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CRETA MINOICA
SULLE TRACCE DELLE
Á
PIU ANTICHE SCRITTURE D'EUROPA
Avvertenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 9
Ð 5 Ð
INDICE SOMMARIO
3. Antroponimi in -a-re . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 69
4. Elementi non onomastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 70
V. I TESTI AMMINISTRATIVI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 77
1. Caratteri generali dei documenti amministrativi . . . . . . . » 77
2. Parallelismi testuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 79
3. Il caso di minoico ki-ro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 86
4. Liste confrontabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 88
Ð 6 Ð
INDICE SOMMARIO
Ð 7 Ð
AVVERTENZA*
* Dal momento che il lettore ha comunque a disposizione, oltre all'editio maior costituita da
GORILA, quella traslitterata di TMT, ambedue recanti i diacritici che segnalano lettura incerta,
abbiamo ritenuto, vista la natura di quest'opera, di non appesantirne l'aspetto con la loro nota-
zione (fatti salvi casi particolari).
Ð 9 Ð
VRYSINAS: Sito da cui provengono solo testi ``non amministrativi''.
MALLIA: Sito da cui provengono anche archivi.
KHANIA: Sito da cui provengono solo archivi.
Fig. 1. Carta di Creta indicante i siti di ritrovamento della lineare A (da GORILA 4: aggiornamento in TMT pp. 32-33).
APPENDICE II
IL DISCO DI FESTO
1. SCOPERTA E DATAZIONE
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APPENDICE II
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IL DISCO DI FESTO
sellame tipico della fine del medio minoico, di un'ansa di terracotta giallo-
gnola con fascia bruna appartenente a una hydria ellenistica e il fondo di
un vaso dipinto interamente a vernice rosso-corallina lucente come quella
dei vasi aretini. La presenza di questo materiale significa in modo inoppugna-
bile che la zona dalla quale proviene il disco era stata perturbata nel corso
della storia e che sulla base dei dati stratigrafici qualsiasi certezza circa la da-
tazione precisa del disco stesso eÁ impossibile da raggiungere. Inoltre Pernier
segnala che il tipo di costruzioni e il genere di suppellettili concordano nel
designare lo strato in cui furono trovati il disco e la tavoletta come contem-
poraneo dell'ultimo periodo di esistenza del primitivo palazzo festio e dell'e-
poca in cui s'iniziava la ricostruzione della grande reggia di Cnosso. Il vasel-
lame associato ai due documenti scritti corrisponde perfettamente a quello
che giaceva sui pavimenti, sui banchi, nei ripostigli del primo palazzo di Fe-
sto al momento della catastrofe che lo colpõÁ, e a quello trovato nei vani piuÁ
antichi del rinnovato palazzo cnossio, per esempio nelle cassette sotterranee
del magazzino 4 e nel tesoro della dea con i serpenti. Le fossette di cui ab-
biamo parlato presentano incredibili analogie con i ripostigli sotterranei di
Cnosso e di Hagia Triada; si tratta di ripostigli come le ``caselle'' di Cnosso,
in particolare come quelle dei magazzini occidentali del lungo corridoio adia-
cente, e del santuario della dea con i serpenti. Il vano 8, dove fu trovato il
disco assieme alla tavoletta, presenta poi una stretta e forse non casuale so-
miglianza con la stanza del tesoro (ove erano i talenti di bronzo) del palazzet-
to di Hagia Triada e con il vano della reggia cnossia in cui si conservava il piuÁ
ricco deposito di tavolette scritte con caratteri geroglifici. Tutti i piccoli vani
di questi tre palazzi sono non soltanto simili fra loro per la struttura, ma for-
se anche contemporanei, cioeÁ della fine del medio minoico (minoico medio
III di Evans). EÁ probabile che le fossette di Festo e il vano dove fu trovato il
disco servissero come ripostigli o depositi di oggetti importanti o preziosi».2
La tavoletta in lineare A trovata vicino al disco eÁ PH 1, un documento
spezzato e iscritto sulle due facce:
PH 1a
2
] di-ra-di-na *316 H.L [
]-ja *316 1 CYP H
] [.]
