M'. (37'4)


Da queste relazioni si puà giÃtrarre qualche conclusione sul carat-
tere del moto della trottola. Osserviamo a questo proposito che geo-
metricamente le equazioni (37,3) e (37,4) si presentano, rispetto agli
MOTO DEI CORPI SOLIDI 175

assi W , M s , &, rispettivamente, come equazioni della superficie


di un ellissoide di semiassi
m,,y 2 E 1 2 , v2E13
e di una superficie sferica di raggio M. Al variare del vettore M (ri-
spetto agli assi d'inerzia della trottola) il suo estremo si muove lungo
la linea d'intersczione delle superfici indicate sopra (la figura 51

Fig. 51

rappresenta u n certo numero d i linee d i intersezione di un ellissoide


con sfere di diverso raggio). L'esistenza stessa dell'intersezione à as-
sicurata dalle ovvie disuguaglianze

le quali geometricamente significano che il raggio della sfera (37,4)


à compreso tra i l minore e i l maggiore dei semiassi dell'ellissoide
(3793).
Vediamo ora come variano queste à traiettorie à descritte
dell'estremo del vettore M1) a mano a mano che cambia la grandezza
M (per un'energia E data). Quando M"- Ã leggermente maggiore di
2E11, l a sfera interseca l'ellissoide lungo due piccole curve chiuse
che abbracciano l'asse xi in prossimità dei due poli corrispondenti
dell'ellissoide (quando M2 +- 2E11, queste curve si riducono a pun-
t i coincidenti con i poli). Al crescere di M2, le curve si allargano e per
M 2 = 2EIt si trasformano in due curve piane (ellissi) che si inter-
secano nei poli sull'asse xv dell'ellissoide. Crescendo ulteriormente

l) Le curve analoghe descritte dall'estremo del vettore Q si chiamano-polodi~.


1176 CAPITOLO SESTO

M, compaiono nuovamente due traiettorie chiuse distinte, ma che


circondano questa volta i poli sull'asse x3; esse si riducono a questi
Â¥dupunti quando M 2 -+ 2E13.
Osserviamo innanzitutto che i l fatto che le traiettorie siano chiu-
s e significa periodicità della variazione del vettore M rispetto al
corpo della trottola; in un periodo i l vettore M descrive una superficie
(conica, tornando alla posizione d i partenza.
Osserviamo inoltre i l carattere sostanzialmente diverso delle
traiettorie vicine ai diversi poli dell'ellissoide. I n prossimità degli
assi x-,ed x 3 le traiettorie sono disposte interamente intorno a i poli,
mentre quelle, passanti in prossimità dei poli sull'asse x2, si allon-
tanano a distanze sempre maggiori da questi punti. Questa diffe-
renza à dovuta alla differente stabilità della rotazione della trottola
intorno ai suoi tre assi d'inerzia. La rotazione intorno agli assi xl
.ed x 3 (corrispondenti a l maggiore e al minore dei tre momenti d'inerzia
della trottola) Ã stabile nel senso che, per un piccolo spostamento da
questi stati, l a trottola continuerà a compiere un moto vicino a quello
iniziale. Al contrario, la rotazione intorno all'asse x 2 Ã instabile;
sarà cioà sufficiente u n piccolo spostamento per provocare u n moto
che porti l a trottola lontano dalla sua posizione iniziale.
Per determinare la relazione t r a le componenti di f" (o quelle di
M che sono ad esse proporzionali) e il tempo, usiamo le equazioni
d'Eulero (36,5). Esprimiamo ale Q 3 in funzione di Q 2 con l'aiuto
delle due equazioni (37,2) e (37,3)

,e, sostituendo nella seconda delle equazioni (36,5), troviamo:

Separando le variabili in questa equazione ed integrando, otteniamo


una funzione t ( Q 2 ) in forma d i u n integrale ellittico. Per ridurre
quest'ultimo alla forma tipica, poniamo, per fissare le idee.
M2> 2 E I ,
(in caso contrario bisogna scambiare gli indici 1 e 3 in t u t t e le formu-
le che seguono). Introducendo al posto di t e Q 2 le nuove variabili
MOTO DEI CORPI SOLIDI

e i l parametro positivo k2 <l


dato da
(I,-I,) ( ~ E I ~ - M Z )
k== ( I 3 - I$) ( M 2 - 2 E I i ) '
otteniamo:

(Ã opportuno scegliere l'origine dei tempi in modo tale che Q^ = 0).


Invertendo questo integrale, s i ottiene, com'Ã noto, una delle funzioni
ellittiche di Jacobi:
s=snT,
che determina appunto la dipendenza di Q2 dal tempo. Le funzioni
Q1(t) ed % ( t ) si esprimono algebricamente mediante CI2 ( t ) secondo
le uguaglianze (37,6). Prendendo i n considerazione la definizione
delle altre due funzioni ellittiche

otteniamo infine le seguenti formule:

Le funzioni (37,10) sono periodiche; i l loro periodo rispetto alla


variabile T Ã uguale, com'Ã noto, alla grandezza 4 K , dove K Ã l'in-
tegrale ellittico completo di prima specie:

I l periodo rispetto a l tempo viene dunque dato dall'espressione

I11 capo a questo intervallo di tempo i l vettore Q torna alla sua


posizione iniziale rispetto all'asse della trottola. (La trottola perÃ
non torna affatto alla sua posizione iniziale rispetto al sistema di
coordinate immobile; vedi piii avanti).
Per Il = I, le formule (37,10) coincidono evidentemente con le
formule ottenute nel paragrafo precedente per la trottola simmetrica.
Infatti, per Il -+ I 2 il parametro k2 -+O e le funzioni ellittiche dege-
178 CAPITOLO SESTO

nerano in funzioni circolari


sn T-+ sen T, cn T + cos T, dn T+ 1,
e ritrovano le formule (36,7).
Per W = 2E13 si ha: Qi = Q2 = O, Q 3 = costante, cioà il
vettore Ã- Ã costantemente diretto lungo l'asse d'inerzia x3; questo
caso corrisponde ad una rotazione uniforme della trottola intorno
all'asse x3. Analogamente, per M2 = 2EIi (quando T 0) si ha una
rotazione uniforme intorno all'asse xi.
Determiniamo ora il moto assoluto della trottola nello spazio
in funzione del tempo (assoluto rispetto al sistema immobile di coor-
dinate X, Y, 2). Introduciamo a questo scopo gli angoli d'Eulero
ip, (p, 6 tra gli assi della trottola q , x,, x3 e gli assi X, Y, 2, fa-
cendo coincidere l'asse fisso Z con la direzione del vettore costante
M. Poichà l'angolo polare e l'azimut della direzione di Z rispetto
agli assi xi, x,, x, sono uguali a 6 e -
TI
2
- 9, rispettivamente
(vedi nota alla pag. 167), proiettando il vettore M sugli assi xl, x2,
x3 si ottiene:
M sen 6 sen il; = Mi = Iif"i,
M sen O cos il; = M, = IcQ2, (37,131
M cos 6 = M 3 =
Di qui
cose=- IsQ3 AQi
M ' Q$=- AQ2 ' (37914)
e, tenendo conto delle formule (37,10), troviamo:
i3(M'-2EI
cos 6 = dnr,
M 2(13-fi)
(37'15)
h (Zs--/'2) E
1,(Za-zi) SUT '
Queste relazioni determinano la dipendenza dal tempo degli angoli
6 e il; che sono, con le componenti del vettore Q, funzioni periodiche
con periodo dato dalla (37,12).
L'angolo cp non entra nelle formule (37,13); per calcolarlo, biso-
gna ricorrere alle formule (35,l) che esprimono le componenti di Q
attraverso le derivate degli angoli euleriani rispetto al tempo. Eli-
minando 8 dalle uguaglianze:

Qg == (psen6cosil;-O seni^,
otteniamo:
-
10 =
Qisenil)+Q2cosil)
san 0 Ã
MOTO DEI CORPI SOLIDI 179

utilizzando inoltre le formule (37,13), troviamo:

I n questo modo l a funzione (p (t) viene determinata da una quadratu-


ra, ma l'espressione integranda contiene funzioni ellittiche in forma
complicata. Con una serie di trasformazioni abbastanza complicata
questo integrale puà essere espresso mediante le cosiddette à funzioni
theta P; tralasciando t u t t i i calcoli, diamo qui solo il risultato
finale l ) .
La funzione (C (t) puà essere rappresentata (a meno di una costante
additiva arbitraria) sotto forma d i una somma d i due termini
(C ( 4 = (Ci (O +
(Da (09 (37,17)
uno dei quali à dato dalla formula
2t
f43i ( p u )
e2i<pi(~)= (37'18)
(++ia ) '
dove à una funzione theta, ed a una costante reale definita dal-
l'uguaglianza

[ K e T sono d a t i dalle (37,ll) e (37,12)1. La funzione nel secondo


membro della (37,18) Ã periodica con un periodo uguale a T/2; quin-
di cpi ( t ) varia d i 2n nell'inrervalo d i tempo T. I l secondo termine
della (37'17) Ã dato dalla formula

Questa funzione subisce un incremento di 2n nel tempo T'. Cosi i l


moto, per quanto riguarda l'angolo (p, rappresenta un insieme di due
variazioni periodiche; uno dei periodi (T) coincide con il periodo d i
+
variazione degli angoli e 9, e l'altro (T') Ã incommensurabile con
il primo. Quest'ultima circostanza fa si che la trottola durante il
suo moto non torna alla sua posizione iniziale.

PROBLEMI
1. Determinare la rotazione libera di una trottola intorno ad un asse vicino
all'asse d'inerzia xy (oppure x d .
Soluzione. Supponiamo l'asse xy vicino alla direzione di M. Le componenti
M-, ed M. sono allora piccole e la componente M , ^s M (a meno di infinitesimi

i) Per questi si puà vedere E. T. W h i t t a k e r, A Treatise on the Ana-


l i t i c a i Dynarnics (Dover, New York, 1944), cap. IV.
180 CAPITOLO SESTO

del primo ordine). Con la stessa approssimazione, le prime due equazioni di


Eulero (36,s) si scrivono nella forma

dove abbiamo introdotto la costante Q,, = m. Seguendo la regola generale,


cerchiamo per M, ed M, una soluzione proporzionale ad ei^, ed otteniamo per
la frequenza (D i l valore

Per le grandezze ed M. otteniamo

dove a à una costante arbitraria piccola. Queste formule determinano i l moto


del vettore M relativamente alla trottola; nella costruzione della fig. 51
l'estremo del vettore M descrive (con frequenza W) una piccola ellisse intorno
al polo giacente sull'asse x3.
Per determinare il moto assoluto della trottola nello spazio, bisogna deter-
minare gli angoli euleriani. Nel nostro caso, l'angolo d'inclinazione 0 dell'asse
sull'asse Z (direzione di M) Ã piccolo, e secondo le formule (37,14) abbiamo

sostituendo la (2), troviamo

Per calcolare l'angolo cp, notiamo che, secondo la terza delle formule (35.1)
per 6 <C 1 abbiamo:

(la costante d'integrazione à omessa).


Per avere un'idea pi6 concreta del moto della trottola, bisogna osservare
direttamente la variazione delle direzioni dei suoi tre assi d'inerzia (indichiamo
con nl, nçn3 i versori relativi a questi tre assi). I versori nl ed n; ruotano
uniformemente con la frequenza Q, nel piano XY, subendo nel frattempo piccole
oscillazioni trasversali di frequenza or, queste oscillazioni sono definite dalle
componenti su Z dei versori, in questione, per le quali abbiamo:
MOTO DEI CORPI SOLIDI 181

Per i l versore n3 con la stessa approssimazione abbiamo:


nsx = 0 sen (p, nsy ^: -0 cos (p, n3; ss; 1
(l'angolo polare e l'azimut della direzione di n3 rispetto agli assi X , Y , Z sono
TI
uguali a 0 e (p - -; vedi nota alla pag. 167). Utilizzando le formule (37,13)
2
possiamo scrivere
nsx = 0 sen (Bot -ij?) =^ 0 sen Qot cos $- 0 cos Oot sen +I ==

-a /*-l cos Qot cos coi,


ossia

++ ( y^-1-/^-l) cos (Qo-" i.


Analogamente troviamo:

n3,=-^ 2 o/^-I+)/+-I) sen (Qo+@).+

++(/+-I-^-<) sen (QO-W) te

Dall'ultima formula si vede che i l moto del versore n-,rappresenta una


sovrapposizione di due rotazioni di frequenze (Q,, co) intorno all'asse 2.
2. Determinare la rotazione libera di una trottola per M 2 = 2 E I v .
Soluzione. Nella costruzione della fig. 51, questo caso corrisponde allo
spostamento dell'estremità del vettore M su una curva passante per un polo
sull'asse x2.
L'equazione (37,7) assume la forma

dove abbiamo posto Q, = M / I f = 2 E / M . Integrando questa equazione ed


utilizzando poi e formule (37,6), otteniamo:

Per descrivere i l moto assoluto della trottola, introduciamo gli angoli


euleriani, definendo 0 come l'angolo formato dall'asse Z (direzione di M) con
l'asse d'inerzia x, della trottola (e non x,,come nel testo). Nelle formule (37,14)
e (37,16) che stabiliscono la relazione tra le componenti del vettore Q e gli angoli
182 CAPITOLO SESTO

di Eulero, bisogna eseguire la permutazione ciclica degli indici 1 2 3 4 3 1 2 .


Sostituendo poi in queste formule le espressioni (l), otteniamo:

Dalle formule ottenute risulta che la direzione del vettore fi tende asinto-
ticamente (per t 0 0 ) verso l'asse x o , il quale, a sua volta, tende asintoticamente
Ñ>

verso l'asse fisso 7.

