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4/2020

EXPRESSIO
Rivista di Linguistica, Letteratura
e Comunicazione

MIMESIS
EXPRESSIO. Rivista di Linguistica, Letteratura e Comunicazione
La rivista intende applicarsi agli ambiti specifici della Linguistica, della Letteratura
e della Comunicazione, intersecando gli aspetti teorici al monitoraggio delle realtà
esistenti, in prospettiva sincronica e diacronica. Saranno privilegiate le riflessioni su
temi precisi e circoscritti, legati anche a valenze pragmatiche. Le intersezioni fra le tre
componenti, considerate nella loro sfera d'azione più ampia, costituiscono un obiettivo
prioritario del progetto.

Direttore
Giulio M. Facchetti
Vicedirettori
Gianmarco Gaspari, Alessandra Vicentini
Comitato Editoriale
Barbara Berti, Paola Biavaschi, Kim Grego, Jean Hadas-Lebel, Mario Iodice, Roberta
Melazzo, Marta Muscariello, Paolo Nitti, Erika Notti, Giulia Rovelli, Daniel Russo,
Raffaele Zago

Comitato Scientifico
Luciano Agostiniani (Università degli Studi di Perugia)
Lucia Bertolini (Università degli Studi eCampus)
Gabriella Cartago (Università degli Studi di Milano)
Carlo Consani (Università degli Studi di Chieti-Pescara)
Pierluigi Cuzzolin (Università degli Studi di Bergamo)
Javier de Hoz Bravo (Universidad Complutense de Madrid)
Pierangela Diadori (Università per Stranieri di Siena)
Roberta Facchinetti (Università degli Studi di Verona)
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Giovanni Iamartino (Università degli Studi di Milano)
Mario Negri (Università IULM di Milano)
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Rosa Pugliese (Università Alma Mater Bologna)
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Graziano Serragiotto (Università Ca’ Foscari Venezia)
Marco Sonzogni (Victoria University of Wellington, NZ)
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Tutti i contributi inviati alla rivista sono sottoposti a una procedura di double blind peer
review che ne garantisce la validità scientifica.

ISSN 2532-439X

MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)


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Indice

Presentazione 7

Panel “Italian academic discourse as used abroad and in


Italian universities” – Congresso della Canadian Association
for Italian Studies, 13-16/06/2019

Elena Ballarin (Università Ca’ Foscari Venezia)


Paolo Nitti (Università degli Studi dell’Insubria)
Competenza testuale e italiano accademico. Una proposta
di descrittori per l’analisi linguistica 11

Ada Bier (Università degli Studi di Udine)


Elena Borsetto (Università Ca’ Foscari Venezia)
Una buona pratica di supporto all’insegnamento accademico:
l’esperienza di Academic Lecturing a Ca’ Foscari 31

Cristina Pierantozzi (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)


Flora Sisti (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)
L’Italiano accademico: solo una questione socio-linguistica? 53

Maria Chiara Aielli (Università degli Studi di Parma)


Marco Mezzadri (Università degli Studi di Parma)
Competenze comunicative e successo accademico 65
Glottologia e Linguistica

Roberta Melazzo (Università degli Studi Guglielmo Marconi)


L’indefinitezza nominale in apprendenti sinhalesi
di italiano L2 81

Giulio M. Facchetti (Università degli Studi dell’Insubria)


Note linguistiche ed ermeneutiche
sulla tavoletta PY Tn 316 139

Micaela Grosso (Università degli Studi eCampus)


Il Centro Interculturale di Torino e la formazione dei docenti:
un’indagine sul gradimento da parte dell’utenza 161

Jean Hadas-Lebel (Université Lumière-Lyon 2)


Snuiaφ et les numéraux de 7 à 9 en étrusque 177

Giuseppe Fazzari (Centro Interculturale della Città di Torino)


Tecniche pragmatiche e testuali per diffondere il falso
in politica 189

Anglistica

Barbara Berti (Università degli Studi di Milano)


We are what we cook (and review). A data science / NLP-
based DA approach to an online recipe collection and
food-focused social network 209

Larissa D’Angelo (Università degli Studi di Bergamo)


From traveller to prosumer: A diachronic linguistic analysis
of past travel diaries and today’s online commentaries 229

Patrizia Giampieri (Università degli Studi di Camerino)


“Drop the F-bomb”: A diachronic analysis of taboo language
in Italian film dubbing 259

Martina Guzzetti (Docente e traduttrice, Milano)


Aspects of sociolinguistic variation: The case of ‘mockney’
and standard English 291
Alessandra Vicentini (Università degli Studi dell’Insubria)
“Ready resources in cases of difficulty”: Discursive
and lexicographical aspects of English medical
dictionaries (1809-1882) 309

Letteratura e Comunicazione

Paolo Bernardini (Università degli Studi dell’Insubria)


Luigi Robuschi (University of the Witwatersrand)
Philology vs critical theory: the secularization of philology
and the “politically correct” universe 337

Francesco Cansirro Cortorillo (Docente, membro CREAT,


Università degli Studi dell’Insubria)
Aleksandr Nikolaevič Skrjabin: un simbolista in musica 351

Bianca Del Buono (Università degli Studi di Udine)


Alle origini dell’“effetto Sterne”: considerazioni sulle
prime traduzioni italiane (Venezia, 1792) 377

Recensioni

Giuseppe Fazzari (Centro Interculturale della Città di Torino)


La didattica della lingua italiana per gruppi disomogenei,
di Paolo Nitti, Editrice La Scuola, Brescia 2018 403
Note linguistiche ed ermeneutiche sulla
tavoletta PY Tn 316
Giulio M. Facchetti

Abstract

In this study a revised analysis of the Mycenaean tablet PY


Tn 316 is presented, a piece of utmost importance for the
knowledge of the Mycenaean language, rituals and religion.
New proposals are drawn for the solution of old cruces (e.g.
Myc. ma-na-sa), based on the application of a hermeneutic
principle of internal coherence to each sections of the text.