PH 1b
du-na , pa-[.] [
Ç Ç 2FK [
FICI
2 GODART 1994a, p. 19 s.
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APPENDICE II
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IL DISCO DI FESTO
tra il 1700 a.C. e il periodo ellenistico, al quale sembrano risalire gli esem-
plari piuÁ recenti di cocci provenienti dal vano 8. Tuttavia tale conclusione,
basata sulla sola lettura del materiale dello scavo non prende in esame tre
argomenti, anch'essi di notevole peso. Prima di tutto, dalla relazione stessa
di Pernier, risulta evidente che i reperti minoici trovati all'interno del vano
8 sono di gran lunga preponderanti; percioÁ l'intromissione negli strati piuÁ
bassi di cocciame posteriore potrebbe essere connessa a un incidente tec-
nico legato allo scavo vero e proprio. Sappiamo che Pernier si presentava
sullo scavo piuttosto tardi e ``tirato a lucido'', e i capomastri gli portavano
gli oggetti venuti alla luce nella mattinata; in queste circostanze non si puoÁ
certo escludere che qualche coccio ellenistico si sia intrufolato in mezzo ai
reperti minoici. In secondo luogo, piuÁ ci avvicina nel tempo, piuÁ aumenta-
no le possibilitaÁ di raccogliere informazioni sulle cose del passato. Qualora
il disco di Festo fosse stato prodotto da una civiltaÁ piuÁ prossima alla nostra
di quella minoica ± pensiamo in particolare alla civiltaÁ cretese del periodo
ellenistico-romano ± le probabilitaÁ di trovare riscontri e riferimenti alla
scrittura singolare che lo ricopre sarebbero automaticamente cresciute di
molto. L'isolamento grafico del disco di Festo eÁ quindi un argomento a fa-
vore della sua relativa antichitaÁ. In terzo luogo, la presenza sul disco di raf-
figurazioni identiche a realtaÁ attestate nella Creta del II millennio a.C. co-
stituisce, a nostro parere, la prova decisiva della sua appartenenza al mon-
do e all'orizzonte culturale minoico-miceneo. PercioÁ crediamo di poter af-
fermare che, malgrado le incertezze legate alla stratigrafia, il disco di Festo
eÁ un prodotto di una delle civiltaÁ del bacino orientale del mediterraneo ap-
partenente al II millennio a.C.».3
Il terzo argomento eÁ senza dubbio il piuÁ forte e costituisce una delle piuÁ
importanti acquisizioni che si traggono dall'analisi formale dettagliata di
ciascun carattere del disco, con plausibili realia di riferimento, condotta
in GODART 1994a (i risultati di quest'analisi sono schematicamente riassun-
ti a p. 132 s.).
Va rimarcato che il piuÁ volte citato libro di Godart eÁ, dal punto di vista
iconografico, pressoche perfetto: le splendide fotografie a colori e i facsimi-
li consentono di lavorare sul testo del disco quasi come sull'originale. A
queste si accompagna una serie di osservazioni ± ovviamente in parte giaÁ
da altri fatte, ma qui riverificate e comunque raccolte ± decisive per muo-
vere i primi passi sul testo, e preliminari a ogni ulteriore progresso (capitolo
quarto di GODART 1994a):
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APPENDICE II
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IL DISCO DI FESTO
che raffigurano armi o utensili vari, e che sono quindi molto piuÁ complessi
dei segni 22 e 45 chiamati in causa per sostenere la parentela tra il disco e le
scritture lineari cretesi, troviamo almeno due petroglifi. il segno I 7 e il se-
gno II 3,5 che sono identici ai segni 15 e 23 del disco di Festo. Ma nessuno
si eÁ mai sognato di avvicinare la scrittura del disco di Festo alle incisioni
rupestri attestate nella Valcamonica: l'abisso geografico e cronologico
che separa la cultura cretese da quella camuna evidenzia subito l'assurditaÁ
di una tale ipotesi. Orbene, dal punto di vista grafico, il confronto tra i se-
gni 22 e 45 del disco e i segni AB 31 e 76 delle scritture lineari cretesi eÁ
assai meno convincente del paragone tra i petroglifi camuni e i tipi della
nostra misteriosa iscrizione; non ci si puoÁ basare sulla vaga somiglianza
tra alcuni segni presenti in due o piuÁ scritture diverse per ritenere che le
scritture in questione siano apparentate».6
Questo discorso rende bene l'idea, anche se il confronto eÁ stato in ef-
fetti instaurato tra i segni di una scrittura vera e propria (quella del disco) e
i petroglifi di una pittografia (ossia un'espressione pre-scrittoria): in en-
trambi i casi, tuttavia, si tratta di segni grafici veicolanti, con modalitaÁ e
gradi di convenzionalitaÁ diversi, un certo messaggio.