$, 38. Contatto f r a i corpi solidi

Dalle equazioni del moto (34,l) e (34,3) risulta evidente che per
determinare le condizioni d'equilibrio di un corpo solido à sufficiente
annullare la forza totale e il momento totale delle forze agenti
su di esso:

La sommatoria à estesa a t u t t e le forze esterne applicate a l corpo,


ed r rappresenta i raggi vettori dei à punti d'applicazione à d i queste
forze; i l punto (origine delle coordinate), relativamente a l quale sono
definiti i momenti, puà essere scelto arbitrariamente: per F = O,
il valore d i K non dipende d a questa scelta [cfr. (34,5)1.
Considerando un sistema di corpi solidi in contatto gli uni con
gli altri, si h a l'equilibrio quando le condizioni (38,1) sono soddisfat-
te per ciascun corpo separatamente. Fra le forze vanno incluse
anche quelle agenti sul corpo dato d a parte degli altri corpi in
contatto con esso. I punti d i applicazione d i queste forze coincidono
con i punti di contatto dei corpi e si chiamano forze di reazione.
evidente che per ciascuna coppia di corpi, le loro forze reciproche
di reazione sono uguali in modulo ed opposte i n direzione.
Nel caso generale, i moduli e le direzioni delle reazioni vengono
determinati risolvendo i l sistema di equazioni d'equilibrio (38,1),
compatibile per t u t t i i corpi. I n alcuni casi, però l a direzione
delle forze d i reazione à data dalle condizioni stesse del problema.
Per esempio, se due corpi possono strisciare liberamente l'uno sulla
superficie dell'altro, le loro forze d i reazione sono dirette secondo l a
normale a questa superficie.
Se i corpi a contatto si muovono l'uno rispetto all'altro, oltre
alle forze d i reazione, compaiono anche forze di carattere dissipativo,
ossia le forze d'attrito.
Per i corpi a contatto sono ossib bili i due tipi d i moto: striscia-
mento e rotolamento. Nello strisciamento le reazioni sono perpendico-
lari alle superfici di contatto, mentre le forze d'attrito sono dirette
secondo le tangenti a queste superfici.
MOTO DEI CORPI SOLIDI 183

I l puro rotolamento à caratterizzato dal fatto che nei punti di


contatto manca moto relativo dei corpi; i n altri termini, per il corpo
rotolante à come se, in ogni istante, i l punto di contatto fosse un
punto fisso. Le direzioni delle forze di reazione sono i n questo
caso arbitrarie, cioà non sono necessariamente normali alle
superfici di contatto. L'attrito, invece, nel rotolamento appare come
una coppia supplementare che si oppone a l rotolamento stesso.
Se nel caso dello strisciamento l'attrito à insignificante da poter
essere completamente trascurato, le superfici dei corpi sono dette
perfettamente lisce. Viceversa, se le proprietà della superficie ammet-
tono solo un rotolamento puro dei corpi senza strisciamento, e nel
rotolamento l'attrito puà essere trascurato, le superfici sono dette
perfettamente ruvide.
In entrambi i casi le forze d'attrito non figurano esplicitamente
nel problema del moto dei corpi, e quindi i l problema à puramen-
t e meccanico. Se invece le proprietà concrete dell'attrito assumono
un'importanza sostanziale, il moto perde i l carattere d i un processo
puramente meccanico (cfr. $ 25).
I l fatto che i corpi siano a contatto diminuisce il numero dei loro
gradi di libertà in confronto con quelli che avrebbero nel caso di moto
libero. Studiando problemi di questo genere, abbiamo finora tenuto
conto di questa circostanza introducendo coordinate direttamente cor-
rispondenti a l numero effettivo d i gradi d i libertà Nel rotolamento
dei corpi, però tale scelta delle coordinate puà risultare impossibile.
La condizione cui deve soddisfare i l moto dei corpi nel rotola-
mento consiste nell'uguaglianza delle velocità dei punti d i contatto
(cosi, per un corpo rotolante su una superficie fissa, l a velocità del
punto di contatto deve essere uguale a zero). Nel caso generale questa
condizione si esprime mediante equazioni dei vincoli del tipo

dove cy,i sono funzioni delle sole coordinate (a à l'indice che enu-
mera le equazioni dei vincoli). Se i primi membri delle uguaglianze
non sono derivate totali rispetto a l tempo d i funzioni delle coordi-
nate, queste equazioni non si possono integrare. I n altri termini,
non à possibile trasformarle i n relazioni t r a le sole coordinate,
mediante le quali si potrebbe esprimere l a posizione dei corpi con
un minor numero d i coordinate, in corrispondenza con il reale numero
di gradi di libertà Tali vincoli sono detti anolonomi (contrariamente
a i vincoli detti olonomi che legano solo le coordinate del sistema).
Consideriamo, ad esempio, i l rotolamento di una sfera su una su-
perficie piana. Come al solito, indichiamo con V la velocità del moto
traslatorio (velocità del centro della sfera), e con f" la velocità ango-
lare della sua rotazione. La velocità del punto di contatto della
sfera con i l piano si ottiene ponendo r = -an nella formula generale
184 CAPITOLO SESTO

v =V +[Qt] (dove a à il raggio della sfera, n i l vettore unitario


della normale a l piano di rotolamento nel punto di contatto). I l vin-
colo cercato à espresso dalla condizione d i assenza di strisciamento
nel punto d i contatto, cioà à dato dall'eqnazione

Questa equazione non à integrabile: sebbene la velocità V sia la de-


rivata totale rispetto a l tempo del raggio vettore del centro della
sfera, la velocità angolare non à invece generalmente la derivata tota-
le di una delle coordinate. In t a l modo, i l vincolo (38.3) Ã anolonomol).
Poichà non à possibile utilizzare le equazioni dei vincoli anolono-
mi per ridurre i l numero delle coordinate, si debbono inevitabil-
mente introdurre, se tali vincoli esistono, delle coordinate non tutte
indipendenti. Per trovare le corrispondenti equazioni d i Lagrange,
ricorriamo a l principio di minima azione.
La presenza d i vincoli del tipo (38,2) impone determinate restri-
zioni ai possibili valori delle variazioni delle coordinate. Moltipli-
cando queste equazioni per 6 t , troviamo che le variazioni 6qi non
sono indipendenti, bensi legate dalle relazioni

Di questa circostanza occorre tener conto nel fare la variazione del-


l'azione. Secondo i l metodo generale di Lagrange per trovare le con-
dizioni di estremo, all'espressione integranda della variazione del-
l'azione

bisogna aggiungere le equazioni (38,4) moltiplicate per i fattori inde-


terminati Ë (funzioni delle coordinate), e porre quindi l'integrale
uguale a zero. Considerando t u t t e le variazioni 60; indipendenti si
ottengono le equazioni

Con le equazioni dei vincoli (38,2), esse costituiscono un sistema di


equazioni completo rispetto alle incognite qi e La.
Nel metodo esposto le forze di reazione generalmente non inter-
vengono; i l contatto dei corpi à interamente descritto dalle equazioni
dei vincoli. Tuttavia, per stabilire le equazioni del moto dei corpi a
l) Notiamo che per i l rotolamento di un cilindro un tale vincolo sarebbe
olonomo. I n questo caso, l'asse di rotazione conserva una direzione costante
nello spazio, e di conseguenza, f" = d&t à la derivata totale dell'angolo
di rotazione cp del cilindro intorno al suo asse. La relazione (38,3) Ã allora inte-
grabile e dà la relazione tra la coordinata del centro di massa e l'angolo q>.
MOTO DEI CORPI SOLIDI 185

contatto, esiste u n altro metodo nel quale si introducono esplicita-


mente le forze di reazione. Secondo questo metodo (che costituisce i l
contenuto del principio di D'Alembert) per ciascuno dei corpi a con-
tatto si scrivono le equazioni

dove nell'insieme delle forze f che agiscono sul corpo, sono comprese
anche le forze d i reazione; queste forze non sono note a priori e ven-
gono determinate contemporaneamente con il moto del corpo, a so-
luzione delle equazioni ottenute. Questo metodo à ugualmente appli-
cabile sia nel caso di vincoli olonomi che in quello di vincoli anolo-
nomi.
PROBLEMI
1. Applicando i l principio di D'Alembert, trovare le equazioni del moto
di una sfera omogenea rotolante su un piano sotto l'azione di una forza esterna
F e di un momento di forze K.
Soluzione. L'equazione dei vincoli (38,3) à data già nel testo. Introducendo-
la forza di reazione (che indichiamo con R), applicata nel punto di contatto
della sfera con i l piano, scriviamo le equazioni (38,6):

(qui à stato preso i n considerazione che P = pV e che per una trottola sferica
M = 70).Derivando l'equazione dei vincoli (38,3) rispetto a l tempo, si ottiene:
V = a [fin].
Sostituendo questo valore nell'equazione (1) ed eliminando 6 con l'aiuto della
(2), si trova l'equazione
I
- (F+R)= [ K n l - a R + a n (nR),
aP
che lega la forza di reazione con F e K. Passando alle componenti e ponen-
2
do I = -pa2 (vedi problema 2,b, 5 32), abbiamo:
5

(dove i l piano x, y à stato scelto come piano d i rotolamento). Infine, riportando


queste espressioni nella ( i ) , otteniamo l e equazioni del moto che già contengono-
soltanto la forza esterna e i l momento dati:

Le componenti Qx, Q della velocità angolare si esprimono i n funzione di Vv


e Vu con l'aiuto dellYequazione dei vincoli (38,3), e per Q, si ha:

[componente z dell'equazione (2)].


186 CAPITOLO SESTO

2. Un'asta omogenea'BD di peso P e di lunghezza I Ã appoggiata ad una


parete (fig. 52); la sua estremità inferiore B à tenuta dal filo A B . Determinare
le reazioni degli appoggi e la tensione del filo.
Soluzione. Il peso dell'asta puà essere
rappresentato come una forza P applicata nel
suo punto medio e diretta verticalmente verso
i l basso. Le forze di reazione Rs ed R a sono
dirette rispettivamente verso l'alto e per endi-
colarmente all'asta: la tensione T def filo
à diretta da B ad A . La soluzione delle equa-
zioni d'equilibrio dÃ

3. Un'asta A B di peso P poggia le sue


estremità su un piano orizzontale e su un piano
verticale (fig. 53), ed à tenuta in questa posizione
da due fili orizzontali A D e BC; il filo BC si
A trova nel piano verticale passante per l'asta
A B . Determinare la reazione degli appoggi e
le tensioni dei fili.
Fig. 52 Soluzione. Le tensioni T A e T B dei fili sono
dirette da A a D e da B a C. Le reazioni R A
ed R n sono perpendicolari ai piani corrispondenti. La soluzione delle
equazioni d'equilibrio d i :
D
RB=P, Ts =-r2 c t g a , R A = T a senp, T A Z T ~cos p.
4. Due aste di lunghezza I sono congiunte, in alto, a cerniera e sono
collegate, i n basso, da un filo A B (fig. 54). Nel punto di mezzo di una delle

Fig. 53

aste à applicata una forza F (il peso delle sbarre à trascurato). Determinare
le forze di reazione.
Soluzione. La tensione T del filo agisce nel punto A da A verso B ,
e nel puntoB da B verso A . Le reazioni R A ed R B nei punti A e B sono
MOTO DEI CORPI SOLIDI 187

perpendicolari a l piano d'appoggio. Indichiamo con Rc la forza di reazione


agente sull'asta A C in corrispondenza della cerniera; sull'asta BC agisce
allora una forza di reazione -Rc. Annul-
lando la somma dei momenti delle forze
Un, T e -RC agenti sull'asta B C trovia-
mo che il vettore Rc risulta diretto lungo
^\
\
BC. Le altre condizioni d'equilibrio (per
ciascuna delle aste) ci danno i valori
3 F
RA=-F, R --,
4 B- 4
F 1
RC = - T = - c t g a ,
4sena ' 4
dove a à l'angolo CAB.

$ 39. Moto i n un sistema di


riferimento non inerziale
A B
Finora abbiamo studiato il moto d i
un sistema meccanico qualunque, Fig. 54
relativamente sempre ad un sistema d i
riferimento inerziale. Soltanto in un sistema inerziale infatti la
funzione d i Lagrange, per esempio, d i una particella in un campo
esterno h a la forma
mvg
Lo= T -u, (39'1)
e l'equazione del moto si pu6 scrivere:

(in questo paragrafo indicheremo con l'indice O le grandezze riferite


a un sistema inerziale).
Vediamo ora quale forma assumono le equazioni del moto di una
particella in u n sistema di riferimento non inerziale. Come punto di
partenza per risolvere questo problema ricorreremo ancora a l prin-
cipio d i minima azione, l a cui applicabilità non à limitata in
alcuno modo dalla scelta del sistema d i riferimento; restano valide
inoltre anche le equazioni d i Lagrange

Tuttavia, la funzione di Lagrange non h a piti la forma (39,1)


e per trovarla à necessario eseguire sulla funzione L,, una trasforma-
zione appropriata.
Facciamo questa trasformazione in due tempi. Consideriamo in
un primo momento un sistema di riferimento K', animato da un moto
traslatorio con una velocitÃV (t) rispetto ad u n sistema inerziale K,,.
Le velocità v. e v' di una particella relativamente ai sistemi K o e
188 CAPITOLO SESTO

K' sono legate dalla relazione


v,, = v + v (t).
Sostituendo questa espressione nella (39,1), otteniamo la funzione di
Lagrange nel sistema K':

Poichà V2 (t) à una data funzione del tempo, che puo essere rappre-
sentata come la derivata totale rispetto a t di un'altra funzione,
si puà quindi nell'espressione ottenuta omettere il terzo termine.
D'altra parte, v' = drt/dt, dove r' Ã il raggio vettore della particella
nel sistema di coordinate K ; si ha dunque
= L( m v r ' ) -mr' T .
dr' dV
mV ( t )V' = mV -
dt dt

Sostituendo questo valore nella funzione di Lagrange ed omettendo


nuovamente la derivata totale rispetto a l tempo, si ottiene

dove W = d V / d t à l'accelerazione del moto traslatorio del sistema K'.


Con l a (39,4) otteniamo l'equazione di Lagrange
dir' 9U
m-----
dt - 9r'
mW (t).
Si vede dunque che dal punto d i vista della sua influenza sull'e-
quazione del moto della ~ a r t i c e l l a , il moto traslatorio accelerato
del sistema di riferimento à equivalente] ad un campo d i forze uni-
forme; la forza agente in questo campo à uguale a l prodotto della
massa della particella per l'accelerazione W e diretta in senso
opposto a questa accelerazione.
Introduciamo ora un altro sistema d i riferimento K avente l'ori-
gine in comune con K', m a animato, rispetto a quest'ultimo, da
un moto rotazionale con una velocità angolare Q ( t ) ; rispetto a l
sistema inerziale K,,, il sistema K compie sia una rotazione che una
traslazione.
La velocità v' della particella rispetto a l sistema K' à composta
della sua velocità v relativa a l sistema K e della velocità [ B r ] della
sua rotazione con il sistema K:
v' = v + [Br]
(i raggi vettori r ed r' della particella nei sistemi K e K' coincidono).
Sostituendo questa espressione nella funzione di Lagrange (39,4),
etteniamo:
MOTO DEI CORPI SOLIDI 189

Questa à la forma generale della funzione d i Lagrange della par-


ticella in un sistema d i riferimento qualunque, non inerziale. Notia-
mo che la rotazione del sistema d i riferimento introduce nella funzio-
ne d i Lagrange un termine di tipo del t u t t o particolare, lineare
rispetto alla velocità della particella.
Per calcolare le derivate facenti parte dell'equazione d i Lagrange,
scriviamo i l differenziale totale:
dL=mvdv+mdv[Qr}+mv[Qdr] + m [Qr] [QdrJ-

+ m [[Qr] Ql dr- wW dr
au dr.