Keywords: Linear B, Mycenaean Language, Mycenaean


Religion, Mycenaean Onomastics

1. Considerazioni generali

La tavoletta PY Tn 316 è tra le più interessanti dell’intero


corpus pilio, e della lineare B in generale.
Essa ci conserva la memoria di una serie di cerimonie reli-
giose da svolgere nel regno di Pilo in una determinata occa-
sione.
L’eccezionalità e lo splendore dei riti traspare dalla descri-
zione delle suppellettili (vasi d’oro e d’argento) e, probabil-
mente, del coinvolgimento dell’intera città di Pilo che è espli-
citamente designatata come wa-tu /wastu/.
A ciò si aggiunge che, tra gli oggetti del processo cerimo-
niale specificamente destinati a determinate divinità, oltre al
vasellame pregiato sono elencate delle persone, che sono state
reputate registrazioni di possibili vittime destinate a sacrifici
umani.
La riedizione di PY Tn 316 contenuta in Godart 2009 ha
chiarito punti epigraficamente problematici (consegnandoci
Giulio M. Facchetti

una lettura praticamente completa dell’intero testo), ha indi-


viduato l’intervento di due mani diverse nella redazione della
tavoletta e ha dimostrato la necessità di distinguere formalmen-
te gli ideogrammi *141 per “oro” e *141bis per “argento” (in
precedenza conguagliati come mere varianti del primo). Que-
ste informazioni arricchiscono di nuovi importanti dettagli la
nostra capacità di analisi linguistica e filologica.
Il contesto generale del documento risulta ben comprensibi-
le, per quanto sussistano incertezze di carattere interpretativo
in diversi punti.
L’intestazione della tavoletta è costituita semplicemente dal-
la parola po-ro-wi-to-jo, generalmente reputata interpretabile
come Plōwistoio (mēnnos) “nel (mese di) Plōwistos”, cioè “nel
mese della navigazione” (DMic s.v.). Una diversa linea inter-
pretativa (v. recentemente Doyen 2015), per cui po-ro-wi-to-jo
indicherebbe il nome di una festività religiosa, non ne intacca
comunque lo status di datatio chronica delle azioni sacre regi-
strate in Tn 316.
Il testo è diviso in sei sezioni, o paragrafi, di cui quattro sono
state effettivamente compilate, mentre due vennero lasciate in
bianco.
Sul recto si legge la prima sezione, comprendente l’intesta-
zione vergata dallo scriba 44A, seguita da una serie di righe
preparate per una sezione successiva, mai trascritta, e lasciate
vuote a eccezione del grande pu-ro (il nome di Pulos “Pilo”)
inciso sulla destra dalla mano di 44B.
Il verso (tutto redatto da 44B) si compone di tre sezioni con-
secutive effettivamente compilate e di un’ultima lasciata in
bianco. Ogni sezione è introdotta a destra dalla parola pu-ro
scritta in caratteri sovradimensionati.
Chiameremo “sezione I” quella compilata sul recto e “se-
zioni II, III, IV” quelle compilate sul verso, secondo la loro
sequenza.
Ogni sezione è aperta dalla formula:

i-je-to-qe , X , do-ra-qe , pe-re , po-re-na-qe , a-ke

dove “X” indica un diverso santuario in cui si celebrano le azio-


ni cerimoniali.

140
Note linguistiche ed ermeneutiche sulla tavoletta PY Tn 316

Quanto alla restituzione della forma micenea “piena”, rispet-


to all’ipodifferenziazione grafemica e all’iporappresentazione
ortografica caratteristiche della scrittura Lineare B, il contesto
consente di individuare senza particolari difficoltà la presen-
za dei verbi pher- “portare” e ag- “condurre”, usati in opposi-
zione come reggenti, rispettivamente, oggetti diretti inanimati
(dōra “doni”) e animati (po-re-nas, accusativo plurale); cfr. Il.,
23, 512 s.: ἄγειν ... γυναῖκα και τρίποδ(α) ... φέρειν “condurre
una donna e portare un tripode”. Il verbo iniziale i-je-to /hie-
toi/ è una terza persona singolare media del verbo “mandare”
(ἵημι), qui evidentemente impiegato nel senso di “avviare una
processione” (García Ramón 2016: 231, § 12.1.2; non è neces-
sario postulare un verbo non altrimenti attestato: cfr. ibidem, §
12.1.4 e già Docs2: p. 172).
La lettura piena della base lessicale po-re-n- e la conseguen-
te determinazione del suo significato sono oggetto di discus-
sione, non rimanendoci un chiaro corrispondente nel greco
alfabetico (di solito si cita a confronto dor. φερνά “porzione
di vittima riservata alla divinità”: Bartonĕk 2003: 247). Tra le
proposte più interessanti, per il piano semantico, solo quelle
di “vittima (umana) sacrificale” oppure di “addetto(/a) al cul-
to di una specifica divinità” (DMic s.v. po-re-na-qe; cfr. anche
García Ramón 2016: 231) sopravvivono alle critiche derivanti
dall’analisi contestuale. Per la seconda opzione v. specialmen-
te Sacconi 1987; questa accezione non è incompatibile con le
riflessioni di Olssen 2014: 241, che interpreta queste persone
di Tn 316 come soggetti trasferiti dalla disponibilità del palaz-
zo e destinati a divenire sacred slaves, “inservienti sacri” (con
un interessante richiamo a PY Ae 303, in cui una sacerdotessa
riceve 14 schiave “per l’oro sacro”): tale soluzione non spiega
bene, però, perché qui si usi po-re-na invece di do-e-ro “schia-
vi” e/o do-e-ra “schiave”.
Per l’analisi linguistica del termine po-re-na, comunque
qualificante le persone conteggiate nella tavoletta (si rammenti
il sopra citato rapporto oppositivo tra i verbi pher- “portare” e
ag- “condurre”), rinvio a Notti-Negri-Facchetti 2015, e biblio-
grafia ivi citata.
Se il pu-ro in apertura delle sezioni va inteso come nomina-
tivo /Pulos/, allora può fungere da soggetto delle formule in-

