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È difficile dare una risposta alla domanda “ma se c’è un problema di riscaldamento
globale, perché fa freddo e nevica?”, come non è facile spiegare che una cosa è
l’evoluzione delle condizioni meteorologiche e un’altra l’evoluzione climatica.
La prima si occupa di previsioni meteorologiche su scala temporale
breve e che queste sono meno accurate più è ampio l’arco di tempo a cui
si riferiscono, l’altra cerca invece di prevedere come potrà essere la
situazione climatica in un intervallo di tempo molto più ampio.
Quando si parla di evoluzione di un sistema comunque caotico come lo è
quello dell’atmosfera di un pianeta, il condizionale è d’obbligo, perché si
tratta sempre di tentare di estrapolare un risultato che è la sintesi di
migliaia di variabili, di cui molte frutto di ricerche e di nuove scoperte, che
si intrecciano fra loro in modi spesso imprevedibili e imprevisti; è proprio
vero il detto che “il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano
dall’altra parte del mondo”
Un esempio lampante ce lo dette nel 1991 l’eruzione del Pinatubo: il
vulcano eruttò fino a 18 chilometri di altezza 20 milioni di tonnellate di
aerosol ricchi di diossido di zolfo che schermando la luce solare fecero
precipitare le medie climatiche di mezzo grado per due anni, rafforzando
però la circolazione dei venti artici che circolano in senso antiorario sopra
il Polo Nord facendo sì che aria calda e umida proveniente dagli oceani
mitigasse gli inverni alle alte latitudini dell’emisfero nord e creasse invece condizioni di siccità alle
medie latitudini. A questo meccanismo contribuì l’effetto dell’acido solforico nella troposfera il quale
intaccando lo strato di ozono che impedisce ai raggi ultravioletti di raggiungere le quote più basse
(per questo la proposta di inondare la troposfera con lo zolfo per raffreddare il pianeta è stupida
come curare il raffreddore col cannone) permise il rilascio dell’energia di questa radiazione negli
strati più bassi dell’atmosfera accentuando ulteriormente i venti circumpolari.