Riunendo i termini contenenti dv e dr, troviamo:

Sostituendo queste espressioni nella (39'2)' troviamo l'equazione


del moto cercata:

Dall'equazione trovata si vede che le à forze d'inerzia à generate


dalla rotazione del sistema di riferimento constano d i tre termini.
La forza m [rQl à dovuta alla non uniformità della rotazione, mentre
le altre due esistono anche nella rotazione uniforme. Si chiama
2 m [vQl forza di Coriolis; a differenza d i t u t t e le forze (non dissi-
pative) che abbiamo esaminato finora, essa dipende dalla velocitÃ
della particella. La forza m [Q [riill à detta centrifuga. Essa giace
nel piano definito da r ed i" ed à perpendicolare all'asse d i rotazione
(cioà alla direzione di i") diretta verso l'esterno; il valore della forza
centrifuga à uguale a m p V , dove p à l a distanza della particella
dall'asse d i rotazione.
Consideriamo a parte i l caso di un sistema d i coordinate animato
da una rotazione uniforme, senza moto traslatorio accelerato. Po-
nendo nella (39,6) e (39,7) S" = costante, W = O, otteniamo la
funzione di Lagrange

e l'equazione del moto


dv --au
m-=
di 9r + 2m [va1+m [Q [rQl}. (39,9)
190 CAPITOLO SESTO

Calcoliamo per questo caso anche l'energia della particella. Po-


nendo

nell'uguaglianza E = pv - L, otteniamo:
Osserviamo che nell'espressione dell'energia non compare il termine
lineare rispetto alla velocità L'influenza della rotazione del sistema
di riferimento si manifesta in un termine supplementare nell'energia,
termine che dipende soltanto dalle coordinate della particella e che
à proporzionale al quadrato della velocità angolare. Questa energia
potenziale supplementare - m [Qrl à detta energia centrifuga.
La velocità v della particella rispetto al sistema di riferimento
animato da una rotazione uniforme à legata alla sua velocità v0
rispetto al sistema inerziale K o dalla relazione:

da cui à evidente che l'impulso p (39,iO) della particella nel sistema


K coincide con il suo impulso p. = mvo nel sistema Ko.Coincidono
anche i momenti angolari M. = Irp,,led M = Irpl. Le energie della
particella nei sistemi K e K,, sono invece differenti. Sostituendo v
dalla (39,12) nella (39,11), otteniamo:

I primi due termini rappresentano l'energia E. nel sistema Ko.In-


troducendo nell'ultimo termine i l momento angolare, avremo:
E = E. - MQ. (39,131
Questa formula dà la legge di trasformazione dell'energia nel
passaggio a un sistema di coordinate animato da una rotazione
uniforme. Sebbene questa formula sia stata stabilita per una sola
particella, à perà evidente, che i l procedimento, applicato al caso
pifi generale di un sistema qualsiasi di particelle, portà sempre alla
formula (39,13).

PROBLEMI
1. Trovare la deviazione dalla verticale provocata dalla rotazione della
Terra della libera caduta di un grave. (Considerare piccola la velocità ango-
lare di rotazione).
Soluzione. Nel campo di gravità U = -mgr, dove g à il vettore accelera-
zione della forza di gravità trascurando nell'equazione (39,9) la forza centri-
fuga che contiene il quadrato di Q, otteniamo l'equazione del moto nella.
MOTO DEI CORPI SOLIDI

forma

Risolviamo questa equazione per approssimazioni successive. Poniamo


a tale scopo v = v,+ v,, dove v, Ã la soluzione dell'equazione vi = g, cioÃ
v l = gt+ v. (vo velocità iniziale). Sostituendo v = v,
sciando a destra soltanto v,, otteniamo per v, l'equazione
+
v, nella ( 1 ) e la-

vg = 2 [ v ~ Q=
] 2t [gQ] +2 [v~Q].
L'integrazione dÃ

dove h à il vettore della posizione iniziale della particella.


Orientando l'asse z verticalmente verso l'alto e l'asse x lungo il meridiano-
verso il polo, si ha
^=gy=O, g z = -g; Q x = Q c o s ) i , Q y = 0 , Q z = Q s e n X ,
dove A Ã la latitudine (nord, per fissare le idee). Ponendo nella ( 2 ) v0 = O ,
troviamo

Sostituendo qui il tempo di caduta t w troviamo infine

(il valore negativo per y corrisponde ad uno spostamento verso est).


2. Determinare la deviazione dal piano per un corpo lanciato dalla super-
ficie della Terra con una velocità iniziale v0.
Soluzione. Scegliamo il piano xz in modo tale che esso conten
ga
"O. L'a1tezza
iniziale à h = 0. Per la deviazione laterale, l'equazione ( 2 ) de problema 1 ci
da

ossia, sostituendo i l tempo di ascesa t w 2r&:

3. Determinare l'effetto della rotazione della Terra sulle piccole oscil-


lazioni di un pendolo (pendolo di Foucault).
Soluzione. Trascurando lo spostamento verticale del pendolo come infi-
nitesimo del secondo ordine, si puà considerare che i l moto avvenga nel piano
orizzontale xy. Omettendo i termini contenenti LP, scriviamo le equazioni del
moto nella forma

dove co à la frequenza. delle oscillazioni del pendolo senza tener conto della
rotazione della Terra. Moltiplicando la seconda equazione per i e sommando
alla prima, otteniamo un'unica equazione
192 CAPITOLO SESTO

per la grandezza complessa


equazione e:
E =x + iy. Per Q* < (D la soluzione di questa

dove le funzioni xo ( t ) ed yo ( t ) danno la traiettoria del pendolo senza tener


conto della rotazione della Terra. L'effetto di questa rotazione si riduce quin-
di a una rotazione della traiettoria intorno alla verticale con velocitÃangolare Q..
Capitolo VI1

EQUAZIONI CANONICHE

$ 40. Equazioni di Hamilton


La formulazione delle leggi della meccanica mediante l a funzione
di Lagrange (e delle equazioni di Lagrange che da essa possono essere
dedotte) presuppone l a descrizione dello stato meccanico di un siste-
ma mediante l'assegnazione delle coordinate e delle velocità gene-
ralizzate. Questo metodo non à perà l'unico possibile. La descrizione
dello stato del sistema mediante le sue coordinate e i suoi impulsi
generalizzati presenta, soprattutto nello studio di diversi problemi
generali della meccanica, una serie d i vantaggi. Sorge allora i l
problema della ricerca delle equazioni del moto che corrispondano
a questa nuova formulazione della meccanica.
Il passaggio d a u n insieme di variabili indipendenti ad u n altro
puà essere fatto mediante una trasformazione, nota in matematica
sotto i l nome di trasformazione di Legendre. Nel nostro caso questa
trasformazione prende l a forma seguente.
I l differenziale totale della funzione d i Lagrange come funzione
delle coordinate e delle velocità Ã

Questa espressione si puà scrivere nella forma

essendo le derivate d ~ / d ~per


i , definizione, g l i impulsi generalizzati,
e le equazioni d i Lagrange danno dL/dqi = p;.
Riscrivendo ora i l secondo termine della (40,1) nella forma
2 pi =d (2 p i i i ) 2 (Zi api,
portando poi il differenziale totale d ( 2piii) nel primo membro
dell'uguaglianza e cambiando t u t t i i segni, dalla ( 4 0 , l ) otteniamo:

La grandezza sotto i l segno di differenziale rappresenta l'energia


del sistema (vedi  6); espressa in funzione delle coordinate e degli
194 CAPITOLO SETTIMO

impulsi, essa si chiama funzione d i Hamilton o hamiltoniana del


sistema
H (p7 97 t )= S piÃ- -L. (4072)
1

Dall'uguaglianza differenziale

si ricavano le equazioni

Queste sono le equazioni del moto cercate: esse hanno per variabi-
li p e q e sono dette equazioni di Hamilton. Esse formano un sistema
di 2s equazioni differenziali del primo ordine per 2s funzioni incogni-
te p ( t ) e q ( t ) , che sostituiscono le s equazioni del secondo ordine otte-
nute con il metodo di Lagrange. Per la loro semplicità formale e la
loro simmetria queste equazioni sono dette anche canoniche.
La derivata totale rispetto a l tempo della funzione di Hamilton Ã

Sostituendovi q, e pi ricavate dalle equazioni (40,4), i due ultimi


termini si elidono, cosicchÃ

Nel caso particolare in cui la funzione di Hamilton non dipende espli-


citamente dal tempo, si h a d H / d t = O, si ottiene cioà d i nuovo la
formulazione delle legge di conservazione dell'energia.
Le funzioni di Lagrange e d i Hamilton, oltre alle variabili
dinamiche q, q oppure q, p, contengono vari parametri, ossia
grandezze che caratterizzano le proprietà del sistema meccanico come
tale o del campo esterno agente su d i esso. Sia A uno d i questi para-
metri. Se lo consideriamo come una variabile, avremo, in luogo della
(40,l):

quindi, in luogo della (40,3) otterremo:

Di qui ricaviamo la relazione


EQUAZIONI CANONICHE 195

che lega fra d i loro le derivate parziali rispetto al parametro A delle


funzioni di Lagrange e d i Hamilton; gli indici stanno a significare
che la derivazione v a fatta in un caso tenendo costanti p e q,
e nell'altro tenendo costanti q e q.
Questo risultato puà anche esser presentato sotto un altro aspetto.
Sia L = Lo + L' la funzione di Lagrange, dove L' rappresenta una
piccola correzione alla funzione fondamentale Lo. I l termine sup-
plementare corrispondente nella funzione d i Hamilton H =Ho-j- H'
à legato con L' mediante
W O P . , = - (L');, . (4077)
Notiamo che trasformando la (40,1) nella (40,3) abbiamo sempre
omesso il termine in di, il quale tiene conto di una possibile dipenden-
za esplicita della funzione d i Lagrange dal tempo; infatti, questo ter-
mine avrebbe in quella connessione solo la funzione di un parametro,
non avendo alcuna relazione con la trasformazione eseguita. Per
analogia con la (40,6), le derivate parziali rispetto al tempo di L e
d i H sono legate dalla relazione

PROBLEMI
1. Trovare la funzione di Hamilton per u n punto materiale in coordinate
cartesiane, cilindriche e sferiche.
Risposta. I n coordinate cartesiane x, y, z:

-
1 ( P ~ + P $ + P ~ ) + ~ ( xY,, 2).
H = nrn

In coordinate cilindriche r , q, z:

I n coordinate sferiche T, 0, q:

2. Trovare la funzione d i Hamilton di una particella i n un sistema di


riferimento animato da un moto rotatorio uniforme.
Soluzione. Dalle (39,11) e (39,10) troviamo:

3. Trovare la funzione d i Hamilton di un sistema costituito da una par-


icella di massa M e da n particelieddi massa m , senza tener conto del moto
e1 centro di massa (vedi problema del  13).
Soluzione. L'energia E si deduce dalla funzione di Lagrange trovata nel
lroblema del  13, cambiando i l segno davanti ad U . Gli impulsi generalizzati
13*
196 CAPITOLO SETTIMO

sono:

Da cui abbiamo:

Sostituendo questi valori nell'espressione di E, troviamo

8 41. Funzione d i Routh


I n alcuni casi, passando a nuove variabili, puà risultare con-
veniente sostituire con impulsi non t u t t e le velocità generalizzate, ma
soltanto alcune d i esse. La trasformazione corrispondente à comple-
tamente analoga a quella operata nel paragrafo precedente.
Per semplificare la scrittura delle formule, supponiamo anzitutto
di avere soltanto due coordinate, q e E, e trasformiamo le variabili
q, E, a, 1 nelle variabili q, E , p, E, dove p à l'impulso generalizzato
corrispondente alla coordinata q.
..
I l differenziale della funzione d i Lagrange L (q, E, q, E) Ã

da cui:

Introduciamo l a cosiddetta funzione di JRouth

I
l(91 P1 E, i)=P;-L, (4171)
nella quale la velocità q à espressa mediante l'impulso p utilizzando
l'uguaglianza p = d L / d q . Calcolando il differenziale, otteniamo:
EQUAZIONI CANONICHE 197

da cui risulta che

Sostituendo le ultime uguaglianze nell'equazione d i Lagrange per


la coordinata E;, otteniamo:

La funzione di Routh à quindi funzione hamiltoniana rispetto alla


coordinata q [equazione (41,3)1 e lagrangiana rispetto alla coordi-
nata E; [equazione (41,5)1.
Conformemente alla definizione generale, l'energia del sistema Ã

Sostituendovi la (41,l) e la (41,4), possiamo esprimere E mediante


la funzione di Routh:
E=:R-E-. 6R (41 16)
4
La generalizzazione delle formule ottenute a l caso in cui si hanno
pi6 coordinate q e E; Ã immediata.
I n particolare, l'uso della funzione d i Routh puà essere opportuno
nel caso d i coordinate cicliche. Se le coordinate q sono cicliche,
non appaiono esplicitamente nella funzione d i Lagrange e, di conse-
guenza, neanche nella funzione di Routh, cosicchà R à funzione solo
di p, E;, g. Gli impulsi generalizzati p corrispondenti alle coordinate
cicliche sono inoltre costanti (ciÃÃ evidente anche dalla seconda delle
equazioni (41,3), l a quale in questo senso non dà niente di nuovo).
Sostituendo g l i impulsi p con i loro valori costanti dati, le equa-
zioni (41,5)

s i riducono a equazioni contenenti soltanto le coordinate e quindi


le coordinate cicliche vengono escluse completamente. Risolte
queste equazioni e trovate le funzioni E; ( t ) , sostituendole nel secondo
membro delle equazioni

troviamo, con una integrazione diretta, le funzioni q (t).


198 CAPITOLO SETTIMO

PROBLEMA
Trovare la funzione di Routh di una trottola simmetrica in un campo
esterno U ((p, O ) , eliminando la coordinata ciclica i)) (i)), (p, 6 sono angoli
euleriani).
Soluzione. La funzione di Lagrange in questo caso è
I
L=- 1'2 ( 6 ~ + ~ 2 ~ e n ~ e ) + + ( $ + ~ ~ 0 ~ ee)) ~ - u ( ~ .

(cfr. problema 1 del $ 35). La funzione di Routh quindi:

dove il primo termine à una costante che puà essere omessa.

$42. Parentesi di Poisson


Sia f (p, q, t ) una funzione delle coordinate, degli impulsi e del
tempo. Scriviamo la sua derivata totale rispetto a l tempo

. .
Sostituendo qui qk e p k con le loro espressioni ricavate dalle equazioni
di Hamilton (40,4), otteniamo:

dove à stata introdotta la notazione

L'espressione (42,2) Ã detta parentesi di Poisson per le grandezze


H ed f .
Quelle funzioni delle variabili dinamiche che restano costanti
durante il moto del sistema sono dette, come sappiamo, integrali del
moto. Dalla ( 4 2 , l ) si vede che la condizione perchà la grandezza f sia
integrale del moto ( d f / d t --= o), puà esser scritta nella forma:

Se l'integrale del moto non dipende esplicitamente dal tempo, si h a


{ H f} = O, (42,4)
cioà l a sua parentesi di Poisson con l a hamiltoniana deve annul-
larsi.
EQUAZIONI CANONICHE 199

Per qualsiasi coppia di grandezze f e g la parentesi di Poisson vie-


ne definita in maniera analoga a l caso precedente, cioè

Le parentesi di Poisson godono delle seguenti proprietà facilmente


ricavabili dalla loro stessa definizione.
Scambiando le funzioni, la parentesi cambia segno; se una delle
funzioni à costante (C), la parentesi à nulla:
{fg} = = {gf 1, (42,6)
{fc} = 0. (4277)
Inoltre:
{/I + f 2 9 g} = {fig} + {f2g}~ (42,8)
+
{flf2, g } = fl { f 2 d f 2 {/Id. (4299)
Prendendo la derivata parziale della (42,5) rispetto al tempo, si
ottiene:

Se una delle funzioni f o g coincide con un impulso o con una


coordinata, la parentesi di Poisson si riduce semplicemente alla
derivata parziale:

La formula (42,11), ad esempio, si ottiene ponendo nella (42,5)


g = qh; l'intera somma si riduce allora ad un termine, essendo
-=
Qq1
ah,, e ¥"'* = 0. I n particolare ponendo nelle (32,ll) e (42,12)
QP,
la funzione f uguale a q i e pi, si ottiene