141
Giulio M. Facchetti

troduttive, altrimenti, letto come locativo /Puloi/, indicherà che


le azioni nel complesso si svogono “a Pilo”, cioè “nel territorio
di Pilo” e in tal caso il soggetto delle frasi introduttive sarà sot-
tinteso (“il re”, “il palazzo” o simili). La prima possibilità è più
verosimile dato che la datatio topica è già esplicitata tramite
le indicazioni di specifici santuari, certamente in caso locativo
(come dimostra pa-ki-ja-si /Sphagiānsi/ “a Sphagiānes” nella
sezione I). L’uso del locativo (e non dell’allativo in -de) marca
il contesto “in cui” e non “verso cui” si svolgono i movimenti
sacri.
In conclusione la formula risulta così complessivamente in-
terpretabile:
h
ietoikwe X dōrakwe pherei po-re-naskwe agei
“(e) invia la processione presso il sacrario X e porta i doni e con-
duce le vittime?”.

In ognuna delle quattro sezioni, dopo la frase introduttiva,


seguono gruppi di divinità destinatarie (di vasi e, in taluni casi,
di po-re-na) comprese in ciascun santuario. Sul piano morfo-
logico la sezione IV (Tn 316v ll. 8-11), considerato lo stretto
parallelismo testuale delle diverse sezioni, dimostra che i nomi
dei dedicatari vanno sciolti in dativo, e non in nominativo di
rubrica, dato che essa contiene forme la cui flessione in dativo
non è coperta dalla scrittura (es. di-we /Diwei/ “a Zeus” e di-wo
i-je-we /Diwos hiēwei/ “al figlio di Zeus”).
Rispetto a questa precisa formularità compositiva solo la se-
zione II contiene alcune difformità, che saranno discusse a suo
tempo.
Tutte le divinità femminili, quando, oltre al vasellame sa-
cro, sono onorate di un’“offerta” umana, ricevono una donna;
alle divinità maschili, se onorate anche di un’“offerta” umana,
spetta un uomo.
Nel presente contributo cercherò anzitutto di sviluppare al-
cune riflessioni circa i problemi interpretativi connessi al sin-
tagma e-ma-ha a-re-ja, nell’ambito della sezione III in cui ri-
corre, estendendo l’analisi anche ai gruppi teonimici di altre
sezioni.

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Note linguistiche ed ermeneutiche sulla tavoletta PY Tn 316

2. Analisi linguistica e contestuale della sezione III (PY Tn


316v ll. 3-7)

La sezione III è la seconda del verso (e la seconda compilata


dallo scriba 44B). La processione e il trasporto di doni e po-
re-na si svolge “nel sacrario di Pe-re-*82, di I-pe-me-de-ja e
di Diwja”:

(ll. 4-5)
i-je-to-qe , pe-re-*82-jo , i-pe-me-de-ja<-jo>-qe , di-u-ja-qe , do-
ra-qe , pe-re , po-re-na-qe , a<-ke>
h
ietoikwe Pe-re-*82-ioi I-pe-me-deiaioikwe Diwjaioikwe dōrakwe
pherei po-re-naskwe agei
“(e) invia la processione presso il sacrario di Pe-re-*82, di I-pe-
me-de-ja e di Diwja e porta i doni e conduce le vittime?”.

Si tratta certamente di un unico santuario (come è indiscu-


tibile per ciascuna delle altre tre sezioni) dedicato a tre figure
divine femminili, in cui si svolgono offerte alle singole titolari,
nonché a Hermes a-re-ja.
Precisamente si trasferiscono ritualmente (Tn 316, verso, ll.
5-7):

una ciotola d’oro e una donna a Pe-re-*82


una ciotola d’argento a I-pe-me-de-ja
una ciotola d’oro e una donna a Diwja
un calice d’oro e un uomo a Hermes a-re-ja.

L’identificazione di questi termini teonimici (come visto si-


curamente in dativo) pone problemi di analisi al livello dell’e-
spressione o del contenuto, secondo i casi.
Per Pe-re-*82 sorge la questione preliminare della lettura,
ancora dubbia, dell’ultimo e raro sillabogramma *82.
Per i-pe-me-de-ja il diretto confronto con il nome della fi-
gura mitologica di Iphimedeia è formalmente ostacolato dall’i-
niziale i-pe-, per l’atteso wi-pi-, che, come è noto, corrisponde
allo strumentale (ϝ)ἶφι di (ϝ)ἴς “forza” (cfr. DELG, s.v. 1. ἴς:
“Ἰφιμέδεια doit être distinct de mycén. Ipemedeja”); in effetti
è attestato mic. Wi-pi-no-o /Wiphinohos/, gr. class. Ἰφίνοος. (v.