Non ci sentiamo peroÁ del tutto d'accordo con le conclusioni completa-
mente scoraggianti tracciate in GODART 1994a, p. 139 s., informate al piuÁ
totale pessimismo circa i tentativi di decifrabilitaÁ.
Certamente eÁ vero che operare con un unico testo, tra l'altro sprovvisto
di evidenti ideogrammi o grafemi impiegati come ausilii semantici, eÁ un'im-
presa che si sottopone a un larghissimo margine di incertezza e di ipoteti-
citaÁ. Nondimeno le 61 ``parole'' e i 242 segni che compongono il disco co-
stituiscono un insieme non esiguo e un testo di cospicua lunghezza, su cui
indagini ermeneutiche di tipo combinatorio sono piuÁ che legittime.
Con questa considerazione non vorremmo, d'altro lato, incoraggiare o
avallare i ``decifratori integrali'', che, giaÁ per conto loro, spuntano sempre
piuÁ, ``come funghi'', e le cui ``intepretazioni'', come vedremo nel prossimo
paragrafo, pur nella loro apparente incredibile variabilitaÁ, seguono pochi e
piuttosto banali schemi ``fissi''.
5 Si segue qui la classificazione dei segni proposta nella tipologia e cronologia dei petroglifi
camuni nel volume I Camuni. Alle radici della civiltaÁ europea, Milano 1982.
6 GODART 1994a, p. 122 s.
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APPENDICE II
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IL DISCO DI FESTO
9 Diversamente GODART 1994a, nelle trascrizioni in testo, mantiene i segni nella loro posi-
zione originale (cioeÁ ``rivolti'' a destra), ma trascrive le ``parole'' da sinistra verso destra (al con-
trario del disco), con il risultato, ci pare, di una meno precisa confrontabilitaÁ tra i gruppi di segni
trascritti e quelli impressi sul disco.
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APPENDICE II
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IL DISCO DI FESTO
11 Si legga in particolare FACCHETTI 2002b, per i casi delle decifrazioni del geroglifico egi-
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APPENDICE II
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IL DISCO DI FESTO
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APPENDICE II
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con: «la vita delle cose dopo la vittoria sul tifone, l'umiditaÁ della natura,
grazie alla vigilanza di Anubis'': secondo Kircher, ``ovviamente'', la linea
ondulata (segno per n) simboleggiava ``l'umiditaÁ della natura'' e l'occhio
(segno per i$r) la ``vigilanza di Anubis''. Un esempio di applicazione di
questo medodo strampalato e dei suoi pazzeschi risultati eÁ fornito in Negri
2000, p. 50 ss., laddove, tra le (giuste) doglianze per aver trovato un libro
sul disco di Festo, informato a un simile ``metodo interpretativo'', in ven-
dita nello shop dello stesso Palazzo (e accostato, come se niente fosse, a
un'opera scientifica come GODART 1994a), se ne espone parte del contenu-
to: la sequenza , ultimo gruppo della faccia A, viene ``letta'' alla ro-
vescia (oltretutto!), come se fosse il gruppo iniziale; significherebbe
``reale'', significherebbe ``pacificatore'' e significherebbe ``morte'':
tutta la ``frase'' risulterebbe dunque ``traducibile'' con: «(eÁ la storia del) Pa-
cificatore reale (che ha incontrato) la morte», e via dicendo. Kircher, nel
Seicento, avrebbe forse potuto fare di meglio. Una scrittura, propriamente
detta, che sia puramente composta da ideogrammi (o segni-parola), infatti,
non esiste ne eÁ mai esistita,15 ma, oltre a cioÁ, eÁ evidente, anche dai soli po-
chi esempi forniti, che il tasso di arbitrarietaÁ nell'assegnazione dei pretesi
``significati'' ai segni scritti eÁ infinito (senza contare le libere ``integrazioni''
necessarie per ottenere frasi coerenti), cosõÁ che ciascuno, operando in tale
modo, potrebbe costruirsi la sua personale ``traduzione''.
