In un articolo di qualche settimana fa ho descritto il “ciclo degli utili” aziendali,
la cui consistenza è spesso condizionata dall’alternanza tra le fasi di espansione e di contrazione dell’economia. Molti analisti fondamentali utilizzano il rapporto prezzo/utili (Price/Earnings, P/E) per evidenziare possibili situazioni di sopra- sottovalutazione dei titoli e per poter effettuare dei confronti tra le varie società e tra i diversi settori. Nel valutare questo rapporto spesso si ritiene che il prezzo sia determinato dalla propensione al rischio degli investitori e dalle aspettative di crescita futura degli utili. In realtà molto dipende da quello che viene chiamato “Relative Risk Premium Spread”. Per comprenderlo occorre sapere che la ciclicità dei mercati finanziari e dell'economia è legata agli spread finanziari, il cui fattore chiave è costituito dal “costo del denaro” (ossia il livello dei tassi di interesse). Quest’ultimo viene stabilito dalle banche centrali ed è il fattore che consente di valorizzare le varie asset class (in quanto viene utilizzato per attualizzare i flussi finanziari, utili e/o cedole, che le varie asset class dovrebbero garantire in futuro). Le variazioni del costo del denaro si trasferiscono, tramite questi spread finanziari, tra le varie attività finanziarie, creando trend rialzisti e/o ribassisti sui diversi mercati (azionari, valutari, obbligazionari e delle materie prime). Tutto quindi deve essere valutato in termini relativi, con il costo del denaro che è il punto di partenza per confrontare l’appetibilità delle varie asset class. Partendo dalla base non si può che partire dalla liquidità, essendo l’attività che offre il rendimento più basso. Il primo spread in termini di rischio/rendimento è costituito dai titoli di stato a breve scadenza (spesso usato per definire il tasso risk-free). Ad un livello superiore ci sono i titoli di stato a media-lunga scadenza. Al di sopra ci sono le obbligazioni investment grade per poi salire verso le obbligazioni high yield e le azioni. La differenza (spread) di rendimento esistente tra queste attività viene chiamata “premio al rischio” (Risk premium). Il premio al rischio è legato al rischio (espresso dalla volatilità) e al rendimento potenziale di ciascuna asset class. Le attività con premi di rischio più bassi offrono un rendimento medio inferiore mentre le attività che hanno una volatilità più elevata e che nel corso del tempo offrono un rendimento medio più elevato (come le azioni), hanno un premio di rischio più elevato. I premi al rischio esistono perché esprimono la “ricompensa” che gli investitori chiedono per investire i loro soldi, assumendosi quindi dei rischi. Tutto però dipende quindi dal livello dei tassi di interesse. Una loro riduzione si trasmette infatti ai titoli di stato abbassando sia la parte corta sia quella lunga della curva dei rendimenti. La diminuzione del rendimento offerto dalle obbligazioni provoca un aumento dello spread tra le obbligazioni e le azioni. Un premio al rischio più elevato fa sì che gli investitori vengano compensati di più per l'assunzione del rischio. Di conseguenza i prezzi delle azioni aumentano. La salita dei prezzi delle azioni provoca poi un aumento dei multipli: quando questi ultimi raggiungono dei livelli elevati si genera, inevitabilmente, una riduzione del rendimento futuro delle azioni (visto che i rendimenti futuri sono già stati scontati dai prezzi) e ciò le rende meno appetibili. Questa situazione si verifica anche quando c'è poca differenza nei premi di rischio tra le varie asset class: in questo caso le attività più rischiose diventano, in termini relativi, più pericolose e sono quindi meno appetibili. (riproduzione riservata)