143
Giulio M. Facchetti

anche DMic, s.v. i-pe-me-de-ja, per i diversi tentativi di rico-


struire letture alternative, come Impemedeia, Ipermedeia, Ispe-
medeia).
Diwja (in questo contesto, come gli altri teonimi, da inter-
pretare come flessa in dativo: Diwjāi) non presenta problemi
formali di identificazione: si tratta di un termine derivato dalla
stessa radice del nome di Zeus (DELG, s.v. δῖος), usato anche
come aggettivo; in miceneo sono presenti due varianti grafiche
di-u-ja (come in Tn 316) e di-wi-ja riflettenti /Diwja/ e /Di-
wia/, rispettivamente (García Ramón 2016: 214). Quanto all’i-
dentificazione del personaggio divino, si tende a reputarla una
“paredra”, ossia sposa, di Zeus, benché nella sezione IV della
stessa tavoletta Zeus compaia accoppiato a Hera (cfr. Duev
2012); perciò non è escluso che possa trattarsi invece di una
figlia dello stesso dio (v., per es., già Adrados 1961: 103, n. 1).
Nello stesso santuario dedicato a questa triade di numi fem-
minili si aggiunge una dedica a Hermes (mic. hErmāhās; in Tn
316 dat. hErmāhāi; v. DMic, s.v. e-ma-a2). Il nome e il culto di
Hermes (pur con possibili modificazioni e assimilazioni, certo
postulabili per altre divinità greche del primo millennio che si
trovano già testimoniate nei testi micenei: per es. Ares/Enya-
lios; Apollo/Paiaon: cfr. García Ramón 2013: 89 s.) sopravvi-
vono ininterrottamente fino all’età alfabetica. Questo possibile
punto “fermo” è tuttavia perturbato qui dal nome aggiunto a-
re-ja, a quanto pare epiteto di Hermes, non facile da spiegare.
Le difficoltà interpretative di a-re-ja sono rilevate in Docs2:
288 (v. anche DMic, s.v.).
Uno dei primi tentativi si è mosso verso il riconoscimento di
un epiteto formato sul nome di Ares, e dunque e-ma-ha a-re-ja
/hErmāhāi Arehiāi/ “a Hermes Areia” (nel senso di “pertinente
ad Ares”).
Tuttavia la morfologia della postulata derivazione in -iās
(invece dell’atteso -ios), nonché la difficoltà di spiegare un’i-
nedita associazione di Hermes con Ares in un contesto cultuale
importante costituiscono le ragioni principali di scetticismo nei
confronti di questa spiegazione.
Così si è pensato a un secondo teonimo (femminile, in-
dicante la “paredra” di Ares) aggiunto in asindeto a Hermes
(Lejeune), a un aggettivo significante “supplementare” (Deroy)

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Note linguistiche ed ermeneutiche sulla tavoletta PY Tn 316

entrambi citati, e confutati, in DMic, s.v. a-re-ja, ecc. Si ram-


menti peraltro che la serie grafematica sillabica della lineare B
da noi convenzionalmente traslitterata con r- serviva in realtà
a notare /l/ o /r/, a seconda dei casi, il che complica ancor più
il problema.
Fino ad oggi l’etimologia di a-re-ja tramite Ares risulta pre-
ferita dalla maggioranza degli autori micenologi, (per un’ac-
curata rassegna bibliografica v. Macedo 2012: 68 e n. 3), ma
le questioni di forma e di contenuto lasciano di fatto aperta la
discussione.
Solo per ricordare altre due nuove proposte recenti, citerò lo
stesso Macedo 2012 (“Hermes Difesa” /aleijāi/) e Pisano 2011
(“Hermes del leccio” /areiāi/).

3. Una chiave interpretativa

L’insieme dei dubbi di lettura e di interpretazione dei teoni-


mi e dell’epiteto compresi nella sezione III di Tn 316 investe in
pratica ogni elemento, e si può riassumere in alcune domande:
– è possibile sostenere una fondata lettura per pe-re-*82?
– qual è il corretto scioglimento interpretativo della traslittera-
zione i-pe-me-de-ja?
– chi è precisamente Diwja in questo contesto?
– come intendere a-re-ja?
Partendo proprio dal contesto di Tn 316, osserviamo che la
sezione IV (Tn 316v ll. 8-11), l’ultima compilata, è quella che
presenta il più affidabile livello di leggibilità complessiva, nel
senso che quasi tutti i suoi elementi sono chiaramente identi-
ficabili.
In essa, dopo la consueta formula introduttiva (la sede di
svolgimento della cerimonia è indicata come di-u-jo /Diwjoi/
“nel sacrario di Zeus”) si elencano le seguenti offerte:

una ciotola d’argento e un uomo a Zeus (di-we /Diwei/)


una ciotola d’argento e una donna a Hera (e-ra /hErāi/)
una ciotola d’argento (e …?) a Drimios, figlio di Zeus (di-ri-mi-jo
di-wo i-je-we /Drimiōi Diwos hiēwei/).