Il secondo metodo, o ``del codice scrittorio'', identifica invece la scrit-
tura del disco in uno dei due grandi gruppi dei sistemi di scrittura: 16 cioeÁ
tra i codici (prevalentemente) ideografici oppure tra i codici fonetici (in
quest'ultimo caso di solito si individua una scrittura di tipo sillabico). La
semplice ``identificazione'' in astratto del sistema di scrittura non eÁ di
per se un'operazione illegittima, anzi essa eÁ un'ipotesi di lavoro che si
Ð 171 Ð
APPENDICE II
puoÁ sempre formulare (si eÁ visto sopra che vari indizi farebbero propende-
re per una scrittura fonetica di tipo sillabico, ma sulla questione torneremo
nel prossimo paragrafo). I problemi sorgono, peroÁ, quando questi ``inter-
preti'' cercano di attribuire valori fonetici o semantici ai segni. Quando l'at-
tribuzione del valore a ciascun segno non eÁ spudoratamente ingiustificata
(avente, cioeÁ, l'unico scopo di ``far scaturire'' la traslitterazione che fa
piuÁ comodo all'``interprete''), essa eÁ ottenuta tramite uno di questi sistemi
(o tramite entrambi, in modo combinato):
I. Attribuzione basata sulla piuÁ o meno remota rassomiglianza dei segni
del disco con quelli di un'altra forma di scrittura.
II. Attribuzione basata sul metodo acrofonico.
Nel caso I si eÁ impiegato, spesso, come termine di confronto, l'insieme
dei sillabogrammi delle scritture lineari minoica e micenea. Prescindendo
dai dilettanti, abbiamo due esempi di studiosi noti, distintisi in altri settori
della filologia e della linguistica storica: si tratta di Cyrus H. Gordon e di
Paul Faure. In Gordon 1966, in margine all'ipotesi dell'identificazione del
minoico come semitico cui si eÁ accennato supra, in § 3.1, si trova (alle pp.
40-42) un parziale tentativo di traduzione del disco; a parte che la lettura
avviene al contrario (cioeÁ dal centro alla periferia, e la scelta non eÁ giusti-
ficata da altro se non dall'``utilitaÁ'' della pretesa interpretazione), le letture
sono ottenute con il sistema I nella maggioranza dei casi (e la scrittura di
riferimento eÁ il sillabario minoico-miceneo). Ad esempio i segni del disco 17
sono letti, rispettivamente 'i, pe, pu, taÂ, te, ti, to, da, ku, ma, na, no, laÂ, se,
su, sulla base della vaga (o vaghissima) ``rassomiglianza'' con i segni lineari:
letti pa, ha, pi, kr (!), perche il primo raffigurerebbe una ``casa'' (in semitico
bayt) e gli altri Çtre una ``mammella'' (sem. haynõÃq ``succhiare''), un ``angolo''
17 V. la griglia (Provisional Values of Some Phaistos Disc Signs) in GORDON 1966, plate XII.
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IL DISCO DI FESTO
18 FAURE 1973.
19 FAURE 1973, p. 190.
Ð 173 Ð
APPENDICE II
segno ricorre sempre sotto l'ultimo segno di una ``parola'', induce forte-
mente a ritenere che si tratti di una specie di interpunzione).
La seconda strategia di attribuzione dei valori ai segni eÁ il ``metodo
acrofonico'': essa eÁ particolarmente adottata dai dilettanti di ogni genere,
ma non solo, e spesso eÁ combinata con la prima strategia, del confronto
tra scritture, come si eÁ visto per Gordon. L'applicazione del metodo acro-
fonico si fonda sul presupposto di aver ``intuito'' quale sia la lingua soggia-
cente: percioÁ ci si sente autorizzati a verificare l'``intuizione'' attribuendo
come valori fonetici ai segni l'inizio del loro nome nella lingua ``individua-
ta'': cosõÁ Aartun, posto tra gli esempi ``da non imitare'' in NEGRI 2000 (p.
