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Il Sole in bottiglia « Il Poliedrico

http://ilpoliedrico.altervista.org/2010/06/il-sole-in-bottiglia.html April 19, 2011

Sempre alla ricerca di soluzioni energetiche più efficaci, si spera e si


sperimenta anche sulla fusione termonucleare controllata, ma chiunque si
sia illuso sulla sua mancanza di radioattività dovrà ricredersi e se pensate di
scommettere su questa forma di energia pulita, ci rimettereste dei soldi.

La speranza di avere una fonte energetica virtualmente illimitata e efficiente si scontra spesso con
la sua sostenibilità ambientale, fra queste tecnologie senza dubbio va considerata la fusione
termonucleare controllata, perché se è vero che essa non genera scorie radioattive, non altrettanto
si può dire delle strutture che la dovrebbero produrre. Ma partiamo dall’inizio: cos’è esattamente la
fusione termonucleare controllata?

Nell’insensata corsa agli armamenti nata con la fine della II Guerra mondiale, nel 1952 fu fatta
esplodere dagli Stati Uniti la prima bomba all’idrogeno (o bomba H) con una potenza di 10,4
megatoni (1 megaton equivale a 4.18 × 1015 joule)
sull’atollo del Pacifico Enewetak. Inventata da
Edward Teller, essa funziona sul principio della
fissione-fusione-fissione: in pratica una normale
bomba atomica genera le condizioni fisiche
necessarie alla fusione degli isotopi di idrogeno
secondo questo schema:
2H + 3H → 4He + n + 17,6 MeV

Il trizio (3H) non è presente nella composizione


iniziale della bomba ma viene prodotto dall’urto di
neutroni veloci contro i nuclei dell’isotopo di litio
(6Li) e nuclei di deuterio (2H) secondo queste due
reazioni nucleari:
6 Li + n → 3H + 4He + 4,8 MeV
2H + n → 3H + 6,2 MeV

La fissione finale è generata dai neutroni veloci generati durante la fusione che vanno a scindere gli
atomi di uranio 238 superstiti dell’esplosione iniziale e del cilindro dell’ordigno, incrementando
l’efficacia della bomba: il tutto avviene in appena 600 millisecondi, il tempo in cui permangono le
condizioni di temperatura (3.5 × 107 K) e pressione necessarie alle reazioni nucleari. Questo è un
esempio di fusione termonucleare incontrollata.

Controllare questa enorme quantità di energia e poterla riprodurre in sicurezza è un sogno che i
fisici di tutto il mondo inseguono da quando furono scoperte da Hans Bethe nel 1938. Certo
riprodurre le condizioni fisiche necessarie con un ordigno atomico è impensabile, quindi è
necessario procedere per altre vie, ma quali? Quella sfera di luce che ci riscalda di giorno, che ha
permesso lo sviluppo della vita sulla Terra, e che la gente apprezza quando va al mare, è una stella,
il Sole, essenzialmente una palla di plasma di idrogeno, ossia protoni ed elettroni non più legati
dalle forze elettrostatiche, liberi, per quanto lo permettano le condizioni fisiche locali, di muoversi
liberamente. La temperatura si può tradurre come movimento e i protoni (nuclei di idrogeno 1H)
superando la barriera coulombiana per effetto tunnel (le energie tipiche dei protoni è di qualche
KeV mentre per infrangere la repulsione coulombiana occorrono energie dell’ordine di MeV)
riescono a fondersi formando deuterio, rilasciando un positrone (l’antimateria dell’elettrone) ed un
neutrino elettronico (decadimento β+) di 0,4 MeV:
1H + 1H → 2H + e+ + νe

Relatività ristretta

Da parte sua il positrone si annichila immediatamente con un elettrone trasformandosi in due raggi
gamma.

e+ + e− → 2γ + 1.02 MeV

Questa è la forma più efficiente di produzione di energia esistente in natura, l’annichilazione della
materia col suo omologo opposto infatti converte tutta la massa disponibile in energia: la famosa
reazione materia/antimateria tanto cara agli autori di fantascienza, soprattutto di Star Trek.

Tutto questo processo necessario alla produzione di un nucleo di deuterio è lentissimo: occorrono
1 miliardo di anni perché si avveri la probabilità che due protoni collidano esattamente e non si
respingano, ma una stella ha dalla sua i grandi numeri: ci sono 2 x 1024 protoni nel solo nucleo del
Sole, più che sufficienti.

Ora che si è reso disponibile il deuterio, esso cattura un altro protone producendo un isotopo
leggero dell’elio (3He) generando altra energia:
2H + 1H → 3He + γ + 5.49 MeV

A questo punto si aprono le strade per diversi percorsi di fusione termonucleare che gli astrofisici
chiamano rami pp, illustrarli tutti ci porterebbe fuori argomento, magari sarà materia per un futuro
articolo, basti comunque sapere che un nucleo di elio (4He) pesa lo 0,7% in meno dei quattro
protoni originari, il resto viene convertito in energia sotto forma di fotoni gamma energetici e di
neutrini, questi ultimi inutilizzabili. Questa è una fusione termonucleare controllata.