Fra-le parentesi di Poisson formate da tre funzioni esiste la rela-


zione
{f {gh}} + +
{g W} {h{fg}} = 0' (427 14)
che à chiamata identità d i Jacobi.
Per dimostrarla, notiamo che, secondo la definizione (42,5),
le parentesi d i Poisson {fg} sono funzioni omogenee bilineari delle
derivate prime delle grandezze f e g. Quindi, ad esempio, la parentesi
{h {fg}} rappresenta una funzione omogenea lineare delle derivate
seconde delle grandezze f e g. Tutto i l primo membro dell'uguaglian-
za (42,14) è preso globalmente, una funzione omogenea lineare delle
200 EQUAZIONI CANONICHE

derivate seconde di tutte le tre funzioni f, g, h. Riuniamo i termini


contenenti le derivate seconde d i f. La prima parentesi non contiene
tali termini: essa include soltanto le derivate prime di f . Scriviamo
la somma della seconda e della terza parentesi in forma simbolica,
introducendo gli operatori differenziali lineari D Ie D 2definiti nel
modo seguente:
D1 ((P) = {gv}, D2 ((P) = {hd.
Si ha allora
{g {fh}} + {h {fg}} = {g {hf}} - {h {gf}} =
= D1 (D2 V ) ) -D2 (D1(/)) = (DlD2--D.Dl)f.
E facile vedere, tuttavia, che una tale combinazione di operatori
differenziali lineari non puà contenere le derivate seconde di f. In-
fatti, la forma generale degli operatori differenziali lineari Ã

dove Eh, sono funzioni arbitrarie delle variabili xl, xz, . .. Di


conseguenza,

e la differenza di questi prodotti


%
D A - 0.0,= 3 (Eh
9%
i"k
9
-&-) to-
h, 1
à di nuovo un operatore contenente soltanto derivate prime. I n
tal modo, nel primo membro dell'uguaglianza (42,14), t u t t i i termini
con derivate seconde d i f si annullano reciprocamente e poichà lo
stesso si ha, evidentemente, per le funzioni g ed h, l'intera espressione
à identicamente nulla.
Una proprietà importante delle parentesi di Poisson à la seguen-
te: se f e g sono due integrali del moto, anche la loro parentesi à in-
tegrale del moto
{fg} = costante (42,15)
(teorema di Poisson).
La dimostrazione di questo teorema à assai semplice se f e g
non dipendono esplicitamente dal tempo. Ponendo nella identitÃ
di Jacobi h = H, si ottiene:
EQUAZIONI CANONICHE 201

Da questa relazione risulta che se { H g } = O e {Hf} = O, anche


{H {fg}} = O, come volevasi dimostrare.
Se invece gli integrali del moto f e g dipendono esplicitamente
dal tempo, partendo dalla (42,l) abbiamo:

Utilizzando la formula (42,lO) e sostituendo la parentesi {H {fg}}


con altre mediante l'identità di Jacobi, otteniamo:

ossia

e la dimostrazione deF teorema di Poisson in questo caso generale-


diventa a questo punto evidente.
fi chiaro, che applicando il teorema d i Poisson, non si hanno.
sempre nuovi integrali del moto, essendo il loro numero general-
mente limitato (2s - 1, dove s à i l numero di gradi d i libertà )
I n alcuni casi, possiamo ottenere u n risultato banale: le parentesi
d i Poisson si riducono ad una costante. I n altri casi ancora, il!
nuovo integrale ottenuto puà essere semplicemente una funzione
degli integrali iniziali f e g. Se nessuno d i questi casi si verifica,
le parentesi d i Poisson danno u n nuovo integrale del moto.

PROBLEMI
1. Determinare le parentesi di PO~SSOB formate dalle componenti carte-
siane dell'impulso p e dal momento an olare M = [rp] di un punto materiale.
o u i o . Con l'aiuto della formuqa (42,121 si trova:

e in modo analogo
{Mxpx} = o, { M x p z } = P p .
Le altre parentesi si ottengono da queste per permutazione ciclica degli indici
=, Y, 2.
2. Determinare le parentesi di Poisson formate dalle componenti di M-
Soluzione. La formula (42,5) con un calcolo diretto dÃ
{M,My) = -Mz, {MyMz) = -Mx, {MzMx) = - M y .
Poichà gli impulsi e le coordinate di arti celle diverse sono variabili.
indipendenti l'una dall'altra, Ã facile vedere che le formule ottenute nei pro-
blemi 1 e 2 sono ugualmente valide per l'impulso e per il momento angolare-
totali di un qualsiasi sistema di particelle.
202 CAPITOLO SETTIMO

3. Dimostrare che
{OMz) = 0,
dove (p à una qualsiasi funzione scalare delle coordinate e dell'impulso di una
particella.
Soluzione. Una funzione scalare puà dipendere dalle componenti dei vettori
r e p soltanto nelle combinazioni rs, p2, rp. Pertanto

e analogamente per d e p . La relazione {qM,} = O si verifica direttamente


mediante la formula (42,5), tenendo conto delle regole di derivazione indicate.
4. Dimostrare che
{fM:} = [h],
dove f à una funzione vettoriale delle coordinate e dell'impulso di una parti-
cella, ed n i l versore dell'asse z.
Soluzione. Ogni vettore f (r, p) puà essere scritto nella forma f =
= rqi +pq2 + [rp] (pa, dove (pi, (p , q g sono funzioni scalari. La relazione
considerata si verifica con un calcolo diretto per mezzo delle formule (42,9).
{42,11), (42'12) e della formula data nel problema 3.

$ 43. Azione come funzione delle coordinate


Per formulare il principio di minima azione abbiamo considera-
to l'integrale
t*
S=
\ Ldt,
ti
preso lungo una traiettoria tra due posizioni date q(1' e q(2),in cui
il sistema ' s i trova negli istanti dati tl e t2. Variando l'azione
s i sono confrontati i valori dell'integrale (43,l) presi per traietto-
rie vicine ed aventi per tl e t 2 gli stessi valori q (tl) e q (t2). Una
sola di queste traiettorie corrisponde a l moto reale, e precisamente
quella per la quale l'integrale S Ã minimo.
Esaminiamo ora il concetto d'azione sotto u n altro aspetto. Con-
sideriamo S come una grandezza che caratterizza il moto lungo traiet-
torie reali, e confrontiamo i suoi valori per traiettorie aventi un'ori-
gine comune q (tl) = ma passanti nell'istante t2 per punti dif-
ferenti. I n altri termini, consideriamo l'integrale d'azione per le
traiettorie effettive come funzione dei valori delle coordinate
nell'estremo superiore d'integrazione.
La variazione dell'azione a l passaggio da una traiettoria ad un'al-
tra vicina à data (nel caso di un solo grado di libertà dall'espressione
<2,5):
EQUAZIONI CANONICHE 203

PoichÃle traiettorie del moto effettivo soddisfano le equazioni d i Lag-


range, l'integrale si annulla. Poniamo nell'estremo inferiore del
primo termine 69 (ti) = O ed indichiamo i l valore 6q (tv) semplice-
mente con 60'. Sostituendo inoltre d ~ / d con
i p , otteniamo alla fine
SS = p6q, oppure, per un numero qualunque di gradi di libertÃ

Da questa relazione risulta che le derivate parziali dell'azione


rispetto alle coordinate sono uguali ai corrispondenti impulsi

Analogamente s i puà considerare l'azione come funzione esplicita


d e l tempo; in questo caso, si considerano le traiettorie che iniziano
in un dato istante ti in un dato punto q(') e terminano in un punto
dato in istanti diversi t2 = t. La derivata parziale 9S^/9t intesa
i n questo senso puà essere trovata mediante una variazione appro-
priata dell'integrale. à perà pifi semplice ricorrere alla funzione giÃ
nota (43,3), operando nel seguente modo.
Per definizione, la derivata totale dell'azione rispetto a l tempo
lungo la traiettoria à uguale a

D'altra parte, considerando S come funzione delle coordinate e del


tempo nel senso indicato sopra, e utilizzando la formula (43,3),
si ha:
---
i' -s '+
dt 9t
+z
aT= i q - I J
i
as M i -
i
Confrontando le due espressioni, si trova:

i
e quindi:

Le formule (43,3) e (43,5) si possono riunire in un'unica espres-


sione

che dà i l differenziale totale dell'azione come funzione delle coordi-


nate e del tempo nell'estremo superiore dell'integrale ( 4 3 , l ) . Suppo-
niamo ora che le coordinate (e il tempo) siano diverse sia per la
204 CAPITOLO SETTIMO

posizione iniziale che per quella finale delle traiettorie. E evidente


che, in questo caso, la variazione corrispondente d i S sarà data
dalla differenza delle espressioni (43,6) calcolate negli estremi infe-
riore e superiore, ovvero
dS = 2^" -H(= dt"' ' ^ip<,1)
? +
dqil) ^(l' dt(l). (43,7)
Questa relazione mostra che, qualunque sia l'azione esercitata
dall'esterno sul sistema in moto, lo stato finale non puà essere una
funzione arbitraria di quello iniziale: sono possibili solo quei moti
per i quali l'espressione (43,7) Ã un differenziale totale. I n t a l modo,
indipendentemente dalla forma concreta della funzione di Lagrange,
i l principio di minima azione impone di per se stesso limiti ben
determinati all'insieme dei moti possibili. In particolare, Ã possi-
bile stabilire un complesso di leggi generali (indipendentemente dal
tipo d i campi esterni) per fasci di particelle, che s i propagano
da punti dati dello spazio. Lo studio d i queste leggi costituisce l'og-
getto dell'ottica geometrica l).
E interessante notare che le equazioni di Hamilton si possono
dedurre formalmente dal principio di minima azione se questo
à rappresentato, tenendo conto della (43,6), sotto forma di integrale:

e se le coordinate e gli impulsi sono considerati come grandezze che


variano indipen.dentemente. Supponendo d i nuovo, per brevità che
ci sia una sola coordinata (o u n solo impulso), scriviamo l a variazio-
ne dell'azione

La trasformazione del secondo membro (cioà una integrazione per


parti) dÃ

Agli estremi d'integrazione dobbiamo porre 6q = O, in modo che i l


membro integrato scompare. L'espressione che rimane puà essere nul-
la per valori 6 p e 6q arbitrari ed indipendenti, alla sola condizone
che siano nulle le espressioni integrande in ciascuno dei due integrali
QH
dq=-dt,
QP
dp= --
89 dt,
dai quali, dividendo per dt, otteniamo le equazioni d i Hamilton

l) Cfr. Teoria dei campi, cap. VII.


EQUAZIONI CANONICHE 205

9 44. Principio di Maupertuis


Mediante il principio di minima azione à possibile determina-
re completamente i l moto d i un sistema meccanico: risolvendo le
equazioni del moto che si deducono da questo principio, si possono
trovare sia l a forma della traiettoria che la dipendenza della posizione
s u questa traiettoria dal tempo. Se i l problema à limitato alla
determinazione della sola coordinata (trascurando l'aspetto tempo-
rale del problema), Ã possibile allora dare al principio dal minima
azione una forma semplificata.
Supponendo che la funzione d i Lagrange, e con essa la funzione
d i Hamilton, non contenga in modo esplicito il tempo, l'energia
d e l sistema s i conserva
H ( p , q) = E = costante.
Secondo i l principio di minima azione, la variazione dell'a-
zione per dati valori iniziali e finali delle coordinate e del
tempo (poniamo tn e t ) Ã nulla. Se invece viene variato anche
l'istante finale t , mantenendo fisse le coordinate delle posizioni ini-
ziali e finali, s i h a allora [cfr. (43,7)1:
SS = - H6t. (44,i)
Confrontiamo ora solo quegli spostamenti virtuali del sistema, che
soddisfano la legge di conservazione dell'energia. Per queste traietto-
rie, sostituendo H nella (44,i) con l a costante E abbiamo:
+
6S E6t = 0. (44.2)
Scrivendo l'azione nella forma (43,8) e sostituendo nuovamente
H con E, abbiamo:

Il primo termine in questa espressione

s i chiama talvolta azione abbreviata. Riportando la (44,3) nella (44,2),


troviamo:
6S0 = O. (44,5)
I n t a l modo l'azione abbreviata ha un minimo in rapporto a tutte
le traiettorie che soddisfano la legge d i conservazione dell'energia
e che passano per i l punto finale in un istante arbitrario. Per utiliz-
zare questo principio variazionale, Ã necessario preliminarmente e-
sprimere gli imulsi, nonchà tutte le espressioni integrande nella
206 CAPITOLO SETTIMO

(44,4) in funzione delle coordinate q e dei loro differenziali dq^


A tale scopo ricorriamo all'uguaglianza

che definisce gli impulsi e all'eqnazione


E (q, ^ - E
che esprime la legge d i conservazione dell'energia. Rappresentando
in quest'ultima equazione il differenziale dt in funzione delle coor-
dinate q e dei loro differenziilli dq e sostituendo nella (44,6), espri-
miamo i momenti cinetici mediante q e dq, mentre l'energia E funge
solo da parametro. I l principio variazionale cosi ottenuto determina
le traiettorie del sistema; esso 6 chiamato abitualmente principio d i
Maupertuis (sebbene la sua definizione esatta sia stata data da Eulero
e Lagrange).
Eseguiamo ora in modo esplicito le operazioni indicate partendo
dalla forma normale della funzione d i Lagrange (5,5), cioÃl'espressio-
ne data della differenza fra energia cinetica e potenziale:
L= 1
..
2 aik (q) qiq, -u (q).
i, h

Gli impulsi sono allora

e l'energia Ã
E = - 21 2 ai
i, k
k (9) 9 i à ˆ + (9)

Dall'ultirna ziguaglianza ricaviamo l'espressione:

che, riportata nell'espressione

ci dà l'azione abbreviata nella la forma


EQUAZIONI CANONICHE

In particolare, l'energia cinetica per un punto materiale Ã

(dove m à la massa della particella, e di l'elemento di lunghezza della


traiettoria), e i l principio variazionale per determinare la forma della
traiettoria Ã

dove l'integrale à preso t r a due punti d a t i dello spazio (Jacobi).


Per il moto libero d i u n a particella si ha U = O, e la (44,lO)
dà u n risultato banale

cioà l a particella si muove seguendo i l percorso piii breve, ossia


una retta. Ritorniamo all'espressione (44,3) per l'azione e eseguiamo
su d i essa una variazione anche rispetto a l parametro E:

Sostituendo nella (44,2), troviamo:

Per l'azione abbreviata nella forma (44,9), questa uguaglianza condu-


ce alla relazione

che non à altro che l'integrale dell'equazione (44,8). Insieme con


l'equazione della traiettoria essa determina completamente i l moto

PROBLEMA
Partendo dal principio variazionale (44,10), trovare l'equazione defferen-
ziale della traiettoria.
Soluzione. Effettuando la variazione, si ha:

Nel secondo termine si à tenuto conto che di2 = dr2 e quindi di d 61 = dr d 6r;
integrando per parti questo termine ed eguagliando poi a zero il coefficiente
di 6r nell'espressione intemanda. otteniamo l'equazione differenziale della
traiettoria
'208 CAPITOLO SETTIMO

Derivando i l primo membro di questa uguaglianza ed introducendo la


forza F = -dU/dr, si puà scrivere questa equazione nella forma
d2r
-= F-(Ft) t
dl^ 2(E-U) '
dove t = dr/dl à i l vettore unitario della tangente alla traiettoria. La diffe-
renza F - (Ft) t à la componente F,, normale alla traiettoria della forza. La
derivata d2r/d19 = dt/dl à uguale, come à noto dalla geometria differenziale,
a d n/R,dove R Ã il raggio di curvatura della traiettoria, ed n i l vettore uni-
tario della normale principale a quest'ultima. Sostituendo anche E - U con
m a 2 , si ottiene:
m02
n-- fl -Fn

in accordo con l'espressione nota dell'accelerazione normale in un moto


lungo una traiettoria curva.