145
Giulio M. Facchetti

In sostanza, in questo caso è indiscutibile che le tre figu-


re divine onorate nel santuario di Zeus sono tra loro collegate
(Zeus - Hera - D. “figlio di Zeus”). La non chiara identificabi-
lità di di-ri-mi-jo non intacca il presente ragionamento, dato
che il documento stesso ci informa che egli è “figlio di Zeus”.
Un’abrasione finale non consente di stabilire se anche a costui
era destinato “un uomo”.
L’idea che gli insiemi di divinità, raggruppate nelle diverse
sezioni di Tn 316, possano essere collegate tra di loro (nell’am-
bito di ciascuna sezione) non si fonda quindi su una mera ipo-
tesi ermeneutica, ma, essendo dimostrata senza dubbio in un
caso (sezione IV), è legittimo riformularla come principio in-
terpretativo da impiegare nell’analisi di tutte le restanti sezioni.
Tornando al contesto della sezione III, questo “principio
di connessione interna” tra le componenti può e deve essere
quindi confidentemente applicato nella ricerca di una chiave
interpretativa in grado di restituire una visione coerente, e di
rafforzare, allo stesso tempo, in un quadro di ricostruzione
complessivo, le soluzioni proposte per i singoli costituenti.
I punti fermi di partenza della sezione III sono l’identifica-
zione del nome di Hermes e della, però sfuggente, Diwja.
Riguardo i-pe-me-de-ia, si rimane indubbiamente colpiti
dalla assonanza con il nome della classica Iphimedeia, e Docs2
aveva proposto di mantenere questa identificazione, superan-
do le difficoltà fonetiche/etimologiche sopra delineate, sup-
ponendo un’origine pregreca del teonimo: “Almost certainly
a pre-Greek deity, whose name has been modified by popular
etymology” (p. 288).
Docs2, nello stesso punto (p. 288), ricorda Iphimedeia come
“mother of Otus and Ephialtes by Poseidon, Od. XI, 305”.
In quel passo dell’Odissea (11, 305-320), la νέκυια di Iphi-
medeia, si legge appunto che la stessa φάσκε Ποσειδάωνι
μιγῆναι ... καί ῥ’ἔτεκεν δύο παῖδε ... Ὦτόν ... Ἐφιάλτην, e nei
pochi versi successivi si accenna alle imprese dei gemelli pro-
digiosi, capaci di minacciare gli stessi immortali sull’Olim-
po (οἵ ῥα καὶ ἀθανάτοισιν ἀπειλήτην ἐν Ὀλύμπῳ), ma uccisi
infine dal figlio di Zeus (Διὸς υἱός) e Letò, ossia Apollo. Un
frammento più particolareggiato delle imprese dei figli divini
di Iphimedeia ci è trasmesso in Il. 5, 381-391, narrato dalla dea

146
Note linguistiche ed ermeneutiche sulla tavoletta PY Tn 316

Διώνη: Ares stesso viene catturato dai gemelli, avvinto in ca-


tene e rinchiuso per tredici mesi in un vaso di bronzo, da dove
sarà infine liberato, sfinito, da Hermes, avvertito da Eriboia,
matrigna di Otos ed Ephialtes.
Chi legge questi brani, tenendo a mente il testo di PY Tn
316, è sicuramente investito da forti suggestioni, vedendo com-
parire, concentrati in poche righe di poesia omerica, diversi
possibili corrispondenti dei teonimi ragguppati sulla tavoletta:
Ποσειδάων (po-si-da-i-jo / po-si-da-e-ja); Ἰφιμέδεια (i-pe-me-
de-ja); Hermes (e-ma-ha); Ares (a-re-ja); Eriboia (qo-wi-ja);
Διώνη (di-u-ja), il Διὸς υἱός (di-wo i-je-we), senza contare
Zeus ed Hera.
Questa osservazione, nel suo complesso, non supera il rango
di una mera suggestione, ma, d’altro canto, il nucleo mitologi-
co che associa (i figli di) Iphimedeia, Ares e Hermes suo libe-
ratore costituisce un argomento scientifico pienamente utiliz-
zabile nel dibattito ermeneutico su PY Tn 316, e in particolare
nell’analisi della sezione III.
Il ragionamento è stato recentemente sviluppato in Guilleux
2012, anche con la finalità di presentare una nuova giustifica-
zione per la morfologia di a-re-ja come derivato da Ares (un
ipocoristico in -ας di un composto significante circa “soccor-
ritore di Ares”; per queste formazioni v. García Ramón 2011:
222).
Il valore probatorio di questo frammento epico (qualunque
fosse la sua origine codificata in mito: ricordo di antichissime
vicende belliche e di una tregua di tredici mesi?) è ancora molto
sottovalutato (cfr. Macedo 2016: 71), perché non si tiene con-
to della sua fondamentale attitudine a offrire una connessione,
altrimenti sconosciuta, tra Iphimedeia, Ares e Hermes. Si tratta
di un’argomentazione pienamente rispondente al “principio di
connessione interna” dei componenti delle sezioni di Tn 316,
enucleabile, come visto, dall’analisi della sezione IV, e che ora
si può cominciare ad applicare nella sezione III.
Riflettendo su come rafforzare questa connessione inter-
na dei componenti della sezione III (cioè, principalmente, su
come collegare strettamente il mito di Iphimedeia al regno di
Pilo) mi è capitato di notare come nel cosiddetto “catalogo”
delle eroine evocate da Odisseo (Od. 11, 235-327) le presenta-