53 s.), credendo che il disco sia scritto in una lingua semitica, legge il segno
della ``testa piumata'' come ka (ma anche ak!), perche esso, secondo lui,
raffigurerebbe un ``sacerdote'' (il cui termine semitico corrispondente eÁ ap-
punto kaÅhinu), e cosõÁ via. Va detto che l'idea di riconoscere un principio
acrofonico nella creazione di scritture eÁ tutt'altro che assurda, anzi eÁ del
tutto normale: si eÁ visto l'esempio del segno lineare (A e B) (stilizzazione
di una cetra), il cui valore fonetico bu pare con ogni verosimiglianza tratto,
acrofonicamente, dalla parola ``minoica'' burta- ``cetra'',20 appunto. Molti,
poi, sapranno che i nomi delle lettere greche sono in realtaÁ la trascrizione
dei nomi fenici dell'oggetto raffigurato dalla lettera stessa. Infatti i Fenici,
primi inventori dell'alfabeto (da cui discende anche il nostro), applicarono
semplicemente il principio acrofonico, attribuirono, cioeÁ, il valore fonetico
della consonante iniziale all'oggetto rappresentato: (antenato della no-
stra A) trascriveva il suono consonantico ' (colpo di glottide), dato che raf-
figurava schematicamente una testa di bue (fenicio 'aleph); (antenato
della nostra B) si leggeva b e raffigurava una casa (fenicio beÃth); (ante-
nato delle nostre C e G) si leggeva g e raffigurava la gobba di un cammello
(fenicio gimel); (antenato della nostra D) si leggeva d e raffigurava una
porta (fenicio daleth), e cosõÁ via. Il fatto eÁ, peroÁ, che queste precise (e tri-
plici) corrispondenze (segno : oggetto raffigurato [spesso in modo assai sti-
lizzato e praticamente irriconoscibile se non a posteriori] : termine su cui si
applica l'acrofonia) possono essere determinate e ricostruite ``a ritroso'' so-
lo quando e perche si conosce con certezza il valore dei segni e la lingua dei
creatori del codice scrittorio (e anche in questo caso resta adito ad alcuni
dubbi). Un simile percorso non eÁ invece ragionevolmente praticabile se
non si puoÁ stabilire con certezza la lingua soggiacente, perche l'altissimo
tasso di discrezionalitaÁ toglie automaticamente ogni valore scientifico e
20 NEUMANN 1982.
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IL DISCO DI FESTO
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APPENDICE II
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IL DISCO DI FESTO
tura fonetica di tipo sillabico (e forse a una lingua di tipo flessivo o agglu-
tinante).
Peraltro, finche disporremo di questo solo documento isolato, la via da
percorrere verso un eventuale tentativo di interpretazione si potraÁ immagi-
nare come una specie di labirinto o come una serie di cunicoli ramificati.
La ``via di uscita'', ossia la corretta interpretazione, eÁ una sola, eppure,
ad ogni via che imbocchiamo, ci troviamo di fronte due o piuÁ percorsi al-
ternativi tra cui scegliere.
Una volta entrati nel ``labirinto'' del disco la prima scelta, a rigore, ri-
guarderebbe la questione del doverlo considerare un documento autentico
o una falsificazione. In realtaÁ, se si prescinde dal suo eccezionale ``isolamen-
to'' (rotto in parte, tuttavia, come rilevato in GODART 1994a, da corrispon-
denze formali importanti tra i segni del disco e alcuni notevoli dati archeo-
logici e iconografici della cultura minoico-micenea), non esistono motivi
per sospettare di un falso. Nondimeno, reputandolo un documento auten-
tico e antico, abbiamo giaÁ fatto una scelta precisa.
Proseguendo, ci troviamo di fronte ai due cunicoli relativi al sistema di
scrittura: ideografico o fonetico. Si eÁ visto sopra per quali motivi riteniamo
che si possa entrare con una certa confidenza nel cunicolo delle scritture
fonetiche e, di fronte alla successiva divaricazione (tra alfabeti e sillabari),
si possa scegliere la via delle scritture sillabiche.
A questo punto siamo avanzati abbastanza nel ``labirinto'' del disco, ma
eÁ qui che ci dobbiamo fermare, perche ci troviamo di fronte alla scelta tra
una serie praticamente infinita di cunicoli.
Bisogna infatti scegliere fra il numero mostruosamente alto delle com-
binazioni di valori sillabici che si possono attribuire ai segni. Scelti i giusti
valori, si avrebbe la corretta traslitterazione del testo e, se la lingua soggia-
cente fosse conosciuta o conoscibile (perche ``imparentata'' con altre cono-
sciute), la decifrazione sarebbe cosa fatta.