 45. Trasformazioni canoniche

La scelta delle coordinate generalizzate q non à limitata da con-


dizione alcuna: l a loro funzione puà essere svolta da s grandezze qual-
siasi che definiscano univocamente la posizione del sistema nello
spazio. L'aspetto formale delle equazioni di Lagrange (2,6) non dipen-
de da questa scelta; in questo senso s i puà dire che le equazioni di
Lagrange sono invarianti rispetto alla trasformazione dalle
coordinate qi, qa, . . . ad altre grandezze indipendenti Qi, Qs, . . .
Le nuove coordinate Q sono funzioni delle vecchie coordinate q, Ã
inoltre ammissibile una scelta tale che in queste funzioni -ci sia
anche i l tempo in modo esplicito, cioà che si tratti d i trasforma-
zioni del tipo:

{dette t a l v d t a trasformazioni puntuali).


Oltre alle equazioni di Lagrange, l a trasformazione (45,l) lascia
evidentemente invariata la forma (40,4) delle equazioni d i Hamilton,
che ammettono perà in realtà una classe d i trasformazioni molto pih
vasta. Questa circostanza à dovuta naturalmente a l fatto che nel
metodo hamiltoniano gli impulsi p sono variabili indipendenti
unitamente alle coordinate q. Per questo i l concetto d i trasforma-
zione puà essere ampliato in modo da includere l a trasformazione
di tutte le 2s variabili indipendenti per mezzo della quale le variabi-
li p, q vengono sostituite con nuove variabili P , Q secondo le formule:

La possibilità d i allargare la classe delle trasformazioni ammissibili


rappresenta uno dei vantaggi sostanziali della formulazione
hamiltoniana della meccanica.
EQUAZIONI CANONICHE 209

Sarebbe tuttavia errato pensare che per una trasformazione


qualsiasi del tipo (45,2) le equazioni del moto conservino la loro
forma canonica. Stabiliamo ora le condizioni cui deve soddisfare
una trasformazione perchà le equazioni del moto nelle nuove
variabili P, Q, abbiano la forma

con una nuova funzione di Hamilton H' (P, Q). Trasformazioni del
genere sono dette trasformazioni canoniche.
Le formule di trasformazioni canoniche si possono trovare nel
seguente modo. Alla fine del  43 abbiamo mostrato che le equazioni
d i Hamilton possono essere ottenute a partire dal principio d i mini-
ma azione presentato nella forma

(sottolineiamo che tutte le coordinate e t u t t i gli impulsi va-


riano indipendentemente). Affinchà anche le nuove variabili P e
Q soddisfino le equazioni di Hamilton, per esse deve restare valido
il prinicipio di minima azione:

Ma i due principi (45,4) e (45,5) sono equivalenti soltanto a condizio-


ne che le loro espressioni integrando differiscano fra di loro solo per
i l differenziale totale di una funzione arbitraria F delle coordinate,
degli impulsi e del tempo; la differenza tra i due integrali
(differenza dei valori di F nei limiti d'integrazione) sarh allora una
costante inessenziale agli effetti della variazione . Si ha quindi:
-
2 p i dqi Hdt = 2: Pi dQi - H' dt + dF.
Ogni trasformazione canonica à caratterizzata d a una sua funzione F,
detta funzione generatrice della trasformazione.
Riscrivendo la relazione ottenuta nella forma
dF = 2 p i d a - 2:pi dQi +
(H' - H ) dt, (45,6)
vediamo che

dove s i à posto che l a funzione generatrice à data come funzione sia


delle vecchie che delle nuove coordinate (e del tempo): F = F (q,
Q, t ) . Per una funzione F data, le formule (45,7) stabiliscono la rela-
zione tra le vecchie variabili (p, q ) e le nuove (P, Q), nonchà la for-
m a della nuova funzione di Hamilton.
210 CAPITOLO SETTIMO

Puà risultare comodo esprimere la funzione generatrice non


mediante le variabili q e Q, ma mediante le vecchie coordinate <r
e i nuovi impulsi P. Per stabilire le formule delle trasformazioni
canoniche i n questo caso, Ã necessario effettuare nella relazione
(45,6) l'appropriata trasformazione di Legendre. Scriviamo questa
relazione nella forma
d (F + 2 PiQi) = 2pidqi + 2 Q i d P i + (H' - H ) dt.
L'espressione sotto il segno d i differenziale nel primo membro, e-
spressa nelle variabili q e P, rappresenta appunto la nuova funzione
generatrice. Indicandola con d) (q, P , t), abbiamo) l):

Analogamente si possono stabilire le formule delle trasformazioni


canoniche espresse mediante funzioni generatrici che dipendano
dalle variabili p e Q oppure p e P.
Notiamo che la vecchia e la nuova funzione han~iltonianasono
legate sempre dalla medesima relazione: la differenza H' - H
à data dalla derivata parziale rispetto al tempo della funzione gene-
ratrice. I n particolare, se qnest'ultima non dipende dal tempo, H' =
= /i. In altri termini, per ottenere la nuova funzione di Hamilton
sarà sufficiente in questo caso sostituire in H le grandezze p e q
espresse in funzione delle nuove variabili P , Q,
La vastità delle trasformazioni canoniche nel metodo hamiltonia-
no priva sensibilmente il concetto d i coordinate e di impulsi genera-
lizzati del loro significato iniziale. Poichà le trasformazioni (45,2)
collegano ciascuna delle grandezze P e Q sia alle coordinate q che
a i momenti cinetici p, le variabili Q non hanno piii il significato di
coordinate puramente spaziali. La differenza tra i due gruppi di
variabili diventa, in fondo, una questione di nomenclatura. Questa
circostanza s i manifesta palesemente, per esempio, nella trasforma-
zione2) Q i = pi,Pi = -qi la quale non cambia esplicitamente la
forma canonica delle equazioni e si riduce semplicemente ad uno
scambio di denominazioni tra le coordinate e gli impulsi.

l) Notiamo che prendendo una funzione generatrice nella forma


@ = yfi (9, O Pi
z
(dove f i sono funzioni arbitrarie), otterremo una trasformazione per cui l e
nuove coordinate sono stabilite dalla relazione Q i = f i (q, t ) , cioà si esprimono
i n funzione soltanto delle vecchie coordinate (e non degli impulsi)). Queste
sono trasformazioni puntuali che costituiscono naturalmente un caso parti-
colare delle trasformazioni canoniche.
2) La funzione generatrice per questa trasformazione à F = qiQi.
EQUAZIONI CANONICHE 211

Tenendo conto di questa convenzione d i terminologia, le va-


riablili p e q, nel metodo hamiltoniano, sono spesso chiamate sempli-
cemente grandezze canonicamente coniugate.
La condizione perchà le variabili siano canonicamente coniugate
puà essere espressa con le parentesi di Poisson. A questo fine dimostre-
remo il teorema generale sull'invarianza delle parentesi d i Poisson
per le trasformazioni canoniche.
Sia {fg}+,, q la parentesi d i Poisson delle grandezze f e g nella
quale la derivazione viene effettuata rispetto alle variabili p e q,
e sia { f g } p ,o l a parentesi d i Poisson delle stesse grandezze derivabili
rispetto alle variabili canoniche P e Q. S i ha allora:

Si puà verificare la validitA di questa relazione con un calcolo


diretto utilizzando le formule di trasformazione canonica. Si può
però far a meno del calcolo se si fa il seguente ragionamento.
Notiamo innanzitutto che nelle trasformazioni canoniche (45,7)
o (45,8) il tempo ha la funzione di parametro. Quindi il
teorema (45,9), se lo dimostriamo per grandezze non dipendenti
esplicitamente dal tempo, Ã vero anche nel caso generale. Conside-
riamo ora in modo puramente formale la grandezza g come funzio-
ne hamiltoniana di un sistema fittizio. Secondo la formula (42,1),
si ha allora { f g } p , q= - d f / d t . La derivata d f l d t puà perà di-
pendere solamente dalle proprietà del moto (del nostro sistema fitti-
zio) come tale, e non dalla scelta delle variabili. Di conseguenza,
anche la parentesi d i Poisson { f g } non puà cambiare passando da
certe variabili canoniche ad altre.
Dalle formule (42,13) e dal teorema (45,9) ricaviamo:

Queste relazioni scritte mediante le parentesi di Poisson rappresen-


tano le condizioni cui debbono soddisfare le nuove variabili
perchà la trasformazione p, q Ñ> P, Q sia canonica.
!?l interessante notare che la variazione delle grandezze p, q du-
rante il moto stesso puà essere considerata come una trasformazione
canonica. I l significato d i questa asserzione à il segutnte. Siano qt,
pt i valori delle variabili canoniche nell'istante t, i loro
valori in un altro istante t -f- T. Questi ultimi sono funzioni dei primi
( e dell'intervallo di tempo T come parametro):

Lt" queste formule si considerano come una trasformazione dalle


variabili q<, p t alle variabili q/+^, p(+^, questa trasformazione Ã
canonica. Cià risulta chiaro dall'espressione dS = 2 -
- pt dqt) per i l differenziale d'azione S (qt+v qt) preso lungo la
14*
212 CAPITOLO SETTIMO

traiettoria reale passante per i punti q, e q;+% negli istanti dati t e


t + T [vedi (43,7)1. Confrontando questa formula con la (45,6)vedia-
mo che -S Ã la funzione generatrice della trasformazione.

$ 46. Teorema di Liouville

Per l'interpretazione geometrica dei fenomeni meccanici si ricorre


spesso a l concetto d i spazio delle fasi: uno spazio a 2s dimensioni sui
cui assi coordinati si riportano le s coordinate generalizzate e i s
impulsi del sistema meccanico dato. Ciascun punto di questo
spazio corrisponde a un determinato stato del sistema. Quando
i l sistema si muove, il punto fase che rappresenta il suo stato de-
scrive nello spazio delle fasi una curva, detta traiettoria di fase. I l
prodotto dei differenziali
di' = dql . . . dqsdpl . . . d p s
puà essere considerato come u n à elemento di volume à dello spazio
delle fasi. Consideriamo ora l'integrale
I dT preso in una parte
qualsiasi dello spazio delle fasi e rappresentante il volume di questa.
Mostriamo che questa grandezza possiede la proprietà di essere inva-
riante rispetto alle trasformazioni canoniche: se si trasformano cano-
nicamente le variabili p , q nelle variabili P , Q, i volumi dei domini
corrispondenti degli spazi p, q e P , Q sono uguali:

Come à noto, l a trasformazione delle variabili in un integrale


multiplo s i esegue secondo l a formula

dove

à lo jacobiano della trasformazione. Per questo la dimostrazione del


teorema (46,l) si riduce alla dimostrazione che lo jacobiano di qual-
siasi trasformazione canonica à uguale all'unitÃ
D = 9. (463)
Serviamoci d i una nota proprietà degli jacobiani che permette in
un certo senso di trattarli come frazioni. Dividendo il à nume-
rai'ire à e i l à denominatore )) per 9 (q,, .. ..
., qs7 P17 ., Ps),
EQUAZIONI CANONICHE

otteniamo:

Secondo un'altra nota regola, uno jacobiano a l cui à numeratore


e à denominatore à sono presenti variabili uguali si puà ridurre
a uno jacobianb con u n numero inferiore d i variabili; per tutte le
derivazioni, le variabili uguali sono da considerarsi costanti. PerciÃ

Consideriamo lo jacobiano che si trova al numeratore di questa


espressione. Per definizione, Ã un determinante d i rango s, composto
d i elementi dQi/dqk (l'elemento s t a all'intersezione della i-esima
riga e della k-esima colonna). Rappresentando la trasformazione
canonica con l'aiuto della funzione generatrice cD (q, P) nella for-
m a (45,8), -,.otteniamo:
.
90,
-=
a3m
9gh 9% 9pi
Nello stesso modo si trova che l'elemento della i-esima riga e
della k-esima colonna del determinante denominatore della (46,4)
à uguale a - QqiQPk
Abbiamo trovato quindi che le righe d i uno dei
determinanti sono identiche alle colonne dell'altro e viceversa. I due
determinanti sono pertanto uguali poichà i l rapporto (46,4) à uguale
all'unità come si doveva dimostrare.
Supponiamo ora che ciascun punto d i u n dato elemento dello spa-
zio delle fasi si sposti nel tempo secondo le equazioni del moto del
sistema meccanico considerato. Si sposterà dunque globalmente
tutto l'elemento, ma resta inalterato i l s u o volume:

d~ = costante. (46,5)
Questa asserzione (detta teorema d i Liouuille) segue immediatamente
da'l'invarianza d i u n volume d i fase rispetto alle trasformazioni
canoniche, e dal fatto che l a variazione d i p e q nel corso del moto
puà essere considerata d i per se stessa (come abbiamo mostrato alla
fine del paragrafo precedente) come u n a trasformazione canonica.
I n modo assolutamente analogo si puà dimostrare l'invarianza
de '1 i integrali
214 CAPITOLO SETTIMO

nei quali l'integrazione à estesa a varietà bidimensionali, quadridi-


mensionali, ecc., dello spazio delle fasi.