147
Giulio M. Facchetti

zioni di gran lunga più estese siano dedicate alla presentazione


di donne appartenenti alla dinastia reale di Pilo.
In particolare a Tyrò, madre di Neleo, sono riservati 25 ver-
si; a Chloris, moglie di Neleo e madre di Nestore, 17 versi;
le altre sono: Antiope (6 versi); Alcmena (3 versi); Megare (2
versi); Epicaste (10 versi); Leda (7 versi); Phaidra e Procris (2
in 1 verso); Ariadne (5 versi); Maira e Clymene (2 in 1 verso);
Eriphyle (2 versi). Resta Iphimedeia , che è nominata solo qui
nel poema omerico, e, a lei e alle sue vicende, sono destinati 16
versi. Si nota che il trattamento di Iphimedeia, in tale contesto,
è simile a quello delle antenate dei re di Pilo.
In base a queste considerazioni ho condotto una ricerca det-
tagliata che mi ha permesso di individuare le tracce di una ge-
nealogia della famiglia reale di Pilo che tra le antenate contem-
plava la presenza, con Chloris e Tyrò, della stessa Iphimedeia.
Come è noto (v. per tutto Apoll., Bibl., 1, 9, 7-12) Nestore
era figlio di Neleo e di Meliboia detta Chloris (Paus. 2, 21, 9 e
5, 16, 4); Neleo era figlio di Tyrò, figlia di Salmoneus. Il mito
ci tramanda che il padre di Neleo sarebbe stato il dio Poseidon,
mentre le fonti concordano nell’affermare che il marito di Tyrò
era in effetti Cretheus, fratello di Salmoneus e re di Iaolco.
Come padre di Salmoneus, re dell’Elide, si indica l’eponimo
Aiolos (figlio di Hellen, figlio di Deucalion), ciò che, come
si capisce, rappresenta poco più di un’indicazione di origine
etnica. La madre di Salmoneus, moglie di Aiolos, è tradizional-
mente Ainarete figlia di Deimachos.
Esiste tuttavia una tradizione, conservata solo da Eustazio
di Tessalonica (che spesso ci preserva antiche fonti altrimen-
ti perdute), secondo cui Cretheus e Salmoneus erano in realtà
παῖδες Αἰόλου καί τῆς Λαοδίκης τῆς Ἀλωέως (Commentarii ad
Homeri Odysseam, 1, Leipzig, 1835: 411).
Dato che Aloeus era il marito di Iphimedeia (Il., 11, 305),
possiamo ricostruire una genealogia diretta: Nestore, figlio di
Neleo, figlio di Tyrò, figlia di Salmoneus, figlio di Laodice,
figlia di Aloeus e Iphimedeia.
Questa chiave interpretativa, di natura genealogica, consente di
corroborare con ancora maggiore affidabilità il legame Iphimede-
ia-Ares-Hermes (già richiesta dal principio di connessione interna
ricavato dall’analisi della sezione IV) nell’ambito della sezione

148
Note linguistiche ed ermeneutiche sulla tavoletta PY Tn 316

III di PY Tn 316, perché il fattore mitologico di Iphimedeia (la


cui proiezione più tarda traspare, frammentariamente, nei poemi
omerici Il., 5, 385 ss.; Od., 11, 305 ss.) non emerge, più o meno in-
spiegabilmente, nell’archivio del “Palazzo di Nestore”, ma risulta
evidentemente ancorato al culto degli antenati dei re di Pilo.
Se si accetta questa impostazione, possiamo subito rispon-
dere con maggior grado di confidenza a due delle domande po-
ste all’inizio del paragrafo:
– Il teonimo i-pe-me-de-ja, di origine pregreca, va letto
/Iphemedeiā/ e reputato l’antecedente diretto di gr. Iphime-
deia, rifatto con Iphi- per etimologia popolare;
– L’epiteto a-re-ja di Hermes, va senz’altro inteso come deri-
vato dal nome di Ares, qualunque sia la spiegazione che si
voglia accettare per la morfologia del suffisso derivativo.
Applicando il principio di connessione interna e il principio
specifico di “legame genealogico”, allora anche per pe-re-*82
siamo in grado di fornire elementi a sostegno di certe ipotesi
del passato.
Mi riferisco alla proposta, contenuta in Docs2 (: 411, 463),
di leggere il sillabogramma *82 come swa (cfr. anche Melena
1983 per *82 = twa, che comunque si evolverebbe fonetica-
mente in swa; cfr. anche García Ramón 2016: 222), ottenendo,
di conseguenza, pe-re-swa /Preswā/.
Ipotizzando (cfr. Docs2: 411, 463; DMic. s.v.) che tale for-
ma, metatizzata, possa stare alla base di gr. Πέρση e costituire
l’antecedente di Περσηφόνη, si otterrebbe in effetti la possibi-
lità di un’altra “fissazione” per connessione interna e legame
genealogico.
Infatti la νέκυια di Chloris (Od., 11, 281 ss.), madre di Ne-
store, ne rivela la genealogia come figlia di Amphion, figlio di
Iasos, sovrani dell’importante regno di Orchomenos. Secon-
do Ferecide (frag. 117 Jakoby): Νηλεὺς ... γαμεῖ Χλῶριν, τὴν
Ἀμφίονος τοῦ Ἰάσου καὶ Φερσεφόνης τῆς Μινύου θυγατέρας.
Perciò si trova anche una Φερσεφόνη (per le varianti del nome
v. DELG s.v. Περσηφόνη), figlia di Minyas, tra gli antenati di
Nestore.
Se, come in passato supposto, /Preswā/ fosse alla base del
successivo Π/Φερσεφόνη, allora nella sezione III potremmo
identificare un’altra ava oggetto di venerazione (con caratte-

149
Giulio M. Facchetti

ri probabilmente non connessi con la divinità omonima Per-


sephone), accumulandosi il possibile riconoscimento di due
antenate della genealogia reale pilia, di cui restò traccia nelle
fonti successive. Il filo genealogico risulta: Nestore, figlio di
Chloris, figlia di Amphion, figlio di Iasos e Persephone (figlia
di Minyas).
Quanto a Diwja, osservo che, secondo la nostra ricostruzione:
– Iphemedeiā rappresenterebbe una veneranda capostipite del-
la dinastia paterna di Nestore;
– Preswā rappresenterebbe una veneranda capostipite della di-
nastia materna di Nestore;
– entrambe le famiglie reali (di Pilo di Orchomenos) sono con-
nesse con la protezione e il culto di Poseidon, che è sposo
o padre mitico di vari componenti (da lui discende anche
Minyas).
La madre di Meliboia/Chloris era però Niobe, figlia di Tan-
talos, appartenente a una dinastia discendente e protetta da
Zeus. Allora questa Diwja (anche come “discendente/paredra
di Zeus”) di Tn 316 potrebbe applicarsi a un’antenata venerata
come rappresentante di questo importante e distinto ramo ge-
nealogico?
La risposta ci è fornita ancora una volta dagli antichi mito-
grafi: Hyginus, in particolare (Fabula 9), ricorda che Amphion
in coniugium Niobam Tantali et Diones filiam accepit.
A completamento del quadro di “legame genealogico” da
noi postulato emerge dunque il nome di un’altra antenata di
Nestore (Διώνη) rappresentativa di una terza linea (Nestore,
figlio di Chloris, figlia di Niobe, figlia di Διώνη), e pienamente
confacente alla forma Diwja della sezione III di Tn 316, dal
momento che Δι(ϝ)ώνη ne è, con leggera modifica formale (dif-
ferente suffisso derivativo), un più tardo corrispondente (cfr.
García Ramón 2011: 234, n. 71).