Il problema principale da superare si chiama sezione d’urto: più essa è piccola più basse sono le
probabilità di ottenere il processo di fusione e più alta è l’energia necessaria: due protoni avranno
una sezione minore rispetto a un nucleo di trizio o di deuterio, senza contare che il numero di
neutroni nel nucleo rende più facile la reciproca fusione: il trizio pesa quanto l’elio 3 ma richiede
molta meno energia per la reazione. Per questo gli scienziati sulla Terra si sono concentrati sulle
reazioni che offrono una sezione d’urto più ampia ,e che curiosamente, producono anche molta
energia.

4
reazione D-T: D + T → He ( 3.5 MeV) + n
(14.1 MeV)
D + D → T ( 1.01 MeV) + p
reazione D-D:
(3.02 MeV)
D + D → 3He (0.82 MeV) + n
(2.45 MeV)
4
reazione T-T: T – T → He + 2 n (11.3
MeV)
reazioni 3He + 3He → 4He + 2 p
dell’3He:
D + 3He → 4He (3.6 MeV) + p
(14.7 MeV)
T + 3He → 4He (0.5 MeV) + n
(1.9 MeV) + p (11.9 MeV)
T + 3He → 4He (4.8 MeV) + D
(9.5 MeV)
T + 3He → 5He (2.4 MeV) + p
(11.9 MeV)
reazioni del p + 6Li → 4He (1.7 MeV) +
6Li: 3He (2.3 MeV)

D + 6Li → 2 4He (22.4 MeV)


3He+ 6Li → 2 4He + p (16.9
MeV)
reazioni
generatrici di n + 6Li → T + 4He
trizio:
n + 7Li → T + 4He + n
L’hack del Trizio

Per garantire l’autosostentamento della fusione la reazione deve riuscire a produrre un


flusso costante di trizio: almeno un atomo di trizio per ogni atomo consumato.
Questo vuol dire che un neutrone proveniente dalla reazione principale deve riuscire a
collidere con un isotopo di litio (7Li) per produrre poi un atomo di trizio e uno di elio e
rilasciare un neutrone: questo a sua volta deve trasformare un altro atomo di litio (6Li), in
un ulteriore atomo di trizio e di elio.
È molto importante riuscire a generare il trizio all’interno del reattore: primo, esso è raro in natura e
si trova sulla Terra allo stato gassoso (viene prodotto nell’alta atmosfera dall’interazione dei raggi
cosmici con l’azoto atmosferico); secondo, è radioattivo con una emivita di 12,33 anni (è nocivo
solo per inalazione e ingestione); terzo, è indispensabile per molte reazioni che richiedono una
bassa soglia di energia di ignizione. Il problema tecnico non indifferente però è quello rendere
immediatamente disponibile il trizio per la combustione.

Questa è solo una parte della teoria della fusione termonucleare controllata, qui non esistono
problemi insormontabili: questi si manifestano nella realizzazione pratica di un reattore pienamente
funzionante. Innanzitutto è necessario che si realizzi quella che viene chiamata ignizione, il
momento di innesco della fusione termonucleare; il breakeven, ovvero la dimostrazione in cui un
reattore genera più energia di quella necessaria ad accendere la fusione; e l’autosostentamento
del processo di fusione, perché per essere sfruttabile il reattore deve riuscire a produrre energia
per un lungo periodo di tempo ininterrottamente, anche mesi o anni, per poter ripagare i suoi costi
di costruzione e mantenimento e generare un flusso costante di energia a costi abbastanza bassi
da essere economicamente conveniente.

La camera bersaglio del National Ignition Facility.


Guardate il tecnico: la capsula di combustibile è
grande come un chicco di pepe in punta alla matita
Il plasma però è esso stesso una gran brutta bestia:
confinare in un volume sempre più piccolo il plasma
è un po’ come prendere un budino in mano: come si
stringe il pugno questo sguscia via: e infatti vengono
studiati vari metodi di confinamento del plasma,
bottiglie magnetiche, fasci di radiazione laser,
campi elettrici etc. che finora hanno saputo dare
risultati solo parziali e estremamene limitati nel
tempo, dell’ordine
di frazioni di secondo.

Poi vi ricordate dei neutroni? essi sono importanti per i processi di fusione, ma hanno la spiacevole
abitudine di essere totalmente insensibili ai campi elettromagnetici, l’unico modo per fermarli è
quello di farli impattare contro il nucleo di un altro atomo con lo spiacevole inconveniente di
radioattivare la materia: una camera di contenimento, detta blanket, per esempio in acciaio, in
pochi anni sarebbe inutilizzabile per l’effetto dei neuroni più energetici. Per questo si stanno
studiando delle soluzioni che vanno dall’impiego di leghe metalliche come Pb-Li a materiali
ceramici di Li-Be [1]. Il litio è importante perché oltre che essere fondamentale per la produzione
del trizio, è anche un eccellente moderatore di neutroni.

Quindi sono tanti, forse troppi, gli ostacoli tecnici ancora da superare. Probabilmente quando
questi saranno risolti avremo sviluppato altre fonti energetiche pulite e più convenienti da rendere la
fusione termonucleare utile solo in assenza di altre alternative. In fondo se ci pensiamo abbiamo
già una centrale termonucleare gratuita e potente: il Sole.
Invece di reinventare la ruota sarebbe più saggio studiare il modo più efficace e conveniente per
raccogliere ed utilizzare la sua immane energia il cui unico difetto è quello di essere democratica e
soprattutto gratuita.

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