47. Equazione di Hamilton-Jacobi -


Nel 5 43 abbiamo introdotto il concetto di azione come funzione
delle coordinate e del tempo. Abbiamo mostrato che la derivata par-
ziale rispetto al tempo di questa funzione S (q, t) Ã legata alla fun-
zione di Hamilton dalla relazione

e che le sue derivate parziali rispetto alle coordinate coincidono con


gli impulsi. Sostituendo gli impulsi p nella funzione di Hamilton
con le derivate dS/dq, otteniamo l'equazione

cui deve soddisfare la funzione S (q, t). Questa à un'equazione a


derivate parziali del primo ordine, detta equazione di Haffiilton-
Jacobi. Alla pari delle equazioni di Lagrange e delle equazioni cano-
niche, anche l'equazione di Hamilton-Jacobi rappresenta il punto di
partenza di un metodo generale d'integrazione delle equazioni del
moto.
Prima di esporre questo metodo, ricordiamo che ogni equazione
a derivate parziali del primo ordine possiede una soluzione dipenden-
te da una funzione arbitraria; tale soluzione à detta integrale genera-
le dell'equazione. Nelle applicazioni meccaniche, però non Ã
l'integrale generale dell'equazione d i Hamilton-Jacobi, ad avere im-
portanza, bensi i l cosiddetto integrale completo, che rappresenta la
soluzione di un'equazione differenziale a derivate parziali contenente
tante costanti arbitrarie quante sono le variabili indipendenti.
Nell'equazione d i Hamilton-Jacobi queste variabili indipendenti
sono il tempo e le coordinate. D i conseguenza, per un sistema a s
gradi di libertà l'integrale completo d i questa equazione deve con-
tenere s +1 costanti arbitrarie. Essendo perà la funzione S presente
nell'equazione soltanto attraverso le sue derivate, una delle costanti
arbitrarie appare nell'integrale completo come una grandezza ad-
ditiva, cioà l'integrale completo dell'equazione di Hamilton-Jacobi
prende la forma
S = f ( t , 91, . . ., q#; ai, . . ., a,)+ A , (47,2)
dove a,, .. ., a, ed A sono costanti arbitrarie1).
l) Anche se non avremo bisogno dell'integrale generale dell'equazione di
Hamilton-Jacobi, mostriamo perà che esso puà essere trovato conoscendo i l suo
integrale completo. Consideriamo a tale scopo la grandezza A come funzio-
EQUAZIONI CANONICHE 215

Esplicitiamo ora la relazione tra l'integrale completo dell'equa-


zione di Hamilton-Jacobi e la soluzione delle equazioni del moto che
Â¥cinteressa. A tale scopo eseguiamo, mediante una trasformazione
canonica, una sostituzione delle grandezze q, p con nuove variabili,
scegliendo per funzione generatrice la funzione f (t, q, a ) e per nuovi
.
impulsi le grandezze a,, a,, . ., as. Indichiamo con Pi, p2, . .,
'Psle nuove coordinate. Siccome la funzione generatrice dipende
dalle vecchie coordinate e dai nuovi impulsi, dobbiamo servirci
delle formule (45,s):

Dato che la funzione f soddisfa l'equazione di Hamilton-Jacobi,


segue che la nuova funzione d i Hamilton à identicamente nulla:

Le equazioni canoniche hanno quindi per le nuove variabili la


forma a i = 0, fii = 0, da cui segue che
a i = costante, fii = costante. (47,3)
D'altra parte, le s equazioni
Â¥ -pi
- .-
da.,
danno la possibilità d i esprimere le s coordinate q in funzione del tem-
po e delle 2s costanti a e 6. I n t a l modo si arriva a trovare l'integrale
generale delle equazioni del moto.
La soluzione del problema del moto d i un sistema nleccanico con
il metodo di Hamilton-Jacobi si riduce quindi alle seguenti opera-
zioni.

ne arbitraria di altre costanti:

Sostituendo qui le grandezze aicon le funzioni delle coordinate e del tempo


ricavate dalle s condizioni

.otteniamo un integrale generale che dipende dalla forma della funzione arbi-
traria A (çi..., a )). I n effetti, per la funzione 5 cosi ottenuta abbiamo:

Ma le grandezze (^S/Qqijy, soddisfano l'equazione di Hamilton-Jacobi perchÃ


l a funzione S (t, q; a ) è secondo la nostra ipotesi, un integrale completo di
questa equazione. Quindi anche le derivate QSIQqisoddisfano l'equazione in
questione.
21 6 CAPITOLO SETTIMO

Partendo dalla funzione d i Hamilton, si scrive l'equazione d i Ha-


milton-Jacobi e si ottiene l'integrale completo (47,2) d i questa equa-
zione. Derivandolo rispetto alle costanti arbitrarie a ed eguagliando
queste derivate alle nuove costanti p, otteniamo u n sistema d i s
equazioni algebriche
9s
-- - p,.
i ?i ~ (47,4)
Risolvendo questo sistema, troviamo le coordinate q in funzione del
tempo e delle 2s costanti arbitrarie. Successivamente, si puà deter-
minare la dipendenza degli impulsi dal tempo per mezzo delle
equazioni p , = d S / d q i .
Nel caso i n cui si abbia u n integrale incompleto uell'equazione
di Hamilton-Jacobi dipendente da un numero di costanti arbitrarie
inferiore ad s, non à possibile mediante questo integrale trovare-
l'integrale generale delle equazioni del moto; si puà tuttavia sempli-
ficare un po' i l problema. Se l a funzione S Ã nota e contiene una co-
stante arbitraria a , la relazione
9s
-= costante
da.
ci dà un'equazione che lega q ; , . . ., qs e t.
- L'equazione d i Hamilton-Jacobi assume una forma u n po' piG
semplice nel caso i n cui la funzione H non dipende esplicitamente dal
tempo, cioà quando i l sistema à conservativo. La dipendenza dell'azio-
ne dal tempo si riduce allora a l termine -Et:
5 = S o (q) - Et (47,5)
(cfr. $ 44), e, sostituendo nella (47,1), otteniamo per l'azione abbre-
viata S o (q) l'equazione di Hamilton-Jacobi nella forma

$ 48. Separazione delle variabili

In molti casi importanti si puà trovare un integrale comple-


to dell'equazione d i Hamilton-Jacobi mediante la cosiddetta separazi-
one delle variabili che consiste in quanto segue.
Supponiamo che una coordinata, che indicheremo con q1, e la de-
rivata corrispondente dS/dqi entrino nell'equazione d i Hamilton-
Jacobi soltanto i n una certa combinazione del tipo <p q (
che non contiene nà altre coordinate (o tempo), nà altre derivate; m
altri termini, supponiamo che l'equazione abbia la forma
EQUAZIONI CANONICHE 217

dove qi rappresenta l'insieme d i t u t t e le coordinate, ad eccezione


di q^*
Cercheremo i n questo caso una soluzione sotto forma di somma

Sostit,uendo questa espressione nell'equazione (48,1), otteniamo

Supponiamo di aver trovato la soluzione (48,2); sostituiamola


nell'equazione (48,3), che si deve allora trasformare in un'identitÃ
verificata, in particolare, per qualsiasi valore della coordinata q^. Al
variare di qi puà cambiare perà solo la funzione (E; affinchÃl'espres-
sione (48,3) sia un'identità à necessario che anche la funzione cp sia
essa stessa costante. I n tal modo, l'equazione (48,3) si scinde in'due
equazioni:

dove a , Ã una costante arbitraria. La prima di queste equazioni


à un'equazione differenziale ordinaria dalla quale si puà ricavare la
funzione Si (q,) con una semplice integrazione. La (48,5) Ã un'equ-
azione a derivate parziali contenente perà un numero minore di
variabili indinendenti.
Se in questo modo si possono separare successivamente tutte le
s coordinate e il tempo, il calcolo dell'integrale completo dell'equa-
zione di Hamilton-Jacobi si riduce interamente a quadrature. Per
un sistema conservativo si tratta soltanto di separare s variabili
{le coordinate) nell'equazione (47,6), e per una separazione completa
l'integrale cercato assume la forma

dove ciascuna delle funzioni Skdipende solo da una delle coordinate,


mentre l'energia E come funzione d i costanti arbitrarie a,, . . ., a ,
s i ottiene sostituendo S o = SSk nell'equazione (47,6).
Un caso particolare di separazione delle variabili à quello in cui
una delle variabili à ciclica. La coordinata ciclica q, non entra espli-
citamente nella funzione di Hamilton e, d i conseguenza, nell'equazio-
ne di Hamilton-Jacobi. La funzione (p ( q
l7
s) si scrive allora
semplicemente dS/dq17 e dall'equazione (48,4) si ricava Sl = %ql,
in modo che
S = S' (qi, t ) 4- (48,7)
218 CAPITOLO SETTIMO

La costante a , rappresenta qui nient'altro che il valore costante pl =


= d S / d q l dell'impulso corrispondente alla coordinata ciclica.
Notiamo che la separazione del tempo in forma del termine -Et per
un sistema conservativo corrisponde al metodo di separazione delle
variabili, se si prende t come à variabile ciclica È
In t a l modo, i l metodo d i separazione delle variabili nell'equazio-
ne di Hamilton-Jacobi comprende t u t t i i casi esaminati sopra di sem-
plificazione dell'integrazione delle equazioni del moto, basati sul-
l'impiego delle variabili cicliche. Ad essi si aggiungono numerosi casi
in cui la separazione delle variabili à possibile, anche se le coordinate
non sono cicliche. Tutto questo portaallaconclusione che il metodo
di Hamilton-Jacobi per la ricerca dell'integrale generale delle equa-
zioni del moto à i l p i efficace.
~
Per separare le variabili nell'equazione di Hamilton-Jacobi,
à essenziale scegliere in modo appropriato le coordinate. Facciamo
degli esempi di separazione delle variabili in diversi sistemi di
coordinate che possono presentare un interesse fisico nei problemi
del moto di un punto materiale in differenti campi esterni.
1. Coordinate sferiche. In queste coordinate (r: O, v) la funzione
d i Hamiltoii si scrive:

e la separazione delle variabili à possibile se

dove a (r), b ( O ) , C (q)sono funzioni arbitrarie. Ã difficile che l'ulti-


mo termine d i questa espressione possa presentare interesse dal
punto d i vista fisico; per questo considereremo un campo del tipo

L'equazione d i Hamilton-Jacobi per la funzione S o à in questo


caso

Prendendo in considerazione che l a coordinata q 6 ciclica, cerchiamo


una soluzione del tipo
EQUAZIONI CANONICHE 219

e per le funzioni Si(r) ed S2(O) otteniamo le equazioni

Integrando abbiamo infine:

I n questo caso le costanti arbitrarie sono p,, (3, E; derivando rispetto


a quest'ultime ed eguagliando il risultato della derivazione a nuove
costanti, si trova la soluzione generale delle equazioni del moto.
2. Coordinate paraboliche. Si passa alle coordinate paraboliche
il, (p dalle coordinate cilindriche (le indicheremo in questo parag-
rafo con p, (p, z) secondo le formule

Le coordinate E e T) variano da O a oo; le superfici E = costante


e q = costante rappresentano, come à facile verificare, due fami-
glie d i paraboloidi d i rivoluzione (con l'asse z come asse d i simme-
tria). La relazione (48,10) si puà esprimere in un'altra forma introdu-
cendo il raggio
1
r=/~~+p~=~(E+i)). (48,11)
S i ha allora:
r + z , q=rÑz (48,12)
Esprimiamo l a funzione di Lagrange d i un punto materiale in
coordinate E, q, (p. Derivando l'espressione (48,10) rispetto a l tempo
e sostituendo il risultato in

(funzione d i Lagrange in coordinate cilindriche), si ottiene:

Gli impulsi sono


220 CAPITOLO SETTIMO

e la funzione d i Hamilton Ã

I casi fisicamente interessanti d i separazione delle variabili


in queste coordinate sono quelli in cui l'energia potenziale ha la forma

S i h a allora l'equazione

La coordinata ciclica (P si separa in un termine del tipo pmq. Molti-


plicando quindi l'equazione per m (^ +
T)) e raggruppando i termini,
otteniamo:

otteniamo le due equazioni

l a cui integrazione ci d à in-definitiva:

con py, fS, E come costanti arbitrarie.


3. Coordinate ellittiche. Queste coordinate E, T), (p vengono intro-
dotte secondo le formule

La costante o à il parametro della trasformazione. La coordinata


prende t u t t i i valori fra 1 e oo, e l a coordinate T] fra -1 e +l.
Si
possono ottenere relazioni geometricamente piii concrete, se si intro-
ducono le distanze rl ed r , rispettivamente dai punti Al ed A , sul-
EQUAZIONI CANONICHE

l'asse z avente come coordinate z = oez = - ol):


rl = v ( z - a)2 + p2, r2 = v ( z + + p2.
Sostituendovi le espressioni (48,17), otteniamo:

Trasformando l a funzione di Lagrange dalle coordinate cilindri-


che a quelle ellittiche, troviamo:

Per la funzione d i Hamilton otteniamo

-t- (- 1
+W)1 p'v] + f (E, 1' V). (4820)
I casi fisicamente interessanti d i separazione delle variabili cor-
rispondono all'energia potenziale della forma:

dove a (E) e b (q) sono funzioni arbitrarie. I l risultato della separazio-


ne delle variabili nell'equazione d i Hamilton-Jacobi ci dÃ

l) Le linee = constante rappresentano una famiglia di ellissoidi

i cui fuochi sono A i ed A,, e le linee q = constante sono una famiglia di


iperboloidi

aventi gli stessi fuochi degli ellissoidi.


CAPITOLO SETTIMO

PROBLEMI
1. Trovare l'integrale completo dell'equazione di Hamilton-Jacobi per
una particella i n moto in un campo
a
U=--Fz
r
(sovrapposizione di un campo coulombiano e di un campo uniforme); trovare
la funzione conservativa delle coordinate e degli impulsi, specifica per tale
moto.
S o l u z i o n e . I l campo dato 6 del tipo (48,15) dove

L'integrale completo della equazione di Hamilton-Jacobi 6 dato dalla formula


(48,16) con le funzioni a (E) e b (q) definite sopra.

Fig. 55

Per determinare il significato della costante p, scriviamo le equazioni

Sottraendo queste equazioni l'una dall'altra ed esprimendo gli impulsi


p ; = d S / a g e p,, = 3 S / q mediante p p ,= W a p e p z = 3 5 1 3 ~i n coordinate
cilindriche, otterremo dopo una semplice riduzione:

L'espressione compresa tra parentesi quadre rappresenta l'integrale del moto,


specifico per un campo puramente coulombiano [componente z del vettore (15,17)].
2. Risolvere i l problema precedente per i l caso di un campo:

(campo coulombiano con due centri fissi distanti 20 l'uno dall'altro).


S o l u z i o n e . Il campo dato à del tipo (48,22) dove

La sostituzione di queste espressioni nella (48,22) ci d à l'azione S (5, q, cp, t ) .


I l significato della costante (3 viene determinato come nel problema 1; questa
costante esprime, nel caso considerato, la conservazione della seguente
EQUAZIONI CANONICHE 223

grandezza:
= o 2 ( p + .P$, ) - ~ 2 + 2 m o (qc 0 s 0 ~ + acos~ €l2
dove
r^
Af == [rpp = p P z + p J p 9 - 2zppzpp
e O , e 0, sono gli angoli indicati nella fig. 55.