4. Analisi della sezione I (PY Tn 316r ll. 2-7)

Avendo individuato e sperimentato il “principio di connes-


sione interna” nelle sezioni III e IV, passiamo ora a provare la
sua applicazione come chiave ermeneutica della sezione I.

150
Note linguistiche ed ermeneutiche sulla tavoletta PY Tn 316

In questo caso il processo cerimoniale, descritto con la solita


formula introduttiva (supra, § 1), si svolge presso il principale
santuario pilio di Sphagiānes (indicato in dativo-locativo pa-ki-
ja-si /Sphagiānsi/).
Le offerte sono così ripartite:

una coppa d’oro e una donna a Potnia


una ciotola d’oro e una donna a Ma-na-sa
una ciotola d’argento e una donna a Posidāheiā
un calice d’oro a Triseros
una coppa d’argento a Dospotas.

Rispetto alla sezione III (Tn 316v ll. 4-7) risulta anche qui
individuabile, in posizione di preminenza, una terna di divinità
femminili, ciascuna delle quali destinataria di un vaso prezioso
e di una donna; in questo caso, a differenza della sezione III, la
lista termina con la registrazione non di una (Hermes), ma di
due figure divine di genere maschile, destinatarie di recipienti
preziosi (e nessun essere umano) e sprovviste di un chiaro cor-
rispondente nel pantheon del primo millennio.
Assumendo anche qui l’applicabilità del principio di con-
nessione interna, il punto della discussione verte sulla ricerca
di uno specifico e coerente legame tra le diverse componenti
della sezione. L’identificazione di questo legame consentirebbe
di guidare la procedura interpretativa dei singoli elementi.
Le incertezze relative ai teonimi della lista sono di natura
diversa, secondo i casi, e comunque risultano difficilmente
affrontabili, procedendo ad analisi separate. Questo spiega la
grande varietà di possibili differenti interpretazioni emerse nel
corso degli anni.
Come per a-re-ja il collegamento etimologico con il nome
di Ares (a discapito delle molte altre spiegazioni alternative),
è “fissato”, o comunque nettamente corroborato, secondo il
nostro ragionamento, dalla identificazione di uno specifico
legame tra i componenti della sezione IV (v. supra, § 3), così
dovremo cercare qui preliminarmente se sia sopravvissuta
memoria di un fattore culturale (mitologico) adeguato a for-
nire un inquadramento coerente dei nomi raggruppati della
sezione.

151
Giulio M. Facchetti

La scoperta di un drama convincente, o almeno plausibile,


fornirebbe un solido punto d’appoggio e avvalorerebbe gran-
demente la reciproca sistemazione delle personae.
L’elenco della presente sezione è aperto da Potnia “la Si-
gnora“, un appellativo applicato da Omero a varie divinità o
sovrane (DELG s.v.) e caratterizzato in lineare B da numerose
specificazioni (epiteti o elementi di composizione). Nei testi pi-
lii, di po-ti-ni-ja si conoscono quattro differenti qualificazioni:
a-si-wi-ja, i-qe-ja, ne-wo-pe-jo, u-po-jo; a Micene si trova si-
to-po-ti-ni-ja; a Cnosso sono testimoniate: a-ta-na-po-ti-ni-ja
e po-ti-ni-ja da-bu-ri-to-jo. A quando sembra si tratta dunque
di un teonimo che potrebbe costituire l’antecedente miceneo (o
uno degli antecedenti) di una o più divinità greche del primo
millennio. Il termine si-to-po-ti-ni-ja /Sītopotnia/ “la Signora
del grano” legittima l’identificabilità di (almeno) una “versio-
ne” della Potnia micenea con Demetra (DMic, s.v. po-ti-ni-ja;
García Ramón 2011: 234 s.).
Lasciando da parte ma-na-sa, in sé non ben chiaribile in
base al greco, osserviamo che i successivi teonimi sono inve-
ce nitidamente analizzabili sul piano linguistico: po-si-da-e-ja
/Posidāheiāi/; ti-ri-se-ro-e /Trishērōhei/; do-po-ta /Dospotāi/
(variante di δεσπότης), forme in caso dativo di Posidāheiā “pa-
redra o discendente di Poseidon”, Trishērōs “Tre volte eroe”,
Dospotās “Padrone” (personaggi comunque senza corrispon-
dente diretto nei racconti di età alfabetica).
Dovendo postulare una connessione tra i personaggi maschi-
li e quelli femminili, dopo alcuni tentativi, sono giunto consi-
derare la coppia Posidāheiā e Dospotās. Certo le offerte qui
registrate riconoscono a Posidāheiā un rango superiore, rispetto
a Dospotās.
Ragionando dunque su una dea connessa direttamente con
Poseidon e lo strano uso del titolo di “Padrone”, ci accorgia-
mo che Pausania, nella libro VIII della sua Periegesis, dedicato
all’Arcadia, si sofferma con ampiezza nel descrivere il tempio
della Δέσποινα “la Padrona” (8, 37, 1-10), presso Lycosura.
Pausania precisa che “gli Arcadi venerano più di ogni al-
tra divinità questa Δέσποινα e dicono che essa è figlia di De-
metra e Poseidon. L’appellativo con cui è nota ai più è quello
di Δέσποινα, ... ma il nome proprio della Δέσποινα ho avuto