Purtroppo peroÁ la scrittura del disco non eÁ confrontabile con nessuna
delle conosciute e l'applicazione del metodo acrofonico eÁ, come si eÁ visto,
destituita di ogni fondamento scientifico.
Ventris, di fronte alla lineare B, si trovava davanti una situazione simile.
Simile, ma non uguale. Anzitutto un gruppetto di segni della lineare B era-
no praticamente identici a quelli della giaÁ decifrata scrittura cipriota (che
era pure un sillabario e dal dato archeologico ben si sapeva che le civiltaÁ
di Creta e di Cipro avevano certamente intessuto stretti contatti fin dall'EtaÁ
del Bronzo): poi si sarebbe verificato che i valori fonetici erano effettiva-
mente gli stessi (confermando cosõÁ l'affinitaÁ genetica tra scritture lineari
cretesi e sillabario cipriota). Inoltre Ventris disponeva di una documenta-
Ð 177 Ð
12
APPENDICE II
zione molto piuÁ vasta su cui lavorare: centinaia di tavolette, tutte di carat-
tere amministrativo e ripiene di ideogrammi esplicativi (che davano un'idea
piuÁ o meno precisa del contenuto, ancor prima di ``leggere''). Un altro pun-
to che permise a Ventris di avanzare nell'attribuzione dei giusti valori fone-
tici fu la riconoscibilitaÁ di elementi onomastici, specialmente di toponimi,
altrimenti noti perche sopravvissuti nelle etaÁ successive.
Ora, noi concordiamo con Godart nel riconoscere che i dati ricavabili
dall'analisi combinatoria del disco siano insufficienti per riconoscere la lin-
gua soggiacente (che, oltretutto, potrebbe essere comunque sconosciuta e
genealogicamente isolata, come il minoico: semmai, come s'eÁ visto poco so-
pra, si potrebbe ipotizzare qualcosa sulla tipologia flessiva o agglutinante);
nondimeno non condividiamo del tutto l'idea che ``circa il contenuto del
messaggio stampato sul disco'' non si possa aggiungere nulla, oltre al fatto
che ci si trova, con ogni probabilitaÁ, di fronte a un testo di carattere non
contabile.22
Ð 178 Ð
IL DISCO DI FESTO
A.2.
A.3.
24 DUHOUX 1977, p. 45 s.
25 Cfr. l'Edizione del testo con disposizione dei gruppi di segni secondo trattini, in GODART
1994a, p. 67 s.
Ð 179 Ð
APPENDICE II
A.4.
A.5.
A.6.
A.7.
A.8.
A.9.
A.10.
Ð 180 Ð
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IL DISCO DI FESTO
«capo? , (figlio) di ».
L'ipotesi sembrerebbe suffragata dalla presenza, alla fine di A.9, della
sequenza
«capo? , (figlio) di ».
Lo stesso ``personaggio'' appena menzionato compare anche, con enfa-
si (separato dal trattino) e in forma ``flessa'' o ``derivata'' (in - ), all'inizio
del documento:
A.1.
A.2.
Ð 181 Ð
APPENDICE II
«capo? , il del »
il che sembrerebbe costituire un notevole punto di regolaritaÁ sintattica.
Sono, eÁ doveroso dirlo, ancora soprattutto suggestioni: ma, se valessero
a indicare a chi, sotto il nobile impulso descritto da Schopenhauer, si affa-
tica ``per la gioia che ne riceve'' sul disco, un ``metodo'' sano di ricerca ± un
filo d'Arianna che lo guidi e non si spezzi nel ``labirinto'' ± e a fargli com-
prendere che invano attenderaÁ illuminazioni dalle figure che incontreraÁ via
via inoltrandovisi; e nell'attesa, forse non remota, che vengano alla luce
nuovi documenti ``paralleli''; se tutto questo saraÁ, forse non saraÁ stato un
errore aver osato questo cauto cammino in un ``labirinto'' in cui in ogni se-
gno che si incontra potrebbe peroÁ celarsi, pronto a insidiare l'audax viator,
un diverso, ingannevole Minotauro...
Ð 182 Ð