$ 49. Invarianti adiabatici


Consideriamo un sistema meccanico animato da un moto unidi-
mensionale finito e caratterizzato da un parametro A che determina
le proprietà del sistema stesso o del campo esterno nel quale esso si
t ro va1).
Supponiamo che sotto l'influsso d i certe cause esterne, il para-
metro A vari lentamente (ossia adiabaticamente) con il tempo. Per
variazione à lenta à intendiamo una variazione per cui ?L cambia poco
in un periodo T del moto del sistema:

Se A fosse costante, il sistema sarebbe isolato e compirebbe un


moto strettamente periodico con energia E costante e con periodo
T (E) ben determinato. Per A variabile, il sistema non à isolato e l a sua
energia non si conserva. Nell'ipotesi che A vari lentamente, anche
l a velocità h d i variazione dell'energia deve essere piccola. Prenden-
do la media di questa velocità rispetto a l periodo T ed-attenuando
quindi le sue oscillazioni à veloci È otterremo un valore E che deter-
minerà la velocità della sistematica e lenta variazione delllenergia
del sistema; si puà affermare che questa velocità à proporzionale alla
velocità A di variazione del parametro A. I n altri termini, la grandez-
za E , che varia lentamente nel senso indicato sopra, si comporterÃ
come una funzione d i A. La dipendenza d i E d a A puà essere rappresen-
t a t a sotto forma d i una combinazione d i E e A. Questa q u a n t i t Ã
che resta costante durante i l moto d i un sistema con parametri
lentamente varianti, Ã detta invariante adiabatico.
Sia H (q, p; A) la funzione hamiltoniana del sistema, dipendente
dal parametro A. Secondo la (40,5), la velocità di variazione del siste-
ma Ã

l ) Per brevità supponiamo che ci sia un solo parametro di questo tipo;


tutti i risultati perà restano validi anche per un numero qualsiasi di parametri.
224 CAPITOLO SETTIMO

L'espressione al secondo membro della formula dipende non soltan-


to dalla variabile A che varia lentamente, ma anche dalle variabili
q e p che variano rapidamente. Per rendere evidente la variazione
sistematica dell'energia che ci interessa, à necessario, come à stato
indicato sopra, prendere l a media dell'uguaglianza (49,2) rispetto
a un periodo del moto. Tenendo conto della lentezza di variazione
d i ?L (e anche di A), si puà portare A fuori dal segno d i media:

e, mediando la funzione 9H/9'k, si puà consider~recome grandezze


variabili solo q e p, e non A. I n altri termini, la media à fatta per
quel moto del sistema che avrebbe luogo se A fosse costante.
Scriviamo la media in forma esplicita
"7

ali---L -
- -
OH
dt.
ci}. T ^?L
o

Secondo l'equazione di Hamilton q == aH/dp, si ha:

Con l'aiuto di questa uguaglianza sostituiamo l'integrazione rispetto


al tempo con una integrazione rispetto alla coordinata, riscrivendo
inoltre il periodo T nella forma

dove il simbolo &indica l'integrazione rispetto alla variazione com-


pleta (à andata à e << ritorno È della coordinata in un periodo1).
I n tal modo la (49,3) assume la forma:

Come à già stato indicato, le integrazioni in questa formula


vanno eseguite lungo l a traiettoria del moto, per la quale ?L resta
costante. Lungo questa traiettoria l a funzione di Hamilton man-
tiene un valore costante E, e l'impulso à una determinata
funzione della coordinata variabile q e dei due parametri indipen-
denti costanti E e A. Considerando proprio l'impulso come
l ) Se i l moto del sistema rappresenta una rotazione e se la coordinata q
à l'angolo di rotazione q , l'integrazione rispetto a dcp deve essere eseguita su un
à giro completo È cioà d a O a 2%)
una tale funzione p (q; E, A) e derivando l'uguaglianza H (p, q; A)=
E rispetto al parametro A, otteniamo:

ossia

Portando questo risultato nell'integrale a numeratore nella (49,5)


e scrivendo in quello a denominatore l a funzione integranda nella
forma 9p/9E, abbiamo:

La forma definitiva d i questa uguaglianza puà essere scritta come


segue:

dove I Ã l'integrale

preso lungo la traiettoria, per la quale E e A sono fissi. Questo risulta-


t o mostra che nell'approssimazione considerata la grandezza I,
restando costante a l variare del parametro A, Ã un'invariante
adiabatico.
La grandezza I Ã funzione dell'energia del sistema (e del para-
metro K}. La sua derivata parziale rispetto all'energia determina il
periodo del moto: secondo la (49,4) abbiamo

o anche

dove co = 2n/T Ã l a frequenza delle oscillazioni del sistema.


All'integrale (49,7) s i puà dare un significato geometrico concreto
utilizzando la nozione d i traiettoria di fase del sistema. Nel caso dato
(un solo grado di libertà ) lo spazio delle fasi si riduce ad un sistema
bidimensionale d i coordinate p, q, e la traiettoria di fase di un sistema,
il cui moto à periodico, à rappresentata da una curva chiusa in questo
piano. L'integrale (49,7), preso lungo questa curva, dà i l valore del-
l'area della superficie da essa limitata. Esso puà essere anche scritto
come un integrale bidimensionale d i superficie:
1
I=- 2n dpdq. (49910)
A titolo d'esempio, determiniamo l'invariante adiabatico per
un oscillatore unidimensionale. La sua hamiltoniana Ã
p2 mcô2q
H=-
2m +T' (49'11)
dove co à l a frequenza propria dell'oscillatore. L'equazione della
traiettoria d i fase, data dalla legge d i conservazione dell'energia
H (P, q) = E,
rappresenta un'ellisse d i semiassi e v2~/mwl't¥
l a sua super-
ficie (divisa per 2n) Ã

L'invarianza adiabatica di questa grandezza significa che per una


lenta variazione dei parametri dell'oscillatore la sua energia varia
proporzionalmente alla frequenza.

j 50. Variabili canoniche


Supponiamo ora costante i l parametro ?L, consideriamo cioà un
sistema isolato.
Facciamo le trasformazioni canoniche delle variabili q, p, sce-
gliendo l a grandezza I come nuovo à impulso È I n queste trasfor-
mazioni i l ruolo della funzione generatrice deve essere assunto
dall'à azione abbreviata à So espressa in funzione d i q e I. Infatti,
Soà definita come integrale
So(q, E; 1) = fp (q, E ; 1)dq, (50,l)
preso per u n valore dato dell'energia E (e del parametro K}. Per un
sistema isolato, però I à funzione solo dell'energia; So puà essere
quindi espressa come funzione d i So(q, I ; A), mentre l a derivata
parziale (b'SJ9q)E = p coincide con l a derivata (b'So/9q)i, presa per
1 costante. S i ha quindi
aso (q, 1; A)
P= aq 9 (502)
i l che corrisponde alla prima delle formule della trasformazione cano-
nica (45,8). La seconda formula invece determinerÃuna nuova à coor-
EQUAZIONI CANONICHE 227

dinata à che indicheremo con W:

Le variabili I e W sono dette variabili canoniche; I si chiama variabile


d'azione, e W, variabile angolare. Non dipendendo la funzione genera-
trice So(q, I ; A) dal tempo in modo esplicito, la nuova funzione d i
Hamilton H' coincide con la vecchia H espressa in nuove coordina-
te. I n altre parole, H' Ã l'energia E (I) espressa in funzione della
variabile d'azione. Conformemente a cià le equazioni d i Hamilton
per le variabili canoniche possono essere scritte nella forma:

Dalla prima equazione, come c'era da aspettarsi, risulta che


I=costante: alla pari dell'energia à costante anche l a I. Dalla
seconda equazione si vede che la variabile angolare à una funzione
lineare del tempo:
W=-
dt
!i + costante = o) (I)t + costante
(50'5)
che rappresenta la fase delle oscillazioni.
L'azione So(q, I) Ã una funzione non monodroma delle coordina-
te. A ogni periodo questa funzione non riprende il valore iniziale,
ma subisce un incremento
ASo = 2 d , (50,6)
cosa evidente dalla (50,l) e dalla definizione (49,7) di I. I n questa
stesso intervallo la variabile angolare subisce l'incermento

Procedendo inversamente, se esprimiamo q e p [oppure qualsiasi


loro funzione monodroma F (q, p)] mediante le variabili canoniche,
queste funzioni non cambieranno i loro valori quando 2 varierà d i
2ii (per un valore I dato). I n altri termini, ogni funzione monodroma
F (q, p), espressa mediante le variabili canoniche, rappresenta u n a
funzione periodica d i W con periodo uguale a 2n.
Le equazioni del moto possono essere scritte in variabili canoni-
che anche per un sistema non isolato con un parametro A dipendente
dal tempo. I l passaggio a queste variabili viene fatto sempre con l e
formule (50,2) e (50,3), avendo per funzione generatrice S o , definita
dall'integrale (50,l) ed espressa in funzione della variabile I, defi-
nita dall'integrale (49'7). L'integrale indefinito (50'1) e l'integrale
definito (49,7) vengono calcolati come se il parametro A (t) avesse un
valore costante dato; in altre parole, So(q, I; A (t)) Ã l a funzione
15*
228 CAPITOLO SETTIMO

del caso precedente, calcolata per A costante che viene sostituita poi
dalla funzione data A ( t ) l).
Poichà l a funzione generatrice si presenta ora (con i l parametro
A) come funzione esplicita del tempo, la nuova funzione d i Hamilton
H' non coinciderà pi6 con l a vecchia, cioÃcon l'energia E (I).Secon-
do le formule generali della trasformazione canonica (45,8), si h a

dove à stata introdotta l a notazione

A deve essere espressa (dopo aver fatto la derivazione rispetto a A)


con l'aiuto della (50,3) i n funzione di I e W.
Le equazioni d i Hamilton assumono ora l a forma

dove' a = (9E/9I)\ Ã l a frequenza delle oscillazioni (calcolata di


nuovo come se A fosse costante).

PROBLEMA
Scrivere le equazioni del moto in variabili canoniche per un oscillatore
armonico [funzione di Hamilton (49,11)] con una frequenza dipendente dal
tempo.
Soluzione. Poichà nelle (50,l) - (50,s) tutte le azioni vengono eseguite
per l. constante (qui il suo ruolo à assunto dalla stessa frequenza co), la relazione
tra q, p e W ha la stessa forma che per la frequenza costante (quando W = cot):
-
sen W = / $

Da cui
SO-\ @d!?=\p[^piw=2~ i cos2wdw
e in seguito

Le equazioni (50,10), ( 5 0 , l l ) assumono ora la forma


co
I = -I-cos(0
co
2w, w=a+-sen2w.
2a
1) Sottolineiamo tuttavia che la funzione S o cosi determinata non coincide
con la reale azione abbreviata per un sistema con la funzione hamiltoniana
dipendente dal tempo!
EQUAZIONI CANONICHE

$ 51. Conservazione di un'invariante adiabatico i)


L'equazione del moto nella forma (50,lO) permette d i verificare
nuovamente l'invarianza adiabatica della variabile d'azione.
S o (q, I ; A) Ã una funzione non monodroma d i q; quando la coor-
dinata prende i l valore iniziale, a d S o s i aggiunge u n valore intero
multiplo d i 2nI. La derivata (50,9) Ã invece una funzione monodroma
perchà l a derivazione si fa per I costante ed, inoltre, gli incrementi
che si aggiungono ad S oscompaiono. Come ogni funzione monodroma,
la funzione A, espressa mediante l a variabile angolare W, Ã fun-
zione periodica di questa variabile. I l valore medio (per un periodo)
della derivata dA/dw di una tale funzione si annulla. Per que-
sto, prendendo l a media dell'equazione (50,lO) e portando i (per una
variazione lenta d i A) fuori del segno di media, si ottiene il ri-
sultato richiesto:

come volevasi dimostrare.


Le equazioni del moto (50,lO) e (50,11) permettono di affrontare
il problema della precisione con la quale si conserva l'invariante
adiabatico. Poniamo la questione nel modo seguente: supponia-
mo che il parametro A (t) tenda per t --P - m e t -+ +m a i limiti
costanti L _ e A+; sia dato (per t = -m) il valore iniziale I - dell'in-
variante adiabatico; si chiede di trovare l'incremento AI = I+ - I -
nel momento t = +m.
Dalla (50,10) si ricava

Come abbiamo già indicato, la grandezza A à una funzione periodica


(con periodo 2n) della variabile W; sviluppando in serie di Fourier
questa funzione, abbiamo:
m

A= e^At (51,3)
(=-m

(essendo A reale, i coefficienti di sviluppo sono legati dalla relazione


A-i = A?). D a l l a ~ 5 1 , S )per la derivata dwdw otteniamo:
rm W

Per isufficientemente piccolo, la derivata à positiva [il suo


segno coincide con quello di W ; vedi la (50,11)1, cioÃW Ã una funzione
1) Questo paragrafo à stato scritto da E. M. Lifgic e L. P. Pitaievskij.
230 CAPITOLO SETTIMO

monotona del tempo t. Se nella (51,2) si passa dall'integrazione ri-


spetto a dt all'integrazione rispetto a dw, i limiti restano gli stessi:

Sostituendo con l'espressione (51,4), trasformiamo l'integrale,


considerando formalmente in esso W come variabile complessa. Sup-
ponendo che l'espressione integranda non abbia punti singolari per
valori reali di W, spostiamo i l cammino

T
d'integrazione dall'asse reale W al semi-
piano superiore di questa variabile. Fatto
w)questo, si vede che il contorno à si attac-
ca à ai punti singolari dell'espressione
integranda e, aggirandoli, assume la
forma rappresentata schematicamente
nella fig. 56. Sia w0 il punto singolare
pifi vicino all'asse reale, cioà il punto
Fig/56 con la coordinata immaginaria (positi-
va) minore. L'integrale (51,5) assume il suo
valore principale nell'intorno di questo
punto; notiamo che ciascun termine della serie (51,4) apporta un con-
tributo contenente il fattore exp ( - I I m wn). Conservando ora sol-
tanto il termine con l'esponente negativo minore in valore assoluto
(cioà il termine con I = l), troviamo1)
AI oo exp (-Im w0). (51,6)
Sia tn il à momento di tempo à (numero complesso!) che corrispon-
d e al punto singolare W,,: W (to) = W,,. Per ordine di grandezza 1 t. 1
coincide generalmente con il tempo caratteristico della variazione
dei parametri del sistema che indicheremo con r2).L'ordine di gran-
dezza dell'esponente di potenza nella (51,6) sarÃ

Poichéper ipotesi, T '$> T, questo esponente à grande. Quindi, la


differenza I+- I _ decresce esponenzialmente con la diminuzione
della rapidità della variazione dei parametri del sistema3)
- 1) In casi speciali puà risultare che lo sviluppo (51'4) non contenga i l ter-
mine con l = 1 (vedi, ad esempio, i l problema di questo paragrafo); in tutti
i casi bisogna prendere il termine con il valore minore di I della serie.
2) Se la lentezza della variazione del parametro si esprime nel fatto
che questi dipende da t soltanto nella forma E = t l ~ dove
, T 6 grande, allora
t - tEo, dove En à il punto singolare della funzione X (E), non dipendente da T).
3 , Notiamo che se i valori iniziale e finale della funzione X (t) coincidono
<Ë = A_), non solamente la differenza AI, ma anche la differenza AE =
= E+ - E- dell'energia finale ed iniziale sarà esponenzialmente piccola;
secondo la (49'9)' avremo AE = co A I .
EQUAZIONI CANONICHE 231

Per determinare w 0 i n prima approssimazione rispetto a T/%


(cioà conservando nell'esponente solamente i l termine (T/%)'),
si puà omettere nell'equazione (50,11) i l termine piccolo contenente
L, cioà scrivere
dw
-
d t = t)(1,
(t)), (51'8)
considerando costante, ponendolo per esempio uguale a I_,l'argo-
mento I della funzione (o (I, A). Allora abbiamo:
tn
l" = f t) (I, A (t)) dt
(per limite inferiore si puà prendere qualsiasi valore reale d i t; l a
parte immaginaria d i w 0 che ci interessa non dipende da questa
scelta).
L'integrale (51,5) con determinato dalla (51,8) (e con un termi-
ne della serie (51,4) per 9 W w ) assume l a forma

Da questa espressione si vede che in qualità d i punti singolari con-


correnti (quando si sceglie i l piti vicino all'asse reale) figurano le
singolaritÃ(poli, punti d i ramificazione) delle funzioni ( t )e l/t) (t).
Ricordiamo a questo proposito che i l valore esponenzialmente pic-
colo d i A I Ã una conseguenza dell'ipotesi che le funzioni indicate
non abbiano punti singolari reali.

PROBLEMA
Valutare AZ per un oscillatore armonico con frequenza che varia lentamente
secondo la legge

dal valore W- = per t = -m a l valore m+ = G m o per t = m (a > O ,


a <~0)~).
Soluzione. Prendendo come parametro A, la stessa frequenza a, abbiamo
i
-=E( a
CI 2 e-"'+a e-¡"+
Questa funzione ha poli per e-"' = -1 ed e-"' = -a. Calcolando l'integrale
\
J
a d t , troviamo che i l valore minimo Im w o à dato da uno dei poli ato =
- -In (-a) ed à uguale a
w0n/a per a > 1 ,
Im W, =
. a < I.
i o n ~ a l a per
l) L'armonicità dell'oscillatore si rivela nell'indipendenza della frequenza
delle oscillazioni dall'energia.
Per un oscillatore armonico A sen 2 w (vedi problema del f 50), per cui
la serie (51,3) si riduce a due termini (con l = ±2) Per l'oscillatore armonico
si ha quindi
AI exp (-2 Im wa).