152
Note linguistiche ed ermeneutiche sulla tavoletta PY Tn 316

scrupolo a rivelarlo ai profani” (8, 37, 9). A tal riguardo, in un


altro punto (8, 25, 5), si legge che Demetra si era trasformata
in una cavalla, proprio per fuggire alle brame di Poseidon, che
comunque, assunte a sua volta le sembianze di uno stallone,
si unì alla dea. “Dicono poi che Demetra generò da Poseidon
una figlia, il cui nome non usano rivelare se non agli iniziati”
(8, 25, 5).
Davanti al tempio di Licosura Pausania vide “un altare per
Demetra, uno per la Δέσποινα e dopo questo un altro, quello
della μεγάλη Μητήρ (8, 37, 2).
Nel tempio, “vicino alla statua della Δέσποινα, invece, sta
ritto Anytos in aspetto di uomo armato. Quelli del santuario di-
cono che la Δέσποινα fu allevata da Anytos e che anche Anytos
è uno dei cosiddetti Titani” (8, 37, 5). Il nome di questo tutore-
paredro di Δέσποινα (v. Loucas-Durie 1989) è attestato in line-
are B, come a-nu-to in diversi contesti (cfr. Iodice 2010).
È utile sottolineare i tratti antichissimi di questo mito: resti
importanti delle grandi statue di Demetra, Δέσποινα e Anytos,
viste da Pausania, sono giunti fino a noi e il frammento del
velo di Δέσποινα è decorato con una teoria di figure femmini-
li danzanti, con teste di animali, ciò che richiama ovviamente
iconografie rituali di età micenea (Wace 1934).
Si delinea così l’idea che questa Potnia di PY Tn 316 sia un
tutt’uno con la Potnia i-qe-ja /hIkkweiā/ “Potnia dei cavalli” (epi-
teto esplicitato in PY An 1281) ed entrambe, in uno, costitui-
scano un antecedente diretto di Demetra ἐς ἵππον μεταβαλοῦσα
(Paus. 8, 35, 5), la quale, unitasi con Poseidon Ἵππιος (Paus. 8,
35, 7), principale protettore della dinastia pilia, generò la figlia
Δέσποινα ossia Posidāheiā.
Secondo la nostra ricostruzione, dunque, in PY Tn 316
Dospotas sarebbe il paredro della divinità poi chiamata co-
munemente con il corrispondente femminile del titolo, cioè
Δέσποινα, ma sulla tavoletta indicata ancora come “discendente
di Poseidon” (Posidāheiā) e della Potnia hIkkweiā, che confluirà
(con la Sītopotnia) in Demetra.
E mi pare non troppo azzardato trarre da questa linea interpre-
tativa di “connessione interna” composta sul racconto di Pausa-
nia, un altro indizio forte e una soluzione nuova per il difficile
ma-na-sa. Infatti, in base all’analogia con i tre altari presenti

153
Giulio M. Facchetti

davanti al tempio di Lycosura, e dedicati a Demetra, Δέσποινα


e μεγάλη Μητήρ (collegamento rinvenuto nella sede propria dei
misteri di Δέσποινα), siamo in condizione di proporne una pro-
iezione chiarificatrice sulla triade introduttiva della sezione I:

Demetra ἐς ἵππον μεταβαλοῦσα, madre di Δέσποινα = Potnia


(hIkkweiā e di Tn 316)
Δέσποινα, figlia di Poseidon (e Demetra) = Posidāheiā
μεγάλη Μητήρ = ma-na-sa

Indi saremmo decisamente indirizzati, da indizi concreti, a


rileggere ma-na-sa come una nuova attestazione di Mā “la dea
Madre”, già riconosciuta nel sintagma ma-ka /Mā Gā/ Μᾶ Γᾶ
“Madre Terra” (Aravantinos-Godart-Sacconi 2001: 317 e pas-
sim), e a ricostruire:

ma-na-sa /Māi (a)naisāi/ “alla Madre propizia”

o simili (cfr. DELG s.v. αἶσα).


Anche in questa sezione I, come nelle III e IV (v. supra)
sembra quindi abbastanza proficuamente applicabile la ricerca
di un legame interno unificante, di natura mitologica, che funge
da chiave ermeneutica rafforzante, nella visione onnicompren-
siva, i singoli elementi della proposta.
Resta escluso da questo ragionamento soltanto ti-ri-se-ro-e,
per il quale comunemente si propone di individuare un nesso
col culto ancestrale dei tritopatores (Herda 2011: 105, n. 238;
cfr. Docs2: 289, 586; DELG s.v. ἥρως; DMic).
Se si accetta il modello esplicativo qui proposto per la sezio-
ne I, risulterebbe allora meglio applicabile l’identificazione di
ti-ri-se-ro-e con Triptolemos, più nettamente collegato al ciclo
di Potnia-Demetra; una proposta su questo punto specifico è
stata indipendentemente sviluppata in Peters 2002.
Di questo particolare, così come della sezione II, che pre-
senta alcune differenze rispetto al modulo compositivo costan-
te delle sezioni I, III e IV, potremo occuparci in un prossimo
contributo.

154
Note linguistiche ed ermeneutiche sulla tavoletta PY Tn 316

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