5 52. Moto condizionatamete periodico


Consideriamo u n sistema isolato con molti gradi d i libertà ani-
mato da un moto finito (rispetto a t u t t e le coordinate). Supponiamo
inoltre che i l problema ammetta una completa separazione delle
variabili nel metodo d i Hamilton-Jacobi. Cià vuoi dire che con una
scelta appropriata delle coordinate l'azione abbreviata puà essere
rappresentata come somma:

d i funzioni, ognuna delle quali dipende da una sola coordinata.


Poichà g l i impulsi generalizzati sono

ognuna delle funzioni S i puà essere rappresentata nella forma

ISi =
pi dqi.
(5292)
Queste funzioni non sono monodrome. Poichà i l moto à finito,
ciascuna delle coordinate puà prendere valori compresi in u n deter-
minato intervallo finito. Quando a, varia in questo intervallo à an-
data à e à ritorno È l'azione subisce u n incremento
ASo = AS; = 2 d i ,
dove 7 , Ã l'integrale
li = -
n
1
Pi 8
esteso alla variazione indicata d i q i l ) .
Facciamo ora una trasformazione canonica analoga a quella fatta
nel paragrafo precedente per i l caso d i u n solo grado d i libertà Le
variabili nuove saranno q u i le à variabili d'azione à 7 , e le à variabili
angolari Ã

--
l) Sottolineiamo perà che si tratta qui di una variazione formale della
coordinata qi in tutto l'intervallo dei suoi valori possibili, e non della varia-
zione nel corso di un periodo del moto reale (come nel caso del moto unidimen-
stonale). I l moto reale finito di un sistema con pi6 gradi di libertà non à in
generale periodico nel suo insieme; non à periodica nemmeno la variazione
col tempo di ciascuna delle sue coordinate prese separatamente (vedi pifi avanti).
dove la funzione generatrice à ancora l'azione espressa in funzione
delle coordinate e delle grandezze I ; : le equazioni del moto espresse
in queste variabili
9E (I)
W, =-
91,
danno:
I; = costante.
wi = ( I ) t + costante.
ari
p

Analogamente alla (52,7), si puà trovare che alla variazione com-


pleta della coordinata qi (à andata à e à ritorno È corrisponde una
variazione di 2n della variabile wi:
Awi = 2n. (523)
In altri termini, le grandezze wi (q, I ) sono funzioni non monodrome
delle coordinate; quando le coordinate variano riprendendo i valori
iniziali, queste funzioni possono variare d i un qualsiasi multiplo
intero di 2n. Questa proprietà puà essere formulata per l a funzione
wi (q, p) (espressa mediante le coordinate e gli impulsi) anche nello
spazio delle fasi del sistema. PoichÃle grandezze stesse I;,se espresse
mediante p e q, sono funzioni monodrome d i queste variabili, con l a
sostituzione d i I; (p, q) in w i (q, I ) otteniamo una funzione wi (p, q}
che percorrendo una curva chiusa qualsiasi nello spazio delle fasi,
puà variare di u n multiplo intero d i 2n (o d i zero).
Da quanto detto segue che ogni funzione monodroma dello stato
del sistema F (p, q)l), espressa mediante le variabili canoniche,
à una funzione periodica delle variabili angolari con periodo 2n per
ciascuna di queste variabili. Essa puà quindi essere sviluppata i n
una serie multipla d i Fourier del tipo
m m
F=
li=-m
... 2 lo=-m
Alil2 . . . 13e^(~iwi+...+~*ws)

(l,, 12, . . ., Zs sono numeri interi). Sostituendovi le variabili


angolari come funzioni del tempo, vediamo che la dipendenza tempo-
rale di F Ã data d a una somma del tipo

(5279)
l) Le à coordinate rotazionali n, ossia gli angoli <p (vedi nota alla pag. 224),
non sono legate univocamente allo stato del sistema, perchà i valori di (p, che
differiscono per un multiplo intero di 2n, corrispondono ad uno stesso stato del
sistema. Se tra le coordinate q ci sono di questi angoli, essi possono quindi
entrare nella funzione F (q, p) soltanto come espressioni del tipo cos <p o sen
q, legate univocamente allo stato del sistema.
2 34 CAPITOLO SETTIMO

Ciascun termine d i questa somma rappresenta una funzione perio-


dica del tempo con frequenza
zl@i + . + Z~WS, (52,101
che à una somma di multipli interi delle frequenze fondamentali

Poichà t u t t e le frequenze (52,lO) non sono generalmente multipli


interi (o frazioni razionali) d i alcuna di esse, la somma in totale non
. Ã una vera e propria funzione periodica. I n particolare, questo vale
per le coordinate q e gli impulsi p del sistema.
Quindi i l moto del sistema non à in generale strettamente perio-
dico nà in blocco nà rispetto a una sua coordinata. Cià significa che
s e il sistema à passato per un certo stato, non ripassa p i per ~ quello
stato in capo a nessun intervallo di tempo finito. Si può però affer-
mare che in capo a un intervallo d i tempo sufficientemente grande
passa tanto vicino quanto si vuole a quello stato. $ rifacendosi a que-
s t a proprietÃche u n tale moto à chiamato condizionatamente periodico.
In certi casi particolari, due o piii frequenze fondamentali (i);
possono risultare commensurabili (per valori arbitrari delle grandez-
ze l i ) . S i parla allora della presenza di una degenerazione; se invece
tutte le s frequenze sono commensurabili, il moto del sistema à chia-
mato completamente degenere. Nell'ultimo caso à evidente che il
moto à strettamente periodico e, d i conseguenza, le traiettorie di
tutte le particelle sono chiuse.
La presenza d i una degenerazione fa diminuire soprattutto il
numero d i variabili indipendenti ( I i ) dalle quali dipende l'energia
del sistema. Supponiamo che due frequenze col e m a siano legate dalla
relazione

dove n-, ed n, sono numeri interi. Da questa uguaglianza segue che le


grandezze Il e d I n entrano nell'energia solo sotto forma d i somma
n211 Ã nl12.
L aumento del numero degli integrali del moto uniformi in con-
fronto al loro numero nel caso generale d i un sistema non degenere
(con uno stesso numero d i gradi d i libertà rappresenta una proprietÃ
molto importante dei moti degeneri. Nell'ultimo caso, d i t u t t i gli
(2s - 1) integrali del moto risultano monodrome solo s funzioni dello
stato del sistema; i l numero completo di tali funzioni puà essere co-
stituito ad esempio dalle s grandezze I r I restanti s - l integrali si
possono rappresentare sotto forma delle differenze
EQUAZIONI CANONICHE 235

Queste grandezze, come segue direttamente dalla formula (52,7),


sono costanti, ma non sono funzioni monodrome dello stato del
sistema perchà non sono monodrome le variabili angolari.
Con la degenerazione subentrano dei mutamenti. I n forza della
(52,12), l'integrale
~ 1 % w2n1 - (52,141
non à uniforme, potendovi aggiungere un qualsiasi multiplo intero
d i 2n. sufficiente quindi prendere una funzione trigonometrica di
questa grandezza per ottenere un nuovo integrale uniforme del moto.
I l moto in u n campo U = -a/r (vedi i l problema di questo para-
grafo) puà servire d'esempio d i un moto degenere. E d à appunto que-
sta circostanza a far comparire il nuovo caratteristico integrale
uniforme del moto (15,17), oltre a i due giÃesistenti integrali uniformi
ordinari (il moto si suppone piano): del momento M e dell'energia
E, propri del moto i n un qualsiasi campo centrale.
Notiamo anche che la comparsa d i ulteriori integrali uniformi
determina, a sua volta, un'altra proprietà dei moti degeneri: essi
ammettono completa separazione delle variabili, qualunque sia la
scelta delle coordinate1). Infatti, le grandezze Ii,espresse in coor-
pinate che permettono la separazione delle variabili, sono integrali
uniformi del moto. Se s i ha degenerazione, però i l numero
degli integrali uniformi à maggiore d i s e, di conseguenza, la scelta
degli integrali che vogliamo prendere come Ii non à pifi univoca.
A titolo d'esempio, consideriamo i l moto kepleriano che ammette
la separazione delle variabili in coordinate sia sferiche che in quelle
paraboliche.
Nel paragrafo precedente abbiamo dimostrato che per un moto
uniforme finito l a variabile d'azione à un invariante adiabatico.
Cià vale anche per sistemi con molti gradi d i libertà e ne diamo
qui la dimostrazione generalizzando direttamente il metodo esposto
all'inizio del $ 51.
Per un sistema a pifi dimensioni con il parametro variabile K(t),
le equazioni del moto in coordinate canoniche danno per velocitÃ
d i variazione d i ciascuna delle variabili d'azione li un'espressione
analoga alla (50,lO):

dove, come prima, A = (9So/9K),. Mediamo questa uguaglianza


su un intervallo d i tempo, grande in confronto ai periodi principali
del sistema, ma piccolo in confronto a l tempo necessario per una va-
riazione sensibile del parametro K (t). Anche i n questo caso K si porta
fuori del segno d i media mentre la media delle derivate 9A/9wi si
1) Non ci si riferisce naturalmente a trasformazioni banali delle coordinate
tipo q; = q; (?l), q2 = 9; (9,)'
236 CAPITOLO SETTIMO

prende come se i l moto avvenisse per A costante e fosse quindi un


moto condizionatamente periodico. A si presenta allora come
funzione monodroma periodica delle variabili angolari wi, e le
medie delle sue derivate 9A/8wi si annullano.
Per concludere, facciamo qualche osservazione relativa alle pro-
prietà del moto finito dei sistemi isolati a pià (s) gradi d i libertÃ
per i l caso piii generico in cui non à prevista l a separazione delle
variabili nella corrispondente equazione d i Hamilton-Jacobi.
La proprietà fondamentale dei sistemi a variabili separabili à co-
stituita dall'uniformità degli integrali del moto I ; il cui numero
à uguale a l numero dei gradi d i libertà Nel caso generale, invece, di
sistemi a variabili non separabili, la scelta degli integrali del moto
uniformi à limitata a quelli per cui i l fatto d i essere costanti à un'e-
spressione delle proprietÃdi omogeneitÃe di isotropia dello spazio e del
tempo, cioà delle leggi d i conservazione dell'energia, dell'impulso,
e del momento angolare.
La traiettoria di fase del sistema passa per quelle regioni dello
spazio delle fasi che sono determinate da valori costanti dati degli
integrali del moto uniformi. Per u n sistema a variabili separabili
avente s integrali uniformi, queste condizioni determinano una va-
rietà a s dimensioni (ipersuperficie) dello spazio delle fasi. I n un tem-
po sufficientemente lungo l a traiettoria del sistema passa vicino
tanto quanto si vuole a ogni punto d i questa superficie.
Nei sistemi, invece, a variabili non separabili, aventi un numero
minore d i integrali uniformi (pur a parità d i s), la traiettoria d i fase
riempie (completamente o parzialmente) regioni dello spazio delle
fasi (varietà con numero d i dimensioni maggiore.
Osserviamo infine che se la hamiltoniana di un sistema diffe-
risce soltanto per termini piccoli da una funzione che ammette
separazione delle variabili, anche le proprietà del moto sono vicine
alle proprietÃdei moti condizionatamente periodici, la differenza anzi
à piccola i n grado ben piii elevato d i quanto non lo siano i termini
addizionali nella funzione d i Hamilton

Calcolare le variabili d'azione per il moto ellittico in un campo U = -a/r.


Soluzione. In coordinate polari r , (p nel piano del moto abbiamo:

',=a 2n
o
P,'>v=M,
EQUAZIONI CANONICHE

Da cui l'energia espressa in funzione delle variabili d'azione Ã


E= - ma'
2 (^ +^l2
+
Essa dipende solo dalla somma 1,. I*,i l che significa che i l moto 6 degenere:
le due frequenze fondamentali (rispetto a (p ed r) coincidono.
I parametri p ed e dell'orbita [vedi (15,4)] si esprimono in funzione di
Zr ed I m secondo le formule

In v i r t ~dell'invarianza adiabatica delle grandezze Ir ed IW, l'eccentricitÃ


dell'orbita resta invariata quando i l coefficiente a o la massa m variano lenta-
mente, mentre le sue dimensioni variano i n modo inversamente proporzionale
ad m ed a.
Indice analitico ')

Additività di attrito, 121, 182


de li integrali del moto, 42 di Coriolis, 189
defla massa, 47 di reazione, 182
Ampiezza delle oscillazioni, 100 generalizzata, 46
Asse di istantanea rotazione, 150 Frequenza propria 110
Azione abbreviata, 205 Frequenze combinatorie, 135
Funzione, di dissipazione, 123
generatrice, 209
Battimenti, 105, 114
Buca di potenziale, 58
Caduta di una particella nel centro, Gradi di libertà 27, 116, 148
67, 90 Grandezze canonicamente coniugate,
211
Campo omogeneo, 38
Condizione d'equilibrio' d i u n solido, Identità di Jacobi, 199
Coordinate, cicliche, 64, Impulso generalizzato, 46
ellittiche, 220 Integrale delle aree, 65
generalizzate, 27 Integrali del moto, 42
paraboliche, 219 Isotropia dello spazio, 32, 49
Coppia di forze, 165
Legge dell9hguaglianza dell'azioneie
Decremento di smorzamento, 121 della reazione, 46
Degenerazione, 234 d'inerzia, 32
Leggi di Keplero, 55, 65
Linea dei nodi. 166
Eccentricità 71
Energia, cinetica, 36
interna, 48 Massa di una particella, 34
potenziale, 36 Momento di una forza, 164
Equazioni, canoniche, 194 Momenti principali, d'inerzia, 153
di Newton, 37 dell'asse d'inerzia, 153
Moto finito e infinito, 58
traslatorio, 149
Fase, 100
Forza, 37
centrifuga, 189 Nutazione, 170

1) Questo indice analitico completa l'indice generale del libro, senza perÃ
ripeterlo. Esso include concetti e termini che non entrano nell'indice ge-
nerale.
INDICE ANALITICO 239

Omogeneità dello spazio, 44 Smorzamento aperiodico, 122


del tempo, 43 Spazio delle fasi, 212
Oscillatore spaziale, 115 Strisciamento, 182
Oscillazioni normali, 112 Superficie assolutamente liscia, 183
Ottica geometrica, 204 ruvida, 183

Pendolo, Teorema,
di Foucault. 191 del viriale. 55
doppio, 39,' 114 d i ~ o i s s o n ; 200
fisico, 157 Traiettoria d i fase, 212
piano, 39, 59, 69, 147 Traiettorie chiuse, 66
sferico, 68 Trasformazioni,
Perielio, 75 d i Galilei, 33
Polodia, 175 d i Legendre, 193
Precessione regolare, 162 ~ u n t u a l e .208
Principio d i D'Alembert, 185 rotto la,
Problema dei due corpi, 62 asimmetrica, 153, 174
Punto d'arresto, 58 sferica, 153
simmetrica, 153, 162, 169
veloce, 171
Risonanza, 104
Rotatore, 154, 162
Rotolamento, 182 Variabile, angolare, 227
d'azione, 227
Variazione, 29
Sezione d'urto 88 Velocità 65,
Sistema conservativo, 43 Vincoli,
inerziale di riferimento, 32 inolonomi, 183
isolato, 36 olonomi, 183 .

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